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Quella mania di complicare sempre tutto..... K. Rahner non aveva altro da fare?

Ultimo Aggiornamento: 01/02/2018 08:03
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 [SM=g1740722] stupenda parodia (seria) di padre Giovanni sul suo blog: senza peli sulla lingua....

Qualcuno scrisse che acune innovazioni del Conclio Vaticano II hanno portato alla BUROCRATIZZAZIONE della Chiesa COMPLICANDONE I MECCANISMI... Occhi al cielo
possiamo dargli torto?
Allora gustatevi questa rflessione di padre Giovanni.... Ghigno

E se provassimo a semplificare un po' la "questione lefebvriana"?

Vi ricordate l'UCAS? Se ne parlava qualche anno fa: Ufficio Complicazione Affari Semplici. Nonostante passino gli anni e i tempi cambino, ho l'impressione che continui a essere un ufficio molto affollato, con una fila interminabile di aspiranti fuori della porta in attesa di essere assunti e con un sacco di clienti.

Io da parte mia ho sempre cercato di starne alla larga; anzi, ho aperto un ufficio per mio conto: l'USAC (Ufficio Semplificazione Affari Complicati).
Per il momento ne sono fondatore, direttore e unico impiegato (mi tocca anche aprire la porta e rispondere al telefono). Clienti, pochi.
A tutt'oggi non ho ricevuto nessuna richiesta di impiego.

Non solo, ma spesso il nostro lavoro non è molto apprezzato, è guardato con una certa sufficienza, quando non è addirittura disprezzato.
La concorrenza (l'UCAS) ci considera degli sprovveduti, quasi che non ci rendessimo conto della complessità della realtà. E invece è proprio perché siamo pienamente consapevoli che la realtà è estremamente complessa di suo, che abbiamo aperto l'ufficio.
C'è stato un momento in cui, in preda alla depressione, siamo stati tentati di chiudere baracca e burattini e dedicarci ad altra attività. Ma poi, a un certo punto, prima di gettare la spugna, abbiamo voluto fare un ultimo tentativo: perché non provare ad adottare qualche nuova strategia di marketing per offrire i nostri servizi a un maggior numero di utenti? Forse, allargando il mercato, qualcuno scoprirà che, oltre l'UCAS (che tutti conoscono), esiste anche l'USAC (che finora nessuno conosce), e potrebbe magari incominciare ad apprezzare il nostro lavoro. Cosí, abbiamo messo da parte le vecchie scartoffie e abbiamo deciso di metterci sul web.
È andata bene.

Avevamo preparato uno studio sul Concilio, che fino ad allora nessuno aveva preso sul serio; diffuso su internet, ha subito suscitato interesse. Ah, dimenticavo, nel frattempo abbiamo stretto una collaborazione con un ufficio corrispondente in Francia; è gestito da una donna (una certa Beatrice); anche lei è sola, ma piú efficiente di una squadra. Ebbene, Beatrice ha tradotto lo studio in francese, ed è avvenuto un piccolo miracolo: è stato ripreso da diversi siti (dalla Francia poi è rimbalzato di nuovo in Italia), ed è stato trovato "molto interessante" dai lefebvriani.

 Ho l'impressione che quello studiolo un piccolo merito ce l'abbia. Non avete notato come ora la posizione dei lefebvriani sul Concilio sia molto piú sfumata? Prima era un "no" secco (anche dopo il discorso del Papa alla Curia Romana), adesso è un "ni": "Non siamo contro tutto il Concilio, ma solo contro alcuni punti...".
È già un grande passo avanti.
È vero che nel frattempo c'è stato il motu proprio Summorum Pontificum, è vero che c'è stata la revoca della scomunica, è vero che c'è stata la mazzata del caso Williamson; tutto vero, ma nessuno mi toglie dalla mente che un piccolo, piccolissimo contributo sia venuto anche dal lavoro del nostro ufficio.
Se non altro, grazie ad esso, i lefebvriani si sono accorti che è possibile discutere del Concilio da dentro la Chiesa, senza il bisogno di restarne fuori.

Io mi sono permesso di criticare il Concilio; eppure sono in piena comunione col Papa, col mio Vescovo e con i miei Superiori religiosi. Nessuno finora ha pensato di sospendermi a divinis né, tanto meno, di scomunicarmi, per aver liberamente espresso le mie idee in proposito. Perciò se lo posso fare io, perché non potrebbero farlo anche loro?

A questo punto, imbaldanzito dall'imprevisto successo riportato dal nostro ufficio, mi son detto: perché non fare un altro passetto avanti? Perché non provare a dipanare la matassa, che appare ancora cosí ingarbugliata? Io ci provo; tanto, non c'è niente da perdere. Al massimo la concorrenza (l'UCAS) potrà farsi quattro risate alle nostre spalle, compiangendoci per la nostra inguaribile ingenuità e dabbenaggine.

Il Santo Padre, nella sua recente lettera ai Vescovi, ha tenuto a precisare che a questo punto, dopo la remissione della scomunica, il problema non è piú di carattere disciplinare, ma esclusivamente dottrinale: "I problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l'accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi".

A quanto pare, i lefebvriani hanno accolto favorevolmente questo approccio del Pontefice: "La Fraternità Sacerdotale San Pio X assicura Benedetto XVI della sua volontà di affrontare le discussioni dottrinali riconosciute «necessarie» dal Decreto del 21 gennaio" (Comunicato di Mons. Fellay del 12 marzo 2009). Io stesso, devo essere sincero, lí per lí ho preso per buona questa impostazione. Poi però, riflettendoci, a poco a poco sono giunto alla conclusione che non è questo l'approccio migliore. Vogliamo dunque provare a semplificare il piú possibile la questione, ridurla ai suoi termini essenziali?

Personalmente credo che i "colloqui dottrinali" tra la FSSPX e la Congregazione per la Dottrina della Fede potrebbero concludersi in non piú di mezz'ora. Cerchiamo di immaginare la scena. Card. Levada: "Siete pronti a emettere la professione di fede secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica?". Mons. Fellay: "Non solo pronti, ma impazienti." Card. Levada: "OK. Si proceda". Mons. Fellay:

"Io Bernard Fellay credo e professo con ferma fede tutte e singole le verità che sono contenute nel Simbolo della fede, e cioè:
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesú Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morí e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato.

Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo.

Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo".


A questo punto, non c'è altro da aggiungere. Questo basta per sanare lo "scisma lefebvriano". Non c'è bisogno di firmare nulla: la professione di fede va emessa (can. 833), non firmata. Se proprio si vuole firmare un pezzo di carta, si può sottoscrivere un protocollo in cui ci si sottomette al Romano Pontefice e ci si impegna a osservare le vigenti leggi della Chiesa (Codice di diritto canonico del 1983). A volere, può seguire un brindisi; ma il tutto può tranquillamente concludersi in mezz'ora.

Ciò fatto, ci si può immediatamente traferire negli uffici degli altri dicasteri della Curia Romana e iniziare la procedura per il riconoscimento giuridico della Fraternità. A questo punto vado in crisi, perché non so quali siano i dicasteri competenti (bisognerà proprio che prima o poi il nostro ufficio si rassegni ad assumere, finanze permettendo, un consulente legale). [SM=g1740725] 

 Suppongo che, se si vuole arrivare alla costituzione di una Prelatura personale (come nel caso dell'Opus Dei) o di varie Amministrazioni apostoliche (come nel caso di Campos in Brasile), ci si debba rivolgere alla Congregazione dei Vescovi. Ma, siccome nella Fraternità sono comprese anche delle comunità religiose, per queste ci si dovrà rivolgere alla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Ma non è questo ora il problema. È ovvio che in questo secondo passaggio non si può pretendere di sbrigarsela in mezz'ora; la procedura sarà necessariamente lunga: si tratta di approvare gli statuti (il diritto particolare o proprio) di queste nuove entità ecclesistiche.

Rimane aperta una questione, quella della sospensione a divinis. Ripeto, non abbiamo ancora un consulente legale; ma ritengo che con la regolarizzazione giuridica della Fraternità, tale censura decada automaticamente. Anche se cosí non fosse, non mi sembra un grande problema revocarla in maniera esplicita. A questo punto, lo "scisma lefebvriano" dovrebbe essere definitivamente rientrato.

Qualcuno penserà: l'USAC, nella sua smania di semplificare, si è dimenticato di un elemento fondamentale, l'accettazione del Concilio Vaticano II. Non ci siamo dimenticati affatto. Personalmente ritengo che il Concilio in sé, come qualsiasi altro atto magisteriale, non possa essere oggetto di contrattazione: o lo si accetta o lo si rifiuta. Se si emette la professione di fede, esso viene implicitamente accettato: "Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo".

Tutt'altra questione è l'interpretazione del Concilio.

Ma questo non è un problema da discutere con i lefebvriani. Questo è un problema dell'intera Chiesa. E non mi sembra che, a tutt'oggi, si abbiano le idee molto chiare (nonostante il magistrale intervento del Papa del 22 dicembre 2005).

Mi chiedo che cosa potrebbe esigere il Card. Levada da Mons. Fellay riguardo al Vaticano II, se neppure noi sappiamo come dobbiamo interpretare questo Concilio.  [SM=g1740727]

A proposito di tale questione, certo non secondaria, il nostro ufficio (l'UCAS) una sua proposta ce l'avrebbe: perché non convocare un sinodo straordinario (oppure la prossima assemblea ordinaria) esattamente su questo tema: "L'interpretazione del Concilio Vaticano II a 50 anni dalla sua convocazione"? In questo sinodo, ovviamente, anche i lefebvriani potrebbero dare il loro contributo. Ma ciò che è importante è che si tratta di una riflessione che l'intera Chiesa deve fare. E prima la facciamo, meglio è.

 [SM=g1740733] [SM=g1740722] [SM=g1740721]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/10/2009 23:46
 
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Alla brillante analisi sopra riportata da padre Giovanni Scalese....inserirò qui alcune parti di una interessante discussione che si sta facendo nel forum dell'amico Daniele di Famiglia Cattolica....
qui potrete leggere l'intera argomentazione:
Extra Ecclesiam nulla salus?

qui a seguire invece alcune parti che ritengo più utili ad una riflessione personale ed anche di ricerca dei fatti riportati...


I punti toccati da hhh (un forumista) sono molti e alcuni sono anche materia di chiarimenti fra la FSSPX e la Santa Sede (anzi, vi ricordo di pregare assiduamente per il buon esito dei lavori)

Se vogliamo fare un discorso SERIO ed evitare di perderci nelle INCOMPRENSIONI DIALETTICHE, occorre ripartire da che cosa fu il Concilio, cosa accadde DOPO IL CONCILIO, gli errori che furono commessi...
Benedetto XVI ci ha reso già un quadro della situazione...sia quando era cardinale sia oggi da Pontefice...

Innanzitutto il Concilio era e doveva essere SOLO PASTORALE...ergo, tutto ciò che DOPO ha contribuito a modificare le dottrine a partire dalla Liturgia, deve essere considerato come UN ERRORE...
attenzione che questo non lo sto dicendo io, ma Benedetto XVI che così spiega al Clero parlando a braccio:

Tra l'altro basta leggere anche le intenzioni con le quali Giovanni XXIII aprì il Concilio senza alcuna intenzione di modificare la TRADIZIONE.... dunque è lecito dire serenamente che i Papi del concilio hanno dichiarato essere loro intento quello di non cambiare la dottrina, di non imporre un insegnamento vincolante, ma solo di presentare la medesima dottrina cattolica in maniera principalmente pastorale o pratica.
.... il Papa, se vuole, può cercare modalità sempre più atte e convincenti per predicare la stessa verità. Tuttavia de facto questo tentativo (come ha riconosciuto anche Benedetto XVI, rispondendo ad un parroco della Val d’Aosta, ill 24 luglio del 2007) è fallito.

www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2007/july/documents/hf_ben-xvi_spe_20070724_clero-cadore...

al contrario di quanto detto qui dal Papa cosa è accaduto invece?:
- che alcune dottrine sono state modificate (poi le analizzeremo);
- che l'insegnamento DOPO CONCILIO è stato vincolante ed imposto;
- non abbiamo di fatto la medesima dottrina della Tradizione anche se nella teoria si, nella pratica la Tradizione è stata buttata fuori dalle parrocchie...





E' utile meditare su quanto segue:

Mi domandate che penso dell’avvenire? Penso che dipenderà dal presente e, cioè, che se noi ci lasciamo istruire dall’esperienza e ritorniamo cristiani fedeli, il nostro avvenire potrà ricostituirsi su solide basi. Ma se ci si limita a rendere omaggi esteriori alla religione senza farla penetrare nelle leggi, nei costumi, nell’educazione, nelle dottrine e soprattutto nei cuori, semineremo solo vento, e raccoglieremo nuove tempeste.

a dire questo è P. M. Théodore Ratisbonne, l'ebreo convertito da Maria Santissima, 23 luglio 1848



Potremo analizzare gli aspetti affrontandoli uno alla volta...e comprenderemo che, COME INSEGNAVA GIOVANNI PAOLO II: "IL VERO CATTOLICO E' CONSERVATORE - diceva il Papa a Guitton - perchè il Papa e il fedele laico non devono inventare nulla, ma TRASMETTERE quanto hanno ricevuto e che altri prima di noi HANNO CONSERVATO, siamo CONSERVATORI SI, MA NON DI UN TESORO DA TENERE SOTTOCHIAVE, BENSI' DA PORTARE NEL MONDO, a nostra volta conserviamo e tramandiamo e questo fino al ritorno glorioso di Nostro Signore..."

Partiamo dai SENSI DI COLPA...

Il cattolicesimo dei SENSI DI COLPA

Un giorno ho letto un breve saggio dove si spiegava il concetto dei SENSI DI COLPA... ossia, si spiegava come una certa esplosione (o implosione visto che è interna alla Chiesa) modernista si è avuta a causa dei sensi di colpa di molti cattolici (preti, laici e suore) i quali, ignorando il PROPRIO PASSATO O ABBARBICATI SULLA PROPAGANDA PROTESTANTE ed anticlericale, SI VERGOGNAVANO DEL PASSATO DELLA CHIESA interpretando così il Concilio come un VOLTARE PAGINA e RICOMINCIARE DA NUOVO TUTTO... l'articolo era molto convincente poichè riportava anche fatti concreti, testimonianze e opinioni di molte di queste persone, anche di vescovi fra i quali vi erano discussioni sulle opportunità o meno di atti pontifici durante i tempi delle due Guerre Mondiali.

C’è del vero in tutto questo... e lo vedemmo quando infatti uscì fuori il Mea Culpa per il quale il Papa dovette modificare il testo come racconta il card. Biffi nel suo libro... e che dovette impegnare il card. Ratzinger per una spiegazione sul senso e sul significato....

MOLTI CATTOLICI NON AMANO IL PROPRIO PASSATO, SI VERGOGNANO DEL PASSATO DELLA CHIESA altri si rifiutano perfino di approfondire questo passato, altri ancora pensano che la Chiesa sia esclusivamente quella narrazione fatta di Crociate ed Inquisizione interpretate dalla stampa anticattolica del ‘700 e dell’800, rifiutando di aggiornare le proprie conoscenze attraverso saggi odierni sulle rivisitazioni di storici credibili con l’apprendimento di nuovi documenti....

Molti sacerdoti non sono da meno, anzi molti di loro credono di poter fare del bene quanto più presentassero UNA CHIESA NUOVA, APERTA, SENZA DOTTRINE....le dottrine sono viste come lacci, come impedimenti, come obblighi di una Chiesa del passato, una Chiesa MATRIGNA… il concetto di CHIESA NUOVA è quanto più di diabolico possa essere uscito NON dal Concilio, ma dalla sua strumentalizzazione... per questo Paolo VI non avrebbe dovuto fare nessuna riforma liturgica in quel momento delicato nel quale i seminari si stavano svuotando...come gli Ordini Religiosi e dove la contestazione sull'etica e sulla morale alimentavano i nuovi nemici della Chiesa, del resto una riforma l'aveva fatta già Giovanni XXIII.... . cambiare la Liturgia, la Messa, CONFERMO' A MOLTI FEDELI L'IDEA ERRATA DI UNA CHIESA NUOVA... e una chiesa NUOVA necessita DI NUOVE DOTTRINE.... Attenzione però, perché Paolo VI al tempo stesso INSEGNAVA che le cose non stavano così… mercoledì del 12 gennaio 1966 così si esprimeva Paolo VI all’Udienza generale:

Bisogna fare attenzione: gli insegnamenti del Concilio non costituiscono un sistema organico e completo della dottrina cattolica; questa è assai più ampia, come tutti sanno, e non è messa in dubbio dal Concilio o sostanzialmente modificata; ché anzi il Concilio la conferma, la illustra, la difende e la sviluppa con autorevolissima apologia, piena di sapienza, di vigore e di fiducia. Ed è questo aspetto dottrinale del Concilio, che dobbiamo in primo luogo notare per l’onore della Parola di Dio, che rimane univoca e perenne, come luce che non si spegne, e per il conforto delle nostre anime, che dalla voce franca e solenne del Concilio sperimentano quale provvidenziale ufficio sia stato affidato da Cristo al magistero vivo della Chiesa per custodire, per difendere, per interpretare il «deposito della fede» (cfr. Humani generis, A.A.S., 1960, p. 567).

- dice ancora il Papa -

Non dobbiamo staccare gli insegnamenti del Concilio dal patrimonio dottrinale della Chiesa, sì deve vedere come in esso si inseriscano, come ad esso siano coerenti, e come ad esso apportino testimonianza, incremento, spiegazione, applicazione. Allora anche le «novità» dottrinali, o normative del Concilio appariscono nelle loro giuste proporzioni, non creano obbiezioni verso la fedeltà della Chiesa alla sua funzione didascalica, e acquistano quel vero significato, che la fa risplendere di luce superiore.

Perciò il Concilio aiuti i fedeli, maestri o discepoli che siano, a superare quegli stati d’animo - di negazione, d’indifferenza, di dubbio, di soggettivismo, ecc. - che sono contrari alla purezza e alla fortezza della fede. Esso è un grande atto del magistero ecclesiastico; e chi aderisce al Concilio riconosce ed onora con ciò il magistero della Chiesa; e fu questa la prima idea che mosse Papa Giovanni XXIII, di venerata memoria, a convocare il Concilio, come Egli ben disse inaugurandolo: «ut iterum magisterium ecclesiasticum . . . affirmaretur»; «fu nostro proposito, così si esprimeva, nell’indire questa grandissima assemblea, di riaffermare il magistero ecclesiastico» (A.A.S. 1962, p. 786). «Ciò che più importa al Concilio ecumenico, Egli continuava, è questo: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia più efficacemente custodito ed esposto» (ibid. p. 790).

Non sarebbe perciò nel vero chi pensasse che il Concilio rappresenti un distacco, una rottura, ovvero, come qualcuno pensa, una liberazione dall’insegnamento tradizionale della Chiesa, oppure autorizzi e promuova un facile conformismo alla mentalità del nostro tempo, in ciò ch’essa ha di effimero e di negativo piuttosto che di sicuro e di scientifico, ovvero conceda a chiunque di dare il valore e l’espressione che crede alle verità della fede. Il Concilio apre molti orizzonti nuovi agli studi biblici, teologici e umanistici, invita a ricercare e ad approfondire le scienze religiose ma non priva il pensiero cristiano del suo rigore speculativo, e non consente che nella scuola filosofica, teologica e scritturale della Chiesa entri l’arbitrio, l’incertezza, la servilità, la desolazione, che caratterizzano tante forme del pensiero religioso moderno, quand’è privo dell’assistenza del magistero ecclesiastico.
(Paolo VI
www.vatican.va/holy_father/pa...660112_it.htm )

******************

Così come disse Benedetto XVI nella sua recente Lettera ai Vescovi:

Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive.

*******************

e allora...partiamo da qui....evitando di alimentare inutili incomprensioni perchè la Chiesa è UNA SOLA, COME UNO E' IL MAGISTERO verso il quale siamo NOI che dobbiamo sforzarci di comprendere e NON il contrario...ossia, non dobbiamo usare il Magistero per dare ragione alle nostre personali opinioni...

 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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28/10/2009 23:54
 
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Dice ancora hhh:

sono terrorizzato a parlare di cvII

mica solo tu!!??
direi anche ci troviamo in una situazione molto imbarazzante proprio perchè siamo dentro la Chiesa e ci tocca dover GIUSTIFICARE O CENSIRE E REPUTARE ERRORI ciò che di sbagliato è stato avanzato dopo il Concilio...ma tacere non giova a nulla e a nessuno, possiamo parlarne facendoci aiutare da Benedetto XVI.... e sembra dunque interessante parlare di questo cattolicesimo dei SENSI DI COLPA sopra accennato...

Questa estate parlando con un sacerdote sulla Messa di sempre, quella oggi detta Straordinaria...mi spiegava che al Seminario non gliela avevano insegnata...e che sta cominciando ad apprezzare i cambiamenti fatti dal Pontefice nella Messa NOM che celebra lui...
Credo che a piccoli passi arriveremo...ci vuole solo pazienza come quella che sta usando il Papa...

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Daniele dice:


E' vero però attenzione, il fatto che sia pastorale non invalida il Concilio che è Ecumenico, cioè univarsale e come sappiamo la teologia cattolica esplicitamente dice che il Concilio Ecumenico è infallibile perchè è espressione di tutta la Chiesa, cioè fa parte del Magistero straordinario, ma qualora non lo fosse, come alcuni hanno sostenuto, fa pur sempre parte del magistero ordinario universale, che anch'esso gode dell'infallibilità.
Grazie a Benedetto XVI finalmente è iniziato un confronto intra-ecclesiale su questo Concilio, Concilio che non contiene alcun errore di forma, in pratica è stato eseguito con tutti i crismi, quindi è a tutti gli effetti Ecumenico, allora di cosa si discute?
Si discute in che senso è Pastorale, cioè, tutti i decreti hanno un valore vincolante per i fedeli?
C'è chi sostiene si c'è chi sostiene no, specialmente quei decreti particolari contestati dai tradizionalisti.
Però c'è un problema di fondo che alcuni giustamente fanno notare, cioè, se alcuni documenti conciliari non sono vincolanti cosa impedisce a quel punto di sostenere che anche gli altri non lo siano?
Il fatto che un determinato decreto non è vincolante non inficia forse l'Ecumenicità del Concilio e quindi il suo Magistero straordinario/ordinario universale?
Se è così tutto il Vaticano II non ha motivo di esistere, o lo si accetta in toto oppure lo si rifiuta totalmente.
Queste sono domande di non poca importanza che fanno parte di questo dialogo nato sul Concilio.

Il cattolico comunque, fino a quando questa empasse non termina deve obbedire al Concilio e a tutti i documenti del magistero ordinario, anche se privatamente può avere dei dubbi e dissentire.


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provo a rispondere numerando le questioni:

1) NO! il Cattolico non è tenuto ad OBBEDIRE AD UN CONCILIO, MA ALLA CHIESA...lo so che tu intendevi questo ma è necessario usare con attenzione i termini... il Concilio in sè NON avrebbe alcun valore, il valore gli è dato dal Pontefice che delibera E POI SPIEGA GLI ATTI DEL CONCILIO ATTRAVERSO I VARI DOCUMENTI....è a questa prassi e a questo finale che il Cattolico deve obbedienza...
C'è un episodio raccontato da Benedetto XVI in cui un padre della Chiesa SI RIFIUTO' DI ANDARE AL CONCILIO DI NICEA, E NON CI ANDO'...nessuno lo ha scomunicato, è diventato santo ed è padre della Chiesa...perchè naturalmente egli NON contestò la dottrina della Chiesa, ma non gli piacevano i concili...

Cosa significa poi DISOBBEDIRE AL CONCILIO?

Mons. Lefebvre per esempio NON disobbedì al Concilio dal momento che esso NON aveva mai vietato la Messa antica come dice lo stesso Benedetto XVI nel MP...sappiamo, come spiega lo stesso Pontefice nella revoca della scomunica, che la disobbedienza fu per la nomina dei 4 vescovi...STOP! MAI il Papa nè Giovanni Paolo II nè Benedetto XVI hanno accusato mons. Lefebvre di disobbedienza al Concilio...
Mons. Lefebvre SI OPPOSE AI CAMBIAMENTI....il suo problema fu quello di ACCUSARE IL CONCILIO DI AVER USATO IL CONCILIO STESSO PER EMANARE DOCUMENTI AMBIGUI CHE PORTARONO ALL'APOSTASIA MOLTI FEDELI...
Ora questo è quanto stanno discutendo a livelli altri, noi grazie a Dio siamo ai livelli bassi... siamo il "piccolo gregge" che cerca anche un pò di capire e di mettere ordine al caos che viviamo...
Decideranno loro come reputare il tutto, ma qualcosa noi la sappiamo già...basta leggere cosa dice Benedetto XVI sul Concilio e sulle DEVIAZIONI, sull'ermeneutica DELLA ROTTURA...è lui a dire e a riconoscere che c'è stata una rottura con la Tradizione...anche se noi (io personalmente) lo dicevamo già in tempi non sospetti sotto l'altro pontificato e venivamo attaccati per questo...

Allora, come si obbedisce ad un Concilio?
applicando davvero quanto il Papa dice DOPO il Concilio INTERPRETANDO CORRETTAMENTE QUEI DOCUMENTI
...qui c'è stata la rottura e lo dice Paolo VI in quel breve che ho riportato sopra...

il problema sta NELL'INTERPRETAZIONE DEI DOCUMENTI DEL CONCILIO...

2) il fatto che il Concilio sia stato pastorale NON pone in causa l'autorità del Concilio, ma il problema DOTTRINALE...
facciamo un esempio denunciato da Benedetto XVI: LA LITURGIA... nel MP il Papa denuncia che si giunse, nella Liturgia, ad una creatività ai limiti del sopportabile (parole sue)a causa della quale SI IMPOSE NELLA CHIESA UNA MESSA FATTA DI ATTEGGIAMENTI ABUSIVI...il Papa stesso dice: lo so PERCHE' NE FUI UN TESTIMONE...
Cliccando qui:
La Liturgia del Culto Cattolico
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/cartella.aspx?idc=639441&tid=9ff76ae1551b5a90c2a9a586bde01037c4eeaa51b0780dd0378a9a30...

sai bene che puoi trovare migliaia di prove e tutte tratte da firme ufficiali...un esempio è la famosa comunione alla mano...perchè il Papa ha riportato l'inginocchiatoio?
Perchè la concessione fatta da Giovanni Paolo II (per altro a seguito di un ricatto dove i vescovi minacciarono una rivolta come in Olanda...sic!) era appunto una concessione e NON la norma, come dice anche il testo legislativo...invece abbiamo assistito AD UNA IMPOSIZIONE della comunione alla MANO, con l'obbligo di eliminare gli inginocchiatoi e di evitare che i fedeli la prendessero alla bocca...negli anni '80 come catechista ricevevo L'ORDINE DEL PARROCO di agire in questo modo: VIETATO INSEGNARE AI BAMBINI LA COMUNIONE ALLA BOCCA...io ho sempre disobbedito... e il tempo mi ha dato ragione...

Ergo...cosa c'azzeccava tutto questo con il Concilio che MAI parlò della comunione alla mano, che era appunto pastorale con la DOTTRINA sulla Comunione e sul come prenderla?...

Altro esempio: eliminazione della croce dall'altare...dove si parla nel Concilio di eliminare il crocefisso dagli altari?
eliminando la croce dalla Messa (negli anni '80 non ne vedeva più una, fu il Papa a riparlare di questa grave mancanza...) si è trasformata la Messa IN UN BANCHETTO NELLA QUALE SI GIUSTIFICANO LE MUSICHE DANZANTI E I BATTIMANI grazie a Dio oggi eliminati dal Pontefice...
La Messa è banchetto MA DOPO LA CROCE, DOPO IL CALVARIO CHE SI RIPETE IN MODO INCRUENTO DURANTE LA CONSACRAZIONE...

Ora tu certo che le sai queste cose, eppure il Papa stesso denuncia che tutto questo E' STATO ELIMINATO DALLE CATECHESI...
ergo, cosa c'azzeccava la Messa e la sua dottrina con LA PASTORALE VOLUTA DAL CONCILIO?

Il Concilio fu pastorale...e laddove esso non è stato strumentalizzato per avanzare con le aberrazioni che abbiamo appena letto, va bene così, non c'è nulla da ridire...ma laddove certe pastorali hanno sostenuto e apportato queste gravi modifiche, queste andranno ritoccate senza per questo porre in discussione il Concilio il quale, infatti, NON HA MAI AUTORIZZATO QUESTI CAMBIAMENTI...

questi sono i veri problemi...ed io so che tu sai che egli sa che noi sappiamo... , ma spieghiamolo bene anche a chi legge..


 


REPLICA DI DANIELE:


Dai Caterina ma questo era scontato, non esiste Concilio Ecumenico che si possa chiamare tale se non c'è l'approvazione del Papa, anche negli antichi Concili dove a volte il Papa non potè partecipare c'erano i suoi rappresentanti e se questi per ragioni particolari ne erano impediti, per dichiarare un Concilio Ecumenico venivano mandati i decreti conciliari al Papa che li approvava o no, se non li approvava non era un Concilio Ecumenico valido.

Non l'ho detto perchè molte volte do per scontate le cose anche perchè so di parlare con persone più brave di me.


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LA MIA REPLICA VERSO CHI LEGGE NON VERSO DANIELE IN SE....

Daniè...non dobbiamo dare per scontato che chi legge conosca anche i nostri pensieri...o abbia la palla di vetro per interpretarli...fa 'no sforzo sfaticato....

Il problema non è nel Concilio in sè accettato in tale termine anche da mons. Fellay della FSSPX...il problema sta NELL'INTERPRETAZIONE DEI SUOI DOCUMENTI...se essi sono interpretati male io non ho alcun obbligo di obbedienza...ma ho il dovere di rendere palesi gli errori senza per questo dissociarmi però dalla Chiesa...o prendendomela con il Concilio...


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REPLICA DI DANIELE


Ma infatti il problema sta in questo; molti accusano il Vat II di aver creato eresie di aver propagato l'apostasia, ma in verità non fu causa del Concilio in sè, io leggendolo da ignorante non ci leggo tutte le modifiche apportate dopo il Concilio, quindi chi ha introdotto certe aberrazioni sono uomini che approfittando dell'entusiasmo post-conciliare e, diciamola tutta avendo potere in seno alla Chiesa, ha introdotto nella vita della Chiesa, non nel Concilio, questi e/orrori sostenendo che il Concilio sosteneva tali cambiamenti, ma non era e non è così.
Ecco perchè bisogna difendere il Concilio, ma quello vero non quello che ci hanno presentato fino ad oggi.

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RICHIESTA DI GHERGON


Interessante, come prosegue?






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Ghergon chiedeva come proseguisse su quelle riflessioni dei "sensi di colpa" e più in generale dei problemi che ci hanno afflitto e ci affliggono da dopo il Concilio...

Il Concilio Vaticano II è stato un Concilio Pastorale. Nessun cambiamento dottrinale.... Le nuove sfide richiedevano infatti RISPOSTE PASTORALI, NON DOTTRINALI... Dove il vero Concilio ha preso piede, lì c’è stata una autentica crescita.... dove ha prevalso il così detto "spirito" del concilio attraverso il quale tutto si giustificava IN NOME DEL CONCILIO, c’è stata una crisi paurosa....
un esempio ce lo da una recente VISITA APOSTOLICA indetta dal Pontefice per verificare e saggiare la situazione degli Ordini religiosi femminili di vita attiva dove in molti dei quali, in nome dello spirito del concilio, perfino l'abito è stato buttato alle ortiche...
qui potrete leggere tutto:

difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...

ma vi lascio un passo interessante a detta degi responsabili della Visita:


L’autrice dell’articolo, con molta onestà, riconosce che, se si deve dare retta ai numeri, il futuro appartiene alle comunità rimaste fedeli alla tradizione, dal momento che esse possono contare su nuove vocazioni, mentre quelle che hanno rotto col passato stanno subendo un forte invecchiamento e sono destinate, prima o poi, a scomparire.

ognuno mediti e ne tragga le conclusioni in chiave ECCLESIALE NON PERSONALE...

Un altro tema che possiamo analizzare è la CONFUSIONE DEI RUOLI avvenuta fra i laici e i preti negli anni '70....

oggi finalmente la Santa Sede si è fatta sentire anche per via dell'Anno Sacerdotale in corso, ma in passato si preferiva tacere...

In Italia, ''il sacerdote rischia oggi una preoccupante scissione tra la sfera personale e l'attivita' ministeriale, separando l'essere dall'agire''.
Lo rilevano i vescovi italiani, nel comunicato finale del Consiglio Permanente della Cei, diffuso a fine settembre 2009....in verità il problema NON è di oggi, ma vede il suo massimo punto di contestazione negli anni '70 non solo con l'abolizione dell'abito MAI VOLUTO NE RICHIESTO DAL CONCILIO....ma anche pretendendo dai laici di affiancarsi ai sacerdoti nelle stesse mansioni liturgiche...

Un ulteriore senso di colpa per aver tenuto i laici distanti dalla liturgia? senbra di si, e questo lo dicono e lo sostengono oggi alcuni vescovi...

Dice il Papa ai Vescovi in visita ad Limina il 17.9.2009

Con i suoi fedeli e con i suoi ministri, la Chiesa è sulla terra la comunità sacerdotale organicamente strutturata come Corpo di Cristo, per svolgere efficacemente, unita al suo capo, la sua missione storica di salvezza. Così ci insegna san Paolo: "Voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra" (1 Cor 12, 27). In effetti, le membra non hanno tutte la stessa funzione: è questo che costituisce la bellezza e la vita del corpo (cfr. 1 Cor 12, 14-17). È nella diversità fondamentale fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune che si comprende l'identità specifica dei fedeli ordinati e laici. Per questo è necessario evitare la secolarizzazione dei sacerdoti e la clericalizzazione dei laici. In tale prospettiva, i fedeli laici devono quindi impegnarsi a esprimere nella realtà, anche attraverso l'impegno politico, la visione antropologica cristiana e la dottrina sociale della Chiesa.

Diversamente, i sacerdoti devono restare lontani da un coinvolgimento personale nella politica, al fine di favorire l'unità e la comunione di tutti i fedeli e poter così essere un punto di riferimento per tutti. È importante far crescere questa consapevolezza nei sacerdoti, nei religiosi e nei fedeli laici, incoraggiando e vegliando affinché ciascuno possa sentirsi motivato ad agire secondo il proprio stato.

L'approfondimento armonioso, corretto e chiaro del rapporto fra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale costituisce attualmente uno dei punti più delicati dell'essere e della vita della Chiesa. Il numero esiguo di presbiteri potrebbe infatti portare le comunità a rassegnarsi a questa carenza, consolandosi a volte con il fatto che quest'ultima evidenzia meglio il ruolo dei fedeli laici. Ma non è la mancanza di presbiteri a giustificare una partecipazione più attiva e consistente dei laici. In realtà, quanto più i fedeli diventano consapevoli delle loro responsabilità nella Chiesa, tanto più si evidenziano l'identità specifica e il ruolo insostituibile del sacerdote come pastore dell'insieme della comunità, come testimone dell'autenticità della fede e dispensatore, in nome di Cristo-Capo, dei misteri della salvezza
.

Appare evidente il rischio che è di matrice storica Protestante: L'EQUIPARAZIONE DEL SACERDOZIO... Lutero infatti abolì il sacerdozio ordinato...negli anni '70 abbiamo rischiato anche noi attraverso una applicazione seriale di abusi fino alla INTERCOMUNIONE CONDANNATA DA PAOLO VI PRIMA E DAGIOVANNI PAOLO II DOPO nella Ecclesia De Eucharestia...

Per ora mi fermo qui....

Buona meditazione e










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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28/10/2009 23:58
 
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x CATERINA
da parte di Ghergon



Hai scritto delle cose davvero interessanti e spero tu possa proseguire

sarebbe interessante approfondire...insomma non puoi lanciare il sasso...eheh



 Tra l'altro basta leggere anche le intenzioni con le quali Giovanni XXIII aprì il Concilio senza alcuna intenzione di modificare la TRADIZIONE.... dunque è lecito dire serenamente che i Papi del concilio hanno dichiarato essere loro intento quello di non cambiare la dottrina, di non imporre un insegnamento vincolante, ma solo di presentare la medesima dottrina cattolica in maniera principalmente pastorale o pratica.


al contrario di quanto detto qui dal Papa cosa è accaduto invece?:
- che alcune dottrine sono state modificate (poi le analizzeremo);
- che l'insegnamento DOPO CONCILIO è stato vincolante ed imposto;
- non abbiamo di fatto la medesima dottrina della Tradizione anche se nella teoria si, nella pratica la Tradizione è stata buttata fuori dalle parrocchie...


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bene Ghergon...analizziamo i tre punti che hanno attirato la tua attenzione (ricordando a tutti e a chi legge di seguire il filo logico di tutto il discorso che stiamo analizzando anche nei miei interventi precedenti, altrimenti si rischia di non comprendere alcuni passi perchè ripetermi sarebbe troppo lungo...)

Dicevamo:

Tra l'altro basta leggere anche le intenzioni con le quali Giovanni XXIII aprì il Concilio senza alcuna intenzione di modificare la TRADIZIONE.... dunque è lecito dire serenamente che i Papi del concilio hanno dichiarato essere loro intento quello di non cambiare la dottrina, di non imporre un insegnamento vincolante, ma solo di presentare la medesima dottrina cattolica in maniera principalmente pastorale o pratica.


al contrario di quanto detto qui dal Papa cosa è accaduto invece?:
- che alcune dottrine sono state modificate (poi le analizzeremo);
- che l'insegnamento DOPO CONCILIO è stato vincolante ed imposto;
- non abbiamo di fatto la medesima dottrina della Tradizione anche se nella teoria si, nella pratica la Tradizione è stata buttata fuori dalle parrocchie
...

