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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Il Papa: riscoprire il Culto Eucarstico

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2014 13:11
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Il Papa alla plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti

Il mistero eucaristico
senza confusione o riduzionismi


Nessuna confusione tra messa e adorazione eucaristica, ma anche nessuna sottovalutazione della centralità dell'Eucaristia nella vita della Chiesa. È quanto ha raccomandato Benedetto XVI nel discorso rivolto ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ricevuti in udienza venerdì mattina, 13 marzo, nella Sala del Concistoro.

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli!


Con grande gioia e con sempre viva riconoscenza vi ricevo, in occasione della Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. In questa importante occasione mi è gradito, in primo luogo, porgere il mio cordiale saluto al Prefetto, il Signor Cardinale Antonio Cañizares Llovera, che ringrazio per le parole con cui ha illustrato i lavori svolti in questi giorni e ha dato espressione ai sentimenti di quanti sono oggi qui presenti. Estendo il mio saluto affettuoso e il mio cordiale ringraziamento a tutti i Membri ed Officiali del Dicastero, a cominciare dal Segretario, Mons. Malcom Ranjith, e dal Sotto-Segretario, fino a tutti gli altri che, nelle diverse mansioni, prestano con competenza e dedizione il loro servizio per "la regolamentazione e la promozione della sacra liturgia" (Pastor Bonus, n. 62). Nella Plenaria avete riflettuto sul Mistero eucaristico e, in modo particolare, sul tema dell'adorazione eucaristica. Mi è ben noto come, dopo la pubblicazione dell'Istruzione "Eucharisticum mysterium" del 25 maggio 1967 e la promulgazione, il 21 giugno 1973, del Documento "De sacra communione et cultu mysterii eucharistici extra Missam", l'insistenza sul tema dell'Eucaristia come fonte inesauribile di santità è stata una premura di primo piano del Dicastero.

Ho accolto, pertanto, volentieri la proposta che la Plenaria si occupasse del tema dell'adorazione eucaristica, nella fiducia che una rinnovata riflessione collegiale su tale prassi potesse contribuire a mettere in chiaro, nei limiti di competenza del Dicastero, i mezzi liturgici e pastorali con cui la Chiesa dei nostri tempi può promuovere la fede nella presenza reale del Signore nella Santa Eucaristia e assicurare alla celebrazione della Santa Messa tutta la dimensione dell'adorazione. Ho sottolineato questo aspetto nell'Esortazione apostolica Sacramentum caritatis, in cui raccoglievo i frutti della xi Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo, svoltasi nell'ottobre del 2005. In essa, evidenziando l'importanza della relazione intrinseca tra celebrazione dell'Eucaristia e adorazione (cfr. n. 66), citavo l'insegnamento di sant'Agostino:  "Nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando" (Enarrationes in Psalmos, 98, 9:  ccl 39, 1385).

I Padri sinodali non avevano mancato di manifestare preoccupazione per una certa confusione ingeneratasi, dopo il Concilio Vaticano ii, circa la relazione tra Messa e adorazione del Santissimo Sacramento (cfr. Sacramentum caritatis, n. 66). In questo, trovava eco quanto il mio Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, aveva già espresso circa le devianze che hanno talvolta inquinato il rinnovamento liturgico post-conciliare, rivelando "una comprensione assai riduttiva del mistero eucaristico" (Ecclesia de Eucharistia, n. 10).

Il Concilio Vaticano Secondo ha messo in luce il ruolo singolare che il mistero eucaristico ha nella vita dei fedeli (Sacrosanctum Concilium, nn. 48-54, 56). Come Papa Paolo VI ha più volte ribadito:  "l'Eucaristia è un altissimo mistero, anzi propriamente, come dice la Sacra Liturgia, il mistero di fede" (Mysterium fidei, n. 15). L'Eucaristia, infatti, è alle origini stesse della Chiesa (cfr. Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 21) ed è la sorgente della grazia, costituendo un'incomparabile occasione sia per la santificazione dell'umanità in Cristo che per la glorificazione di Dio. In questo senso, da una parte, tutte le attività della Chiesa sono ordinate al mistero dell'Eucaristia (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 10; Lumen gentium, n. 11; Presbyterorum ordinis, n. 5; Sacramentum caritatis, n. 17), e, dall'altra, è in virtù dell'Eucaristia che "la Chiesa continuamente vive e cresce" anche oggi (Lumen gentium, n. 26).

Nostro compito è percepire il preziosissimo tesoro di questo ineffabile mistero di fede "tanto nella stessa celebrazione della Messa quanto nel culto delle sacre specie, che sono conservate dopo la Messa per estendere la grazia del Sacrificio" (Istruz. Eucharisticum mysterium, n. 3, g.). La dottrina della transustanziazione del pane e del vino e della presenza reale sono verità di fede evidenti già nella Sacra Scrittura stessa e confermate poi dai Padri della Chiesa. Papa Paolo VI, al riguardo, ricordava che "la Chiesa Cattolica non solo ha sempre insegnato, ma anche vissuto la fede nella presenza del corpo e del sangue di Cristo nella Eucaristia, adorando sempre con culto latreutico, che compete solo a Dio, un così grande Sacramento" (Mysterium fidei, n. 56; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1378).

È opportuno ricordare, al riguardo, le diverse accezioni che il vocabolo "adorazione" ha nella lingua greca e in quella latina. La parola greca proskýnesis indica il gesto di sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire. La parola latina adoratio, invece, denota il contatto fisico, il bacio, l'abbraccio, che è implicito nell'idea di amore. L'aspetto della sottomissione prevede un rapporto d'unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Infatti, nell'Eucaristia l'adorazione deve diventare unione:  unione col Signore vivente e poi col suo Corpo mistico.

Come ho detto ai giovani sulla Spianata di Marienfeld, a Colonia, durante la XX Giornata mondiale della Gioventù, il 21 agosto 2005:  "Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo" (Insegnamenti, vol. i, 2005, pp. 457 s.). In questa prospettiva ricordavo ai giovani che nell'Eucaristia si vive la "fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita; essa trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta" (ibid., p. 457).

Il mio Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica "Spiritus et Sponsa", in occasione del 40° anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia, esortava ad intraprendere i passi necessari per approfondire l'esperienza del rinnovamento. Ciò è importante anche rispetto al tema dell'adorazione eucaristica. Tale approfondimento sarà possibile soltanto attraverso una maggiore conoscenza del mistero in piena fedeltà alla sacra Tradizione ed incrementando la vita liturgica all'interno delle nostre comunità (cfr. Spiritus et Sponsa, nn. 6-7). A questo riguardo, apprezzo in particolare che la Plenaria si sia soffermata anche sul discorso della formazione di tutto il Popolo di Dio nella fede, con una speciale attenzione ai seminaristi, per favorirne la crescita in uno spirito di autentica adorazione eucaristica. Spiega, infatti, S. Tommaso:  "Che in questo sacramento sia presente il vero Corpo e il vero Sangue di Cristo non si può apprendere coi sensi, ma con la sola fede, la quale si appoggia all'autorità di Dio" (Summa theologiae, iii, 75, 1; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1381).

Stiamo vivendo i giorni della Santa Quaresima che costituisce non soltanto un cammino di più intenso tirocinio spirituale, ma anche una efficace preparazione a celebrare meglio la santa Pasqua. Ricordando tre pratiche penitenziali molto care alla tradizione biblica e cristiana - la preghiera, l'elemosina, il digiuno -, incoraggiamoci a vicenda a riscoprire e vivere con rinnovato fervore il digiuno non solo come prassi ascetica, ma anche come preparazione all'Eucaristia e come arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Questo periodo intenso della vita liturgica ci aiuti ad allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e ad intensificare ciò che nutre l'anima, aprendola all'amore di Dio e del prossimo. Con tali sentimenti, formulo già fin d'ora a tutti Voi i miei auguri per le prossime feste pasquali e, mentre vi ringrazio per il lavoro che avete svolto in questa Sessione Plenaria, così come per tutto il lavoro della Congregazione, imparto a ciascuno con affetto la mia Benedizione.


(©L'Osservatore Romano - 14 marzo 2009)




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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Don Nicola Bux: Il sacro nella liturgia, cioè il Santissimo
 


La secolarizzazione del sacro, tipica del post-Concilio Vaticano II, non si è fermata all’esterno delle chiese ma è entrata all’interno. Si è tentato di rendere la liturgia una imitazione del profano, con il chiasso, la materialità e la distrazione di cui esso è carico. Ma il Magistero ha sempre parlato chiaro…



di don Nicola Bux


Non è infrequente incontrare cristiani che dicono: vado in chiesa per poter percepire, entrare nel mistero, nel sacro e, invece, mi trovo immerso nella caricatura del profano: dal tipo di musica e di canto, alle vesti stravaganti dei ministri, a preti che per il loro protagonismo sembrano degli showmen.

