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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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RISPOSTE SU la Messa Antica-Straordinaria - argomenti in campo liturgico

Ultimo Aggiornamento: 18/09/2015 20:52
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domenica 29 marzo 2009

I responsi del cerimoniere


Come sapete, Messainlatino.it offre un servizio (gratuito, ad maiorem Dei gloriam) di risposte su dubbi liturgici: trovate il link alla pagina nella colonna a fianco. Contatta il Liturgista

Altri link utili:

  • Consigli per formare gruppi
  • Questa messa non s'ha da fare
  • Messali e messalini
  • La crisi nella Chiesa
  • Links (indice ragionato)
  • Il Concilio sulla Liturgia
  • Ratzinger sulla Liturgia
  • Contatta il Liturgista
  • Contatta il Cappellano del sito



    Il Sacerdote cui abbiamo chiesto di rispondere ai quesiti è, senza dubbio, uno dei massimi esperti in materia ed ha già svolto l'incarico di cerimoniere e prete assistente in alcune tra le più significative celebrazioni tridentine, non solo in Italia.

  • Ci sembra opportuno ora rendere accessibili a tutti alcuni tra i più significativi responsi che il reverendo ha fornito nei tre mesi da quando questo sito è stato fondato. Poiché la liturgia non è una scienza esatta, come il diritto con cui ha parecchie affinità (non si tratta pur sempre di regole?), il dissenso è lecito e quindi, se ritenete, argomentate pure nei commenti a questo post.

    Quello che segue è solo un primo assaggio dei numerosi responsi già dati. Le domande sono state qua e là modificate per garantire l'anonimato a chi le ha poste; le risposte del Cerimoniere sono in corsivo e in rosso.


    ****

    Buon giorno reverendo, sono un chierico studente di teologia a Roma, molto interessato alla forma tradizionale della messa.
    Volevo chiederle un'informazione molto pratica: potrebbe indicarmi dove trovare camici o cotte con il pizzo adatti alle funzioni della forma straordinaria?
    La ringrazio sin d'ora delle informazioni che vorrà fornirmi

    La forma straordinaria non prevede dei particolari abiti guarniti con merletti o cose del genere. Sicuramente il fatto di provvedere i camici e le cotte con un pizzo è un uso molto in voga nel passato che adesso, dopo le riforme montiniane, è pressoché sparito, per dar spazio a quelle orribili cotte ornate di gigliuccio.
    La discriminante però tra l'antico e il nuovo non è la trina quanto il tessuto: mai prima della Riforma Liturgica si sarebbe usata una cotta in terital cotone o lana ( materiale in uso adesso)! Le cotte e i camici debbono essere di lino o canapa (sempre meglio il lino).
    Lei è studente a Roma, quindi in qualsivoglia sartoria pontificia potrà richiedere questi prodotti.
    L'unico problema è che a Roma sono un po' cari. La cosa ideale sarebbe domandare a qualche istituto religioso (sia maschile che femminile) o a qualche anziano prete progressista che potrebbe così sbarazzarsi di queste "anticaglie".
    Altra possibilità è rivolgersi a siti specializzati quali
    http://www.chasuble.fr/ oppure http://www.ebay.it/ cercando il lemma chasuble in tutte le categorie e nel mondo intero. Lì talvolta si posso avere amene sorprese.

    ***


    Approfitterei della sua disponibilità, per sottometterLe un dubium (per la verità più di uno); ad esempio la tanto dibattuta questione del secondo Confiteor. Alla "nostra" S. Messa viene recitato. Lei cosa ne pensa?
    Essendo una S. Messa in canto, recitiamo anche la parte introduttiva della celebrazione (che, credo, spetterebbe solo ai Ministri sull'altare...): Introibo ad altare Dei...
    Venendo poi a questioni più spicciole (se così si può dire) mi preme sapere che tipo di Kyriale si deve utilizzare per le domeniche della Septuagesima, Sessagesima e Quinquagesima. E' sempre il K11, cioè l'Orbis factor delle Domeniche infra Annum?
    Poi. Non avendo un "parco voci" che si possa permettere di mettere in repertorio (non per il momento, almeno, in attesa di qualche miracolo...chissà) tutto il Kyriale, è giocoforza scegliere. Dovendo preparare (sperando di riuscirci) in poco tempo le Messe per la Quaresima (che sono poi ancora quelle dell'Avvento), mi chiedevo se potremmo cantare il K 18, ossia quello dei giorni feriali, che è molto più semplice, al posto del K17. E' una decisione impropria?

    Rispondo con brevità a queste domande che sono interessanti:
    Anzitutto veniamo alla considerazione del
    Confiteor prima della Comunione. Premettendo che io sono assolutamente contrario alla sua abolizione, mi pare doveroso ricordare come questo secondo, anzi "terzo" Confiteor (il primo è detto dal Sacerdote e il secondo dai Ministri ai piedi dell'altare) sia quello della comunione. Nel Ritus servandus non si considera la comunione abituale alla S. Messa e viene quindi come inserito un rito a parte (quello della comunione extra Missam appunto) con il Confiteor. Mi pongo una domanda: se la messa è in canto allora i fedeli non reciteranno mai il Confiteor e neppure lo udranno. Resta però de facto che nel 1962 è stato tolto (§ 503 Rubricae generales Missalis romani anno 1962). Ognuno quindi pone la sua scelta: molti dicono che, poiché è rimasta in ogni caso la consuetudo, perché non recitarlo? Se si vuol essere stretti comunque nell'osservanza delle rubriche del 1962, non lo si deve ripetere.

    Riguardo alla parte recitata da tutti: dovrebbe essere recitata solo da chi è sull'altare se la Messa è almeno cantata, altrimenti se si ha una Missa cum canticis (ossia con alcuni mottetti all'inizio, offertorio, comunione e fine) allora - essendo la Messa poi una Messa bassa - si deve recitare. Non le sto a fare tutta la questione, ma sarebbe bene procedere come dovuto per questo caso. Inoltre ci guadagnerebbe la bellezza del rito e del canto che vedrebbe Introitus e Kyrie legati e vi sarebbe snellezza e sobrietà proprie della Liturgia Romana.

