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La Vergine Nostra Signora di Guadalupe

Ultimo Aggiornamento: 12/12/2014 20:54
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Un messaggio negli occhi della Madonna di Guadalupe

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Immagine di Nostra Signora di Guadalupe che si venera in Messico

(Renzo Allegri) -

L’Incontro mondiale delle famiglie a Città del Messico (16-18 gennaio) ha registrato una partecipazione imponente, a dimostrazione di quanto sia vivo, nel popolo cristiano, nonostante tutto, il valore famiglia anche nel nostro tempo. È il sesto incontro mondiale delle Famiglie, che si ripete ogni tre anni. Quest’anno il tema era: “La famiglia, formatrice ai valori umani e cristiani”. Gli ultimi due giorni si sono svolti presso la Basilica della Madonna di Guadalupe, il santuario mariano più frequentato, 12 milioni di pellegrini l’anno.
La Madonna di Guadalupe ha una grande importanza nella vita religiosa dei cattolici dell’America Latina. Tutti i messicani sono devoti della Madonna di Guadalupe.

La storia di quel santuario, che sorge alla periferia della Capitale messicana, ebbe inizio nel dicembre del 1531. Un indio, Juan Diego, un contadino di 57 anni (dichiarato santo da Giovanni Paolo II nel 2002), mentre si recava in chiesa, cominciò a incontrare una bellissima ragazza che lo salutava e gli sorrideva. Una mattina quella ragazza si presentò dicendo: “Io sono la Perfetta Sempre Vergine Maria, la Madre del Verissimo e unico Dio” e chiese che in quel luogo venisse eretta una chiesa in suo onore.

L’indio riferì tutto al vescovo, Juan de Zumarraga, il quale non voleva credere. E allora quella misteriosa ragazza disse a Juan di andare sulla montagna, cogliere dei fiori e portarli al vescovo. Diego obbedì anche se pensava di non poter trovare fiori in quel periodo di freddo rigido. Invece trovò delle bellissime rose. Le raccolse, le pose nella sua tilma, una specie di rozzo grembiule che portavano i contadini messicani, e andò dal vescovo. Quando aprì la tilma, il vescovo con tutte le altre persone che erano presenti, videro formarsi su quella rozza stoffa l’immagine della Madonna. Quella che si venerà nella Basilica. Cadde in ginocchio e cominciò a credere ai racconti del povero indio. Quell’immagine venne portata nella cattedrale ed esposta alla veneraione del pubblico. La devozione si diffuse rapidamente, anche perché si verificarono subito molti prodigi. Fu eretta una cappella e in seguito un grande santuario e di recente un altro santuario ancora più grande per poter ospitare i pellegrini che ogni anno aumentano.

L’immagine rappresenta una giovane sui 15 anni, alta 143 centimetri, con carnagione un po’ scura e per questo i messicani la chiamano “Virgen Morenita”. I tratti del viso non sono né europei né indio, ma presentano una perfetta commistione di queste due razze. Si potrebbe dire che è una perfetta meticcia, ma va ricordato che, allora, i meticci, frutto appunto delle due razze, Atzeca e europea, non esistevano ancora. Quell’immagine, quindi, nella sua configurazione fisica, era profetica, rappresentava la razza meticcia che sarebbe venuta in seguito e che costituisce la popolazione messicana di oggi. E così come misteriosamente si era formata, continuò a presentare sempre più stupefacenti anomalie.

Fin dall’inizio, attrasse la curiosità dei più attenti osservatori. La tilma era di un tessuto di fibre di agave, che in genere venivano adoperate per fare corde. Una volta ritorte, quelle fibre davano dei fili aspri, duri e molto resistenti. Il tessuto che si otteneva, perciò, era rozzo, assolutamente non adatto ad essere dipinto. E molti, osservando l’immagine, si chiedevano come mai fosse stato possibile ottenere una figura così bella su una tela tanto rozza.

Cominciarono le ricerche. Prima fatte da pittori curiosi, poi da medici e scienziati e vennero così alla luce caratteristiche misteriose e assolutamente inspiegabili con le conoscenze scientifiche umane. Il mistero è andato via via, lungo i secoli, sempre più evidenziandosi e ingigantendosi, fino a diventare uno degli enigmi più sconcertanti che si conoscano.

Nel 1936, il professor Richard Kuhn, direttore della sezione di chimica del Kaiser Wilhelm Institut di Heidelberg, che due anni dopo, nel 1938, avrebbe ottenuto il premio Nobel per la chimica, dimostrò in maniera scientificamente inoppugnabile che sulle fibre di quella tela non vi è traccia di coloranti di nessun tipo, né vegetali, né animali, né minerali.

Quel quadro non poteva essere stato dipinto da mano umana.


Ma il fenomeno più sorprendente riguarda le scoperte fatte nelle pupille della Vergine.

Nel 1929, il fotografo Alfonso Marqué Gonzales, studiando alcuni negativi dell’immagine, osservò che, con l’aiuto di una grossa lente di ingrandimento, nell’occhio destro della Madonna si vedeva distintamente una figura umana. La scoperta destò scalpore. Altri fotografi cercarono di chiarire il fatto, scoprendo anche altre immagini. Se ne interessarono anche medici.
È noto che nell’occhio umano si formano tre immagini riflesse degli oggetti osservati.

Si chiamano “immagini di Purkinje-Sanson” dai nomi dei due ricercatori che scoprirono questa caratteristica dell’occhio umano nel secolo XIX. Due di quelle immagini sono “diritte”, una sulla superficie esterna della cornea, la seconda sulla superficie esterna del cristallino. La terza, che si forma rovesciata, appare sulla superficie interna del cristallino. In teoria, tali immagini riflesse, oltre che negli occhi di una persona vivente possono essere viste anche in una fotografia della stessa, ma non potevano certo vedersi negli occhi di un volto umano “dipinto” su una tela.

Eppure, nelle pupille della Vergine di Guadalupe, immagine che risale al 1531, si vedevano le sagome di alcune persone.

Nel 1979 arrivò in Messico un ingegnere peruviano, José Aste Tonsmann. Uno scienziato ad alto livello, che alcuni anni fa ho intervistato. Laureato in Ingegneria Civile all’Università Nazionale di Ingegneria del Perù, aveva conseguito una seconda laurea in Filosofia e, passato all’Università Cornell, negli Stati Uniti, si era specializzato in Ingegneria dei Sistemi di ricerca attraverso il computer. Aveva lavorato poi con grandi aziende e tenuto corsi nelle più prestigiose università americane. Era insomma uno dei ricercatori moderni più qualificati.
 
Rimase colpito dagli studi già fatti sugli occhi della Madonna e volle interessarsene. Da allora ha dedicato tutta la sua vita agli studi sugli occhi della Madonna di Guadalupe. Servendosi di strumenti elettronici d’avanguardia, di quelli, per intenderci, adoperati anche dalla Nasa per decifrare le foto inviate dai satelliti nello spazio. Ha studiato il fenomeno in tutti i suoi aspetti ed ha scoperto che negli occhi dell’immagine della Madonna di Guadalupe sono presenti le sagome di diverse persone e si vede ben distinta una scena specifica: quella descritta nei documenti del tempo, che raccontano come si sia formata l’immagine della Vergine sulla tilma di Juan Diego.

Negli occhi dell’immagine della Vergine di Guadalupe, il professor José Aste Tonsmann ha evidenziato nettamente un indio seduto, nudo, con la gamba sinistra appoggiata al suolo e quella destra piegata sopra l’altra, con i capelli lunghi, legati all’altezza delle orecchie, orecchino e anello al dito. Accanto a lui, un uomo anziano, con la calvizie notevolmente avanzata, la barba bianca, il naso dritto, le sopracciglia sporgenti, e si vede che una lacrima gli scende lungo la guancia destra: in questo personaggio è stato identificato il vescovo Juan de Zumarraga.

Alla sua sinistra, un uomo abbastanza giovane, e si suppone che si tratti di Juan Gonzales, che fungeva da interprete per il vescovo de Zumarraga. Più avanti, appare il profilo di un uomo in età matura, con barba e baffi aderenti alle guance, naso grande e marcatamente aquilino, zigomi sporgenti, occhi incavati e labbra socchiuse, che sembra indossare un cappuccio a punta: è un indio, colto mentre sta per aprire il proprio mantello. Egli è rivolto in direzione dell’anziano calvo. È la scena di quando Juan Diego portò le rose al vescovo. La Madonna era presente, la scena che vedeva era nei suoi occhi e rimase fissata nelle pupille dell’immagine che misteriosamente in quel momento si impresse sulla tilma di Juan.


Nella descrizione dei vari personaggi osservati negli occhi della Madonna, l’ingegnere José Aste ha individuato anche una giovane negra. Questo particolare mise in allarme gli studiosi in quanto al tempo dell’apparizione, in Messico, non c’erano negri. Ma successive ricerche hanno chiarito il piccolo giallo. Dal testamento del vescovo Juan de Zumarraga si è appreso che egli aveva al suo servizio una serva negra, alla quale, prima di morire, volle concedere la libertà per i preziosi servizi che aveva avuto.

Accanto ai personaggi “storici”, José Aste ha individuato anche una seconda scena, staccata dalla prima, quasi in secondo piano, con un gruppo di persone anonime, che potrebbero rappresentare una famiglia atzeca composta da padre, madre, nonni e tre bambini.
Riflettendo sulle sue straordinarie scoperte scientifiche, il dottor José Aste avanza, da credente, un’ipotesi suggestiva.

Dice che le scene scoperte nelle pupille dall’immagine potrebbero costituire un “messaggio” della Madonna di Guadalupe. «Un messaggio destinato proprio al nostro tempo», dice l’ingegnere «perché la Vergine sapeva che solo con la tecnologia moderna si poteva evidenziare il segreto racchiuso negli occhi di quella sua immagine. La scena delle figure anonime potrebbe indicarci l’importanza dell’unione della famiglia e dei suoi valori; la presenza nello sguardo della Madonna di persone di razze diverse, potrebbe essere un monito antirazzista; la tilma che, per gli atzechi, era più uno strumento di lavoro che un indumento vero e proprio, potrebbe essere un invito a servirci della tecnologia per diffondere la parola di Cristo».


[SM=g1740734]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Per il mese di Maria, raccontate la storia di Juan Diego ai vostri ragazzi. E le molte altre storie – una per ogni giorno di maggio – che trovate in un simpatico libretto della Elledici, giunto alla terza edizione.

NOSTRA SIGNORA DI GUADALUPE


Juan Diego e Maria Lucia

Anticamente, nel paese oggi chiamato Messico, viveva un indio di nome Juan Diego. Quello non era il suo nome da sempre. Prima che i bianchi arrivassero dalla Spagna attraverso il mare, Juan Diego si chiamava "Colui-che-parla-comeun’aquila". Viveva con la moglie nel villaggio di Tolpetlac, piantava il mais e pagava le imposte al grande impero azteco.Alcuni missionari bianchi parlavano di un Dio gentile e buono come un padre. "Colui-che-parla-come-un’aquila" e sua moglie ascoltarono i frati, si fecero cristiani e i loro nomi furono cambiati in Juan Diego e Maria Lucia. Erano fedeli alla loro nuova religione e avevano molta pace e felicità.Un inverno Maria Lucia si ammalò e morì. Juan Diego ne ebbe il cuore spezzato. Ma i frati gli dissero di non essere triste, perché una donna buona come Maria Lucia era certamente in salvo nel regno del loro nuovo Padre.Juan Diego continuò a lavorare sodo e ogni sabato, proprio come faceva quando era viva sua moglie, andava alla chiesa di Santiago ad ascoltare la Messa in onore della Madre di Dio. E si fermava anche la domenica per le funzioni solenni. Ma un giorno, il 9 dicembre dell’anno 1531, accadde una cosa che cambiò per sempre la sua vita. 

Una Signora bellissima

Poco prima dell’alba, Juan Diego si mise il tilma, il rozzo mantello dei poveri fatto con fibre di cactus, e si avviò verso la chiesa, come ogni sabato. Era una bella distanza dal suo villaggio, ma Juan Diego c’era abituato. Giunto nei pressi della collina di Tepeyac, Juan Diego sentì un canto dolcissimo. Ricordava la musica della Messa solenne. Guardò in su e vide la cima della collina coperta da una bianca nuvola luminosa. Decise di dare un’occhiata più da vicino. Mentre saliva, la nuvola sembrò esplodere in raggi di colore. E di colpo la musica tacque. Tutto si fece silenzio. Poi Juan Diego senti una voce umana, la dolce voce gentile di una donna, che parlava la sua lingua. "Juan", chiamò. "Juan Diego".Juan Diego corse fino in cima alla collina. Ed ecco la nuvola si aprì ed egli vide una Signora bellissima vestita come una principessa azteca. Juan Diego si buttò in ginocchio. La Signora era in mezzo a un alone di luce, come se dietro di lei ci fosse il sole. "Juan Diego", disse la Signora, "piccolo e preferito tra i miei figli...". Juan scattò in piedi. "Dove stai andando, Juanito?", chiese la Signora.Juan Diego rispose più educatamente che poteva. Disse alla Signora che era diretto alla chiesa di Santiago per ascoltare la Messa in onore della Madre di Dio."Figlio mio diletto", disse la Signora, "sono io la Madre di Dio, e voglio che tu mi ascolti attentamente. Ho un messaggio molto importante da darti. Desidero che mi sia costruita una chiesa in questo luogo, da dove potrò mostrare il mio amore alla tua gente, gli indios. Devi andare subito alla casa del vescovo del Messico e dirgli che ti ho mandato io a fare questa richiesta. Digli che deve costruire una chiesa qui, adesso. Digli tutto quello che hai visto e sentito". 