Un sintomo grave: il sacro non c'è più, forse molti non sanno che cosa sia, mentre il mondano, termine più comprensibile di profano, la fa da padrone anche in un luogo come la chiesa. Ci accorgiamo di colpo del sacro quando per entrare in una moschea o in un tempio buddista o in una sinagoga ebraica ci viene chiesto di toglierci le scarpe o di inchinarci a mani giunte o di coprirci il capo. Occhi al cielo Un po' spaesati lo facciamo, forse ritorniamo ad avvertire quel senso innato di timore misto a stupore che affiora di fronte a qualcosa di insolito, di arcano, di più grande di noi: il sacro. Poi, ci interroghiamo: come mai nelle chiese le suore e i preti per primi non osservano il silenzio, anzi parlano ad alta voce, esigono che non ci si debba inginocchiare e inchinare perché gesti servili indegni dell'uomo? Qualcosa non va.

Nel frattempo, nuove liturgie sono sorte che consacrano il profano come una volta; certo, non si tratta delle adunate oceaniche del periodo nazista a Berlino in cui si inneggiava al mito del sole roteante, né delle sfilate sulla piazza Rossa di Mosca per rendere culto alle personalità di turno del regime; oggi ci sono le fiaccolate, le marce e i cortei, novelle processioni secolari; non sono più le immagini sacre o il Santissimo Sacramento a essere ostentati, ma bandiere, cartelli e nuovi simboli teosofici. Un tempo le fiaccole accompagnavano le immagini sacre, oggi affiancano le nuove religioni.

A questo è giunta la secolarizzazione del sacro, che non si è fermata all'esterno del tempio ma vi è entrata, tentando di rendere la liturgia una imitazione del profano, carica di tutto il chiasso, di tutta la materialità, di tutta la distrazione di cui è carico il profano. Profano da pro-fanum, davanti o fuori del tempio. Profanità vuoi dire spazio di lontananza da Dio che, invece, vive nel "sacro" e nel "santo", che è necessario perché sia rispettata l'autonomia della creatura. L'essere umano deve poter vivere fuori del fanum, perché possa decidere liberamente di entrare nel tempio una volta capita la differenza e avvertita l'esigenza di incontrare colui che è all'origine di sé. Se il profano fosse anche sacro, avrebbero ragione i cultori del diavolo che invertono i segni sacri del culto cristiano per consacrare quanto è male e peccato.

Il peccato rovina la creatura, deturpa il profano e profana il sacro, ferisce la realtà creata nella sua autonomia oltre che nella sua dipendenza. Ecco perché deve intervenire il Salvatore a restaurare l'autonomia della realtà creata estirpando, guarendo il peccato. La salvezza non viene a consacrare la profanità, che è già in se stessa lo spazio dentro cui si gioca il valore sacro della libertà dell'essere umano, ma viene a restaurare e ad elevare il naturale, la realtà creata. Si dovrebbe gioire e gustare il mondo, non solamente usarlo. La guarigione dal peccato permette di gioire del mondo, di saper godere della realtà eliminando ciò che può guastarla. La liturgia è lo spazio in cui tutto questo entra continuamente in gioco. Nella liturgia l'uomo disorientato dal peccato riceve la salvezza e uscendone redento è capace di incidere sulla realtà del mondo con l'energia che ha ricevuto. Così il profano viene orientato al sacro. Proprio perché il visibile è presupposto della liturgia, la realtà profana è davanti al sacro, la natura alla sopranatura che a sua volta tende continuamente a ridare significato e a trasformare la natura. Questo ha donato l'incarnazione del Verbo.

È questa, dice Mircea Eliade, la ierofania suprema, per un cristiano (Cfr Le sacre et le profane, Paris 1965, p. 5). Con l'ingresso del Verbo nella storia, la storia diventa una teofania. Ancora Eliade sottolinea la novità assoluta dell'incarnazione quando dice che: "è stata una grande rivoluzione religiosa; troppo grande perché possa essere assimilata in duemila anni di vita cristiana» (Mythes, rêves et mystères, Paris 1957, p 254). Il profano desacralizzato col peccato riceve la sacralizzazione con l'esperienza salvifica. La liturgia risacralizza, risignifica, appunto consacra. Nei sacramenti si prende una realtà profana, naturale: il pane, il vino, l'olio, l'acqua, l'amore, la sofferenza e la si consacra attraverso la speciale preghiera. Si rende sacra la realtà profana, la quale già è orientata, è davanti al fanum, semplicemente si destina questa realtà - come per l'offerta o anafora della Messa - al fine per cui è stata creata. Il rapporto tra sacro e profano, prima dialettico, diventa dialogico, ma tra loro restano distinti. Il profano è il sacro in potenza, che attende di attuarsi. La realtà del mondo è profana, attende la salvezza di Cristo.

Ai tempi del Concilio Vaticano II c'era chi proponeva l'eliminazione del sacro sostenendo che tutto è sacro; così si è causata la polarizzazione ormai evidente: da un lato, un eccessivo impegno nel mondo, l'attivismo e il secolarismo che hanno portato alla riduzione del sacro a profano e, all'opposto, lo spiritualismo, con la fuga dal profano nel sacro. Invece, come è diventato evidente ai nostri tempi, la distinzione tra sacra e profano è irrinunciabile.

Il teologo ortodosso Pavel Evdokimov ha osservato: «Dall'unica sorgente divina: "siate santi come io sono santo", discende tutta una graduatoria di consacrazione o di cose sacre per partecipazione. Esse operano una deprofanizzazione una rivolgarizzazione nell'essere stesso di questo mondo. Tale azione di penetrare nel mondo è propria dei sacramenti e degli atti sacramentali, i quali insegnano che, nella vita cristiana, tutto è sacramento o sacro in potenza, poiché tutto è destinato al suo compimento liturgico, alla sua partecipazione al Mistero» (L'Ortodossia, Bologna 1965, p. 291).

Al centro di questo movimento c'è l'Eucaristia. Perciò la Chiesa, in Oriente e in Occidente, ha posto sempre al centro l'altare con l'artoforio o ciborio o tabernacolo del SS. Sacramento. Chi ai nostri giorni lo ha rimosso per mettere al suo posto la sede del sacerdote, e lo ha relegato in ambiente separato dalla chiesa sino a renderlo introvabile, dovrebbe confrontarsi con quanto ha scritto il primo documento esecutivo della riforma liturgica del Vaticano II: «La SS Eucaristia si custodisca in un tabernacolo solido e inviolabile posto in mezzo all'altare maggiore o ad uno minore, ma che sia davvero nobile, oppure, secondo le legittime consuetudini e in casi particolari da approvarsi dall'Ordinario del luogo, anche in altra parte della Chiesa davvero molto nobile e debitamente ornata. È lecito celebrare la messa rivolti verso il popolo anche in un altare sul quale ci sia il tabernacolo, di piccole dimensioni, ma conveniente» (Istruzione per l'esatta applicazione della Sacra liturgia Inter Oecumenici, 26 settembre 1964 n.95).

Paolo VI tornava a ribadirlo nell'Enciclica Mysterium Fidei: «Durante il giorno i fedeli non omettano di far la visita al santissimo Sacramento, che deve essere custodito in luogo distintissimo, col massimo onore nelle chiese, secondo le leggi liturgiche, perché la visita è prova di gratitudine, segno d'amore e debito di riconoscenza a Cristo Signore là presente» (3 settembre 1965).

Benedetto XVI ha riaffermato la centralità del tabernacolo nell'Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis: «La sua corretta posizione, infatti, aiuta a riconoscere la presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento» (n. 69). La sua tenda o tabernacolo custodisce il mistero del suo corpo e del suo sangue, la sua Presenza. È coscienza raggiunta dalla Chiesa che il Mistero è sempre presente perché viene prima di ogni altra cosa: sono io che devo farmi presente a lui con l'adorazione; è la sua presenza permanente a ridestare continuamente la mia fede. Cristo è venuto nel mondo per stare con noi tutti giorni. E il Sacro, anzi il Santissimo permane tra noi.

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Dall'amico Chisolm prendo dal un altro Blog una sua riflessione sulla COMUNIONE ALLA MANO.....e l'opportuntà per e, di, riceverla alla bocca....[SM=g1740734]

Le mani dei laici, per quanto santi, non sono le mani dei consacrati, per quanto indegni (i certi casi, ovviamente). Le mani dei laici servono per edificare il regno di Dio, col lavoro, giungendosi in preghiera, asciugando lacrime e per dar carezze, qualche volta una sculacciata.
Anche una sculacciata ben data aggiunge un mattone alla Civitas Dei.
Il mio quasi omonimo, Padre Francesco Chisholm, ne Le chiavi del Regno di Cronin, così apostrofava i suoi parrocchiani cinesi per indurli alla cooperazione, al lavoro per il Regno: « Non crediate che il Paradiso sia soltanto in Cielo…è nella vostra casa, in un fiore che sboccia, nel palmo della vostra mano… non importa dove…»

Le mani dei laici, a parte il ruolo dei ministri straordinari dell’eucarestia, non sono fatte per cullare il Corpo di Cristo: “Noli me tangere”, non trattenermi.
Come bambini piccoli, dice Pietro, bramate il latte, quasi a voler indicare nella bocca, il luogo di destinazione del Pane, senza stazioni di sosta, senza pause di riflessione: la bocca, e non le mani, sono il luogo d’accoglienza del Cibo. Poi, seguirà la giusta “orazione”, da os-oris (bocca).