Analizziamo i punti:


1) alcune dottrine sono state modificate attenzione, modificate, NON cambiate...la differenza è enorme perchè più che di eresia conclamata si tratta di APOSTASIA DALLA VERA FEDE...

quali sono?
detto brevemente:
- il significato del Sacrificio della Messa ridotto ad esclusivo banchetto privandolo della Croce...(denuncia di Giovanni Paolo II nella Ecclesia de Eucharestia e di Benedetto XVI oggi)
- il Sacramento della Confessione venne quasi soffocato dalla litrugia PENITENZIALE COMUNITARIA...(denuncia di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI poi)
- la Comunione alla mano ha portato a sminuire la Presenza Reale di Gesù trasformandola per molti cattolici in un SIMBOLO (sondaggio di Famiglia Cristiana del 2000)
- la dottrina che i risposati NON possono ricevere l'Eucarestia è stata negli '80 quasi del tutto soffocata...e molti ancora oggi ricevono la comunione...in disobbedienza alla dottrina...

al momento è sufficiente segnalare questi passi ed aspetti importanti che hanno condotto ad uno scollamento vero e proprio con la Tradizione dottrinale della Chiesa...

2) l'insegnamento DOPO CONCILIO è stato vincolante ed imposto

naturalmente ci riferiamo alle conseguenze sopra riportate e non alle poche pastorali corrette, tale insegnamento va identificato con tutto ciò che il Concilio NON disse e non ordinò...

quali sono?
detto brevemente:

- l'obbligo della Comunione alla mano e l'imposizione, che fu pastorale, dell'iliminazione degli inginocchiatoi e balaustre;
- l'obbligo dell'abolizione del Catechismo detto san Pio X MAI ABROGATO UFFICIALMENTE ed ancora in uso nella Chiesa, venne di fatto vietato da alcune pastorali, ripeto non ufficialmente, ma subdolamente;
- l'obbligo a NON celebrare la Messa antica e l'imposizione ai fedeli di NON conoscerla (denuncia letterale del Papa nel Motu Proprio Summorum Pontificum);

a questi aspetti di fondamentale importanza e sui quali si regge tutto il nucleo della Cattolicità va detto che naturalmente non parliamo di Lettere Pastorali ufficiali... l'apostasia è stata più subdola perchè IN NOME DELLO "SPIRITO" DEL CONCILIO SI FACEVANO TUTTE QUESTE MODIFICHE IMPONENDOLE IN OGNI PARROCCHIA...i fedeli più attenti alla Tradizione subirono una vera persecuzione (cfr MP di Benedetto XVI), chi non fu materialmente cacciato dalla Parrocchia ne venne emarginato, molti furono costretti a cambiare Parrocchia, altri si unirono alla FSSPX....altri e sono tanti, attesero le disposizioni di un Papa di nome Benedetto XVI
Il Concilio ad esempio NON ordinò MAI la costruzione di Chiese senza presbiterio, tanto meno con il Tabernacolo FUORI DELLA CHIESA in una stanzetta a parte...

3) non abbiamo di fatto la medesima dottrina della Tradizione anche se nella teoria si, nella pratica la Tradizione è stata buttata fuori dalle parrocchie

questo aspetto si ricollega a quello sopra.... dalla teoria alla pratica abbiamo uno scollamento al quale il Papa ha iniziato un pò di riparazione:
- come si celebra la Messa detta NOM?
il modo corretto è quello che sta celebrando il Papa, avrete notato che prima NON era così...
- nelle Parrocchie come si vive la Tradizione? Fatevi questa domanda, valutate voi stessi con onestà di cuore i fatti e poi riparliamone...

C'è da chiedersi allora:

CHE COSA E' LA TRADIZIONE?

non è qualcosa di VECCHIO e non è qualcosa di NOSTALGICO...è piuttosto quella VITALITA' CHE CI VIENE DA TUTTA LA CHIESA DEL PASSATO, dai Martiri, dai Santi, dai Padri, dal Magistero...
è il fondo nel quale attingere la pienezza della Cattolicità...
è la TRASMISSIONE DELLA MEDESIMA FEDE scritta, parlata, vissuta...
Nel momento in cui venisse meno un solo pezzo di questo enorme puzzle, si perderebbe la cattolicità...

La Tradizione ha subito danni non soltanto per colpa del dopo concilio e le sue false interpretazioni, ma anche a causa della SECOLARIZZAZIONE DELLA SOCIETA' IN CUI VIVIAMO peggio conosciuta come LAICISMO...negli anni di Paolo VI fu quasi impossibile, per esempio festeggiare decorosamente la Festa del Corpus Domini...essa venne ripresa con Giovanni Paolo II...e solo dagli anni '90 questa Festa ha ricominciato a vivere nelle varie Diocesi...

La Tradizione, per esempio, aveva dato il via molti secoli fa ai CHIERICHETTI, ossia l'avvicinarsi dei bambini a servire Messa per poter individuare fra di loro anime chiamate da Cristo alla Vocazione sacerdotale...Molti bambini che a turno servivano Messa finivano così anche per scoprire la propria vocazione...
Disse un giorno il grande Alberto Sordi:
"...fare il chierichetto era la cosa che mi affascinava di più, ne rimanevo incantato e volevo farmi prete... ma poi la vocazione a fare l'attore fu più forte e capii che questa era la mia strada, ma dentro di me è rimasto sempre vivo quel servizio, è uno dei più bei ricordi della mia infanzia..."

Dopo il Concilio QUALCUNO (non si sa mai chi ma non fu il Concilio) a causa anche della carenza di preti...cominciò a vagliare l'ipotesi delle chierichette, femminucce all'altare...
In verità lo stratagemma proviene dall'Olanda attraverso il famoso catechismo olandese degli anni '70 bollato da Paolo VI... oltre la novità della comunione alla mano partita sempre da loro, si avanzò la pretesa delle chierichette PER POTER APRIRE LE PORTE AL SACERDOZIO ALLE DONNE....
Giovanni Paolo II all'iinizio si oppose, come Paolo VI a questa innovazione, ma successivamente, pressato da più parti permise questa evoluzione (RIPETO NON VENNE DAL CONCILIO) previa Nota apostolica...
Nel breve testo si legge dunque che le chierichette sono ammesse ma a queste condizioni:
- perchè NON ci sono chierichetti maschi;
- per situazioni particolari delle quali deve essere il Vescovo a darne l'approvazione
...
orbene, guardate nelle vostre Parrocchie e dite se queste condizioni vengono rispettate...

Dunque la Tradizione ha subito uno scollamento ed infatti provate a chiedere in giro nella vostra Parrocchia se sia giusto che una donna serva all'Altare....vi sentirete dire SI, ma senza capire e senza essere spiegato il perchè o peggio vi sentirete rispondere: Bè E' IL CONCILIO CHE....

Bene...anche per oggi buona meditazione...

 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Foto della festa nella solennità di San Pio X nella Cappella Beata Vergine di Lourdes a Lanzago di Silea (TV) il 13.09.2009 - Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX)


piccola riflessione che è un esempio concreto di quanto stiamo approfondendo: anche per noi c'è, o meglio ci sarebbe, la Festa di san Pio X...il Concilio NON ha mai abolito questa Festa...ma DOPO il Concilio con la Riforma Liturgica SI IMPOSE AI FEDELI un calendario allegerito dalle molte feste... era davvero necessario rimuovere questa Festa liturgica di un Papa santo? Ad ogni modo, si legge nel calendario, la Festa è FACOLTATIVA...PERCHE' INFATTI NON SI POTEVA ABOLIRE LA MEMORIA DI UN SANTO...ma con questa logica ora quante Parrocchie festeggiano quel giorno partecipando alla Messa ed alla comunione fraterna? Ovviamente NESSUNA...anzi, andate a chiedere ai fedeli chi è san Pio X, molti lo associano come FONDATORE DELLA FRATERNITA' DI MONS. LEFEBVRE.. [SM=g8468] .altri non hanno la più pallida idea di chi fosse...ed ecco spezzata la Tradizione, un modo come un altro per voltare pagina... [SM=g1740733]





[SM=g1740722]

Fraternamente CaterinaLD

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Continuando la serie di riflessioni dal collegamento posto sopra, proseguiamo:

Ghergon, 29/10/2009 19.01:





Secondo te chi ha imposto e vincolato questi cambiamenti e si è macchiato di apostasia?






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è 'na parola quel che chiedi....

Possiamo avanzare alcuni spunti certi di NON sbagliare nelle valutazioni, ne possiamo prendere atto senza ovviamente formulare una parola fine dal momento che da duemila anni l'apostasia è in atto e fino al ritorno di Cristo...

cominciamo dalla Bibbia:

Dice san Paolo ai Tessalonicesi che solo quando sarà TOLTO DI MEZZO ciò che lo tiene...allora con la grande apostasia verrà l'anticristo e ciò è permesso da Dio perchè SI RIVELI L'INIQUO E L'INIQUITA'....

2Tess.2

5 Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose?
6 E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora.
7 Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene.
8 Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo,
9 la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri,
10 e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi.
11 E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna
12 e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.
13 Noi però dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l'opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità,
14 chiamandovi a questo con il nostro vangelo, per il possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.
15 Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera. 16 E lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza,
17 conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.


CHI FRENA L'INIQUITA' E' IL DIRITTO NATURALE, dice san Tommaso d'Aquino....quando questo sarà del tutto spazzato via, allora i nodi verranno al pettine...e ci stiamo avvicinando...
a noi sta la scelta di scegliere da che parte stare O CON DIO O CONTRO DIO
...

Il Concilio Vaticano II, che a detta di alcuni studiosi avrebbe dovuto essere fatto sotto Pio XII per evitare quanto poi accadde (ma con il senno del poi non si fa la storia Pio XII infatti aveva intenzioni di fare un Concilio ma per due motivi non lo fece: 1) a causa della guerra; 2) perchè LO TEMEVA, TEMEVA I RIBALTAMENTI che poi si sono verificati), si insinua all'interno di un contesto sociale che vede di colpo RIBALTARE IL DIRITTO NATURALE....
il crollo all'obbedienza alla Chiesa si ha con l'enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, contro la contraccezione e contro l'aborto....è il primo passo UFFICIALE DELLA SOCIETA' VERSO IL RIBALTAMENTO DI TALE DIRITTO POSTO DA DIO...il diritto alla Vita...

Madre Teresa di Calcutta dirà: "NON ci sarà alcuna pace se questa NON comincerà dal grembo delle madri..."

C'è dunque una guerra dichiarata ed è contro il Diritto naturale che è quell'espediente difeso perfino dai Romani il quale, venuto meno, come spiega san Paolo nella sua profezia, darà il via alla grande apostasia spianando la strada all'Anticristo...
DIO LO PERMETTERA' si legge chiaramente....ergo gli eventi succeduti dopo il Concilio non possono fare i conti senza Dio

Non dimentichiamo altri fattori:

1) già sotto san Pio X il Papa denuncia che all'interno della Chiesa si erano infiltrati i MODERNISTI...per questo scriverà la Pascendi Dominici Gregis e siamo agli inizi del '900...egli non solo denuncia ma mette in guardia il Clero presente e futuro da questi errori e fa fare il famoso GIURAMENTO ANTIMODERNISTA IN TUTTI I SEMINARI...lo trovate qui:
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...
Ciò che è inspiegabile è perchè Paolo VI abbia abolito questo giuramento dai Seminari SENZA UN DOCUMENTO UFFICIALE SCRITTO che ne spieghi le motivazioni... infatti alcuni studiosi sostengono che non fu Paolo VI ad abolirlo, ma venne semplicemente tolto con il libero arbitrio da alcuni Rettori così come si TOLSE LO STUDIO DELLA LINGUA LATINA dai seminari, senza alcuna richiesta da parte del Pontefice...(questo lo denunciò successivamente Giovamente Paolo II ed oggi Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis ribadisce l'obbligo della lingua latina nei seminari)

2) Cosa poteva fare il Pontefice? quali responsabilità ha in tutto ciò?
difficile dirlo, e non stiamo qui a fare alcun processo...Cristo ci chiede il DISCERNIMENTO...e di valutare i fatti...alla luce di questo c'è una lettera del card. Siri che confessa quanto segue (riporto a braccio): andai a trovare Paolo VI qualche mese prima della sua morte, trovai un Papa molto afflitto e mi disse che si rendeva conto di aver commesso alcuni errori di VALUTAZIONE SOTTOVALUTANDO LA PORTATA DI CERTI PROBLEMI, ma che ora sentiva che era troppo tardi per porvi rimedio e che le forze gli mancavano..."
Paolo VI fu un Papa LASCIATO SOLO...la sua apertura al mondo che non era modernista ma semplicemente PASTORALE VENNE USATA E STRUMENTALIZZATA PER AGIRE NELLA CHIESA A SECONDA DELLE PROPRIE OPINIONI...Paolo VI denunciò per la verità questo modo di agire (leggetevi le sue udienze del mercoledì), ma non venne ascoltato...
NESSUNO GLI OBBEDIVA PIU'...
non a caso finì per denunciare L'ENTRATA DEL FUMO DI SATANA FIN DENTRO IL VATICANO....proprio a sottolineare questo abbandono e disse: "possiamo far nostre, in questo tempo di oscurità, le parole di san Paolo con una domanda che ci inquieta: SIAMO ENTRATI NELLA PIENA APOSTASIA?"
La risposta la diede Giovanni Paolo II parlando di APOSTASIA SILENZIOSA, ossia dove davanti si ineggia al Papa e alla Chiesa, ma con i fatti non si applicavano le sue richieste....

3)Maggiori responsabili sono i Vescovi...fare i nomi non è cosa e non è compito nostro... ma ce ne sono molti così come ci sono nomi di vescovi santi...il fenomeno è sfuggito di male, ebbe a dire l'allora card. Ratzinger quando scrisse a nome del Papa la:
Communionis Notio
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...
la lettera a TUTTI i vescovi nella quale si chiariva che cosa fosse l'obbedienza a Pietro con L'INDIPENDENZA del vescovo nelle proprie diocesi...(leggetela)
L'allora Ratzinger si disse molto amareggiato perchè questa lettera del 1992 SCATENO' LE IRE DI MOLTI VESCOVI... e in una intervista spiegò che NON ne capiva il motivo dal momento che la Lettera ribadiva semplicemente L'INSEGNAMENTO DELLA CHIESA SULLA COMUNIONE FRA I VESCOVI E PIETRO...
Non dimentichiamo che molti vescovi nell'Anno 2000 del Giubileo CHIESERO FIN ANCHE LE DIMISSIONI DEL PAPA a causa dell'avanzare della sua malattia...( ci fu una lettera con la firma di ben 60 vescovi partita dalla Germania)non fu solo apostasia, ma ci trovammo davanti ad anni di ANARCHIA....
In questo clima....come si sarebbe potuto conservare e trasmettere il BAGAGLIO DELLA FEDE NELLA TRADIZIONE?

4) Tornando agli anni '70-'80 non dimentichiamo che in Italia le due Leggi sull'aborto e sul divorzio passarono GRAZIE AL VOTO DEI CATTOLICI....era l'apostasia....il 60% dei cattolici (grazie a Dio io ne venni risparmiata perchè comprendendo i fatti potei votare con coscienza CONTRO) era nella piena apostasia....Paolo VI ne fu talmente amareggiato che disse che perfino i Movimenti Cattolici LO AVEVANO TRADITO LASCIANDOSI CATTURARE DALLE FALSE DOTTRINE...
Non a caso da qui si sviluppano le battaglie di Giovanni Paolo II in difesa della Vita e della Famiglia....quando dovette essere ricoverato all'Angelus lo disse chiaramente: LA FAMIGLIA E' MINACCIATA E POICHE' I CATTOLICI NON CAPISCONO LA GRAVITA' E SONO CONFUSI E' NECESSARIO CHE ANCHE IL PAPA DIA UNA TESTIMONIANZA CONCRETA, NELLA SOFFERENZA, IN FAVORE DELLA FAMIGLIA...
Occorre dire che questo segnalerà l'inizio di una presa di coscienza CATTOLICA....seppur debole i buoni segnali ci sono...

5) infine un quadro generale sulla Liturgia....
Venendo meno il senso autentico dottrinale della Messa, ossia che essa è SACRIFICIO E CROCE e avendola trasformata in una CENA DANZANTE, ha contribuito all'apostasia perchè l'Eucarestia, come spiega il Papa nella Ecclesia de Eucharestia, è il fulcro il motore della Chiesa...se questo viene imbrattato manca il senso vitale alla Chiesa tutta...
Qui ritorniamo ai punti riportati negli altri messaggi:
- la Comunione alla mano;
- l'eliminazione degli inginocchiatoi;
- sostituire la liturgia penitenziale comunitaria con il Sacramento della Confessione...
- la comunione ai risposati divorziati (perchè attenzione la comunione ai soli divorziati se NON si risposano e non convivono, può essere data )
- il venire meno dei canti liturgici sacri nella Messa...eccc...
Tutto ciò, denunciò già il Papa HA CONTRIBUITO ALL'APOSTASIA SEILENZIOSA...

Ora, cosa si poteva evitare?
NON LO SO!
con il senno del poi non si fa la storia...e giudicare oggi che abbiamo Benedetto XVI è fin troppo facile anche se notiamo molte resistenze nella Chiesa contro la Riforma di questo Pontefice...

Chi è macchiato di apostasia? potremo dire la maggior parte del gregge...TUTTI chi più chi meno ne è coinvolto come spiega san Paolo ai Corinti quando descrive il Corpo della Chiesa e noi sue Membra...
e non sarebbe saggio neppure rispondere: IO NO! SONO RIMASTO FEDELE! questo lasciamolo giudicare al Signore...

Io credo che qualche cosa poteva essere evitato...Credo che Paolo VI commise un grave errore e l'ho spiegato all'inizio di queste riflessioni...un errore NON dottrinale, ma pratico: ossia non era il caso negli anni '70 di modificare la Messa! perchè da questi cambiamenti sono derivati tutti gli altri...non lo dico io ma la cronologia dei fatti...
Nell'elenco manca anche la questione Ecumenica che potremo trattare in un altro messaggio per la ricchezza del materiale che abbiamo...

Possiamo concludere questi aspetti chiedendoci se forse la FSSPX non avesse ragione...
in parte si e in parte no...
Come ho spiegato ampiamente qui:
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...

posso dire al momento quanto segue:

Mons, Lefebvre aveva ragione?

Occorrerà rispondere con un "si" e con un "no":

- SI, se riconosciamo, come ha fatto Benedetto XVI che vietare la Messa antica è stato un abuso ed un errore....

SUMMORUM PONTIFICUM Motu Proprio sulla Messa Antica


Si, se riconosciamo, come sta avvenendo, che c'è stata e c'è tutt'ora una falsa interpretazione ai Documenti del Concilio che ha seminato e semina ambiguità, confusione, contestazione e soprattutto DISOBBEDIENZA alle direttive emanate dal Pontefice soprattutto in tema liturgico, leggasi la comunione in ginocchio per esempio....ma anche la DECADENZA DEL CONFESSIONALE....LE PROFANAZIONI A GESU' EUCARESTIA....o tutta la sciatteria e l'abusivismo nelle Messe delle nostre Parrocchie....e quant'altro è stato compiuto di catecheticamente errato in tutti questi anni...

- NO, se consideriamo i MODI attraverso i quali le contestazioni, e gli attacchi al Concilio e al Sommo Pontefice, sono avvenute e si sono inasprite nel tempo GENERANDO UNA FRATTURA apparentemente insanabile....

Non sta a noi giudicare nè mons. Lefebvre, nè la FSSPX, ma sta a noi cercare di comprenderci per trovare quei nodi che ci impediscono di parlare con un cuor solo ed un anima sola....
I nodi stanno venendo al pettine....

*******************************************

L'apostasia che cosa è?
è quel venir meno del parlare CON UN CUOR SOLO ED UN ANIMA SOLA....
tutto il resto sono conseguenze...

 


Cari Amici....spesso chiedo anch'io CONFERME alla Provvidenza di ciò che scrivo...perchè nulla provenga dal mio "io" ma bensì in servizio alla Chiesa...ed ecco la conferma...

L'ho appena letta, ed è uscita ieri su La Stampa...ergo non essendo stata a conoscenza prima di quanto vi ho scritto, la prendo come una benevolenza della Provvidenza e che conferma le riflessioni che abbiamo fatto fino a qui....leggete attentamente e collegatelo a quanto ho esposto sopra proprio sulla Liturgia da dove si sono avuti tutti gli altri problemi...




Liturgia: la Riforma si riforma

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Il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino ha detto che si sta lavorando per ridare alla liturgia il senso del mistero che "non avrebbe mai dovuto perdersi".



MARCO TOSATTI

Questo il significativo testo apparso su "La Stampa" di ieri 29.10.2009:

Il Prefetto della Congregazione per il Culto divino, il cardinale Antonio Cañizares Llovera, in un’intervista a Catalunya Cristiana, rilasciata durante una conferenza a Barcellona, ha ammesso che la sua Congregazione sta lavorando a una “riforma della Riforma” liturgica che è seguita al Concilio Vaticano II.

“Quello che posso dire – ha dichiarato il cardinale – è che è un periodo molto importante per tutti, si è lavorato intensamente, c’è stata una Plenaria della Congregazione, e si sono stilate delle proposte che il Santo Padre ha approvato e che costituiscono la base del nostro lavoro. Il grande obiettivo è di rivitalizzare lo spirito della liturgia in tutto il mondo”.

E ha aggiunto: “Ci sono affari urgenti da sbrigare ogni mattina, in riferimento a eccessi e errori che si stanno commettendo nella liturgia ma soprattutto il tema più urgente e che si sente con urgenza in tutto il mondo, è che il senso della liturgia deve essere ritrovato. Questo non significa semplicemente cambiare rubriche o introdurre nuove cose, ma si tratta semplicemente che la liturgia deve essere vissuta e che deve essere al centro della vita della Chiesa”.

Il porporato ha sottolineato l’esigenza di recuperare “il senso del mistero. Dobbiamo recuperare quello che non avrebbe mai dovuto perdersi. Il più grande male che è stato fatto all’uomo è stato il tentativo di eliminare dalla sua vita la trascendenza e la dimensione del mistero”.

Secondo indiscrezioni pubblicate da “Il Giornale” ad agosto, la Plenaria sarebbe in favore di una maggiore sacralità del rito, di un recupero del senso dell’adorazione eucaristica, di un recupero della lingua latina nella celebrazione e del rifacimento delle parti introduttive del messale per porre un freno ad abusi, sperimentazioni selvagge e inopportune creatività.

Si sarebbero anche detti favorevoli a ribadire che il modo usuale di ricevere la comunione secondo le norme non è sulla mano, ma in bocca.
C’è, è vero, un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire l’ostia anche sul palmo della mano, ma questo dovrebbe in futuro rimanere un fatto straordinario.


Il «ministro della liturgia» di Papa Ratzinger, Cañizares, starebbe anche facendo studiare la possibilità di recuperare l’orientamento verso Oriente del celebrante almeno al momento della consacrazione eucaristica, come accadeva di prassi prima della riforma, quando sia i fedeli che il prete guardavano verso la Croce e il sacerdote dava dunque le spalle all’assemblea.









Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/10/2009 15:49
 
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Enricorns ha fatto una osservazione importante:

enricorns, 30/10/2009 15.13:

E si così si torneranno a dire i rosari e a fare le pie devozioni durante la celebrazione eucaristica


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Molto importante questa osservazione, ne approfitto per sottolineare  come il Rosario durante la Messa era una prtica molto cara a quanti diventarono poi santi...
san Padre Pio quando non celebrava la Messa e la ascoltava, non stava mai senza il rosario in mano...diceva che era "impossibile accostarsi all'Eucarestia senza la Madre"...

Il Rosario aiutava il fedele che NON comprendeva le molte parti della Messa in cui il sacerdote parlava sottovoce, a sentirsi ugualmente unito perchè uno degli errori fatti con la Messa nuova è stato quello di pretendere di SPIEGARE IL MISTERO DELLA MESSA...

La Messa è e resta un MISTERO proprio perchè non è invenzione umana....
dall'intervista che ho riportato leggiamo:

Il porporato ha sottolineato l’esigenza di recuperare “il senso del mistero. Dobbiamo recuperare quello che non avrebbe mai dovuto perdersi. Il più grande male che è stato fatto all’uomo è stato il tentativo di eliminare dalla sua vita la trascendenza e la dimensione del mistero”.


Nel momento in cui si è voluto SPIEGARE LA MESSA, abbiamo eliminato ANCHE LA MADRE che porta con se il MISTERO DELL'INCARNAZIONE...appare evidente a chiunque che nella nuova Messa Maria o viene messa da parte nelle Feste che la riguardano, oppure viene trattata COME UNA SEMPLICE FEDELE INSIEME AGLI ALTRI...
nella Messa di sempre invece Maria è CON I FEDELI MA E' REGINA è la Madre, per questo la si invocava con il Rosario durante la Messa per potersi farsi accompagnare da Lei alla Comunione...

Naturalmente una certa riforma atta ad evitare che il Rosario prendesse il sopravvento sulla Messa fu normale...ci vuole un equilibrio per tutto...ma il Rosario è stato completamente eliminato dall'attività Liturgica eucaristica...Grazie a Giovanni Paolo II esso ritornò durante l'Adorazione Eucaristica, ma prima della Messa, a parte in alcune Parrocchie che lo si dice nel vespertino prima della Messa delle 18,00, il Rosario di fatto NON si dice più...
o peggio, è stato dissociato dalla Messa... MARIA E' STATA SEPARATA DAL FIGLIO nella Messa...

qui c'è il Documento
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=...

che spiega la pratica del Rosario davanti all'Eucarestia...

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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P.S. NON fermatevi al titolo ed alle prime righe, leggete fino in fondo....

IO ACCUSO IL “PICCOLO MONDO” TRADIZIONALISTA  (da Facebook)

di Antonio Margheriti

Quando anni fa mi stavo avvicinando al tradizionalismo cattolico, ebbi modo di scambiarci sopra quattro parole con un vescovo, né modernista né reazionario, consevatore moderato magari. E mi disse una frase che mi turbò non poco, che m'ha sempre accompagnato: <<Tu ti metti in mezzo a quelli lì? Fallo, ti accorgerai da solo della qualità umana di quella gente, di che umanità misera e senza misericordia è>>.
La mia frequentazione attiva dell'ambiente "tradizionalista" non è più tarda di due anni, e l'ultimo anno è stato il più intenso. Devo ammetterlo: sono state maggiori le delusioni, le disillusioni che non le soddisfazioni. Questo per gli uomini. Che se devo pensare alle loro idee, spesso contraddittorie fra l'altro, non mi resta che chiudere baracca e bagagli e chiedere asilo religioso ai peggio progressisti sedicenti cattolici.
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IL MIO BUON PARROCO “MODERNO”

Ho riflettutto molto 'sti giorni. Ho ripensato a molte cose che mi son state dette dai “tradizionalisti” in questi mesi. E sono stato scosso da una vertigine che non finiva. Ho pensato con rimpianto, con commozione al mio giovane (allora) parroco, alla sua prima esperienza pastorale, che ho servito come cerimoniere per 8 anni, fino all'adolescenza: eccessivo talora, tendente allo sproloquio omiletico roboante quand'era preda del fervorino, un po' creativo, di cattivo gusto spesso; ma poi a tante piccole cose della tradizione ci teneva; un po' improvvisato, arruffone, istrionico, ma dal cuore buono.
Il suo fervore veniva per intero fuori quando celebrava di nascosto, nella sua camera, ignaro che da una finestra io lo spiavo: una passione travolgente davanti al suo Dio “moderno”, qualcosa di mistico e carnale, e forse pure un po' si autosuggestionava. Sì, un po' era facile a credere ai miracoli, alle prurigini del popolino fedele, alle madonne piangenti, ai raccontini gotici di apparizioni di anime infernali e purganti che lasciavano impronte di mani infuocate sui muri.
Ma era un vero prete.
Inconsapevolmente talora avrà reso nullo l'ufficio della messa, con certe sue improvvisate trovate fraseologiche all'elevazione dell'ostia, di effetto, secondo lui. Quando una volta glielo feci notare, mi cacciò: <<Il maestrino lo farai quando esci dal seminario... che poi con quell'aria già cardinalizia che hai, può darsi pure che ti ci fanno cardinale, per fare meglio il maestrino. Ma al momento comando io. Fuori! E non farti manco più rivedere!>>.
Andai via convinto che in fondo era un buon vero prete dal grande cuore. Qualche giorno dopo trovò il modo di farsi perdonare mandandomi a chiamare, chiedendo di me a mia madre, facendomi avere dei libri a cui tenevo. Era un cuore che accumulava maldicenze, insubordinazione, invasioni di campo di laici spadroneggianti nella parrocchia, cattiverie. Un po' se le cercava; un po' se le teneva e ci soffriva; un po' si ribellava e sbraitava come uno scaricatore di porto.
 Ma nelle cose si buttava, a capofitto, troppo, senza badare a spese: quando nel paese anni '80 arrivò la tossicodipendenza, lui era là, a creare la prima comunità di recupero della Puglia. Sarà la sua gioia e la sua disgrazia. Era un prete moderno. Ma un prete vero. Anche anticomunista, mica no. Era legato a ogni vincolo della chiesa, voleva bene al papa come fosse un Dio, e per anni ha portato avanti il tormentone, durante le omelie, che sarebbe riuscito a portarci il papa polacco nel paese (di 9mila abitanti) a incoronare la statua della nostra madonna, la “Regina Pacis” (si era inventato lui questa madonna, il rito apposito che si faceva al sabato, sospetto anche certi discutibilissimi miracoli per invogliare i pellegrinaggi, e un giorno prese e la nominò patrona del paese... scatenando l'ira del vescovo e del parroco della chiesa madre): quando “arriverà la conferma del Vaticano” avrebbe fatto suonare a festa le campane per un'ora. Non suonarono mai.
Quando io glielo avevo profetizzato con aria di sufficienza, mi aveva cacciato ancora: <<Fuori! miscredente e anticlericale che non sei altro. E non farti mai più rivedere!>> Poi mi mandò a chiamare, trovando il modo di scusarsi senza scusarsi. Era il suo un sacerdozio vivo, moderno ma fedele a Cristo e alla chiesa, a volte sembrava uscito sì da un circo, ma tante altre da un seminario bigotto di papa Gregorio XVI. Era umanità e sacerdozio, ingenuità e fortezza, praticoneria e zelo. Ci confermò nella fede tutti. Un po' mi manca, manca a me, cattolico tradizionalista: a nostro modo eravamo una famiglia.
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E SE I VESCOVI NON è IL PAPA CHE VOGLIONO COLPIRE?

Oggi mi ritrovo contornato di tradizionalisti, venuti fuori come le lumache dopo l'acquazzone, e che già avevano fatto capolino con le corna, appena eletto Ratzinger.
Col Motu Proprio, vennero definitivamente allo scoperto. Apriti cielo! Porte di episcopi che si sbarravano al loro passaggio, portoni di chiese che si aprivano a tutti anche alle prostitute e agli infedeli ma che per i soli tradizionalisti restavano chiuse col saliscendi, opposizioni astiose di vescovi e preti, oltre i soliti modernisti, polemiche a non finire.
Perchè? E' davvero tutta merda quel che feta? E' opposizione diretta e frontale dei consacrati, come mai s'era vista dai tempi di Paolo VI, verso il papa? E' veramente con Benedetto che ce l'hanno? Attaccano il Motu per colpire indirettamente lui? Forse in alcuni casi sì. E se per i restanti casi, la maggioranza, fosse proprio voglia di colpire i tradizionalisti? E allora, in tal caso, perchè? Per una certa retorica declamatoria e distorta filo-conciliarista, che vorrebbe la chiesa come vecchia di soli 40 anni?, e ciò che era prima è solo inquisizione e superstizione? Talora sì. Ma non sempre.
Infatti penso che il più delle volte è proprio il rifiuto della chiesa “quotidiana” non tanto della tradizione in sé (della quale bene o male si sentono partecipi), ma proprio dei tradizionalisti. E' quasi il fattore umano che respingono. Cosa non gli va a genio al prete o al vescovo ordinario del tradizionalista classico? Il discorso è vasto, le ipotesi molteplici. Enumeriamone sommariamente alcune, solo alcune perchè una nota facebook non è un libro.
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IL FATTORE LEFEBVRE. O DELLA “MALEDUCAZIONE”

Lefebvre. C'è un fattore Lefebvre: per anni è stato visto e presentato come un fenomeno di esaltazione, uno sbandato, un randagio in preda a fumisterie sorpassate già prima del concilio stesso. Ma soprattutto continua a sopravvivere nella coscienza clericale collettiva come lo “scomunicato”. Quasi un eresiarca (quando persino si è smarrito lo stesso concetto esatto di eresia - E DIO NON VOGLIA, DI DOTTRINA- nelle loro coscienze, e perciò il sospetto di tale colpa può colpire a caso ed essere più vischioso), un tetro fenomeno di disobbedienza al papa tanto più grave quanto più fu serio, regolare, consumatosi cioè “dentro” la chiesa, soprattutto vissuto in diretta -ed è il primo caso- sui massmedia. L'impatto a suo tempo e negli anni successivi sarà enorme e costante. Fino a far risalire sommariamente qualsiasi fenomeno generico di “tradizionalismo”, ovunque manifestatosi, a lui e alla sua comunità: l'accusa di “lefebvrismo” sarà assai frequente nel catalogare qualsiasi forma di rimostranza contro gli abusi (ma anche no) liturgici perpetrati da consacrati e laici negli ultimi anni.

A questo aggiungici che morto l'ultimo leone della chiesa pacelliana, il cardinale Siri, a molti cattolici tradizionali non restò che, come unico punto di riferimento, proprio mons. Lefebvre che si perpetuava nell sua Fraternità, ultima fiaccola accesa della “contestazione” conciliare, della tradizione “intramontabile” che inesorabilmente tramontava. I tradizionalisti si aggrapparono col cuore macellato alla sua memoria. Fu una scelta, la loro, disperata più che meditata. Non v'erano alternative: ma i più non abbandonarono Roma, né fecero ingresso nella comunità econiana: si tennero a distanza critica da Roma e a distanza di sicurezza da Lefebvre. Fu a un certo punto più questione di sentimenti e di emotività che non di politica ecclesiale. Quindi, da questo momento in poi saranno per i giornali e gli altri cattolici, facendo di tutt'erbe un fascio, dei “lefebvriani”, cioè “ribelli scismatici”.
Era un giudizio liquidatorio frettoloso e dovuto all'inerzia mentale, alla malafede e all'ignoranza. Ma era anche un marchio che metteva all'angolo: nelle sacrestie e nelle chiese, in qualsiasi gruppo; e in più i tradizionalisti non avevano veri movimenti , associazioni, gruppi ecclesiali che li rappresentassero e un po' li accreditassero nella chiesa ufficiale.
Quando Lefebvre invecchiò e si ammalò, perse un po' la lucidità e, ahimè, vittima di giornalisti profittatori, si lasciò andare a dichiarazioni assai infelici e improvvide, che non poco compromisero la causa legittima che portava avanti.
Queste sue valutazioni poco diplomatiche sulla chiesa, ebbero due effetti. Si stagliarono come un'ombra sinistra su tutto l'arcipelago tradizionalista a inficiarlo di disonore e, secondo, fece prendere col cattivo esempio una brutta piega alla sua stessa Fraternità Sacerdotale s.Pio X. Ne rafforzò la certa idea di se stessa che già di suo aveva, quel vanitoso senso di alterezza che punto e momento rimarcavano sdegnosamente per distinguersi “da Roma”; montò sino al ridicolo la loro superbia arcigna; fece srotolare da Econe fino a San Pietro lingue biforcute e irrispettose nonché velenose come un frullato di cobra. Divaricando il fosso che li separava dal papa. Davano l'idea che affatto volessero trovare un compromesso per tornare in pace con Roma, ma che anzi -era questo il messaggio che filtrava- lì dove stavano, a Econe, erano felici e contenti a pavoneggiarsi nel loro prezzolato sacerdozio all'antica. Che se ne venisse Roma a Econe, semmai.

Inutile dire che due altre erano le conseguenze di questo atteggiamento.
Il primo, era la sensazione serpeggiante, che non smentivano, di considerare quasi quasi illegittima la Cattedra, e che la messa montiniana forse era pure questa invalida, se non proprio eretica. Manco a dire che la seconda conseguenza fu un richiamo della foresta per sedevantisti, bastian contrari d'ogni risma, snob e aristocraticume fuori dal mondo e critici su tutto e assai poco cristiani; nonché matti e isolati per scelta propria e per scelta altrui (necessaria), insomma una umanità varia, miserevole, unita solo dalla stravaganza più che dall'amore per il culto divino e il divino stesso.
Fu un disgrazia che si abbattè sulla Fraternità e sui cattolici tradizionali etichettati da allora come “lefebvriani”.
Additati al pubblico disprezzo quali scorbutici fenomeni da baraccone, divennero più chiusi, spigolosi, marcarono ancora più le loro differenze e involontariamente le stravaganze, per difendersi mantenendo viva l'autostima.
che divenne orgoglio. Poi superbia. Infine arroganza. E ancora sfacciataggine. Dulcis in fundo, attaccabrighe incendiari. Il popolo tradizionalista, avendo questa unica fiaccola della tradizione in mano, si illuminò solo con questa, cominciò a comportarsi così pure esso. Anzi, si accanì nello studio meticoloso e lezioso di ogni particolare della vecchia liturgia, cerimoniale, dottrina: spesso in modo pretestuoso, spesso per avere cavilli con cui montare casini e occasioni di dichiare “invalido” questo e quest'altro a destra e manca, riguardo la forma di culto attuale.