Un cortile zeppo di gente

Juan Diego camminò trasognato fino alla casa del vescovo che sorgeva sulla piazza principale di Città del Messico ed era chiusa tra alti muri bianchi e un enorme portone di legno. Juan Diego picchiò al pesante battente."Ho una questione importante per sua eccellenza il vescovo", balbettò Juan Diego al frate che aprì una porticina nel grande portone.Ma il cortile era già zeppo di gente, sia indios che spagnoli, tutti venuti per parlare con sua eccellenza. Juan Diego aspettò con pazienza il suo turno. Finalmente, verso sera, il frate tornò e lo condusse nella stanza spoglia dove si trovava il vescovo.Con l’aiuto di un interprete, il vescovo domandò: "Cosa desideri da noi, figlio mio?". "Solo che voi costruiate una chiesa per la Madre di Dio, che mi ha parlato stamattina all’alba sulla collina di Tepeyac, e mi ha detto di chiedervi questo piccolo favore", rispose Juan.Nella stanza tutti scoppiarono a ridere. Il vescovo alzò la mano e la folla tacque. Poi il vescovo si fece ripetere il racconto e, alla fine, disse: "Figlio mio, prima debbo occuparmi di importanti questioni di stato. Se tornerai fra qualche giorno e ci ripeterai tutto nei particolari come hai fatto oggi, allora ci penseremo su. Abbi pazienza con noi", aggiunse.Attraverso il cortile, Juan Diego fu accompagnato fino al portone. Aveva fallito, non gli avevano creduto. Era stanco e triste quando si arrampicò faticosamente sulla collina di Tepeyac per raccontare alla Signora del suo insuccesso. La Signora lo aspettava nello stesso punto."Oh, bella Signora", singhiozzò Juan Diego, "ho fallito. Non dovevi mandare un ignorante come me. Manda un nobile, qualcuno più degno..."."Mio amato figlio", disse la Signora, "certo i messaggeri non mi mancano; ma è proprio di te che ho bisogno, sei tu quello che ho scelto. Ti prego di farlo per amor mio. Va’ a casa, ora, al tuo villaggio. Ma domani torna dal vescovo e digli che io gli chiedo di costruire una chiesa qui, proprio in questo punto".Juan Diego capì che doveva fare come voleva la Signora."Lo farò", disse. "Per favore, aspettatemi qui domani al calar del sole, so che vi porterò buone notizie dal vescovo. Adesso vi lascio in pace, Signora. Dio vi protegga". La mattina dopo era domenica, il 10 dicembre. Juan Diego si alzò prima dell’alba. Questa volta passò dalla chiesa di Santiago e, dopo la funzione, invece di fermarsi a chiacchierare con gli amici, si rimise in strada per andare dal vescovo.Il vescovo lo ascoltò e poi gli disse: "Torna dalla Signora e chiedile un segno chiaro che è veramente la Madre di Dio e che desidera davvero la costruzione di una chiesa". Juan Diego tornò dalla Signora e le chiese il segno che aveva promesso, cosi lo avrebbe portato subito al vescovo."Mio amato figlio", rispose la Signora, "sali sulla cima della collina dove ci siamo incontrati la prima volta. Taglia e raccogli le rose che vi troverai. Mettile nel tuo tilma e portamele qui. Ti dirò io che devi fare e dire".Pur sapendo che su quella collina non crescevano rose, e certo non d’inverno, Juan corse fin sulla cima. E là c’era il più bel giardino che avesse mai visto. Rose di Castiglia ancora lucenti di rugiada si stendevano a perdita d’occhio. Tagliò delicatamente i boccioli più belli col suo coltello di pietra, ne riempì il mantello, e veloce tornò dove la Signora lo aspettava. La Signora prese le rose e le sistemò di nuovo nel tilma di Juan. Poi glielo legò dietro al collo e disse: "Questo è il segno che il vescovo vuole. Presto, vai da lui e non fermarti lungo la strada. Ma soprattutto non mostrare a nessun altro quel che porti nel tilma. Quando il vescovo vedrà questo segno, costruirà la chiesa per me".E Juan Diego, per la terza volta, prese la via della città. 

L’immagine sul mantello

Lo condussero nello studio del vescovo. Juan parlò: "Ho il segno che mi avete chiesto". Aprì il tilma e una cascata di rose coprì il tappeto. Alla vista di Juan Diego, in piedi, davanti a lui, con il mantello vuoto ancora annodato al collo, il vescovo lanciò un grido.Poi cadde in ginocchio, e con lui tutti quelli che erano nella stanza. E il vescovo cominciò a pregare: "Ave Maria, piena di grazia". Juan rispondeva alla preghiera assieme agli altri. D’un tratto si rese conto che nessuno guardava le magnifiche rose sul tappeto. Tutti fissavano il suo tilma.Juan Diego abbassò lo sguardo. Il suo ruvido mantello in fibra di cactus si era trasformato in un quadro con l’immagine della Signora, così come l’aveva vista l’ultima volta ai piedi del Tepeyac."Perdona i miei dubbi, figlio mio", disse il vescovo, mentre aiutava Juan Diego a slacciarsi il tilma. Il vescovo portò la sacra immagine sull’altare della chiesa.Di lì a pochi giorni, ai piedi del Tepeyac, fu costruita una cappella di mattoni cotti al sole. Dentro vi collocarono l’immagine miracolosa, e vicino aggiunsero una capanna di legno per Juan Diego. Juan passò il resto della sua vita a prendersi cura del piccolo santuario.Oggi, in quel punto, sorge una chiesa maestosa, visitata da milioni e milioni di persone che vogliono pregare davanti all’immagine della Madonna impressa sul tilma di Juan Diego.E ancor oggi gli indios del Messico dicono ai neonati: "Possa Dio essere buono con te come lo fu con Juan Diego". 

La riflessione

La storia di Juan Diego e della Madonna di Guadalupe non è affatto una pia leggenda, ma è una storia vera. Accertata storicamente e scientificamente. Nessun è riuscito a scoprire il mistero dei colori dell’immagine: si ammette semplicemente che non sono di origine umana conosciuta.
È una storia intrisa di spontaneità evangelica. Maria si china sui più poveri, semplici, perseguitati della terra, messaggera della bontà di Dio, per incoraggiare e proteggere. Come Gesù, invia come messaggeri i "piccoli", quelli a cui è rivelato il mistero del regno di Dio, grazie alla profondità della loro fede.
Maria richiede una "chiesa". Non un monumento in suo onore, ma un santuario dove la gente possa pregare Dio e ricevere i sacramenti che uniscono alla vita di Gesù. Maria ama gli uomini e vuole più d’ogni altra cosa che si incontrino con Gesù.

La preghiera[SM=g1740720]

Per le strade della vita non sei mai solo. Con te nel cammino c’è Maria.Oh! Vieni con noi, vieni a camminare, Santa Maria, vieni!

Il gesto[SM=g1740733]

Un piccolo pellegrinaggio a un santuario o edicola della zona.

Il fioretto[SM=g1740717]

Giocare con un compagno di classe o di oratorio che di solito è lasciato in disparte.


Gli esami scientifici sull’immagine di Guadalupe

Al 1666 risale il più antico esame scientifico dell’immagine "impressa" sulla tilma. Essa è costituita da due teli di ayate – un rozzo tessuto di fibre d’agave, usato in Messico dagli indios poveri per fabbricare abiti. Su di essa si vede l’immagine della Vergine, di dimensioni leggermente inferiori al naturale, e di carnagione un po’ scura, donde l’appellativo popolare messicano di Virgen Morena o Morenita. I tratti del volto non sono né di tipo europeo, né di tipo indio, ma piuttosto meticcio, cosa "profetica" al tempo dell’apparizione.

I risultati degli esami compiuti su questa immagine dai pittori e dagli scienziati nel 1666 sono i seguenti: è assolutamente impossibile che un’immagine così nitida sia stata dipinta a olio o a tempera sull’ayate, data la completa mancanza di preparazione di fondo; che il clima del luogo in cui l’immagine è stata esposta, senza alcuna protezione, per 135 anni è tale da distruggere in un tempo più breve qualsiasi pittura, anche se dipinta su tela di buona qualità e ben preparata.
Nel 1936, il direttore della sezione di chimica del Kaiser Wilhelm Institut di Heidelberg, dottor Richard Kuhn – premio Nobel per la Chimica nel 1938 –, ha la possibilità di analizzare due fili, uno rosso e uno giallo, provenienti da frammenti della tilma di Juan Diego, forse ritagliati nel 1777 per adattare alla cornice l’antico mantello, e poi conservati come reliquie. I risultati delle analisi, condotte con le tecniche più sofisticate allora disponibili, sono incredibili: sulle fibre non vi è traccia di coloranti, né vegetali, né animali, né minerali.

Ma i risultati più incredibili sono venuti dall’esame degli occhi della Vergine di Guadalupe. Nel 1979 l’ingegnere peruviano José Aste Tonsmann, esperto di elaborazione elettronica delle immagini, chiede di poter analizzare – con il metodo dell’elaborazione elettronica mediante computer, usato, fra l’altro, per la "decifrazione" delle immagini inviate sulla terra dai satelliti artificiali e dalle sonde spaziali – i riflessi visibili negli occhi della Madonna di Guadalupe. Con questo metodo il Tonsmann riesce a ingrandire le iridi degli occhi della Vergine fino a 2500 volte le loro dimensioni originarie, e a rendere, mediante opportuni procedimenti matematici e ottici, il più possibile nitide le immagini in esse contenute. Il risultato ha dell’incredibile: negli occhi della Madonna di Guadalupe è riflessa l’intera scena di Juan Diego che apre la sua tilma davanti al vescovo Juan de Zumárraga O.F.M. e agli altri testimoni del miracolo.  

Bruno Ferrero, Mese di Maggio per i bambini, Elledici.

Pubblicato in Dossier Catechista, maggio 2007.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/12/2011 14:28
 
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Il Papa: Ho intenzione di intraprendere un viaggio apostolico prima della Santa Pasqua in Messico e a Cuba, per proclamarvi la Parola di Cristo e affinché si rafforzi il convincimento che questo è un tempo propizio per evangelizzare con fede retta, speranza viva e carità ardente


SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIA DI GUADALUPE E PER IL BICENTENARIO DELL’INDIPENDENZA DEI PAESI DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI, 12.12.2011

Alle ore 17.30 di questo pomeriggio, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione Eucaristica nella solennità della Beata Vergine Maria di Guadalupe e per il Bicentenario dell’indipendenza dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi.
Concelebrano con il Papa l’Em.mo Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, l’Em.mo Card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi e Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, l’Em.mo Card. Norberto Rivera Carrera, Arcivescovo di México e l’Em.mo Card. Raymundo Damasceno Assis, Arcivescovo di Aparecida.
La Santa Messa è preceduta alle ore 17 da un momento introduttivo, nel corso del quale - tra l’altro - il Segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina, Prof. Guzmán Carriquiry, legge alcuni testi sulla ricorrenza bicentenaria e sulla Vergine di Guadalupe e il Card. Nicolás de Jesús López Rodríguez, Arcivescovo di Santo Domingo (Repubblica Dominicana) rivolge una preghiera alla Beata Vergine Maria di Guadalupe.
All’inizio della Celebrazione Eucaristica, il Card. Marc Ouellet, Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, rivolge al Papa un indirizzo di omaggio.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre pronuncia nel corso della Santa Messa:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

“La terra ha dato il suo frutto” (Sal 66,7). In questa immagine del salmo che abbiamo ascoltato, in cui tutti i popoli e le nazioni sono invitati a lodare con giubilo il Signore che ci salva, i Padri della Chiesa hanno riconosciuto la Vergine Maria e Cristo, suo Figlio: La terra è Santa Maria, che viene dalla nostra terra, dalla nostra stirpe, da quest’argilla, da questo fango, da Adamo….

La terra ha dato il suo frutto: dapprima ha prodotto un fiore; poi questo fiore è diventato un frutto, affinché potessimo mangiarne, affinché mangiassimo la sua carne. Volete sapere qual è quel frutto? E’ il Vergine che procede dalla Vergine; il Signore, dalla schiava; Dio, dall’uomo; il Figlio, dalla Madre; il frutto, dalla terra” (S. Girolamo, Breviarium in Psalm. 66: PL 26, 1010-1011). Anche noi oggi, esultanti per il frutto di questa terra, diciamo: “Ti lodino, Signore, tutti i popoli” (Sal 66,4.6). Proclamiamo il dono della redenzione ottenuta per mezzo di Cristo, e in Cristo, riconosciamo il suo potere e la sua maestà divina.

Animato da questi sentimenti, saluto con affetto fraterno i signori cardinali e vescovi che si sono uniti a noi, le diverse rappresentanze diplomatiche, i sacerdoti, religiosi e religiose, nonché i gruppi di fedeli riuniti in questa Basilica di San Pietro per celebrare con gioia la solennità di Nostra Signora di Guadalupe, Madre e Stella dell’Evangelizzazione dell’America.

Penso anche a quanti si uniscono spiritualmente e pregano Dio insieme a noi per i diversi Paesi latinoamericani e caraibici, molti dei quali festeggiano in questo tempo il bicentenario della loro indipendenza e al di là degli aspetti storici, sociali e politici dei fatti rinnovano la loro gratitudine all’Altissimo per aver ricevuto il grande dono della fede, una fede che annuncia il Mistero redentivo della morte e risurrezione di Gesù Cristo, affinché tutti i popoli della terra in Lui abbiano vita. Il Successore di Pietro non poteva lasciar trascorrere questa ricorrenza senza manifestare la gioia della Chiesa per i doni abbondanti che Dio nella Sua infinita bontà ha riversato dutante questi anni in quelle nazioni amatissime, che con tanto amore invocano Maria santissima.