Le mani dei consacrati hanno la loro importanza, il loro rilievo.
Sono quelle mani, le sole, a poter “trattenere” il Corpo di Cristo, a elevarlo, a distribuirlo.
Ricordo con gioia le prime messe dei miei compagni di studio.
Conseguita la Licenza in Teologia, venivano ordinati quasi subito: alla prima messa, io come tanti, i loro parenti e amici, mi mettevo in fila per baciare le loro mani consacrate.
Tra tanti, ricordo con piacere don Silvio che, quando gli presi le mani per il bacio, ebbe un moto di delicato imbarazzo. Mi disse, ancora frastornato dall’ordinazione: «Doveri baciarti io le mani per tutti gli appunti che mi hai passato…».

In quell’occasione, per ricordargli che non erano gli appunti che facevano il prete, ma, in certo senso, le mani, gli regalai una riproduzione del Figliol Prodigo di Rembrandt.
Gli dissi di osservare le mani del Padre che si posavano sulle spalle del figlio inginocchiato.
Una mano è maschile, l’altra (così ha voluto Rembrandt) è delicatamente femminile.
Gli dissi che sarebbero state il modello delle sue mani.
Una maschile, per consacrare e benedire, l’altra femminile, materna, per distribuire il Cibo ai figli.
Sono passati sei anni. Ora è missionario, in coerenza con la sua congragazione.
Tempo fa mi ha spedito una foto: lui in mezzo a un centinaio di bambini, i suoi “appunti” di carne.

Quando gli baciai le mani, il giorno della sua ordinazione, in un certo senso ho baciato tutti i suoi figli.
Le mie mani continuano a prendere appunti, le sue a benedire, consacrare e nutrire.

Chisolm


[SM=g1740722] [SM=g1740721] [SM=g1740722] [SM=g1740721]


Dall'intervista al Prefetto per il Culto Divino che proprio ieri ha parlato di adorazione Eucaristica...

" I compiti fondamentali della Congregazione sono quelli di aiutare il Papa in tutto quello che concerne il culto divino: che tutta la Chiesa viva lo spirito della liturgia, che effettivamente elevi a Dio questo culto in spirito e verità, che si esprime nella liturgia e soprattutto nell’Eucaristia.

Significa che la liturgia non ci racconta cose che sono successe nel passato, ma è la manifestazione, al giorno d’oggi, della salvezza di Dio attraverso Gesù Cristo. E’ il sacrificio di Cristo sul Calvario che si fa realmente presente ai nostri giorni, con tutta la sua forza salvifica e rinnovatrice dell’uomo.


[SM=g1740733]

Eucharisticum mysterium (maggio 1967) -

12. In che consista la partecipazione attiva alla messa
Si spieghi dunque a tutti coloro che si riuniscono per l'eucaristia che formano quel popolo santo che, insieme con i ministri, ha parte nell'azione sacra. Certo, solo il sacerdote, in quanto rappresenta Cristo, consacra il pane e il vino. Tuttavia l'azione dei fedeli nell'eucaristia consiste nel fatto che essi, memori della passione, della risurrezione e della gloria del Signore, rendono grazie a Dio e offrono l'ostia immacolata non solo per le mani del sacerdote, ma uniti a lui; e, con la partecipazione al corpo del Signore, si compie la comunione loro con Dio e tra di loro, comunione a cui deve condurre la partecipazione al sacrificio della messa.

Infatti una più perfetta partecipazione alla messa si ha quando essi, convenientemente disposti, ricevono sacramentalmente il corpo del Signore nella messa stessa, obbedendo alle parole di lui: "Prendete e mangiate". Questo sacrificio, poi, come la stessa passione di Cristo, sebbene sia offerto per tutti, "non ha effetto se non in coloro che si uniscono alla passione di Cristo con la fede e la carità... Ad essi tuttavia giova più o meno secondo la misura della loro devozione".

Tutto ciò sia spiegato ai fedeli, sì che essi partecipino attivamente alla messa, sia nell'intimo del loro animo, sia esteriormente attraverso i riti, secondo le norme stabilite dalla costituzione sulla sacra liturgia, più ampiamente determinate nell'istruzione "Inter oecumenici", del 26 settembre 1964, nell'istruzione "Musicam sacram" del 5 marzo 1967 e nell'istituzione "Tres abhinc annos" del 4 maggio 1967.

********

Seguono doande e risposte di un bloghista e le cui risposte ovviamente condivido[SM=g1740722]

1) "Beh mi faresti leggere quale dogmantica o in quale occasione Sant Tommaso D'Acquino afferma che le mani dei laici sono indegne?"

«La distribuzione del Corpo di Cristo appartiene al Sacerdo te per tre motivi: in primo luo go, perché è lui che consacra, tenendo il posto di Cristo. Ora, è Cristo stesso che ha consa crato il suo Corpo nella Cena, ed è Lui stesso che lo ha dato agli altri da mangiare. Dunque, come la consacrazione del Cor po di Cristo appartiene al Sa cerdote, altrettanto appartiene a lui la distribuzione. In secon do luogo, il sacerdote è stabili to intermediario tra Dio e il po polo. Di conseguenza, come a lui spetta l'offrire a Dio i doni del popolo, altrettanto spetta a lui donare al popolo i doni san tificati da Dio. In terzo luogo, per il rispetto dovuto a questo Sacramento, nulla può toccarlo che non sia consacrato. Per questo motivo, il corporale e il calice vengono consacrati, ed altrettanto le mani del Sacer dote vengono consacrate per toccare questo Sacramento, e nessun altro ha il diritto di toccarlo, se non in caso di necessità». (Cfr. Summa Teolo gica, III.a pars, q. 82, a. 3).

2) "Beh fammi capire per te la Chiesa fino al SETTIMO secolo ha sbagliato?"

Concilio di Trento, nel 1551, a proposito della errata Comunione sulla Mano e della difsa della Comunione alla bocca: «... Questo costume deve essere ritenuto di diritto e a giusto titolo come proveniente dalla TRADIZIONE APOSTOLICA» (cfr. Sess. XIII, DE EUCHARISTIA, c. VIII-Denz Sch. Enchridion... ed. 33 a, N. 16-48°).

S. Sisto I (Papa dal 117-al 136) scrisse: «Solo i ministri del culto sono abilitati a toccare i sacri misteri: hic constituit ut mysteria sacra non tangeren tur nisi a ministris» (cfr. Liber Pontificalis, tomo I, p. 57-Man si I. 653; e cfr. "regesta Pontificum Romanorum", p. 919)

Tertulliano: «Non la riceviamo dalla mano di altri, nec de aliorum manu su mimus» (Cfr. Liber de Corona, III, 3-RL., tomo li, col. 79)

Il Concilio di Saragozza, nel 380, lan ciò l'anatema (canone III) con tro coloro che facevano come ai tempi di persecuzione


3) "I primi cristiani avrebbero sbagliato dal momento che la Comunione veniva distribuita sul palmo della mano e sotto le due specie? [...] Ma sei sicura di conoscere quell oche citi? Beh fammi leggere per favore dove è scritto tutto cio!! Ma come al solito sono le solite scemenze che dici per ignoranza!!"

Solo in caso di necessità e in tempo di persecuzione, ci assicura san Basilio, si poteva derogare da detta norma, ed era concesso ai laici di comunicarsi con le proprie mani.

Il Concilio di Saragozza, nel 380, aveva lanciato la scomunica contro coloro che si fossero permessi di trattare la santissima Eucarestia come se si fosse in tempo di persecuzione, tempo nel quale anche i laici potevano trovarsi nella necessità di toccarla con le proprie mani (SAENZ DE AGUIRRE, Notitia Conciliorum Hispaniæ, Salamanca, 1686, pag. 495).

Ecco perché i primi cristiani potevano anche portare a casa le Sacre Specie ecc.


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Fraternamente CaterinaLD

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Il Papa: Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente “come Dio” – non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo. Nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e aperto la via verso la libertà.

