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Ultimo Aggiornamento: 11/03/2009 10:34
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11/03/2009 10:29
 
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IV CAPITOLO
IL DIACONO PERMANENTE UXURATO: “UN PONTE” TRA LA CHIESA E IL MONDO


a. Il diacono : “un cavaliere inesistente” alla ricerca dell’essere.


“ Dal punto del suo significato teologico e del suo ruolo ecclesiale, il ministero del diaconato costituisce una sfida per la coscienza e la prassi della Chiesa.",
[29]così si esprime la Commissione Teologica Internazionale a conclusione del testo sulle evoluzioni e sulle prospettive del diaconato.
Al termine di questo lavoro possiamo notare come fin dall’antichità il diacono sia stato chiamato a cercare di darsi una identità propria, cioè partendo da alcuni dati certi quali la sacramentalità e l’appartenenza all’ordine, il suo operato sia anche stato una continua ricerca “esistenziale.”
In questo senso il diacono è “un cavaliere inesistente”, è una sorta di “Agilulfo”, il personaggio della trilogia araldica di Italo Calvino che nell’armata carolingia cerca la propria identità, ed è simbolo di una volontà che dà consistenza all’essere a prescindere dalle strutture fisiche, attraverso la presa di coscienza di ciò che essere si vuole.
[30]
A conferma della necessità di percorrere questa strada esistenziale troviamo esplicite dichiarazioni della Commissione Teologica Internazionale che così si esprime: “per analizzare la caratterizzazione del diaconato si deve piuttosto considerare l’aspetto dell’essere stesso del diacono.”[31]
Ed ancora, mi pare illuminante la sintesi che sul tema ci fornisce Pagé: “è nella direzione dell’essere che occorre cercare la specificità del diaconato permanente, e non nell’aspetto del fare. Ciò che essi sono, costituisce l’originalità di ciò che fanno.”[32]
Per molto ,troppo tempo, l’accento è stato messo sul “cosa” il diacono può fare “in più” rispetto ad un laico e soprattutto sul “cosa” può fare “in meno” rispetto ad un prete.
Questa prospettiva incentrata sulla dimensione dell’essere, credo sia più corretta per definire la specificità del diacono, anche per chiarificarne il compito all’interno della Chiesa, è la categoria dell’essere che regolerà e dirigerà quella del fare.



b. Diaconato, matrimonio e famiglia


E’ un fatto che il diacono permanente nella quasi totalità dei casi sia un uomo sposato e che, di conseguenza, dal suo essere sia indeducibile il sacramento del Matrimonio.
Nel profondo del suo essere il diacono sposato è segnato-consacrato una prima volta nel sacramento del Matrimonio ed una seconda volta nel sacramento dell’Ordine.
Non credo si tratti di dover cercare una conciliazione tra l’essere marito e diacono ,quanto piuttosto di assumere una nuova prospettiva ontologica originale.
Il diacono assume una nuova condizione d’essere che non è quella del semplice coniugato né quella del semplice ordinato.
Per la natura stessa del sacramento che li unisce, anche la sposa del diacono è propriamente coinvolta nella condizione nuova che la coppia viene ad assumere. I due non possono infatti realizzare la propria vocazione singolarmente, ma comunionalmente, come coppia.
L’amore tra due esseri con il matrimonio diventa sacramento, essi si santificano donandosi e nella misura in cui essi stessi si donano, si salvano. Con il matrimonio, infatti, gli sposi si assumono anche la responsabilità della salvezza dell’altro.
Se lo sposo diventa diacono, in un certo senso la coppia diventa “diaconale” tenendo ben presente che, sebbene nelle conseguenze investa entrambi, il sacramento dell’ordine è ricevuto da un solo membro della coppia, cioè il marito.
Uno degli sposi è ordinato, non la coppia: ma l’ordinazione riguarda la coppia; qualunque divisione, soprattutto se causata dal diaconato del marito comporterebbe il venir meno della condizione necessaria posta sin dal principio dal creatore e che cioè i due diventino una sola carne.
Uomo e donna sono collocati diversamente in rapporto al diaconato, poiché l’ordinazione dello sposo non cambia lo statuto personale della sposa nell’ambito del popolo di Dio.
Tuttavia nell’unità e nell’intimità coniugale, la sposa misteriosamente porta con il suo sposo il sacramento da lui ricevuto.
Giustamente dunque la Chiesa richiede per l’ordinazione di un diacono sposato il consenso scritto della moglie
[33].