    La Settuagesima non prevede un Kyriale speciale... ma, altresì, mi preme far presente che i vari kyriali sono sì stabiliti dall'uso, ma non sono poi così strettamente necessari. Si fa come si può. Ci si aggiusta nel miglior modo possibile. Un tempo nelle nostre Parrocchie non sapevano che la Missa De Angelis e quella di requiem e con quelle facevano tutto. I veri interventi di Introito graduale etc. venivano eseguiti a modo di salmo per permettere di cantarli. Ci si è sempre arrangiati nella maniera migliore. Meglio eseguire bene un Kyriale più semplice che fare male uno più complicato. Mi permetto un raccomandazione: non cadete nel "perfezionismo" liturgico (che è poi ciò che ci viene rimproverato dai novatori)... un vivere la Liturgia con sereno impegno ci permette che le rubriche (fatte in tempi di vacche grasse) possano essere vissute e applicate serenamente anche ora (evidentemente tempo di vacche magre).

    ***

    Buon giorno; avrei un quesito da sottoporre: che senso e che origine può avere il rito di incensazione, simile a quello super oblata della messa, che viene prescritto nella funzione del venerdì santo secondo il messale del 1954, nel momento in cui il sacerdote, ritornato all'altare, ha posto l'ostia consacrata nella patena e il vino non consacrato nel calice?

    Prima della Riforma della Settimana Santa ( ad esperimento nel 1951 e definitiva nel 1955) la Funzione della Passione era chiamata Messa dei Presantificati e questo dice tutto.
    Era una specie di
    Missa Sicca
    (ovvero senza la Consacrazione) quindi si imitavano le cerimonie della Messa. Inoltre l'incensazione è un segno di onore verso le Sacre Specie portate dall'Altare della Reposizione (Sepolcro) all'altar Maggiore.
    **

    Gentilissimo reverendo, sono un diacono permanente e molte volte sono chiamato per svolgere una Liturgia al posto della Santa Messa perché non c'è il sacerdote. Siccome sono un convinto sostenitore della Santa Liturgia tradizionale, vorrei in qualche occasione svolgere la funzione secondo il rito tridentino anche perché richiestomi, però non so se ciò è consentito dalle norme e come devo comportami, premesso che sono a mia disposizione sia il Messale che il Lezionario appropriati.


    Prima del Concilio, o meglio col rito del 1963, non erano previste queste forme di Celebrazioni, che sono qualcosa di nuovo derivante dal fatto che non si hanno più sacerdoti... prima di una certa data e di un certo avvenimento non si è mai verificata una penuria così evidente di preti. Sicché, è assolutamente lodevole il suo attaccamento alla Liturgia tradizionale, ma quest'ultima non prevede riti che il diacono possa svolgere da solo (ossia, al di fuori di quanto avviene nella messa solenne con un sacerdote). Né per contro esiste una Liturgia della Parola "in forma straordinaria". Quello che le consiglio, se desidera, è distribuire la S. Comunione senza la S. Messa, come previsto dai rituali, o recitare il rosario o altre preghiere in latino. Anche per i sacramentali che spettano all'ordine diaconale si possono utilizzare i vecchi libri.

    **

    Mi preme chiederLe, avvicinandosi la Quaresima, se è DOVEROSO CHE Tempus Quadragesimae non pulsantur organa... se non nella Domenica IV Quadragesimae "laetare" pulsantur organa ad Tertiam et Missam e anche che Cruces altarium et icones in Ecclesia et Sacristia velantur. Questo me lo ricordo benissimo anche nella mia chiesa...mentre dell'organo lo so per certo ma di uso monastico.

    In tempo di Quaresima è vietato l'uso dell'organo da solo - ossia si può suonare l'organo per accompagnare esclusivamente i canti. L'organo dovrà invece tacere completamente (anche per i canti) dal giovedì santo dopo il grande suono introduttivo del canto del Gloria in excelsis fino al Gloria del Sabato Santo.
    Le Immagini e croci si velano dai primi vesperi della domenica di I Passione (dopo le cerimonie del
    sabatio sitientes) e rimangono velate le croci sino al Venerdì Santo le immagini fino al Gloria
    del sabato.
    Precisazione: oltre la domenica IV di Quaresima, si suona l'organo anche per la festa di S. Giuseppe e dell'Annunziata (che infatti hanno il
    Gloria
    )

    **

    Scrivo qui perché seguo con molto interesse il sito messainlatino.it e il relativo blog. Mi sono avvicinato da poco alla spiritualità della Santa Messa nella formaextra-ordinaria. Ho acquistato il messalino della casa editrice Marietti eil compendio di liturgia pratica del Trimeloni. Dopo averli consultati, mi sono rimasti alcuni dubbi, in particolare riguardo al calendario. Per questo vorrei porre due domande:
    1) Cosa si intende esattamente per Messe Votive? Detto in altri termini: come si possono "classificare"(mi scuso per questo verbo poco rispettoso) le Sante Messe nel rito Tridentino?
    2) Un caso pratico: oggi, 14 febbraio, si celebra san Valentino. La mia parrocchia è dedicata a santa Maria Maddalena, ma c'è una chiesetta che invece è dedicata ai santi Valentino e Martino. Se oggi avessi voluto celebrarvi una Santa Messa nella forma extra-ordinaria, quale formulario avrei dovuto seguire? Forse il Comune di un martire fuori del tempo pasquale? Ma orazione, secreta e postcommunio avrei dovuto prenderle dal comune o dalla commemorazione di san Valentino riportata nel Santorale?
    Mi scuso per le domande forse un po' scontate, ma sto cercando di capire e di entrare nella mentalità del rito Tridentino, che è decisamente diversa da quella del rito nella forma ordinaria. Sarei poi molto felice se fosse possibile, per me, porre altre questioni, dato che entrare da "autodidatti" nella forma extra-ordinaria è abbastanza complicato.


