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Il 25 Aprile per NOI è Festa di S. Marco evangelista, riscopriamo la nostra Tradizione

Ultimo Aggiornamento: 24/04/2015 21:33
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Il 25 aprile fessta della così detta Liberazione in verità era una giornata già impegnata, per noi, dalla Festa di san Marco Evangelista e Patrono di Venezia....una festa che davvero è in grado di pacificare TUTTI gli animi se soltanto venisse riscoperta e VISSUTA almeno da noi...[SM=g1740733]
 

Per i veneziani il 25 aprile è ricorrenza assai più antica dell'attuale festa nazionale. Vi cade infatti il giorno del Santo Patrono Marco le cui reliquie, che si trovavano in terra islamica ad Alessandria d'Egitto, furono avventurosamente traslate a Venezia nell'anno 828 da due leggendari mercanti veneziani: Buono da Malamocco e Rustico da Torcello.

Si tramanda che per trafugare ai Musulmani il prezioso corpo  i due astuti mercanti lo abbiano nascosto sotto una partita di carne di maiale, che passò senza ispezione la dogana a causa del noto disgusto per questa derrata imposto ai seguaci del Profeta.

Va ricordato che in quei tempi (e in parte ancor oggi) le reliquie erano un potente aggregatore sociale; inoltre attiravano pellegrini e contribuivano a innalzare il numero della popolazione nelle città, effetto molto importante per un urbanesimo agli albori che stentava ad affermarsi sulle popolazioni prevalentemente rurali.

Ogni reliquia era quindi bene accetta assieme a chi la recava, e quella di San Marco lo fu particolarmente a Venezia, in quanto proprio quel Santo, mentre era in vita, avrebbe evangelizzato le genti venete divenendone Patrono ed emblema sotto forma di leone alato.

Alato, armato di spada e munito di un libro sul quale, in tempo di pace, si poteva leggere la frase Pax Tibi Marce Evangelista Meus (Pace a Te o Marco Mio Evangelista); un libro che veniva minacciosamente chiuso quando la spada, costretta alla difesa delle genti inermi, si alzava senza alcun timore.

La commemorazione è oggi ridotta al solo 25 aprile, data della morte del Santo, ma ai tempi della Serenissima si festeggiava anche il 31 gennaio (dies translationis corporis) e il 25 giugno, giorno in cui nel 1094 dogante Vitale Falier avvenne il ritrovamento delle reliquie del Santo nella Basilica di S.Marco.

In occasione della festa del Patrono i Veneziani usano donare il bocolo (bocciolo di rosa) alla propria amata; sulle origini di questo dono conosciamo due ipotesi leggendarie.

Una riguarda la storia del contrastato amore tra la nobildonna Maria Partecipazio ed il trovatore Tancredi. Nell'intento di superare gli ostacoli dati dalla diversità di classe sociale, Tancredi parte per la guerra cercando di ottenere una fama militare che lo renda degno di tanto altolocata sposa. Purtroppo però, dopo essersi valorosamente distinto agli ordini di Carlo Magno nella guerra contro i Mori di Spagna, cade ferito a morte sopra un roseto che si tinge di rosso con il suo sangue. Tancredi morente affida a Orlando il paladino un bocciolo di quel roseto perché lo consegni alla sua (di Tancredi, non di Orlando) amata.

Orlando fedele alla promessa giunge a Venezia il giorno prima di S.Marco e consegna alla nobildonna il bocciolo quale estremo messaggio d'amore del perito spasimante. La mattina seguente Maria Partecipazio viene trovata morta con il bocciolo rosso posato sul cuore e da allora gli amanti veneziani usano quel fiore come emblematico pegno d'amore.

Secondo l'altra leggenda la tradizione del bocolo discende invece dal roseto che nasceva accanto la tomba dell'Evangelista. Il roseto sarebbe stato donato a un marinaio della Giudecca di nome Basilio quale premio per la sua grande collaborazione nella trafugazione delle spoglie del Santo.