 



SANTA MESSA IN COENA DOMINI, 05.04.2012

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Il Giovedì Santo non è solo il giorno dell’istituzione della Santissima Eucaristia, il cui splendore certamente s’irradia su tutto il resto e lo attira, per così dire, dentro di sé. Fa parte del Giovedì Santo anche la notte oscura del Monte degli Ulivi, verso la quale Gesù esce con i suoi discepoli; fa parte di esso la solitudine e l’essere abbandonato di Gesù, che pregando va incontro al buio della morte; fanno parte di esso il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, come anche il rinnegamento di Pietro, l’accusa davanti al Sinedrio e la consegna ai pagani, a Pilato.
Cerchiamo in quest’ora di capire più profondamente qualcosa di questi eventi, perché in essi si svolge il mistero della nostra Redenzione.

Gesù esce nella notte. La notte significa mancanza di comunicazione, una situazione in cui non ci si vede l’un l’altro. È un simbolo della non-comprensione, dell’oscuramento della verità. È lo spazio in cui il male, che davanti alla luce deve nascondersi, può svilupparsi. Gesù stesso è la luce e la verità, la comunicazione, la purezza e la bontà. Egli entra nella notte. La notte, in ultima analisi, è simbolo della morte, della perdita definitiva di comunione e di vita.

Gesù entra nella notte per superarla e per inaugurare il nuovo giorno di Dio nella storia dell’umanità. Durante questo cammino, Egli ha cantato con i suoi Apostoli i Salmi della liberazione e della redenzione di Israele, che rievocavano la prima Pasqua in Egitto, la notte della liberazione. Ora Egli va, come è solito fare, per pregare da solo e per parlare come Figlio con il Padre. Ma, diversamente dal solito, vuole sapere di avere vicino a sé tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Sono i tre che avevano fatto esperienza della sua Trasfigurazione – il trasparire luminoso della gloria di Dio attraverso la sua figura umana – e che Lo avevano visto al centro tra la Legge e i Profeti, tra Mosè ed Elia. Avevano sentito come Egli parlava con entrambi del suo “esodo” a Gerusalemme. L’esodo di Gesù a Gerusalemme – quale parola misteriosa! L’esodo di Israele dall’Egitto era stato l’evento della fuga e della liberazione del popolo di Dio. Quale aspetto avrebbe avuto l’esodo di Gesù, in cui il senso di quel dramma storico avrebbe dovuto compiersi definitivamente? Ora i discepoli diventavano testimoni del primo tratto di tale esodo – dell’estrema umiliazione, che tuttavia era il passo essenziale dell’uscire verso la libertà e la vita nuova, a cui l’esodo mira. I discepoli, la cui vicinanza Gesù cercò in quell’ora di estremo travaglio come elemento di sostegno umano, si addormentarono presto. Sentirono tuttavia alcuni frammenti delle parole di preghiera di Gesù e osservarono il suo atteggiamento. Ambedue le cose si impressero profondamente nel loro animo ed essi le trasmisero ai cristiani per sempre. Gesù chiama Dio “Abbà”. Ciò significa – come essi aggiungono – “Padre”. Non è, però, la forma usuale per la parola “padre”, bensì una parola del linguaggio dei bambini – una parola affettuosa con cui non si osava rivolgersi a Dio. È il linguaggio di Colui che è veramente “bambino”, Figlio del Padre, di Colui che si trova nella comunione con Dio, nella più profonda unità con Lui.

Se ci domandiamo in che cosa consista l’elemento più caratteristico della figura di Gesù nei Vangeli, dobbiamo dire: è il suo rapporto con Dio. Egli sta sempre in comunione con Dio. L’essere con il Padre è il nucleo della sua personalità. Attraverso Cristo conosciamo Dio veramente. “Dio, nessuno lo ha mai visto”, dice san Giovanni. Colui “che è nel seno del Padre … lo ha rivelato” (1,18). Ora conosciamo Dio così come è veramente. Egli è Padre, e questo in una bontà assoluta alla quale possiamo affidarci. L’evangelista Marco, che ha conservato i ricordi di san Pietro, ci racconta che Gesù, all’appellativo “Abba”, ha ancora aggiunto: Tutto è possibile a te, tu puoi tutto (cfr 14,36). Colui che è la Bontà, è al contempo potere, è onnipotente. Il potere è bontà e la bontà è potere. Questa fiducia la possiamo imparare dalla preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi.

Prima di riflettere sul contenuto della richiesta di Gesù, dobbiamo ancora rivolgere la nostra attenzione su ciò che gli Evangelisti ci riferiscono riguardo all’atteggiamento di Gesù durante la sua preghiera. Matteo e Marco ci dicono che Egli “cadde faccia a terra” (Mt 26,39; cfr Mc 14,35), assunse quindi l’atteggiamento di totale sottomissione, quale è stato conservato nella liturgia romana del Venerdì Santo. Luca, invece, ci dice che Gesù pregava in ginocchio.

Negli Atti degli Apostoli, egli parla della preghiera in ginocchio da parte dei santi: Stefano durante la sua lapidazione, Pietro nel contesto della risurrezione di un morto, Paolo sulla via verso il martirio. Così Luca ha tracciato una piccola storia della preghiera in ginocchio nella Chiesa nascente. I cristiani, con il loro inginocchiarsi, entrano nella preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Nella minaccia da parte del potere del male, essi, in quanto inginocchiati, sono dritti di fronte al mondo, ma, in quanto figli, sono in ginocchio davanti al Padre. Davanti alla gloria di Dio, noi cristiani ci inginocchiamo e riconosciamo la sua divinità, ma esprimiamo in quel gesto anche la nostra fiducia che Egli vinca. [SM=g1740733] [SM=g1740722]

Gesù lotta con il Padre. Egli lotta con se stesso. E lotta per noi. Sperimenta l’angoscia di fronte al potere della morte. Questo è innanzitutto semplicemente lo sconvolgimento, proprio dell’uomo e anzi di ogni creatura vivente, davanti alla presenza della morte. In Gesù, tuttavia, si tratta di qualcosa di più.

Egli allunga lo sguardo nelle notti del male. Vede la marea sporca di tutta la menzogna e di tutta l’infamia che gli viene incontro in quel calice che deve bere. È lo sconvolgimento del totalmente Puro e Santo di fronte all’intero profluvio del male di questo mondo, che si riversa su di Lui. Egli vede anche me e prega anche per me. Così questo momento dell’angoscia mortale di Gesù è un elemento essenziale nel processo della Redenzione. La Lettera agli Ebrei, pertanto, ha qualificato la lotta di Gesù sul Monte degli Ulivi come un evento sacerdotale. In questa preghiera di Gesù, pervasa da angoscia mortale, il Signore compie l’ufficio del sacerdote: prende su di sé il peccato dell’umanità, tutti noi, e ci porta presso il Padre. Infine, dobbiamo ancora prestare attenzione al contenuto della preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Gesù dice: “Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). La volontà naturale dell’Uomo Gesù indietreggia spaventata davanti ad una cosa così immane. Chiede che ciò gli sia risparmiato.

Tuttavia, in quanto Figlio, depone questa volontà umana nella volontà del Padre: non io, ma tu. Con ciò Egli ha trasformato l’atteggiamento di Adamo, il peccato primordiale dell’uomo, sanando in questo modo l’uomo. L’atteggiamento di Adamo era stato: Non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso voglio essere dio. Questa superbia è la vera essenza del peccato. Pensiamo di essere liberi e veramente noi stessi solo se seguiamo esclusivamente la nostra volontà. Dio appare come il contrario della nostra libertà. Dobbiamo liberarci da Lui – questo è il nostro pensiero – solo allora saremmo liberi. È questa la ribellione fondamentale che pervade la storia e la menzogna di fondo che snatura la nostra vita.

Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente “come Dio” – non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo. Nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e aperto la via verso la libertà.

Preghiamo il Signore di introdurci in questo “sì” alla volontà di Dio, rendendoci così veramente liberi.
Amen.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740720] «Il vero sangue è sull'altare e sembra vino»


Nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura a Roma si conserva la più antica epigrafe latina cristiana che esplicitamente accenna alla transustanziazione: si mediti attentamente la frase, non dice che "il vero vino è sull'altare e sembra sangue" ma proprio il contrario, e messo come epigrafe sottolinea l'importanza di questa affermazione dottrinale.


di Lorenzo Bianchi


L’epigrafe eucaristica 
in San Lorenzo fuori le mura<br><br><br> 1 - (Adsp)ICE QUI TRANSIS QUAM SIT BREVIS AC(cipe vita)<br>
2 - (Atqu)E TUAE NAVIS ITER AD LITUS PARAD(isi)<br>
3 - (Der)EGE QUO VULTUM DOMINI FACIAS TIBI PO(rtum)<br>
4 - (Dica)T IAM QUISQUIS HAEC SACRA PERH(auriat ore)<br>
5 - (Glor)IA SUMMA DOMINUS LUMEN SAPIENTIA VIR(tus)<br>
6 - (Cui)US [o: (Ver)US] IN ALTARI CRUOR EST VINUMQUE (videtur)<br>
7 - (Qui)QUE TUI LATERIS PER OPUS MIRAE (pietatis)<br>
8 - (Omni)POTENTER AQUAM TRIBUIS BAPTI(smate lotis)