La venerata immagine della “Morenita del Tepeyac” (la Madonna bruna della collina a nord di Città del Messico), dal volto dolce e sereno, impressa sul mantello dell’indio San Juan Diego, si presenta come “la sempre Vergine Maria, Madre del vero Dio , per il quale si ha la vita” (Dalla lettura dell’Ufficio. Nicán Monohua, 12ma ed., México, DF 1971, 3-19). Ella evoca la “donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e una corona di dodici stelle sul capo, che è incinta” (Ap 12, 1-2) e addita la presenza del Salvatore alla sua popolazione indigena e meticcia. Ella ci conduce sempre al suo divin Figlio, il quale si rivela come fondamento della dignità di tutti gli esseri umani, come un amore più forte delle potenze del male e della morte, che è al contempo fonte di gioia, fiducia filiale, consolazione e speranza.

Il Magnificat, che proclamiamo nel Vangelo, è “il cantico della madre di Dio e quello della Chiesa, cantico della Figlia di Sion e del nuovo Popolo di Dio, cantico di ringraziamento per la pienezza di grazie elargite nell’Economia della salvezza, cantico di “poveri”, la cui speranza si realizza mediante il compimento delle promesse fatte ai nostri padri” (catechismo della Chiesa Cattolica, 2619). In un gesto di riconoscenza al suo Signore e di umiltà della sua serva, la Vergine Maria eleva a Dio la lode per tutto ciò che Egli ha compiuto in favore del suo popolo Israele. Dio è Colui che merita ogni onore e gloria, il Potente che ha fatto meraviglie per la sua fedele ancella e che oggi continua a mostrare il suo amore per tutti gli uomini, in particolare per coloro che si trovano ad affrontare dure prove.

“Guarda, il tuo Re viene verso di te; Egli è giusto e vittorioso, è umile e cavalca un asino” (Zc 9,9), abbiamo ascoltato nella prima lettura. Dall’Incarnazione del Verbo, il Mistero divino si rivela nell’evento di Gesù Cristo che è coetaneo a ogni persona umana in ogni tempo e luogo per mezzo della Chiesa, di cui Maria è Madre e modello. Per questo possiamo noi oggi continuare a lodare Dio per le meraviglie che ha operato nella vita dei popoli latinoamericani e del mondo intero, manifestando la sua presenza nel Figlio e l’effusione del suo Spirito come novità della vita personale e comunitaria. Dio ha nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti, rivelandole ai piccoli, agli umili, ai semplici di cuore (cf Mt 11,25).

Con il suo “sì” alla chiamata di Dio, la Vergine Maria manifesta tra gli uomini l’amore divino. In questo senso, Ella, con semplicità e cuore materno, continua ad indicare l’unica Luce e l’unica Veirtà: suo Figlio Gesù Cristo, che “è la risposta definitiva alla domanda sul senso della vita e agli interrogativi fondamentali che assillano anche oggi tanti uomini e donne del Continente americano” (Esortazione Apostolica Post-Sinodale Ecclesia in America,10) Inoltre Ella con la sua costante intercessione continua a ottenerci i doni della salvezza eterna. Con il suo amore materno si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata” (Lumen gentium, 62).

Nell’attualità, mentre in diversi luoghi dell’America Latina si commemora il Bicentenario della loro indipendenza, procede il cammino dell’integrazione in quell’amato Continente e si vede emergere al contempo il suo nuovo protagonismo nel concerto mondiale. In tali circostanze, è importante che i suoi diversi popoli custodiscano il loro ricco tesoro di fede e il loro dinamismo storico-culturale, con l’essere sempre difensori della vita umana dal suo concepimento al suo tramonto naturale e promotori della pace; devono allo stesso modo proteggere la famiglia nella sua autentica natura e missione, intensificando al contempo un vasto e capillare compito educativo che prepari rettamente le persone e le renda consapevoli delle loro capacità, in modo che affrontino degnamente e responsabilmente il loro destino. Sono inoltre chiamati a promuovere iniziative sempre più numerose ed efficaci e programmi idonei a facilitare la riconciliazione e la fratellanza, ad incrementare la solidarietà e la cura dell’ambiente, rafforzando al tempo stesso gli sforzi per superare la miseria, l’analfabetismo e la corruzione e sradicare ingiustizia, violenza, criminalità, insicurezza cittadina, narcotraffico ed estorsione.

Allorché la Chiesa si preparava a ricordare il quinto Centenario della plantatio della Croce di Cristo nella buona terra del continente americano, il beato Giovanni Paolo II formulò sul suo suolo, per la prima volta, il programma di un’evangelizzazione nuova “nel suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione” (cf. Discorso all’Assemblea del CELAM, 9 marzo 1983, III: AAS 75, 1983, 778). Per la mia responsabilità di confermare nella fede, desidero anch’io incoraggiare lo zelo apostolico che attualmente sospinge e ispira la “missione continentale” promossa ad Aparecida, affinché “la fede cristiana si radichi più profondamente nel cuore delle persone e dei popoli latinoamericani come evento fondante e incontro vivificante con cristo” (V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Documento finale, 13).

 In tal modo si moltiplicheranno gli autentici discepoli e missionari del Signore e si rinnoverà la vocazione alla speranza dell’America Latina e dei Caraibi. Che la luce di Dio brilli, dunque, sempre più nel volto di ciascuno dei figli di quell’amata terra e che la sua grazia redentrice orienti le loro decisioni, affinché continuino a progredire senza vacillare nella costruzione di una civiltà radicata nello sviluppo del bene, nel trionfo dell’amore e nella diffusione della giustizia.

Con questi vivi sentimenti e sostenuto dall’ausilio della provvidenza divina, ho intenzione di intraprendere un viaggio apostolico prima della Santa Pasqua in Messico e a Cuba, per proclamarvi la Parola di Cristo e affinché si rafforzi il convincimento che questo è un tempo propizio per evangelizzare con fede retta, speranza viva e carità ardente.

Affido tutti questi propositi all’intercessione amorevole di Santa Maria di Guadalupe, nostra madre celeste, come anche l’attuale destino delle nazioni latinoamericane e caraibiche ed il cammino che stanno percorrendo verso un domani migliore. Invoco anche su di esse l’intercessione di tanti santi e beati che lo Spirito ha suscitato in ogni luogo e in ogni tempo di quel Continente, offrendo modelli eroici di virtù cristiane nella diversità degli stati di vita e di ambienti sociali, affinché il loro esempio favorisca sempre più una nuova Evangelizzazione sotto lo sguardo del Cristo, Salvatore dell’uomo e forza della sua vita.
Amen.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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03/07/2012 15:31
 
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LA MADONNA DI GUADALUPE: IL MAPPAMONDO DELLA TILMA

 


Le stelle del mantello della Vergine di Guadalupe rappresentano esattamente la costellazione del cielo nel Messico il giorno dell'apparizione (9 Dicembre del 1531)
 

Dopo aver scoperto che le stelle del manto della Madonna di Guadalupe non sono disposte a caso, ma che invece rappresentano una vera configurazione celeste, che corrisponde al momento della Sua apparizione, si deducono diversi aspetti del suo messaggio. Più avanti si approfondisce la relazione tra i nomi delle costellazioni rappresentate e i tempi del piano di Salvezza.
In questa sede esploriamo la concordanza che possa essere stabilita tra la sua immagine miracolosa e la geografia mondiale.
In effetto, tutte le stelle del firmamento hanno una posizione fissa in cielo. Le stelle non si muovono, ma è la Terra che ruota e produce un movimento apparente. Per questo motivo è facile individuarle ogni notte se si conoscono le loro coordinate di Ascensione Retta (verticale) e Declinazione (orizzontale) definite partendo da un’origine stabilita in comune accordo tra gli astronomi denominato Equinozio Primaverile. Nei cinque secoli circa che ci separano dall’apparizione di Guadalupe, le variazioni della posizione di qualunque stella è di pochi secondi di grado, impercettibili a qualunque occhio umano.
http://www.guadalupe4u.org/index.php?option=com_content&task=view&id=45&Itemid=55
Il sistema di coordinate della sfera celeste ha una corrispondenza unica con il sistema di coordinate della sfera terrestre, denominati Latitudine e Longitudine e che utilizziamo nelle mappe topografiche, GPS, ecc. Di conseguenza, le 46 stelle che appaiono sul manto dell’immagine, nomi e posizioni conosciute, definiscono a loro volta una posizione unica sulla superficie della Terra dell’immagine di Guadalupe. Si può dire che, considerandola in questo modo, l’immagine della tilma è una mappa, la cui sovrapposizioni su continenti e nazioni non è frutto del caso e, per tanto, la sua analisi permette di approfondire di più il messaggio della “chiamata”.
 
Il lavoro è facile da realizzare con le stesse equazioni e procedure adoperate per la costruzione delle mappe partendo dalle immagini di satelliti o di foto aeree. Nella rete esiste software gratuito o di basso costo che chiunque può utilizzare per ripetere i risultati che qui vengono presentati sottoforma di mappe (proiezione Lambert Cilindrica) o in vedute sferiche. Il resto è da interpretare cercando di capire il messaggio (Geopolitico) della Donna dell’Apocalisse. Chiunque può chiedere luce allo Spirito Santo e indagare su cosa vuole dirci con questa nuova interpretazione della stessa. Non c’è niente di casuale nella sua immagine e nemmeno nei tempi in cui avvengono le scoperte. Per il momento ci soffermiamo su alcuni aspetti:


- L’immagine nel complesso è girata 23º in senso antiorario- È esattamente l’angolo di inclinazione della Terra che causa le stagioni. Si può capire che la Donna dell’Apocalisse riequilibra l’asse della Terra e anche che Lei è sul piano del Sole e non della Terra.
- La sua immagine comprende ¾ parti della terra. Lascia scoperta una parte del Pacifico (Giappone, parte dell’Australia) e del nord Asiatico (parte della Cina e Siberia).
- La sua testa riposa sulle cime più elevate della Terra (Himalaya) e copre parte della Cina e quasi tutta l’India.
- Il suo sguardo (misericordioso) sembra dirigersi verso l’Iran – Irak. Sulla sua tunica si trovano protetti indistintamente paesi a maggioranza musulmana e cristiana.
- Le sue mani in preghiera abbracciano due paesi nettamente musulmani: Arabia Saudita (culla di Maometto) e Sudan (Darfur)
- Le sue mani in preghiere attraversano il Mare Rosso, ricordando l’esodo che si ripete spiritualmente nell’Apocalisse.
- Il lato destro del suo manto copre (protegge) l’Europa e il suo bordo tocca il Nord dell’Africa Mediterranea e l’est dell’America del Nord.
- La cartina degli USA è coperta a metà dal suo manto nella zona est e nella mezza luna a ovest. Sembra una rappresentazione grafica di una lotta in questo paese tra Lei e il diavolo.
- Tutta l’America Latina si trova dentro il suo manto o la sua tunica.
- Le Amazzone sembrano essere radice di alcune foglie e fiori bordati nella sua tunica. Le Ande coincidono con la flessione del suo ginocchio, e le servono come appoggio.
- Il secondo estremo della luna appunta e termina nel Polo Sud.
- Il lato sinistro del suo manto si conforma con le zone dell’evangelizzazione portoghese in Africa e Asia.
- L’origine di coordinate geografiche della Terra, stabilito alla fine del secolo XIX, coincide con il suo ventre dove Lei porta il Signore. Lei ha messo Gesù Cristo al “centro” della Terra e lo ha fatto trecento anni prima che la nostra civiltà determinassi quale sarebbe stata nei tempi dell’Apocalisse.
- Questa “Geopolitica” della Donna dell’Apocalisse presenta una visione molto diversa da quella che i media diffondono ogni giorno.
 
30 agosto 2008.
 


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Fraternamente CaterinaLD

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25/08/2012 22:51
 
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La Madonna degli indios


Juan Diego, l’umile indio dell’apparizione della Madonna di Guadalupe del 1531, che diede il via a conversioni di massa tra gli indigeni, è a un passo dalla canonizzazione. Si riaccenderanno le polemiche da parte di quelli che non credono che sia mai esistito?


di Lorenzo Cappelletti


Una donna in pellegrinaggio alla Madonna di Guadalupe, il più grande fenomeno di devozione della storia del cristianesimo

Una donna in pellegrinaggio alla Madonna di Guadalupe, il più grande fenomeno di devozione della storia del cristianesimo

L’ultima novità riguardo la causa di canonizzazione dell’indio Juan Diego, il veggente di Guadalupe beatificato da papa Giovanni Paolo II, è che il miracolo a lui attribuito ha superato l’esame scientifico e teologico e presto sarà riconosciuto per decreto pontificio, forse ancora prima della fine di quest’anno in cui ricorre anche il venticinquesimo del nuovo santuario.
Il miracolo accadde il 6 maggio 1990 proprio mentre Giovanni Paolo II stava beatificando Juan Diego. Il giovane messicano Juan José Barragán, che a vent’anni, con una vita già fattasi troppo pesante per lo sfascio della sua famiglia, si era lanciato dal balcone e si era sfasciato il cranio qualche giorno prima, in quel giorno si risvegliò dal coma chiedendo da mangiare. La madre aveva invocato Juan Diego al momento del volo e di nuovo nei giorni successivi, mentre si stavano facendo i preparativi della beatificazione. A conforto di tutti i fedeli, c’è da credere, Juan Diego ascoltò.