Piantato nel giardino della sua casa il roseto alla morte di Basilio divenne il confine della proprietà suddivisa tra i due figli. Avvenne in seguito una rottura dell'armonia tra i due rami della famiglia (fatto che sempre secondo le narrazioni fu causa anche di un omicidio), e la pianta smise di fiorire.

Un 25 aprile di molti anni dopo nacque amore a prima vista tra una fanciulla discendente da uno dei due rami e un giovane dell'altro ramo familiare. I due giovani si innamorarono guardandosi attraverso il roseto che separava i due orti.

Il roseto accompagnò lo sbocciare dell'amore tra parti nemiche coprendosi di boccoli rossi, e il giovane cogliendone uno lo donò alla fanciulla.

In ricordo di questo amore a lieto fine, che avrebbe restituito la pace tra le due famiglie, i veneziani offrono ancor oggi il boccolo rosso alla propria amata.

Particolare curioso e molto italiano, il bocolo è anche il dono che in quel giorno i figli usano fare alle mamme.

Source: http://venicexplorer.net/



[SM=g1740717]


[Modificato da Caterina63 24/04/2015 21:33]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Moraglia Patriarca: la Solennità di San Marco

 




Il primo Pontificale del Patriarca Moraglia nella festa del patrono di Venezia, San Marco: qualche immagine e l'omelia.

Celebrare la festa di san Marco evangelista significa riprendere in mano la nostra storia; San Marco, infatti, è stato, per circa mille anni patrono della Serenissima. Egli, così, richiama l’identità veneziana che si caratterizza, da sempre, come volontà d’incontro, di scambi culturali e commerciali, di viaggi; una ricchezza che non è solo economica ma umana, culturale, artistica, spirituale. In tal modo, san Marco, ci ricollega all’Oriente - la Terra santa -, all’Egitto - la città di Alessandria -, di cui l’evangelista secondo un’antica tradizione fu vescovo. Ssoprattutto, però, Marco ci riporta, attraverso il suo vangelo, al Signore Gesù che da lui viene presentato, fin dall’inizio, come il Figlio di Dio. In Marco, che ci unisce all’Oriente ma soprattutto alle origini del cristianesimo, c’è la profezia di quello che, nei secoli, sarebbe diventata la nostra città, la Regina dell’Adriatico, la Dominante, la Serenissima.