E’ illuminante, riguardo al si previo della sposa, un espressione del teologo mistico Nicola Cabasilas: “ L’Incarnazione fu non soltanto l’opera del Padre, ma anche l’opera dalla volontà e della fede della Vergine. Senza il consenso della purissima, senza il consenso della sua fede, quel disegno era altrettanto irrealizzabile che senza l’intervento delle tre Persone Divine. Come voleva incarnarsi, così voleva che sua Madre lo generasse liberamente, con pieno consenso”
[34]
E dunque un concorso della fede che viene chiesto alle spose; un atto libero responsabile e volontario di amorevole ed amorosa accoglienza al disegno di Dio sul proprio sposo e sul proprio matrimonio.
La scrittura narra di molte storie di donne che sono state chiamate a condividere la vita di fede dei loro mariti assumendo un ruolo decisivo nella storia della salvezza.
Si pensi a Sara moglie di Abramo, a Rebecca moglie di Isacco, a Elisabetta moglie del sacerdote Zaccaria, e parlando di matrimonio con-diviso e inserito nel progetto di Dio si pensi anche a Giuseppe sposo di Maria.
Il paragone con il “fiat” di Maria sta proprio ad indicare l’accettazione della Grazia ,Maria è tutta Santa perché piena di Grazia, la sua santità le deriva dall’accoglienza del dono per eccellenza.
In Maria c’è l’intima unità di amore e servizio che deve essere fatta propria da quanti vivono lo stato coniugale-diaconale.
La coppia diaconale viene chiamata ad una vita sponsale che sia segno tangibile e visibile dell’amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa
La sposa dona al marito, alla Chiesa e a se stessa il con-senso alla realizzazione del progetto di Dio sul suo sposo , sul suo matrimonio, su di sé, sulla sua famiglia.
Il dinamismo bipolare del dono-missione, proprio di ogni vocazione assume nella “coppia diaconale” una speciale valenza ecclesiale, la loro famiglia assume la condizione di “ecclesia domestica” in senso pieno e non metaforico del termine.
Il diacono coniugato ha dunque il compito insieme alla sua famiglia di essere segno e testimone della fedeltà dell’amore coniugale, dell’unità dell’amore coniugale, della fecondità educante dell’amore coniugale nella grazia dello Spirito Santo.
Il diacono e la coppia diaconale possono essere segno e strumento di una rinnovata pastorale famigliare.

Al matrimonio e alla famiglia si deve restituire il compito fondamentale di generare ed educare alla vita umana e cristiana, di cui la destrutturata società di oggi ha un drammatico bisogno per la propria rinascita dall’interno.[SM=g1740721]
Si potrebbe proporre un modello pastorale fondato su una comunione –comunità di famiglie, che in un impegno reciproco permanente mettano insieme le loro forze per vivere una vita radicalmente evangelica e concretamente educante.
Questa comunità sarebbe veramente un ministero ecclesiale in quanto incarna il servizio fondamentale di amore a Cristo alla Chiese, ai fratelli.
All’interno di queste dinamiche di comunità, il diacono insieme alla sua famiglia diviene segno sacramentale di servizio che con l’ordinazione ha assunto come carattere irrinunciabile della propria vita.
In questo ulteriore ambito credo che il diacono con la sua vita famigliare abbia il compito di essere testimone, infatti oggi come non mai il mondo ha bisogno di testimoni del Vangelo e non di maestri, di persone che giochino la vita per il Signore e ne diventino segni , dunque testimoni visibili e credibili .
Dobbiamo saper accogliere, conoscere, ascoltare e poi annunciare il Vangelo da testimoni e non da maestri. Il Vangelo non va né edulcorato né completato da noi , ma da noi compiuto.
Siamo chiamati non al fare, ma a testimoniare uno stile di vita cristiano.
Proprio per la provvisorietà in cui siamo immersi l’uomo di oggi ha bisogno di impegni per sempre, di servizi che non siano episodici ma l’espressione di una vita intera, come lo sono appunto il matrimonio cristiano, l’impegno comunitario e il diaconato.
Possiamo allora auspicare ad un diaconato fondato sull’essere , o meglio un diaconato che dopo aver preso coscienza di ciò che vuole essere,
si ponga come segno.


c. il diacono ministro del “ponte”.


