A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Cardinale John Henry Newman; da anglicano a fervente ed innamorato Cattolico Beatificato da Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 17/08/2015 12:35
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.989
Sesso: Femminile
29/03/2009 16:50
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Il nesso tra fede e ragione in John Henry Newman
«Diecimila difficoltà non fanno un solo dubbio»

    Pubblichiamo ampi stralci di una delle relazioni tenute al convegno "John Henry Newman oggi, logos e dialogo" in corso a Milano all'Università Cattolica del Sacro Cuore.

    di Fortunato Morrone

    Il tema che mi è stato affidato è di bruciante attualità; pensiamo solo brevemente agli interrogativi posti dalle biotecnologie all'intelligenza della fede o alle sollecitazioni critiche rivolte al credente dalle scienze cosiddette esatte o dalle scienze sociali. Nel corso di quest'anno in cui si celebra il bicentenario di Darwin l'intelligenza dei credenti, e le esigenze che ne derivano per il discorso teologico, è ancora una volta provocata positivamente a dire la fede nel Creatore dialogando con chi non professa la nostra speranza.

Pur mutando i tempi e le stagioni, il rapporto tra fede e ragione non è mai stato pacifico o scontato per quella pretesa tutta cristiana che confessa in Gesù il Logos del Padre fatto uomo. Per questa ragione propria della fede che ama la terra, fin dal tempo dei Padri, ha ricordato Benedetto XVI nel Convegno della Chiesa italiana a Verona, c'è stato un umanesimo cristiano capace di ammirare e promuovere ciò che di vero, di bello e di giusto è presente in ogni cultura e di cogliere attraverso l'alfabeto delle scienze la corrispondenza fra ragione e Logos, una corrispondenza ancora più radicale nell'annuncio cristiano del Logos incarnato culmine della rivelazione del Dio della vita, un Dio per gli uomini.

    La fede non può tradursi in storia senza fare appello, anzi allearsi alla ragione. D'altra parte il filosofo tedesco Jürgen Habermas, epigono della Scuola di Francoforte, negli ultimi anni è tornato più volte a richiamare l'attenzione sulla necessità di un dialogo etico tra credenti e laici, svolto tra l'altro con l'allora cardinale Joseph Ratzinger.

    I problemi e i drammi del nostro villaggio globale d'altra parte incrociano direttamente gli interrogativi centrali circa la condizione della fede oggi, in un contesto culturale a dir poco complesso segnato da un diffuso relativismo espresso dal cosiddetto "pensiero debole" post-moderno che predica l'irrilevanza della ricerca di risposte definitive contestando fortemente la possibilità dell'uomo di accedere alla realtà, alla verità, se mai ne esista una. Se fino a qualche decennio fa almeno in Italia qualcuno affermava che culturalmente non possiamo non dirci cristiani (Croce), oggi "gran parte dell'umanità ha imparato a vivere senza Dio".

Il cristianesimo, con la sua proposta forte di umanesimo, è ormai divenuto estraneo agli uomini e alle donne del nostro tempo. Da qui nella complessa e variegata cultura odierna il cui orizzonte comune rimane il nichilismo, la negazione di ogni verità oggettiva è diventato il pilastro dogmatico del nuovo pensiero che come ha ammonito Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio si risolve inesorabilmente in "negazione dell'umanità dell'uomo e della sua stessa identità". Il rifiuto sistematico del possibile accesso alla verità ha, infatti, ricadute antropologiche negative. Il rapporto fede e ragione non è perciò un problema accademico, quanto piuttosto e anzitutto una questione pratica della speranza annunciata dai credenti in questo mondo e per questo mondo. Ebbene ciò che oggi sembra essere posto in discussione è il legame profondo che unisce la persona con la realtà, un legame che fa parte dell'intimità della persona in quanto tale e che investe la sua coscienza. Posta di fronte alla realtà la persona interagisce con la sua razionalità facendola entrare nel suo orizzonte cosciente e in questo incontro con la realtà, la ragione stabilisce nessi di significato in relazione a tutti quei fattori che la riguardano.

Il soggetto è così posto di fronte all'oggettività del reale interferendo mediante quella ragionevolezza che accoglie e si sottomette all'esperienza. Riconoscere che l'essere non dipende dal soggetto, che è parte integrante dell'essere persona, permette al singolo di essere leale con la realtà che si offre all'intelligenza evitando la trappola del soggettivismo.

                             

    Di fronte all'odierna deriva del nichilismo o dello scientismo, ecco come Newman replicherebbe a una tale visione riduttiva del reale e del soggetto.