Per questo oggi, in un’epoca di difficoltosa transizione con la quale il nostro territorio e la nostra città devono fare i conti, i veneziani non possono guardare a San Marco chiedendogli solo una generica protezione ma devono più che mai domandargli il coraggio e l’intraprendenza per guardare al presente e al futuro con più forza e ottimismo. I momenti di crisi, infatti, sono tempi in cui, a tutti, viene chiesto di dare di più, non di meno, d’essere più coraggiosi e meno timorosi. In particolare bisogna non cedere alla tentazione dell’individualismo, anzi impegnarsi a “far rete” e a guardare insieme alle scelte che riguardano l’interesse generale e che non parlano la lingua di una sola parte o, addirittura, di una parte contro l’altra ma, piuttosto, il linguaggio complesso e variegato del bene comune, con particolare attenzione al mondo del lavoro, della famiglia, dei giovani; soggetti che, in modi diversi, oggi sono messi a dura prova.
Come membri della comunità religiosa e civile siamo convinti che sia necessario fare appello a tutte le risorse morali e spirituali per guardare, con più serenità e determinazione, al presente e al futuro. Non si può cedere allo sconforto, non possiamo vivere il tempo che ci è stato dato, come una condanna. Al contrario, il tempo che ci è stato dato da vivere è qualcosa in cui dobbiamo abitare dando il meglio di noi stessi, per lasciare, a chi verrà dopo, i frutti della nostra fatica, del nostro coraggio, della nostra fantasia. Il nostro protettore Marco, non fece parte della cerchia apostolica - ossia dei Dodici - ma, attraverso il legame con essi e in modo particolare con l’apostolo Pietro - fondamento degli Apostoli e di tutta la Chiesa - ci trasmette quello che viene considerato il secondo vangelo; in esso abbiamo la testimonianza ecclesiale di tutte le cose dette e fatte da Gesù per noi. Nell’odierna, solenne, ricorrenza dell’evangelista che, come da calendario, cade in tempo pasquale, vogliamo soffermarci su un aspetto importante riguardante le apparizioni con cui il Signore risorto si manifesta ai suoi. In Marco, come d’altronde negli altri evangelisti, gli incontri col Signore risorto costituiscono e legittimano la Chiesa che appare come la comunità che nasce dalla sua morte/risurrezione e dal dono dello Spirito Santo. Il Vangelo di Marco termina con una duplice conclusione; la seconda costituisce - come è noto - un’aggiunta successiva, pur essendo, a tutti gli effetti, ispirata e canonica. In tal modo il vangelo che abbiamo appena ascoltato, proclamato dal diacono, vuol garantire che, una volta asceso al cielo, il Signore Gesù non è più visibilmente accessibile ai suoi. Allora, a Lui, subentreranno gli Undici, ossia, la Chiesa, che proprio da Lui, e tramite gli Undici, riceve il mandato missionario: “Apparendo agli Undici , Gesù disse loro: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”. Ma, dopo aver detto che, al posto di Gesù, vi è la santa Chiesa - ossia gli Undici mandati in missione dal Risorto -, il vangelo di Marco ne vuole proclamare l’indefettibilità, ossia il suo “non venir meno” a causa del male con cui, in ogni epoca, essa dovrà fare i conti, misurandosi con presenze che le si opporranno non solo dall’esterno ma, purtroppo, anche dall’interno.
Il prosieguo del brano evangelico odierno ci aiuta a comprendere tutto questo: “Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti, e se berranno qualche veleno, non recherò loro danno; imporrano le mani ai malati e questi guariranno ” (Mc16,17-18). Queste affermazioni non vanno intese pensando che gli apostoli e i loro successori saranno dei super-uomini o persone dotate di poteri magici, una specie di prestigiatori da spettacolo. Non saranno niente di tutto questo. Al contrario, il vangelo di Marco descrive, in estrema sintesi, quello che attraverso generi letterari fra loro differenti, occupa due interi libri del Nuovo Testamento: gli Atti degli Apostoli e, soprattutto, l’Apocalisse. Infatti, i due versetti che chiudono il Vangelo di Marco ci dicono, servendosi di immagini: “Scacceranno i demoni… prenderanno in mano i serpenti… se berranno qualche veleno non recherà loro alcun danno…”. Ciò significa che, alla fine, la salvezza ottenuta da Cristo sulla croce, e affidata alla sua Chiesa avrà - nonostante le tante sofferenze e persecuzioni - la meglio. Le porte degli inferi non prevarranno! Non a caso il libro degli Atti degli Apostoli s’interrompe proprio quando la salvezza raggiunge Roma che, all’epoca, era il centro e insieme il simbolo della totalità del mondo, mentre il libro dell’Apocalisse, dopo la narrazione di tante persecuzioni e sofferenze da parte delle Chiese e dei discepoli, termina con l’invocazione della Sposa - ossia la Chiesa - e dello Spirito che insieme dicono: vieni Signore Gesù! Per noi, che ci rallegriamo della protezione dell’evangelista Marco, la lettura meditata del suo Vangelo, in questo tempo pasquale, diventi il modo in cui vogliamo entrare personalmente e comunitariamente, di più e meglio, nella sua protezione. Ricordiamo, ancora, che cento anni fa, come oggi, s’inaugurava il ricostruito campanile di san Marco; infatti, proprio il 25 aprile 1912, alla città e ai veneziani, veniva restituito el paron de casa che, con le sue cinque campane ne ritmava e animava la vita; così, dopo dieci anni dal crollo del 14 luglio 1902, il grande campanile, piantato al lato della Basilica, tornava a presidiare una delle più belle piazze del mondo, per noi veneziani, la più bella piazza del mondo. Infine, oggi, è mio vivo desiderio anche a nome di tutta Chiesa veneziana, porgere gli auguri al carissimo patriarca Marco, la Vergine Nicopeia lo sostenga sempre con la sua tenerezza di Madre.