L’epigrafe eucaristica in San Lorenzo fuori le mura


1 - (Adsp)ICE QUI TRANSIS QUAM SIT BREVIS AC(cipe vita)
2 - (Atqu)E TUAE NAVIS ITER AD LITUS PARAD(isi)
3 - (Der)EGE QUO VULTUM DOMINI FACIAS TIBI PO(rtum)
4 - (Dica)T IAM QUISQUIS HAEC SACRA PERH(auriat ore)
5 - (Glor)IA SUMMA DOMINUS LUMEN SAPIENTIA VIR(tus)
6 - (Cui)US [o: (Ver)US] IN ALTARI CRUOR EST VINUMQUE (videtur)
7 - (Qui)QUE TUI LATERIS PER OPUS MIRAE (pietatis)
8 - (Omni)POTENTER AQUAM TRIBUIS BAPTI(smate lotis)

È merito di padre Egidio Picucci avere di recente riportato l’attenzione, con un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano dell’11 dicembre 2005, su di un’epigrafe composta di otto versi, unica nel suo genere, collocata nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura a Roma.
È la sola conosciuta, tra le epigrafi cristiane antiche, in cui si accenna esplicitamente alla transustanziazione, cioè al fatto che nella santa messa il pane e il vino diventano vero corpo e vero sangue di Cristo.
Si legge infatti nel testo, al verso 6, che sull’altare è offerto il sangue (“
cruor”) del Signore, che sembra (“videtur”) vino, ma è quel sangue sgorgato insieme all’acqua dal costato di Gesù Cristo crocifisso.

I versi sono esametri, mutili all’inizio e alla fine, in parte perché scomparsi per il taglio della lastra di marmo su cui furono incisi, in parte perché coperti dalle strutture che attualmente inglobano la lastra, e appaiono anche parzialmente nascosti da una grande croce mosaicata di opera cosmatesca scolpitavi sopra. Questo stato di cose lascia delle incertezze sull’integrazione di alcune parole, senza però impedire la comprensione del testo.
La lastra, che in antico fu smontata dalla sua posizione originaria e venne riutilizzata nel Medioevo, è ora murata nel soffitto del vestibolo che introduce alla cripta che custodisce le reliquie dei martiri Lorenzo, Stefano e Giustino, e ne rimane attualmente visibile una parte che misura 113x102 cm. Venne messa in questa posizione in occasione del rifacimento della Basilica ad opera di papa Onorio III (1216-1227), che ingrandì la precedente Basilica di papa Pelagio II (579-590) orientandola in maniera opposta, creò la cripta, rialzò parte dell’edificio del VI secolo facendone il presbiterio e vi collocò, in corrispondenza della tomba di Lorenzo, l’altare centrale, trasportandovi il ciborio, che attualmente lo sovrasta, costruito nel 1148 (vedi box alle pp. 93-94).




L’epigrafe (trascritta qui accanto con le integrazioni proposte da Antonio Ferrua più una variante di Felice Grossi Gondi al verso 6) è anche la più antica in lingua latina che ricorda in genere il
sacramento dell’eucaristia: in considerazione dello stile, della paleografia e del contenuto, è attribuibile al più tardi al V secolo. Quasi certamente proviene dalle immediate vicinanze del luogo in cui è ora collocata, e in essa si parla anche del sacramento del battesimo, che certamente doveva essere amministrato presso la tomba di Lorenzo. Per via della sua datazione è probabilmente da mettersi in relazione con la prima Basilica eretta sotto il pontificato di papa Silvestro (314-335) dall’imperatore Costantino, secondo la testimonianza del
Liber Pontificalis, «via Tiburtina in agrum Veranum» (ed. Duchesne, I, p. 181). Di un battistero attribuibile a questa Basilica non sono state trovate tracce archeologiche, ma sappiamo della sua esistenza da quanto si può leggere nello stesso Liber Pontificalis in relazione alle biografie di papa Sisto III (432-440; I, p. 234) e di papa Ilaro (461-468; I, p. 244), i quali entrambi fecero donativi alla Basilica per l’amministrazione del battesimo. Anche se non sappiamo se il fonte battesimale fosse interno all’edificio o se il battistero facesse corpo a sé, separato, tuttavia si può pensare che l’epigrafe fosse collocata e visibile lungo il tragitto per il quale i catecumeni passavano per andare a ricevere il sacramento.

Le epigrafi cristiane dei primi secoli in cui si parla dell’eucaristia sono rarissime; più antiche di quella in San Lorenzo fuori le Mura se ne conoscono due, entrambe in lingua greca, una di provenienza orientale, l’altra occidentale. La prima è il notissimo carme di Abercio vescovo di Hierapolis, capitale della Phrygia salutaris, databile agli ultimi anni del II secolo, in cui si nomina Gesù con la parola ’Icthùs (“pesce”), cioè “Iesùs Xristòs Thèou Uiòs Sotèr” (“Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”): «... la fede mi condusse in ogni luogo e dovunque m’imbandì come alimento il pesce di fonte, grandissimo, puro, che la santa vergine prende e lo porge agli amici perché si nutrano sempre, avendo un vino gradevole che ci offriva misto (con acqua) insieme al pane ...». Contemporanea o di qualche anno più tarda è la seconda epigrafe, sulla quale è inciso il carme sepolcrale di Pettorio di Augustodunum (Autun, Francia). I primi versi dicono: «Divina stirpe del pesce celeste, serba un cuore puro; tu che hai ricevuto la vita immortale, tra i mortali, nelle acque sacre, accendi il tuo cuore, amico, nelle acque perenni della munifica sapienza; ricevi l’alimento dolce come il miele del Salvatore dei santi, mangia avido [affamato], tenendo il pesce nelle [tue] mani. [Nutrimi] dunque del pesce, ti prego, Signore salvatore [...]» (le traduzioni sono da P. Testini, Archeologia cristiana, Edipuglia, Bari 1980, pp. 422-423 e 425).

Affresco proveniente dalla chiesa di papa Pelagio II, particolare della figura 
di san Lorenzo 
(datazione tra VIII 
e XI secolo),  navata destra della Basilica 
di San Lorenzo
fuori le Mura

Affresco proveniente dalla chiesa di papa Pelagio II, particolare della figura di san Lorenzo (datazione tra VIII e XI secolo), navata destra della Basilica di San Lorenzo fuori le Mura

L’epigrafe eucaristica di San Lorenzo, pur già presente in alcune raccolte del Settecento e dell’Ottocento, fu studiata analiticamente e pubblicata dal padre gesuita Felice Grossi Gondi (L’iscrizione eucaristica del secolo V nella basilica di S. Lorenzo al Verano, in Nuovo Bullettino di Archeologia Cristiana, 1921, pp. 106-111). A lui si deve una prima integrazione dei versi mutili, e la datazione al IV-V secolo sulla base di varie particolarità del testo e del contenuto: le imprecisioni metriche, l’uso del termine “paradisus” e il costume di ricevere il sacramento del battesimo in età adulta, che cessa verso la metà del V secolo. Una nuova pubblicazione del testo (con alcune correzioni) fu poi fatta, in tempi più recenti, da padre Antonio Ferrua (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, vol. VII, 1980, n. 18324, pp. 164-165).

Forse solo pochi anni prima della composizione dell’epigrafe, scriveva le stesse parole san Cirillo vescovo di Gerusalemme: «tu credi con assoluta certezza che quello che sembra pane non è pane, sebbene così sia percepito dal senso del gusto, ma il corpo di Cristo, e quello che sembra vino non è vino, sebbene così appaia al gusto, ma il sangue di Cristo» (Catechesis mystagogia 4, 9).


Guarda, tu che passi, intendi quanto sia breve la vita, e raddrizza il viaggio della tua nave all’approdo del Paradiso, là dove il tuo porto sarà vedere il Signore. Dica ormai chiunque beve queste specie consacrate: “Tu sei la somma gloria, il Signore, il lume, la sapienza, la virtù, il cui [o: vero] sangue è sull’altare e sembra vino; tu, che nella tua onnipotenza concedi con un’opera di mirabile misericordia l’acqua scaturita dal tuo fianco a coloro che sono stati purificati nel battesimo”.



[SM=g1740738]

Fraternamente CaterinaLD

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23/11/2012 10:50
 
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All'udienza generale dello scorso 3 ottobre, Benedetto XVI ha voluto sottolineare la centralità della liturgia, e ha insegnato che essa "non è una specie di 'auto-manifestazione' di una comunità", ma "implica universalità e questo carattere universale deve entrare sempre di nuovo nella consapevolezza di tutti. La liturgia cristiana è il culto del tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio. E’ il culto del cielo aperto". È estremamente significativo che un discorso così denso sia stato pronunciato proprio nell'imminenza dell'apertura dell'Anno della Fede: ciò testimonia del ruolo fondamentale che Benedetto XVI assegna alla liturgia nel suo magistero e anche nella nuova evangelizzazione.