Politica, a questo punto, zero, senso pratico zero: scrupolosi e, bisogna dirlo, rompicoglioni, tanto!
Questa è la seconda conseguenza. Lefebvre era un santo prete, era un uomo buonissimo. Ma non ci capiva nulla di politica né laica né ecclesiastica. Chiaro che non potè per questo esserne maestro per i suoi seguaci, sempre più decontestualizzati e alienati dal resto del mondo cattolico, che continuarono a crescere da impolitici.
Qui non si intende per politica solo quella istituzionale, quella propria dei politici laici. Parlo di politica come prassi, intuito, arte di persuasione, del possibile, psicologia, conoscenza dell'animo umano, abilità manovriera, fare il gioco sporco restando puliti, cognizione del minus et major malus, senso del provvido e dell'improvvido, dell'utile e dell'inutile, dell'urgete e del procrastinabile, capacità di capire il momento giusto per fare o dire o disfare e disdire le cose, come far scoppiare una bomba facendo finta d'aver fatto scoppiare l'amore, quando nascondersi e quando dominare il proscenio. Questo, tutto questo che rientra nel gioco complesso delle relazioni e dei rapporti di forza sociali, che è la politica, tutto questo è venuto a mancare ai lefebvriani, rimanendo degli impolitici. E perciò l'ultima fiaccola della tradizione impugnata da Lefebvre veniva ad ardere dentro una stalla piena di paglia: col rischio di spegnersi in un grande falò che avrebbe incenerito tutti, uomini e buoi.

Il caso Williamson ne è stato la prova: totalmente impolitico, privo di senso del reale e dell'utile, perciò mancante del senso della storia, incapace di valutare i risvolti politici delle sue parole, improvvido nello scegliere i momenti, non è stato nemmeno capace di immaginare che plateale, conclamata trappola al tritolo si stava preparando strumentalizzando la sua ingenuità politica, e ci ha messo del suo fino alla fine. Le schegge derivatene dall'esplosione a orologeria, hanno lambito persino la Sacra Persona del Pontefice, e sputtanato ingiustamente tutti i tradizionalisti. La politica è il più delle volte reprimere se stessi, non avere l'onestà di manifestarsi, perchè la verità che coviamo dentro è sempre oscenità e debolezza, e la tua debolezza è la forza dei tuoi nemici.
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IL PIVIALE DI WOJTYLA PER IL GIUBILEO: UNA DICHIARAZIONE DI GUERRA!

Poi arrivarono gli ultimi anni di Wojtyla, e con questi i fuochi d'artificio, sino al colpo scuro del Giubileo: si era in pieno circo mediatico e Piero Marini ci mise il carico da 90. Prendi (ne cito solo uno di esempio) il piviale dell'apertura della Porta Santa, con fantasie ricchione di stilista della categoria: sembra una cazzata, invece per chi conosce come me i tradizionalisti, era una vera dichiarazione di guerra da parte di Roma. Uno spartiacque. A cui i tradizionalisti risposero apertis verbis. E la cosa andò di male in peggio, degenerò (più da parte romana), a questo punto non più condotta dalla Fraternità, ma proprio dai laici tradizionalisti che lì s'erano in quegli ultimi anni abbeverati per non morir di sete. Guerra di logoramento, con tanto di nomi e cognomi e relativi epiteti lanciati in trincea come bombe a mano. Guerra totale su tutto e su ogni particolare: che non risparmiava cerimonieri, papi, cardinali, vescovi, preti, movimenti e congregazioni. Si cominciò ad additare, e alla maniera, quando non rude, spocchiosa e irritante che i tradizionalisti avevano imparato negli ultimi tempi dai lefebvriani...

Capirete che vescovi e preti, laici impegnati secondo i canoni alquanto distorti degli ultimi tempi, non avevano alcuna intenzione di ritrovarseli fra i piedi i tradizionalisti indispettiti a, di sicuro e come minimo, inciamparci: nelle proprie magagne scoperchiate; nel quieto vivere lassista e moralista compassionevole (complice) contestato, accusati delle loro piccole viltà quotidiane... Che non mettessero i tradizionalisti con la loro mancanza di tatto zizzania tra associazioni laicali e gruppi di fedeli contro altri, scatenando guerriglie tribali; che non scomodassero i preti diocesani da un ordinario torpore che se non altro li manteneva ciascuno al suo posto; infine perchè non venisse meno il clima di “normalità” che comunque, come ammetteva lo stesso Ratzinger a suo tempo, deve essere la condizione consueta della chiesa.
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IL FATTORE “CATACOMBE”. O DEL PERCHè I TRADIZIONALISTI SONO “STRONZI”

Per spiegare certe asprezze del carattere del tradizionalista classico, v'è un altro fattore. Il fattore catacombe. Un fattore che ne implica naturaliter una caterva di altri, più o meno sgradevoli, più o meno stravaganti, sterili quando non dannosi.
Negli ultimi 40 anni, chiuso il concilio della discordia (ma escluso Trento -che però nasceva già dallo scisma-, quasi ogni concilio ha portato con sé divisione, scismi, antipapi), per scelta o per forza molti tradizionalisti, scandalizzati o storditi dalla piega sinistra che stavano prendendo gli eventi dentro la chiesa, molto al di là dei propositi dei Padri, imboccarono la strada del loro Aventino, che più tardi, precipitando le cose, fu una discesa nelle catacombe, come i primi cristiani sotto le persecuzioni romane.

A questo “tristo esiglio” ci si avviò con spirito ciascuno diverso: aristocratico sdegno; voglia di non compromettersi con l'”apostasia”; sentimenti millenaristici di attesa della fine dei tempi che non poteva che “essere ormai” alle porte; con la speranza di riuscirne al ritorno di tempi migliori passata la tempesta; per paura di essere travolti nel crollo “immancabile” dell'edificio cristiano, discesero nelle catacombe cercando di salvare il salvabile della chiesa dell'ortodossia e cioè se stessi; in attesa della fine del pontificato montiniano con l'ascesa al soglio di Siri; altri proprio per fare un dispetto a Montini; per tal'altri fu l'occasione di dare, al riparo di occhi indiscreti, sfogo alle passioni più eccentriche; ancora molti altri (come Lefebvre) per tenere viva l'unica fiammella rimasta accesa della Tradizione “Intramontabile” affinchè non se ne spegnesse per sempre l'ultimo ricordo, nella certezza che proprio da quella ultima fiammella fioca e tremolante in tempi non lontani, nella generazione successiva in pratica, il fuoco sacro della tradizione cattolica sarebbe divampato nel cuore dei più giovani, quelli nati dopo il concilio... e in questo almeno fu profeta!

Ora questo periglioso esilio dei tradizionalisti, questa loro volontaria, e non, scissione dalla storia squallida e miserabile degli anni 60-80, questa loro giacenza indignata entro le moderne “catacombe”(fossero anche il muto dissenso partecipando con scetticismo alla messa moderna), ne ha indubbiamente segnato il carattere. Talvolta l'ha rovinato. E per forza!... in quelle condizioni, additati da tutti come cani arrabbiati prima e randagi poi, senza amici, e vedendosi condannati dal Vaticano: i soli!... mentre impunemente porci e puttane gli passavano innanzi nel regno dei cieli in terra, la chiesa. Fu una durezza ingiustificabile quella nei loro confronti, ma tipica di un certo pur mite Paolo VI, che all'occorrenza, su certi temi, sapeva essere parziale e partigiano come pochi.

La situazione divenne esasperante. Si spiegano così anche le spigolosità del carattere del tradizionalista uscito dalle cavernosità catacombali, l'iracondia, la sprezzanteria, l'aggressività, la saccenteria, la spocchia, l'arroganza e via via tutte le sfaccettature di un carattere astioso e rancoroso, comunque complesso, che si manifesta soprattutto attraverso una lingua lunga quanto l'autostrada del Sole e velenosa come un crotalo dei deserti. La loro subitanea facilità nello scattare, al primo sentor di “abuso” e di “condiscendenza” verso l'abusatore liturgico, contro vescovi e se occorre pure il papa ormai è... cronaca! Riconoscere o distribuire patenti di “legittimità” od “odor d'eresia” o meno a chiunque rasenti -a loro dire- l'avvenierismo dottrinale e liturgico, è uno sport tradizionalista diffuso, lo sappiamo, e spesso pure praticato con insostenibile leggerezza.

Un capolavoro post-moderno di stronzaggine, insomma. E' chiaro che è gente che in parte ha perso la fiducia nella gerarchia, non del tutto nei fedeli; e sia chiaro. spesso a ragione l'hanno perduta... il resto fu moltiplicazione di pani e pesci. Anarchia, indomabilità, pigrizia, lagnosità, insubordinazione, pure queste solo peculiarità caratteriali sviluppate nell'oziosità della catacomba.
Ma non dimentichiamo neppure mai che il tradizionalista, è un cattolico che ha sofferto più di altri. Perchè il suo amore per la chiesa, alla fine dei conti, è un amore più grande. E passionale, possessivo, geloso, protettivo. Mentre tutti gli altri nei precedenti 30 anni facevano gioco festa nella chiesa, mentre si davano all'ammucchiata, i tradizionalisti stavano soli e avevano il cuore spezzato e lo stato d'animo d'una vecchia lumaca a cui hanno rotto il guscio, che poi è la sola casa che ha, e si porta sulle spalle.


ZOO TRADIZIONALISTA ODIERNO. NON Più “TRADIZIONE” MA “TRADIZIONI” (ANCHE SU FB)

Come si sa, il lungo isolamento è nemico dell'equilibrio mentale e amico d'ogni sorta di stravaganza. Nel nascondimento, avendo poco da perderci ormai, è facile indulgere ad azioni eccentriche, aderire a passioni insane e impietose, sostenere cause disperate e perdute. Molti tradizionalisti sono caduti in questi circoli viziosi e ancora non ne escono, né vogliono: ne dipendono.
Dentro le “catacombe”, in quelle condizioni penose, era difficile davvero sino alla fine reggere l'idea portentosa d'essere gli unici depositari dell Tradizione cattolica. E si era oggettivamente in pochi per farlo. Allora si è cominciato a cedere alla tentazione di allargare le “competenze”, o comunque le maglie del tradizionalismo per farvi fare ingresso a soggetti che, portatori di un proprio peculiare tradizionalismo manco tanto cattolico, di “tradizioni” autoctone e le più improbabili, riconoscevano comunque nella Tradizione cattolica, la madre e la chioccia di ogni sorta di tradizione minore o derivata; la regina delle battaglie per il recupero non più solo di una certa tradizione liturgica, ma proprio la restaurazioni di corpi, istituzioni e società appartenute ad una storia passata che “tardava a tornare” (e che, chiaramente, non sarebbe più tornata).

Non dubitiamo che, nell'inerzia delle “catacombe”, queste new entry, rispondessero pure a un bisogno di cambiare un po' l'aria stantia, soprattutto d'avere un minimo di compagnia per passare il tempo. Non fosse che questi signori non sempre conoscevano a fondo il cattolicesimo, anzi talora portavano con sé risentimenti persino precedenti lo stesso concilio e magari erano pure leggermente sedevacantisti di professione, se non proprio, in origine, piuttosto anticlericali, quando non anticattolici addirittura. Molti di questi compagni di sventura a qualsiasi epoca, dipendevano, circa le Verità cattoliche, da fonti autonome che prescindevano dal magistero della chiesa. Ve la faccio breve.

Insomma, d'improvviso, il piccolo mondo antico del tradizionalismo, nato dalla contestazione dentro il concilio (ma soprattuto dopo il concilio, dinanzia a gigantesche deviazioni), se non proprio cambia faccia, ne assume almeno una multiforme. Questa sua metamorfosi, a mio modo di vedere, inizia in una data precisa. A metà anni '70 quando l'arcigna principessa Elvina Pallavicini aprì le porte della sua magione a mons. Lefebvre, proprio mentre la curia le serrava contro di lui. Fu un raro caso di ammutinamento di un casato (l'ultimo veramente attivo) dell'aristocrazia nera romana contro lo stesso sovrano pontefice. In questo momento si ufficializzò questa trasformazione del tradizionalismo post-conciliare da fenomeno puramente ecclesiale a fenomeno spurio, ideologico, sociale e di costume (intendendo talora proprio quelli di carnavale). Insomma se ne fece un zoo di specie umane curiose, rare e molte in via d'estinzione. Difficilmente simpatiche, quasi mai popolari.

Si stava passando dalla “TRADIZIONE” alle “TRADIZIONI”. Fenomeno oggi visibile in modo privilegiato su molti profili di utenti “tradizionalisti” (in senso lato) di facebook...
MA QUESTA è Già UN'ALTRA STORIA...
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IL VICARIO DI CRISTO. IL GRANDE CUORE DEL PADRE COMUNE
COSA LI HA SPINTI NELLE CATACOMBE
COSA LI HA SPINTI NELLE CATACOMBE
COSA LI HA SPINTI NELLE CATACOMBE
COSA LI HA SPINTI NELLE CATACOMBE
1988. PER NON SPEGNERE L'ULTIMA FIACCOLA. PER NON MORIRE. L'arcivescovo Lefebvre consacra 4 vescovi.
IL SUCCESSORE PRUDENTE. VERSO ROMA. ROMA HA COMINCIATO A CAPIRE.
L'IMPOLITICO. L'IMPOLITICITà è UNA CARATTERISTICA DI CERTI CATTOLICI ZELANTI. WILLIAMSON
FENOMENI SPURI, ASSAI CONSUETI OGGI, ANCHE SU FB. DOVE LA TRADIZIONE VIENE INTERSECATA CON LE "TRADIZIONI". UN FENOMENO PERICOLOSO, CHE PUò ALLONTANARE I SEMPLICI FEDELI DAL RITORNO ALLA TRADIZIONE
UN SACERDOTE DEI NOSTRI GIORNI. CELEBRA LA MESSA RIFORMATA, MA è ATTENTISSIMO AL PATRIMONIO TRADIZIONALE E ALLA SOLENNITà DEL RITO CURATO ANCHE NEI PARTICOLARI. IL PEGGIO è COMUNQUE PASSATO...
1987. IL MIO PARROCO "MODERNO A MODO SUO" DON FRANCO, FRESCO DI CONSACRAZIONE, MI Dà LA PRIMA COMUNIONE. DI LUI PARLO IN QUESTA NOTA. FUI SUO CHIERICHETTO E CERIMONIERE A LUNGO IN ERCHIE.
OGGI.
EPPUR RINASCE.
QUESTA TRADIZIONE I CUI ANTICORPI ABBIAMO NEL SANGUE...
ORMAI I RITI ANTICHI SI STANNO MOLTIPLICANDO... CELEBRATI IN MIGLIAIA DI CITTà DELL'ORBE CATTOLICA
RINGRAZIAMO!

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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quando si dice "nascere con la camicia"... di forza

Pubblichiamo la traduzione (sommaria) dell'interessante articolo pubblicato da http://www.summorum-pontificum.fr./

Per capire perché oggi alcuni cattolici hanno un forte attaccamento alla Messa nella sua forma tradizionale, è utile fare alcuni sondaggi nella storia dell’introduzione della Messa nella sua forma ordinaria. Sondaggi senza pretese e incompleti, ma vogliono invitare a fare di più coloro che sono interessati alla questione.

L’ Institutio Generalis è la presentazione del nuovo messale romano nato nel 1969 e che passerà ai posteri come la Messa di Paolo VI. La denominazione non è corretta se non nella misura in cui Papa Paolo VI ha voluto questa nuova forma della messa romana e l’ha avvallata con la sua suprema autorità. Al momento della pubblicazione, l'articolo VII della Institutio Generalis fece scandalo. Perché? Perché proponeva una definizione non tradizionale della Messa:

"La Cena del Signore o Messa è la Sinassi sacro o raduno del popolo di Dio riunito sotto la presidenza del sacerdote per celebrare il memoriale del Signore. Pertanto si applica eminentemente al raduno locale della santa Chiesa la promessa di Cristo: "laddove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono con loro" (Mt 18, 20).

Questa definizione non corrispondeva ad alcuna definizione di Messa fino ad allora in vigore.

Il 12 giugno 1970, l'Osservatore Romano pubblicò una nuova versione italiana dell'articolo VII della Institutio Generalis prima che apparisse definitivamente in latino. Nella sua nuova versione, l'articolo VII recava:

"Nella Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è convocato e riunito sotto la presidenza del sacerdote, che rappresenta la persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, il sacrificio eucaristico. Ecco perché questa congregazione locale della santa Chiesa realizza in modo eminente della promessa di Cristo: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20). Infatti, nella cerimonia della Messa dove si perpetua nel sacrificio della croce, Cristo è realmente presente nella stessa assemblea tenutasi in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e in modo, sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche ".

Come notato da Luigi Salleron in uno studio pubblicato nel numero 128 de "La Pensée Catholique":

"Il numero 7 è stato completamente rifatto perché apparissero più chiaramente le verità che sono sempre state proposte dalla rivelazione divina, dalla tradizione e dal magistero della Chiesa, e che riguardano direttamente il mistero eucaristico, ciòe la verità del sacrificio, la natura sacramentale del sacerdozio e alla presenza reale ".

La dottrina era al sicuro. Tuttavia Louis Salleron , al termine del suo studio, ha portato un'altra osservazione che si tende a dimenticare oggi:

"L’Institutio Generalis è stato modificata, ma l'ordo Missae in sé non lo è stata, o appena. Ma c'è qualcosa che suscita preoccupazione, per un semplice motivo. Sono gli stessi esperti che hanno scritto l'ordo Missae e l’ Institutio Generalis. Dandoci l' Institutio Generalis (prima versione) che essi stessi hanno affermato il significato ambiguo della loro nuova messa. (...) La Institutio Generalis è stata corretta per ribadire esattamente ciò che è la Messa. Ma la Nuova Messa, immutata, resta suscettibili di essere interpretati secondo il Institutio Generalis prima maniera che le corrisponde esattamente. La Nuova Messa è valida, senza dubbio. Esso contiene alcune modifiche felici, vogliamo credere. Ma che nel complesso essa rischia di portare sacerdoti e fedeli a una minimizzazione della verità circa l'Eucaristia e il Sacerdozio, è difficile da negare. L'interpretazione data da suoi autori, quella che danno con ancora più coraggio i suoi più convinti sostenitori, e la pratica si sta diffondendo di "celebrazione", di "agapi", di "cene" e di “condivisioni "sono i segni indubitabili di pericolo installato nel cuore della Chiesa. Il rito tradizionale proteggeva delle verità che ora terribilmente esposte. Basta vedere come volano via nel vento del progressismo ".

Accogliendo questa correzione dell'articolo VII, Luigi Salleron ne ringraziava il Papa Paolo VI e formulava la speranza "che i cattolici possono trovare nella Messa stessa le certezze che erano state appena loro restituite nella sua presentazione".

In ultima analisi, il Papa Benedetto XVI ha fatto una parte di questo programma ripristinando la piena cittadinanza alla Messa tradizionale. L'altra parte, che egli chiama la "riforma della riforma" resta ancora da fare, anche se, qua e là, piccoli segni mostranoche le cose sono in corso. Non si tratta di sensibilità liturgica, ma di una superiore conformità con la dottrina cattolica della Messa.
La si aspetta dal 1970.

Fraternamente CaterinaLD

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LEGGETE RAHNER:

  

NON CI CAPIRETE NIENTE MA È IMPORTANTE LEGGERLO”

Un linguaggio difficile. Un teologare onnicomprensivo.

La “svolta antropologica” di Rahner.

Padre del relativismo? Pericolose derive dottrinali?

Un uso moderato per “non nuocere gravemente alla salute”… dell’anima

 

 

Leggete Rahner. Voi non capirete molto ma è importante che lo leggiate lo stesso”. Con questo appello ironico ai suoi studenti, alcuni anni fa, un professore di teologia sintetizzava in modo mirabile due aspetti fondamentali del pensiero di Karl Rahner. Le sue parole si persero nell’aria mite di un pomeriggio. Nel corso degli anni, però, alla luce di questi nuovi studi, sono ritornate in mente. Anche perché, nel frattempo, quel professore, che era pure prete, ha lasciato l’abito sacerdotale ed è convolato a nozze con una donna, con la quale aveva da tempo una relazione segreta.

 

 

 

di Claudia Cirami

 

Leggete Rahner. Voi non capirete molto ma è importante che lo leggiate lo stesso”. Con questo appello ironico ai suoi studenti, alcuni anni fa, un professore di teologia sintetizzava in modo mirabile due aspetti fondamentali del pensiero di Karl Rahner, teologo gesuita del xx secolo, morto nel 1984: la difficoltà di comprendere fino in fondo il suo pensiero dovuta ad un linguaggio ostico e, nello stesso tempo, la rilevanza di un teologare che lo ha reso uno dei più celebrati soloni della teologia degli ultimi tempi.

 

UN LINGUAGGIO DIFFICILE

I professori Rahner e Ratzinger

Quello del linguaggio rahneriano non è un problema indifferente. In un articolo sull’Osservatore Romano del 28 Dicembre del 2009, F. G. Brambilla, preside della facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, lo definisce “tormentata lingua”, tale da renderlo meno leggibile rispetto ad altri teologi. Capire esattamente la portata del suo pensiero non è semplice per chi non si occupa di teologia a tempo pieno (e spesso anche per chi se ne occupa). Non si tratta, infatti, del solito linguaggio da professore teutonico disseminato di termini vigorosi: Christliche Weltanschauung, Formgeschichte, etc. In Rahner è operante invece lo scontro quotidiano tra il desiderio, esplicitato dallo stesso teologo, di rendersi comprensibile all’uomo comune e l’incapacità quasi strutturale di riuscire ad esprimersi in un modo tale da poterlo raggiungere. Una vera eterogenesi dei fini, se leggiamo quello che confessò a Vittorio Messori: “Non sono mai stato un teologo chiuso agli influssi esterni. Se studiavo un argomento è perché dalla mia attività pastorale, dai miei contatti con la gente, mi rendevo conto che quell’argomento faceva problema; che qualcuno poteva essere aiutato da una ricerca”.

 

 

UN TEOLOGARE ONNICOMPRENSIVO

Rahner ancora giovane gesuita. Il "suo" concilio era ancora lontano. Indossa ancora un clergymen. Fra poco dismetterà e per sempre i segni esteriori del suo sacerdozio

Sulla grandezza della sua riflessione teologica non ci sono dubbi. Pensiamo, ad esempio, a quello che gli deve la teologia trinitaria. Rahner ha formulato l’assioma “La Trinità economica è la Trinità immanente e viceversa”, mostrando che è solo a partire dalla sua manifestazione nella storia – con la rivelazione di Cristo – che possiamo sapere qualcosa del Dio Uno e Trino così come è in sé. La Commissione Teologica Internazionale, nel documento Desiderium et cognitio dei del 1981, ha reso più esplicito questo assioma, evitando alcuni seri rischi. Giustamente, però, Luis Ladaria, attualmente segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha sottolineato che “sono chiare le coincidenze con il modo di esprimersi di Rahner. E’ sua l’intuizione che in fondo si accetta”. E non è solo la teologia trinitaria ad essergli debitrice. Rahner fu chiamato come teologo perito al Concilio Vaticano II e presto divenne un personaggio chiave nell’assise conciliare. Inoltre, basta dare uno sguardo alla sterminata bibliografia del gesuita (circa 4000 scritti) per capire che egli si è occupato di molteplici settori della teologia: Sulla teologia della morte, La gerarchia nella Chiesa, Ascesi e mistica nei Padri della Chiesa, La Trinità, Le dimensioni politiche del cristianesimo, Il sacerdote e la fede oggi, Corso fondamentale sulla fede, Eucaristia, Sul battesimo, etc. E lo ha fatto sempre in modo significativo e mai scontato.

 

 

LA SVOLTA ANTROPOLOGICA DI RAHNER

Il padre Cornelio Fabro. Parlò per primo di “svolta antropologica” in Rahner

E’ stato il padre stimmatino Cornelio Fabro, nel 1974, ad usare l’espressione “svolta antropologica” in relazione alla teologia di Rahner. Uno dei primi, anche, ad esprimere una critica nei confronti dell’osannato gesuita. Rahner parte dall’uomo per il suo discorso su Dio. Egli, infatti, “era persuaso che il dato della fede va messo in rapporto fin quasi a rinascere nell’esperienza che l’uomo ha di sè. Dunque l’antropologia ha da portare alla teologia un contributo fondamentale” (A. Bertani, Jesusn.4 Aprile 2004). Fondamentale, certo, ma anche deleterio nel momento in cui la teologia si ritrova a dover dipendere da questa. Scrive Rahner: “La teologia oggi deve assolutamente tener conto di tutte le scienze antropologiche moderne, che non esistevano in passato, così come deve conoscere e rispettare l’uomo nella prospettiva delle scienze naturali moderne”. In una simile affermazione c’è un che di sinistro: il tono stesso. Sembrerebbe quasi sostenere l’impossibilità per il discorso teologico di essere articolato senza il contributo vincolante dei dati delle moderne scienze antropologiche. Non sembra qui di risentire l’eco della mai sopita tentazione di voler ridurre Dio alla “misura” dell’uomo? Infatti, padre Giovanni Cavalcoli, un teologo domenicano che ha criticato la teologia rahneriana, spiega: “InRahner l’uomo si ripiega sulla sua illimitata autocoscienza perché egli ha assolutizzato se stesso”.

 

 

PADRE DEL RELATIVISMO?

In un articolo su Il Foglio del 2009, intitolato in modo molto significativo Rahner, maestro del Concilio, di Martini e della coscienza relativa, Roberto De Mattei presenta la figura del teologo tedesco come “padre del relativismo teologico contemporaneo”. Un relativismo che drammaticamente è cresciuto in maniera esponenziale dopo il Concilio Vaticano II. Non sono però i documenti conciliari i responsabili di questa deriva ecclesiale. Nel discorso alla curia romana del 2005, Papa Benedetto XVI ha spiegato, infatti, che sono state due le ermeneutiche di questo grande evento: una – quella “della riforma” – che, pur nel silenzio ha prodotto buoni frutti; l’altra – quella “della discontinuità e della rottura” – che ha interpretato il Vaticano II come evento che rompe con il passato preconciliare e la Tradizione. Il già citato padre Cavalcoli non ha dubbi su chi sia uno degli indiziati maggiori all’origine di questa “ermeneutica della discontinuità”: proprio Rahner, perché egli “ha concepito il progresso come rottura, come contraddizione col passato di una tradizione cristiana sacra e perenne” operando non “in nome di una sana modernità, ma di un rinnovato modernismo peggiore di quello dei tempi di san Pio X” (Radici Cristiane, n. 47, Agosto-Settembre 2009). Al teologo tedesco, padre Cavalcoli ha dedicato pure un libro dal titolo emblematico: K. Rahner. Il Concilio tradito, che rincara la dose.

 

 

PERICOLOSE DERIVE DOTTRINALI?

Il padre dell'esistenzialismo Martin Heidegger. Una pericolosa passione di Rahner.

Heinz J. Vogels – che certo non può essere considerato un tradizionalista – ha messo in evidenza i principali pericoli insiti nella teologia rahneriana: Padre, Figlio e Spirito Santo visti come tre modi di manifestarsi di un’unica Persona divina e non come tre Persone distinte (modalismo); Gesù Cristo solo espressione storica del Padre, non Persona divina preesistente (adozionismo); mancato riconoscimento del carattere di persona dello Spirito Santo; una rischiosa tendenza a vedere operante in Gesù Cristo un’unica energia (monoenergismo) e un’unica volontà (monotelismo), quella divina, mettendo in ombra la componente umana; la maternità divina di Maria messa implicitamente in discussione; affermazione della capacità dell’uomo di auto-redimersi. Anche ad una rapida occhiata, è possibile comprendere che qualcosa non va nella teologia dell’illustre gesuita. E non dimentichiamo, infine, l’attrazione fatale di Rahner per Heidegger, padre dell’esistenzialismo che, come ricorda Messori in Vivaio, Edith Stein riteneva non adatto ad un cristiano perché negava l’esistenza di Dio così come lo intende la fede cattolica. Pur nella grande fama riconosciuta al teologo tedesco, c’è, dunque, in Rahner il pericolo implicito di una teologia che, portata all’estreme conseguenze, conduca su binari che si discostano dall’ortodossia cattolica. Non sarebbe il primo caso, nella storia della Chiesa, di un teologo che, pur mantenendo se stesso all’interno della fede cattolica, ha di fatto, suo malgrado, dato il via a rovinose deviazioni dottrinali che hanno poi ripercussioni gravissime nella vita spirituale dei fedeli, e prima ancora nei seminaristi e dunque nei futuri sacerdoti.

 

 

UN USO MODERATO PER “NON NUOCERE GRAVEMENTE ALLA SALUTE”. DELL’ANIMA

Karl Rahner negli ultimi anni. Sempre giacca e cravatta. Morì nel 1984

Torniamo all’appello del professore con cui abbiamo aperto questo scritto: “Leggete Rahner. Voi non capirete molto ma è importante che lo leggiate lo stesso”. Le sue parole si persero nell’aria mite di un pomeriggio. Nel corso degli anni, però, alla luce di questi nuovi studi, sono ritornate in mente. Anche perché, nel frattempo, quel professore, che era pure prete, ha lasciato l’abito sacerdotale ed è convolato a nozze con una donna, con la quale aveva da tempo una relazione segreta. Ci sarebbe da chiedersi: una pagina di Rahner al giorno toglie la vocazione di torno? Lasciamo perdere una facile ironia: la teologia rahneriana non merita un simile trattamento.

Una considerazione è tuttavia obbligatoria, a questo punto. In un’epoca in cui le scomuniche sono quasi del tutto scomparse, in cui l’imprimatur, come il saluto, non si nega a nessuno, in cui i teologi cattolici – alcuni fedeli all’ortodossia e altri “allegramente disinvolti” nei confronti di questa – raggiungono facilmente, con i mezzi di comunicazione odierni, l’ignaro popolo cattolico, sarebbe necessario se non altro un punto fermo. Quale? Che almeno una voce autorevole, in ogni seminario, facoltà teologica, istituto di scienze religiose, si prendesse la briga di premettere qualche “avvertenza” e un invito “a non abusare” di certi teologi per “non nuocere gravemente alla salute” della vita spirituale. Non il ripristino di un moderno Indice – che indurrebbe anzi ad una maggiore attenzione verso pagine tanto suadenti quanto pericolose – ma qualche chiara “istruzione per l’uso” per mettere al sicuro la fede di chi si accosta a questi celebrati quanto ambigui teologi. Non sarebbe anche questo amore per il prossimo?




**********************


Argomento assai complesso i cui nodi stanno venendo al pettine soltanto in questi ultimi anni, grazie anche al contributo di padre Giovanni Cavalcoli O.P. che con il suo libro: Karl Rahner: Concilio tradito… ha divelto parecchie “pentole” contenenti la dottrina rahneriana per nulla ortodossa, anzi, assai nociva per il cattolicesimo…

Leggo anche nell’articolo, per il quale ringrazio Claudia :

E non è solo la teologia trinitaria ad essergli debitrice….

*****

effettivamente la teologia trinitaria non deve nulla a Rahner… essa, possiamo dire, è stata completata con san Tommaso d’Aquino se, ovviamente, per “completezza” si intende il rigore DOTTRINALE, mentre è naturale che la discussione per l’approfondimento di tale immensa dottrina è sempre aperto….
Tuttavia il danno di Rahner è stato enorme e spesso anche devastante… spiega padre Cavalcoli O.P. a pag. 277 del libro citato:
” (circa il metodo usato da Rahner)… consente a Rahner di ingannare il lettore che non conosce a fondo i suoi scritti, in quanto la mossa iniziale non sembra scostarsi dall’ortodossia. Da qui la fatica che fanno molti a rendersi conto delle eresia di Rahner, mentre nella mossa finale egli rivela chiaramente il suo pensiero…” il quale non è affatto cattolico…

Ho fatto di proposito questo intervento per richiamare la nostra attenzione prima di tutto SUL METODO usato da Rahner, prima ancora di passare alla dottrina, la sua…
;-) perchè purtroppo molti sono coloro che , in buona fede, non riescono a “vedere” l’eresia rahneriana a causa proprio del suo metodo CONCILIATORE tanto da farlo passare per un benemerito della teologia del nostro tempo…
In verità Rahner ha fatto più danni che bene… la Trinità Santissima non gli è affatto riconoscente avendo egli stravolto il Catechismo Cattolico :-)

Rahner di fatto è proprio l’incarnazione di quella teologia MODERNISTA profeticamente denunciata da san Pio X… spiega infatti padre Giovanni Cavalcoli a pag. 49:
“Secondo Rahner Dio trascende i fenomeni, ma non trascende l’autocoscienza, per cui in pratica la gnoseologia rahneriana resta impigliata nel fenomeno denunciato da san Pio X…..”

e ancora, spiega a pag. 55 (e vi consiglio la lettura di questo libro molto illuminante anche per chi, come me, è completamente digiuna di questi temi fra esperti ^__^ ):
“Il Dio di Rahner è un dio che si è costruito lui, ma che non ha tutti gli attributi del vero Dio, anzi ne ha di contrari (per esempio “senza forma”).
Più che al Dio trascendente, Creatore e personale delle tre religioni monoteistiche (ebraismo, cristianesimo ed islamismo), assomiglia al Dio “senza volto e senza nome” di Giordano Bruno o di Bohme o di Schelling o, ancor più, al Brahman dell’induismo o al Tao del taoismo o al Dio cosmico della New-Age….”

Ciò che fa tremare è che nonostante i nodi stiano venendo al pettine, e nonostante il fatto che se ne parli sempre di più, Rahner è ancora INSEGNATO NEI SEMINARI… viene ancora citato nelle sue frasi tipiche di uno slogan degli anni ’60-’70 attraverso i quali la maggiorparte dei cattolici (spesso sono persino suore o insegnanti di religione cattolica) non ne comprendono la gravità eretica…
Dice ragionevolmente padre Cavalcoli O.P. a pag. 19:
“Ma il pensiero rahneriano, dopo un primo periodo di falsificazione del pensiero tomistico, nella sua ultima fase non è affatto tomista!…”
ed auspica, lo stesso padre domenicano, che la stessa Chiesa si affretti a mettere ordine alla questione, a condannare le eresia di Rahner, prima che sia troppo tardi… e non esclude che se la Chiesa di oggi non fosse in grado di provvedere, sarà necessario in futuro un Concilio che condanni esplicitamente la dottrina e il dio di Rahner…

 

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[SM=g1740733]Riporto dall'articolo sopra dedicato agli errori di Rahner, questo interessante sviluppo dal Blog di papalepapale nel quale con Claudia stiamo approfondendo l'argomento...

da Claudia

Grazie per il tuo contributo, articolato e significativo per la discussione su Rahner. Tornerei, però, un attimo di nuovo sulla dottrina. Sebbene egli si ponga ai confini tra l’ortodossia e l’eresia, non si può dire che la teologia trinitaria non debba nulla a a Rahner. L’assioma fondamentale citato nell’articolo è, infatti, una formulazione convincente di una realtà certamente già intuita e, in qualche modo, “sperimentata” dalla teologia prima di lui ma mai così esplicitamente messa “nero su bianco”. Se andiamo a leggere come è stato trasformato l’assioma rahneriano dalla Commissione Teologica Internazionale (che non ho riportato perché il mio era un articolo e non un saggio), possiamo vedere che la coincidenza con quello che ha detto Rahner è, in effetti, molto forte: “La Trinità che si manifesta nell’economia della salvezza è la Trinità immanente; è la Trinità immanente che si comunica liberamente e a titolo gratuito nell’economia della salvezza”. La Commissione Teologica Internazionale ha sentito il bisogno di esplicitare il “viceversa” perché – giustamente – ha intuito quale potesse essere il pericolo maggiore. Quello di ritenere, cioè, che la Trinità dipendesse dall’economia della salvezza. Invece, “Dio si impegna effettivamente nella storia umana, ma nella sua trascendenza. Soltanto questa garantisce che Dio può salvare il mondo. Se Dio avesse in qualche modo bisogno della storia per perfezionarsi resterebbe rinchiuso nella propria finitezza” (L. Ladaria, La Trinità mistero di comunione, p.57).


C’è da chiedersi se Rahner non abbia intuito questo pericolo o se, addirittura, lo abbia astutamente messo in conto senza far nulla per evitarlo. A questo farebbe pensare il “viceversa” del suo assioma. Ancora una volta, però, Ladaria nota qualcosa di molto interessante. Rahner, infatti, ha precisato in alcuni momenti che la comunicazione della Trinità nell’economia di salvezza è totalmente libera, non dovuta e per grazia – quindi la Trinità non necessità dell’economia della salvezza – ma che questa precisazione non è stata tenuta molto in conto dai suoi critici (cf. L. Ladaria, op.cit, p.16-17).


Significativo anche il contributo di Piero Coda: “La tesi di Rahner vuole rispondere ad una questione concreta. Egli constata, infatti, al suo tempo, l’irrilevanza e l’isolamento del mistero trinitario nell’esistenza cristiana. E’ sua la nota affermazione secondo cui si può avere l’impressione ‘che i cristiani, nonostante la loro esatta professione della Trinità, siano quasi solo dei monoteisti nella pratica della loro vita religiosa…[…].Si può avere il sospetto che, per il catechismo della mente e del cuore (a differenza del catechismo stampato), la rappresentazione dell’incarnazione da parte del cristiano non dovrebbe punto mutare qualora non ci fosse la Trinità’. Questo fatto, secondo Rahner, va posto in stretta relazione con il modo in cui la teologia occidentale ha impostato la comprensione del rapporto tra Dio e la storia della salvezza…” (P. Coda, Dio, in G. Barbaglio et al, Dizionario di Teologia, p.427). In questo senso, Rahner chiama in causa anche S. Tommaso, il quale ha esplicitato quella tesi secondo cui se Dio avesse voluto, una qualsiasi delle persone divine si sarebbe potuta incarnare. Questa tesi – che, ad onor del vero, S. Tommaso non ha trattato come argomento fondamentale, da quello che ho studiato, ma ne ha solo discusso en passant – in qualche modo, ha “messo in ombra” l’Incarnazione del Figlio e, di conseguenza, il rapporto tra Trinità ed economia della salvezza è divenuto irrilevante.


Si potrebbe obiettare che, come spesso accade, “ di buone intenzioni è lastricata la strada che porta all’inferno” e che Rahner, pur con ottimi propositi, non ha raggiunto il risultato sperato. Ma non butterei a mare il suo contributo: semmai era necessario perfezionarlo, come in effetti è stato fatto.


*****************

LDCaterina63

Cara Claudia, ringraziandoti per questo ulteriore arricchimento sottolineo che non butterei mai il bambino con l’acqua sporca ^__^ e poi, in seconda analisi, lo confesso, sono l’ultima a poter parlare di questi argomenti così…tecnici perchè davvero non ne sono all’altezza ^__^
Ne parlo perchè mi piace l’argomento e da domenicana mi piace “parlare con Dio o parlare di Dio”…. poi naturalmente sempre pronta ad imparare….