+ Francesco Moraglia

Patriarca di Venezia






Fraternamente CaterinaLD

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  FOCUS di Andrea Zambrano


Manifesto nel Triangolo della morte

 



È la proposta lanciata dal mensile "Il Timone" nel 70esimo anniversario della Liberazione. Dopo la beatificazione di Rolando Rivi, in cui si è riconosciuto che è stato ucciso in odio alla fede, il Timone ha censito almeno 80 sacerdoti uccisi tra il 1944 e il 1946 nel cosiddetto Triangolo della morte, fatto che giustificherebbe una beatificazione di gruppo.

Funerale per le vittime dei partigiani

 

«Questi sono i nostri beati». È questa l'ambiziosa “proclamazione” che il mensile di apologetica cattolica Il Timone propone ai lettori in occasione del 70esimo anniversario della Liberazione. Un dossier accurato e coraggioso, quello del mese di Aprile, in cui si affronta partendo dalla storia del beato Rolando Rivi, ucciso dai partigiani comunisti in odio alla fede sul finire della seconda guerra mondiale, le storie degli altri preti uccisi dalla violenza rossa. E ci si chiede che fare della loro memoria adesso che la Chiesa, con la beatificazione del seminarista martire, ha sancito che nel biennio '44-'46 si moriva in odium fidei.

È nato così un dossier di 12 pagine nel quale raccontare le storie degli oltre 80 preti uccisi dai partigiani la cui morte può essere attribuita a odio politico religioso. L'ambizione, spiega già nel titolo il mensile è chiara: «Proporre la beatificazione collettiva: saranno i nostri martiri del Triangolo della morte».

L'operazione è trasparente: «Dei 150 preti uccisi dalla violenza rossa, nel clima di vendette e ritorsion, un buon numero trovò la morte perché apertamente simpatizzante del Regime fascista e dunque compromesso, anche se un prete ucciso, da una parte o dall'altra, porta sempre dietro di sé un aberrante sacrilegio. Pochi cadono vittime di errori e vendette personali per questioni banali: eredità, prestiti etc...». «Ma c'è un numero – fa notare la rivista – che una ricerca storica degna di tal nome deve incaricarsi di definire in maniera scientifica e che attualmente si aggira sulle 70-80 unità che trova la morte in un contesto ideologico-politico».

In sostanza, secondo quanto ricostruisce il Timone, furono uccisi perché tenacemente anticomunisti. Avevano capito che mentre si combatteva la guerra di Liberazione le formazioni marxiste stavano utilizzando quel vasto movimento insurrezionale in vista di un'imminente rivoluzione comunista. Si tratta per lo più di preti emiliani e friulani, uccisi perché dal pulpito condannavano non solo le aberrazioni della guerra, ma anche l'ideologia marxista che ispirava i princìpi di molte brigate partigiane.

Il dossier si avvale di testimonianze di preti scampati ad agguati che erano finiti nella lista nera, come quella di don Raimondo Zanelli, oggi 85enne. Ma anche di documenti, tra cui lettere e diari, in cui viene mostrata la pianificazione strategica della caccia al prete da parte dei partigiani comunisti che non accettavano un disimpegno nella causa della Resistenza da parte di quei preti che non condividevano le impostazioni ideologiche delle Brigate Garibaldi.