    Non entro in merito alla classificazione delle Messe, che è come un grande ginepraio per chi non è esperto. In ogni caso, per dare una prima infarinatura, le messe che hanno diversi gradi e solennità hanno al loro interno delle messe votive, che si celebrano per devozione personale, anche se non richieste dal calendario (quindi le votive di: SS.ma Trinità, Eucaristia, S. Cuore, etc. o di qualche santo).
    Per il caso specifico, il 14 febbraio esattamente si prende il proprio del santo (dal Santorale) e il mancante lo si prende dal comune corrispondente. Per dubbi o altro su quando si possano o no dire le messe di IV classe etc.- poichè la cosa in effetti non è semplice - è sufficiente comprare un Ordo Missae o Calendario Liturgico dove troverà tutto.



    [SM=g1740733] [SM=g1740734] [SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    CONTATTA IL CAPPELLANO   

    Se avete casi di coscienza, o volete un consiglio spirituale, o cercate qualcuno che se ne intenda per vagliare la vostra vocazione ed avere consigli pratici in merito (su seminari, case di formazione, case religiose), mandate una mail al giovane Parroco che ha cortesemente accettato l’incarico di cappellano del nostro sito.

    Scrivete a:
      cappellano@messainlatino.it  

    Naturalmente, non chiedetegli un’assoluzione: le confessioni sacramentali a distanza (una delle mille innovazioni preconizzate dai modernisti, almeno da quelli che non intendono abolire del tutto la confessione individuale) non sono (per ora) valide.
      

    CONTATTA IL LITURGISTA
      

    Sei perso nei meandri labirintici delle complesse rubriche del Messale tradizionale?
    Normale, prima o poi capita a tutti; e come sempre, la complicazione delle regole non fa che accrescere il fascino di un rito di cui, in tal modo, non ci si sente mai “padroni” (e, forse anche per questo, meno inclini agli abusi). Non è forse più interessante una partita a bridge che una a rubamazzo? O Risiko rispetto al gioco dell’oca?

    E non vi scandalizzate per queste similitudini che sembrano irriverenti: è stato uno dei più grandi teologi del XX secolo, Romano Guardini (l’autore di quel Geist der Liturgie cui si è ispirato Ratzinger) a definire la liturgia un “gioco”; anche se certo non nel senso colloquiale del nostro esempio.
     
    Comunque, se volete sottomettere un dubium ad uno dei più celebrati cerimonieri tridentini d’Italia, scrivete a 
      

    cerimoniere@messainlatino.it


    [SM=g1740733]

    [Modificato da Caterina63 30/03/2009 23:28]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    New York Times: "40 anni di nuova messa hanno portato caos e banalità"

    Da Messainlatino blog, vi segnaliamo questo articolo sul quale riflettere...

    Ci sono degli eventi in apparenza piccoli che, più di molti altri, danno una precisa indicazione dei 'segni dei tempi' e dell'evoluzione della società e delle opinioni. Uno di questi ci appare con sicurezza il fatto che l'articolo che segue, che fino a pochissimi anni fa sarebbe stato liquidato come nostalgico, reazionario, integralista, ecc., sia apparso ieri sul prestigioso (e diffusissimo)
    New York Times
    . E' la dimostrazione che quanto leggerete, e che noi sottoscriviamo convinti, sta diventando sempre più la convinzione comune della più larga parte della società. In particolare dei meno anziani. E specie negli Stati Uniti, una nazione di gente pragmatica, meno permeabile alle ideologie e quindi meglio in grado di giudicare con buon senso se qualcosa (nel caso: la riforma liturgica di 40 anni fa) ha funzionato oppure ha miseramente fallito. E, ricorrendo quest'ultimo caso, in che modo reagire. Una lettura che raccomandiamo, in particolare, ai vescovi della nostra Penisola ed a tutti i chierici dai sessant'anni in su. Anche per loro, non è mai troppo tardi...



    L’Appeal della Messa in latino


    Entrando in chiesa, 40 anni fa, in questa prima Domenica di Avvento, molti Cattolici si saranno chiesti dov’erano finiti. Non solo il sacerdote parlava in inglese invece che in latino, ma era rivolto verso la congregazione invece che verso il tabernacolo; persone laiche si davano da fare intorno all’altare con funzioni che prima erano esclusive ai sacerdoti e musica popolare riempiva l’aria. I grandi cambiamenti del Concilio Vaticano II avevano preso il via.

    Tutto questo fu una radicale rottura dalla Messa Tradizionale in Latino, codificata nel 16° secolo dal Concilio di Trento. Per secoli quella Messa era servita come un sacrificio strutturato con precise regole, chiamate rubriche, che non erano opzionali. Si deve fare così, diceva il libro. Nel 1947 poi, Papa Pio XII emise un’enciclica sulla liturgia che rinnegava la modernizzazione – scriveva che l’idea di eventuali cambiamenti alla Messa Tradizionale in Latino gli causava grave dolore.

    Paradossalmente, comunque, fu Papa Pio stesso largamente responsabile per i notevoli cambiamenti del 1969. Fu lui a nominare, nel 1948, l’architetto responsabile della nuova Messa, Annibale Bugnini, a capo della commissione liturgica.

    Bugnini nacque nel 1912 e fu ordinato sacerdote Vincenziano nel 1936. Non aveva ancora compiuto dieci anni di lavoro parrocchiale che Pio XII lo nominò segretario della Commissione per la riforma della liturgia. Negli anni ‘50, Bugnini diresse la grossa revisione alle liturgie per la Settimana Santa. Di conseguenza, il Venerdi Santo del 1955, i fedeli si riunirono al sacerdote nella preghiera del Padre Nostro e il sacerdote si rivolgeva alla congregazione per alcune parti della liturgia.