Ordunque, se è vero che Rahner ha dato ottimi contributi, ciò che ritengo discutibile è quel dire che la “teologia trinitaria” dovrebbe essergli grata….del resto il fatto stesso, come spieghi anche tu stessa, che la Commissione Teologica ha ritenuto prudente specificare, spiegare, trasformare il pensiero rahneriano per evitare equivoci, mi fa partire già con tanto di prudenza… ^__^

(P.S. immagino che tu abbia anche il libro della raccolta dei Documenti della CTI – Documenti dal 1969 al 2004, Edizione domenicana ESD che suggerisco vivamente a tutti ^__^ – il cui passo da te riportato è a pag. 200 e riccamente dispiegato in tutto un contesto molto ampio, vasto ed interessante)

Da terra terra come sono riparto da ciò che mi ha colpito dal libro lungimirante di Padre Cavalcoli laddove spiega di come, furbamente (se volontariamente o meno non sta a me giudicarlo) Rahner abbandona la teologia dell’aquinate…. perchè è da qui che egli, ovviamente, deve trovare “altrove” il fondamento di ciò che vuole provare finendo così o per imbrogliarsi da solo o per lasciarlo incomprensibile, o persino eretico…
Dal momento che fu lo stesso Concilio a riportare (ma già con Leone XIII ci furono i primi moniti ufficiali) che la teologia di san Tommaso era la base e la roccaforte di TUTTA la Dottrina cattolica, va da se che Rahner, prendendone le distanze, non rese alla fine un servigio alla teologia trinitaria….ma è ovvio che non dico neppure che ne fece del male ^__^ oserei dire piuttosto che alla base del suo discorso, corretto e dispiegato però dalla Commissione Teologica, oserei dire che non vi leggo molto di “nuovo” o di innovativo, come a dire, scavando con san Tommaso e sbriciolando il suo pensiero, si può giungere a ciò che spiga la stessa Commissione…ma in modo assai più ortodosso e lineare, senza fare salti mortali rischiando di rompersi l’osso del collo, e questo per le seguenti motivazioni che a mio parere mi spingono a pensare a questo:

1) san Tommaso d’Aquino affronterà, risolvendolo del tutto, il pensiero ariano sul “procedere in Dio”, nel contesto della Processione delle Persone Divine: Padre, Figlio e Spirito Santo… come sappiamo Ario lo prese nel senso “di effetti procedenti da una causa” ma così, spiega l’aquinate, il Verbo sarebbe creatura e non più Dio….
Sabellio ne parlò come di diverse “operazioni di uno stesso soggetto”, ma così non avremo le Tre Persone… in sostanza l’aquinate affrontò e chiarì l’equivoco di quel “procedere come fosse una operazione esteriore”, mentre, spiega san Tommaso, tale operazione è “alla stregua non delle o fra le creature più basse, ma delle creature più alte, quali le intellettuali nelle quali c’è un’operazione interiore, ossia una operazione immanente, ossia rimanente nel soggetto” e porta questo esempio:
“la produzione del concetto che si forma nella mente (verbo) e si significa con la voce (parola); così intende la fede il procedere delle Persone in Dio”

2) da quel poco che posso dire (ed è davvero poco e ripeto, sempre pronta per essere corretta ^__^) a me sembra che Rahner abbia fatto invece un passo indietro rispetto a san Tommaso… provo a spiegarmi:
è grazie a san Tommaso d’Aquino che la teologia e la stessa dottrina cattolica sulla Santissima Trinità ma anche sul resto dei Sacramenti poichè tutto diparte da Essa, guadagna un immenso patrimonio che sfocerà, o vi sfocia insieme, nell’ADORAZIONE EUCARISTICA ;-) famosi i suoi Inni Eucaristici la cui Dottrina contenuta è ancora oggi il fondamento del Catechismo Cattolico… orbene è l’aquinate che per primo svilupperà la teologia trinitaria parlando di “PROCESSIONE DELL’AMORE DI DIO” giungendo appunto al concetto dottrinale e teologico dell’Amore di Dio INCARNATO…l’Amore che si incarna facendo “sentire” all’uomo di ogni tempo IL SUO BATTITO dopo che, ovviamente e come si legge nella Scrittura, “un corpo mi hai preparato”….
san Tommaso associa oltre alla Processione del Verbo, la Processione dell’AMORE… ed ecco che, spiega san Tommaso: “però la Processione dell’Amore importa non già riproduzione secondo somiglianza, ma inclinazione quasi di vento che, spirando, spinge e spiega: quindi ciò che così procede in Dio procede non come Figlio, ma come vento che spira, Spirito… (…) per tanto oltre a quella dell’intelletto e a quella della volontà in Dio non ci sono altre processioni: esse sono due sole…”
L’Amore Divino, nella Santissima Trinità, è così completamente “dispiegato” ;-) ossia, questa è la base….non mi sembra che Rahner si fermi su questa piattaforma, o almeno così mi sento di rispondere alle teorie rahneriane ^__^

3) Spiega infine l’aquinate, ragionevolmente, che la ragione umana da sè non può conoscere nè giungere a comprendere la Santissima Trinità perchè, spiega: ” perchè Essa da sè conosce Dio in quanto è causa del mondo, e Dio ne è causa in quanto è Uno nell’essenza, non in quanto è Trino nelle Persone..” e porta il seguente esempio:
” Le triadi concepite da Aristotele, dai Platonici, dal Trismegisto ecc. non sono la Trinità, perchè Essa consiste nella Paternità, Filiazione e Processione, e queste nel senso proprio i filosofi non le conobbero.”

Ordunque… per non dilungarmi, ma molto altro si potrebbe approfondire, in questi 3 punti che ho tratto in sostanza dalla Summa Theologica, si arriva ad individuare la comprensione di ciò che “aggiorna” sull’argomento la stessa Commissione Teologica nei brani seguenti a quello principalmente citato… come a dire, basta approfondire san Tommaso per arrivare a leggere ciò che la Commissione dice subito dopo quella frase:
2.1 (pag.200)”Di conseguenza nella teologia e nella catechesi, si eviterà ogni separazione tra la cristologia e la dottrina trinitaria. Il mistero di Gesù Cristo si trova inserito nella struttura della Trinità”

*****************

Infine, concedimi ancora di trattenerti perchè l’argomento mi gusta e tu puoi aiutarmi ad approfondirlo ^__^, qui giustamente riporti:

“C’è da chiedersi se Rahner non abbia intuito questo pericolo o se, addirittura, lo abbia astutamente messo in conto senza far nulla per evitarlo. A questo farebbe pensare il “viceversa” del suo assioma. Ancora una volta, però, Ladaria nota qualcosa di molto interessante. Rahner, infatti, ha precisato in alcuni momenti che la comunicazione della Trinità nell’economia di salvezza è totalmente libera, non dovuta e per grazia – quindi la Trinità non necessità dell’economia della salvezza – ma che questa precisazione non è stata tenuta molto in conto dai suoi critici (cf. L. Ladaria, op.cit, p.16-17).”

a pag. 201 la Commissione Teologica riporta lo stesso concetto, ma con una enorme differenza… qui la frase riportata attribuisce a Rahner che la Trinità NON necessita dell’economia della salvezza…. mentre la Commissione Teologica la spiega diversamente, dice:
“Bisogna guardarsi ugualmente da ogni confusione immediata tra l’evento Gesù Cristo e la Trinità. Non è vero che la Trinità si sia costituita solo nella storia della salvezza, con l’Incarnazione, con la Croce e con la Risurrezione di Gesù Cristo, quasi che Dio avesse avuto bisogno d’un processo storico per divenire trinitario. Occorre quindi mantenere la distinzione, da un lato, tra la Trinità immanente, per cui la libertà è identica alla necessità nell’essenza eterna di Dio, e, dall’altro, l’economia trinitaria della salvezza, dove Dio esercita assolutamente la sua libertà, senza subire alcuna necessità di natura…”

Bè, a me appare evidente che Rahner dice una cosa, la Commissione Teologica dice ben altra cosa ;-) mi sbaglio?
e tale distinzione la troviamo nell’aquinate nella “Questione 34″ della Summa quando dispiega il significato dell’Incarnazione del Verbo, la Persona del Figlio, rispetto al Dio che “era , che è e che viene”, spiega infatti “Dio esiste: dall’eternità (essenza del Padre), nello splendore (che si rivelerà pienamente nel Figlio), nella soavità (uno degli attributi dello Spirito Santo); Dio è uno: in potenza ( in quanto Padre al quale il Figlio per obbedienza si sottomette), per sapienza (il Figlio ne è la prova), per bontà (lo Spirito Santo è Amore)…” in tal modo già l’aquinate era giunto alla giusta osservazione riportata dalla Commissione Teologica, ossia: la Trinità NON nasce con l’Incarnazione del Verbo, ma è con l’Incarnazione (non “nella”) che le Tre Persone sono distinte, ossia COMPRESE…
ma è fuorviante dire come Rahner che “la Trinità NON necessita della salvezza” in quanto viene insinuato IL DUBBIO ;-) mentre è proprio dalla Trinità del Dio Uno che prende vita il Progetto della Salvezza… e questo era già chiaro con i Padri della Chiesa… tanto per intenderci certi ragionamenti di Rahner li trovo “falsi”, ossia, funzionali più ad aumentare la confusione anzichè chiarire… dice ragionevolmente la Commissione Teologica:
“Chiedersi se la cristologia debba essere ontologica o funzionale, è porre un falso dilemma….”
la stessa cosa possiamo dirla di Rahner sulla sua interpretazione trinitaria: porre delle differenze tra la Trinità “immanente” e la Trinità “economica” (economia della salvezza) è un falso dilemma perchè dai Padri della Chiesa abbiamo appreso che la Trinità non “nasce” con l’Incarnazione del Verbo… e di conseguenza non si sviluppa con le sue tappe storiche….

Spero di non aver appesantito l’argomento e ringraziandoti di cuore ti saluto portandoti nel Rosario ^__^

 

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740758] Nuovi studi su Karl Rahner

 

da "Fides Catholica" (2004)

 

L’articolo di D. Berger su K. Rahner, è una traduzione italiana dell’originale tedesco, apparso su “Divinitas” 1 (2003) 68-89. Diversi sono quelli che vedono in Rahner, acriticamente, quasi un nuovo “doctor communis”. In realtà il suo pensiero presenta notevoli punti dolenti che per amore della verità non si possono tacere. Sulla base di studi recenti, il Berger si propone di mettere in luce quanto di problematico emerge dall’opera di K. Rahner. La prima monografia è quella del giovane teologo M. Schulz, Karl Rahner begegnen, Augsburg 1999, in cui si delinea una figura del teologo Rahner in collisione con la teologia classica e con la “Chiesa ufficiale”. L’altra monografia più teologica, H. J. Vogels, “Rahner im Kreuzverhör. Das System Karl Rahners zu Ende gedacht”, Bonn 2002, si propone di indagare quanto il nuovo sistema teologico di Rahner raggiunga la fede della Chiesa. Commenta il Berger: “Ora effettivamente Vogels può mostrare come Rahner, per troppa paura di un grossolano triteismo, si sia votato infine ad un modalismo rivolto all’antropocentrismo: nella dottrina trinitaria di Rahner esiste solo una “trinità della propensione” verso l’uomo”. Ecco il significato fortemente equivoco di quell’espressione cara a Rahner: “Meglio un modalista che un triteista”.

 

Introduzione allo studio di D. Berger del padre Giovanni Cavalcoli, O.P.

Ritengo che tale articolo desterà una certa sorpresa e forse an-che disappunto presso i numerosi seguaci di Rahner sparsi in tutto il mondo ed anche presso coloro che, senza essere ranheriani, hanno una visuale differente del famoso teologo tedesco da quella proposta dal presente articolo. Infatti il saggio di Berger presenta la figura e l’opera di Rahner in tono fortemente critico, ma sulla base di una buona documentazione e di validi criteri di giudizio, fedeli alla dottrina cattolica. Per questo, quando c’è in gioco l’amore per la verità e per la Chiesa non si deve temere, come fa coraggiosamente Berger, di sfatare dei miti pericolosi per il bene delle anime e il pregresso della buona teologia. Lo studio del Berger mostra sostanzialmente – portando l’esempio di Rahner – la corrispondenza che normalmente si trova nel teologo fra il suo pensiero e la sua condotta morale, per cui, mentre normalmente a dottrina sana corrisponde una vita sana, a dottrina erronea facilmente corrisponde una condotta riprovevole. Purtroppo Rahner, come appare dal presente articolo, appartiene a questa categoria di teologi, per quanto nel suo pensiero non manchino gli aspetti validi e nella sua vita le azioni lodevoli. Rahner appartiene a quella generazione di teologi che hanno avuto la chance di operare nella seconda metà del secolo scorso, e quindi di realizzare il rinnovamento teologico promosso dal Concilio Vaticano II.

Rahner ha l’intenzione dichiarata di corrispondere alle direttive del Concilio, al quale, come è noto, egli stesso collabora come esperto. Egli cioè più volte dichiara il suo intento e la necessità di un aggiornamento della teologia tale da saper comunicare all’uomo moderno il perenne messaggio del Vangelo. L’intento è ovviamente di primaria importanza e obbligatorio per ogni teologo tutt’oggi; tuttavia, la cosa che bisogna dire per Rahner, che è stata detta anche da altri eminenti studiosi ed è ulteriormente chiarita dal Berger, è che il tentativo, nonostante l’immensa produzione rahneriana e il largo successo ottenuto, non è riuscito. La teologia cattolica precedente il Concilio, salvo le rare eccezioni di alcuni coraggiosi precorritori, peraltro allora incompresi, presentava indubbiamente una diffusa fedeltà a san Tommaso, ma anche in forme inopportunamente esclusiviste ed arretrate, con una polemica eccessiva nei confronti del pensiero moderno ed un’insufficiente attenzione ai progressi della critica biblica, del pensiero dei Padri, delle scienze umane e della natura. Rahner ha cercato giustamente di rimediare a questi difetti, ma è caduto nell’eccesso opposto di una pericolosa acquiescenza nei confronti degli errori del pensiero moderno, soprattutto quelli di Cartesio, Kant, Hegel, Heidegger, e Bultmann. Rahner ha indubbiamente forniti molti suggerimenti positivi in campo teologico, soprattutto nella produzione del suo primo periodo, nel campo della conoscenza della dottrina dei Padri, della spiritualità, della segnalazione degli errori del nostro tempo e della formulazione di un cattolicesimo moderno, nel campo dell’apostolato dei laici e della vita ecclesiale, nonché nel campo dell’ecumenismo e nella ricerca di un linguaggio moderno col quale comunicare il messaggio della fede. Tuttavia, soprattutto nel secondo periodo della sua produzione, ossia a partire dagli anni dell’immediato post-concilio, ha progressivamente abbandonato il riferimento a san Tommaso, che pure è raccomandato dallo stesso Concilio e da successivi interventi pontifici, per basare con sempre maggior chiarezza il suo pensiero sull’idealismo trascendentale tedesco (il famoso “trascendentale” rahneriano), aggiornato in filosofia da Heidegger e in esegesi biblica da Bultmann. Questo genere di idealismo che perde di vista la discontinuità fra l’esistenza umana e l’Assoluto divino, sì da mutare questo in quella e quella in questo, è tale da favorire sul piano morale, come si può ben comprendere, una forma di arrogante egocentrismo e autoreferenzialità, che trova esatto riscontro, come fa notare il Berger, in varie circostanze della vita di Rahner.
Il trascendentalismo rahneriano, che richiama temi ontologistici oltre che idealisti ed esistenzialisti, relativizza i concetti dogmatici, relegati nell’ambito dell’“ontico”, del “categoriale” e del “dualismo greco”, favorisce una “mistica” gnostica ed atematica quanto mai dubbia ed equivoca, elimina pericolosamente i confini tra la natura e la grazia, sopprime la trascendenza divina per ridurla all’“orizzonte dell’autotrascendenza umana”, concepisce l’uomo come tensione verso Dio rendendo incomprensibile il senso del peccato e della Redenzione (come ha notato giustamente von Balthasar), relativizza la legge morale naturale riducendo idealisticamente l’ideale morale ad una pura e semplice “esperienza trascendentale atematica e preconcettuale” comune a tutte le religioni, cristianesimo compreso (i “cristiani anonimi”), riduce sostanzialmente il soprannaturale al trascendentale inserendo nel cristianesimo un’innaturale tendenza panteistica e trasformandolo in una visione gnostica. Nonostante il suo dichiarato voler appartenere alla Chiesa e la stima che egli ha ricevuto e riceve da molti uomini di Chiesa e teologi cattolici, in realtà Rahner, a leggerlo con attenzione e in tutte le sue opere, come sto facendo io da venticinque anni, scalza la Chiesa dal suo fondamento soprannaturale e dogmatico e in molte occasioni si ribella più o meno apertamente ed astutamente alla dottrina del magistero e dei concili. Molti passi rahneriani indubbiamente, avulsi dal contesto, possono ricevere un’interpretazione ortodossa; ma se li inseriamo nel contesto generale del suo pensiero, mostrano la loro carica dissolvente. Egli infatti ha l’abitudine di mantenere quasi tutti i termini del linguaggio tradizionale, ma dando loro, magari in altra sede, un senso gnostico-idealista, sicché chi legge un dato brano e trova quei termini ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una proposi-zione corretta, ma se va a vedere che cosa Rahner intende con quei termini, si accorge del vero pensiero di Rahner.

Un metodo astuto per nuocere senza dar nell’occhio.

Nella misura però in cui il pensiero rahneriano viene veramente capito e messo in pratica, i frutti non possono che essere velenosi. Come mai – qualcuno si chiede – Rahner non è mai stato condan-nato dalla Chiesa? Perché molti lo interpretano benevolmente sen-za accorgersi del suo vero pensiero; per questo tale pensiero non ha recato un danno tale da spingere la Chiesa ad intervenire. Inoltre benché Rahner passi per innovatore e pioniere, in realtà la Chiesa ha già condannato i suoi errori, quando ha condannato l’ontologismo, l’idealismo, il panteismo e quella mescolanza di razionali-smo hegeliano e cristianesimo che fu operata in Germania nell’ottocento ad opera di teologi cattolici come Hermes, Günter e Frohschammer. Giudica innovatore Rahner chi non conosce (o finge di non conoscere) la storia della teologia e degli insegnamenti della Chiesa. In base a queste considerazioni è evidente che non si può considerare Rahner un maestro o – come ritengono i suoi seguaci – il maestro per il nostro tempo, che ha soppiantato Tommaso d’Aquino. La Chiesa certo non ha mai condannato Rahner, ma non lo ha nemmeno mai lodato o raccomandato, a differenza di altri eminenti teologi del novecento o di questo secolo, tutti in varia misura critici di Rahner, i quali in premio del loro valore e per essere portati come esempio, hanno ricevuto alti riconoscimenti, come per esempio i cardinali Hamer e Ratzinger, posti a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, i cardinali Daniélou, Congar e de Lubac, nonché von Balthasar a suo tempo insignito del prestigioso premio Paolo VI. Infine, last but not least, non possiamo non ricordare il Maritain, più volte portato a modello di teologo dagli ultimi Papi. Il suo nome appare anche nella recente enciclica “Fides et Ratio” di Giovanni Paolo II. Bisogna pertanto correggere il tiro. Se prima del Concilio si sparava troppo a destra, oggi si sta sparando troppo a sinistra. Occor-re recuperare quanto di valido c’era nella teologia preconciliare (ribadito dal Concilio: per es. Tommaso), collegandolo a quanto di buono è venuto dopo (anche Rahner ha dato il suo contributo) ma liberandolo dal falso rinnovamento. Sarà questo il compito dei teologi degli anni prossimi. Allora c’è la speranza di far centro.

 

Commiato da un mito pericoloso

 

di David Berger

 

1. Karl Rahner il nuovo “doctor communis”? Ma anche no!

Chi inizia ad occuparsi del teologo gesuita tedesco Karl Rahner è sorpreso soprattutto dalla rilevanza che gli tributano i suoi discepoli ed ammiratori e dalla lode entusiastica che gli si rivolge. Un’inchiesta della rivista Orientierung (Orientamento) alla Pontificia Università Gregoriana di alcuni anni fa, voleva sapere dai 1077 studenti di teologia chi ritenessero in genere come teologo più significativo. Quasi la metà (481) s’espressero per Rahner, nemmeno un terzo per san Tommaso d’Aquino e Eduard Schillebeeckx, solo il 17% per sant’Agostino e Hans Küng. Rahner sembra sia diventato il nuovo princeps theologorum e doctor communis della teologia cattolica. San Tommaso, il dottore angelico, del quale Pio XI ha detto che la Chiesa ha fatto propria la sua dottrina, è scivolato molto sotto, al secondo piano, che deve altresì dividere con un teologo, sulla cui ortodossia noi possiamo perlomeno indagare. Amici e critici del pensiero di Rahner sono concordi: Rahner occupa una posizione chiave per la teologia della seconda metà del 20° secolo. Così scrisse il discepolo di Rahner, Johann Metz, uno dei più grandi propagandisti della teologia della liberazione in Germania, in occasione dell’80° compleanno di Karl Rahner nel 1984: “Karl Rahner ha rinnovato il volto della nostra teologia. Niente è più assolutamente così come era prima di lui…”. Anche quelli che lo criticano e lo rifiutano, vivono ancora delle sue vedute e delle sue altrettanto perspicaci e delicate percezioni nel mondo della vita e della fede. Herbert Vorgrimler indicò nella stessa occasione il suo maestro quale “padre nella fede”.
Anche nel mondo non cattolico l’ammirazione per Rahner non passò inosservata. Così scrisse il teologo protestante svizzero Johannes Flury: “Uno sguardo alla più recente letteratura cattolica mostra che Rahner gode qua e là (di quando in quando) quasi di stima canonica…”. E il protestante storico della teologia Horst Poehlmann nota: “I suoi scritti (quindi di Rahner) sulla teologia sono ritenuti quale nuova Summa Theologica, senz’altro alla pari di quelli di Tommaso d’Aquino”. Che la critica a Rahner non abbia trovato in tale clima alcuna comprensione è facilmente comprensibile. In Germania le voci che osarono porre questioni critiche alla teologia di Rahner, furono, a partire dalla metà degli anni ‘70, messe con insistenza a tacere o marginalizzate come opinioni di dilettanti in teologia e loro emarginati. Lo stesso Rahner partecipò a queste attività, quando egli tentò di impedire la pubblicazione del libro del cardinale Siri Getsemani, che chiamò “panflet” (libello) degno di disprezzo, con pressioni sulla casa editrice e facendo leva sul suo amichevole rapporto con il cardinale Doepfner.
Tuttavia, in tempi più recenti, sono apparsi degli studi in lingua tedesca che non possiamo trascurare con leggerezza o bollare come libelli non scientifici.

Rivolgiamo la nostra attenzione ad un libro su Rahner, molto interessante sotto l’aspetto biografico, del giovane teologo Michael Schulz , e al più recente studio di Heinz Juergen Vogels: “Rahner in interrogatorio incrociato”, benché verranno presi in considerazione anche altri ulteriori studi a margine nella nostra relazione bibliografica.

 

2. Incontrare Karl Rahner: Novità sulla vita dell’influente teologo

Il fatto che l’opera di Karl Rahner riveste un tale ruolo chiave rispetto alla teologia e alla storia della Chiesa degli ultimi 40 anni, è collegato con il fatto che i numerosi testi redatti dal gesuita – la sua bibliografia completa contava alla sua morte più di 4000 numeri – sono ritenuti estremamente difficili da comprendere, in uno strano rapporto. Il teorico della scienza Erich Rupp arriva addirittura al punto di parlare in questo contesto di “un modo di esprimersi incomprensibile, esoterico, affettato e involuto”, molto lontano dal buon senso. Anche chi non si vuole associare a questo duro giudizio, darà il benvenuto al libro di Schulz, in quanto mostra in modo general-mente comprensibile e didatticamente intelligente la vita ed il pensiero di Rahner. Ancora più importante appare però prima del sunnominato contesto, che esso evita egregiamente il pericolo di scrivere sul tema un’agiografia armonizzante che sfocia nei superlativi. Questo vale soprattutto per la prima parte del libro che si occupa molto esaurientemente della biografia di Rahner, della sua giovinezza a Friburgo, dell’influsso della sua pia madre, dell’appartenenza al “Quickborn”, della sua entrata nella compagnia di Gesù e del compimento degli studi filosofici dopo l’ordinazione sacerdotale alla scuola di Martin Heidegger e Martin Honecker nella sua città natale. Schulz non approfondisce lo studio di Rahner alle scuole supe-riori dell’ordine a Feldkirch, Pullach e Valckenburg (Olanda).

Tra i suoi maestri appartengono a questo periodo (il futuro cardinale) A. Bea, lo studioso di Lutero Josef Grisar, il famoso dogmatico Hermann Lange, il medievalista Heinrich Weisweiler e il futuro teologo personale di Pio XII Franz Huerth in teologia, e i professori Frick, Frank e Jansen in filosofia. Per quanto riguarda i filosofi è da tene-re presente che questi nel loro insegnamento avevano già abbandonato un chiaro e coerente riferimento al pensiero di san Tommaso d’Aquino in favore di pensatori più recenti. Cristoph Weber afferma giustamente – a prescindere dalla sua strana definizione del tomismo come ideologia – in questo contesto: «Ma ancora di più: i gesuiti tedeschi e austriaci che sempre… si posero come difensori del tomismo, non erano più, a partire del 1930 circa, completamente convinti di questa ideologia». Come primi sono da cita-re qui Bernhard Jansen ed Erich Przywara, che già nel 1925 si avvicinarono strettamente… a Kant; e dopo che furono resi noti gli studi del membro dell’Ordine belga Josef Maréchal verso il 1929, non ci fu più arresto, né freno. Dalla metà degli anni ‘30 i gesuiti tedeschi ed austriaci erano, per la neoscolastica, praticamente persi… Le dichiarazioni dei professori di teologia sullo studente Rahner invece sono poco lusinghiere: Franz Huerth, come il famoso studioso della gnosi Karl Pruemm, riferirono più tardi che Rahner aveva mostrato loro apertamente il suo disprezzo, in quanto durante le loro lezioni si sedeva nell’ultima fila e ostentatamente risolveva cruciverba o leggeva romanzi polizieschi.

 

2.1 Chi è colpevole del fallimento della promozione di Rahner?

In modo tanto più esteso e chiarificatore Schulz approfondisce la questione della promozione rifiutata da Honecker. In questo egli segue, senza nominarlo, i risultati della ricerca di Ott, che nel frattempo si sono ampiamente affermati, mentre Ott in principio, a motivo appunto di questi studi, si era esposto ai forti attacchi dei discepoli di Rahner. Questo non è un caso. Essi mostrano infatti che le relazioni che lo stesso Rahner ha dato di questo evento non corrispondono alla verità. Queste servirono a Rahner chiaramente solo per mettere in cattiva luce Honecker e per stilizzare se stesso come vittima indifesa di neoscolastici senza spirito.
Dai suoi superiori dell’Ordine, Rahner fu mandato nella sua città natale di Friburgo alla fine degli studi regolari e dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1934, per laurearsi in filosofia presso il professore di filosofia del luogo, Martin Honecker, in vista del suo programmato impiego come professore di filosofia in uno scolasticato dell’Ordine. Qui conobbe anche Martin Heidegger (1889 – 1976) e conobbe il suo pensiero più da vicino. Nella sua tesi di laurea, in cui doveva lavorare sulla teoria della conoscenza di san Tommaso d’Aquino, egli ha mischiato in modo selvaggio pensieri di Heidegger con quelli del gesuita francese Maréchal e cercato di motivarli con citazioni di Tommaso: questo fu anche il motivo per cui Honecker gli restituì il lavoro per rielaborarlo.

Rahner si rifiutò di eseguire questa rielaborazione ed ebbe contro Honecker, per il corso della sua vita, solo espressioni sarcastiche e maligne. Rahner dipinse sempre Honecker come un testardo neotomista e l’accusò di aver accettato solo lavori che erano “caratterizzati dal suo spirito” e aggiunse: «Come se egli avesse poi uno spirito». Schulz osserva al riguardo: «Questa osservazione villana non può essere presa come interpretazione da prendere sul serio della rispettabile opera filosofica che Honecker ci ha lasciato. Anche Lotz con la sua tesi di laurea è stato promosso da Honecker, sebbene non fosse una mera ricostruzione storica dell’interpretazione (spiegazione) dell’essere di Tommaso d’Aquino. Lo stesso accadde ad altri. Per il rifiuto del lavoro di Rahner non si può quindi semplicemente accusare Honecker di una ristrettezza di vedute senza spirito».
Tuttavia, adesso come allora, qualcosa rimane inspiegato: siccome sembrano introvabili sia il manoscritto della dissertazione di Rahner con le note a margine di Honecker, sia la sua lettera a Rahner in cui viene motivata la ricusazione, le esatte circostanze rimangono oscure. Nel diligente lavoro che l’archivio Rahner a Innsbruck presta da tanti anni, sembra piuttosto inverosimile che lettera e manoscritto siano semplicemente spariti. Dopo che Rahner si rifiutò di eseguire la rielaborazione della dissertazione richiesta da Honecker, fu trasferito dal suo Ordine ad Innsbruck, e lì si laureò entro pochi mesi da Josef A. Jungmann, dottore in teologia. Dopo una breve attività di docenza ad Innsbruck, la facoltà di teologia ad Innsbruck fu chiusa a seguito dell’annessione dell’Austria al Reich tedesco nel 1939. Rahner rimase in Austria e sviluppò, insieme al suo confratello di allora Hans Urs von Balthasar, il piano di una comune nuova dogmatica che doveva abbandonare le ormai dismesse vie scolastiche. Ma allorché nel 1941 la Casa Editrice Herder volle renderne possibile la realizzazione, Urs von Balthasar si ritirò. Schulz osserva che era stato anche il modo di pensare di Rahner, orientato al soggetto umano, che spaventò Bal-thasar nel redigere con questi un testo di dogmatica in comune. Già nella discussione (recensione) della dissertazione di Rahner Spirito nel mondo, Balthasar aveva chiaramente criticato la parzialità soggettivistica del pensiero rahneriano, a cui manca completamente il bilanciamento con la direzione verso l’oggettivo.

 

2.2 Karl Rahner ed il magistero sotto Pio XII e Giovanni XXIII

Schulz tratta solo brevemente di quegli anni in cui Rahner s’impegnò per gli interessi rispettivamente di quegli attivisti viennesi e dei teologi dell’annuncio di Innsbruck che erano vicini al cattolicesimo riformatore tedesco. In questo campo lo storico ecclesiastico di Francoforte Hubert Wolf ha ottenuto preziose conoscenze. Nel 1994 ha pubblicato un’edizione storico-critica della lettera di risposta che Rahner aveva redatto su incarico del Cardinale di Vienna, Innitzer, nel 1943 al Memorandum – Groeber, ed ha elaborato in una lunga introduzione anche molte accurate e ben motivate caratteristiche della personalità di Rahner.

Qui può essere presentato solo in sintesi il risultato del suo studio: «Qui si deve prima di tutto rilevare una certa arroganza del professore di teologia e del molto istruito gesuita, che guarda dall’alto in basso “il semplice curato delle anime”, “l’uomo medio” e “chierico medio che ha studiato troppo poco…”. “Rahner è nel suo giudizio, tra l’altro, molto di parte… A chi lavora come lui, a chi egli si sa unito (specialmente suo fratello Hugo), a quello accorda le migliori intenzioni, anche nella possibile scelta equivoca delle parole. Qui Rahner esce in grande forma: “Chi fraintende il libro di Hugo dimostra solo la sua ignoranza teologica”. Se si tratta di altri teologi, Rahner usa altri metri di giudizio più rigidi… Trovano, inoltre, poca considerazione i tomisti romani attorno a Réginald Garrigou-Lagrange… Nel lavoro degli altri Rahner trova generalmente poco di buono: la teologia della scuola gli è “troppo comoda”…, i testi disponibili so-no piuttosto il più basso livello dello studio da richiedere ad un giovane teologo…». «Il parallelo con Martin Heidegger, che lasciava valere solo la propria impostazione, diventa invadente… Rahner argomenta non raramente pro domo sua: prende sotto protezione gli interessi della teologia dell’annuncio anche per questo motivo, perché suo fratello Hugo li cura; s’immagina il compito degli uffici pastorali, perché a Vienna si era guadagnato il pane in uno di questi, e s’identifica con il suo lavoro; difende la guida del rinnovamento pastorale e liturgico attraverso i Vescovi perché Innitzer fa così a Vienna; prende sotto protezione la liturgia popolare e la cura delle anime perché collabora al volume aggiuntivo; celebra i nomi di Johann Baptist Lotz e Max Mueller perché non può menzionare il suo nome, questi però insieme con lui formano la Scuola cattolica di Heidegger a Friburgo e… sono i soli in Germania che ancora capiscono veramente qualcosa di filosofia; difende la lezione della filosofia moderna come molto utile per la teologia cattolica, perché egli stesso la segue.
Il verdetto di Groeber che colpisce nell’intimo: alcuni che cercarono un collegamento con i più recenti sistemi filosofici, vengono spazzati via…. I pericoli che sono insiti in questa sicurezza di sé e la tendenza latente della sopravvalutazione di sé non sono affatto da trascurare». Questi tratti essenziali della personalità intellettuale di Rahner non si evincono solo dal parere redatto su Rahner, ma il ricercatore s’imbatte in essi nell’osservazione di tutta la carriera scientifica di Rahner: «Vale la pena di constatare che Rahner rimase fedele a se stesso nei tratti essenziali del suo pensiero». Dal 1949 al 1964 è poi professore di teologia ad Innsbruck. Qui mette il fondamento per la sua futura fama con le sue molteplici pubblicazioni sui più disparati argomenti e la sua attività di editore (curatore) della seconda edizione del Dizionario per la teologia e la Chiesa.
In questo periodo ci sono anche le difficoltà di Rahner con il magistero papale, che da Schulz non vengono taciute o minimizzate: la nuova interpretazione assai arbitraria dei dogmi della verginità (vogliamo consapevolmente prescindere dall’“aspetto biologico”) e dell’Assunzione in cielo di Maria; la sua tesi della risurrezione dell’uomo nel momento della morte, da ciò la risultante interpretazione del dogma dell’Assunzione corporea di Maria in cielo conforme alla svolta antropocentrica della teologia, e le sue idee sulla concelebrazione che contraddicono non solo al diritto ecclesiastico del 1917, ma conducono al fatto che al giovane gesuita viene inflitto un divieto di scrivere su questi temi da parte del Santo Uffizio, e dall’Ordine viene sottoposto, su incarico del Santo Uffizio, ad una censura preventiva. Lo stesso Pio XII mette in guardia in un pubblico discorso per la conclusione dell’anno mariano su alcune tesi di Rahner. Anche le assai forti reazioni di Rahner a questa opposizione non sono taciute da Schulz. Rahner mise in moto tutto, specialmente l’opinione pubblica, per mettere Roma sotto pressione.

Con ciò intendeva le sue iniziative (raccolta di firme, lettere a vescovi amici ecc.) molto concretamente come azioni fondate ecclesialpoliticamente. Al suo amico Vorgrimler scrisse: «Non bisogna agevolare troppo questi orribili bonzi (intendendo il cardinale Ottaviani ed i suoi collaboratori al Santo Uffizio). Se si accorgono della resistenza saranno più prudenti nel prossimo caso. Questa nuova ondata di integralismo deve essere combattuta in tutti i modi!». Schulz constata in merito a questa citazione, che si lascia completare da altre ulteriori impressionanti dichiarazioni di Rahner: «Rahner tendeva chiaramente verso un parlare villano». Solo sotto Giovanni XXIII si modifica sensibilmente la situazione in seguito all’esordio dei cardinali Doepfner e Koenig, come dell’allora cancelliere Konrad Adenauer: Rahner diviene, nonostante le obiezioni del cardinale Ottaviani, consigliere conciliare privato del cardinal Koenig. Sono piuttosto l’attività di retroscena di Rahner ed i contatti che vengono allacciati in quel periodo che giocano un importante ruolo. Nel Collegio Germanicum ed Hungaricum, dove Rahner abita durante il Concilio, conosce il giovane alunno Karl Lehmann, il quale poi dal 1964 di-venta per tre anni il suo assistente. Nelle questioni ancora inesplo-rate sul preciso ruolo di Rahner nello svolgimento e nei risultati del Concilio, anche Schulz rimane piuttosto incerto. Molto dettagliata-mente vengono invece esposte le tappe della vita post-conciliare di Rahner: così circa l’assunzione e lo “spopolamento” della cattedra Guardini a Monaco (1964-1967).
Interessante è qui la reazione de-scritta dall’autore per la mancanza di studenti alle sue lezioni. Al suo discepolo e amico Vorgrimler scrisse allora: «In fin dei conti della lamentela sulle mie lezioni non me ne importa un cavolo. Perché se qui esce un libro ragionevole, torna più a vantaggio della Chiesa, che se io edifico qualche centinaio di persone stupide come Guardini».

 

2.3 L’amarezza di Rahner verso la “Chiesa ufficiale” alla fine della sua vita

Qui risuona la crescente amarezza che si constata già dal 1970 circa: diventa particolarmente chiara al cosiddetto Sinodo di Wuerzburg, dove egli crede di dover constatare un fallimento della “Chiesa ufficiale” (un’espressione equivoca che Rahner usa ripetuta-mente da quel momento). Qui avviene anche una discussione degna di riflessione con il cardinale Hoeffner, che in un testo voleva fissare per iscritto la dottrina che Gesù è Dio. Rahner si indignò di questa pretesa e accusò le idee del Cardinale di mitologismo, a causa del quale il cristianesimo perderebbe tutta la sua credibilità. Particolare amarezza scatenò in Rahner il fallimento del quotidiano liberale di sinistra Publik nel novembre 1971. Egli vide l’inizio della ritirata della Chiesa in un “ghetto” pre-conciliare, e litigò anche con il suo Cardinale protettore di un tempo Doepfner. In modo chiaramente equilibrato, Schulz descrive la discussione per la cattedra d’insegnamento a Monaco di teologia fondamentale nell’anno 1979. Sebbene Rahner avesse proposto il suo discepolo Johann B. Metz quale candidato per questa cattedra d’insegnamento, il cardinal Ratzinger, allora arcivescovo di Monaco, non appoggiò questa candidatura, per cui anche il ministro per il culto fece marcia indietro.