Ma la parte centrale del dossier racconta le storie di religiosi il cui ricordo oggi rischia di perdersi defintivamente con la morte degli ultimi testimoni. Da don Luigi Lenzini, la cui causa di beatificazione è già a Roma a don Umberto Pessina, ucciso per il suo zelo anticomunista e sulla cui morte la giustizia ha detto una parola definitiva solo 40 anni dopo aver vinto la cortina di fumo del Pci che conosceva i veri assassini e lasciò condannare un innocente. Ma c'è anche don Francesco Bonifacio, il santo degli infoibati. Senza dimenticare le storie di don Augusto Galli, ucciso perché nella lista nera e infamato successivamente con l'attribuzione di un'amante, e don Giuseppe Iemmi, che dal pulpito condannò l'uccisione di un fascista e venne freddato dai partigiani.

Le accuse per coprire quelle uccisioni venivano sempre giustificate attraverso un canovaccio che molto spesso ha retto alla prova degli anni anche per l'assenza di rigorosi processi giudiziari. Per alcuni lo spionaggio ai nazifascisti, per altri l'infamia di un'amante, per altri ancora l'attività anti-resistenziale o anche solo aver ospitato in canonica un fascista in fuga. Accuse politiche dunque. Ma come fa notare don Nicola Bux nel suo contributo, «per diminuire la portata del sacrificio dei cristiani fin dai tempi di Gesù, si è cercato di giustificare le uccisioni per motivi politici e non per odium fidei. In realtà le due cause si fondono perché l'amore per la Patria è una virtù cristiana e perché nel sangue dei sacerdoti uccisi anche di quelli di cui non si conosce neppure il nome è presente una teologia della persecuzione che ha sempre accompagnato la vita della Chiesa».

Ma c'è anche un aspetto che a 70 anni merita di essere ricordato: è la straordinaria avventura dei partigiani bianchi, cattolici, che morirono gridando “Viva Cristo Re” e che a differenza dei partigiani comunisti – come spiega lo storico Alberto Leoni – «agivano nel rispetto della popolazione civile». Si fanno largo le storie di Giuseppe Cederle o Aldo Gastaldi “Bisagno”, ma anche di Franco Balbis. E non possono mancare le vicende epiche dei partigiani uccisi da altri partigiani, come il caso del comandante cattolico della Sap di Reggio Emilia Mario Simonazzi “Azor” i cui assassini, certamente partigiani, non vennero mai trovati. A indagare sulla sua morte una figura straordinaria di cattolico, partigiano e giornalista: Giorgio Morelli, che diede vita ad un'avventura editoriale con la Nuova Penna, nella quale per primo denunciò le uccisioni ad opera dei partigiani comunisti nel Triangolo della morte. Per questo suo impegno venne fatto oggetto di un agguato e morì per le conseguenze dello sparo poco tempo dopo. Anche lui un martire del Triangolo rosso. 

Per richiedere una copia del Timone di aprile clicca qui oppure scrivi a info@iltimone.org

 






Fraternamente CaterinaLD

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23/04/2015 21:22
 
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  I martiri della guerra civile italiana (1943-1949) - Don Luigi Lenzini, Servo di Dio (Modena 1881 - Modena 1945)


 


"So di essere alla tua presenza, o Gesù mio, e benché con gli occhi non ti veda, pure la Fede mi dice che Tu sei lì in quell’Ostia, vivo e vero, come lo fosti un dì sulla terra.
Sì, lo credo, o Gesù, più che se ti vedessi con gli occhi, e sapendo di essere alla tua reale presenza, il mio primo dovere è di adorarti.
Ti adoro con lo spirito di adorazione con cui ti adorò tua Madre, quando ti vide nato nella grotta di Betlemme. Voglio la Fede e la carità del tuo padre putativo S. Giuseppe per adorarti come meriti. Ti adoro con le adorazioni dei tuoi Apostoli e soprattutto con quella del tuo diletto Pietro, quando ti disse: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente".
Fa’, o Gesù, che la mia adorazione non si limiti a questo giorno, ma che il mio pensiero sia sempre vicino al tuo santo Tabernacolo".

Don Luigi Lenzini
 
 
Processo diocesano "sprint". già a Roma la causa. Nascondeva i partigiani, ma predicava contro l'ideologia comunista. Presagiva la sua fine e la confidò in predica. Fu torturato e ucciso, la sentenza di morte emessa da una cellula del PCI.