    Il successore, Giovanni XXIII, nominò Bugnini segretario alla commissione preparatoria per la liturgia del Concilio Vaticano II; in quella posizione collaborò con sacerdoti cattolici e, sorprendentemente, anche con dei pastori protestanti per la riforma liturgica. Nel 1962 scrisse quella che sarebbe poi divenuta la Costituzione della Sacra Liturgia, il documento che diede forma alla nuova Messa.

    Molte delle riforme di Bugnini erano dirette a favorire i non-cattolici, e molti cambiamenti furono effettuati emulando i servizi protestanti, incluso sistemare l’altare in modo da rivolgersi verso il popolo invece del sacrificio verso l’oriente liturgico. Come disse: ‘Dobbiamo spogliare la nostra [..] liturgia cattolica di tutto quanto può essere l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri fratelli separati, cioè, per i Protestanti’ (Paradossalmente, gli Anglicani che si riuniranno alla Chiesa grazie all’accoglienza dell’attuale Papa, useranno una liturgia che spesso prevede il sacerdote che assieme al popolo è rivolto ad orientem).

    Come ha potuto Bugnini effettuare tali grandi cambiamenti? In parte perché nessuno dei papi per i quali lavorava erano liturgisti. Bugnini ha cambiato così tante cose che il successore di Giovanni, Paolo VI, non riusciva a stare al passo con le ultime direttive. Una volta il papa fece un’osservazione sui paramenti liturgici che gli avevano preparato esclamando che erano del colore sbagliato, ma gli fu risposto che lui stesso aveva eliminato la celebrazione dell’ottava di Pentecoste e quindi non poteva più indossare i relativi paramenti color rosso per la Messa. E il cerimoniere del papa fu testimone che Paolo VI scoppiò in lacrime.

    Bugnini cadde in disgrazia nel 1970. Furono diffuse voci dalla stampa italiana che era un massone, cosa che se fosse stata vera avrebbe meritato la scomunica. Il Vaticano non ha mai negato le affermazioni, e nel 1976 Bugnini, allora arcivescovo, fu esiliato in un posto cerimoniale in Iran. Morì, in gran parte dimenticato, nel 1982.

    Ma la sua eredità continuò a vivere. Papa Giovanni Paolo II ha proseguito le liberalizzazioni della Messa, consentendo alle femmine di servire al posto di chierichetti e permettendo ad uomini e donne non ordinati di distribuire la comunione nelle mani dei destinatari in piedi. Anche organizzazioni conservatrici, come l'Opus Dei, hanno adottato le riforme liturgiche liberali.

    Ma Bugnini, può avere finalmente incontrato il suo avversario in Benedetto XVI, un celebrato liturgista egli stesso, che non è fan degli ultimi 40 anni di cambiamento. Cantando in latino, con indosso paramenti antichi e distribuendo la Comunione solo sulla lingua (piuttosto che nelle mani) di cattolici in ginocchio, Benedetto XVI ha lentamente invertito le innovazioni dei suoi predecessori. E la Messa in latino è tornata, almeno entro certi limiti, in luoghi come Arlington, Virginia, dove una su cinque parrocchie offrono la vecchia liturgia.

    Benedetto capisce che i suoi sacerdoti più giovani e seminaristi - la maggior parte nati dopo il Vaticano II - stanno aiutando a condurre una controrivoluzione. Essi apprezzano il valore della bellezza della Messa solenne e il canto di che l’accompagna, l'incenso e la solennità. Sacerdoti in tonaca e suore in abito sono di nuovo comuni; enti tradizionalisti come l'Istituto di Cristo Re si stanno espandendo.

    All'inizio di questo decennio, Benedetto XVI (allora cardinale Joseph Ratzinger) ha scritto: "Il girarsi del sacerdote verso il popolo ha trasformato la comunità in un circolo chiuso in se stesso. Nella sua forma esteriore, non si apre più su quello che ci sovrasta e ci trascende, ma è chiuso in se stesso. " Aveva ragione: 40 anni della nuova Messa hanno portato il caos e la banalità nel segno più visibile e esteriore della Chiesa. Benedetto XVI vuole un ritorno all'ordine e al significato. Così, a quanto pare, anche la prossima generazione di cattolici.

    Kenneth J. Wolfe

    Fonte: New York Times 29.11.2009

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    19/01/2010 16:30
     
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    Propongo alla vostra attenzione una riflessione di padre Giovanni Scalese del blog Senza peli sulla lingua....per seguire i collegamenti o a cosa si riferisce, cliccate sulle parti linkate...


    Un problema fantasma?

    Un lettore mi chiede un parere sul post del 7 gennaio 2010 apparso sul blog di Matias Augé dal titolo Una opinione sull’attuale dibattito liturgico. Si tratta di una lettera scritta al Padre Augé da un suo confratello, missionario da 35 anni (prima nelle Filippine, poi a Cuba, ora nella Repubblica Dominicana), nella quale si contesta, con accenti — diciamo — piuttosto vivaci, l’esistenza stessa di un problema liturgico nella Chiesa (“un problema fantasma”). Nella sua esperienza, Padre Carmelo — questo il nome del missionario clarettiano — sostiene di non aver mai incontrato “un solo cristiano” che chiedesse la Messa tridentina; di non aver mai ricevuto “neppure una sola istanza” in tal senso.