Rahner allora accusò Ratzinger di abuso di potere.

Schulz scrive a proposito: «Rahner si arrogò il diritto di spingere dentro a forza i suoi sostenitori. Così provò anche in un Sinodo a lanciare i suoi amici in determinati posti. Nello stesso anno anche al compagno di battaglia di Rahner, Hans Küng, fu tolto il permesso d’insegnamento, cosa che indusse Rahner a parlare di “pericoli di uno sterile reazionario provincialismo nella Chiesa”, “che possono diventare fino ad un certo grado, reali”». Similmente anche quando papa Giovanni Paolo II dopo l’ictus del generale dei Gesuiti Pedro Arrupe, insediò come delegato il teologo padre Dezza, che in Germania veniva considerato piuttosto conservatore, Rahner vide in ciò un atto di abuso di potere, col quale il Papa voleva mettere le briglie alla teologia della Chiesa ufficiale. Sullo sfondo c’era in questo un’idea di Rahner, espressa esplicitamente nel 1982 in un incontro della provincia dell’Ordine, che la teologia scientifica ha il diritto formale “di formulare dichiarazioni sul Magistero”.
Da allora viene sostenuta da alcuni teologi tedeschi – perlomeno di provenienza rahneriana – la tesi che, accanto al Magistero dei Vescovi e del Papa esiste in parallelo a questo un equivalente Magistero dei teologi. In Germania suscitò scalpore la traduzione tedesca del libro Getsemani del cardinale Siri, la cui uscita Rahner cercò, senza successo, di impedire con minacce contro la competente casa editrice e con diffamazioni delle opere scientifiche del benemerito Cardinale in campo neutro. Ma anche il libro pubblicato insieme con Heinrich Fries nel 1983 per il cinquecentesimo anniversario della nascita di Martin Lutero: “Unione delle Chiese – possibilità reale”, in un certo senso anticipa la problematica della dichiarazione di consenso di Augsburg sulla giustificazione. Schulz nomina in questo contesto il cardinale Ratzinger che vedeva nel libro un’azione che non si può pretendere che vuole spingere ad una «cavalcata forzata verso l’unità e, nelle tesi sostenute, una figura artistica di acrobazia teologica». Rahner propose in esso, con tutta serietà, che “in un’ordinazione vescovile evangelica vescovi cattolici che consacrano insieme potrebbero rimuovere la mancanza nella successione apostolica…». Anche la cosiddetta “Questione segreta Rahner”(?), che si cerca invano nella biografia di Rahner di Karl Heinz Neufeld, che peraltro si sforza nella fedeltà ai dettagli, viene trattata da Schulz relativamente in modo esauriente sotto il titolo Pesce e arruffata: Rahner scrisse non solo lettere al suo amico Vorgrimler, ma anche alla scrittrice Luise Rinser.

Questa afferma di possedere oltre 1800 (!!) lettere molto private di Rahner, la cui pubblicazione è stata rigorosamente vietata dall’Ordine dei Gesuiti. Rahner che ivi si rivolge alla Rinser con il vezzeggiativo di “Wuschel” (arruffata), e che da lei nelle lettere viene chiamato “pesce”, sembra aver sofferto molto, così la Rinser, di non godere della sua esclusiva amicizia. La pia madre di Rahner pregò perciò Luise Rinser di mantenere la debita distanza, e il governo dell’Ordine, da parte sua, il Rahner. A questo punto il lettore del libro di Schultz si chiede a buon diritto se queste cose poi debbano trovare menzione in un libro di un religioso teologo defunto. L’autore tenta di giustificarsi facendo la domanda: «Sarebbe anche da chiedere, se e fin dove le domande, le crisi di fede, le vie mistiche, vie di ritorno a Dio (inteso piuttosto come uno spirito apersonale) della Rinser e la sua pungente critica alla Chiesa abbiano influenzato la teologia di Ra-hner». Quello che Schulz non scrive è che ci fu certamente un’influenza reciproca, che non giovava alla vita di fede di entrambi. La Rinser scrisse a Rahner verso il 1966: «Pesciolino, te l’ho già detto diverse volte, tu sei mostruosamente pericoloso per me. Mi educhi ad un relativismo che potrebbe essere mortale…». Se si crede alla poetessa, lei fu anche una delle ultime persone con cui Rahner parlò al telefono poche ore prima di morire. Poco dopo il suo 80° compleanno, Rahner muore a Innsbruck nel 1984. Il requiem lo celebra uno dei suoi tanti discepoli saliti al rango di vescovo, il Vescovo di Innsbruck, Reinhold Stecher.
La seconda parte del libro di Schulz non è meno avvincente . Con grande capacità di immedesimazione e stando in una tradizione di ricezione, si sforza di mostrare la coincidenza tra la dottrina della Chiesa e le tesi di Rahner. L’autore si orienta in questo all’ultima grande opera di Rahner, il Corso base della fede (1976). Non viene taciuto il teso rapporto di Rahner con la teologia scolastica. Viene richiamata l’attenzione alla nouvelle théologie francese, le cui idee formano il fondamento per la nuova determinazione del rapporto tra natura e grazia, come quello dell’“esistenziale soprannaturale” e del “cristianesimo anonimo”. Viene riportata chiaramente la cristologia, progettata nell’ambito della teologia trascendentale criticata dal cardinale Siri come eretica e la nuova concezione della dottrina trinitaria dipendente da Hegel. Ancor più dettagliatamente di questi punti tratta però il nuovo studio, già sopra menzionato, di Vogels, che seguiamo nel prossimo capitolo.

 

3. Heinz Juergen Vogels: La teologia di Rahner raggiunge la fede della Chiesa?

Habent sua fata libelli – Il libro di Vogels ha una sua preistoria di cui dobbiamo brevemente trattare. Nel 1982 Heinz Juergen Vo-gels chiese in un’ampia analisi dei relativi testi di Rahner nella rivista Scienza e Sapienza: «La teologia di Rahner raggiunge la fede della Chiesa?». Vogels dimostra, in un’analisi molto accurata di molti testi di Rahner, tutta una serie di evidenti contraddizioni con la dottrina della Chiesa: modalismo nella dottrina trinitaria e adozionismo nella cristologia; rifiuto del carattere di persona dello Spirito Santo e del titolo di Figlio di Dio; monoergismo e monoteli-smo, derivante da questo: una negazione implicita della maternità divina di Maria, e l’affermazione della possibilità dell’autoredenzione dell’uomo. L’articolo di Vogels scatenò nel gesuita Miggelbrink una forte reazione. Egli assomma tutto il suo tentativo di confutazione, che ignora del tutto i testi menzionati e analizzati da Vogels, nel citare perlopiù innocue preghiere e testi di meditazione di Rahner intercalati con diffamazioni personali. Tutta la sua critica sgorga esclusivamente dalla voglia di litigare, nec scienter, nec sapienter. Miggelbrink rimane però debitore delle prove di dove esattamente Vogels falsifichi una citazione o abbia citato selettivamente falsificando.

Al contrario, per lui è chiaro: se Rahner avesse effettivamente scritto qualcosa di non ortodosso, il Santo Uffizio oppure la Congregazione per la dottrina della Fede sarebbero intervenuti a sfavore e i suoi libri non avrebbero alcun imprimatur. Da ciò conclude, che i veri eretici sono quelli (quindi Vogels) che accusano Rahner di discostarsi dalla fede: «Si espongono al pericolo dell’eresia quelli che troppo sicuri di sé denunciano gli altri come eretici». Solo nel 1998 Vogels apprese attraverso la pubblicazione dell’autore di queste righe della replica di Miggelbrinks, sollecitato dalla pubblica discussione, nuovamente stimolata dalla questione circa l’ortodossia della teologia di Rahner; e incoraggiato da illustri teologi come il cardinale Ratzinger e Schuermann, anche Vogels ha ora ripreso nuovamente la discussione critica e sul presupposto della replica di Miggelbrinks e dell’apologia di Rahner di altri teologi ha nuovamente posto la domanda, fin dove la teologia di Rahner raggiunge la fede della Chiesa.

 

3.1 “Meglio un modalista che un triteista” (Rahner)

Vogels parte dalla molto citata e discussa frase di Rahner sulla dottrina trinitaria, nel suo contributo per la raccolta di opere Myste-rium salutis: «Non esiste… intratrinitariamente un reciproco “tu”. Il Figlio è l’espressione del Padre, che non può ancora una volta essere concepita come dichiarante». Già nel sano “istinto della fede dei credenti”, questa frase dovrebbe suscitare sorpresa. Questa sorpresa diventa per Vogels uno stimolo per occuparsi più da vicino della dottrina trinitaria di Rahner. La citata frase viene osservata da Vogels insieme alle osservazioni di Rahner, nelle quali il gesuita parla dell’uomo in genere e di Cristo quale Epifania di Dio nella storia. Il Figlio è per Rahner la dichiarazione di sé del Padre, solo nella storia, e per questo non è da concepire ancora una volta come dichiarante, ossia come intertrinitariamente dicente “tu” .
Ora si potrebbe opporre a Vogels l’appunto che egli strappi questi passi dal contesto, e li collochi in modo così nuovo da trovare per forza quello che egli vuole trovare in Rahner. Ma Rahner nel Corso fondamentale diviene egli stesso così chiaro che non c’è bisogno di una combinazione fra i diversi passi. Là postula dal secondo modo di sussistenza di Dio un’identità con la sua storica espressività, che avviene solo in Gesù Cristo, ma giustamente Vogels trae la conseguenza: «Una preesistente espressione trinitaria immanente di Dio, un figlio preesistente, non esiste in questa “concezione”». Gesù Cristo è solamente un’espressione storica, non la preesistente divina espressione di sé di Dio. Il motivo più profondo per questa posizione di Rahner che contraddice chiaramente alla dottrina della Chiesa, Vogels la vede nelle premesse filosofiche di Rahner: più precisamente nella sua completa resa al sistema filosofico trascendentale. Rahner ha sviluppato questo sistema dapprima nel contesto della teologia fondamentale, e poi però ha inserito tutto quello che comunemente è oggetto della teologia. Così, anche la cristologia, che in Rahner come “Cristologia dal basso”, è in grado di comprendere Cristo solo filosoficamente, come “Salvatore assoluto”.

L’esistenza umana viene interpretata come una domanda a cui Dio risponde. In modo del tutto esemplare questa risposta viene data in Cristo, che così appare sempre e solo come caso esemplare dell’umano in generale, come “supremo caso del compimento della realtà “umana”. Egli è «di fronte a Dio come completa, pura persona umana conscia di sé, che gli va a genio e lo accetta, mentre Cristo come uomo accetta la promessa di Dio». Questa opzione fondamentale si ripercuote naturalmente in tutta la cristologia e mariologia: Rahner postula pressappoco un’autocoscienza umana di Gesù. Mentre il Concilio di Calcedonia insegna che in Cristo esiste solo un persona divina, Rahner dice che «credere ad un centro d’azione divino è un equivoco, esiste solo un centro d’azione umano in Cristo». Conformemente Rahner mostrò sempre un’avversione a parlare di Cristo come vero Dio: quando, come già riferito, al Sinodo di Wuerzburg, il giurista di diritto canonico Hubert Flatten richiese ai sinodali, sostenuto dal cardinale Josef Hoeffner, la professione in “Gesù Cristo quale Figlio di Dio”, Rahner si oppose loro sicuro di sé e disse che questo oggi non si può dire, senza esporsi al sospetto di un superato mitologismo. Anche nella mariologia Rahner evita poi coerentemente il titolo di Theotokos del Concilio di Efeso. Di Maria si parla solo come “caso radicalmente riuscito della Redenzione”.
Che maternità divina sia qualcosa di completamente diverso dal generale essere redenti, a Rahner sfugge già nei primi scritti e nel Corso fondamentale lo ha tolto cosicché non viene più tematizzata la questione della Maternità divina. Con più chiarezza si mostrano i vagabondaggi cristologici di Rahner, quando egli crea il collegamento tra cristologia e dottrina trinitaria: «La persona umana di Gesú è di fronte (secondo Rahner) ad una sola persona divina; il Figlio non assume (come nella cristologia di Calcedonia) una natura umana.
Quello che Dio accetta è il Logos, … oggettivamente, non inteso in modo personale. Logos è per Rahner l’esprimibilità, non la effettiva, intratrinitaria espressione di Dio. Il Logos è un modo con cui Dio si comunica». Rahner stesso parla del Logos letteralmente come “modo d’un dato di fatto”. Si vede più tardi qui, ciò che è chiaro per ogni teologo specialista: la descritta dottrina propria di Rahner è legata molto strettamente alla sua dottrina trinitaria. Già il termine “modo del dato di fatto” indica la direzione. E qui Vogels può rendere comprensibile la reiterata espressione di Rahner: «Meglio un modalista che un triteista». E ora effettivamente Vogels puó mostrare come Rahner, per troppa paura di un grossolano triteismo, si sia votato infine ad un modalismo rivolto all’antropocentrismo: nella dottrina tri-nitaria di Rahner esiste solo una “trinità della propensione” verso l’uomo. Non esiste una preesistente immanente trinità indipendente dal tipico modo del dato di fatto per noi: Figlio e Spirito vengono intesi non come persone, ma unicamente come modi di espressione del Padre in vista rispettivamente dell’uomo e della storia.
Le annotazioni sulla cristologia hanno già mostrato che il Logos qui è solo un altro nome per Dio nel modo della parola. Il Logos intratrinitario non sparisce con ciò completamente, ma viene ridotto alla rappresentazione, che contraddice profondamente la qualità di Dio quale actus purus, secondo cui egli è solo la possibilità della auto-espressione di Dio, «un tipo di energia, una disponibilità di Dio, ma non una seconda Persona in Dio». Questo è evidente e particolarmente incisivo nel Corso fondamentale in cui Rahner, per così dire, ha coerentemente portato a compimento le sue precedenti manovre degli scambi che aveva adottato. Per Rahner il Logos «non è in effetti una persona divina, e di conseguenza Cristo è solo una persona umana, che… accetta Dio e viene accettata da Dio». Quindi l’analisi che il cardinale Siri tanti anni prima presentò sulla cristologia di Rahner in Getsemani, non può essere stata così astrusa, come numerosi teologi universitari tedeschi allora diedero ad intendere!

 

3.2 Tre caratteristiche fondamentali del pensiero rahneriano

Secondo Vogels queste inequivocabili idee eterodosse sono cor-relate con tre caratteristiche fondamentali del pensiero di Rahner:

  1. Dapprima Vogels constata un progressivo disinteresse per la Sacra Scrittura, particolarmente per i Sinottici, che mostrano ricorrentemente il “Figlio” come parificato al Padre. È appariscente in questo contesto anche un dato di fatto, che ha già indicato anni fa il cardinale Scheffczyk; infatti la Sacra Scrittura nel Corso fondamentale non gioca alcun ruolo.
  2. Così si evidenzia nel pensiero di Rahner una riserva nei con-fronti della “cristologia classico-ecclesiale”, e della “dottrina magisteriale”, nonché una minimalizzazione dei dogmi con vaste conseguenze. Questi vengono intesi come “un possibile” ma “non come l’unico possibile” modo di esprimere la dottrina cristiana. Molto volentieri Rahner avverte che la dottrina della Chiesa «non può essere assolutizzata». Questo poi non lo fa nemmeno lui. Vogels dimostra molto chiaramente che il concetto fondamentale di Rahner contraddice completamente il concetto di teologia della teologica classica, che conviene così mirabilmente alla dottrina della Chiesa ed alla sua coscienza di sé: Rahner non parte nella sua teologia dal dogma, egli «non accetta in primo luogo la Rivelazio-ne, ma traccia il quadro di una dottrina a priori dell’Uomo-Dio» , per poi vedere se «il senso che è da sviluppare dell’Incarnazione di Dio viene coperto attraverso le spiegazioni del magistero della Chiesa» , successivamente constata spesso che la sua costruzione corrisponde esattamente al credo della Chiesa. Ciò tuttavia – come Vogels può mostrare in modo convincente nella cristologia di Rahner – rappresenta una valutazione totalmente erronea: «la dottrina trinitaria e la cristologia della Chiesa e quella di Rahner non si conciliano…».
  3. Questa valutazione di Rahner che mette una accanto all’altra senza problemi due posizioni che si contraddicono, come se non esistesse il principio della contraddizione, è indubbiamente spiegabile con il terzo punto: e precisamente si constatano in terzo luogo un confusionismo filosofico ed una stretta unione ad Hegel ed all’esistenzialismo del primo Heidegger. Nella dottrina trinitaria e nella cristologia, Rahner rispettivamente confonde e scambia ricorrentemente prima e seconda sostanza, natura e persona, essere universale ed individuo. Lo schema esistenzialista si ritrova nella costruzione rahneriana dell’esistere dell’uomo rivolto a Dio e di Dio rivolto all’uomo. Esso conclude con la filosofia di Hegel dello Spirito assoluto, che solo è volto verso sé stesso, in quanto esce da sé nella storia e diventa egli stesso storico. Il posto della tesi lo prende Dio, quello dell’antitesi l’uomo, quale “spirito che viene verso se stesso” oppure la creazione, nella quale Dio diventa storico, e si esprime proprio realmente . Alla sintesi corrisponde l’Uomo-Dio, in cui si compie pienamente il diventare mondo di Dio. Un pensiero fortemente emanazionistico viene qui unito con una visione della storia del mondo e dello spirito, che viene intesa come una storia della trascendenza, della auto-trascendenza dentro a Dio, e come tale nel suo punto d’arrivo identica con l’assoluta comunicazione di sé di Dio, che è ciò che Rahner intende per unio hypostatica. L’unicità di quest’ultima cade naturalmente per mezzo di ciò, poiché una tale assoluta trascendenza di sé dello spirito in Dio è secondo Rahner «da pensare che succeda in tutti i soggetti spirituali». Giustamente ritiene Vogels, che Rahner voleva rendere comprensibile la fede per mezzo della filosofia hegeliana, ma che non gli è riuscito in alcun modo: «Lo strumentario del pensiero hegeliano e dell’esistenzialismo si dimostra contro l’intenzione di Rahner inidoneo alla spiegazione del dato su Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio. Questo giudizio vale naturalmente anche per quei discepoli di Rahner che lo hanno seguito in questo punto: prima di tutti Hans Küng, la cui cristologia secondo la sua dichiarazione, è improntata totalmente alla convinzione fondamentale che l’Assoluto stesso ha storia, è storico» . Infine qui diventa di attualità quello che papa Pio XII nella sua veramente profetica enciclica Humani Generis espose con chiarezza. Con uno sguardo all’evoluzionismo, esistenzialismo e storicismo ed al tentativo di interpretare con il loro aiuto in modo nuovo la fede della Chiesa, il Papa chiarisce in modo inequivocabile: Chiesa e scienza della fede non si possono legare ad un «qualsiasi sistema filosofico di vita breve». Una evacuazione della terminologia tramandata e della tradizione filosofica, che raggiunge in san Tommaso il suo apice, significa una catastrofe.

Papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Fides et Ratio (nn. 55 e 96), così come la dichiarazione Mysterum Ecclesiæ (1973), hanno nuovamente sottolineato questo fatto, aggiungendo che ci sono determinati concetti filosofici fondamentali ed idee che la Chiesa ha impiegato nel suo annuncio dottrinale e che, indipendentemente dal loro rispettivo contesto, conservano un “valore di conoscenza universale” (n. 96). Solo essi sono, nel campo della teologia speculativa, veramente idonei all’intellectus fidei. Se questo non viene osservato, si arriva a decurtazioni e deformazioni della verità, come all’incirca in questo caso (n. 98) nella cristologia, che unilateralmente promana “dal basso”. Secondo quanto finora esposto, sembra che queste frasi siano dirette a Rahner.

 

4. Conclusione

Vogels constata, in conclusione, che il sistema di Rahner si presenta alla luce del Magistero come una “costruzione sbagliata”. Si configura come “cancellazione, scambio e confusione dei concetti” dello Spirito divino increato con lo spirito creato, della natura con la grazia , che appiattisce completamente lo specificum christianum; confonde l’esperienza dell’essere con quella di Dio; e questo è il punto centrale di tutta la problematica del pensiero rahneriano. «Questa è la brutta fine dell’impostazione antropologica della teologia». Vogels si rende perfettamente conto con ciò della portata delle sue dichiarazioni, specialmente dopo i rimproveri che gli sono stati fatti dai sostenitori dei discepoli di Rahner, che secondo Karl Heinz Weger oggi hanno occupato le cattedre della teologia scolastica, ed anche numerose sedi vescovili. Secondo Vogels, Rahner non voleva nient’altro che servire il dogma e spiegarlo. Però: ciò che egli voleva non gli è, come pare, riuscito. Fa certamente male, – così lo scrittore – parlare di Rahner in modo così disincantato, ma dobbiamo dire la verità nella carità (Ef 4,15), non tacere la verità per carità. Dopo l’appassionante e addirittura emozionante lettura dello studio di Vogels, emerge veemente il quesito, se non sia giunto il tempo che quella istituzione, a cui nella Chiesa Cattolica è affidata la conservazione della purezza della fede, ancora una volta accetti un confronto più approfondito con la dottrina di Rahner. In questo non si tratta di un giudizio sulla persona di Rahner. E, a tale riguardo, non è rilevante se avesse buone intenzioni, si tratta solo dei suoi scritti.

Noi oggi possiamo, meglio di allora, riesaminare con l’aiuto dei più recenti studi, nei quali egli più o meno acriticamente viene stilizzato altamente come nuovo dottore della Chiesa. Ci sarà mai un momento più adatto di quello attuale per una rilettura ufficiale, e perché uno dei migliori conoscitori del pensiero rahneriano e del suo difficile linguaggio possa presiedere la Congregazione in ciò competente? E non sarebbe questo, proprio per le proteste e minacce prevedibili per questo caso, un grandioso segno di quell’amore al prossimo, disinteressato e intellettuale, che certamente è il suo compito peculiare?

 

 

 

 

Karl Rahner fotografato con uno dei suoi adepti, il futuro cardinal Karl Lehmann.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Padre Julio Meinvielle - La Predica Missionaria della Chiesa Scoraggiata in Karl Rahner 1

 

julio meinvielleKarl Rahner è un teologo, che ha acquisito grande notorietà questi ultimi anni. La sua teologia si distingue dalla sua fecondità in suscitare problemi la cui soluzione invece di soddisfare, produce malessere. Il suo problematicismo sistematico genera giustamente scetticismo. Dal canto suo, questo problematicismo denuncia un’evidente mancanza di chiari principi, i quali possono lasciar di essere tali e convertirsi in errori se gli si sposta dal luogo che gli corrisponde e gli si attribuisce un luogo e un significato preponderante. Per esempio, l’insegnamento della Chiesa secondo il quale Dio da la Grazia necessaria per la salvezza a ciascun fedele o infedele che fa il necessario per salvarsi, d’accordo con l’assioma teologico che dice: “Facienti quod est in se, Deus non denegat gratiam”. A chi fa quello che è nelle proprie mani, Dio non nega la grazia. Questo insegnamento ha uno speciale significato per gli infedeli che non hanno l’opportunità di ricevere l’influsso del cristianesimo. Sebbene questa verità sia manifesta, come dopo vedremo, non bisogna assegnarle nel piano cristiano della Chiesa e della Salvezza un posto primario come se l’incorporazione alla Chiesa visibile e storica non fosse tanto necessaria e occupasse soltanto un posto secondario o di supererogazione. Le cose si ordinano, però, precisamente all’inversa. La Rivelazione cristiana è tutta essa indirizzata ad esporre il Piano di Dio riguardante la Salvezza tramite la venuta di Gesù Cristo in questo mondo e la fondazione della Chiesa, come mezzo necessario per raggiungerla. Questa è la via ordinaria e necessaria per la quale Dio salva gli uomini. A coloro che senza mancanza propria non possono usare questo mezzo, Dio, nei suoi misteriosi disegni, gli concede la sua grazia –grazia soprannaturale– per vie che solo Egli si riserva, affinché possano salvarsi.

Karl Rahner, S. J. ha sistematizzato, forse con eccessiva forza, quello che lui chiama un cristianesimo invisibile, che sarebbe effetto di una “consacrazione dell’Umanità dall’Incarnazione del Verbo”. “Facendosi uomo il Verbo di Dio, dice Rahner, l’Umanità si è convertita realmente - ontologicamente nel popolo dei figli di Dio, persino antecedentemente alla santificazione effettiva di ciascuno dalla grazia.”2“Questo popolo di Dio che si estende tanto quanto l’Umanità”... “è antecedente all’organizzazione giuridica e sociale di quello che chiamiamo Chiesa”.3 “D’altra parte, questa realtà vera e storica del popolo di Dio, che è antecedente alla Chiesa come magnitudine sociale e giuridica, può adottare un’ulteriore concretizzazione in quello che chiamiamo Chiesa.”4
“Così, dunque, dove e nella misura in cui ci sia popolo di Dio, c’è anche già, radicalmente, Chiesa, e di certo, indipendentemente dalla volontà del individuo.”5Conseguentemente ogni uomo, per il fatto di essere uomo, appartiene già, radicalmente alla Chiesa. Questa appartenenza radicale implica un’attualità d’appartenenza che non era ammessa da Santo Tommaso, il quale parlò soltanto d’appartenenza in potenza6, così ammessa normalmente fin qui dai teologi. Questa appartenenza attuale, anche se non pienamente sviluppata, da tutto il diritto di considerare e chiamare “cristiano” a ciascun uomo per il fatto di essere uomo. Se poi questo uomo “assume totalmente la sua natura umana concreta nella sua decisione libera”7 “assume tutta la sua concreta realtà di natura.”8 e“l’incorporazione al popolo di Dio si converte in espressione di questo atto giustificante”.9 In Rahner, quindi, un infedele che senza colpa non appartiene alla Chiesa visibile, ma che accetta con decisione personale la sua natura umana concreta (che è stata consacrata dall’Incarnazione del Verbo) non solo è cristiano invisibile, ma con questa decisione personale e libera viene giustificato.

Quest’opinione di Rahner, S. J., riguardante un cristianesimo invisibile nel quale un infedele verrebbe giustificato, persino senza porre un atto di contenuto propriamente soprannaturale è senza dubbio audace. Se la si potesse, tuttavia, difendere legittimamente fra le opinioni cattoliche, non la si deve sostenere in modo tale che risultino indebolite le verità fondamentali e prime degli insegnamenti cattolici.

 

L’ardore missionario di San Paolo nella predica è un’esagerazione

In “Mision et Grâce”10, Karl Rahner, S. J., scrive:

“Dobbiamo oggi riconoscere per forza che ci è impossibile adottare pura e semplicemente il punto di partenza di San Paolo. Va da se che San Paolo rappresenta per il cristianesimo fedele una norma assoluta. Ma non è possibile ai cristiani, nel secolo della storia della Chiesa in cui viviamo, in riferimento alla salvezza dei non cristiani, partecipare delle idee pessimiste che San Paolo poteva avere nell’ottica religiosa del suo tempo, come pure di quelle dei cristiani del XVIII secolo. Nel pensiero di San Paolo gli uomini che non giungevano al battesimo erano persi. È vero che San Paolo non ha enunciato nessun dogma su questo punto. Nella pratica era, tuttavia, per lui un’evidenza.

“Non è possibile a noi cristiani in pieno XXo secolo sottoscrivere interamente questa prospettiva e questo modo di agire. Neanche abbiamo il diritto. Un missionario di oggi non può già, come lo era un San Francesco Saverio, essere animato da questa convinzione: «Se me ne vado dai giapponesi, se insegno loro e predico il cristianesimo, saranno salvati, andranno in cielo. Se rimango in Europa, saranno persi, come sono persi i loro genitori per non aver ascoltato parlare di Cristo ed essere morti senza battesimo»”. 11

“La nostra coscienza religiosa di cristiani di oggi è diversa. Ci è difficile pensare che gli uomini che non hanno sentito parlare di Cristo devono dannarsi per sempre. Non possiamo appoggiarci sul dogma per fare nostro un tale modo di vedere le cose. Sappiamo oggi che esiste un cristianesimo invisibile, in cui si trova realmente, sotto l’effetto dell’agire di Dio, la giustificazione della grazia santificante”.

Uno rimane ammirato o esterrefatto dalla logica che dimostra il Padre Karl Rahner, S.J. poiché se “ il cristianesimo invisibile” –della cui esistenza siamo certi dalla “nostra coscienza religiosa di cristiani di oggi”12– ci porta ad allontanarci da San Paolo –che “rappresenta per il cristiano fedele una norma assoluta”– la buona logica ci dovrebbe portare, invece, a correggere questo cristianesimo invisibile. Soprattutto quando l’argomento centrale per credere nella salvezza degli infedeli che non si oppongono con la loro colpa alla ricezione della grazia giustificante ce la dà lo stesso Apostolo quando nella I Lettera a Timoteo dice: “... Nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvi e vengano alla conoscenza della verità.”13

Un buon teologo deve avere presente la gerarchia di verità, l’architettura del sapere teologico. E’ chiaro che la necessità salvifica di Cristo, e, per tanto, il predicarlo, si antepongono ad ogni altra verità, e dunque a fortiori all’opinione di alcuni teologi come quella del cristianesimo invisibile, o anonimo, o d’incognito, che, come vediamo, stanno adoperando in modo esagerato e dunque pericolosamente certi teologi progressisti.

La prima verità cattolica è che “In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”.14 Da qui che Cristo abbia comandato: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.15 E in Marco: “Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi.”16

Che sia necessaria la predicazione lo dice chiaramente l’apostolo San Paolo: “Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? ...La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo.”17 Da qui che l’Apostolo potesse esclamare: “Guai a me se non predicassi il vangelo!”18 E San Paolo si espone ad ogni classe di pericoli per compiere la sua missione di predicare il Vangelo.19

Male sarà andata per la teologia di Rahner, quando tutto in essa porta a scoraggiare la predicazione evangelica nel mondo. Com’è possibile che ometta il ricordare insegnamenti tanto espliciti e pressanti, chiaramente esposti dal Salvatore e dagli Apostoli, in virtù di una tesi tanto questionabile quanto la sua, quella del cristianesimo invisibile?
Poiché è certo, certissimo, anzi, di fede, che nessuno si perde se non per colpa propria e che Dio supplisce in qualche maniera la condizione di coloro ai quali non arriva il messaggio della Chiesa visibile. Ma, come e per quali vie, se ciò avviene per il cristianesimo invisibile di Rahner o per qualsiasi altra, nessuno sa niente, né niente dice la Rivelazione.

Soltanto sappiamo quello dell’Apostolo: “Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore?O chi mai è stato suo consigliere?”.20

Noi soltanto sappiamo che anche se Dio dà a tutti e ciascuno la grazia sufficiente per salvarsi, in ogni modo, agli uni distribuisce di più e ad altri di meno21 e che in questa ripartizione adopera anche tutti i mezzi umani, e si vale anche di noi, e dobbiamo essere disposti a cooperare alla diffusione del Vangelo. Benché potessi esistere un cristianesimo invisibile, come lo immagina Rahner, abbiamo l’obbligo e la necessità di lavorare con lo scopo che il cristianesimo sia visibile e ben visibile, perché non può essere se non un’aberrazione mostruosa quella che immagina che un mondo dedito all’ateismo e alla depravazione di costumi può fiorire in santità. Tuttavia benché Dio sia poderoso per fare dalle pietre figli di Abramo22, la nostra missione è lavorare per il fiorire della salute morale e della santità nel mondo. Poiché se noi che abbiamo tante grazie inviateci da Dio, siamo tanto cattivi, cosa saranno coloro che vivono in un mondo infedele? Per questo, Pio XI, nell’enciclica “Rerum Ecclesiae”, chiama gli infedeli “i più bisognosi di tutti gli uomini”, “nessuno tanto povero né tanto nudo, né con tanta fame e sete come coloro ai quali mancano la conoscenza e la grazia di Dio”, e anche caratterizza ai non-cristiani come “pagani miserabili”, “uomini infelici”, “privati dai benefici della Redenzione”.

 

Conclusione di tutto il capitolo


Rahner, S. J., in nome di un presunto cristianesimo invisibile, scoraggia la predicazione missionaria nel mondo, e con ciò indirettamente propizia un’umanità senza influsso della Chiesa visibile. Tutti questi teologi convergono, nell’una o nell’altra versione, nel favorire lo sviluppo di un mondo, di un’umanità, di una civiltà, che si allontanano dalla Chiesa, da Cristo e da Dio, e camminano spinti da un movimento proprio che li porta a fini puramente terrestri.

P. Julio Meinvielle

 

Note:

1 Presso dal Libro del P. Julio Meinvielle, La Iglesia y el Mundo moderno,”El Progresismo en Congar y otros teólogos recientes”, (Chiesa e mondo moderno, il progressismo in Congar ed in altri teologi recenti). Ed. Teoría, Bs. Aires, anno 1966, Cap. IV, pp. 143 e ss.
2 Escritos de Teología (Scritti di Teologia), Taurus, Madrid, 1961, p. 89.
3 Ibid., p. 89.
4 Ibid., p. 89.
5 Ibid., p. 90.
6 Somma, 3, 8, 3.
RAHNER, ibid., p. 90.
8 Ibid., p. 91.
9 Ibid., p. 91.
10 XX Siècle, Siècle de Grâce, Mame, Pargi, 1962, p. 212 e seguenti.
11 Ibid., p. 214.
12 Ibid., p. 214 e 215.
13 2, 14.
14 Atti degli Apostoli, 4, 12.
15 Matteo, 28, 19.
16 Marco, 14, 15.
17 Cf. Romani, 10, 14-17.
18 I Corinzi , 9, 16.
19 2 Corinzi, cap. 11-12.
20 Romani, 11, 33.
21 Cf. Efesini, 4, 7-12.
22 Matteo, 3, 9.





leggo queste parole di Rahner:
“La nostra coscienza religiosa di cristiani di oggi è diversa. Ci è difficile pensare che gli uomini che non hanno sentito parlare di Cristo devono dannarsi per sempre. Non possiamo appoggiarci sul dogma per fare nostro un tale modo di vedere le cose. Sappiamo oggi che esiste un cristianesimo invisibile, in cui si trova realmente, sotto l’effetto dell’agire di Dio, la giustificazione della grazia santificante”.

***

 ma qui c’è un errore di fondo perchè MAI la Chiesa ha insegnato o predicato che a chi NON giunge il messaggio di Cristo è AUTOMATICAMENTE DANNATO……
per dannarsi ce ne vuole, bisogna essere davvero stolti, come dice la Bibbia perchè alla radice c’è proprio una scelta, un rifiuto a Dio…. Rahner elimina il sacro timor di Dio.

E dice bene Padre Julio:
“Noi soltanto sappiamo che anche se Dio dà a tutti e ciascuno la grazia sufficiente per salvarsi, in ogni modo, agli uni distribuisce di più e ad altri di meno21 e che in questa ripartizione adopera anche tutti i mezzi umani, e si vale anche di noi, e dobbiamo essere disposti a cooperare alla diffusione del Vangelo. Benché potessi esistere un cristianesimo invisibile, come lo immagina Rahner, abbiamo l’obbligo e la necessità di lavorare con lo scopo che il cristianesimo sia visibile e ben visibile, perché non può essere se non un’aberrazione mostruosa quella che immagina che un mondo dedito all’ateismo e alla depravazione di costumi può fiorire in santità”.




 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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11/12/2014 09:44
 
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  ALLE RADICI DELLA CRISI:


STORIA DELLE OCCASIONI PERDUTE


 


Papa Benedetto, l’acuto critico di Rahner, salito al soglio pontificio, dove avrebbe avuto tutta la competenza, l’intelligenza, l’autorità e il potere di agire per la soluzione del gravissimo problema, anche lui purtroppo non ha fatto nulla e probabilmente per quei pochi allusivi interventi che ha fatto, si è tirato addosso le ire dei rahneriani, che lo hanno portato ad abdicare e quindi a rinunciare al ministero petrino. L’enciclicaLumen Fidei di Papa Francesco, completamento di quella iniziata da Benedetto, ripete luoghi comuni e ignora completamente la questione. Oggi il problema è quindi ancora aperto.


 


Autore Giovanni Cavalcoli OP
Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

 

tu es petrus
Tu es Petrus …

Il pensiero cattolico sorge di fatto e di diritto dalla congiunzione dell’attività del Magistero della Chiesa con quello dei teologi. La guida, l’interpretazione autentica e la garanzia della verità della dottrina della fede viene dal Magistero sotto la presidenza del Papa. Compito invece dei teologi è quello di indagare sulle questioni ancora aperte avanzando opinioni o ipotesi interpretative o proponendo nuove soluzioni, onde favorire il progresso della conoscenza della Parola di Dio, sottoponendo al giudizio della Chiesa le scoperte fatte e le nuove teorie.

dogma
Stampa d’epoca raffigurante l’assisa del Concilio Ecumenico Vaticano I

Il Magistero, nel custodire, proporre ed interpretare il dato rivelato e nell’approvare o respingere le dottrine nuove dei teologi, non sbaglia, in quanto gode dell’assistenza dello Spirito di Verità a lui promesso da Cristo fino alla fine del mondo. Invece le dottrine dei teologi, soprattutto quando essi trascurano di misurarsi sul Magistero o ne fraintendono gli insegnamenti, possono essere errate. Ma anche una dottrina teologica certa (theologice certum), seppur rigorosamente dedotta da princìpi di fede, non può mai pretendere di essere considerata nella Chiesa come verità di fede, perché resta sempre semplice dottrina umana, per quanto fondata sulla fede. Solo al Magistero infatti spetta, con sentenza infallibile ed irreformabile, questo gravissimo compito di determinare e definire le verità di fede per mandato di Cristo. Tuttavia, può capitare che una nuova dottrina teologica interpretativa o esplicativa del dato rivelato venga ad avere tanta importanza o validità agli occhi del Magistero, che questi la eleva alla dignità di dogma della fede.