Siamo nella Grammatica:  "Ci troviamo immersi in un mondo di fatti che noi usiamo continuamente perché non c'è nient'altro da usare (...) Io sono quello che sono oppure non sono niente... non posso evitare di bastare a me stesso perché non posso fare di me qualcos'altro, e cambiarmi significa distruggermi. Se non uso l'io che sono, non ho altro da usare".

    La ragione va colta nella concretezza dell'esperienza umana dei singoli, fatta di relazioni, di immaginazione, di sentimenti, di puntuali e limitate contingenze storiche. Questa preziosa facoltà umana possiede una sua dinamica che tende inevitabilmente alla verità. Ora questa tensione è incomprensibile al di fuori dell'atto creativo di Dio il quale costituendo l'uomo come spirito incarnato, lo rende capace di Sé. Perciò la complessità dell'uomo non può essere ridotta alla capacità di raccogliere dati sensibili e di catalogarli secondo lo schema razionalistico.

A Locke Newman rimprovera che "gli stessi modi di ragionare e convincimenti che per me sono naturali e legittimi per lui sono irrazionali, emotivi, spuri ed immorali; e ciò, credo, perché egli si richiama ad un suo ideale di come la mente dovrebbe agire, anziché indagare la natura reale della mente umana". È una filosofia della scienza che, pur riconoscendo una sua dignità alla religione, la relega nell'angolo del sentimento privato che non fa "fede" in termini di conoscenza certa.

A ben vedere, rileva Newman, l'ambito della ragione empirica è, tutto sommato, ristretto rispetto all'intera realtà che non è riducibile né mossa da questa "ragione", ma da altre ragioni non meno reali. In fondo la stessa tradizione empirica ammette dei limiti alla ragione:  è il buon senso dello "spirito filosofico" che con umiltà cerca di interpretare i fatti secondo la lezione iniziata da Bacone. Nel rispetto di tali limiti si può giungere a risultati validi nel campo della conoscenza.

    Ma separare la razionalità dalla totalità del soggetto, posto di fronte alla realtà con cui inferisce, con la capacità di giudicare e di concludere, fa intendere Newman, è contro la struttura stessa della mente umana. Si tratta invece di avere una visione della razionalità ben più ampia rispetto a questa tradizione filosofica.

Certo Newman non si trova a dialogare con un pensiero debole, ma il problema di fondo per un credente rimane il medesimo:  come rendere ragione della speranza ad ogni generazione che ne chiede conto. E soprattutto come mostrare che l'atto del credere in quanto è compiuto dal medesimo soggetto che nel suo relazionarsi con la realtà impiega una razionalità implicita, è il medesimo che utilizza un procedimento razionale esplicito simile al procedere argomentativo della scienza. Entrambi i movimenti razionali sono frutto della mente umana che non può essere assente nell'assenso che la fede richiede.

    Quando nel processo mentale che conduce alla certezza personale viene posta una dicotomia tra ragione e fede, il semplice credente - sul terreno delle ragioni da esibire - è banalmente ritenuto un minus habens, un credulone, un tranquillo uomo religioso la cui fede è una semplice opinione ridotta a credenza. D'altra parte chi intendesse difendere la ragionevolezza della fede alla stregua dell'argomentazione scientifica con prove chiare e distinte, ridurrebbe i misteri della fede ad un'articolata esposizione di dati sillogisticamente controllabili, mentre il sottrarsi alla provocazione se pur arrogante della ragione relegherebbe i credenti in un intimismo religioso stucchevole e astorico.

La difesa della fede non può prescindere dall'essere atto intellettuale dell'uomo che nella sua interezza si apre al mondo. Confortato dalla Scrittura Newman nel decimo sermone universitario ribadisce che "è chiaramente impossibile che la fede sia indipendente dalla ragione, che sia un nuovo modo di raggiungere la verità:  il Vangelo non altera la costituzione della nostra natura, non fa che integrarla e perfezionarla; ogni conoscenza comincia con la vista e si completa con l'esercizio della ragione... (tuttavia) la ragione non è necessariamente l'origine della fede quale essa esiste nel credente, per quanto la controlli e la verifichi".

    In sostanza Newman si è trovato da una parte con una visione di una fede concepita come il classico "salto nel buio", con il conseguente abbandono di ogni pretesa di razionalità umana e fondata unicamente sul sentimento del cuore, tipico della confessione evangelical e, dall'altra, si è dovuto misurare con l'altezzosità di una certa razionalità scientista e positivista che, presente anche in una parte della teologia liberale del tempo, proponeva una lettura esclusivamente razionale della Rivelazione isolando la fede in un immanentismo chiuso al Trascendente, secondo la moda dell'esaltazione della ragione e della libertà di pensiero.