    Ho già in qualche modo affrontato lo stesso problema alcuni mesi fa nel post Auditel liturgico e “riforma della riforma”, in cui si commentava il sondaggio informale condotto da Padre Augé sulla stessa tematica. Non posso quindi che rinviare alle considerazioni che facevo in quella sede. Anche nel caso del Padre Carmelo, non ho alcuna difficoltà a credere a quanto da lui affermato. Non posso contare sulla sua lunga esperienza missionaria, ma il mio, di gran lunga piú breve e limitato, soggiorno nelle Filippine e in India mi porta piú o meno alle medesime conclusioni: effettivamente non esiste in questi paesi (e, per analogia, suppongo, nel resto del “terzo mondo”) un problema della liturgia tridentina; la liturgia va bene cosí com’è. Concordo con Padre Carmelo che in questi paesi si celebra la Messa “degnamente”, senza gravi abusi; le liturgie sono in genere molto vivaci e partecipate; e anche chi, come me, è sensibile alla bellezza della liturgia latino-gregoriana, non può rimanere indifferente di fronte a certe celebrazioni forse non altrettanto ieratiche, ma certo intensamente partecipate dai fedeli. Del resto, lo stesso Santo Padre non ha confessato forse di essere rimasto ammirato dalle liturgie da lui presiedute nel suo ultimo viaggio in Africa?

    Non concordo con Padre Carmelo su due punti. Il primo è la categoricità delle sue affermazioni: “ni un solo cristiano”, “ni una sola instancia”. Io sarei un tantino piú cauto: se è vero che il problema non è cosí sentito come sembrerebbe nei nostri paesi occidentali, non è vero che nel “terzo mondo” non ci sia nessuno che lo sente. Giustamente in uno dei commenti si puntualizza che «in Brasile la sensibilità e la richiesta sono molto forti»: sarà un caso che l’unica amministrazione apostolica di rito tridentino non è in Francia, non è in Europa, ma in Brasile? Anche nelle Filippine ci sono alcuni gruppi che celebrano secondo la forma straordinaria. È vero che si tratta di gruppi minoritari, ma esistono!

    E qui vengo al secondo appunto che muovo al post del Padre Carmelo: il linguaggio che riserva appunto a tali gruppi. Per me, dire che si tratta di “gruppi minoritari” sarebbe piú che sufficiente; non vedo che bisogno ci sia di procedere a ulteriori apprezzamenti, che nulla aggiungono al dato oggettivo, ma servono solo per invelenire i rapporti tra fratelli di fede: “una minoranza assolutamente insignificante e ridicola”; “persone squilibrate che vivono fuori della realtà”; “menti malate (calenturientas = “febbricitanti”) e retrograde che vivono fuori della realtà”; “movimento di involuzione nervosa e isterica”. D’accordo che in certi casi si possa ricorrere anche a un linguaggio un po’ colorito; ma in questo caso mi sembra che si venga meno alla carità cristiana: mi chiedo a che cosa si riduca il Vangelo, quando lo trasgrediamo in maniera cosí palese. A che serve parlare di apertura, di comprensione, di dialogo, di ecumenismo con i “lontani”, quando poi non abbiamo nessun rispetto per quelli che sono di casa? In certi momenti si ha davvero l’impressione che il cristianesimo sia stato ridotto a pura ideologia...

    Potrei fermarmi qui; ma vorrei aggiungere qualcosa, entrando nel merito della questione sollevata. I lettori dovrebbero conoscere la mia posizione in materia liturgica; chi volesse farsene un’idea può andare a leggersi il post If only... Praticamente, io sono convinto che, se la riforma liturgica fosse stata realizzata come il Concilio l’aveva concepita e se poi essa fosse stata attuata seguendo fedelmente le norme previste nei libri liturgici, probabilmente ora non ci sarebbe nessun nostalgico della vecchia liturgia.

    Questa convinzione non è stata affatto intaccata dalla mia sia pur breve esperienza missionaria. È vero che nei paesi del “terzo mondo” nessuno va in cerca della Messa tridentina (per quanto almeno un paio di volte mi sia stata richiesta); ma devo anche dire che tutte le volte che ho celebrato la Messa in latino (quella di Paolo VI) non ho mai incontrato alcun rifiuto. Anzi... È ovvio che nessuno chieda la celebrazione secondo l’uso antico: la maggior parte della gente non sa neppure che esista; ma quando partecipano a una bella Messa cantata in latino, ne rimangono anche loro affascinati.

    Qualche volta mi ponevo il problema se celebrare in latino per popoli cosí lontani da Roma non fosse una sorta di “violenza”; me lo chiedevo soprattutto al momento della comunione, quando presentavo loro l’ostia consacrata dicendo “Corpus Christi” anziché “Ang Katawan ni Kristo”. Ma poi mi dicevo: Perché dovrebbe essere una violenza dire “Corpus Christi”, quando nessuno ha nulla da eccepire se dico in inglese (che non è la loro lingua) “The Body of Christ”? E sono giunto alla conclusione che, non solo non era una violenza, ma, al contrario, era loro diritto sentirsi dire “Corpus Christi”.

    Sono convinto che la riforma liturgica, cosí come è stata attuata (anche con le deroghe — sanzionate da Paolo VI — alla lettera della Sacrosanctum Concilium, p. es. riguardo alla lingua liturgica), sia stata provvidenziale. Come affermavo nel post citato all’inizio, la Chiesa percepiva che il suo futuro si sarebbe giocato non piú in Europa, ma in altre parti del mondo; e per questo ha sentito il bisogno di mettere la liturgia alla portata di tutti. Ma con ciò non ha voluto in alcun modo cancellare la liturgia solenne in latino e in canto gregoriano, anzi ha voluto restaurarla e renderla ancora piú bella di quanto già non fosse (ermeneutica della continuità...). Per cui dobbiamo ammettere che non esiste piú (o forse non è mai esistita) una sola liturgia, uniforme e monolitica, ma molte varietà liturgiche con diversi gradi di solennità. A questo proposito, l’Institutio generalis de Liturgia Horarum parla assai opportunamente, al n. 273, di un “principio di solennizzazione progressiva” che, secondo me, può applicarsi a tutta la liturgia. È ovvio che, secondo tale principio, le forme meno solenni sono un momento propedeutico a quelle piú solenni; ed è un diritto dei fedeli poter partecipare, almeno in alcune occasioni, a una celebrazione solenne della liturgia romana. Ed è nostro dovere, come pastori, educare i fedeli perché possano esercitare tale diritto. La mia concezione di educazione non è mai stata quella del docente che si abbassa al livello del discente (anche se questo va in ogni modo fatto), ma piuttosto quella del docente che, dopo essersi abbassato, innalza il discente al proprio livello.