L’accertamento del miracolo spianerà semplicemente la strada alla canonizzazione o riaccenderà anche le polemiche che sorsero nel decennio scorso in seguito alla sua beatificazione? Capofila di esse paradossalmente fu l’allora abate di Nostra Signora di Guadalupe Guillermo Schulemburg Prado (cfr. 30Giorni, maggio 1996, pp. 14-15), erede di una tradizione di scetticismo riguardo alla storicità dei fatti di Guadalupe che risale al XIX secolo. Scetticismo oscillante fra il semplice timore di alcuni che l’imponente devozione sia fondata su dati storici dubbi e il giudizio reciso di pura mitologia, da parte di altri, su tutto ciò che concerne Guadalupe. Lo scetticismo di Schulemburg, una via di mezzo fra questi due estremi, in quanto ritiene Guadalupe non più di una devozione mariana fondata su una immagine e leggendari i fatti attribuiti a Juan Diego, fu rafforzato dal fatto che Juan Diego nel 1990 fu dichiarato beato ratificando semplicemente un culto da sempre tributatogli. Anche perché la positio (la raccolta della documentazione in ordine alla attestazione della santità di Juan Diego) non aveva tagliato la testa al toro quanto al dubbio sulla storicità del personaggio.

Per la stima che la Chiesa deve avere della realtà storica, la canonizzazione di un santo che non fu santo perché neppure fu non è auspicabile. In essa entra in gioco il magistero solenne del papa e dunque la Congregazione delle cause dei santi ha provveduto a nominare all’inizio del 1998 una commissione storica che potesse dirimere la questione. A presiederla fu chiamato il comboniano Fidel González Fernández, consultore della medesima Congregazione e professore di Storia della Chiesa presso le Pontificie Università Urbaniana e Gregoriana, che a suo tempo era stato fra i più critici sul metodo storico seguito dagli estensori della positio.

I risultati più significativi del lavoro di tale commissione sono stati raccolti in un voluminoso tomo di oltre cinquecento pagine che, uscito in prima edizione alla fine del 1999 per i tipi della prestigiosa editrice messicana Editorial Porrúa, il mese scorso ha già toccato la quarta edizione. El encuentro de la Virgen de Guadalupe y Juan Diego ha per autori, oltre padre Fidel González Fernández, altri due membri della commissione, José Luis Guerrero Rosado e Eduardo Chávez Sánchez, che da pochi mesi è anche il nuovo postulatore della causa.
Già l’uso nel titolo della categoria “incontro” fa capire in sintesi quale sia il giudizio che emerge dallo studio. Prima di analizzarne le ragioni, ripercorriamo il racconto tramandatoci dalla tradizione che noi abbiamo attestata per iscritto non a partire dal 1649, come vuole la critica antiguadalupana, ma in oltre cento testimonianze anteriori a quella data e in particolare in un testo nella lingua degli indios (Nican Mopohua) che proviene dalla penna di Antonio Valeriano, un colto indio cristiano che lo scrisse fra il 1550 e il 1556, secondo il giudizio di Miguel Léon-Portilla, forse il più importante studioso vivente della lingua náhuatl. Ciò che risale al 1649 è solo la prima completa edizione a stampa del Nican Mopohua.
Ebbene, stando a questo testo, è l’alba di sabato 9 dicembre 1531 quando l’indio cristiano Juan Diego si dirige verso Tlatilolco per seguire la dottrina cristiana.

Arrivato nel bosco di Tepeyac ode a un certo punto un concerto di suoni melodiosi e, una volta terminati questi, una voce che lo chiama nella sua lingua náhuatl. Si dirige incontro a quella voce e gli appare una signora che gli si svela come la sempre Vergine Maria madre di Dio, desiderosa di veder eretto lì un tempio dove poter venire incontro col dono del suo amore, cioè del suo Figlio, alle pene di tutti gli uomini che vivono in quella terra. Perché questo desiderio si realizzi lo invia al vescovo di México Juan de Zumárraga. Il vescovo fa la sua parte, come in tante vicende similari, e non fa nessun conto di quanto gli dice Juan Diego, che quello stesso giorno torna abbattuto a dare questo triste responso alla Vergine chiedendole di inviare un altro al suo posto. Ma la Vergine Maria insiste e così la domenica egli torna alla carica dal vescovo che ora gli chiede un segno. La Vergine gli assicura che glielo avrebbe offerto il lunedì seguente ma nel frattempo uno zio di Juan Diego si era gravemente ammalato e Juan Diego non si può presentare a lei. La Regina del cielo però non solo lo rassicura sulla salute dello zio ma gli promette che sotto la sua protezione neanche a lui niente potrà accadere. Così Juan Diego si dispone a compiere quel che la Vergine gli suggerisce cioè di salire sulla cima del bosco a cogliere dei fiori e non portarli ad altri che al vescovo. In cima al Tepeyac, in pieno inverno, trova in effetti rose e fiori che raccoglie nel suo mantello (tilma) e che, dopo varie peripezie, riesce a portare al vescovo. Ma non appena Juan Diego apre il suo mantello davanti a lui, ecco che esso lascia apparire un’icona della Vergine Maria.

Il Nican Mopohua, suggestivo fra l’altro anche per l’evocazione del Santo Rosario in esso contenuta, è stato scritto, come abbiamo detto, intorno alla metà del XVI secolo. Resta però da spiegare il silenzio durato circa un ventennio sui fatti capitati a Juan Diego. Come mai, in particolare, il vescovo francescano Zumárraga non avrebbe fatto parola di quanto accaduto, quando fra l’altro a lui alcune fonti fanno risalire la costruzione della primitiva cappella?

«Il silenzio dei cronisti mendicanti è il grande argomento di coloro che impugnano la storicità di Guadalupe» (p. 243), scrivono i nostri storici. E onestamente riconoscono nella prefazione (p. XXVI) che anche la loro ricerca di fonti fin qui sconosciute non ha dato l’esito sperato (la documentata crisi della carta che investì in quel tempo il Messico può aver contribuito a rarefarle). Ma giustamente spiegano che il silenzio non costituisce mai argomento né a favore né contro la storicità di un fatto. Di fronte al silenzio si deve procedere inevitabilmente per via ipotetica. Ora, la raccolta e l’approfondimento sistematici delle fonti esistenti – è questo il vero merito del libro – permette loro di interpretare questo “silenzio guadalupano” sostanzialmente col forte sospetto di idolatria che vigeva fra i francescani riguardo a tutto quanto proveniva dal mondo indio. Farne tabula rasa era il loro metodo missionario. Tanto più se la Madonna si presentava a un indio come Vergine di Guadalupe, cioè col nome (di origine araba peraltro) con cui era venerata in un santuario dell’Estremadura, la terra da dove provenivano tanto Cortés quanto i primi missionari. Il sospetto che l’apparizione guadalupana e il suo contorno fosse una costruzione sincretistica inventata a bella posta per permanere nell’idolatria sorgeva spontaneo. Senza dimenticare peraltro la gelosia con cui quei missionari custodivano le loro prerogative di primi evangelizzatori della Nueva España, che li spingeva a opporsi al primo stabilirsi di una gerarchia ordinaria in terra messicana che quelle prerogative avrebbe inevitabilmente scalzato. Cosa di cui fecero le spese il primo successore di Zumárraga, Alonso de Montúfar, e la devozione guadalupana, criticata e “silenziata” perché da questi esplicitamente approvata.

L’antico e il nuovo santuario di Nostra Signora di Guadalupe; sotto, Juan Diego

L’antico e il nuovo santuario di Nostra Signora di Guadalupe; sotto, Juan Diego

Ma ancor prima della volontà di tacitare il fatto, forse il silenzio iniziale intorno ad esso suggerisce semplicemente che agli spagnoli la vicenda di Juan Diego e quell’immagine impressa sulla sua tilma apparvero come una fola. Non parlava la loro lingua. Non era a loro d’altronde che doveva parlare. «Di fronte all’avvenimento guadalupano, ci si aspetterebbe di riscontrare nei primi cronisti religiosi non solo ripetuti riferimenti, ma anche chiare lodi e fervide azioni di grazie. Questa aspettativa nasce da un anacronismo. [...] Nel Messico contemporaneo l’avvenimento guadalupano è qualcosa di così evidente e onnipresente che è difficile pensare non sia stato sempre così [...]. E invece è proprio quel che accadde: fu quasi invisibile agli spagnoli, perché, con tutto che gli indios gli corrisposero convertendosi in massa, nessuno spagnolo in quel momento poté rendersi conto dell’incredibile miracolo che Dio realizzava davanti ai loro occhi attraverso la sua santissima Madre e l’umile di lei messaggero Juan Diego Cuauahtlatoatzin» (p. 267).

Il nome impronunciabile di quell’indio rimanda in effetti a un mondo e a una lingua del tutto estranei agli europei, più del mondo e della lingua arabi, la cui incomprensibilità è diventata proverbiale e attualmente sospetta (ma slavi o tedeschi non lo furono meno a suo tempo, tanto che il “parlare ostrogoto” è rimasto proverbiale quanto il “parlare arabo”). Eppure anche il popolo indio e la sua lingua incomprensibile erano amati da Dio, che vuole che tutti siano salvi e che non permette che né la terra né il mare siano devastati finché tutti i suoi servi di ogni nazione razza popolo e lingua, per parafrasare la Scrittura, non abbiano ricevuto il sigillo del battesimo. È così vero che ogni popolo e lingua hanno diritto di cittadinanza nella Chiesa, che in quegli stessi anni del XVI secolo in cui l’Europa cattolica minava le basi del concetto e della celebrazione dei sacramenti, una stupefacente illustrazione ortodossa di “sacramento” viene proprio dal vocabolo forgiato in quella lingua náhuatl: «Si forgiò il vocabolo etlaceliliztli. Le sue componenti sono il verbo celilia che sta per “ricevere”, “albergare” e gli affissi te, che indica persona e tla che indica cose, oggetti. Per cui Te- tla- celiliztli significa “ricezione di qualcosa” (il segno sacramentale) che è anche “Qualcuno”» (p. 165 nota 39).

Ma l’immagine composta e raccolta della Vergine dal volto meticcio impressa in un mantello di fibra di agave parlava ancor meglio il náuhatl. Fu quell’immagine anzitutto il codice adeguato perché il Vangelo entrasse con facilità nel cuore indio. E l’analisi accurata di quel mantello – che non finisce di sorprendere gli studiosi, vuoi per la sua inspiegabile conservazione, vuoi per la sua colorazione che non si può far risalire ad alcun colorante né minerale né vegetale né animale, vuoi per la ricchezza dei suoi segnali tutti provvidenzialmente confacenti alla mentalità degli indios (cfr. pp. 193-214) – fa emergere fra l’altro che il personaggio alato che sta ai piedi della Vergine non poteva apparire agli occhi degli indios che come una rappresentazione di Juan Diego: l’angelo, cioè l’ambasciatore e messaggero di Santa Maria di Guadalupe, come lo chiamano le fonti.

Dio con un primo miracolo aveva già fatto breccia nel cuore di Juan Diego attraverso la predicazione dei missionari spagnoli, perché a sua volta, attraverso un secondo più clamoroso segno, egli diventasse il tramite per una conversione più agevole del suo popolo. «Il Vangelo risponde e compie i più profondi interrogativi degli uomini di qualsiasi cultura e in qualsiasi tempo, e Dio può concedere a alcuni eletti una grazia eccezionale per accoglierlo, anche attraverso la presentazione la più manchevole. Risulta che ci furono degli indios che così lo ricevettero e uno di questi fu Juan Diego» (p. 161).
Viene in mente la vicenda dell’imperatore Costantino, questo adoratore del sole, la cui clamorosa esperienza (attestata da lui medesimo e registrata da fonti molteplici e attendibili), di un segno adeguato alla sua sensibilità già prossima al cristianesimo, avrebbe spalancato la porta di Cristo alla conversione di interi popoli.

Se non fosse bastata la conversione e la devozione che ormai un intero continente tributa a Nuestra Señora de Guadalupe (il suo santuario è attualmente quello al mondo che conta il maggior afflusso di pellegrini, superiore a quello verso la Basilica vaticana, Lourdes e Fatima messe insieme, si dice) e, fin dall’inizio, anche al suo messaggero, come attestano le ricerche archeologiche sui luoghi guadalupani citate nel volume, ora c’è una ricerca che soddisfa tutti i crismi della metodologia storica e un miracolo scientificamente attestato.
Dovrebbe bastare perché tutti si possano rivolgere con fiducia all’intercessione di Juan Diego Cuauahtlatoatzin, anche senza invocarne necessariamente il cognome.


Fraternamente CaterinaLD

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27/10/2012 15:13
 
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“Figli miei, questo mese sono andato a fare una Romeria a Torreciudad, scalzo, a onorare Nostra Signora. Sono stato anche a Fatima, sempre scalzo, a onorare Nostra Signora con spirito di penitenza. Ora sono venuto in Messico a fare questa novena a Nostra Madre. E credo di poter dire che la amo tanto quanto la amano i messicani”.

Così spiegherà il Fondatore dell’Opus Dei, san Josemaria Escrivà, il motivo principale del suo primo viaggio in America nel 1970. Intorno alle 3 di mattina del 15 maggio, atterra l’aereo che lo porta nella capitale azteca.
“Mi ci sono voluti 21 anni per venire in queste terre”.

Il Padre si riferisce all’anno di arrivo dei suoi figli nel Continente americano. Adesso Dio gli offre l’opportunità di vedere dal vivo come Dio ha benedetto l’Opus Dei.
Il Padre, don Álvaro del Portillo e don Javier Echevarría scendono la scaletta dell’aereo. Sono ricevuti con emozione da un gruppo di persone che vive da molto tempo in questa terra.

Guadalupe non è soltanto un Santuario visitato da quasi 30 milioni di persone all’anno: è la fede di tutto il popolo unito alla Madonna Nera. Il 12 dicembre, commemorazione di una delle apparizioni, è festa nazionale. Dalla vigilia, persone di tutta la Repubblica e messicani che vivono all’estero passano tutta la notte alle porte della Basilica per entrare per primi a salutarla.