Nell’insieme storico di fatto del pensiero cattolico occorre pertanto distinguere accuratamente i pronunciamenti dottrinali del Magistero in materia dogmatica o di fede — Papa da solo o col Concilio — dalle dottrine od opinioni correnti fra i teologi, dottrine che, data la loro opinabilità ed incertezza, possono essere legittimamente contrastanti tra di loro, senza che ciò comprometta necessariamente in nessuna di esse il dato di fede o la sana ragione. Alcune teorie possono essere più conservatrici o tradizionaliste, altre più innovative o progressiste: nulla di male, nulla di pericoloso, nulla di cui preoccuparsi, nulla di scandaloso, ma anzi fenomeno normale, fisiologico e proficuo, espressione di legittima libertà di pensiero, che comporta tra le diverse correnti o scuole arricchimento reciproco, a patto che non si spezzi la fondamentale unità, convergenza e concordia sulle verità essenziali e che non si esca fuori dai limiti della retta fede.

Dante eretici
Farinata illustra all’Alighieri la condizione degli eretici

Il regime o funzionamento normale a livello ecclesiale e collettivo del pensare cattolico comporta di diritto e di fatto, nella storia, un certo generale accordo di massima fra le posizioni del Magistero e quelle dei teologi, salvo eccezionali dolorose ed inevitabili deviazioni, che si riscontrano in teologi ribelli, solitamente caratterizzanti il fenomeno o dello scisma o dell’eresia. Questo fenomeno fu grave, macroscopico, diffuso ed impressionante per non dire tragico con la nascita del luteranesimo. Ma nella storia della Chiesa il Magistero è sempre, nel complesso, riuscito a regolare, controllare e dominare il clima o la situazione generale, sì da assicurare alla generale compagine teologica e dei fedeli una certa uniformità, coerenza ed obbedienza allo stesso Magistero, mentre i teologi, dal canto loro, si sono sempre, nell’insieme, sentiti di buon grado per non dire con fierezza rappresentanti del Magistero, sicché il fedele che desiderava conoscere la via del Vangelo e la dottrina della Chiesa poteva sempre rivolgersi al teologo, qualunque teologo, e riceveva da lui la risposta autorevole, chiara, persuasiva e sicura; trovava insomma in lui la guida fidata ed autorevole per camminare nella verità del Vangelo ed essere in comunione con la Chiesa. Chi voleva andarsene dalla Chiesa se ne andava apertamente, come del resto fece lo stesso Lutero — los von Rom! —, e non restava perfidamente ed ipocritamente a distruggerla dal di dentro fingendo di continuare ad essere cattolico e magari spavaldamente come cattolico “avanzato”. In tal modo i nemici della Chiesa, scoperti eventualmente da buoni teologi o denunciati dagli stessi fedeli, erano sollecitamente, senza interminabili tergiversazioni, dichiarati tali dall’autorità ecclesiastica, cosicché erano ben noti, e quindi i fedeli anche meno istruiti avevano modo di riconoscerli, di guardarsene e di stare alla larga, così come si distinguono i funghi buoni dai velenosi.

Pio X
il Santo Pontefice Pio X

I pastori, con la loro dottrina, fedeltà al Papa, prudenza ed amore per il gregge, sapevano smascherare questi impostori, questi anticristi, falsi cristi e falsi profeti, questi lupi travestiti da agnelli e metterli con le spalle al muro. Ricordiamo a tal proposito la stupenda enciclica Pascendi dominici gregis di San Pio X. Oggi invece gli eretici ce la fanno sotto il naso e nessuno se ne accorge, nessuno se ne dà pensiero, nessuno interviene, anzi ricevono lodi e ottengono successo, incarichi di insegnamento e chi si azzarda a far notare che il re è nudo, viene quanto meno preso in giro per non dir di peggio.

I teologi, un tempo, come sacerdoti e religiosi, in forza del loro mandato ecclesiastico, erano umilmente e diligentemente coscienti della loro missione e quindi della loro grave responsabilità davanti a Dio, ai superiori, alla Chiesa e alle anime del loro delicatissimo ufficio di dottori della verità cattolica, nè passava ad alcuno per la testa di creare dottrine soggettive ed arbitrarie, così come fa il buon medico, il quale si sente rappresentante della scienza medica e si guarderebbe bene dall’inventare pratiche personali senza fondamento scientifico. Invece purtroppo a partire dagli anni dell’immediato post concilio è iniziato un fenomeno gravissimo di scollatura fra Magistero e teologi. Molti vescovi, ingenuamente ed entusiasticamente convinti dell’avvento di una “nuova Pentecoste”, allentarono la vigilanza sostituendo la bonomia alla perspicacia, il rispetto umano allo zelo coraggioso, i propri interessi alla difesa del gregge contro i lupi, il buonismo alla bontà e scambiando per misericordia la debolezza.

Concilio Vaticano II
un’assemblea plenaria dell’assisa del Vaticano II

I teologi, soprattutto coloro che erano stati periti del Concilio (1), dal canto loro si montarono la testa e, alla maniera protestante, cominciarono a farsi credere, indipendentemente e contro il Magistero, come depositari inappellabili della Parola di Dio ed interpreti infallibili della Sacra Scrittura, nonché dei documenti del Concilio, che viceversa distorcevano in senso modernista. A questo punto abbiamo le radici della crisi della quale oggi soffriamo. Esse consistono essenzialmente in questo: che il movimento sovversivo e rivoluzionario dei teologi, quella che è passata alla storia come “contestazione del Sessantotto”, è stato scambiato da molti nel popolo di Dio e tra gli stessi pastori e teologi come una rivoluzione dottrinale operata dallo stesso Concilio, il quale avrebbe mutato dati di fede fino ad allora considerati immutabili, soprattutto circa la superiorità del cristianesimo sulle altre religioni, sul concetto di Rivelazione e della Chiesa e circa la condanna delle eresie del passato, condanna che sarebbe caduta in prescrizione.

colonnato san pietro
nuvole sulla Chiesa

In realtà le nuove dottrine conciliari, rettamente interpretate, al di là di qualche espressione non del tutto chiara, non costituivano affatto una rottura o smentita dei dogmi tradizionali, ma al contrario una loro esplicitazione ed esposizione in un linguaggio moderno, adatto ad essere compreso dall’uomo di oggi, né l’approccio del Concilio alla modernità era da intendersi alla maniera modernistica come acritica soggezione agli errori moderni, ma bensì la proposta di un sano ammodernamento o, come si diceva, “aggiornamento” del pensiero e della vita cristiani, che raccoglieva alla luce dell’immutabile Parola di Dio quanto di valido può esserci nella modernità.

Sorsero invece due tendenze ecclesiali e dottrinali che videro nelle dottrine del Concilio una rottura o mutamento rispetto alla dottrina tradizionale ed alle condanne del passato, ispirati ad una totale assunzione della modernità: quella dei lefebvriani, i quali, prendendo a pretesto che nel Concilio non si trovano nuove definizioni dogmatiche solenni, negavano l’infallibilità delle dottrine conciliari accusate di essere infette di liberalismo, illuminismo razionalista, indifferentismo, secolarismo, filoprotestantesimo ed antropocentrismo, tutti errori che erano già stati condannati dalla Chiesa nel XIX secolo e nei secoli precedenti, soprattutto al Concilio Vaticano I e a quello di Trento.

rahner fuma
il teologo gesuita tedesco Karl Rahner

L’altra corrente che apparve ed appare tuttora a molti col crisma dell’ufficialità e di interprete dell’ ammodernamento conciliare, è quella che per lungo tempo è stata chiamata o si è autoproclamata “progressista”, titolo visto da molti come altamente positivo ed ambìto, mentre tale corrente chiama con disprezzo “conservatrice”, “tradizionalista” o “integrista”, o più recentemente “fondamentalista” la corrente dei lefevriani, nella quale però include indiscriminatamente tutti coloro che non accettano il suo modernismo. Per lunghi anni questa corrente, oggi fortissima nella Chiesa, grazie soprattutto al contributo di Rahner, ha prosperato fregiandosi dell’onorevole titolo di progressista, riferimento al valore indubbio del progresso, del nuovo e del moderno, ma in realtà per i suoi eccessi sempre più scoperti ed impudenti, tipici di chi prova la falsa sicurezza di sentirsi al comando, si è sempre più rivelata come modernista, e quindi chiara falsificazione dei veri insegnamenti del Concilio, i quali se promuovono il moderno, non certo avallano il modernismo, eresia già condannata da San Pio X.

Volendo esprimerci nel linguaggio sportivo, potremmo dire che l’autorità ecclesiastica locale ed anche al vertice è stata presa “in contropiede”. Dopo il clima di dialogo e di sereno confronto intra ed extra ecclesiale creato dal carisma straordinario di San Giovanni XXIII, si era largamente sparsa la convinzione nell’episcopato e in molti ambienti teologici che ormai non esistessero più eresie o, se esistevano teologie che si scostavano dalla dottrina ufficiale del Magistero, si trattava per lo più di dottrine discutibili o espressioni di pluralismo teologico o tentativi magari un po’ audaci di innovazione da guardare con benevolenza e interesse. In realtà le cose non stavano affatto così. A cominciare dall’immediato post concilio la tendenza modernista, approfittando dell’immeritata fiducia che seppe astutamente strappare da un episcopato ingenuamente ottimista, cominciò compatta e spavalda a venire alla luce, sicura dell’impunità ed anzi con l’aureola del progressismo, quasi a realizzare un piano precedente internazionale, proveniente soprattutto dai Paesi di tradizione protestante, segretamente elaborato in precedenza.

falsi profeti
“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?” [Mt 7, 15-20]

I pochi che segnalarono il pericolo incombente, come il Maritain, il von Hildebrand, il de Lubac e il Daniélou, non certo sospetti di conservatorismo o chiusi al nuovo, furono visti come personaggi disturbatori, uccelli del malaugurio, nostalgici dell’Inquisizione, guastafeste che, come si suol dire, rompevano le uova nel paniere. Quei “profeti di sventura”, catastrofici e scoraggianti, dai quali San Giovanni XXIII aveva intimato di guardarsi. Eppure non ci si rese conto della grave imprudenza nella quale si era caduti, abbassando la guardia, quasi che fossero scomparse le conseguenze del peccato originale, ed ormai la Chiesa e la teologia avessero iniziato una nuova era di uomini tutti di buona volontà, tutti intimamente sollecitati nel preconscio (Vorgriff) dall’esperienza divina atematica pre-concettuale, tutti cristiani anonimi anelanti a Dio, tutti oggetto della divina misericordia, secondo le mielose formule rahneriane. Nasceva quel “buonismo distruttivo” e quella falsa misericordia recentemente denunciati dal Papa nel suo discorso al sinodo dei vescovi.

Il Concilio ebbe indubbiamente un’impostazione progressista, nel senso di voler procurare alla Chiesa una nuova spinta o un nuovo slancio verso il futuro, avvalendosi dei valori del mondo moderno: il Concilio, più che sulla necessità di conservare o recuperare o restaurare il perduto, puntò sul dovere di andare avanti, di rinnovare e progredire, mutando ciò che non era più adatto o non serviva più ai nuovi tempi o alle nuove esigenze, che si intendeva preparare e soddisfare in un orizzonte escatologico. Non c’è da meravigliarsi pertanto, se la corrente assai numerosa dei Padri e dei periti che apparve maggiormente interprete del Concilio fu quella che si convenne di chiamare “progressista”, mentre quelli che facevano resistenza al nuovo o non lo comprendevano o troppo insistevano sull’immutabile e sulla tradizione, si cominciò a chiamarli con un certo accento di sopportazione e non di ammirazione, “conservatori” o “tradizionalisti”.

marcel lefebvre
L’Arcivescovo Marcel Lefebvre

Tra questi ultimi emerse, come si sa, sin di primissimi anni del post concilio la famosa figura di Monsignor Marcel Lefèbvre, che presto cominciò ad attirare un certo seguito, fino a fondare l’altrettanto famosa Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), tuttora esistente e prospera. Monsignor Lefèbvre, sostenitore non del tutto illuminato della sacra Tradizione, che secondo lui il Concilio aveva tradito, insieme con pochissimi altri, invece di scorgere le eresie denunziate dal sant’Uffizio nella teologia dei modernisti, ebbe invece la grande sprovvedutezza di trovarle proprio nello stesso Concilio, che quindi accusò dei terribili errori già condannati dai Papi del XIX secolo, come il liberalismo, il razionalismo e l’indifferentismo.

Più di recente, negli anni Ottanta, Romano Amerio ha aggiunto alla lista dei presunti errori del Concilio la “mutazione del concetto di Chiesa”. Secondo il suo discepolo Enrico Maria Radaelli, il Concilio avrebbe invece “ribaltato” la Chiesa. Paolo Pasqualucci, dal canto suo, nota la presenza dell'”antropocentrismo”. Monsignor Brunero Gherardini vede invece nei documenti del Concilio una contraddizione col Vaticano I. Lo storico Roberto De Mattei nega poi l’infallibilità delle dottrine del Concilio sotto pretesto che in esse non c’è nessun dogma definito secondo i canoni esposti dal Concilio Vaticano I. Tutti costoro confondono le dottrine del Concilio col modernismo nato dopo di esso. Si tratta di una confusione deleteria la quale, se da una parte comporta una retta definizione di modernismo secondo il criterio offerto da San Pio X, dall’altra accusa di modernismo proprio quel Concilio Vaticano II che, a ben guardare, ne è il saggio antidoto con la sua proposta di un sana modernità alla luce del Vangelo, della dottrina della Chiesa e di San Tommaso d’Aquino, come fece per esempio Jacques Maritain.

Edward Schillebeeckx
il teologo domenicano olandese Edward Schillebeeckx

Fin dal primo sorgere del lefebvrismo Paolo VI assunse nei suoi confronti un atteggiamento molto severo, mentre restò blando e indulgente nei confronti del rahnerismo. Questo comportamento non imparziale purtroppo si è mantenuto nei Pontefici seguenti fino all’attuale. Benedetto XVI tentò un approccio ai lefebvriani col togliere la scomunica ai loro vescovi e col famoso motu proprio Summorum Pontificum. Per la verità il rahnerismo si è fatto sentire anche nella liturgia col fenomeno della profanazione del sacro e della secolarizzazione, conseguenza del falso concetto rahneriano del sacerdozio e la negazione del carattere sacrificale della Messa. Viceversa, i teologi che si riconoscevano nella corrente genericamente ed equivocamente detta “progressista”, si riunirono attorno alla rivista Concilium, tuttora esistente. Ma quando l’equivoco si chiarì ed apparve che alcuni “progressisti” in realtà erano modernisti, allora ci fu la separazione degli uni dagli altri: da una parte, i progressisti onesti e veramente fedeli al Concilio e alla Chiesa, come Ratzinger, von Balthasar, Congar, de Lubac e Daniélou, si accorsero dei criptomodernisti, come Küng, Rahner, Schillebeeckx, Schoonenberg ed altri. Fu così che gli autentici progressisti si separarono dai secondi fondando la rivista Communio. Quanto a Ratzinger, accortosi della tendenza modernista di Rahner, lo abbandonò e lo criticò severamente in Les principes de la théologie catholique (2) del 1982, un anno dopo che fu nominato Prefetto della CDF da San Giovanni Paolo II.

Alfredo ottaviani e Karol Woytila
il Cardinale Alfredo Ottaviani con il Cardinale Karol Woytila

Nel 1966 il Cardinale Alfredo Ottaviani, pro-prefetto del Sant’Uffizio, ormai divenuto Congregazione per la Dottrina della Fede, congiuntamente al Segretario, il dottissimo cristologo Pietro Parente, inviavano un’allarmata lettera (3) ai Presidenti delle Conferenze Episcopali denunciando in 10 punti una serie di gravi errori che stavano serpeggiando tra i teologi cosiddetti “progressisti”. A molti tale grave denuncia deve essere apparsa esagerata o una specie di doccia fredda; ad altri, già infetti dal modernismo, deve aver suscitato irritazione ed essere apparsa un freno reazionario o una insopportabile condanna della nuova teologia promossa dal Concilio.

La nuova Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), guidata dal Cardinale Franjo Šeper, non dette per la verità prova di un’energia sufficiente a far fronte ai gravissimi problemi denunciati dal Cardinale Ottaviani e da Monsignor Parente, fatto poi cardinale. Questi, con la perspicacia e il coraggio che l’aveva caratterizzato negli anni precedenti, scrisse nel 1983 un aureo libretto (4), che avrebbe potuto essere il testo di un’enciclica pontificia, segnalando le eresie di numerosi teologi, come Küng, Rahner, Schillebeeckx, Schoonenberg, Hulsbosch ed altri. Purtroppo solo in piccola parte e in modo troppo blando la CDF censurò questi autori, i quali nella maggioranza poterono continuare indisturbati a diffondere i loro errori, protetti da potenti forze filoprotestanti e filomassoniche, forse clandestinamente insinuatesi nella Chiesa stessa.

Tomas Tyn 2
il giovane teologo domenicano Tomas Tyn

Sin dai primi anni del post concilio ci fu una schiera di buoni teologi e prelati, i quali si premurarono di commentare i testi conciliari nella linea del Magistero, mostrando la loro continuità col Magistero precedente, difendendoli dall’accusa di modernismo, e sottraendoli alla manipolazione dei modernisti.Tra i suddetti teologi e prelati ci furono il Cardinale Giuseppe Siri, Jacques Maritain, Yves-Marie-Joseph Congar, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Padre Raimondo Spiazzi, Jean Guitton, Jean Galot, i teologi domenicani di Roma, di Firenze e di Bologna, ed il Collegio Alberoni di Piacenza fino al Servo di Dio Padre Tomas Tyn in anni più recenti. Purtroppo, la loro opera meritevolissima nei decenni, non del tutto ignorata dalla Santa Sede, è stata quasi sopraffatta dai due partiti avversi dei lefebvriani e dei modernisti, i primi con attaccamento ostinato e miope ad un tradizionalismo superato, i secondi, forti del successo ottenuto, con una progressiva scalata ai posti di potere nella Chiesa, cominciando nel Sessantotto col conquistare i giornalisti, i giovani, i laici, il basso clero e i religiosi e via via salendo alla conquista dei livelli superiori dell’episcopato e negli anni più recenti penetrando nello stesso collegio cardinalizio.

I segni conturbanti di ciò li abbiamo avuti di recente in occasione del sinodo dei vescovi, tanto che la parte migliore del collegio cardinalizio, capeggiata dai cardinali Gerhard Ludwig Müller e Raymond Leonard Burke, ha avvertito l’urgenza di intervenire in difesa del Magistero della Chiesa e del Papa, il quale però non pare abbia mostrato nei loro riguardi una sufficiente gratitudine per la preziosa opera da loro svolta.

Paolo VI 2
il Beato Pontefice Paolo VI

Paolo VI, al quale andò il compito gravissimo di far applicare i decreti del Concilio, si trovò subito davanti ad una situazione difficilissima, che egli stesso, come ebbe a confessare dieci anni dopo il Concilio, non prevedeva (5). I modernisti olandesi, con incredibile tempestività, pubblicarono già nel 1966, elaborato sotto l’influsso di Schillebeeckx, con l’autorizzazione del Cardinale Bernard Jan Alfrink, il famoso “Catechismo Olandese”, uscito in Italia nel 1969, che ebbe un enorme successo. Il Catechismo, non privo certo di qualità, ma che è rimasto fino ad oggi il manifesto della Chiesa modernista, conteneva numerose eresie e gravi carenze dottrinali, che Paolo VI fu costretto a far correggere da un’apposita commissione di cardinali nel 1968. Evidentemente questo Catechismo era l’attuazione di un grandioso piano segreto elaborato già durante gli anni del Concilio, durante i quali numerosi periti di orientamento modernista celarono astutamente e slealmente le loro eresie sotto un comportamento esterno corretto, dando anzi a volte un contributo dottrinale lodevole nel corso dei lavori del Concilio. Il loro morbo in loro restò allora in incubazione e venne chiaramente alla luce solo a partire dagli anni dell’immediato post concilio (6). Nel frattempo stava conquistando sempre più consensi il pensiero di Karl Rahner, il quale era stato uno dei più influenti periti del Concilio, consigliere del Cardinale Franz König. Rahner parte dal principio dell’identità dell’essere con l’essere pensato, per cui confonde l’essere come tale con l’essere divino.

panteismo
l’antica insidia panteista

In questa visuale panteistica l’essere umano è ridotto all’essere divino; il divino (la “grazia”) entra nella definizione stessa dell’essere umano, che tuttavia mantiene un aspetto storico (“l’uomo è trascendenza e storia”), che relativizza il concetto di natura umana, il sapere umano e la legge naturale, sul modello hegeliano, mentre l’essere divino è essenzialmente umano. Cristo quindi è il vertice divino dell’uomo e Dio è necessariamente Cristo. Da qui la confusione panteistica della grazia con Dio, intesa come costitutivo dell’uomo. Ogni uomo è essenzialmente e necessariamente in grazia. Essa non può essere né acquistata né perduta. Il peccato non toglie la grazia ma si annulla da sé, perché è contradditorio. Cristo salva non in quanto redentore (concetto mitico), ma in quanto fattore del passaggio dell’uomo a Dio e di Dio che diviene uomo. La fede non è dottrina o conoscenza concettuale, ma incontro con Dio, autocoscienza ed esperienza di Dio pre-concettuale ed atematica (Vorgriff). Essa comporta sul piano dell’azione un’opzione fondamentale per Dio, atto di suprema libertà, per la quale tutti si salvano indipendentemente dagli atti categoriali, empirici e finiti, propri del libero arbitrio, cognitivi e morali, buoni o cattivi, che si pongono sul piano mutevole della storia e del relativo. Da qui la relatività e mutabilità del dogma, inevitabilmente incerto e fallibile, al contrario dell’esperienza di fede comunque salvifica, che è esperienza del divenire di Dio nella storia.

catechismo olandese
una delle prime stampe del Catechismo Olandese, subito tradotto in numerose lingue e diffuso in tutto il mondo

Con l’affermarsi di queste idee di Rahner, la linea di questo Catechismo Olandese, ancora di carattere illuministico-razionalista, assunse un accento manifestamente panteistico hegeliano-heideggeriano nel “Corso fondamentale sulla fede” di Rahner, pubblicato in Germania nel 1976 e in Italia nel 1977. Questa volta nessuna commissione cardinalizia ebbe il coraggio e la saggezza di condannare questo pseudo-catechismo (7), peggiore del precedente. I modernisti, diventati sempre più potenti, cominciavano a far tacere la stessa Santa Sede. Infatti Paolo VI non prese nessun provvedimento. Non ci fu alcuna autorevole confutazione da parte di qualche esponente della Santa Sede o teologo in vista. Anche la CDF, guidata dal Cardinale Seper, non fece nulla. Rahner faceva troppa paura. Per la verità, il grave errore pastorale della Santa Sede fu a mio giudizio quello di lasciarsi prevenire dal Catechismo Olandese, dimenticando la provvidenziale e tempestiva sollecitudine della Chiesa della Riforma tridentina, la quale, immediatamente dopo il Concilio di Trento e quasi come suo documento finale e riassuntivo, pubblicò il famoso e utilissimo Catechismo Tridentino, che fondamentalmente è ancor oggi validissimo.

Paolo VI, nel corso del suo pontificato, ci ha proposto o da sé o per mezzo della CDF un notevole corpo dottrinale, che oltre a sviluppare le dottrine del Concilio, confuta anche le false interpretazioni e condanna errori insorgenti, ma non è mai stato capace di affrontare di petto ed esplicitamente il problema del rahnerismo. Anzi nominò Rahner membro della Commissione Teologica Internazionale, dalla quale poco dopo, deluso perché si vedeva respinte le sue idee, se ne uscì con tono infastidito e arrogante accusandola di conservatorismo. Paolo VI con molti saggi ed acuti interventi contro il secolarismo, lo spirito di contestazione, l’immanentismo, l’antropocentrismo, il falso carismatismo, il liberalismo, le false novità, il relativismo ed evoluzionismo dogmatico, la profanazione della liturgia, il lassismo e soggettivismo morale, ha girato più volte attorno all’obbiettivo, senza però centrarlo mai del tutto, sicché i rahneriani, con l’audacia e l’ipocrisia che li caratterizza, si sono sempre sentiti al sicuro ed autorizzati a proseguire nelle loro idee e nei loro costumi.

Paolo VI 3
il Beato Pontefice Paolo VI

Il 1974 poteva forse essere l’occasione per risolvere il problema del rahnerismo con una buona condanna dei suoi errori e l’indicazione della vera via del rinnovamento e del progresso della teologia. Ma purtroppo Paolo VI perse anche questa occasione, che era data da un grande convegno su San Tommaso d’Aquino nel VII centenario della morte, organizzato dai Domenicani, che ebbe l’adesione di ben 1500 studiosi di tutto il mondo. Per questa occasione emerse nettamente sulla scena del mondo teologico internazionale la grande figura del dottissimo e sapientissimo Padre Cornelio Fabro, il quale elaborò (8) il progetto della bellissima lettera “Lumen Ecclesiae” del Papa al Padre Vincent de Couesnongle, Maestro dell’Ordine di Frati Predicatori, dedicata a raccomandare, con dovizia di opportuni argomenti, lo studio, l’approfondimento e la diffusione del pensiero di San Tommaso d’Aquino, nonché la sua utilizzazione per il confronto con la cultura moderna, in conformità alle disposizioni del Concilio (9).

cornelio fabro
il teologo stimmatino Cornelio Fabro

Nel medesimo anno 1974 Fabro pubblicava La svolta antropologica di Karl Rahner (10), un’indagine acutissima delle radici gnoseologiche e metafisiche del pensiero di Rahner, uno studio poderoso, nel quale il teologo Stimmatino dimostrava inconfutabilmente, testi alla mano, valendosi della sua eccezionale conoscenza e di San Tommaso e dell’idealismo tedesco, l’abominevole benché fascinosa impostura con la quale Rahner, falsificando gli stessi testi tomistici, pretendeva presentare l’Aquinate, Doctor Communis Ecclesiae, come conforme ad Hegel, il cui idealismo è stato più volte condannato dalla Chiesa. Quale più chiaro tacito messaggio inviato a Paolo VI dell’assoluta necessità di non tenere i piedi su due staffe, ma del fatto che l’affermazione della verità non può non comportare la condanna dell’errore e nella fattispecie la chiara ed inequivocabile affermazione che il rinnovo e il progresso della teologia ordinato dal Concilio non doveva passare da Rahner ma da San Tommaso? E invece nulla venne da Paolo VI. L’opposizione dei buoni teologi non si scoraggiò. Consapevoli della loro responsabilità verso le anime e ligi al loro dovere di fedeltà al Magistero della Chiesa, continuarono a segnalare i pericolosi errori di Rahner, anche se purtroppo, come era da aspettarsi, il rahnerismo non è arretrato, ed anzi si è rafforzato sino ad oggi. La storia di questa terribile lotta all’interno della Chiesa l’ho brevemente narrata nel mio libro su Rahner (11), che va aggiornato per esempio con la persecuzione fatta ai Francescani dell’Immacolata, nella quale non è difficile vedere la vendetta dei rahneriani per il congresso teologico internazionale antirahneriano dei Francescani del 2007 (12).

elezione Giovanni Paolo II
prima benedizione urbi et orbi di Giovanni Paolo II

Con l’elezione di San Giovanni Paolo II si ebbe l’impressione che il papato riuscisse a prendere in mano la situazione. Il Papa nel 1981 sostituì alla guida della CDF il Cardinale Seper con il grande teologo Joseph Ratzinger, ed un immediato risultato si cominciò a notare con un atteggiamento più deciso nei confronti degli errori di Schillebeeckx e la condanna degli errori della teologia della liberazione. Ratzinger riuscì a colpire alcuni seguaci di Rahner, ma lo stesso Rahner, che morì nel 1984, rimase intoccato. Il ricchissimo insegnamento di Giovanni Paolo II corresse indubbiamente molti errori di Rahner, ma lo fece in modo solo allusivo e generico, limitandosi ad esporre la sana dottrina, senza entrare con precisione nel merito delle questioni, come fa il buon medico che fa un’analisi accurata e precisa della malattia, onde apporre l’adeguato rimedio.

Grande impresa del Papa fu la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica nel 1992. Anche questo indubbiamente fu indirettamente un robusto antidoto contro gli errori di Rahner, benché ovviamente egli non poteva esservi nominato. Interessante come poi Papa Benedetto XVI indicò il Catechismo come criterio per discernere gli errori dei teologi. Il Papa avrebbe avuto due grandi occasioni per affrontare di petto, una volta per tutte, l’annosa ed incancrenita questione: le due grandi encicliche Veritatis splendor del 1993 e la Fides et Ratio del 1998. Solo nella prima c’è un accenno alla distinzione rahneriana, senza che Rahner sia nominato, fra il “trascendentale” e il “categoriale”, che si esprime in morale nell'”opzione fondamentale” e negli “atti categoriali”. Così, ancora negli anni 2004-2005, l’anno prima della morte del Pontefice, la lotta fra rahneriani ed antirahnriani si riaccese alla grande: con un congresso di avversari in Germania nel 2004 (13), al quale seguì, quasi risposta polemica, un convegno a suo favore all’Università Lateranense, durante il quale l’unica voce che si fece sentire in decisa opposizione fu quella di Monsignor Antonio Livi.

rahner-karl
Karl Rahner, brinda

Indubbiamente c’è da restare sconcertati nel constatare il successo ottenuto da Rahner, se egli è stato celebrato nella più prestigiosa delle Università Pontificie Romane. È il segno di una situazione drammatica, che sempre più urgentemente chiede di essere risanata, soprattutto considerando le disastrose conseguenze delle idee di Rahner nel campo della morale e della vita ecclesiale. In questo clima di accesa battaglia mi stupisco e ringrazio il Signore di come col permesso dei miei superiori, ai quali pure sono grato, ho potuto pubblicare il mio libro su Rahner, che ha riscosso un discreto successo, benché mi si riferisca della sorda guerra che i rahneriani gli fanno e del disprezzo del quale lo coprono. Eppure io sono sempre qua, pronto a correggere eventuali errori interpretativi e ed ascoltare ragioni in sua difesa. Ma nessuno si fa vivo.

prima benedizione urbi et orbi di Benedetto XVI

Benedetto XVI, l’acuto critico di Rahner, salito al soglio pontificio, dove avrebbe avuto tutta la competenza, l’intelligenza, l’autorità e il potere di agire per la soluzione del gravissimo problema, anche lui purtroppo non ha fatto nulla e probabilmente per quei pochi allusivi interventi che ha fatto, si è tirato addosso le ire dei rahneriani, che lo hanno portato ad abdicare e quindi a rinunciare al ministero petrino. L’enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco, completamento di quella iniziata da Benedetto, ripete luoghi comuni e ignora completamente la questione. Oggi il problema è quindi ancora aperto. Papa Francesco non parla mai di Rahner. Ma non credo affatto che sia la soluzione migliore. Rahner è notissimo e seguitissimo. I suoi gravi errori, che continuano a far danno, sono stati dimostrati ormai da cinquant’anni da una schiera enorme di studiosi e il Magistero della Chiesa in questi cinquant’anni, nella condanna di tanti errori, lascia intravedere ancora l’ombra sinistra del rahnerismo, non assente per esempio nella corrente buonista emersa persino all’ultimo sinodo dei vescovi. Non è giunto dunque il momento di “mettere, come si suol dire, le carte in tavola”? Perché far finta di ignorare ciò che tutti sanno? Ci sono ancora dei ritardatari sedicenti progressisti che non hanno ancora capito da dove viene il male? Se invece è chiara come è chiara la sua origine e la natura, dato che peraltro esistono i rimedi, perché non prenderne atto francamente una buona volta e decidersi a curarlo, viste le sue nefaste conseguenze, dopo una diagnosi precisa e circostanziata? Forse che il male potrà andarsene da solo?

Fontanellato, 21 novembre 2014

 

_______________________________________
1. Si narra che Don Giuseppe Dossetti affermasse che “il Concilio lo aveva fatto lui”. Non parliamo poi delle sparate che si sono fatte da parte della grande stampa laicista sulla parte avuta da Rahner al Concilio.
2. Edizione tedesca Erick Wewel Verlag, Muenchen 1982, edizione francese Téqui, Paris 1985.
3. Epistula ad venerabiles Praesules Conferentiarum Episcopalium, in Congregatio pro Doctrina Fidei, Documenta inde a Concilio Vaticano secundo expleto (1966-1985), Libreria Editrice Vaticana 1985.
4. La crisi della verità e il Concilio Vaticano II, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1983.
5. “Ci aspettavamo una nuova primavera, ed è venuta una tempesta”.
6. Sbagliano, quindi, quegli storici, come De Mattei, i quali sostengono, sulla linea di Lefèbvre, che questi periti avrebbero dato un indirizzo modernista al Concilio. E’ possibile, anzi è probabile che alcune tesi moderniste siano emerse durante i dibattiti, il che preoccupò fortemente Paolo VI, ma esse poi scomparvero al momento dei documenti finali. Così pure è sbagliata l’interpretazione del Concilio data dalla Scuola di Bologna, per la quale occorre, nei documenti ufficiali, rintracciare uno “spirito” o l’ “evento” che va oltre la lettera retrivamente conservatrice , e che non consiste altro che nelle sue idee moderniste. Sbaglia pure il card.Kasper a vedere nel Concilio delle “contraddizioni” “tensioni non risolte” tra elementi fissisti e tradizionali superati e il”nuovo”, in continua evoluzione, che non è altro che quel modernismo, per il quale egli simpatizza. Il contributo valido dato da Rahner al Concilio in collaborazione con Ratzinger è illustrato da Peter Paul Saldanha nella sua opera Revelation as “self-communication of God”, Urbaniana University Press, Rome 2005.
7. Rahner stesso non ebbe la faccia tosta di chiamarlo “catechismo”, ma in pratica è evidentissima la sua intenzione di proporre comunque un’iniziazione alla fede inficiata di gnosticismo protestante e in antitesi con quella cattolica.
8. Me lo comunicò personalmente in via confidenziale.
9. Optatam totius, 16 e Gravissimum educationis, 10.
10. Edizioni Rusconi, Milano.
11. Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, II ed.
12. Gli atti sono pubblicati in Karl Rahner. Un’analisi critica, a cura di Padre Serafino Lanzetta, Edizioni Cantagalli, Siena, 2009.
13. Gli atti sono pubblicati in Karl Rahner. Kritische Annāherungen, a cura di David Berger, Verlag Franz Schmitt, Siegbug 2004




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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ATTENTI A KARL RAHNER:


SEGUIRLO FINO IN FONDO PUÒ AVERE


GRAVI CONSEGUENZE PER LA FEDE.


 


MA ALLORA PERCHÉ LO SI STUDIA NEI SEMINARI?


 


(a cura di Claudio Prandini)


 



Karl Rahner, uno dei più conosciuti teologi del XX secolo


 


 


INTRODUZIONE


IL GESUITA KARL RAHNER, L’ERESIARCA DEL XX SECOLO


Fonte web


Ho terminato la lettura di un libro in lingua originale, cioè l’inglese americano, intitolato A Critical Examination of the Theology of Karl Rahner, SJ, scritto dallo studioso texano Robert C. McCarthy, pubblicato nel 2001. È stato molto faticoso, perché ho dovuto usare moltissimo i vocabolari cartacei e quelli on-line, ma ne è valsa la pena. L’opera di McCarthy, purtroppo, in Italia non è mai stata pubblicata e, sicuramente, non sarà pubblicata neppure in futuro.


Secondo McCarthy, l’intelligentissimo padre gesuita Karl Rahner ad un certo punto della sua vita, cominciò letteralmente a disprezzare la “Chiesa di sempre” e la “fede di sempre”.  Non credette più alla Rivelazione del Dio che si abbassa fino alla sua creatura prediletta, l’uomo. Considerò la “vecchia fede” del tutto inadeguata all’uomo moderno e si mise all’opera per “conformare” la teologia cattolica alla modernità. Rahner, in pratica, non cercò più – come invece dovrebbe fare ogni cattolico, specialmente un sacerdote – di convertire l’uomo a Dio, ma di adattare Dio all’uomo.


«Il padre Rahner ha detto che la teologia suole dare l’impressione, oggi giorno», ha spiegato un discepolo del gesuita tedesco, «di dar risposte mitologiche o almeno non scientifiche… Il teologo solo può superare questo… partendo dall’uomo e dalle sue esperienze». Rahner, dunque, non “partiva” da Dio, ma dall’uomo.


Basandosi, in questo senso, sulle “esperienze dell’uomo”, in particolare di quello moderno, Rahner scopre la sua dottrina del “soprannaturale esistenziale”. L’uomo moderno non può, né deve, considerarsi “segnato dal peccato”; anzi, deve necessariamente ritenersi buono, bravo e bello. L’uomo può smettere di credere al vecchio dogma cattolico del peccato originale. Non ha più bisogno di credere che il soprannaturale, la Grazia di Dio, siano al di sopra della natura umana. Non esiste, in realtà, il peccato originale, né i suoi nefasti effetti sulla natura dell’uomo. Esiste invece una natura umana imperfetta, la quale può, evolvendosi, diventare perfetta, se non addirittura tendere alla divinizzazione.


Rahner, partendo dalla concezione meravigliosa, senza macchia, che l’uomo moderno deve avere di sé, raggiunge rapidamente le più temibili eresie moderne, che costituiscono la base dell’apostasia contemporanea: il rifiuto del soprannaturale e la negazione del peccato originale.


Rahner, come teologo e soprattutto come sacerdote, non poteva salire senza macchia, secondo McCarthy, dopo tale assurda demolizione, delle dottrina cattolica di base. Questa è, sempre secondo l’autore texano, la spiegazione della quasi impenetrabile oscurità del più famoso gesuita del XX secolo, e della sua invenzione di strambe teorie come il “soprannaturale esistenziale” e il “cristianesimo anonimo”. In ciò che il maestro è scuro, a schiarire ci pensano i suoi discepoli. E molti discepoli di Rahner sono diventati vescovi e principi della Chiesa (Carlo Maria Martini, Karl Lehmann, Walter Kasper, Reinhard Marx, Robert Zollitsch, etc…).