    Che poi si debba fare i conti con la realtà, è un’altra questione. Ha ragione Padre Carmelo a dire che nel terzo mondo i preti non conoscono piú il latino. Non solo nel terzo mondo — aggiungo io — e non solo i preti... Ma anche qui si tratta del risultato di precise scelte (spesso ideologiche) che sono state fatte in passato. Ma, per quanto questa sia la realtà, non possiamo arrenderci: sono situazioni che possono cambiare; basta la “volontà politica”: non è impossibile insegnare il latino ai seminaristi, dovunque essi si trovino; basta volerlo. Non è questa un’affermazione astratta, ma il frutto di un’esperienza vissuta.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    15/05/2012 18:10
     
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    Il “rito proprio” e l’ “ermeneutica della continuità” sono sufficienti?

     

    2 maggio 2012, Sant'Atanasio
     
     
    G.L. Bernini, Sant'Atanasio sorregge la Cattedra di S. Pietro
     bernin
     
    La nostra Redazione, a seguito del risultato della visita canonica all’Istituto del Buon Pastore, riceve delle domande che possono essere riassunte dal titolo di questo intervento. La questione ci sembra avere un rilevante interesse ecclesiale, anche tenendo conto della sollecitazione a pronunciarsi racchiusa in articoli a riguardo come quello del superiore italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Esporremo quindi alcune considerazioni ai nostri lettori, le quali – ovviamente – non impegnano se non la linea editoriale di questa libera rivista.
     
    Il testo che  la Rev. da Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha prodotto offre all’Istituto del Buon Pastore alcune indicazioni, d’ordine in parte pratico-giuridico e in parte teologico-ecclesiale, toccando anche le “specificità” dell’Istituto, sebbene in termini non perentori ma piuttosto di consiglio: la Commissione, in merito alla celebrazione della Messa tradizionale come prevista dagli Statuti, invita a parlare di “rito proprio”, citiamo letteralmente, “senza parlare di esclusività” (ovvero, invito a modificare gli Statuti fondativi?); e - su questo secondo punto con formulazione un po’ più forte - chiede altresì di diminuire la “critica, sia pure seria e costruttiva”, degli aspetti del Concilio Vaticano II che pongono interrogativi, per insistere maggiormente sull’ “ermeneutica del rinnovamento nella continuità”, adottando “come base” il “Nuovo Catechismo”.
     
    In ordine a tali aspetti la questione, lungi dall’essere una mera discussione terminologica, ci appare cruciale per il futuro del Buon Pastore. Del resto la Commissione sembra aver voluto, nel suo insieme, proporre il proprio punto di vista teologico-liturgico; non trattandosi sempre di ordini formali essa lascia la scelta al Capitolo Generale.
     
     
    La natura dello scritto di mons. Pozzo e le circostanze storiche
     
    Il documento è il risultato della visita canonica a distanza di sei anni dalla fondazione dell’Istituto. Ricordiamo che il riconoscimento di quest’ultimo è stato voluto personalmente dal Santo Padre Benedetto XVI, offrendo la possibilità dell’ “esperienza della Tradizione” con due specificità, espressamente previste dagli Statuti (approvati da Roma) e in virtù delle quali abbiamo parlato di “avanzamento” della causa tradizionale: la celebrazione esclusiva della “Messa gregoriana” (secondo l’espressione del Card. Castrillon Hoyos) e la possibilità esplicita di una “critica seria e costruttiva” dei punti del Concilio Vaticano II che appaiano difficilmente conciliabili con la Tradizione.
     
    Ora, dal punto di vista liturgico il testo afferma che sarebbe auspicabile uniformare allo “spirito” del più recente Motu Proprio Summorum Pontificum gli Statuti dell’Istituto, anteriori di un anno, eliminando la parola exclusive sostituendola con il termine “rito proprio” (espressione che, essendo già presente negli Statuti in due punti, è pertanto invocata in contrapposizione all’altra e non ad integrazione di essa). Notiamo tuttavia che tale termine, così come nella redazione approvata dalla Santa Sede nel 2006, non è incompatibile con la recente legislazione in materia, essendo piuttosto il riconoscimento giuridico d’una peculiarità. Nella Chiesa l’esistenza d’una legge generale (e, in questo caso, semplicemente di un orientamento) non impedisce il riconoscimento d’un diritto proprio: a fortiori se si è in presenza d’una precedente approvazione dell’autorità ecclesiastica. In questa prospettiva si può comprendere che tale indicazione della Commissione sia nell’ordine dell’invito.
     
    Dal punto di vista teologico il documento invita a privilegiare l’ “ermeneutica del rinnovamento nella continuità” sulla “critica, sia pure seria e costruttiva”, e più in generale l’attitudine “in positivo”. La Commissione sembra riconoscere che l’attitudine del Buon Pastore non è quella di una critica selvaggia, irrispettosa, estremistica e temeraria, ma è rimasta nell’ambito degli impegni scritti del 2006. In quel contesto l’Istituto, non essendovi pieno accordo su talune questioni dottrinali, sottoscriveva un “accordo pratico-canonico” - comprensivo anche dei due punti summenzionati -, in uno spirito di filiale collaborazione con la Santa Sede e prendendo sul serio le dichiarazioni di S. Em. il Card. Castrillon Hoyos, il quale ribadì che, se si ha evidenza di incoerenze, “la critica costruttiva è un gran servizio da rendere alla Chiesa”.  
     