Ucciso sull'Appennino Tosco Emiliano a pochi Km dal luogo di martirio di Rolando Rivi, Don Luigi Lenzini oggi è stato proclamato Servo di Dio dall'Arcidiocesi di Modena e Nonantola. Parroco di Crocette di Pavullo (in provincia di Modena), Don Lenzini era a conoscenza del clima di aperto odio verso i preti, però riteneva che fosse suo dovere mettere in guardia i giovani contro i nemici della fede e della libertà.

Al tempo stesso condannava la violenza di operazioni belliche compiute in prossimità di nuclei abitati che comportavano ritorsioni sulla popolazione civile. Fu minacciato più volte di morte. E per questo venne preso di mira: attraverso di lui si voleva dare una lezione agli altri sacerdoti, perché non prendessero posizione sui fatti concreti, ma parlassero soltanto di un'etica astratta, non riconducibile a fatti reali, altrimenti venivano accusati di fare "politica".

Le sue omelie vennero regolarmente riferite alla sede del partito comunista di Pavullo in modo rozzo e tali da apparire come una severa condanna di quella parte politica. Ci fu un episodio che vide protagonista il toscano Ermanno Cirri, che nella sede del partito esclamò: "Quello è un prete da togliere dalla spesa". Lo cercò e ai suoi parrocchiani disse che "che voleva insegnargli come si doveva parlare in chiesa". Don Lenzini gli rispose che era il parroco e non poteva non fare il suo dovere.
Pur minacciato di morte - spiega oggi il comitato che sostiene la sua causa di beatificazione - egli sentiva il dovere di predicare la verità; Tuttavia dava l'impressione a chi lo avvicinava, di presentire che qualche cosa di terribile stava per abbattersi sulla sua umile vita. Fu visto alcune volte in sacrestia impegnato in discussioni concitate con sconosciuti.

Più volte, la domenica, spiegando il Vangelo, fece intravedere ai fedeli il dramma che si agitava nel suo cuore: "Mi hanno imposto di tacere, mi vogliono uccidere, ma devo fare il mio dovere anche a costo della vita.

Il 21 luglio 1945, a guerra ormai finita, venne svegliato con il pretesto di portare i sacramenti ad un moribondo, ma capì che era un espediente, così rispose che aveva visitato l'ammalato la stessa sera e sarebbe tornato l'indomani mattina. Gli assalitori penetrarono in canonica da una finestra lasciata aperta, con una scala a pioli.  Quattro individui mascherati ed armati terrorizzarono la perpetua, la figlia e la nipote, che fuggirono in una casa vicina. Il sacerdote tentò di salvarsi rifugiandosi nel campanile e suonando la campana a  martello, ma gli assalitori cominciarono a sparare sul piazzale.

Erano persone pratiche della canonica e del campanile e trascinarono giù il sacerdote in camicia da notte, lungo un sentiero nel bosco.

Don Lenzini fu torturato brutalmente e assassinato.
Il suo corpo semisepolto fu rinvenuto una settimana dopo in una vigna.
Lo stato del cadavere fece chiaramente capire che gli assassini avevano infierito sul sacerdote con efferata crudeltà.
L'unico processo del 1949 si svolse in un'atmosfera di paura e di omertà e non seppe assicurare alla giustizia umana i colpevoli, mandanti ed esecutori. Gli imputati furono assolti per insufficienza di prove.
L'8 giugno 2011 viene aperto il processo diocesano e proclamato il parroco Servo di Dio.
La causa è ora a Roma presso la Congregazione per le cause dei santi.

(Fonte: Don Luigi Lenzini (clicca qui) ).