Questa devozione si rifà all’anno 1531. Sabato 9 dicembre, prima dell’alba, passava ai piedi del monte Tepeyac un indiano convertito, povero e umile. Era Juan Diego, che andava alla prima Messa nella missione. Improvvisamente sente un canto soave, come quello di uno stormo di uccellini. E guardando la cima vede una nube bianca e luminosa in mezzo all’arcobaleno. Una gioia inesplicabile mette ali ai suoi piedi e si sente chiamato verso la cima del monte. Sale e vede una bellissima Signora la cui presenza illumina le piante, le spine e le pietre. E gli parla nella sua lingua nahuatl:

“Figlio mio, Juan Diego, che amo teneramente come un bambino piccolino, dove vai?”
“A Messa, Signora”.
“Figlio mio caro. Io sono la Sempre Vergine Maria, Madre del vero Dio, e mio desiderio è che mi si elevi un tempio in questo posto, dove come madre tua e dei tuoi simili, mostrerò la mia clemenza amorosa e la compassione che ho degli indigeni e di coloro che mi amano e mi cercano, e di tutti quelli che cercheranno la mia protezione e mi chiameranno nei loro lavori e afflizioni, e dove ascolterò le loro lacrime e suppliche per dare loro consolazione e speranza. Dirai al Vescovo che io ti mando perché mi edifichi un tempio”.

Juan Diego corre al Palazzo del Frate Juan de Zumarraga, primo Vescovo del Messico. Ma ha poca fortuna nella sua ambasciata e ritorna, turbato, a render conto alla Signora. Lei lo incoraggia. Deve insistere. E il Vescovo gli chiede una prova. Deve dimostrargli che ha visto effettivamente qualcosa di soprannaturale. La Madonna gli dà appuntamento per la mattina successiva. Gli darà un segno.

Ma l’alba del 12, martedì, trova Juan Diego che corre per strada scoraggiato alla ricerca di un frate. Suo zio, Juan Bernardino, sta morendo. Non passa neanche per la cima della montagna per non perdere tempo vista l’urgenza del moribondo. E la Madonna gli va incontro lungo la salita:

“Figlio mio, che niente ti affligga. Non ci sono qui io che sono tua Madre? Non sei sotto la mia protezione? Non sono io vita e salute? Non sei nel mio grembo e non stai correndo per conto mio? Hai bisogno di qualcosa? Non temere per tuo zio che è già guarito”.

La Madonna gli chiede che prima di andare a casa del Vescovo salga in cima alla montagna e raccolga le rose che troverà.

Non ci sono mai fiori lassù a dicembre. Ma quel giorno Juan Diego trova un campo fiorito e vi riempie la coperta indiana che gli serve da cappa. Arriva presto dal Vescovo che lo guarda meravigliato: aveva pensato che non sarebbe tornato. E aprendo il mantello, cadono le rose per terra e resta disegnata sulla coperta l’immagine della Madonna di Guadalupe, proprio come oggi si venera in Messico. Sul tessuto brillano i colori e le forme di una bella Signora dai capelli neri, la fronte serena e il colore bruno. Una tunica rosa con il bordo dorato la copre interamente. Il mantello è di color verde acqua. Ha una corona regale e il capo inclinato verso destra, con gli occhi bassi. Tutto il sole del Messico emerge da dietro come se la sostenesse: centoventinove raggi. Un angelo dalle ali spiegate si carica allegramente del lieve peso dell’immagine.

Pittori di grande prestigio verranno chiamati dal Virrey, Marchese di Mancera, e dal Vescovo Zumarraga, a informare sul dipinto. Tra di loro Juan Salguero, Tomás Conrado, López de Avalos, Alonso de Zárate. Tutti affermano l’inspiegabile tessuto e qualità del quadro. Il rovescio del tessuto è molto duro e grossa la trama. Il lato del dipinto si tocca come fosse di seta. I colori e la tecnica rimangono intatti con il trascorrere del tempo. In questo secolo si è cominciato a realizzare uno studio scientifico; tuttavia, il mistero permane alla luce delle conoscenze tecniche e scientifiche di alta precisione. Il saggio Richard Kuhn, premio Nobel della Chimica, ha testimoniato che la policromia della Vergine di Guadalupe non proviene da colori minerali, animali né vegetali.

È stata portata a termine un’analisi più dettagliata con alta tecnologia dai dottori Callaban e Brant, scienziati della NASA, che mediante raggi infrarossi hanno comprovato che il dipinto manca di bozzetto e pennellate. L’immagine è stata dipinta direttamente. E infine il dottor Aste Tonsmann ha riferito con una tecnica di digitalizzazione di immagini fotografiche, la scoperta di figure umane di grandezza infinitesimale nell’iris della Vergine. Figure che compongono una scena paragonabile all’episodio narrato in nahuatl da Antonio Valenciano nel Nican Mopohua del XVI secolo.

Il Padre, all’arrivo in Messico, aveva commentato:
“Quando andrò alla Villa, dovrete portarmi via di lì con una gru”.

E lo stesso ripete all’Arcivescovo, il Cardinal Miranda, quando va a trovarlo. E il Cardinale, che l’aveva invitato molte volte ad attraversare l’Atlantico per venire a trovare la Madonna Guadalupana, risponde sorridendo:
“Non sarò io a chiamare la gru”.

È felice di avere nel suo Paese il fondatore dell’Opera, e mentre lo saluta con un abbraccio, dice:
“Finalmente ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta!”

Sabato 16 maggio, il Padre inizia le sue visite alla Madonna Nera, che si prolungheranno per nove giorni. L’accompagnano don Álvaro del Portillo, don Javier Echevarría e altre tre persone: un piccolo gruppo che si avvicina discretamente alla Basilica. Sono appena suonate le sei del pomeriggio. Il Padre entra in fretta, con la gioventù e l’animo di chi ha, da sempre, un appuntamento desideratissimo e importante. Arriva fino al presbiterio e si inginocchia. Rimarrà lì lungo tempo a pregare, con lo sguardo posto nella Madonna.

Suona un orologio distante con scampanate di metallo. Don Álvaro del Portillo si avvicina al fondatore: “Padre, siamo qui da due ore e siamo circondati da persone dell’Opus Dei”.

Mentre faceva la sua orazione, sono arrivati figlie e figli suoi messicani. La Basilica si è riempita di facce conosciute che pregano per quello che il Padre sta ponendo ai piedi della Madonna.

I giorni successivi occuperà una tribuna in alto, sopra il presbiterio, a destra dell’immagine. Lì passa varie ore con la Signora. Durante i quaranta giorni della sua permanenza in Messico, il Padre vedrà più di ventimila persone di tutta l’America. In una tertulia, qualcuno gli chiede che cosa si può dire a quelli che non si ricordano della Madonna:

“Hai sentito quelle parole del Signore quando, per manifestare il suo affetto, dice: è possibile che una madre si dimentichi dei suoi figli? Anche se questo succedesse, io invece non mi dimenticherò dell’amore che ho per voi. Neanche noi figli ci possiamo scordare della Madre”.

Gli indigeni, per temperamento, sono riservati, silenziosi. Possono seguire con grande interesse una conversazione ma mantenere il silenzio. Con il Padre il comportamento è diverso: i messicani contadini della Valle di Amilpas parlano con lui, ridono, lasciano trapelare la semplicità e l’affetto del loro cuore.

E perché li guarda e comprende l’idioma del loro cuore, si fa carico dei loro problemi umani e sociali, dello stato di povertà della gente della campagna. Traccia dei progetti di vita degni per i contadini della zona di Montefalco; si interessa della formazione che ricevono i nativi in questa grande scuola professionale che ha rappresentato uno sforzo gigantesco; si fa in quattro con le famiglie dei nativi che vengono alle scuole dell’Opus Dei in tutto il Messico.

“Ci preoccupiamo perché miglioriate, che veniate fuori da questa situazione, di modo che non abbiate preoccupazioni economiche… cerchiamo anche di fare in modo che i vostri figli acquisiscano cultura: vedrete come tra tutti ce la faremo, e che quelli che hanno talento e desiderio di studiare, arriveranno molto in alto. E come lo faremo? Come chi fa un favore? No, questo no! Non vi ho detto che tutti siamo uguali?”.

Il 16 giugno si riunisce a Jaltepec, a cinquanta chilometri da Guadalajara, nello Stato di Jalisco, con sacerdoti dell’Opus Dei che lavorano in Messico, e con molti altri che partecipano ai mezzi di formazione dell’Opera. Arriveranno dai punti più diversi, con il desiderio di aver un incontro amabile, prolungato e filiale con il fondatore dell’Opera.

“Sono molto contento in Messico, tra le altre cose perché qui ho trovato un anticlericalismo sano, come quello che sono solito predicare. È anche vero che ce l’avete come frutto di una grande persecuzione alla Chiesa, ma grazie a Dio è ormai passata: voglio dire che saprete sempre mantenere l’equilibrio che avete ora.

Non sono voluto venire senza che lo sapessero le autorità e dai vostri governanti non ho ricevuto altro che attenzioni”.

Converserà con questi sacerdoti dei temi che devono occupare il cuore dei ministri di Cristo: del lavoro tra le anime, della loro dedicazione totale, della loro donazione incondizionata di servizio costante.

“Tutto il nostro cuore è per Cristo e – attraverso Cristo – per tutte le creature, senza particolarismi”.

Parla loro di umiltà: questa virtù rende l’uomo grande nonostante i suoi errori; della vocazione immensa a cui sono stati chiamati da Dio dall’eternità. Dell’aiuto degli uni per gli altri. Di questa fraternità che distingue, inconfondibilmente, i figli di Dio.

“Non siete soli. Nessuno di noi può trovarsi solo. Ancor meno se andiamo da Gesù per Maria, perché è una Madre che non ci abbandonerà mai”.

Passa il tempo, tra domande e risposte rapide, il buonumore del Padre e l’allegria spontanea che produce la sua presenza. Il sole di metà mattina batte forte e scende una lieve nebbia sulle acque della vicina laguna di Chapala.


Il 22 giugno, vigilia del suo ritorno a Roma, il Padre è riunito con un gruppo di figli suoi. Qualcuno prende una chitarra:

“Padre, è un’antica canzone popolare. Dicono che sia troppo sdolcinata, ma a me piace. L’inizio è un po’ lento:
«Quiero cantarte, mujer, mi más bonita canción, porque eres tú mi querer, reina de mi corazón...».

(Voglio cantarti, o donna, la mia più bella canzone, perchè sei tu il mio amore, regina del mio cuore...)

E improvvisamente il Padre si alza in piedi:

“Perché non andiamo tutti alla Villa a cantare questa canzone alla Madonna, per farle la nostra serenata?”

Il consenso è unanime. Alle 8.30 di sera, tutti nella Basilica di Guadalupe.

Mezz’ora prima la chiesa comincia a svuotarsi dei pellegrini. Ma, invece di restare il luogo in una penombra solitaria, oggi si riempie al massimo. Gli incaricati del mariachi arrivano con le loro chitarre e si mettono in un luogo appropriato. La Villa è già stracolma. Arriva il Padre e i custodi chiudono le porte. Ancora una volta, come il primo giorno del suo arrivo, il fondatore si inginocchia ai piedi della Madonna d’America. Poi intona la Salve, che cantano, in coro, le sue figlie e i suoi figli riuniti in questo imprevisto incontro d’addio. Si ferma sul presbiterio, circondato da sacerdoti. Ce ne sono di già anziani e di molto giovani; tutti uniti in un solo affettto. Rompono il silenzio le chitarre:
«Tuyo es mi corazón, oh sol de mi querer».
(Tuo è il mio cuore, o sole del mio amore)

Poi intonano "La Morenita" e proseguono. L’emozione è al culmine, perché c’è lì un pezzettino dell’anima del Messico: si sono riuniti con il Padre tutti quelli che percorrono questo cammino di fedeltà a Cristo che è l’Opus Dei.

All’inizio della terza canzone, il Padre si alza ed esce dalla Basilica, mentre si continua a suonare un’altra canzone alla Madonna: Gracias por haberte conocido!… Poi si fa silenzio. La gente abbandona la navata e si spengono le luci. Le auto ritornano in città mentre cade una fitta pioggia, quasi impercettibile. Si direbbe che anche il cielo messicano non ha retto all’emozione. Il giorno dopo, un aereo porterà Monsignor Escrivá de Balaguer a Roma. Là a Montefalco, insieme alle vecchie mura della chiesa, restano degli alberi che ha piantato prima di partire. Passati gli anni, quando il tempo li avrà fatti crescere, la loro ombra darà pace ai viandanti.
(testo delle canzoni in formato pdf)

Vicino a Jaltepec, il quadro che rappresenta la Guadalupana che offre un fiore all’indiano Juan Diego custodisce una petizione del fondatore:

“Vorrei morire così: guardando La Vergine Santissima e che lei mi donasse un fiore…”

E dopo un po’ di silenzio, aggiunge:

“Sì, mi piacerebbe morire davanti a questo quadro, con la Madonna che mi dà una rosa”.