A cinque anni dall'entrata in vigore del Motu Proprio e in vista dell'ormai imminente pellegrinaggio "Una cum Papa nostro", che porterà a Roma il "popolo del Summorum Pontificum", abbiamo chiesto a uno dei più profondi conoscitori del pensiero liturgico del Papa, don Nicola Bux, di fare il punto sullo status quaestionis. Autore del best-seller "La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione", Don Nicola è, fra l'altro, Consultore dell'Ufficio per le celebrazioni liturgiche del Santo Padre e della Congregazione per il Culto Divino.




1) Don Nicola, 49 anni dopo la sua promulgazione, la costituzione apostolica Sacrosanctum Concilium sembra ancora essere lettera morta in tante diocesi del mondo. Per non parlare della riforma della riforma di Papa Benedetto, della quale lei è un ardente promotore, che fatica ad arrivare nelle nostre parrocchie: in Italia come in Francia, pochi altari e santuari sono stati ripristinati per rispondere all'invito pontificio a una maggiore solennità del culto liturgico. Come spiega questa distanza tra gli orientamenti liturgici romani e la realtà delle messe domenicali?

NB: La Chiesa, lo sappiamo dalla sua storia, si sviluppa mediante riforme e non rivoluzioni, diversamente dal mondo.Perchè sono i suoi uomini a dover cambiare il cuore e la mente, e poi ciò influisce positivamente sul cambiamento delle strutture: un cambiamento che è come lo sviluppo organico del corpo, senza abnormità o sussulti.
Così avviene per la sacra liturgia: si sviluppa in modo quasi impercettibile da forme preesistenti; se invece ce se ne accorgesse bruscamente, vorrebbe dire che non è avvenuto un 'aggiornamento' ma un cambiamento da una cosa ad un'altra, per cui la norma della preghiera (lex orandi) non corrisponde alla norma del credo(lex credendi). Si è caduti in errore e persino in eresia.

Dell'opera di riforma di papa Benedetto XVI, non solo della liturgia ma della Chiesa, visto lo stretto rapporto tra le due, ci si accorge che non è altro che l'attuazione della Costituzione liturgica del Vaticano II, solo se interviene la osservazione appena indicata. Il problema pertanto non è innanzitutto di ripristinare l'altare in modo che si possa celebrare nelle due forme del rito romano, ma di favorire la rinascita del sacro nei cuori, ossia la percezione che Dio è presente tra noi e quindi il culto è divino, la liturgia è sacra se riconosce la Sua presenza, cioè la adora, e implica gli atteggiamenti conseguenti: inginocchiarsi, raccogliersi, far silenzio, ascoltare ecc.
[SM=g1740733] Quanto alla distanza tra la liturgia papale e quelle locali, c'è da riflettere: siamo cattolici se riconosciamo il primato del Successore di Pietro, ossia la responsabilità personale datagli dal Signore sulla Chiesa universale; ora, se nella Chiesa universale vi sono diversi riti in specie orientali, a capo dei quali stanno i patriarchi, a capo di quello romano c'è il Vescovo di Roma che, celebrando in san Pietro o nei viaggi apostolici, opera la salvaguardia dell'unità sostanziale del rito romano nelle diversità locali (cfr SC 38).
Per queste ragioni, la liturgia celebrata dal Vescovo di Roma, non solo è esemplare ma typica, ovvero normativa, in quanto attua le prescrizioni dei libri liturgici, come tutti sono tenuti a fare ovunque, se sono cattolici.



2) Si sa bene ormai che il Santo Padre propone e non impone. Così sembra fare il Culto divino che pubblica molti documenti ma senza ricorrere a misure normative, pensiamo in particolare alla questione della comunione in mano che è emblematica di un abuso divenuto legge. Da due anni, lei è consultore della Congregazione per il Culto Divino: qual è il potere reale della congregazione in materia?

NB: Il Santo Padre non propone sue idee sulla liturgia, ma custodisce e innova quanto la Chiesa riceve dalla tradizione apostolica e da Gesù stesso.
Nè una proposta nè una imposizione, bensì l'obbedienza a Qualcosa che viene sempre prima di noi e che da noi è ricevuto. [SM=g1740722]
I documenti dei dicasteri della Curia romana devono solo tradurre in atto tutto ciò, incluse le misure normative e le sanzioni previste dal diritto canonico.
Un esempio: l'Istruzione Redemptionis Sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare nella SS.Eucaristia. Chi è al corrente, per esempio, della differenza tra legge e indulto? Perciò non sa risolvere la questione del modo di fare la S.Comunione.

Il punto è che oggi va ricompreso nella liturgia non solo, ma nella Chiesa, il diritto di Dio, il suo primato e le conseguenze che ha sull'etica come sul culto a lui dovuto. Possiamo noi inventarci la legge morale? Nemmeno dunque potremmo inventarci il culto senza cadere nel peccato di farci un dio a modo nostro, ossia l'idolatria. Su questa questione per fortuna proprio Joseph Ratzinger aprì il dibattito con il noto testo Introduzione allo spirito della liturgia; raccolto esemplarmente dal cardinal Raymond Leo Burke ne: La Danza vuota intorno al Vitello d'Oro, ed.Lindau, e recentemente dal libro di Daniele Nigro, I diritti di Dio. La liturgia dopo il Vaticano II, ed.Sugraco.


3) Nella lettera ai vescovi che accompagna il Summorum Pontificum, il Santo Padre invitava all'arricchimento mutuo delle due forme dell’unico rito romano ma per arrivare a quest'arricchimento ci deve prima essere un incontro fra le due liturgie. Come si fa se la forma straordinaria rimane fuori dalle parrocchie: non è la messa parrocchiale il luogo naturale per quest'incontro?

NB: Il Santo Padre ha ripristinato il rito romano celebrato fino al Vaticano II, definendolo 'forma extraordinaria' rispetto a quella ordinaria uscita dalla riforma post-conciliare. Lo ha fatto perchè consapevole a motivo degli studi fatti e dei rapporti con insigni studiosi della liturgia, alcuni dei quali periti conciliari, che non erano soddisfatti di quanto si era riformato, ma nemmeno dello stato precedente: si pensi a Joseph Andreas Jungmann, autore di Missarum Sollemnia. Di qui la ragione innanzitutto dell'arricchimento mutuo tra le due forme, da perseguire con avvedutezza e pazienza, cosa che avviene celebrandole entrambe come sta già avvenendo dappertutto.
Non è vero che il Papa ha pubblicato il Motu proprio per fare un piacere alla Fraternità Sacerdotale San Pio X: è del tutto alieno dal suo stile e dal suo pensiero. E' vero invece che deve portare la pace in tutta la Chiesa, dopo decenni di abusi e teoremi, resistenze e indulti.
L'incontro tra le due forme avviene semplicemente celebrandole da parte del medesimo sacerdote e offrendole ai fedeli.
Ma ci vorrà tempo per prepararsi, perchè molti ecclesiastici non conoscono più il latino; e si devono preparare anche i fedeli all'attuazione piena dei n 36 e 54 della Costituzione liturgica che prevedono l'affiancamento delle lingue correnti al latino, lingua dell'unità della Chiesa universale.

Domando: è più giusto che in un santuario come Lourdes si celebri la Messa 'internazionale', in più lingue, sicchè ogni gruppo ne capisca la quinta parte? Oppure una Liturgia cattolica, nella lingua latina che fa sentire tutti membri dell'Una Santa Cattolica e Apostolica? [SM=g1740721]
Per mettere i fedeli in condizione di capire, è necessario cominciare con sussidi bilingue, e in ogni cattedrale e parrocchia si arrivi a celebrare la Messa secondo il dettato del n 36, come sta facendo il Papa ovunque vada. Questo si può fare anche col Messale di Paolo VI editio typica latina. Perchè la Chiesa universale deve ricorrere all'inglese, quando ha la sua koinè nella veneranda lingua latina?



4) A inizio settembre, ha partecipato a un incontro in Brasile sul Summorum Pontificum, promosso da alcuni vescovi: può dirci che cos'ha visto e imparato da questo viaggio?

NB: Ho imparato ancora una volta come sia vero ciò che dice il Signore nell'Apocalisse: "Ecco io faccio nuove tutte le cose"(21,5). Dove primeggiava la teologia della liberazione, si va affermando la Messa in forma extraordinaria, in molte città del Brasile. Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici in modo sereno e costruttivo attuano l'insegnamento di Benedetto XVI, si celebra nelle due forme del rito romano e si affronta il dibattito secondo il metodo suggerito da san Pietro: Adorate nei vostri cuori il Signore Cristo, sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi, con dolcezza, rispetto e buona coscienza(cfr 1 Pt 3,15-16).