In questo clima, così succintamente delineato, Newman, appellandosi alla ragionevolezza dell'atto di fede del credente, rivendicherà al cristianesimo "piena dignità culturale e filosofica", come ha ben argomentato Michele Marchetto nella sua ponderosa monografia introduttiva agli scritti filosofici di Newman.

    "Diecimila difficoltà non fanno un solo dubbio, come concepisco io la questione:  difficoltà e dubbio non possono assolutamente essere poste a confronto"; in questo famoso passaggio dell'Apologia Newman parla di sé, della sua esperienza credente, non razionalizzabile secondo le misure della ragione illuministica, ma ragionevole e sensata secondo la misura del cuore, lì dove la ragione è intimamente legata alla libertà e la persona è coinvolta totalmente, è interpellata ad offrire una risposta concreta, esistenziale con tutto il suo carico di rischio. Quest'ordine di idee fa da substrato, di conseguenza, al confronto che Newman ha sostenuto con le scienze naturali in piena fioritura nell'epoca vittoriana.

    Negli anni dell'insegnamento ad Oxford il futuro cardinale annotava:  "Il cristianesimo è stato descritto come un sistema che sbarra la via al progresso, in campo politico come in campo educativo o scientifico ... Il sentire sospetto e mostrare timidezza (da parte dei cristiani), nell'assistere all'ampliamento del sapere scientifico, equivale a riconoscere che tra esso e la rivelazione possa sussistere qualche contraddizione".

Se la scienza è ricerca di verità, un possibile conflitto con la fede è frutto o di equivoci, o è una conseguenza della perdita dell'orizzonte veritativo dell'annuncio cristiano:  solo l'arroganza della ragione o la miopia di una fede chiusa al dialogo possono creare quel terreno di ostilità o di contrapposizione che non poche volte ha caratterizzato, almeno dopo l'illuminismo, i rapporti tra il cristianesimo e le scienze.

In questa via Newman forte della sua esperienza oxoniana, si impegnerà al progetto dell'Università di Dublino immaginata quale luogo del dialogo e del confronto tra le scienze e la teologia, scienza della fede, senza minimizzare il dato della conflittualità tra la scienza e le fede. Perciò Newman riteneva indispensabile un'università attrezzata teologicamente e culturalmente per non cadere da una parte nelle trappole del bieco dogmatismo religioso e dall'altra nei riduzionismi dello scientismo razionalistico, tipico dello spirito del tempo.



(©L'Osservatore Romano - 27 marzo 2009)

John Henry Newman e la ricerca della verità

«Finalmente libero dopo un viaggio faticoso e triste»



Riportiamo ampi stralci dell'omelia del cardinale arcivescovo di Milano tenuta durante la messa di chiusura del convegno "John Henry Newman oggi:  logos e dialogo", celebrata nella cappella dell'Università Cattolica del Sacro Cuore venerdì 27 marzo.
 

di Dionigi Tettamanzi

Si presenta davvero interessante e originale la vicenda biografica di Newman:  è come un itinerario pasquale, un cammino difficile e insieme affascinante che lo conduce a raggiungere la luce della verità, la verità tutta intera.

Newman sapeva entrare con passione nella storia della Chiesa, nella vita dei santi, nella loro vita interiore. Così lo sentiamo molto vicino a questo nostro tempo e - vorrei aggiungere - veramente in sintonia con la Chiesa milanese. Come sappiamo, mentre era in viaggio verso Roma, Newman soggiornò poco più di un mese a Milano nel 1846. Il 9 ottobre di quell'anno, ricorrendo il primo anniversario della sua conversione, scriverà:  "Oggi è un anno dacché sono nella Chiesa cattolica e ogni giorno benedico Lui che mi conduce dentro sempre più. Sono passato dalle nubi e dalle tenebre alla luce, e non posso guardare alla mia precedente condizione senza provare l'amara sensazione che si ha quando si guarda indietro a un viaggio faticoso e triste". E qui, "nella città di sant'Ambrogio - rileva - uno comprende la Chiesa di Dio più che non nella maggior parte degli altri luoghi ed è indotto a pensare a tutti quelli che sono sue membra".