Tiempo de caminar, Inés SASTRE. Rialp, Madrid 1991


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il Papa ai pellegrini di Guadalupe: non chiudersi in se stessi, la Chiesa sia in stato permanente di missione



La Chiesa sia “in stato permanente di missione”. E’ quanto afferma Papa Francesco in un videomessaggio indirizzato ai partecipanti al pellegrinaggio-incontro promosso al Santuario di Guadalupe in Messico, in corso fino al 19 novembre.
L’evento è promosso dalla Pontificia Commissione per l’America Latina insieme ai Cavalieri di Colombo e all’Istituto Superiore di Studi di Guadalupe. Il Papa sottolinea che l’attività pastorale deve essere rivolta a tutti, senza imporre obblighi e rimproveri, e mette in guardia dal clericalismo che è un ostacolo allo sviluppo della responsabilità cristiana del laicato. Il servizio di Alessandro GisottiRealAudioMP3 


La Chiesa sia “in stato permanente di missione” così che “tutta l’attività abituale delle Chiese particolari abbia un carattere missionario”. E’ l’esortazione di Papa Francesco ai pellegrini riuniti al Santuario di Guadalupe per un incontro sulla nuova evangelizzazione nel Continente latinoamericano. Il Papa sottolinea che “l’uscita missionaria, più che un’attività tra altre è un paradigma” di “tutta l’azione pastorale”. E osserva che “l’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante” che “suppone un uscire da se stessi, un camminare e seminare sempre di nuovo, sempre più in là”:

“Es vital para la Iglesia no encerrarse…”
“E’ vitale per la Chiesa non chiudersi – avverte – non sentirsi già soddisfatta e sicura con quel che ha raggiunto”. Se succede questo, rileva, “la Chiesa si ammala” di “abbondanza immaginaria, di abbondanza superflua, in certo modo fa indigestione e si debilita”. E’ necessario, esorta, “uscire dalla propria comunità e avere l’audacia di arrivare alle periferie esistenziali che hanno bisogno di sentire la vicinanza di Dio”. Il Signore, afferma, “non abbandona nessuno e mostra sempre la Sua tenerezza e la Sua misericordia inesauribile, quindi, questo è ciò che bisogna portare a tutta la gente”. L’obiettivo di tutta l’attività pastorale, riafferma, è sempre essere orientato “dall’impulso missionario di arrivare a tutti, senza escludere nessuno e tenendo in gran considerazione le circostanze di ognuno”:

“No se trata de ir como quién impone una nueva obligacion…”
“Non si tratta – spiega – di andare come chi impone un nuovo obbligo, come chi si limita al rimprovero o al lamento dinanzi a quel che si considera imperfetto o insufficiente”. Il compito evangelizzatore, ribadisce, “esige molta pazienza”, “cura il grano e non perde la pace per la presenza della zizzania”. E sa anche, soggiunge, “presentare il messaggio cristiano in maniera serena e graduale, con il profumo del Vangelo, come faceva il Signore”. Bisogna “privilegiare, in primo luogo, l’essenziale e più necessario, cioè la bellezza dell’amore di Dio”. D’altra parte, sottolinea il video-messaggio, bisogna sforzarsi di essere creativi nei metodi.  
“Non possiamo – è il suo monito – rimanere rinchiusi nel luogo comune delsi è fatto sempre così”. Il Papa rivolge dunque il pensiero al vescovo che “conduce la pastorale nella Chiesa” e lo fa “come il pastore che conosce per nome le sue pecore, le guida con vicinanza, con tenerezza, con pazienza, manifestando effettivamente la maternità della Chiesa e la misericordia di Dio”. 


“La actitud del verdadero pastor no es la del principe…”
“L’atteggiamento del vero pastore – afferma – non è quello del principe o del mero funzionario attento principalmente alla disciplina, alle regole, ai meccanismi organizzativi”. Questo, è il richiamo del Papa, “porta sempre ad una pastorale distante dalla gente, incapace di favorire ed ottenere l’incontro con Cristo e l’incontro con i fratelli”. Il popolo di Dio a lui affidato, ribadisce, “ha bisogno che il Vescovo vegli per lui, prendendosi cura soprattutto di quello che lo mantiene unito e promuove la speranza nei cuori”. Ha bisogno che “il vescovo sappia discernere, senza spegnerlo, il soffio dello Spirito Santo che viene da dove vuole, per il bene della Chiesa e la sua missione nel mondo”. Papa Francesco si sofferma dunque sulla “tentazione del clericalismo”, che, osserva, “tanto danno fa alla Chiesa in America Latina” ed “è un ostacolo per lo sviluppo della maturità e della responsabilità cristiana di buona parte del laicato”: 

“El clericalismo entraña una postura auto-referencial…”
“Il clericalismo – constata – implica un atteggiamento autoreferenziale, un atteggiamento di gruppo, che impoverisce la proiezione verso l’incontro del Signore, che ci fa discepoli, e verso gli uomini che aspettano l’annuncio”. Perciò, aggiunge, “credo che sia importante, urgente, formare ministri capaci di prossimità, di incontro, che sappiano infiammare il cuore della gente, camminare con loro, entrare in dialogo con le sue speranze ed i suoi timori”. Questo, avverte, è un lavoro che i vescovi “non possono delegare”. Inoltre, prosegue, “una formazione di qualità richiede strutture solide e durature che preparino ad affrontare le sfide dei nostri giorni”. Del resto, annota, “la cultura di oggi esige una formazione seria, bene organizzata”. Io mi chiedo, è l’interrogativo che pone il Papa, “se abbiamo la capacità autocritica sufficiente per valutare i risultati di seminari molto piccoli, con carenza di personale formativo sufficiente”. Il Papa dedica la parte finale del video-messaggio alla vita consacrata che, annota, “è un fermento” di quello che “vuole il Signore, un fermento che fa crescere la Chiesa”. Dal Papa l’invito ad andare avanti con “fedeltà creativa al carisma ricevuto per servire la Chiesa”. E conclude, ricordando Benedetto XVI, che “ogni discepolo è a sua volta, missionario”, “sono le due facce della stessa medaglia”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/11/16/il_papa_ai_pellegrini_di_guadalupe:_non_chiudersi_in_se_stessi,_la/it1-747204 
del sito Radio Vaticana 



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12/12/2014 15:22
 
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  La Vergine, il Serpente piumato e il mantello. Simboli e misteri a Guadalupe


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Il 12 di Dicembre è la ricorrenza dell’Apparizione della Virgen de Guadalupe all’indio azteco Juan Diego: una vicenda che, al di là dell’aspetto devozionale, sembra offrire non solo incredibili conferme scientificamente verificabili, ma mette in luce soprattutto un’enigmatica vicenda intessuta di simboli, presagi, profezie e segni che sembrerebbe uscita da un racconto mitico. Con sullo sfondo, l’incontro-scontro fecondo ma spietato tra il mondo europeo dei conquistadores e l’arcaico universo simbolico degli Aztechi.

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Gianluca Marlettadi Gianluca Marletta

La vicenda che stiamo per raccontare potrebbe sembrare la trama di uno di quei romanzi “misteriosi” oggi così alla moda: si narra infatti del mitico sovrano di un leggendario regno posto nell’incerto “tempo del mito”, di un “dio” enigmatico, di una profezia apparentemente realizzatasi, di un’apparizione e di unsegno miracoloso concretissimo che ancora oggi sembrerebbe concedersi ai nostri occhi –in barba ad ogni secolarismo e scetticismo- e di nomi di luoghi, di persone e di “divinità” che, già di per se, sembrerebbero nascondere misteriosi presagi.

L’unica differenza tra questa vicenda e quelle romanzate in certi libri e che qui non siamo nel mezzo di una trama inventata, ma in una storia vera: una vicenda misteriosa fatta di segni e di simboli che sfidano la nostra intelligenza e anche, in quanto cristiani, la fede che affermiamo di confessare; una vicenda che, al tempo stesso, si sposa indissolubilmente con la storia cosiddetta “ufficiale”, quella narrata sui libri di scuola e di cui gli studiosi credono spesso di conoscere così bene cause e dinamiche.

 Tra leggende nere e attese messianiche

 Tenochtitlàn, la capitale degli Aztechi, come doveva apparire agli occhi dei Conquistadores di Hernan Cortèz Murales di Diego de Rivera.


Tenochtitlàn, la capitale degli Aztechi, come doveva apparire agli occhi dei Conquistadores di Hernan Cortèz Murales di Diego de Rivera.

Lo scenario della vicenda è quello della Conquista e dell’Evangelizzazione delle Americhe, e in particolar modo di quel centro culturale e spirituale del Nuovo Mondo che fu, per secoli, il Messico.

La Conquista del Messico da parte degli spagnoli è uno di quegli eventi che ancora oggi suscitano opinioni violentemente discordi: da una parte, infatti, a iniziare da quella “Leggenda Nera” anticattolica nata nell’Inghilterra protestante[1] e ripresa dall’Illuminismo, si afferma che l’impresa sarebbe stata, essenzialmente, un infame massacro; dall’altra, una certa apologetica cattolica di stampo tradizionalista presenta questo evento come un’avventura gloriosa, una liberazione degli stessi indigeni dal giogo dell’idolatria e dalla pratica terrificante dei sacrifici umani, praticati su larghissima scala soprattutto dagli Aztechi. Queste posizioni unilaterali, tuttavia, oltre a non rendere giustizia alla verità storica, non sembrano poter cogliere, nella loro prospettiva polemica e un po’ banale, quell’aspetto realmente “misterioso”, nel senso proprio e originario del termine- che la vicenda sembra possedere.

Cortes. A capo dei Conquistatori spagnoli.

Cortez. A capo dei Conquistatori spagnoli.

La Conquista di quello che è oggi il Messico ha inizio nell’anno 1519 –nello stesso periodo in cui, dall’altra parte dell’oceano, un oscuro monaco tedesco di nome Màrtin Luther stava gettando le basi per la più drammatica divisione che il mondo cristiano abbia mai conosciuto. I conquistadores, qualche centinaio di avventurieri partiti dalla Spagna e dalla vicina Cuba, erano guidati da un hidalgo di nome Hernan Cortez: uomo animato da un profondo spirito cavalleresco e da un coraggio contagioso, ma anche, all’occorrenza, cinico e spietato quanto basta per imbarcarsi in un’avventura all’apparenza folle.

All’incredibile successo di Cortez e dei suoi –che in tre anni conquistarono un impero azteco che contava più di 8 milioni di abitanti- contribuirono naturalmente vari fattori: oltre alla superiorità tecnologica data dalle armi d’acciaio e dai cannoni, è dimostrato che numerose popolazioni indie preferirono schierarsi con gli Spagnoli, piuttosto che rimanere sotto il potere degli Aztechi, che utilizzavano i popoli sottoposti come “terreno di caccia” per gli innumerevoli sacrifici umani richiesti dalle loro sanguinarie divinità[2]. Ma c’è dell’altro. I cronisti dell’epoca, infatti, testimoniano come il mondo messicano alla vigilia della Conquista fosse attraversato da un’attesa che potremmo definire “messianica”: un’attesa in buona parte collegata alla profezia del ritorno del re-dio Ce Acatl Quetzalcoatl.

Ma chi era Quetzalcoatl?

 Simbolo di Quetzalcoatl il re dio dell'antico Messico che aveva vietato i sacrifici umani e che aveva promesso di ritornare


Simbolo di Quetzalcoatl, il re dio dell’antico Messico che aveva vietato i sacrifici umani e che aveva promesso di ritornare

Nella mitologia azteca e mesoamericana, Quetzalcoatl è una figura divina di importanza fondamentale: il suo nome, che può essere tradotto come Serpente Piumato[3], indica il concetto di unione fra cielo e terra, fra spirito e materia, fra umano e divino. Unica divinità del pantheon pre-ispanico a non richiedere sacrifici umani, era ricordato dagli indigeni per aver donato agli uomini il calendario e la coltivazione del mais. Una delle leggende sulla sua nascita, racconta di come la dea Coatlicue[4], personificazione della natura madre e dell’aspetto femminile della Divinità, abbia concepito verginalmente il dio grazie ad un frammento di giada che l’avrebbe ingravidata.

Il mito di Quetzalcoatl, peraltro, si confonde –spesso fino a sovrapporsi- con quello di un personaggio semi-storico che porta lo stesso nome: il 10° re dei Toltechi[5]Ce Acatl Quetzalcoatl, che sarebbe vissuto verso il X secolo della nostra era (Ce Acatl, ossia “1 canna” era l’anno di nascita del re, secondo il calendario preispanico). L’antico sovrano era ricordato dagli Aztechi come il protagonista di una vera e propria età dell’oro: mecenate delle arti, benefattore del suo popolo, riformatore religioso (avrebbe abolito i sacrifici umani, sostituendoli con offerte di tortillas di mais), curiosamente descritto in alcune tradizioni come “chiaro di pelle”[6], Ce Acatl sarebbe caduto in disgrazia agli occhi della casta sacerdotale conservatrice (rappresentata nel mito dal dio infero Tezcatlipoca, Specchio Fumante), che lo avrebbe costretto ad abbandonare il trono. Accusato di aver sedotto una sacerdotessa, Quetzalcoatl sarebbe fuggito e, secondo alcune versioni della leggenda, si sarebbe imbarcato sulle sponde del Golfo del Messico vicino all’attuale Veracruz, promettendo però di tornare proprio nell’anno Ce Acatl corrispondente a quello della sua nascita. Ora, essendo il calendario azteco costituito da cicli di 52 anni, l’anno Ce Acatl finiva per ricadere ad ogni inizio ciclo: così, ad esempio, la fatidica data poteva cadere nell’anno 1414, nel 1467, ma …anche nel 1519!

 La realizzazione delle attese? Non proprio…

Il frate Toribio. Aveva provato a fare "inculturazione" ma senza grandi risultati.

Il frate Toribio. Aveva provato a fare “inculturazione” ma senza grandi risultati.

Proprio in quest’ultima data, su quella stessa costa del Golfo da cui il mitico re sarebbe partito, giunsero gli Spagnoli di Cortez: strani esseri dalla “pelle chiara” come il re-dio, portatori di una fede nuova, che gli Aztechi non poterono non scambiare, almeno inizialmente, per il loro sovrano ritornato dall’oceano orientale… D’altronde, furono gli stessi messicani, incerti sull’identità dei nuovi arrivati da loro chiamati teules[7], a riempiere di doni preziosi e a condurre i futuri dominatori fin dentro la loro capitale, la favolosa Tenochtitlan[8]. La coincidenza tra questa profezia e la data dell’arrivo di Cortez, d’altro canto, colpì profondamente non solo gli Aztechi, ma gli stessi conquistatori spagnoli, che la interpretarono da subito come un “segno provvidenziale”. Questa è però solo una delle enigmatiche coincidenze di questa “storia nascosta” eppure reale che stiamo raccontando.