Se dunque l’uomo, seguendo il pensiero rahneriano, viene al mondo non condannato dal peccato, ma solo con quell’incompletezza che tende alla perfezione, addirittura alla divinizzazione, che bisogno ha di redenzione o di un Redentore? Per Rahner l’uomo diventa perfetto, persino divino, con l’evoluzione, non con la Grazia. Gesù di Nazaret è l’uomo che più di ogni altro è riuscito a perfezionare, ad evolvere, la natura umana, divinizzandola. Per il gesuita tedesco, infatti, non è in discussione il fatto che Cristo sia Dio, anzi, ne era convintissimo. La tragedia è che, per Rahner, Gesù Cristo non è il Dio vivente fatto uomo, ma l’uomo che si è fatto Dio.


Mediante questa “dottrina gnostica” di Dio che non discende fino alla natura umana, trasfigurandola per mezzo della sua Grazia, ma dell’uomo che si “evolve”, s’impossessa della natura divina, Rahner mette assieme, in un modo molto contorto, religione e filosofia moderna (Hegel, Heidegger e Kant), ma di fatto nega e rifiuta l’Incarnazione e la Redenzione.


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BIBLIOGRAFIA
“La svolta antropologica di Karl Rahner”, di P. Cornelio Fabro (Editrice del Verbo Incarnato)
“Karl Rahner – Il Concilio tradito”, di P. Giovanni Cavalcoli (Fede & Cultura)
“Saggio sull’etica esistenziale formale di Karl Rahner”, di P. Tomas Tyn (Fede & Cultura)
“Vera e falsa teologia – Come distinguere l’autentica scienza della fede da un’ambigua filosogia religiosa”, di mons. Antonio Livi (Casa Editrice Leonardo da Vinci)

 

 

Conferenza 3a del Prof. P. Serafino M. Lanzetta, FI.
La critica di Tomas Tyn all'etica di Karl Rahner. Conferenza di P. Serafino M. Lanzetta FI.

 

 

Fonte web

Leggete Rahner. Voi non capirete molto ma è importante che lo leggiate lo stesso”. Con questo appello ironico ai suoi studenti, alcuni anni fa, un professore di teologia sintetizzava in modo mirabile due aspetti fondamentali del pensiero di Karl Rahner, teologo gesuita del xx secolo, morto nel 1984: la difficoltà di comprendere fino in fondo il suo pensiero dovuta ad un linguaggio ostico e, nello stesso tempo, la rilevanza di un teologare che lo ha reso uno dei più celebrati soloni della teologia degli ultimi tempi.

UN LINGUAGGIO DIFFICILE

I professori Rahner e RatzingerQuello del linguaggio rahneriano non è un problema indifferente. In un articolo sull’Osservatore Romano del 28 Dicembre del 2009, F. G. Brambilla, preside della facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, lo definisce “tormentata lingua”, tale da renderlo meno leggibile rispetto ad altri teologi. Capire esattamente la portata del suo pensiero non è semplice per chi non si occupa di teologia a tempo pieno (e spesso anche per chi se ne occupa). Non si tratta, infatti, del solito linguaggio da professore teutonico disseminato di termini vigorosi: Christliche Weltanschauung,Formgeschichte, etc. In Rahner è operante invece lo scontro quotidiano tra il desiderio, esplicitato dallo stesso teologo, di rendersi comprensibile all’uomo comune e l’incapacità quasi strutturale di riuscire ad esprimersi in un modo tale da poterlo raggiungere. Una vera eterogenesi dei fini, se leggiamo quello che confessò a Vittorio Messori: “Non sono mai stato un teologo chiuso agli influssi esterni. Se studiavo un argomento è perché dalla mia attività pastorale, dai miei contatti con la gente, mi rendevo conto che quell’argomento faceva problema; che qualcuno poteva essere aiutato da una ricerca”.

UN TEOLOGARE ONNICOMPRENSIVO

Rahner ancora giovane gesuita, indossava ancora un clergymen. Fra poco dismetterà e per sempre i segni esteriori del suo sacerdozio

Sulla grandezza della sua riflessione teologica non ci sono dubbi. Pensiamo, ad esempio, a quello che gli deve la teologia trinitaria. Rahner ha formulato l’assioma “La Trinità economica è la Trinità immanente e viceversa”, mostrando che è solo a partire dalla sua manifestazione nella storia – con la rivelazione di Cristo – che possiamo sapere qualcosa del Dio Uno e Trino così come è in sé. La Commissione Teologica Internazionale, nel documento Desiderium et cognitio dei del 1981, ha reso più esplicito questo assioma, evitando alcuni seri rischi. Giustamente, però, Luis Ladaria, attualmente segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha sottolineato che “sono chiare le coincidenze con il modo di esprimersi di Rahner. E’ sua l’intuizione che in fondo si accetta”. E non è solo la teologia trinitaria ad essergli debitrice. Rahner fu chiamato come teologo perito al Concilio Vaticano II e presto divenne un personaggio chiave nell’assise conciliare. Inoltre, basta dare uno sguardo alla sterminata bibliografia del gesuita (circa 4000 scritti) per capire che egli si è occupato di molteplici settori della teologia: Sulla teologia della morte, La gerarchia nella Chiesa, Ascesi e mistica nei Padri della Chiesa, La Trinità, Le dimensioni politiche del cristianesimo, Il sacerdote e la fede oggi, Corso fondamentale sulla fede, Eucaristia, Sul battesimo, etc. E lo ha fatto sempre in modo significativo e mai scontato.

LA SVOLTA ANTROPOLOGICA DI RAHNER

Il padre Cornelio Fabro. Parlò per primo di “svolta antropologica” in RahnerE’ stato il padre stimmatino Cornelio Fabro, nel 1974, ad usare l’espressione “svolta antropologica” in relazione alla teologia di Rahner. Uno dei primi, anche, ad esprimere una critica nei confronti dell’osannato gesuita. Rahner parte dall’uomo per il suo discorso su Dio. Egli, infatti, “era persuaso che il dato della fede va messo in rapporto fin quasi a rinascere nell’esperienza che l’uomo ha di sè. Dunque l’antropologia ha da portare alla teologia un contributo fondamentale” (A. Bertani, Jesusn.4 Aprile 2004). Fondamentale, certo, ma anche deleterio nel momento in cui la teologia si ritrova a dover dipendere da questa. Scrive Rahner: “La teologia oggi deve assolutamente tener conto di tutte le scienze antropologiche moderne, che non esistevano in passato, così come deve conoscere e rispettare l’uomo nella prospettiva delle scienze naturali moderne”. In una simile affermazione c’è un che di sinistro: il tono stesso. Sembrerebbe quasi sostenere l’impossibilità per il discorso teologico di essere articolato senza il contributo vincolante dei dati delle moderne scienze antropologiche. Non sembra qui di risentire l’eco della mai sopita tentazione di voler ridurre Dio alla “misura” dell’uomo? Infatti, padre Giovanni Cavalcoli, un teologo domenicano che ha criticato la teologia rahneriana, spiega: “InRahner l’uomo si ripiega sulla sua illimitata autocoscienza perché egli ha assolutizzato se stesso”.

PADRE DEL RELATIVISMO?

In un articolo su Il Foglio del 2009, intitolato in modo molto significativo Rahner, maestro del Concilio, di Martini e della coscienza relativaRoberto De Mattei presenta la figura del teologo tedesco come “padre del relativismo teologico contemporaneo”. Un relativismo che drammaticamente è cresciuto in maniera esponenziale dopo il Concilio Vaticano II. Non sono però i documenti conciliari i responsabili di questa deriva ecclesiale. Nel discorso alla curia romana del 2005, Papa Benedetto XVI ha spiegato, infatti, che sono state due le ermeneutiche di questo grande evento: una – quella “della riforma” – che, pur nel silenzio ha prodotto buoni frutti; l’altra – quella “della discontinuità e della rottura” – che ha interpretato il Vaticano II come evento che rompe con il passato preconciliare e la Tradizione. Il già citato padre Cavalcoli non ha dubbi su chi sia uno degli indiziati maggiori all’origine di questa “ermeneutica della discontinuità”: proprio Rahner, perché egli “ha concepito il progresso come rottura, come contraddizione col passato di una tradizione cristiana sacra e perenne” operando non “in nome di una sana modernità, ma di un rinnovato modernismo peggiore di quello dei tempi di san Pio X” (Radici Cristiane, n. 47, Agosto-Settembre 2009). Al teologo tedesco, padre Cavalcoli ha dedicato pure un libro dal titolo emblematico: K. Rahner. Il Concilio tradito, che rincara la dose.

PERICOLOSE DERIVE DOTTRINALI?

Il padre dell’esistenzialismo Martin Heidegger: Una pericolosa passione di Rahner.

Heinz J. Vogels – che certo non può essere considerato un tradizionalista – ha messo in evidenza i principali pericoli insiti nella teologia rahneriana: Padre, Figlio e Spirito Santo visti come tre modi di manifestarsi di un’unica Persona divina e non come tre Persone distinte (modalismo); Gesù Cristo solo espressione storica del Padre, non Persona divina preesistente (adozionismo); mancato riconoscimento del carattere di persona dello Spirito Santo; una rischiosa tendenza a vedere operante in Gesù Cristo un’unica energia (monoenergismo) e un’unica volontà (monotelismo), quella divina, mettendo in ombra la componente umana; la maternità divina di Maria messa implicitamente in discussione; affermazione della capacità dell’uomo di auto-redimersi. Anche ad una rapida occhiata, è possibile comprendere che qualcosa non va nella teologia dell’illustre gesuita. E non dimentichiamo, infine, l’attrazione fatale di Rahner per Heidegger, padre dell’esistenzialismo che, come ricorda Messori in VivaioEdith Stein riteneva non adatto ad un cristiano perché negava l’esistenza di Dio così come lo intende la fede cattolica. Pur nella grande fama riconosciuta al teologo tedesco, c’è, dunque, in Rahner il pericolo implicito di una teologia che, portata all’estreme conseguenze, conduca su binari che si discostano dall’ortodossia cattolica. Non sarebbe il primo caso, nella storia della Chiesa, di un teologo che, pur mantenendo se stesso all’interno della fede cattolica, ha di fatto, suo malgrado, dato il via a rovinose deviazioni dottrinali che hanno poi ripercussioni gravissime nella vita spirituale dei fedeli, e prima ancora nei seminaristi e dunque nei futuri sacerdoti.

UN USO MODERATO PER “NON NUOCERE GRAVEMENTE ALLA SALUTE” DELL’ANIMA

Karl Rahner negli ultimi anni. Sempre giacca e cravatta. Morì nel 1984Torniamo all’appello del professore con cui abbiamo aperto questo scritto: “Leggete Rahner. Voi non capirete molto ma è importante che lo leggiate lo stesso”. Le sue parole si persero nell’aria mite di un pomeriggio. Nel corso degli anni, però, alla luce di questi nuovi studi, sono ritornate in mente. Anche perché, nel frattempo, quel professore, che era pure prete, ha lasciato l’abito sacerdotale ed è convolato a nozze con una donna, con la quale aveva da tempo una relazione segreta. Ci sarebbe da chiedersi: una pagina di Rahner al giorno toglie la vocazione di torno? Lasciamo perdere una facile ironia: la teologia rahneriana non merita un simile trattamento.

Una considerazione è tuttavia obbligatoria, a questo punto. In un’epoca in cui le scomuniche sono quasi del tutto scomparse, in cui l’imprimatur, come il saluto, non si nega a nessuno, in cui i teologi cattolici – alcuni fedeli all’ortodossia e altri “allegramente disinvolti” nei confronti di questa – raggiungono facilmente, con i mezzi di comunicazione odierni, l’ignaro popolo cattolico, sarebbe necessario se non altro un punto fermo. Quale? Che almeno una voce autorevole, in ogni seminario, facoltà teologica, istituto di scienze religiose, si prendesse la briga di premettere qualche “avvertenza” e un invito “a non abusare” di certi teologi per “non nuocere gravemente alla salute” della vita spirituale. Non il ripristino di un moderno Indice – che indurrebbe anzi ad una maggiore attenzione verso pagine tanto suadenti quanto pericolose – ma qualche chiara “istruzione per l’uso” per mettere al sicuro la fede di chi si accosta a questi celebrati quanto ambigui teologi. Non sarebbe anche questo amore per il prossimo?

 

 

APPROFONDIMENTO

 

LA BRACE SOTTO LA CENERE

NUOVA TEOLOGIA, BORDERLINE

RAHNER, MITO DEL PROGRESSISMO CATTOLICO…

E AMANTE APPASSIONATO

RAHNER, COMMIATO DA UN PERICOLOSO MITO

LA CRISI DELLA CHIESA HA UN NOME: RAHNER....

 



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Rahner, profeta della chiesa aperta di oggi
di Stefano Fontana03-08-2016

Nel lontano 1972 Karl Rahner, che a quei tempi, anche se lontani da noi oggi, era già Karl Rahner, scrisse un libretto dal titolo “Trasformazione strutturale della Chiesa come compito e come chance”. L’anno successivo fu pubblicato in lingua italiana dalla Queriniana. Il libro era rivolto alla Chiesa di Germania, che aveva appena celebrato il suo sinodo, ma le considerazioni del (già) grande teologo tedesco anticipavano sorprendentemente i tempi e parlavano di noi oggi. In Italia la DC doveva governare ancora per vent’anni, non si era nemmeno ancora fatto il referendum sul divorzio, Paolo VI aveva appena sconfessato le Acli che a Vallombrosa avevano scelto il socialismo, c’era stato il ’68 sì, ma per le Brigate Rosse mancavano ancora diversi anni, era ancora in corso la guerra del Vietnam. E’ vero che Paolo VI aveva già parlato del “fumo di satana” entrato nella Chiesa, ma a quell’epoca il sistema sembrava reggere. Era un altro mondo, eppure in questo altro mondo, Rahner pensava già a noi oggi, al nostro mondo e alla nostra Chiesa di oggi. La rilettura di quel libretto fa la nostra fotografia.

Per dire la cosa in sintesi, la Chiesa di Karl Rahner doveva essere declericalizzata, democratica, aperta e dalle porte aperte, strutturata a partire dalla base, ecumenica, che non moralizza. Ecco come egli vedeva la Chiesa del prossimo futuro, oggetto e soggetto insieme di una “trasformazione strutturale”. Non si trattava di una predizione, ma di un “compito” da portare avanti intendendolo come “chance”, come possibilità per la Chiesa di continuare ad essere e ad esserci.

Uno dei concetti chiave espressi nel libretto è quello di Chiesa “aperta”. La cosa viene detta non solo in senso pastorale (aperta nel senso di aperta ad accogliere tutti) ma dottrinale. Secondo Rahner, infatti, l’ortodossia, l’ordine, la chiarezza… sono caratteristiche di una sétta. Ma la Chiesa non è una sétta e quindi i suoi confini non devono essere chiari né definiti. Essa deve essere “aperta anche dal punto di vista dell’ortodossia”. E a questo proposito gli esempi che Rahner fa non potrebbero essere più attuali: “non è chiaro perché dei divorziati che si sono risposati dopo un primo matrimonio sacramentale non potrebbero in nessun caso essere riammessi ai sacramenti finché perseverano nel secondo matrimonio in quanto tale; è possibile non ritenere il precetto festivo come un comandamento che Dio avrebbe stabilito sul Sinai dotandolo di una validità perenne; non è neppure possibile stabilire con chiarezza, come a volte si fa, quali possibilità esistano anche per una coscienza cristiana nei confronti delle leggi penali dello Stato contro l’aborto”. Come dicevo, sembra che Rahner qui  parli di noi, ora.

Chiesa aperta vuol dire che non sono chiari i confini dell’ortodossia e di conseguenza nemmeno quelli dell’eresia. Anche dentro la Chiesa, dice Rahner, ci sono disparati contenuti di coscienza e opinioni divergenti sul dogma oggettivo. Il pluralismo teologico e dottrinale non costituisce quindi una minaccia, continua Rahner, perché conforme ad una “Chiesa evangelica” “in cui si poteva dire pressappoco tutto e si poteva esprimere pubblicamente quello che si voleva”.

La Chiesa del futuro – sosteneva Rahner nel 1972 – è una Chiesa che si costruisce dal basso, frutto di libera iniziativa ed associazione. Le stesse parrocchie si trasformeranno in questo senso. E a quel punto una comunità di base potrà esprimere un suo “capo adatto a guidarla tratto dal suo seno” e “presentare al Vescovo come suo presidente una persona cresciuta nel suo seno e fornita delle qualità necessarie  per tale ufficio, e questa può ricevere validamente l’ordinazione anche se è sposata”. La comunità di base – aggiunge Rahner - potrà esprimere non solo una persona sposata, ma anche una donna: “Non vedo a priori alcun motivo di dare una risposta negativa a questo problema, tenendo conto della società di oggi e ancor più di quella di domani”.

Una Chiesa costruita dal basso sarà anche una Chiesa democratica. Rahner notava nel 1972 che mantenere ridotto il numero degli elettori di un Vescovo garantirà sempre meno in futuro le caratteristiche di ortodossia ed ecclesiasticità del nominato (e purtroppo questo lo abbiamo constatato tutti),  dato il pluralismo dottrinale e la particolarizzazione delle comunità di base, quindi si può passare ad un metodo democratico di designazione: c’è “un diritto dei sacerdoti e dei laici di concorrere alle decisioni della Chiesa in maniera deliberativa e non puramente consultiva”. E’ quanto oggi si chiama con insistenza “sinodalità” e che, secondo Rahner dovrebbe diventare prassi non solo consultiva ma deliberativa.

Di questi tempi molti si saranno stupiti perché molti Pastori non siano intervenuti a proposito di leggi che colpiscono in modo molto duro principi fondamentali della legge morale naturale. Non sono rari i Vescovi e i parroci che non vedono di buon occhio che i cristiani “mostrino i muscoli” (come essi dicono) in pubblico per la difesa dei principi non negoziabili. La spiegazione c’è in queste pagine di Rahner di quarantaquattro anni fa: “morale senza moralizzare”. Per Rahner si “moralizza” quando “si proclamano norme di comportamento in maniera burbera e pedante, con indignazione morale, di fronte ad un mondo immorale senza condurlo realmente a quell’interiore esperienza essenziale dell’uomo che quest’ultimo ha e senza la quale anzi neppure i cosiddetti principi di diritto naturale potrebbero obbligarlo attualmente”.

Uno legge questo libretto di Rahner e capisce da dove veniamo e dove andremo. Ma nonostante molti si siano sforzati in questi quarantaquattro anni di dargli ragione e di agire affinché le sue previsioni si avverassero, anche Rahner non è infallibile.


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19/05/2017 15:30
 
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ECCO COME SONO PERVERSI I DISCEPOLI DI KARL RAHNER   


Raniero La Valle, Ratzinger e l’evoluzione del dogma


Ecco come i rahneriani ti stravolgono l’insegnamento di Benedetto XVI

Dopo aver letto l’interessante Lectio del domenicano Padre Giovanni Cavalcoli che vi sollecitiamo a conoscere poiché spiega di cosa stiamo parlando, clicca qui, sulle strumentalizzazioni di La Valle – rahneriano puro – nel conferire ai Papi l’encomio (si fa per dire ovviamente) del titolo “modernista”, ci siamo resi conto che in un articolo di La Valle del 2016, vedi qui e dal sottotitolo eloquente “a sinistra da cristiani”, c’è un riferimento a Benedetto XVI allucinante e davvero diabolico per la strumentalizzazione fatta alle sue parole, che non possiamo ignorare.

Perdonate la lunga citazione, ma è fondamentale per capire come lavora il demonio. Scrive La Valle:

Del tutto errata la dottrina della riparazione – Questa sintesi trinitaria di Panikkar ci introduce allora alla terza rivoluzione della fede che oggi è in atto. Anch’essa possiamo coglierla a partire dal Concilio, l’abbiamo vista affermarsi tra i teologi e oggi ne vediamo la solenne proclamazione.

E’ la rivoluzione che riconosce come del tutto errata la dottrina che per secoli la Chiesa ha  presentato, e cioè che il Padre avesse avuto bisogno del sangue del Figlio per ripagarsi dell’offesa subita col peccato originale. Si tratta della dottrina di S. Anselmo, espressa nel suo famoso “Cur Deus homo?”, perché Dio si è fatto carne? E’ la dottrina sacrificale, della riparazione dovuta a Dio, della legittimazione dell’olocausto, dell’espiazione necessaria attraverso il sangue dell’innocente. Una dottrina incompatibile con la misericordia, anzi fautrice della massima ingiustizia, come è la punizione dell’innocente, eppure è stata una dottrina permanente insegnata nel catechismo fino al Concilio Vaticano II e ancora presente, sebbene in modo più sfumato, nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992.

Questa dottrina che è stata causa di abbandoni di massa della fede e della Chiesa, criticata dai teologi, è stata tranquillamente dichiarata in sé del tutto errata dal papa emerito Benedetto XVI in una recente intervista resa nella rettoria dei Gesuiti di Roma, raccolta da un gesuita e pubblicata dall’Osservatore Romano (La fede non è un’idea ma la vita, intervista al Papa emerito Benedetto XVI, O.R. 16 marzo 2016)

Che cosa dice il papa emerito Benedetto XVI? – “La contrapposizione tra il Padre, che insiste in modo assoluto sulla giustizia, e il Figlio che ubbidisce al Padre e ubbidendo accetta la crudele esigenza della giustizia, non è solo incomprensibile oggi, ma, a partire dalla teologia trinitaria, è in sé del tutto errata. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola”.

Evoluzione del dogma – E papa Benedetto, che parla esplicitamente di “evoluzione del dogma”, spiega così l’agire di Dio: “Dio semplicemente non può lasciare com’è la massa del male che deriva dalla libertà che Lui stesso ha concesso. Solo lui, venendo a far parte della sofferenza del mondo, può redimere il mondo. “Fu la passione dell’amore. Ma il Padre stesso, il Dio dell’universo, non soffre anch’egli in un certo senso? Il Padre stesso percepisce una sofferenza d’amore (Omelie su Ezechiele 6,6). Il Padre sostiene la croce e il crocifisso, si china amorevolmente su di lui e d’altra parte per così dire è insieme sulla croce. Non si tratta di una giustizia crudele, non già del fanatismo del Padre.

“Non c’è dubbio che in questo punto – dice Ratzinger – siamo di fronte a una profonda evoluzione del dogma. Nella seconda metà del secolo scorso si è affermata la consapevolezza che Dio non può lasciare andare in perdizione tutti i non battezzati e che se è vero che i grandi missionari del XVI secolo erano ancora convinti che chi non è battezzato è per sempre perduto – e ciò spiega il loro impegno missionario – nella Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II tale convinzione è stata definitivamente abbandonata”.

E la folgorante conclusione di  papa Benedetto è questa: “Come Cristo è “essere per”, così cristiani non si è per se stessi, bensì, con Cristo, per gli altri”.


E fin qui la citazione di La Valle. Avete capito bene cosa fa dire La Valle a Benedetto XVI che invece non ha detto? Il testo integrale dell’intervista citata lo trovate qui e vi raccomandiamo di leggerla integralmente… per capire cosa ha detto realmente Ratzinger.

Secondo La Valle Benedetto XVI sarebbe d’accordo nell’evoluzione del dogma, ossia, nel modificarlo a partire dal fatto che il Sacrificio di Cristo non sarebbe affatto L’ESPIAZIONE E LA SODDISFAZIONE e la Giustizia che Dio richiede a causa del nostro peccato. Attenzione, non stiamo parlando di una evoluzione insignificante, qui si arriva a toccare LA SANTISSIMA TRINITA’! La Valle estrapola alcune frasi dalla risposta di Benedetto XVI e gli fa dire che il dogma della Chiesa giunto fino a noi oggi è la causa delle divisioni nella Chiesa…. capite bene a quale livello di perversione siamo arrivati!

La Valle innanzi tutto mischia due domande ben distinte che vengono rivolte a Benedetto XVI per le quali offre due risposte che non sono “la risposta” ma, come ama fare Ratzinger, sono risposte separate e ben distinte, che offrono spunti di discussione e riflessione lasciando all’interlocutore di raggiungere la doverosa risposta attraverso l’insegnamento della Chiesa.

La prima domanda riguarda perciò un certo LINGUAGGIO usato a suo tempo da sant’Anselmo e che oggi sembrerebbe non essere più comprensibile dall’uomo moderno; la seconda riguarda lo stile e la base degli Esercizi spirituali di Loyola, e dunque la curiosità di capire se non vi sia in atto una “evoluzione del dogma”…. La Valle invece unisce le due risposte facendo dire a Benedetto XVI ciò che non ha affatto detto.

Come risponde Benedetto XVI? Nella prima domanda sul metodo di sant’Anselmo Benedetto XVI offre tre spunti di riflessioni (a, b, c,) ma che non sono affatto “l’evoluzione del dogma” come gli attribuisce La Valle, quanto piuttosto la comprensione specifica di un Dio che non manda il Figlio esclusivamente per riparare il Peccato dell’uomo, MA PER AMOREL’Amore di Dio per l’Uomo caduto in disgrazia (Peccato originale al quale La Valle non crede) è il movente che mancherebbe NELL’INTERPRETAZIONE a sant’Anselmo, è questo che fa emergere Benedetto XVI nel punto a) della risposta. Ratzinger sottolinea l’erronea INTERPRETAZIONE ESCLUSIVISTA  di un Figlio che risponderebbe così al Padre SOLO per una esclusiva CRUDELTA’ della soddisfazione della giustizia…. Benedetto XVI rileva che l’interpretazione all’insegnamento di sant’Anselmo potrebbe condurre l’uomo di oggi  a vedere in Dio NON IL PADRE MISERICORDIOSO ma esclusivamente un Dio “crudele” che imporrebbe così al Figlio una certa crudeltà nell’obbedienza della Croce….

Nel punto b) Ratzinger si domanda: “Ma allora perché mai la croce e l’espiazione?” La Valle usa la domanda per far dire a Benedetto XVI che bisogna evolvere il dogma del Sacrificio e della stessa Trinità, ma non è così, Benedetto XVI dopo la domanda, specifica che quel pensiero NON E’ SUOma di teologi modernisti, infatti afferma: “In qualche modo oggi, nei contorcimenti del pensiero moderno di cui abbiamo parlato sopra…“, e spiega come la compresero i Cristiani, e quindi la Chiesa, nei primi secoli.

Nel punto c) Benedetto XVI riprende un passaggio da Origine, offrendo ulteriore spunto alla comprensione del Sacrificio offerto dal Figlio al Padre. Punto. Non c’è alcuna evoluzione del dogma, ma tre riflessioni per comprendere meglio il Sacrificio del Padre nel Figlio e con lo Spirito Santo. Ed anzi, in chiusura di questi aspetti Ratzinger dice: “In alcune zone della Germania ci fu una devozione molto commovente che contemplava die Not Gottes (“l’indigenza di Dio”). Per conto mio ciò mi fa passare davanti agli occhi un’impressionante immagine che rappresenta il Padre sofferente, che come Padre condivide interiormente le sofferenze del Figlio…(…) il Padre sostiene la croce e il crocifisso, si china amorevolmente su di lui e d’altra parte per così dire è insieme sulla croce. Così in modo grandioso e puro si percepisce lì cosa significano la misericordia di Dio e la partecipazione di Dio alla sofferenza dell’uomo. Non si tratta di una giustizia crudele, non già del fanatismo del Padre, bensì della verità e della realtà della creazione: del vero intimo superamento del male che in ultima analisi può realizzarsi solo nella sofferenza dell’amore. ” Dove sta, qui, l’evoluzione del dogma?

Per capire poi la risposta di Benedetto XVI su sant’Anselmo, è fondamentale andarsi a rileggere la Catechesi che egli tenne il 23 settembre 2009, nella quale afferma:

” … questo grande Santo dell’epoca medievale, fondatore della teologia scolastica, al quale la tradizione cristiana ha dato il titolo di “Dottore Magnifico” perché coltivò un intenso desiderio di approfondire i Misteri divini, nella piena consapevolezza, però, che il cammino di ricerca di Dio non è mai concluso, almeno su questa terra. La chiarezza e il rigore logico del suo pensiero hanno avuto sempre come fine di “innalzare la mente alla contemplazione di Dio” (Ivi, Proemium). Egli afferma chiaramente che chi intende fare teologia non può contare solo sulla sua intelligenza, ma deve coltivare al tempo stesso una profonda esperienza di fede. L’attività del teologo, secondo sant’Anselmo, si sviluppa così in tre stadi: la fede, dono gratuito di Dio da accogliere con umiltà; l’esperienza, che consiste nell’incarnare la parola di Dio nella propria esistenza quotidiana; e quindi la vera conoscenza, che non è mai frutto di asettici ragionamenti, bensì di un’intuizione contemplativa. Restano, in proposito, quanto mai utili anche oggi, per una sana ricerca teologica e per chiunque voglia approfondire le verità della fede, le sue celebri parole: “Non tento, Signore, di penetrare la tua profondità, perché non posso neppure da lontano mettere a confronto con essa il mio intelletto; ma desidero intendere, almeno fino ad un certo punto, la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire”..” (Benedetto XVI)

Da questa Catechesi si capisce come vanno lette le parole di Benedetto XVI riportate malamente e perversamente, invece, da La Valle.

E veniamo allora alla parte in cui Benedetto XVI parla di “evoluzione del dogma” e in quale contesto lo ha espresso, e capiremo che non è come dice La Valle. Benedetto XVI parte da una domanda sugli Esercizi spirituali di Loyola e sulla differente applicazione-evoluzione tra il Santo Fondatore e il Santo delle Missioni, il gesuita Francesco Saverio. Va subito spiegato che questi Esercizi spirituali di Loyola hanno perduto da anni il loro fondamento originale, qui in questo studio sul gesuitismo vi abbiamo portato le prove. Inoltre bisogna fare attenzione alla domanda che chiede quanto segue: “Si può dire che su questo punto, negli ultimi decenni, c’è stato una sorta di «sviluppo del dogma» di cui il Catechismo deve assolutamente tenere conto?”

«sviluppo del dogma»…. è questo che intende dire Benedetto XVI quando usa, vuoi anche impropriamente, il termine “evoluzione”, infatti la risposta è: “Non c’è dubbio che in questo punto siamo di fronte a una profonda evoluzione del dogma…” NON è l’evoluzione che intende La Valle e tutto il rahnerismo appresso, ma è inteso per come la domanda si è espressa “SVILUPPO del dogma” che non ha affatto una negatività se è ben spiegato il senso. Sviluppare qualcosa non significa, come intende La Valle MODIFICARE, ma andare avanti, comprendere meglio, aumentarne il senso…. attribuendo, per altro, questo SVILUPPO a partire da Loyola, dal Concilio di Trento e da san Francesco Saverio!! Benedetto XVI, piuttosto, col suo metodo mite che NON condanna nessuno, fa emergere dove si annidano i problemi e spiega in questo passaggio, quanto La Valle omette:

“Nella seconda metà del secolo scorso si è completamente affermata la consapevolezza che Dio non può lasciare andare in perdizione tutti i non battezzati e che anche una felicità puramente naturale per essi non rappresenta una reale risposta alla questione dell’esistenza umana. Se è vero che i grandi missionari del XVI secolo erano ancora convinti che chi non è battezzato è per sempre perduto — e ciò spiega il loro impegno missionario — nella Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II tale convinzione è stata definitivamente abbandonata. Da ciò derivò una doppia profonda crisi. Per un verso ciò sembra togliere ogni motivazione a un futuro impegno missionario. Perché mai si dovrebbe cercare di convincere delle persone ad accettare la fede cristiana quando possono salvarsi anche senza di essa? Ma pure per i cristiani emerse una questione: diventò incerta e problematica l’obbligatorietà della fede e della sua forma di vita. Se c’è chi si può salvare anche in altre maniere non è più evidente, alla fin fine, perché il cristiano stesso sia legato alle esigenze dalla fede cristiana e alla sua morale. Ma se fede e salvezza non sono più interdipendenti, anche la fede diventa immotivata….”

Si evince chiaramente che qui Ratzinger pone come riflessione UNA CRITICA a quell’aver abbandonato la vera motivazione che spingeva i cristiani a diventare missionari, fino a dare la propria vita…. perché farsi cristiano, cattolico, se tanto mi salverei lo stesso? Altro che “evoluzione” come la pretende La Valle.

Perdonate ora un altra lunga citazione ma è fondamentale per capire la perversione di Raniero La Valle. Questa è la VERA RISPOSTA DI BENEDETTO XVI CHE DENUNCIA RAHNER – il maestro che La Valle difende – QUALE IDEATORE DI IDEE CONTROVERSE E PER NULLA CATTOLICHE, leggiamolo:

Negli ultimi tempi sono stati formulati diversi tentativi allo scopo di conciliare la necessità universale della fede cristiana con la possibilità di salvarsi senza di essa. Ne ricordo qui due: innanzitutto la ben nota tesi dei cristiani anonimi di Karl Rahner. In essa si sostiene che l’atto-base essenziale dell’esistenza cristiana, che risulta decisivo in ordine alla salvezza, nella struttura trascendentale della nostra coscienza consiste nell’apertura al tutt’altro, verso l’unità con Dio. La fede cristiana avrebbe fatto emergere alla coscienza ciò che è strutturale nell’uomo in quanto tale. Perciò quando l’uomo si accetta nel suo essere essenziale, egli adempie l’essenziale dell’essere cristiano pur senza conoscerlo in modo concettuale. Il cristiano coincide dunque con l’umano e in questo senso è cristiano ogni uomo che accetta se stesso anche se egli non lo sa. È vero che questa teoria è affascinante, ma riduce il cristianesimo stesso a una pura conscia presentazione di ciò che l’essere umano è in sé e quindi trascura il dramma del cambiamento e del rinnovamento che è centrale nel cristianesimo….”

Ecco la vera risposta di Benedetto XVI, altro che “l’evoluzione del dogma trinitario”, bugiardo e mistificatore!! E se non bastasse, Ratzinger aggiunge ancora:

Ancor meno accettabile è la soluzione proposta dalle teorie pluralistiche della religione, per le quali tutte le religioni, ognuna a suo modo, sarebbero vie di salvezza e in questo senso nei loro effetti devono essere considerate equivalenti. La critica della religione del tipo di quella esercitata dall’Antico Testamento, dal Nuovo Testamento e dalla Chiesa primitiva è essenzialmente più realistica, più concreta e più vera nella sua disamina delle varie religioni. Una ricezione così semplicistica non è proporzionata alla grandezza della questione… (…) Quello di cui la persona umana ha bisogno in ordine alla salvezza è l’intima apertura nei confronti di Dio, l’intima aspettativa e adesione a Lui, e ciò viceversa significa che noi assieme al Signore che abbiamo incontrato andiamo verso gli altri e cerchiamo di render loro visibile l’avvento di Dio in Cristo. È possibile spiegare questo “essere per” anche in modo un po’ più astratto. È importante per l’umanità che in essa ci sia verità, che questa sia creduta e praticata. Che si soffra per essa. Che si ami. Queste realtà penetrano con la loro luce all’interno del mondo in quanto tale e lo sostengono. Io penso che nella presente situazione diventi per noi sempre più chiaro e comprensibile quello che il Signore dice ad Abramo, che cioè dieci giusti sarebbero stati sufficienti a far sopravvivere una città, ma che essa distrugge se stessa se tale piccolo numero non viene raggiunto. È chiaro che dobbiamo ulteriormente riflettere sull’intera questione.

Lo ripetiamo: dove sta “l’evoluzione del dogma” descritto dal rahneriano La Valle?

Infine l’ultima domanda che sintetizziamo: Il sacramento della confessione è, e in quale senso, uno dei luoghi nei quali può avvenire una «riparazione» del male commesso?

Risponde saggiamente Benedetto XVI: “Ho già cercato di esporre nel loro complesso i punti fondamentali relativi a questo problema rispondendo alla terza domanda. Il contrappeso al dominio del male può consistere in primo luogo solo nell’amore divino-umano di Gesù Cristo che è sempre più grande di ogni possibile potenza del male. Ma è necessario che noi ci inseriamo in questa risposta che Dio ci dà mediante Gesù Cristo. Anche se il singolo è responsabile per un frammento di male, e quindi è complice del suo potere, insieme a Cristo egli può tuttavia «completare ciò che ancora manca alle sue sofferenze» (cfr. Colossesi 1, 24).

Il sacramento della penitenza ha di certo in questo campo un ruolo importante. Esso significa che noi ci lasciamo sempre plasmare e trasformare da Cristo e che passiamo continuamente dalla parte di chi distrugge a quella che salva…”

Lo ripetiamo: dove sta “l’evoluzione del dogma” descritto dal rahneriano La Valle, attribuito diabolicamente a Benedetto XVI? Ecco come si strumentalizza la Verità. Noi abbiamo cercato succintamente di darvi un aiuto alla comprensione dei fatti, a voi fare lo stesso discernimento e fuggire dalle perverse dottrine! E non è da sottovalutare l’ultimo recente intervento di Benedetto XVI attraverso un breve testo al libro del cardinale Sarah, Prefetto per il Culto divino, attraverso il quale egli nel difendere la sacralità liturgica della Messa contro arbitrari tentativi di sovvertirla, ribadisce così la dottrina SUL SACRIFICIO DI CRISTO, cliccare qui per il testo integrale.

ricordiamo che da questo link, potrete accedere a tutti gli scritti di Ratzinger-Benedetto XVI, che stiamo pian piano pubblicando, anche con molti inediti.

Laudetur Jesus Christus



La fede non è un’idea ma la vita - Intervista al Papa emerito Benedetto XVI







[Modificato da Caterina63 19/05/2017 15:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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La fede non è un’idea ma la vita - Intervista al Papa emerito Benedetto XVI

2016-03-16 L’Osservatore Romano

Pubblichiamo il testo integrale dell’intervista a Benedetto XVI contenuta nel libro Per mezzo della fede. Dottrina della giustificazione ed esperienza di Dio nella predicazione della Chiesa e negli Esercizi Spirituali a cura del gesuita Daniele Libanori (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2016, pagine 208, euro 20) in cui il Papa emerito parla della centralità della misericordia nella fede cristiana. Il volume raccoglie gli atti di un convegno che si è svolto nell’ottobre scorso a Roma. Come scrive Filippo Rizzi su «Avvenire» del 16 marzo, che ne pubblica uno stralcio, l’autore dell’intervista (il cui nome non è presente nel libro) è il gesuita  Jacques Servais, allievo di Hans Urs von Balthasar e studioso della sua opera.