Tratto dal Dossier 
"I santi martiri del triangolo della morte,
 calunniati e massacrati in nome di Cristo",





L’assassinio di Don Virginio Icardi
“Italicus”

Nel tardo pomeriggio , le 18, del 2 dicembre 1944, sulla strada che porta a Mioglia, in localita’ Trutti, viene assassinato a colpi d’arma da fuoco il Parroco di Squaneto, Don Virgilio Icardi mentre torna da una sobria cena con amici.
Uno dei tanti omicidi compiuti in nome della cosidetta Liberazione.
Qualcuno afferma che gli assassini sarebbero tre partigiani garibaldini arrivati apposta da Savona.

Perche’ Don Icardi e’ stato ammazzato, da chi e soprattutto chi e cosa era il Parroco di Squaneto ( Spigno Monferrato) ?

Don Icardi, nasce nel 1908 a Cassinelle ( AL ), a 18 anni viene ordinato Sacerdote dalla Diocesi di Acqui Terme, inizia subito facendo il vice parroco a Bistagno, poi viene nominato parroco a Squaneto, un piccolissimo centro di circa 38 famiglie, tutte di agricoltori.
Don Icardi e’ un giovane e coraggioso prete di frontiera, deciso e pieno di spirito di iniziativa. Vive grazie al suo duro lavoro di taglialegna, senza farsi mantenere dai parrocchiani, molto piu’ poveri di lui.
Dopo l’otto settembre, la zona subisce l’occupazione nazista e i rastrellamenti , Don Icardi , idealista e vero patriota, freme a vedere l’occupazione nazista, inizia i contatti con la Resistenza, quella vera, e approccia le formazioni partigiane non comuniste, i Mauri, che operano nelle Langhe.
Forma egli stesso un gruppo, di circa cento elementi, che prende il nome di “italicus”, che e’ il suo stesso nome di battaglia.

Don Icardi e’ un Resistente anomalo, usa il termine Patriota, prende le distanze dalla “lotta di classe” che alcune formazioni garibaldine portano avanti nell’acquese, intrattiene rapporti di non belligeranza con il Generale Farina, della San Marco e grazie alla sua preziosa opera di mediazione salva ben 42 ostaggi dal boia nazista presso Malvicino. Ma tutto cio’ non salvera’ egli stesso dal piombo partigiano.

Per questo suo ruolo di fiero e etico Resistente non comunista, Don Icardi viene prima ammonito dal Vescovo di Acqui e poi addirittura sospeso a Divinis.
Perche’ Don Icardi, viene assassinato da tre partigiani giunti appositamente da Savona ??

Per una serie di motivi molto abbietti ma importanti per coloro che lo uccisero : era un capo partigiano di un reparto autonomo, non comunista, che quindi non obbediva alla logica perversa del commissario politico; Era stimato e ammirato dai suoi uomini, che gli ubbidivano ciecamente; aveva credibilita’ ed autorevolezza presso gli stessi suoi avversari, cosa che gli permise di fare scambi di prigionieri;
non permetteva le razzie dei partigiani sui civili del suo territorio; e cosa molto importante, custodiva, sulla cella campanaria, i beni ed i valori che i contadini del suo paese, gli avevano affidato in custodia, per evitare che i nazisti o i partigiani comunisti li sequestrassero. Erano in buone mani., le sue, quando era in vita. Subito dopo la sua uccisione, questi beni sparirono dal campanile.

Il suo corpo, verra’ trovato verso le 21, da un passante in bici, che correra’ ad avvisare la guardia comunale. Trasportato su una lettiga di legno, sara’ composto nella Cappella di San Lorenzo.
Il provvedimento di sospensione, vale sempre per il povero sacerdote, e il Vescovo di Acqui, molto zelantemente, vieta le esequie religiose, dopo essere stato assassinato deve subire anche questa ingiuria.
Italicus, sara’ seppellito nel Cimitero Militare di Altare.
E solo nel 2006, (dopo un lungo processo diocesano per volontà dei Vescovi della diocesi) finalmente, la sua salma puo’ ricevere una messa e la conseguente riabilitazione.