Juan Diego, l'indio azteco da poco battezzato, raffigurato al momento dell'apparizione sul monte Tepeyac.

Juan Diego, l’indio azteco da poco battezzato, raffigurato al momento dell’apparizione sul monte Tepeyac.

Gli Aztechi non ci misero molto a capire che i nuovi arrivati non erano divinità venute a riportare l’età dell’oro: la Conquista, in effetti, fu contraddistinta da episodi brutali, a cui fece seguito un periodo ancor più drammatico, in cui l’universo indigeno entrò in una crisi terribile, non solo a causa del metodo di governo dei nuovi padroni o delle malattie importate dall’Europa, ma soprattutto come conseguenza del crollo di un’intera visione del mondo. Un intero popolo, infatti, aveva perso, con la sconfitta, anche il senso della sua esistenza in questo mondo, senza aver avuto il tempo e il modo di acquisire i modelli culturali dei colonizzatori; e le conseguenze, come testimoniano i documenti dell’epoca, furono drammatiche oltre l’immaginabile[9]. Le stesse conversioni al Cristianesimo, nei primi anni, furono pochissime, nonostante la presenza in Messico di uomini di grande carità e di nobile apertura mentale come il frate francescano Toribio de Benavente: uno dei primi europei a rivolgersi con inedito rispetto aciò che c’era di valido nella cultura dei popoli indios; proponendo, tra l’altro, una (forse) ingenua ma significativa identificazione tra Ce Acatl Quetzalcoatl, il “re dalla pelle chiara” nemico dei sacrifici umani, e la figura dell’apostolo missionario San Tommaso.

Juan Diego, l’Aquila parlante

L'immagine nella pupilla della Virgen. La presenza di queste immagini negli occhi è, innanzi tutto, la conferma definitiva dell'origine prodigiosa dell'icona guadalupana: è materialmente impossibile dipingere tutte queste figure in cerchietti di circa 8 millimetri di diametro, quali sono le iridi della Madonna di Guadalupe, e per di più nell'assoluto rispetto di leggi ottiche totalmente ignote nel secolo XVI. Inoltre, la scena del vescovado come appare negli occhi della Vergine pone un altro problema: essa non è quella che poteva essere vista dalla supeficie della tilma, dato che vi compare Juan Diego con la tilma dispiegata davanti al vescovo. A questo proposito José Aste Tonsmann avanza l'ipotesi che la Madonna fosse presente, sebbene invisibile, al fatto, e abbia "proiettata" sulla tilma la propria immagine, avente negli occhi il riflesso di ciò che stava vedendo.

L’immagine nella pupilla della Virgen.
La presenza di queste immagini negli occhi è, innanzi tutto, la conferma definitiva dell’origine prodigiosa dell’icona guadalupana: è materialmente impossibile dipingere tutte queste figure in cerchietti di circa 8 millimetri di diametro, quali sono le iridi della Madonna di Guadalupe, e per di più nell’assoluto rispetto di leggi ottiche totalmente ignote nel secolo XVI. Inoltre, la scena del vescovado come appare negli occhi della Vergine pone un altro problema: essa non è quella che poteva essere vista dalla supeficie della tilma, dato che vi compare Juan Diego con la tilma dispiegata davanti al vescovo. A questo proposito José Aste Tonsmann avanza l’ipotesi che la Madonna fosse presente, sebbene invisibile, al fatto, e abbia “proiettata” sulla tilma la propria immagine, avente negli occhi il riflesso di ciò che stava vedendo.

Gli sforzi umani dei missionari, tuttavia, non ebbero inizialmente grande successo, e per anni la fede di Cristo rimase essenzialmente la “religione dei vincitori”, che ben poca attrazione esercitava sulle masse disperate dei figli degli sconfitti. Tutto questo fino all’anno 1531, quando ancora una volta la nostra storia si sposa col mistero. Protagonista dell’evento che porterà all’entusiastica adesione degli sconfitti alla fede cristiana fu un uomo di origine indigena -uno dei pochi convertiti- di nome Cuauhatlatoa (Aquila Parlante), battezzato con il nome di Juan (Giovanni) Diego per analogia tra il suo nome azteco e il simbolo dell’evangelista Giovanni, che è appunto un’aquila.

Fu a quest’uomo che (un altro “segno”?[10]) aveva ricevuto in nome quello del Discepolo Prediletto –lo stesso a cui Gesù, dalla croce, aveva affidato la Madre- che fu donata la grazia straordinaria di essere strumento di un evento unico, di una vera e propria teofania che avrebbe cambiato per sempre la storia di un intero continente. Il giorno del solstizio d’inverno del 1531, infatti, toccò a Juan Diego passare per la collina di Tepeyac –vicino Città del Messico- ed assistere all’apparizione di una “Signora” dolcissima che si presenterà contemporaneamente come la Vergine Maria e la Inninantzin huelneli (Madre dell’Antico Dio) o anche, come riportano le tradizioni più antiche, “Madre misericordiosa tua e di tutti coloro che abitano questa terra”[11]. Per volere della divina Signora, Juan Diego comunicò al vescovo Juan de Zumàrraga l’avvenuta apparizione ma, al momento di aprire davanti all’ecclesiastico il suo rozzo mantello di fibra d’agave, apparve una figura di straordinaria bellezza rappresentante la Signora dell’apparizione.

Dopo la Sindone c’è lei: la Signora di Guadalupe

La Tilma (mantello di fibra dagave) di Guadalupe, Città del Messico, Santuario.

La Tilma (mantello di fibra dagave) di Guadalupe, Città del Messico, Santuario.

Questa figura, conosciuta come laMadonna di Guadalupe, è ancora oggi una delle reliquie più affascinanti ed inspiegabili della cristianità, seconda solo alla Sindone per importanza e per il numero di studi scientifici a cui è stata sottoposta.

Ed é particolarmente significativo, per altro, constatare come i primi “scettici” a mettere in dubbio l’origine sovrannaturale dell’immagine del Tepeyac fossero proprio i membri di quel clero ispanico giunto in Messico con lo scopo di “evangelizzare” gli indigeni. Già nel 1556, infatti, è il padre provinciale dei Francescani del Messico, Francisco Bustamante, a negare per primo l’origine miracolosa dell’immagine, affermando addirittura che il presunto “dipinto” sarebbe stato opera di un pittore indigeno di nome Marcos Cipac. E’ questo, se vogliamo, l’atto iniziale di un confronto che opporrà, in modo strisciante, da una parte l’entusiasmo popolare, convinto che l’immagine della Morenita[12] sia una prova concreta dell’avvenuta teofania; dall’altra, la cultura razionalista di origine europea, che vorrà –dal canto suo legittimamente- verificare con ogni mezzo possibile la presunta origine “prodigiosa” della sacra icona.

La prima “ricognizione” sulla Tilma la si ha nel 1666; stessa indagine verrà poi ripetuta nel 1752 e nel 1785, quando gruppi di studiosi e di pittori cercarono di riprodurre un’immagine quanto più possibile fedele all’originale, constatando l’assoluta impossibilità di eseguire, su un tessuto così grossolano come quello d’agave, i particolari raffinatissimi presenti nell’originale. La cosa che più colpirà questi primi studiosi, sarà però soprattutto il grado di conservazione della secolare Tilma, la quale già da allora sembrava ignorareinspiegabilmente gli effetti dell’inclemente clima caldo-umido del Tepeyac. Basti pensare che una copia dell’Immagine, realizzata dal pittore Rafael Gutiérrez nel 1782 sempre su tela d’agave, ed esposta nel santuario del Tepeyac, dovrà essere rimossa solo 11 anni dopo perché quasi del tutto rovinata dall’azione combinata dell’umidità e degli agenti biologici disgreganti. Quest’incredibile capacità di “rimanere illesa” a qualsiasi offesa –sia essa portata dalla natura o dall’uomo- rimarrà peraltro una costante di tutta la storia dellaTilma, che dovrà sopportare, tra l’altro, anche un attentato dinamitardo[13] e un incidente causato da un’involontaria caduta di acido nitrico sul tessuto[14] ad opera di due disattenti operai.

 E la scienza deve inchinarsi

Particolare degli occhi dell'immagine di Guadalupe che, secondo alcuni studi, conterrebbero alcune figure che sarebbero rimaste misteriosamente impresse nella pupilla..

Particolare degli occhi dell’immagine di Guadalupe che, secondo alcuni studi, conterrebbero alcune figure che sarebbero rimaste misteriosamente impresse nella pupilla.

E’ nel XX secolo, tuttavia, che l’indagine scientifica sulla Tilmasembra dare i risultati più sorprendenti. Il primo scienziato contemporaneo ad occuparsi dell’Immagine sarà, nel 1936, il Prof. Richard Kuhn –premio Nobel per la chimica nel 1938- che analizzando due fili colorati presi dalla Tilma –uno giallo e uno rosso- dovrà constatare l’assoluta assenza di pigmenti artificiali rilevabili. L’indagine più accurata sull’Immagine di Guadalupe, rimane tuttavia quella del fotografo e tecnico di pittura Philip Serna Callahan e del Masters of Artdell’Università di Miami, Prof. Jody Brant Smith, che nel 1979 scattarono decine di foto all’infrarosso dell’immagine del Tepeyac, nel tentativo di scoprire eventuali pigmenti d’origine artificiale. I risultati di questa ricerca saranno sorprendenti: perché, se si eccettuano alcune parti periferiche dell’Immagine (come le ali e i capelli dell’angelo che si trova ai piedi della Signora, i raggi dorati che ne circondano la testa, l’immagine della luna ai piedi e altri piccoli particolari, dovuti a discutibili interventi “estetici” motivati forse da eccessi di devozione), l’origine della figura sembrerebbe del tutto “inspiegabile” e non presenterebbe tracce di tinture conosciute all’epoca. Inoltre, nelle foto all’infrarosso, emergono sorprendentemente dei particolari delle pieghe dell’abito e della morbidezza del volto che difficilmente risultano visibili ad una ricognizione ad occhio nudo o su normali foto: ennesima rivelazione di quello che sembra essere un mistero inesauribile.

Ecco la scena - qui dipinta in un quadro - che con molta probabilità è impressa negli occhi della Morenita.

Ecco la scena – qui dipinta in un quadro – che con molta probabilità è impressa negli occhi della Morenita.

La più straordinaria delle scoperte scientifiche legate all’indagine sull’Immagine guadalupana, tuttavia, sarebbe quella resa pubblica sempre nel 1979 dall’ingegnere elettronico di origine peruviana José Aste Tonsmann, dell’americana Cornell University, che utilizzando il metodo dell’elaborazione elettronica mediante computer, basato sulla scomposizione di una figura in “punti” luminosi e sulla “traduzione” della luminosità di ciascun punto nel “codice binario” del calcolatore –metodo utilizzato, fra l’altro, per la “decifrazione” delle immagini inviate sulla terra dalle sonde spaziali- è riuscito a ingrandire le iridi degli occhi della Vergine fino a 2500 volte le loro dimensioni originarie, mettendo in luce la straordinaria presenza di “figure umane” che comparirebbero all’interno della pupilla della Vergine, rispettando alla perfezione le leggi di Purkinje sulla rifrazione ottica delle immagini all’interno della cornea[15]. La scena scoperta dal Tonsmann, in realtà, sembrerebbe quasi presentarsi come “un’istantanea”, come una “foto” ante litteram riproducente, con ogni probabilità, il momento in cui Juàn Diego mostrò il mantello al Vescovo Juàn de Zumàrraga: apparirebbero, infatti, nell’ordine, la figura di un uomo con la barba e i lineamenti europei (il Vescovo?), un uomo dai lineamenti marcatamente indigeni (Juàn Diego?) e altre figure.

Il linguaggio misterioso del “Fiume Nascosto”

Un dipinto sulla Morenita. Grandissima  la devozione per la Vergine di Guadalupe.

Un dipinto sulla Morenita. Grandissima la devozione per la Vergine di Guadalupe.

Se grande è lo sbalordimento che il manto di Guadalupe sa ancor oggi trasmettere agli studiosi come ai semplici fedeli, ben più grande, tuttavia, fu la vera “rivoluzione” che questo miracoloso segno suscitò nell’animo morente del popolo indio. Altri messaggi, infatti, altri “segni” erano contenuti in quel povero tessuto d’agave: segni che nessun computer può aiutare a decifrare –e che anche gli Spagnoli dell’epoca ignorarono- ma che si impressero a fuoco nell’anima dei figli degli sconfitti, trasformando il loro destino. Sono segni, questi, che appartengono a l’altra storia, la storia nascosta e sotterranea che stiamo seguendo, ma che parlano un linguaggio fin troppo chiaro per chi, come gli Indios, era abituato a vivere in un universo di simboli.

Innanzitutto il luogo dell’evento. La collina del Tepeyac, infatti, era sacra da tempo immemorabile alla dea Coatlicue, la madre terra generosa ma terribile che per i popoli del Mesoamerica rappresentava il femminino sacro in tutte le sue forme; la stessa dea da cui era nato verginalmente il dio Quetzalcoatl. Lo stesso nome “Madonna di Guadalupe”, che indicava un’immagine molto venerata nella Spagna medievale, fu forse scelto proprio per la sua assonanza con il nome dell’antica Madre Divina azteca.