E aggiunge:  "Inoltre non si tratta di una pura immaginazione, come potrebbe essere trovandosi in una città di ruderi o in un luogo desolato...". E ancora:  "È meraviglioso andare nella chiesa di Sant'Ambrogio - dove si trova il suo corpo - e inginocchiarsi presso le sue reliquie, che sono state così portentose, e di cui io ho sentito e letto più che di ogni altro santo fin da quando ero ragazzo. Sant'Agostino qui si è convertito! Qui venne anche santa Monica a cercarlo. Sempre qui, nel suo esilio, venne il grande Atanasio per incontrare l'imperatore. Quanta tristezza quando dovrò partire!...". Infine un'ultima testimonianza che troviamo nell'Apologia pro vita sua e che ci dice il tipo di conoscenza necessario per giungere alla verità e per vivere l'esperienza cristiana come esperienza di Chiesa:  "Sentivo tutta la forza della massima di sant'Ambrogio, il quale scriveva nel De fide:  "Non piacque a Dio di operare la salvezza del suo popolo mediante la dialettica"". E ancora:  "Per me non era la logica a farmi andare avanti, ... si ragiona con tutto l'essere, nella sua concretezza" (Apologia pro vita sua, pp. 196-197).
 
Quella di Newman fu sempre una appassionata, rigorosa e completa ricerca della verità, che alla fine lo avrebbe condotto a riconoscere la persona e la missione di Cristo, così come è custodita dalla Chiesa cattolica.

La verità è un'esperienza molto complessa nella quale convergono gli elementi oggettivi e l'apporto intero e diretto di tutta la persona che cerca, spera ed è disposta a trovare. La verità si raggiunge attraverso la cosiddetta "grammatica dell'assenso", che è chiara nel suo procedere - non confusa, non incerta, non equivoca o ambivalente - e che insieme esige anche un chiaro e impegnativo coinvolgimento di chi indaga, un ossequio della sua mente e del suo cuore, un'esperienza di meraviglia, di riconoscenza, di obbedienza. La verità quindi si dà soltanto in un incontro storico e reale. In concreto la verità è un rapporto profondo che si stabilisce con la persona di Gesù.

Aderire alla rivelazione divina dunque non è questione semplicemente intellettuale, razionale, ma è questione densamente antropologica, che coinvolge la totalità della persona nel suo rapporto con la persona di Cristo, più precisamente con Cristo che soffre, muore e risorge per noi; che ci promette il suo Spirito - anima vera della storia, alimento di ogni nostro pensare e sentire - lo Spirito che raduna e dispone nella Chiesa ogni approdo di ricerca e di fedeltà.

Un altro passo. Nella ricerca sincera della verità, Newman ci insegna la gioia del dialogo, che dice la valorizzazione, l'apprezzamento dell'onestà intellettuale del proprio interlocutore e insieme il rispetto reciproco di fronte a qualcosa che ci precede e che è più grande di noi. La verità infatti non dipende innanzitutto dal soggetto che indaga, ma piuttosto si mostra nella forma di una rivelazione gratuita:  proprio questo rende fruttuoso l'incontro tra coloro che dialogano davvero.

E con il dialogo, ecco che Newman con la sua esperienza di vita e di ricerca della verità ci apre al concetto di missione. Essere missionari significa stabilire una relazione diretta tra maestro e discepoli; significa che lo spirito dell'uno si incontra con quello dell'altro, che una buona predisposizione li lega e li costringe a un benefico confronto, insegnando loro l'ascolto vero e il rispetto nobile.

In particolare è nei suoi Sermoni che Newman mette in luce come deve essere la figura del predicatore, che oggi chiameremmo la figura del cristiano missionario. Egli è convinto che per trasmettere la verità della fede in Gesù Cristo non bastano le parole di un ragionamento ben strutturato sotto il profilo razionale, ma è necessaria una persona che incontra con determinatezza il cuore dell'altro. "Determinatezza" è per Newman un termine molto ricco e denso:  significa un ragionare ordinato, una passione viva e un'esperienza reale. La determinatezza esige aderenza ai bisogni delle persone, comporta coinvolgimento affettivo. Ecco, per esempio, come descrive il rapporto tra il predicatore del Vangelo e coloro che ascoltano la Parola:  "Essi pendono dalle sue labbra non come potrebbero pendere dalle pagine di un libro. La determinatezza è la vita della predicazione... Il sermone non potrà venire da qualcosa di anonimo, da qualcosa di morto e di passato e neppure da qualcosa che è di ieri, per quanto in se stesso utile e religioso" (Sermoni universitari. L'idea di università, Torino 1988, p. 1102).