 

 

Santità, la questione posta quest’anno nel quadro delle giornate di studio promosse dalla rettoria del Gesù è quella della giustificazione per la fede. L’ultimo volume della sua opera omnia (gs IV) mette in evidenza la sua affermazione risoluta: «La fede cristiana non è un’idea, ma una vita». Commentando la celebre affermazione paolina (Romani 3, 28), lei ha parlato, a questo proposito, di una duplice trascendenza: «La fede è un dono ai credenti comunicato attraverso la comunità, la quale da parte sua è frutto del dono di Dio» («Glaube ist Gabe durch die Gemeinschaft; die sich selbst gegeben wird», gs IV, 512). Potrebbe spiegare che cosa ha inteso con quell’affermazione, tenendo conto naturalmente del fatto che l’obiettivo di queste giornate è chiarire la teologia pastorale e vivificare l’esperienza spirituale dei fedeli?

Suor Francis, «Il padre misericordioso» (2010)

Si tratta della questione: cosa sia la fede e come si arriva a credere. Per un verso la fede è un contatto profondamente personale con Dio, che mi tocca nel mio tessuto più intimo e mi mette di fronte al Dio vivente in assoluta immediatezza in modo cioè che io possa parlargli, amarlo ed entrare in comunione con lui. Ma al tempo stesso questa realtà massimamente personale ha inseparabilmente a che fare con la comunità: fa parte dell’essenza della fede il fatto di introdurmi nel noi dei figli di Dio, nella comunità peregrinante dei fratelli e delle sorelle. L’incontro con Dio significa anche, al contempo, che io stesso vengo aperto, strappato dalla mia chiusa solitudine e accolto nella vivente comunità della Chiesa. Essa è anche mediatrice del mio incontro con Dio, che tuttavia arriva al mio cuore in modo del tutto personale.

La fede deriva dall’ascolto (fides ex auditu), ci insegna san Paolo. L’ascolto a sua volta implica sempre un partner. La fede non è un prodotto della riflessione e neppure un cercare di penetrare nelle profondità del mio essere. Entrambe le cose possono essere presenti, ma esse restano insufficienti senza l’ascolto mediante il quale Dio dal di fuori, a partire da una storia da Lui stesso creata, mi interpella. Perché io possa credere ho bisogno di testimoni che hanno incontrato Dio e me lo rendono accessibile.

Nel mio articolo sul battesimo ho parlato della doppia trascendenza della comunità, facendo così emergere una volta ancora un importante elemento: la comunità di fede non si crea da sola. Essa non è un’assemblea di uomini che hanno delle idee in comune e che decidono di operare per la diffusione di tali idee. Allora tutto sarebbe basato su una propria decisione e in ultima analisi sul principio di maggioranza, cioè alla fin fine sarebbe opinione umana. Una Chiesa così costruita non può essere per me garante della vita eterna né esigere da me decisioni che mi fanno soffrire e che sono in contrasto con i miei desideri. No, la Chiesa non si è fatta da sé, essa è stata creata da Dio e viene continuamente formata da Lui. Ciò trova la sua espressione nei sacramenti, innanzitutto in quello del battesimo: io entro nella Chiesa non già con un atto burocratico, ma mediante il sacramento. E ciò equivale a dire che io vengo accolto in una comunità che non si è originata da sé e che si proietta al di là di se stessa.

La pastorale che intende formare l’esperienza spirituale dei fedeli deve procedere da questi dati fondamentali. È necessario che essa abbandoni l’idea di una Chiesa che produce se stessa e far risaltare che la Chiesa diventa comunità nella comunione del corpo di Cristo. Essa deve introdurre all’incontro con Gesù Cristo e portare alla Sua presenza nel sacramento.

Quando lei era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, commentando la Dichiarazione congiunta della Chiesa cattolica e della Federazione luterana mondiale sulla dottrina della giustificazione del 31 ottobre 1999, ha messo in evidenza una differenza di mentalità in rapporto a Lutero e alla questione della salvezza e della beatitudine così come egli la poneva. L’esperienza religiosa di Lutero era dominata dal terrore davanti alla collera di Dio, sentimento piuttosto estraneo all’uomo moderno, marcato piuttosto dall’assenza di Dio (su veda il suo articolo in «Communio», 2000, 430). Per questi il problema non è tanto come assicurarsi la vita eterna, quanto piuttosto garantirsi, nelle precarie condizioni del nostro mondo, un certo equilibrio di vita pienamente umana. La dottrina di Paolo della giustificazione per la fede, in questo nuovo contesto, può raggiungere l’esperienza «religiosa» o almeno l’esperienza «elementare» dei nostri contemporanei?

Innanzitutto tengo a sottolineare ancora una volta quello che scrivevo su «Communio» (2000) in merito alla problematica della giustificazione. Per l’uomo di oggi, rispetto al tempo di Lutero e alla prospettiva classica della fede cristiana, le cose si sono in un certo senso capovolte, ovvero non è più l’uomo che crede di aver bisogno della giustificazione al cospetto di Dio, bensì egli è del parere che sia Dio che debba giustificarsi a motivo di tutte le cose orrende presenti nel mondo e di fronte alla miseria dell’essere umano, tutte cose che in ultima analisi dipenderebbero da lui. A questo proposito trovo indicativo il fatto che un teologo cattolico assuma in modo addirittura diretto e formale tale capovolgimento: Cristo non avrebbe patito per i peccati degli uomini, ma anzi avrebbe per così dire cancellato le colpe di Dio. Anche per ora la maggior parte dei cristiani non condivide un così drastico capovolgimento della nostra fede, si può dire che tutto ciò fa emergere una tendenza di fondo del nostro tempo. Quando Johann Baptist Metz sostiene che la teologia di oggi deve essere «sensibile alla teodicea» (theodizeeempfindlich), ciò mette in risalto lo stesso problema in modo positivo. Anche a prescindere da una tanto radicale contestazione della visione ecclesiale del rapporto tra Dio e l’uomo, l’uomo di oggi ha in modo del tutto generale la sensazione che Dio non possa lasciar andare in perdizione la maggior parte dell’umanità. In questo senso la preoccupazione per la salvezza tipica di un tempo è per lo più scomparsa.

Tuttavia, a mio parere, continua ad esistere, in altro modo, la percezione che noi abbiamo bisogno della grazia e del perdono. Per me è un «segno dei tempi» il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante — a partire da suor Faustina, le cui visioni in vario modo riflettono in profondità l’immagine di Dio propria dell’uomo di oggi e il suo desiderio della bontà divina. Papa Giovanni Paolo II era profondamente impregnato da tale impulso, anche se ciò non sempre emergeva in modo esplicito. Ma non è di certo un caso che il suo ultimo libro, che ha visto la luce proprio immediatamente prima della sua morte, parli della misericordia di Dio. A partire dalle esperienze nelle quali fin dai primi anni di vita egli ebbe a constatare tutta la crudeltà degli uomini, egli afferma che la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza. Papa Francesco si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio. È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto. A mio parere ciò mette in risalto che sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia. Non è di certo un caso che la parabola del buon samaritano sia particolarmente attraente per i contemporanei. E non solo perché in essa è fortemente sottolineata la componente sociale dell’esistenza cristiana, né solo perché in essa il samaritano, l’uomo non religioso, nei confronti dei rappresentanti della religione appare, per così dire, come colui che agisce in modo veramente conforme a Dio, mentre i rappresentanti ufficiali della religione si sono resi, per così dire, immuni nei confronti di Dio. È chiaro che ciò piace all’uomo moderno. Ma mi sembra altrettanto importante tuttavia che gli uomini nel loro intimo aspettino che il samaritano venga in loro aiuto, che egli si curvi su di essi, versi olio sulle loro ferite, si prenda cura di loro e li porti al riparo. In ultima analisi essi sanno di aver bisogno della misericordia di Dio e della sua delicatezza. Nella durezza del mondo tecnicizzato nel quale i sentimenti non contano più niente, aumenta però l’attesa di un amore salvifico che venga donato gratuitamente. Mi pare che nel tema della misericordia divina si esprima in un modo nuovo quello che significa la giustificazione per fede. A partire dalla misericordia di Dio, che tutti cercano, è possibile anche oggi interpretare daccapo il nucleo fondamentale della dottrina della giustificazione e farlo apparire ancora in tutta la sua rilevanza.

Quando Anselmo dice che il Cristo doveva morire in croce per riparare l’offesa infinita che era stata fatta a Dio e così restaurare l’ordine infranto, egli usa un linguaggio difficilmente accettabile dall’uomo moderno (cfr. gs iv 215.ss). Esprimendosi in questo modo, si rischia di proiettare [in] su Dio un’immagine di un Dio di collera, afferrato, dinanzi al peccato dell’uomo, da [uno stato affettivo] sentimenti di violenza e di aggressività paragonabile/i a quello che noi stessi possiamo sperimentare. Come è possibile parlare della giustizia di Dio senza rischiare di infrangere la certezza, ormai assodata presso i fedeli, che [il Dio] quello dei cristiani è un Dio «ricco di misericordia» (Efesini 2, 4)?

La concettualità di sant’Anselmo è diventata oggi per noi di certo incomprensibile. È nostro compito tentare di capire in modo nuovo la verità che si cela dietro tale modo di esprimersi. Per parte mia formulo tre punti di vista su questo punto:

a) La contrapposizione tra il Padre, che insiste in modo assoluto sulla giustizia, e il Figlio che ubbidisce al Padre e ubbidendo accetta la crudele esigenza della giustizia, non è solo incomprensibile oggi, ma, a partire dalla teologia trinitaria, è in sé del tutto errata. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola e quindi la loro volontà è ab intrinseco una sola. Quando il Figlio nel giardino degli ulivi lotta con la volontà del Padre non si tratta del fatto che egli debba accettare per sé una crudele disposizione di Dio, bensì del fatto di attirare l’umanità al di dentro della volontà di Dio. Dovremo tornare ancora, in seguito, sul rapporto delle due volontà del Padre e del Figlio.

b) Ma allora perché mai la croce e l’espiazione? In qualche modo oggi, nei contorcimenti del pensiero moderno di cui abbiamo parlato sopra, la risposta a tali domande è formulabile in modo nuovo. Mettiamoci di fronte all’incredibile sporca quantità di male, di violenza, di menzogna, di odio, di crudeltà e di superbia che infettano e rovinano il mondo intero. Questa massa di male non può essere semplicemente dichiarata inesistente, neanche da parte di Dio. Essa deve essere depurata, rielaborata e superata. L’antico Israele era convinto che il quotidiano sacrificio per i peccati e soprattutto la grande liturgia del giorno di espiazione (yom-kippur) fossero necessari come contrappeso alla massa di male presente nel mondo e che solo mediante tale riequilibrio il mondo poteva, per così dire, rimanere sopportabile. Una volta scomparsi i sacrifici nel tempio, ci si dovette chiedere cosa potesse essere contrapposto alle superiori potenze del male, come trovare in qualche modo un contrappeso. I cristiani sapevano che il tempio distrutto era stato sostituito dal corpo risuscitato del Signore crocifisso e che nel suo amore radicale e incommensurabile era stato creato un contrappeso all’incommensurabile presenza del male. Anzi essi sapevano che le offerte presentate finora potevano essere concepite solo come gesto di desiderio di un reale contrappeso. Essi sapevano anche che di fronte alla strapotenza del male solo un amore infinito poteva bastare, solo un’espiazione infinita. Essi sapevano che il Cristo crocifisso e risorto è un potere che può contrastare quello del male e che salva il mondo. E su queste basi poterono anche capire il senso delle proprie sofferenze come inserite nell’amore sofferente di Cristo e come parte della potenza redentrice di tale amore. Sopra citavo quel teologo per il quale Dio ha dovuto soffrire per le sue colpe nei confronti del mondo; ora, dato questo capovolgimento della prospettiva, emerge la seguente verità: Dio semplicemente non può lasciare com’è la massa del male che deriva dalla libertà che Lui stesso ha concesso. Solo lui, venendo a far parte della sofferenza del mondo, può redimere il mondo.

c) Su queste basi diventa più perspicuo il rapporto tra il Padre e il Figlio. Riproduco sull’argomento un passo tratto dal libro di de Lubac su Origene che mi pare molto chiaro: «Il Redentore è entrato nel mondo per compassione verso il genere umano. Ha preso su di sé le nostre passiones prima ancora di essere crocefisso, anzi addirittura prima di abbassarsi ad assumere la nostra carne: se non le avesse provate prima non sarebbe venuto a prender parte alla nostra vita umana. Ma quale fu questa sofferenza che egli sopportò in anticipo per noi? Fu la passione dell’amore. Ma il Padre stesso, il Dio dell’universo, lui che è sovrabbondante di longanimità, pazienza, misericordia e compassione, non soffre anch’egli in un certo senso? “Il Signore tuo Dio, infatti, ha preso su di sé i tuoi costumi come colui che prende su di sé suo figlio” (Deuteronomio 1, 31). Dio prende dunque su di sé i nostri costumi come il Figlio di Dio prende su di sé le nostre sofferenze. Il Padre stesso non è senza passioni! Se lo si invoca, allora Egli conosce misericordia e compassione. Egli percepisce una sofferenza d’amore (Omelie su Ezechiele 6, 6)».

In alcune zone della Germania ci fu una devozione molto commovente che contemplava die Not Gottes (“l’indigenza di Dio”). Per conto mio ciò mi fa passare davanti agli occhi un’impressionante immagine che rappresenta il Padre sofferente, che come Padre condivide interiormente le sofferenze del Figlio. E anche l’immagine del “trono di grazia” fa parte di questa devozione: il Padre sostiene la croce e il crocifisso, si china amorevolmente su di lui e d’altra parte per così dire è insieme sulla croce. Così in modo grandioso e puro si percepisce lì cosa significano la misericordia di Dio e la partecipazione di Dio alla sofferenza dell’uomo. Non si tratta di una giustizia crudele, non già del fanatismo del Padre, bensì della verità e della realtà della creazione: del vero intimo superamento del male che in ultima analisi può realizzarsi solo nella sofferenza dell’amore.

Negli «Esercizi Spirituali», Ignazio di Loyola non utilizza le immagini veterotestamentarie di vendetta, al contrario di Paolo (cfr. 2 Tessalonicesi 1, 5-9); ciò non di meno egli invita a contemplare come gli uomini, fino alla Incarnazione, «discendevano all’inferno» (Esercizi Spirituali n. 102; cfr. ds IV, 376) e a considerare l’esempio dagli «innumerevoli altri che vi sono finiti per molti meno peccati di quelli che ho commesso io» (Esercizi Spirituali n. 52). È in questo spirito che san Francesco Saverio ha vissuto la propria attività pastorale, convinto di dover tentare di salvare dal terribile destino della perdizione eterna quanti più «infedeli» possibile. L’insegnamento, formalizzato nel concilio di Trento, nella sentenza riguardo al giudizio sui buoni e sui cattivi, in seguito radicalizzato dai giansenisti, è stato ripreso ín modo molto più contenuto nel Catechismo della Chiesa cattolica (cfr. §5 633, 1037). Si può dire che su questo punto, negli ultimi decenni, c’è stato una sorta di «sviluppo del dogma» di cui il Catechismo deve assolutamente tenere conto?

Non c’è dubbio che in questo punto siamo di fronte a una profonda evoluzione del dogma. Mentre i padri e i teologi del medioevo potevano ancora essere del parere che nella sostanza tutto il genere umano era diventato cattolico e che il paganesimo esistesse ormai soltanto ai margini, la scoperta del nuovo mondo all’inizio dell’era moderna ha cambiato in maniera radicale le prospettive. Nella seconda metà del secolo scorso si è completamente affermata la consapevolezza che Dio non può lasciare andare in perdizione tutti i non battezzati e che anche una felicità puramente naturale per essi non rappresenta una reale risposta alla questione dell’esistenza umana. Se è vero che i grandi missionari del XVI secolo erano ancora convinti che chi non è battezzato è per sempre perduto — e ciò spiega il loro impegno missionario — nella Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II tale convinzione è stata definitivamente abbandonata. Da ciò derivò una doppia profonda crisi. Per un verso ciò sembra togliere ogni motivazione a un futuro impegno missionario. Perché mai si dovrebbe cercare di convincere delle persone ad accettare la fede cristiana quando possono salvarsi anche senza di essa? Ma pure per i cristiani emerse una questione: diventò incerta e problematica l’obbligatorietà della fede e della sua forma di vita. Se c’è chi si può salvare anche in altre maniere non è più evidente, alla fin fine, perché il cristiano stesso sia legato alle esigenze dalla fede cristiana e alla sua morale. Ma se fede e salvezza non sono più interdipendenti, anche la fede diventa immotivata.

Negli ultimi tempi sono stati formulati diversi tentativi allo scopo di conciliare la necessità universale della fede cristiana con la possibilità di salvarsi senza di essa. Ne ricordo qui due: innanzitutto la ben nota tesi dei cristiani anonimi di Karl Rahner. In essa si sostiene che l’atto-base essenziale dell’esistenza cristiana, che risulta decisivo in ordine alla salvezza, nella struttura trascendentale della nostra coscienza consiste nell’apertura al tutt’altro, verso l’unità con Dio. La fede cristiana avrebbe fatto emergere alla coscienza ciò che è strutturale nell’uomo in quanto tale. Perciò quando l’uomo si accetta nel suo essere essenziale, egli adempie l’essenziale dell’essere cristiano pur senza conoscerlo in modo concettuale. Il cristiano coincide dunque con l’umano e in questo senso è cristiano ogni uomo che accetta se stesso anche se egli non lo sa. È vero che questa teoria è affascinante, ma riduce il cristianesimo stesso a una pura conscia presentazione di ciò che l’essere umano è in sé e quindi trascura il dramma del cambiamento e del rinnovamento che è centrale nel cristianesimo.

Ancor meno accettabile è la soluzione proposta dalle teorie pluralistiche della religione, per le quali tutte le religioni, ognuna a suo modo, sarebbero vie di salvezza e in questo senso nei loro effetti devono essere considerate equivalenti. La critica della religione del tipo di quella esercitata dall’Antico Testamento, dal Nuovo Testamento e dalla Chiesa primitiva è essenzialmente più realistica, più concreta e più vera nella sua disamina delle varie religioni. Una ricezione così semplicistica non è proporzionata alla grandezza della questione.

Ricordiamo da ultimo soprattutto Henri de Lubac e con lui alcuni altri teologhi che hanno fatto forza sul concetto di sostituzione vicaria. Per essi la proesistenza di Cristo sarebbe espressione della figura fondamentale dell’esistenza cristiana e della Chiesa in quanto tale. È vero che così il problema non è del tutto risolto, ma a me pare che questa sia in realtà l’intuizione essenziale che così tocca l’esistenza del singolo cristiano. Cristo, in quanto unico, era ed è per tutti e i cristiani, che nella grandiosa immagine di Paolo costituiscono il suo corpo in questo mondo, partecipano di tale “essere per”. Cristiani, per così dire, non si è per se stessi, bensì, con Cristo, per gli altri. Ciò non significa una specie di biglietto speciale per entrare nella beatitudine eterna, bensì la vocazione a costruire l’insieme, il tutto. Quello di cui la persona umana ha bisogno in ordine alla salvezza è l’intima apertura nei confronti di Dio, l’intima aspettativa e adesione a Lui, e ciò viceversa significa che noi assieme al Signore che abbiamo incontrato andiamo verso gli altri e cerchiamo di render loro visibile l’avvento di Dio in Cristo.

È possibile spiegare questo “essere per” anche in modo un po’ più astratto. È importante per l’umanità che in essa ci sia verità, che questa sia creduta e praticata. Che si soffra per essa. Che si ami. Queste realtà penetrano con la loro luce all’interno del mondo in quanto tale e lo sostengono. Io penso che nella presente situazione diventi per noi sempre più chiaro e comprensibile quello che il Signore dice ad Abramo, che cioè dieci giusti sarebbero stati sufficienti a far sopravvivere una città, ma che essa distrugge se stessa se tale piccolo numero non viene raggiunto. È chiaro che dobbiamo ulteriormente riflettere sull’intera questione.

Agli occhi di molti “laici”, segnati dall’ateismo del XIX e XX secolo, Lei ha fatto notare, è piuttosto Dio — se esiste — che non l’uomo che dovrebbe rispondere delle ingiustizie, della sofferenza degli innocenti, del cinismo del potere al quale si assiste, impotenti, nel mondo e nella storia universale (cfr. «Spe salvi», n. 42)... Nel suo libro «Gesù di Nazaret», lei fa eco a ciò che per essi — e per noi — è uno scandalo: «La realtà dell’ingiustizia, del male, non può essere semplicemente ignorata, semplicemente messa da parte. Essa deve assolutamente essere superata e vinta. Solamente così c’è veramente misericordia» («Gesù di Nazaret», III 153, citando 2 Timoteo 2, 13). Il sacramento della confessione è, e in quale senso, uno dei luoghi nei quali può avvenire una «riparazione» del male commesso?

Ho già cercato di esporre nel loro complesso i punti fondamentali relativi a questo problema rispondendo alla terza domanda. Il contrappeso al dominio del male può consistere in primo luogo solo nell’amore divino-umano di Gesù Cristo che è sempre più grande di ogni possibile potenza del male. Ma è necessario che noi ci inseriamo in questa risposta che Dio ci dà mediante Gesù Cristo. Anche se il singolo è responsabile per un frammento di male, e quindi è complice del suo potere, insieme a Cristo egli può tuttavia «completare ciò che ancora manca alle sue sofferenze» (cfr. Colossesi 1, 24).

Il sacramento della penitenza ha di certo in questo campo un ruolo importante. Esso significa che noi ci lasciamo sempre plasmare e trasformare da Cristo e che passiamo continuamente dalla parte di chi distrugge a quella che salva.

di Jacques Servais






 

[Modificato da Caterina63 19/05/2017 15:42]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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ATTENZIONE: dopo l’inspiegabile – e vergognoso – annullamento della Conferenza che, il professor Stefano Fontana avrebbe dovuto tenere in una conferenza il 2 febbraio a Ferrara, la Nuova Bussola Quotidiana offre ai Lettori ampi stralci che vi invitiamo a leggere cliccando qui.

L'ANALISI

La neo-Chiesa di Rahner e la resa al mondo 
EDITORIALI 01-02-2018

Karl Rahner

Per l'importanza delle questioni trattate, pubblichiamo ampi stralci della relazione che il professor Stefano Fontana avrebbe dovuto tenere in una conferenza il 2 febbraio a Ferrara, poi annullata.

(...) La Chiesa ha bisogno della teologia, perché da essa dipende la sua coerenza nella visione e nella trasmissione della verità rivelateci da Gesù Cristo. Queste infatti hanno bisogno prima di tutto di essere comprese e possono essere fedelmente trasmesse solo se vengono comprese rettamente e questa retta comprensione viene poi difesa (apologia). Per tutto questo la Chiesa ha bisogno della teologia. (...)

La Chiesa coltiva e tramanda un sapere – non una gnosi ma un sapere - e per questo ha bisogno della luce della teologia. La teologia, però, si avvale dello strumento della filosofia come ricordato anche dalla Fides et Ratio. Non è possibile fare teologia senza utilizzare la concettualità filosofica, e quando si pretendesse di prescindere da ciò si finirebbe ugualmente per utilizzare, anche all’insaputa, qualche filosofia. Da qui deriva la questione grave cui facevo riferimento: se vengono utilizzate filosofie incompatibili con la fede cristiana è possibile che la consapevolezza che la Chiesa ha di sé e delle verità rivelate e da trasmettere nella loro corretta comprensione cambino. E’ possibile una visione diversa delle verità del depositum fidei.

Ammettiamo che nei seminari si inizi ad insegnare filosofie sbagliate, o incomplete sul piano razionale e dannose per la fede sul piano teologico: ne deriverà che i seminaristi, che poi diventeranno sacerdoti e qualcuno di loro diventerà anche vescovo, vengano non formati ma deformati. Ammettiamo che questo fenomeno si allarghi a macchia d’olio e che salga ai vertici ecclesiastici… allora potremmo ritrovarci a credere in una Chiesa diversa, senza essercene nemmeno accorti, in modo graduale, per convinzione e non per costrizione, dall’interno della Chiesa e non dall’esterno. Potremmo non solo dimenticare ma anche dimenticare di esserci dimenticati. Potremmo essere condotti a credere in una religione nuova pensando di credere ancora in quella dei nostri genitori e degli apostoli. In questo caso nella Chiesa si potrebbe verificare una apostasia diffusa, silenziosa, convinta ma in modo inconsapevole, non avvertita.

Ciò che si proponeva il modernismo era in fondo proprio questo. Esso fu un fenomeno squisitamente filosofico, prima che teologico, che si proponeva di cambiare la Chiesa attraverso la Chiesa stessa, in modo consenziente e apparentemente innocuo, per una specie di evoluzione del pensiero teologico stesso. La rivelazione avverrebbe nell’autocoscienza credente dei fedeli e, cambiando la filosofia, questa autocoscienza credente si evolverà verso esiti nuovi. I credenti potranno credere senza più credere. 

Facciamo il caso di alcuni tra i problemi più scottanti oggi nella Chiesa. Se si adopera la filosofia proposta dalla Fides et Ratio e, nella sostanza, da sempre utilizzata dalla Chiesa, vale a dire una filosofia capace di sguardo metafisico, il peccato è la morte dell’anima e non si può accedere alla Comunione in questo stato; l’adulterio è un atto intrinsecamente ingiusto e non ci sono situazioni che lo rendano accettabile agli occhi di Dio; la contraccezione è una forma di violenza che contraddice la finalità unitiva del matrimonio; l’omosessualità è contraria alla legge del Creatore e quindi non può essere riconosciuta dall’autorità politica né benedetta dalla Chiesa … e così via.

Ma se si parte invece da una filosofia esistenzialista, allora il quadro cambia completamente: il peccato non è la morte dell’anima perché quello di anima è un concetto metafisico obsoleto; il peccato è un concetto ambiguo perché nell’esistenza concreta, date le molteplici interferenze subite, non si può mai sapere quando si è in stato di peccato; l’adulterio va giudicato nelle situazioni circostanziali e non in assoluto perché non esistono “i divorziati risposati” ma questo, quello, quell’altro divorziato risposato (come disse il cardinale Kasper ai Sinodali); la legge naturale fa seguito al concetto di “natura” che però è campato in aria dato che, esistenzialmente parlando, l’uomo è solo e tutto esistenza; un percorso di discernimento per i divorziati risposati diventa allora possibile anche con l’accesso all’Eucarestia pur rimanendo nella situazione di convivenza more uxorio, perché nell’esistenza tutto è reversibile ed è impossibile formulare giudizi su situazioni oggettive di peccato, dato che queste non esistono ma esistono solo storie personali da accompagnare una ad una senza giudicare. Come si vede, una diversa filosofia fa vedere le cose della morale e della fede in modo molto diverso. Cambiando la filosofia di approccio, cambiano anche la dogmatica e la morale.

Sono abbastanza sicuro che questo processo non solo è in corso ma anche che è molto avanzato. Mi tranquillizza il fatto che la Chiesa possiede risorse inimmaginabili da noi, però non riesco a non preoccuparmi per le conseguenze che questo processo comporta. Se mi guardo intorno devo riscontrare molti segnali di questo cambiamento. La pastorale è diventata dottrina più della dottrina: vengono sanzionati coloro che non si allineano alla pastorale e non coloro che non si allineano alla dottrina, che invece vengono premiati. Il magistero invece di confermare nella fede tende a seminare dubbi, con l’idea che un cattolicesimo non inquieto sia meritevole di sospetto. Su molti elementi tradizionali della dottrina sia dogmatica che morale si tergiversa, li si dimentica oppure li si contraddice: chi può parlare di principi non negoziabili oggi, dopo soli alcuni anni dalle “dimissioni” del Pontefice che ha coniato l’espressione? La Chiesa si apre al mondo, però anche con i pranzi in navata, con l’indifferenza rispetto alle collaborazioni con gruppi e singole personalità anticristiane (bisogna collaborare con tutti, si dice), con l’accettazione da parte di tanti dell’agenda radicale (chi avrebbe mai pensato che fosse ritenuto possibile essere cattolici e radicali nello stesso tempo?), mentre si assolutizzano temi discrezionali (come lo ius soli) e si relativizzano temi assoluti o quanto meno non li si presenta più come tali. Il come è diventato più importante del cosa: impegni pubblici dei fedeli per una buona causa vengono liquidati perché il modo non sarebbe dialogante ma “muscolare”. Influire sulle leggi tramite una presenza pubblica di fede sarebbe da considerarsi ideologico ed infatti nel nostro Paese sono state di recente approvate leggi profondamente ingiuste anche con il voto di parlamentari cattolici nel totale silenzio dei vertici ecclesiastici.

Bastino questi pochi cenni a mostrare che il processo di cui parlavamo sopra è in uno stadio piuttosto avanzato di sviluppo. Sono i segni della “Nuova Chiesa di Karl Rahner”. L’ingresso nella teologia cattolica di concetti filosofici con essa incompatibili ha molti profeti e padri, ma il principale è senz’altro il teologo tedesco Karl Rahner, morto nel 1984, che ha rinnovato totalmente la comprensione della fede cattolica e che ha influito enormemente sulla teologia contemporanea e sulla prassi ecclesiale in modo diretto e in modo indiretto tramite i suoi allievi  e sostenitori – molti dei quali oggi vescovi e cardinali – e tramite le varie scuole filosofiche che si sono diramate dal suo pensiero. Per citare un fatto recente: il prof. don Maurizio Chiodi che qualche settimana fa ha sostenuto che la contraccezione in alcuni casi è persino doverosa, contrastando così la Humanae vitae di Paolo VI, di cui peraltro si sta programmando una revisione, ha fatto proprio riferimento alla “svolta antropologica” di Rahner. Già nel 1972 Rahner aveva avanzato molte delle pretese dell’attuale progressismo cattolico: parroci eletti dal basso, sacerdozio femminile, possibilità per un cattolico di votare a favore dell’aborto, preti sposati, non obbligatorietà del precetto festivo espresso in un Comandamento.

Cosa sta all’origine della svolta rahneriana? Sta l’accettazione della filosofia di Kant, di Hegel e di Heidegger soprattutto. Il punto fondamentale può essere espresso così: la rivelazione di Dio avviene in modo completamente storico e l’uomo la apprende da dentro la sua situazione storica ed esistenziale. Certamente anche la Chiesa ha sempre parlato di una storia della salvezza, Dio si rivela mediante eventi storici, compreso l’evento Gesù Cristo, ma in questo modo Dio rivela verità a-storiche, eterne, assolute, che non sono soggette al cambiamento storico dato che della sua parola nemmeno uno Iota passerà. L’uomo che ascolta il messaggio di Dio e che segue Gesù Cristo ha accesso all’immutabilità delle verità e delle realtà cui Dio ha voluto renderlo partecipe. Nella storia l’uomo ha accesso alla trascendenza, sia sul piano della conoscenza sia sul piano della vita di grazia. L’uomo è storico, ma non completamente, egli è “capace di Dio” e Dio lo conferma in questa sua capacità sollevandolo su un piano metafisico.

Nella nuova prospettiva rahneriana non è più così. L’uomo è solo storia e Dio non si rivela con dei contenuti di verità metastorici, con una dottrina che rimanga immutata, rivelando dei dogmi che la Chiesa fissa in modo eternamente valido. Dio si rivela nell’apriori esistenziale in cui l’uomo si trova inserito. L’uomo è totalmente storico perché egli è dentro i problemi che si pone, ne fa parte, non vede dall’alto le cose ma dall’interno e quindi non ha uno sguardo disinteressato e oggettivo, ha sempre qualcosa alle spalle che orienta e relativizza la sua esistenza. Dio si rivela lì, nelle esperienze, nei fatti, negli incontri, nei processi, nei successi, nei problemi, nelle difficoltà che l’uomo incontra vivendo semplicemente da uomo accanto ad altri uomini.

La prima cosa da osservare è che Dio si rivela non nella Chiesa ma nel mondo.Anche nella Chiesa ma nel senso che anche essa è nel mondo. La storia della salvezza non comincia con Abramo, ossia con la storia sacra, ma è cominciata da subito nella storia dell’umanità ossia come storia profana. Non c’è differenza tra storia sacra e storia profana. La Chiesa non ha privilegi o primogeniture. Su molte questioni che interessano a Dio il mondo è più avanti della Chiesa e la Chiesa deve imparare dal mondo.

Il rapporto tra la Chiesa e il mondo cambia: la Chiesa non ha come compito di salvare il mondo e di infondergli qualcosa che essa sola ha, perché Dio si rivela ed è presente anche fuori della Chiesa, nell’esistenza in quanto tale, è presente prima che l’uomo faccia la scelta di credere o non credere. Dio è presente prima della scelta religiosa o della scelta atea, è presente prima della scelta per l’una o per l’altra religione. Non è la scelta religiosa che apre a Dio e non sono le scelte atee che chiudono a Dio. Il credente cammina insieme al non credente e ai credenti delle altre religioni perché Dio si rivela non enunciando dei contenuti nozionali, un Credo, Dio si rivela atematicamente a tutti gli uomini.  

Nasce qui la nozione di “cristiani anonimi”. Dio si rivela non nelle risposte ma nelle domande. L’esistenza è questionabile e in questo questionare si rivela Dio in quanto nel questionare l’uomo fa esperienza di Dio, di qualcosa che non può essere chiuso in un concetto, in una definizione dogmatica, in una formula. La questionabilità è di tutti e quindi tutti sono cristiani anonimi, senza sapere di esserlo e senza chiamarsi così. La Chiesa deve essere aperta a tutti: ai credenti, agli atei, ai credenti nelle altre religioni, ai credenti in altre culture o in altri stili di vita, senza più barriere all’ingresso. Deve essere aperta a tutti non solo in senso pastorale ma in senso dottrinale. Il concetto di eresia sparisce e della Chiesa fanno parte tutti, anche quelli che negano Dio. La comunità cristiana è una comunità di uomini e niente di più.

Le cattedre dei non credenti, il sincretismo del dialogo interreligioso, l’idea che non ci debba più essere il regolare e il non regolare nella Chiesa, la prassi ormai abituale di mettere in questione tutto tranne la questionabilità, l’idea che la Chiesa docente debba imparare dalla Chiesa discente e che la Chiesa debba porsi solo in ascolto del mondo, la celebrazione della Pentecoste come “festa dei popoli” e non come festa del “Popolo nuovo” nutrito dallo Spirito Santo, la secolarizzazione delle liturgia …  trovano in queste idee di Rahner la loro origine.

La rivelazione non è finita, ma è una continua evoluzione storica. I dogmi non sono verità universalmente e assolutamente vere fuori della situazione esistenziale in cui vengono compresi. E la comprensione del dogma fa parte del dogma stesso, perché l’uomo non conosce mai in modo assoluto, ma sempre conoscendo insieme all’oggetto anche se stesso come soggetto. Ecco perché oggi molti pensano che si debba interpretare il magistero precedente alla luce di quello più recente, che il Vaticano II imponga di rileggere tutta la tradizione cattolica alla luce della modernità, che l’ultimo pontificato sia la chiave di lettura di quelli precedenti. Nasce così una specie di “positivismo cattolico”: ogni evento ecclesiale o magisteriale, in quanto è l’ultimo, ha anche in sé la propria giustificazione ed è esso a gettare luce sulla tradizione e non viceversa. E’ evidente che in questo modo del dogma si dà una interpretazione storicistica ed evoluzionistica e che il concetto di tradizione viene completamente svuotato. Tutti siamo in cammino verso una religione sempre nuova, la categoria dei segni dei tempi diventa ambigua e fuorviante, le differenze tra le religioni sbiadiscono ed anche i confini tra fede ed ateismo.

Tra tutti gli ambiti che abbiamo esaminato, quello che forse risulta oggi più di spinta verso la “nuova Chiesa di Karl Rahner” è la priorità assunta dalla pastorale rispetto alla dottrina. E’ la conclusione di un lungo processo di pensiero che è cominciato molto tempo prima con la priorità dell’esistenza sull’essenza, e della volontà sull’intelletto. Un tempo si pensava che si agisse in base a ciò che si è (agere sequitur esse) e che si opera in base a ciò che si pensa. In seguito, invece, si è pensato che si è in base a cosa si fa e che si pensa in base a come si opera. E’ capitato così che la pastorale non è più intesa come applicazione della dottrina, ma diventa essa stessa fonte di dottrina. La prassi della Chiesa diventa prioritaria rispetto alla sua dottrina. I vescovi si intendono come pastori nel senso di curarsi delle pecore ma non più nel senso di proteggerle dai lupi. Spesso gli autori di scelte pastorali strane ed eccentriche sono presentati come profeti di una nuova dottrina. Se un sacerdote di strada dice eresie ma aiuta i tossicodipendenti è considerata da apprezzare. Del sacerdote che sta ore in confessionale e non ha fondato nessuna opera di assistenza sociale in convenzione col comune è considerato inattuale. 

(...) L’esistenza non presenta elementi strutturali sempre uguali, ma una polvere di situazioni tutte diverse con cui bisogna entrare in rapporto individuale. Da qui l’emergenza del discernimento pastorale privo di categorie, cieco in un certo senso, perché proprio dalla prassi del discernimento emergerà qualche verità condivisa. Nella priorità della pastorale sulla dottrina si evidenzia come la Chiesa di Rahner sia veramente “nuova”, una neo-Chiesa che ha poco o nulla a che fare con la Chiesa. Si comprende così anche la divisione ormai endemica dentro la Chiesa, la incomprensione reciproca, a partire dal linguaggio adoperato. Su molte cose ormai non ci si capisce più.


 

[Modificato da Caterina63 01/02/2018 08:03]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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