Particolare del mantello

Particolare del mantello

E’ sul mantello stesso, tuttavia, che il linguaggio simbolico assume un significato senza pari, precluso come abbiamo detto agli occupanti spagnoli, ma ben comprensibile da una civiltà geroglifica come quella degli Aztechi: un “linguaggio di segni” come quello che andiamo via via scoprendo dietro tutta questa vicenda. Sul manto della Signora, infatti, compare una complessa mappa di stelle che, secondo i più recenti studi, rappresenta proprio l’aspetto del cielo visibile dal Tepeyac durante il Solstizio d’inverno del 1531: ivi appare lacostellazione della Vergine in primo piano proprio all’altezza delle mani della Vergine. Ma il concetto più alto e contemporaneamente più chiaro è espresso da un piccolo geroglifico, ilNahui Ollin, posto all’altezza del ventre: si tratta di un piccolo fiore a quattro petali, che nell’antica scrittura pittografica designava il Centro del Mondo o la Divinità più antica: il significato che un indio poteva dunque percepire era, inequivocabilmente, quello di una Madre che …sta per partorire la Divinità.

Il Mantello di Guadalupe è dunque un perfetto esempio di “incontro spirituale” fra due culture così distanti nell’unica maniera in cui tale incontro risulta possibile: il piano eterno dei simboli. Da questo punto di vista, l’evento di Guadalupe appare alla stregua della “foce” di un lungo percorso sotterraneo che, leggendo i simboli, sembrerebbe attraversare come un fiume carsico il cuore di una cultura pur così diversa dalla nostra. Un incontro non umano ma, se si crede all’evento del Tepeyac, direttamente divino, in un’epoca storica in cui era molto di là da venire certo “ecumenismo” contemporaneo e troppo lontane nel passato le riflessioni patristiche sui “Semi del Verbo”. Una storia nascosta eppure reale che forse, quale ultimo “segno”, anche il nome “Guadalupe” sembra voler suggellare: un nome di antica origine araba, come molti nella topografia della penisola iberica, ma dal significato molto evocativo …Fiume Nascosto.

Note

 


[1] E’ paradossale che questa “leggenda nera” sia nata proprio in quel mondo anglosassone che, contemporaneamente,  sterminava gli irlandesi e ripuliva con puritana determinazione il Nord America dalle popolazioni native “pagane”.

[2] Il sacrifico umano era giustificato presso tutti i popoli mesoamericani come una “riparazione” o “penitenza” (nextlahualli ), in ricordo del “Sacrificio Primordiale” attraverso il quale gli dei avevano dato vita all’universo. Presso gli Aztechi, tuttavia, questa pratica raggiunse dimensioni davvero senza precedenti: si è calcolato che dalle 5.000 alle 20.000 vittime umane venissero sacrificate ogni anno e ogni divinità richiedeva un differente supplizio (estirpazione del cuore, scuoiamento, affogamento, rogo, ecc.)

[3] Letteralmente il Serpente (coatl) Quetzal. Il Quetzal è un meraviglioso uccello della foresta le cui piume verdi veniva spesso utilizzate per confezionare splendidi abiti destinati prevalentemente ai Sovrani.

[4] La Dea Coatlicue, letteralmente Gonna di Serpenti (i serpenti simboleggiano qui le forze primordiali della natura), non mancava, come tutte le divinità azteche, di un aspetto terrificante: le immagini della dea la raffiguravano con una cintura di mani umane mozzate (qualcosa di analogo alla dea Kali degli indù).

[5] I Toltechi erano una popolazione che aveva preceduto gli Aztechi nella Valle del Messico: l’apogeo del loro regno dovrebbe cadere verso il X e XI sec. D.C.

[6] Questo particolare della “pelle chiara” attribuita al re Quetzalcoatl nelle leggende ha dato origine ad una ridda di interpretazioni –dalle più interessanti e plausibili, alle più fantastiche. C’è chi di volta in volta ha visto, in questo personaggio, un monaco irlandese giunto in Messico prima dell’anno 1000, un prete scandinavo, un cavaliere templare o persino, come immaginarono i primi missionari francescani, un apostolo di Gesù (in particolare San Tommaso). Il mistero rimane, anche perché la leggenda degli “dei bianchi venuti da lontano”  è presente anche in altre culture pre-colombiane, come i Maya, gli Incas, ecc.

[7] Secondo Bernal Diaz del Castìllo, soldato di Cortèz e autore della più completa cronaca della Conquista, era questo il nome che i Mexica (cioè gli Aztechi) attribuivano agli Spagnoli (evidente correzione del termine nahuatl teotl, che vuol dire divinità).

[8] Sulle cui rovine è sorta Città del Messico.

[9] “Molti Indios si impiccarono, altri si lasciarono morire di fame, altri si avvelenarono con erbe, alcune madri uccisero i loro bambini” (cit. in V. Elizondo, Guadalupe, madre della nuova creazione, Assisi 2000, p. 55).

[10] A titolo di curiosità, ricordiamo che le più antiche fonti raccontano che la città di provenienza di Juàn Diego era Cuauhtitlàn, nota nel mondo azteco come sede dei guerrieri dell’Ordine dell’Aquila (cfr. A.F.Castanares, Vida del Beato Juan Diego, in Historica, n° 2, Giugno 1991).

[11] Cit. in AA.VV., La Madonna di Guadalupe. Dono di Dio o dipinto d’uomo?, Cinisello Balsamo (Mi), 2000, p. 2

[12] E’ il nome affettuoso con cui l’immagine di Guadalupe è conosciuta nell’intera America Latina: il nomignolo è dovuto al colorito “meticcio” della Vergine, la quale si presenta con tratti razziali misti europei-indigeni.

[13] Nel 1921, durante la feroce persecuzione contro i Cattolici in Messico, l’immagine fu fatta oggetto di un attentato dinamitardo dalla quale rimase illesa perché un grosso crocefisso di metallo “assorbì” l’onda d’urto dell’esplosione.

[14] Nel 1836, durante una ripulitura della teca, alcuni operai versarono inavvertitamente acido nitrico sul tessuto: anche in questo caso, il secolare e fragilissimo mantello, invece di sfilacciarsi rimase illeso.

[15] Il testo più ricco di informazioni su questa straordinaria scoperta, tra quelli tradotti in italiano, è sicuramente: C. Perfetti, Guadalupe. La tilma della Morenita (Messico 1931), Cinisello Balsamo (Milano) 1988.



   



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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12/12/2014 20:54
 
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CELEBRAZIONE EUCARISTICA 
NELLA FESTIVITÀ DI NOSTRA SIGNORA DI GUADALUPE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana 
Venerdì, 12 dicembre 2014

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la rosa d'oro dei Papi per la Vergine di Guadalupe




 

“Ti lodino, Signore, tutti i popoli. 
Abbi pietà di noi e donaci la tua benedizione. 
Rivolgi, Signore, i tuoi occhi verso di noi.
Conosca la terra la tua bontà e i popoli la tua salvezza.
Le nazioni con giubilo ti cantino, 
perché giudichi il mondo con giustizia” (cfr Sal 66).

La preghiera del salmista, di  supplica di perdono e di benedizione dei popoli e delle nazioni e, allo stesso tempo, di lode gioiosa, aiuta ad esprimere il senso spirituale di questa celebrazione. Sono i popoli e le nazioni della nostra grande Patria latinoamericana quelli che oggi commemorano con gratitudine e gioia la festività della loro Patrona, Nostra Signora di Guadalupe, la cui devozione si estende dall’Alaska fino alla Patagonia. E dall’Arcangelo Gabriele e santa Elisabetta fino a noi, si innalza la nostra preghiera filiale: “Ave, Maria, piena di grazia, il Signore è con te…” (Lc 1,28).

In questa festività di Nostra Signora di Guadalupe, facciamo prima di tutto grata memoria della sua visita e vicinanza materna; cantiamo con Lei il suo “magnificat”; e le affidiamo la vita dei nostri popoli e la missione continentale della Chiesa.

Quando apparve a san Juan Diego nel Tepeyac, si presentò come la “perfetta sempre Vergine Santa Maria, Madre del vero Dio” (Nican Mopohua); e diede luogo ad una nuova “visitazione”. Corse premurosa ad abbracciare anche i nuovi popoli americani, in una drammatica gestazione. Fu come un “grande segno apparso nel cielo… una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi” (cfrAp 12,1), che assume in sé la simbologia culturale e religiosa dei popoli originari, e annuncia e dona suo Figlio a tutti questi altri nuovi popoli di meticciato lacerato.

Tanti saltarono di gioia e speranza davanti alla sua visita e davanti al dono di suo Figlio, e la perfetta discepola del Signore è diventata la “grande missionaria che portò il Vangelo alla nostra America” (Documento di Aparecida, 269). Il Figlio di Maria Santissima, Immacolata incinta, si rivela così dalle origini della storia dei nuovi popoli come “il verissimo Dio grazie al quale si vive”, buona novella della dignità filiale di tutti suoi abitanti. Ormai più nessuno è solamente servo, ma tutti siamo figli di uno stesso Padre, fratelli tra di noi e servi nel Servo.

La Santa Madre di Dio ha visitato questi popoli e ha voluto rimanere con loro. Ha lasciato stampata misteriosamente la sua sacra immagine nella “tilma” del suo messaggero perché la avessimo ben presente, diventando così simbolo dell’alleanza di Maria con queste genti, a cui conferisce anima e tenerezza. Per sua intercessione la fede cristiana ha incominciato a diventare il più ricco tesoro dell’anima dei popoli americani, la cui perla preziosa è Gesù Cristo: un patrimonio che si trasmette e manifesta fino ad oggi nel battesimo di moltitudini di persone, nella fede, nella speranza e nella carità di molti, nella preziosità della pietà popolare e anche in quell’ethos americano che si mostra nella consapevolezza della dignità della persona umana, nella passione per la giustizia, nella solidarietà con i più poveri e sofferenti, nella speranza a volte contro ogni speranza.

Da qui noi, oggi, possiamo continuare a lodare Dio per le meraviglie che ha operato nella vita dei popoli latinoamericani. Dio, secondo il suo stile, “ha nascosto queste cose a saggi e colti, dandole a conoscere ai più piccoli e umili, ai semplici di cuore” (cfrMt 11,21). Nelle meraviglie che il Signore ha realizzato in Maria, Ella riconosce lo stile e il modo di agire di suo Figlio nella storia della salvezza. Sconvolgendo i giudizi mondani, distruggendo gli idoli del potere, della ricchezza, del successo a tutti i costi, denunciando l’autosufficienza, la superbia e i messianismi secolarizzati che allontanano da Dio, il cantico mariano confessa che Dio si compiace nel sovvertire le ideologie e le gerarchie mondane. Innalza gli umili, viene in aiuto dei poveri e dei piccoli, colma di beni, di benedizioni e di speranze quelli che si fidano della sua misericordia di generazione in generazione, mentre abbatte i ricchi, i potenti ed i dominatori dai loro troni.

Il “Magnificat” così ci introduce nelle Beatitudini, sintesi e legge primordiale del messaggio evangelico. Alla sua luce, oggi, ci sentiamo spinti a chiedere una grazia, la grazia tanto cristiana che il futuro dell’America Latina sia forgiato dai poveri e da quelli che soffrono, dagli umili, da quelli che hanno fame e sete di giustizia, dai misericordiosi, dai puri di cuore, da quelli che lavorano per la pace, dai perseguitati a causa del nome di Cristo, “perché di loro sarà il Regno dei cieli” (cfr Mt 5,1-11). Sia la grazia di essere forgiati da quelli che oggi il sistema idolatrico della cultura dello scarto relega nella categoria di schiavi, di oggetti di cui servirsi o semplicemente da rifiutare.

E facciamo questa richiesta perché l’America Latina è il “continente della speranza”! Perché da essa si attendono nuovi modelli di sviluppo che coniughino tradizione cristiana e progresso civile, giustizia e equità con riconciliazione, sviluppo scientifico e tecnologico con saggezza umana, sofferenza feconda con gioia speranzosa. E’ possibile custodire questa speranza solo con grandi dosi di verità e di amore, fondamenti di tutta la realtà, motori rivoluzionari di un’autentica vita nuova.

Poniamo queste realtà e questi auspici sull’altare come dono gradito a Dio. Implorando il suo perdono e confidando nella sua misericordia, celebriamo il sacrificio e la vittoria pasquale di Nostro Signore Gesù Cristo. Lui è l’unico Signore, il “liberatore” di tutte le nostre schiavitù e miserie derivate dal peccato. Lui è la pietra angolare della storia ed è stato il grande scartato. Lui ci chiama a vivere la vera vita, una vita più umana, una convivenza come figli e fratelli, aperte ormai le porte della “nuova terra e dei nuovi cieli” (Ap 21,1). Imploriamo la Santissima Vergine Maria, nella sua vocazione guadalupana – la Madre di Dio, la Regina e mia Signora, “la mia giovinetta, la mia piccolina”, come la chiamò san Juan Diego, e con tutti gli appellativi amorosi con i quali si rivolgono a Lei nella pietà popolare – la supplichiamo perché continui ad accompagnare, aiutare e proteggere i nostri popoli. E perché conduca per mano tutti i figli che vanno peregrinando in quelle terre incontro al suo Figlio, Gesù Cristo, Nostro Signore, presente nella Chiesa, nella sua sacramentalità, specialmente nell’ Eucaristia, presente nel tesoro della sua Parola e nei suoi insegnamenti, presente nel santo popolo fedele di Dio, presente in quelli che soffrono e negli umili di cuore. E se questo programma tanto audace ci spaventa o la pusillanimità mondana ci minaccia, che Lei torni a parlarci al cuore e ci faccia sentire la sua voce di Madre, di “buona Madre”, di “grande Madre”: “Perché hai paura? Non ci sono qui io, che sono tua Madre?”


   




Fraternamente CaterinaLD

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