Ora, continua Newman, l'apostolo per declinare efficacemente la sua testimonianza dovrà vivere un'esperienza di intensa preghiera. Il pensiero alla Pasqua, nella quale Gesù muore per noi, conduce Newman a indicare nell'umiltà e nella riparazione la via autentica verso la contemplazione della passione del Signore. E così Gesù, il "povero maltrattato", diventa l'oggetto della sua preghiera e il giusto perseguitato diventa il suo salvatore:  "Dio mio, che ne sarà di me? - scrive Newman - Dove andrò a finire se sarò abbandonato a me stesso? Che cosa posso fare se non andare da colui che ho gravemente offeso e insultato, e chiedergli di rimettermi il debito che ho con lui? O Gesù, mio Signore, il cui amore per me è stato così grande da scendere dal cielo per salvarmi; mostrami caro Signore il mio peccato, insegnami a pentirmene, e perdonami nella tua grande misericordia" (Meditations and devotions, 251-252).

In realtà la preghiera in tutte le sue forme ed espressioni ha sempre vivificato la mente e il cuore di Newman, dalla sua infanzia fino al giorno della sua morte. Si tratta di una preghiera che per lui è sempre stata fondata nella fede in un Dio personale. Ha sempre sentito nel cuore una voce più grande del dettame della sua natura e questo lo manifesta scrivendo che si tratta "dell'eco di una persona che mi parla. Essa porta con sé la prova della sua origine divina. La mia natura la sente in tutto e per tutto come una persona. Quando le disobbedisco mi sento afflitto, proprio come quello che provo nel compiacere o nell'offendere un amico degno di rispetto" (Callista, 314).

Nell'intreccio inseparabile tra l'affermazione di un Dio personale, la coltivazione della coscienza e la conoscenza del dogma, Newman ha sempre considerato la preghiera come un dovere e come un privilegio. È stato profondamente affascinato dalla preghiera di intercessione, da lui definita come "la prerogativa e il dono degli obbedienti e dei santi". Nella preghiera di intercessione mette in risalto la dignità divina, la possibilità che il peccatore diventi un amico, un confidente di Dio, in grado di raccogliere l'universo intero e di presentarlo al suo Signore. In questa preghiera Dio ci concede il potere fortissimo di influire non solo sul percorso vitale della nostra anima, ma sul futuro di tutta la storia.

A un certo punto, nella sua lunga esperienza di preghiera, di mortificazione e di penitenza, accompagnata sempre da una adorazione umile e perseverante, apparve a Newman quella luce che lo condusse il 9 ottobre 1845 a "sentirsi raccolto nell'unico ovile di Cristo" (Apologia, 207). "Avevo l'impressione - scriveva nel 1864 - di entrare nel porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora fino a oggi, è rimasta inalterata" (Apologia, 211). Era questa solo una tappa del suo lungo viaggio:  sarebbe continuata in lui un'eroica e incessante lotta interiore, accompagnata sempre da una grande libertà di coscienza. Le questioni religiose e filosofiche della sua epoca si sarebbero progressivamente risolte attraverso una singolare capacità di dialogo con molte persone. Il suo procedere apologetico lo rendeva metodico e preciso. Con la sua capacità di umiltà e di perseveranza, divenne un esempio di guida spirituale, temprata dalle lotte affrontate e dalla diffidenza da cui in diverse occasioni si sentì circondato.

Possiamo certamente dire che la sua vita, definita da molti un "olocausto alla verità", rimane un punto di riferimento per tutti noi. Di fronte alle nostre preoccupazioni e ai difficili discernimenti che la società contemporanea ci impone, Newman ci insegna attraverso i suoi scritti e con il suo esempio a mantenere un certo distacco dalle preoccupazioni materiali della vita, per lasciar posto dentro di noi alla crescita dell'amore di Dio, perché ogni nostro affanno, ogni atteggiamento di fede e ogni moto interiore della preghiera devono nascere e trovare il loro compimento solo nella carità divina.

I nostri giorni ci obbligano a ritrovare un pensiero robusto e una pratica cristiana aperta e lungimirante, dentro la quale la ricerca teologica, l'interpretazione della cultura e il sentire ecclesiale siano sempre accompagnati da una vera esperienza spirituale.

È il nostro cammino verso la Pasqua nella quale ritroviamo sempre la rivelazione della gloria di Dio nella vita della Chiesa e nella storia del mondo. Al termine di questo cammino ci attende la pace vera.



(©L'Osservatore Romano - 29 marzo 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 14:14. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com