5) Infine, sabato 3 novembre, in basilica vaticana, il cardinale Cañizares, Prefetto del Culto divino, celebrerà la forma straordinaria in chiusura del pellegrinaggio del popolo Summorum Pontificum a Roma. Che cosa le suggerisce questa notizia: possiamo vedere in questo gesto di colui che è il custode della liturgia per il Santo Padre un esempio dello spirito autentico della comunione ecclesiale che è tanto mancata nel tormentato post-concilio?

NB: Il gesto del Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti vuole dimostrare una voltà di più che nessuno è di troppo nella Chiesa, come disse il Papa ai Vescovi francesi nel suo viaggio in Francia nel 2008. La sacra liturgia si differenzia dalle devozioni private per il fatto che è il culto pubblico della Chiesa e non la devozione di singoli, di gruppi o di movimenti. A questi possono essere stati concessi alcuni adattamenti, ma nella salvaguardia dell'unità del rito romano nelle sue due forme ordinaria e extraordinaria. Non sono ammesse altre forme per gruppi particolari. Tuttavia ritengo che per il Papa l'urgenza grande è che il rito romano innanzitutto nella forma ordinaria sia celebrato con fede, dignità e osservando le prescrizioni dei libri liturgici.
In tal modo, la Messa in forma extraordinaria promossa dal Coetus Internationalis Summorum Pontificum deve rappresentare un segno di obbedienza e comunione col Papa. Senza la comunione affettiva ed effettiva col Sommo Pontefice e i Vescovi uniti con lui, non si può dire d'essere cattolici. Chiederemo istantemente al Signore l'unità - viene da unus cioè stare insieme intorno ad Uno - e la pace, sinonimo della comunione - viene da cum-munera - mettere insieme i carismi di ciascuno. E speriamo che cessino le rivalità e l'autoaffermazione, e si promuova la fraternità tra tutti nella carità di Cristo, a cominciare dal proprio ambiente, regione e nazione.


[SM=g1740722] http://it.paix-liturgique.org/?force=1

[Modificato da Caterina63 23/11/2012 10:56]
Fraternamente CaterinaLD

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04/09/2013 12:38
 
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"Radicati nella fede" - Editoriale del mese di settembre 2013




SE TOCCHI LA MESSA CROLLA IL PAPATO

  Gran parte del cattolicesimo cosiddetto “conservatore” sta commettendo un errore gravissimo: per salvare ciò che resta della presenza cattolica nel mondo, per rendere più forte la missione della Chiesa nella società secolarizzata, per tentare un sussulto di orgoglio cattolico di fronte alla stanchezza dilagante di molti settori ecclesiali, sta puntando tutto sul Papa. Inoltre gestisce questa attenzione sul Papa esattamente come fanno giornali, televisione e siti internet, che esaltano la figura umana del pontefice sottolineando con orgoglio l'attenzione popolare sulla sua persona. Si comportano esattamente come fa il mondo senza fede o non preoccupato della fede, che parla dei raduni oceanici intorno al vicario di Cristo, dei suoi gesti eclatanti, delle scelte controcorrente che sembra fare.

 No, non è dal Papa che occorre partire, per salvare la vita cattolica tra di noi, non è proprio dal Papa, bensì dalla Santa Messa, dalla Santa Eucarestia.

 Per spiegarci ricorriamo ad un autore spirituale tra i più importanti del '900, Dom Chautard, abate della Trappa di Sept-Fons. In un suo testo in cui spiega la vocazione cistercense, Les cisterciens Trappistes, l'ame cistercienne, ad un certo punto l'abate benedettino racconta di un suo colloquio con il primo ministro francese Clemenceau, il famoso “Tigre”. Si era negli anni delle soppressioni degli ordini religiosi, e Dom Chautard era incaricato del delicato compito di salvare la presenza monastica in Francia. Così si trovò a colloquio con il radicale e anticlericale “Tigre”.

 Crediamo molto utile tradurre e trascrivere ciò che l'abate riferisce del loro parlare:

 “Mi accingerò - è Dom Chautard che parla a Clemenceau - a rispondere alla vostra domanda: Che cos'è un Trappista? Perché vi siete fatto Trappista? E per non allargarmi oltre misura, mi accontenterò di questo argomento: una religione che ha per base l'Eucarestia, deve avere dei monaci votati all'adorazione e alla penitenza.

 “L'Eucarestia è il dogma centrale della nostra religione. Lo si è chiamato il dogma generatore della pietà cattolica.

 “Non lo è il papato, come sembrate credere.
 “Il papato non è che il porta parola di Cristo. Grazie ad esso i fedeli custodiscono intatto il dogma e la morale insegnata da Gesù Cristo. Esso è la protezione che ci mantiene sulla strada tracciata in modo preciso dal nostro divino fondatore. Ma è solo Cristo che resta Via, Verità e Vita.
 “Ora, il Cristo non è un essere scomparso dove non sappiamo, né un essere lontano al quale pensiamo. Egli è vivente; abita in mezzo a noi; è presente nell'Eucarestia. Ed è per questo che l'Eucarestia è la base, il centro, il cuore della religione. Da là parte ogni vita. Non da altrove.

 “Voi non ci credete. Ma noi ci crediamo, noi. Crediamo fermamente, risolutamente, nel fondo del nostro essere, che nel tabernacolo di ognuna delle nostre chiese, Dio risiede realmente sotto l'apparenza dell'Ostia.

 E' chiaro, il dogma centrale del cristianesimo è la Santa Eucarestia, tutto parte da lì, non da altrove... e se diminuisce la fede nel dogma centrale, nella Santa Eucarestia, tutto crolla nel cristianesimo, nella Chiesa. E non è stato forse così in questi anni? Pensiamo alle nostre chiese, con dentro Cristo “abbandonato”. Si è fatto di tutto per nascondere il tabernacolo, e quando non lo si è nascosto in qualche antro secondario, con la scusa che lì i fedeli avrebbero adorato meglio, quando lo si è lasciato centrale nella chiesa, lo si è coperto con tutto e di più: con i tavoli per celebrare la nuova Messa e con tutto un ciarpame di cose che rivelano solo, oltre il cattivo gusto, il disordine mentale del cattolicesimo di questi anni, che non ha certo fatto dell'Eucarestia il dogma centrale della fede. Pensiamo alla quasi scomparsa nelle chiese della genuflessione e del raccoglimento: in chiesa bisogna custodire il silenzio, sempre, perché Dio è presente nel tabernacolo: è Lui che fa vera la nostra preghiera, e non il nostro agitarci e il nostro fare baccano.

 Ma Dom Chautard nel suo lungo discorso a Clemenceau, arriva a parlare della Messa, ascoltiamolo:
 “La Messa, è il sacrificio divino del Calvario che si riproduce ogni giorno in mezzo a noi. Tutti i giorni, il Cristo offre a Dio la sua morte per le mani del prete, esattamente come in cielo nella Messa di gloria egli presenta a suo Padre le cicatrici gloriose delle sue piaghe per perpetuare l'efficacità redentrice della croce. Tutti i giorni, alla Messa, il Cristo rinnova l'opera immensa della redenzione del mondo.

 “E a questo avvenimento, il più grande che possa accadere sulla terra, più importante che il rumore degli eserciti, più salutare che la più feconda delle scoperte scientifiche, voi pensate che potremmo assistervi senza un fremere di tutto il nostro essere... non ci si abitua alla Messa. O allora che sarebbe la nostra fede?
(…) All'Amore crocifisso, noi cerchiamo di rispondere con un amore crocifiggente... Voi vi scandalizzate del nostro genere di vita; lo trovate contro natura. Sì, lo sarebbe se noi non avessimo la fede nell'Eucarestia. Ma crediamo al divino Crocifisso e l'amiamo; e vogliamo vivere come lui, noi che per la comunione partecipiamo alla sua vita.

 Carissimi, ma è ancora questa la fede realmente vissuta nella maggioranza delle nostre chiese. La Messa è ancora intesa così? Come il sacrificio divino del Calvario? Chi parla con questa chiarezza della Messa? Al di là dei cosiddetti “tradizionalisti”, c'è ancora qualcuno che si esprime in questo modo parlando dell'Eucarestia?

 È avvenuto uno spaventoso mutamento nella fede e nel vissuto di quasi tutti i cattolici, e si chiama protestantizzazione: come dicevano i Cardinali Ottaviani e Bacci a Paolo VI nel loro Breve esame critico: “il Novus Ordo Missæ, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i «canoni» del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del magistero.”

 Anche qui è ribadito ciò che è stato detto da Dom Chautard: il centro del cattolicesimo è l'Eucarestia, è la Messa; il Concilio di Trento fissando definitivamente i canoni del rito aveva eretto una barriera per salvare l'integrità del magistero...