La diaconia di Cristo appare come modello dell’agire cristiano.
Il diacono sarà colui che deve rappresentare sacramentalmente questo agire - servizio.
“Questa nozione farà del diacono il punto di comunicazione della Chiesa verso il mondo e, allo stesso modo del mondo verso la Chiesa, a partire dal rapporto che egli pone, mediante la sua presenza a un tempo ecclesiale (come ministro ordinato) e sociale (come marito, come lavoratore, come soggetto della vita associativa) , tra la Chiesa e il mondo.
[35]
L’attribuzione al diaconato permanente di una funzione mediatrice o di ponte tra la gerarchia e il popolo di Dio era già apparsa nel dibattito conciliare.
Nel motu proprio Ad Pascendum Paolo VI ha applicato al diaconato permanente la definizione di medius ordo.
Questa idea ha avuto ampia diffusione ma necessita di una precisazione teologica.
Sarebbe un errore considerare il termine medius ordo come una realtà sacramentale intermedia tra gli ordinati e i battezzati, l’appartenenza del diacono all’ordine è una dottrina sicura, teologicamente il diacono non è un laico, il termine medius ordo deve intendersi come funzione mediatrice come funzione ponte esercitata da chi appartiene ad entrambe le “sponde”.
Ponte dunque come metafora dell’intermediazione.
Cercherò di mostrare quali siano , secondo me le caratteristiche di questa funzione di ponte.
Il mondo ci mostra l’uomo come un individuo frammentato che invoca contemporaneamente l’unità ( unità di sé della famiglia) e la molteplicità (nella realizzazione ed espressione di sé).
La stessa tensione la ritroviamo proposta e teologicamente composta dalla Chiesa a proposito di ministero e carisma.
Il ministero indica l’unità ordinata, mentre il carisma permette la sua partecipazione e disseminazione.
Il carisma-ministero diaconale si illumina e appare particolarmente adatto nel mettersi al servizio, in varie modalità, nelle diversità delle situazioni della vita, spinti dalla grazia di Dio che è insieme una e molteplice.
Il mondo ci mostra un uomo diffidente nei confronti del potere , ma bisognoso di autorità.

Il diacono rivestito del potere di servire può parlare un linguaggio più vicino alla gente, rifuggendo la tentazione di pontificare e di voler imporre la verità quanto piuttosto cercando di vivere autorevolmente una vita evangelica.
La metafora del ponte viene spesso intesa sia come capacità di unire i due estremi
Questa caratteristica diaconale è permessa dal fatto che il diacono ha libero accesso a due mondi che sono stati vissuti a lungo come separati e inconciliabili , e può davvero essere grande il suo contributo alla loro riconciliazione, perché partecipa a pieno titolo di ambedue.
Il diacono permanente vive, unico tra gli ordinati, la comunione speciale con la donna, la comunione speciale con i figli da lui generati ed educati.
La figura del diacono può proporsi come ponte anche nel dialogo ecumenico; infatti il diacono è una figura appartenente certamente alla Tradizione viva della Chiesa e in quanto tale riconosciuta , pur con valutazioni diverse, da molte confessioni cristiane.
In queste situazioni mi porre si possa collocare la funzione di ponte e di mediazione del diacono.


d. “alzati e va’ sulla strada”
[36]


L’individuazione del rapporto fra diaconia e territorio , fra diaconia e società, fra diaconia e mondo è un elemento caratterizzante del ministero diaconale.
Lo spazio sociale del diacono rappresenta oggi un ambito prioritario e irrinunciabile per la nuova evangelizzazione, luogo privilegiato di incontro con gli uomini del nostro tempo, vero terreno di semina per una pastorale rinnovata.
Questo cammino in mezzo alla gente sulla strada diventa allora un luogo di azione diaconale.
I diaconi devono far propria l’esperienza del diacono Filippo in Atti 8,26ss.
Le parole dell’angelo pronunciate per bocca dell’angelo: “alzati e va’ sulla strada” sono particolarmente adatte per la missione del diacono.
Per il diacono, infatti, che coniuga il carattere clericale del sacramento con il carattere laicale della condizione di vita , deve diventare una risposta naturale ubbidire all’ordine di andare sulla strada , lui che in un certo modo sulla strada c’è già.
Bisogna correre avanti sino a raggiungere l’uomo nella sua situazione, e camminandogli accanto, offrirgli l’occasione di invitarti a salire.
E’ significativa la scena di Filippo che sale sul carro dell’Etiope, ed ascolta le sue domande e risponde agli interrogativi.
Filippo è l’immagine della diaconia di tutta la Chiesa, che raggiunge l’uomo nella sua situazione concreta, sulla strada sulla quale egli cammina
per fare la strada insieme.

continua........[SM=g1740739]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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