     
    Una proposta di riflessione
     
    Il citato testo è da accogliere col rispetto che è dovuto ad un documento proveniente da un Dicastero romano, e al contempo in quel medesimo spirito d’apertura e franchezza nel quale allora ci impegnammo. Esso contiene alcune indicazioni d’ordine pratico-giuridico che sono ispirate dalla sollecitudine in vista d’un perfezionamento della giustizia amministrativa che deve caratterizzare ogni società; preziosa ci appare la sollecitazione ad approfondire “il pastoralato di Cristo”; inevitabilmente in una giovane fondazione ci sono aspetti da migliorare, e la Commissione offre indicazioni che non vanno sottovalutate. Ma il documento chiede anche di riconsiderare due punti che costituiscono le specificità dell’ Istituto; su questo aspetto, il nostro punto di vista si discosta da quello del relatore.
     
     
    La celebrazione “esclusivamente” nel rito tradizionale
     
    Non vediamo una incompatibilità legislativa tra tale facoltà e il Motu Proprio Summorum Pontificum anche perché il riferimento in allusione che dice di non “escludere, in linea di principio, la celebrazione secondo i libri nuovi”, non è contenuto nella parte normativa, ma nella lettera argomentativa. Inoltre il passaggio può intendersi come raccomandazione a non escludere che altri sacerdoti cattolici celebrino secondo i nuovi libri, con le condanne generalizzate che talvolta sono state pronunciate in taluni ambienti (i quali hanno asserito categoricamente che la celebrazione secondo i riti nuovi è ipso facto materia di peccato mortale).  In ogni caso non è stato posto dal Supremo Legislatore come obbligo di legge. Anche l’Istruzione Universae Ecclesiae (l’art. 19 ad esempio) afferma l’impossibilità di un’esclusività che si accompagni ad attacchi violenti (sint infensae) e sentenze categoriche contro testi approvati dalla Santa Sede: il documento tuttavia non esclude la possibilità di nutrire riserve teologiche, non impedisce d’agire di conseguenza (si legga qui), non impone come obbligo il biritualismo.
     
    Scrivemmo in passato che a questo proposito facciamo nostre le riserve che ebbe a condividere S. Em. il Card. Ottaviani nello scrivere la lettera di accompagnamento del Breve esame critico del Novus Ordo Missae. Tanti prelati del resto, non ultimo il Regnante Pontefice, hanno già scritto chiedendo una “riforma della riforma”: evidentemente ve ne sarà motivo… Ci sembra quindi che il termine “exclusive” bene esprima la nostra posizione e come tale fu ammesso nei nostri Statuti dalla Santa Sede, in una reciproca attitudine di lealtà. Senza volerci sostituire ad un futuro pronunciamento dell’autorità ecclesiastica affermiamo, con prudenza e moderazione ma senza nascondimenti, il nostro avviso; esso non è perentorio, ma vorrebbe esser franco e suppone una consequenzialità. Se così non agissimo e nascondessimo il pensiero dei nostri cuori, o peggio ancora se agissimo contro coscienza, mancheremmo realmente di rispetto a quell’Autorità che vogliamo servire nella chiarezza di posizioni. Pensiamo quindi che il termine exclusive debba essere mantenuto, anche in ottemperanza agli impegni da noi pubblicamente presi. Il Buon Pastore infatti non è nato per occuparsi del proprio interesse personale - vitam suam dat pro ovibus suis - ma per offrire una testimonianza della possibilità di una posizione ecclesiale che includa i citati presupposti.
     
     
    La “critica seria e costruttiva”
     
    In effetti in questi sei anni ci siamo sforzati – anche qui ottemperando agli impegni presi con la Santa Sede – di analizzare i documenti più recenti in uno spirito sereno, ossequioso, ma che non nascondesse aprioristicamente alcune reali difficoltà di conciliazione con la Tradizione. Sarebbe stato quest’ultimo un atteggiamento non solo poco scientifico teologicamente, ma soprattutto sleale nei confronti della Chiesa. Non basta? Questo posizionamento non esclude - altrettanto aprioristicamente - che alcuni punti problematici di taluni pronunciamenti possano essere interpretati secondo una lettura di “continuità dell’ermeneutica teologica”, pur presentando talvolta espressioni ambigue. La critica “seria e costruttiva” non esclude forzatamente l’eventualità, ove possibile, di leggere in continuità col Magistero anteriore alcune recenti novità; ma vuole esprimere anche la possibilità - e il dovere filiale - di far presente alla Santa Sede che alcune cose potrebbero richiedere una riconsiderazione. Stante il potere delle Chiavi, nel supremo ossequio alla Verità e nell’interesse della Chiesa, il Sommo Pontefice può farlo con testi magisteriali non infallibili, specie ove la continuità fosse non dimostrata. Se, con la nostra storia, deliberatamente offuscassimo tale umile testimonianza, ciò potrebbe essere la peggior mancanza di rispetto verso la Sede Apostolica; saremmo alla ricerca d’un immediato beneficio personale - foss’anche sociale - “pro domo sua”, tralasciando l’impegno in virtù del quale alcuni hanno aderito proprio a questa Congregazione, impegno che la Santa Sede ha approvato per iscritto nel vicino 2006.
     
     
    Il pericolo dell’ubbidienza indebita o servilismo e della perdita di ciò che rappresentiamo
     
    Abbiamo voluto offrire le nostre considerazioni, tenendo conto della natura dell’Istituto del Buon Pastore. Esso, se si privasse delle sue specificità statutarie, sarebbe – è l’avviso della nostra rivista – radicalmente denaturato e ci chiediamo : senza l’ “exclusive” e accantonando la “critica seria e costruttiva”, il Buon Pastore conserverebbe la sua ragione d’esistere ? Perché non preferire allora qualche altra Congregazione ? Dopo “lo spirito del Concilio” c’è proprio bisogno anche dello “spirito del Motu proprio”, eretto a norma ? Negli odierni frangenti, non è importante richiamare una chiara distinzione tra un’argomentazione e un obbligo, un invito e una legge, un’opinione (magari autorevole) e un chiaro insegnamento ? Se avallassimo l’impressione che le concessioni previste da accordi sono instabili, renderemmo un servizio alla Chiesa ? Uno studioso come mons. Nicola Bux ha evitato di “dogmatizzare”, enfatizzandola oltremodo, l’ermeneutica della continuità (che i progressisti continuano tranquillamente ad ignorare), dicendo sobriamente che essa “ha fornito un criterio per affrontare la questione e non per chiuderla”: saremmo credibili se volessimo essere (o simulare di essere) più ratzingeriani di mons. Bux ?
     