 Così è drammaticamente avvenuto che toccando i canoni del rito tutto è andato insieme, nulla sta più in piedi nel “nuovo” cattolicesimo. Martin Lutero lo aveva detto, non perdete tempo ad attaccare il papato, combattete la Messa cattolica e il papato crollerà con essa.
 Per questo, per amore alla Chiesa tutta, della sua dottrina e della sua disciplina, per amore del Papa Vicario di Cristo in terra, siamo chiamati semplicemente a custodire il rito della Messa così come fissato da Trento e da San Pio V. Non c'è nulla di più urgente perché la Chiesa, il Papa, possano vivere.
 


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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08/10/2013 18:56
 
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balaustre e iconostasi

 
 
Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
 
BALAUSTRA E ICONOSTASI:
QUALCHE CONSIDERAZIONE

 
 
Papa Benedetto XVI, nel suo discorso di commiato al Clero romano, dedicato al senso del Concilio Vaticano II, attribuiva certe deviazioni nella Riforma liturgica postconciliare all'azione “virulenta” di una corrente di pensiero, che ha preso il sopravvento anche in campo cattolico. Ai seguaci -spiega il Papa- non interessava la Liturgia come atto di fede, come realtà “sacra”, ma come luogo dove la Comunità fa “delle cose comprensibili; intelleggibili”. C'era la tendenza a pensare e a dire: 'la sacralità è una cosa pagana, eventualmente dell'Antico Testamento. Nel Nuovo Testamento, invece, vale solo il fatto che Cristo è morto fuori dalle porte della Città Santa; fuori dal Tempio: nel mondo profano'. La sacralità, quindi, è da considerarsi terminata, superata. Profanità anche del Culto, dunque, che è atto dell'insieme; partecipazione comunitaria. E 'partecipazione' vuol dire: 'attività'; 'fare delle cose'” (BENEDETTO XVI, Conversazione con il Clero di Roma–14.2.2013. Cfr. L. BOUYER, Cattolicesimo in decomposizione, Brescia 1969. J. RATZINGER, Introduzione allo spirito della Liturgia, Torino 2001).

La corrente ideologica, disapprovata da Benedetto XVI, è in contrasto con i reperti storici-archeologici-liturgici del Cristianesimo primitivo, generali e costanti. Fin dai primi tempi, nel luogo di preghiera della Chiesa cristiana si nota una distinzione tra la parte riservata al Popolo, Navata, e la parte che custodisce l'Altare, detta Santuario, venerata come riproduzione terrestre del Santuario del Cielo, non meno del Tabernacolo di Mosè e del Tempio di Salomone (Es 25, 8-9. 40; 26, 31-37; 30, 1-9. Lev 16, 12-13. Sap 9, 8. 1Re 6-9, 1-9).

La distinzione è segnata da una cancellata-balaustra, intesa come simbolo della mistica linea di confine tra cielo e terra. La Chiesa crede di attraversarla realmente ogni volta che, nella Liturgia, celebra l'unico, perfetto, Sacrificio della Croce, presentato da Cristo “oltre il secondo velo del Tempio”, “una volta per sempre” (Mt 27, 51. Ebr 9, 1-14).

Si realizza, così, un'ineffabile comunicazione tra altare terrestre e altare celeste. La Tradizione apostolica è esplicita: “Supplices te rogamus, omnipotens Deus: iube haec perferri per manus sancti Angeli tui in sublime altare tuum, in conspectu divinae Maiestatis tuae: ut quotquot ex hac altaris participatione, sacrosanctum Filii tui Corpus et Sanguinem sumpserimus, omni benedictione coelesti, et gratia repleamur. Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen (Supplici Ti preghiamo, Dio onnipotente: ordina che queste Offerte siano portate per mano del tuo Angelo santo sul tuo altare sublime del cielo, al cospetto della tua Divina Maestà, così che quanti dalla partecipazione a questo altare, riceveremo il sacrosanto Corpo e Sangue del Figlio tuo, siamo ricolmati di ogni grazia e benedizione celeste. P.C.N.S. Amen)(CANONE ROMANO. Ebr 6, 19-20; 8, 5-6. Apoc 6, 9; 8, 3).

L'Iconoclastia (Sec. VIII) incrementò, per reazione, la consuetudine di appendere icone e tende all'architrave di collegamento tra le colonne della balaustra, la quale è così diventata una parete ricoperta di icone (Iconostasi), disposte su uno o più livelli o registri; uno, di solito, in Grecia, Anatolia, Macedonia, Italia, Grado, Venezia-Friuli, senza differenze; cinque o sei, nei Paesi slavi (Cfr. B. BAGATTI, Alle origini della Chiesa, vol. II, Città del Vaticano 1982, 20-21, 125, 178. L. BOUYER, Architecture et liturgie, Paris 1967).

“Ci sarà l'Iconostasi?”, questa la prima, spontanea domanda di una devota al suo Parroco ortodosso, missionario in Italia, sul punto di aprire al culto una chiesa, già cattolica. Per l'Ortodosso, una chiesa senza iconostasi non è una chiesa, come, un tempo, una chiesa senza balaustra per un Cattolico.

Agli occhi del fedele ortodosso, l'iconostasi non è parete di separazione, ma di congiunzione; non schermo opaco, che impedisce di vedere ciò che avviene all'altare, ma diaframma trasparente, che permette di vedere meglio la realtà più profonda e più vera di quanto si compie: il Mistero, reso presente dalla Liturgia, infinitamente superiore al visibile e al comprensibile. A nessuno verrebbe mai in mente di eliminarla come una barriera discriminatoria e classista, per consentire ai fedeli di osservare meglio quello che fanno i Sacerdoti dietro (lo fece il Patriarca di Venezia Angelo Roncalli (1953-1958), che, malgrado i suoi vent'anni di Nunziatura in Bulgaria, Turchia e Grecia (1925-1944), tolse i pannelli della balaustra-iconostasi di San Marco).

Col recinto simbolico della balaustra la Chiesa segnala il luogo dove avvengono “i divini, sacri, immacolati, immortali, celesti, vivificanti e tremendi Misteri” (LIT. di S. G. CRISOSTOMO).

L'Iconostasi, sviluppo naturale della balaustra, è il mega-video-schermo, sul quale la Chiesa proietta la sua coscienza dello stesso Mistero. Riassunto dei momenti e dei personaggi fondamentali. Vera e propria 'Summa theologica visiva'.
 
Fraternamente CaterinaLD

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30/03/2014 13:11
 
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IL VELO O CONOPEO DELLA PISSIDE, QUESTO SCONOSCIUTO.

                                  


Tra le sacre suppellettili che la tradizione ci consegna, probabilmente il velo che ricopre la pisside è il meno conosciuto.
Credo che solo chi per questioni di età abbia avuto modo di partecipare alla messa preconciliare, possa ricordarlo.

Eppure un tempo era corredo integrante della Pisside stessa.

Ne era prescritta la confezione usando tessuti preziosi come la seta, ancor meglio se arricchiti in trama ed ordito con filo d'oro.
Anche la decorazione doveva essere importante, con ricami in oro ed argento.
Dunque doveva presentarsi ricco e solenne, ma non rigido o pesante al punto da renderne difficoltoso l'utilizzo.

Del conopeo si parla nell' ORNATUS ECCLESIAE, laddove si prescrive che "per la pisside si appresti una sorta di piccolo piviale, in stoffa d'oro o argento ove possibile o comunque ornato con gemme e pietre preziose".

PERCHE' TANTA ATTENZIONE ALLA "RICCHEZZA" DEL CONOPEO?
Prendo a pretesto la questione del conopeo, per estendere la faccenda a tutti i paramenti e sacre suppellettili.

Il conopeo della pisside deve essere ricco, poiché deve formare il manto regale per il trono del "Dio nascosto".

Che non è molto diverso dall'affermare che anche una casula e tutto il parato ecclesiastico debba essere egualmente ricco poiché usato nel momento della discesa dello Spirito Santo sui fedeli.

HAI MAI VISTO QUANTI TIPI DIVERSI DI CONOPEI CI SONO IN GIRO?

Io ne ho sintetizzati 4 tipi:

1 - A PIVIALE , ovvero una quasi ruota a cui si asporta una piccola porzione di tessuto. Sembra davvero un piccolo piviale antico.
2 - A CROCE GRECA, ottimo per i tessuti più preziosi, semplice da realizzare
3- POLIGONALE, il più complesso poiché costituito da 4 facce sagomate e cucite insieme successivamente
4- A PAENULA, come l'antico mantello. In sostanza si tratta di una circonferenza con un buco adeguato al centro per la croce.
Ovviamente questa variante va bene per i tessuti più semplici. 

                           

                              

Ancora una volta, è da attribuirsi a San Carlo Borromeo con le sue Instructiones, la codifica della fattura ed utilizzo di questa sacra suppellettile, poiché in realtà nei tempi precedenti e massimamente nel Medio Evo, le abitudini erano differenti.

ANCHE OGGI LE ABITUDINI SONO DIFFERENTI : NESSUNO USA PIU' IL CONOPEO....



                                                    

                                                   




 

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