    Peraltro, è realistico attendersi che la Fraternità San Pio X adotti, adesso o tra sei anni, gli indirizzi che ci vengono suggeriti ? Eppure, se determinati punti fossero giuridicamente incompatibili ed ecclesialmente impossibili, essi lo sarebbero, in uno spirito di diritto, tanto per la Fraternità San Pio X quanto per l’Istituto del Buon Pastore (che peraltro non ha preteso la “contropartita” dei preliminari): dobbiamo dunque ritenere, fiduciosi nella Provvidenza, che siano appunto degli inviti. Non misconosciamo che oggi vi sono nella Chiesa spinte disgregatrici e gravissime difficoltà; ma ci sembra che le citate peculiarità dell’Istituto del Buon Pastore, più che un ostacolo al bene del Corpo mistico, siano un umile e sincero servizio alla Chiesa.
     
     
    Don Stefano Carusi, IBP  
     
         
     
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    18/09/2015 20:52
     
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     dal sito grandioso di maranatha.it

    Differenze di alcuni tipi di Messe

     

    1.  Messa privata
      NB. L'aggettivo "privata" si riferisce alla intenzione per la quale la messa viene celebrata, e non è in alcun modo collegato alla quantità di persone che assistono al rito o al livello di solennità del medesimo. In quanto alle intenzioni del celebrante, le messe si distinguono in:

      1. conventuali (la messa che è d'obbligo essere officiata dagli istituti con obbligo di coro), 

      2. pro populo (generalmente la Messa applicata secondo i Sacri Canoni, dai parroci al popolo che è sotto la loro cura spirituale), 

      3. ad mentem episcopi (secondo una intenzione particolare indicata dal vescovo o dal Papa), 

      4. private (l'intenzione è decisa dal sacerdote stesso, per sè o per altri).

      La stragrande maggioranza delle messe che vengono officiate sono private. In genere è consuetudine del popolo chiedere che venga applicata nella messa privata del sacerdote (feriale o domenicale) un' intenzione particolare, tradizionalmente legata al versamento di un' oblazione. 

      Sono private, ad esempio, tutte le Messe che vengono officiate in suffragio di qualche defunto e anche tutte le messe domenicali eccetto la Messa pro populo cui il parroco è tenuto a celebrare in virtù del suo ufficio.

      Non si deve identificare questa classificazione con i termini "missa cum populo" e "missa sine populo", come se privato fosse sinonimo di "assenza di fedeli". 

      Tale moderna terminologia è invalsa solo dall'introduzione del rito della Messa promulgato da Paolo VI, e lungi dal voler regolare una precedenza di intenzioni, vuole solo proporre due diversi tipi di schemi per l' Ordo Missae, a seconda che vi sia presente un'assemblea in grado di eseguire azioni liturgiche comunitarie come il canto d'ingresso, oppure no.

      Si ricordi infine che teologicamente il Sacerdote che celebra Messa non può mai agire da persona "privata", ma sempre in persona Christi e compiendo un’azione propria della Chiesa, e per l’Ordine Sacro ha la potestà di rappresentare la Chiesa tutta. È il dogma della communio Sanctorum.

      Con il Rito di San Pio V il Sacerdote può celebrare da solo,
      anche se normalmente si richiede che il Sacerdote abbia almeno una persona presente che risponda, preferibilmente un Ministrante 1. In ogni caso, il Sacerdote continua a pronunciare le formule rivolte al popolo usando il “Voi” anche senza che nessuno risponda (es. Dominus vobiscum, Confiteor… vobis fratres, Orate fratres, Benedicat vos, Ite Missa est). 

       
    2. Messe dei defunti

    Si usano esclusivamente paramenti neri. Anche il velo del calice e la borsa sono neri, tuttavia il canopeo del Tabernacolo ed eventualmente il paliotto dell’Altare (se reca il SS. Sacramento, altrimenti si usa quello nero) devono essere violacei. Nella Messa funebre, al termine, viene impartita l’assoluzione al feretro o al tumulo con l’aspersione e la turificazione (incensazione) del catafalco; il Sacerdote depone la pianeta ed il manipolo, e indossa il piviale, nero anch’esso.

    All’inizio della Messa si omette il Salmo Iudica me, e, detta l’antifona Introibo ad Altare Dei, si procede col versettoAdiutorium nostrum in nomine Domini.

    Leggendo l’Introito, non si segna ma traccia una croce verso il Messale; l’Introito non è intermezzato dal Gloria Patri ma dalRequiem æternam.

    Al Vangelo si omettono le formule Jube e Dominus sit, il bacio del libro e le parole Per evangelica.

    All’Offertorio non si benedice l’acqua (ma si recita ugualmente la formula dell’infusione).

    Dopo il Pater non si dice l’Orazione Domine Jesu Christe, qui dixisti Apostolis tuis.

    All’Agnus Dei non si batte il petto, termina con dona eis requiem… dona eis requiem sempiternam.

    Non si dice Ite Missa est ma Requiescant in pace, non si imparte benedizione.

    Il Ministrante non bacia le ampolline all’Offertorio. Si omettono la prima incensazione dell’Altare, quella del Vangelo e, all’Offertorio, quella dei Ministri e fedeli, incensando solo Altare e Sacerdote.

    Nell’anniversario del defunto o in una Messa applicatagli si può impartire l’assoluzione al tumulo, con aspersione e turificazione. Il tumulo può essere costituito da una struttura apposita o anche da un lungo tavolo (o due tavoli disposti per lunghezza) coperto dallacoltre, drappo nero recante impressa una croce

     



     

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