Ovviamente, i tre assassini erano noti e conosciuti, ma non dovettero subire alcuna pena, anche se avevano spento una nobile vita…

******************************



  UNA BREVE LISTA di RELIGIOSI Quei sacerdoti uccisi dai partigiani che la Chiesa dovrebbe beatificare. Un dossier del Timone ( tra frati e preti) UCCISI PER "MOTIVI POLITICI" ma in verità in odio alla fede che professavano
 

AMATEIS Don Giuseppe, parroco di Coassolo (Torino), ucciso a colpi di ascia dai partigiani comunisti il 15 marzo 1944, perché aveva deplorato gli eccessi dei guerriglieri rossi.
 
AMATO Don Gennaro, parroco di Locri (Reggi o Calabria), ucciso nell’ottobre 1943 dai capi della repubblica comunista di Caulonia.
 
AMBROSI Don Luigi.
 
ARINCI Marino: seminarista.
 
BANDELLI (Bandeli) Don Ernesto, parroco di Bria, ucciso dai partigiani slavi a Bria il 30 aprile 1945.
 
BARDET (Border) Don Luigi, parroco di Hone (Aosta), ucciso il 5 marzo 1946 perché aveva messo in guardia i suoi parrocchiani dalle insidie comuniste.
 
BARDOTTI Don Ugo.
 
BAREL Don Vittorio, economo del seminario di Vittorio Veneto, ucciso il 26 ottobre 1944 dai partigiani comunisti.

BARTHUS Padre Stanislao della Congregazione di Cristo Re (Imperia), ucciso il 17 agosto 1944 dai partigiani perché in una predica aveva deplorato le «violenze indiscriminate dei partigiani».
 
BARTOLINI (Bortolini) Don Corrado, parroco di Santa Maria in Duno (Bologna), prelevato dai partigiani il 1° marzo 1945 e fatto sparire.
 
BASTREGHI Don Duilio, parroco di Cigliano e Capannone Pienza, ucciso la notte del 3 luglio 1944 dai partigiani comunisti che lo avevano chiamato con un pretesto.
 
BEGHE’ don Carlo, Parroco di Novegigola (Apuania), sottoposto il 2 marzo 1945 a finta fucilazione che gli produsse una ferita mortale.
 
BONIFACIO Don Francesco, curato di Villa Gardossi (Trieste), catturato dai miliziani comunisti Jugoslavi l’11 settembre 1946 e gettato in una foiba.
 
BOLOGNESI Don Sperindio, parroco di Nismozza (Reggio Emilia), ucciso dai partigiani comunisti il 25 ottobre 1944.
 
BORTOLINI Don Raffaele, canonico della Pieve di Cento, ucciso dai partigiani la sera del 20 giugno 1945.
 
BOVO (Bove) Don Luigi, parroco di Bertipglia (Padova), ucciso il 25 settembre 1944 da un partigiano comunista poi giustiziato.
 
BRAGHINI Dino: Chierichetto.
 
BULLESCHI Don Miroslavo, parroco di Monpaderno, (Diocesi di Parenzo e Pola), ucciso il 23 agosto 1947 dai comunisti iugoslavi.
 
BEGNE’ Don Carlo
 
BUSI Don Gogoli.
 
CALCAGNO Don Tullio – direttore di «Crociata Italica», fucilato dai partigiani comunisti a Milano il 29 aprile 1945.
 
CALE’- Don Ernesto.
 
CAVIGLIA Don Sebastiano, cappellano della GNR, ucciso il 27 aprile 1945 ad Asti.
 
CERAGIOLO Padre Giovan-Crisostomo, o.f.m., cappellano militare decorato al valor militare, Prelevato il 19 maggio 1944 da partigiani comunisti nel convento di Montefollonico e trovato cadavere in una buca con le mani legati dietro la schiena.
 
CIOCCHETTI Don Paolo
 
CORSI Don Aldemiro, parroco di Grassano (Reggio Emilia), assassinato nella sua canonica, con la domestica Zeffirina Corbelli, da partigiani comunisti, la notte del 21 settembre 1944.
 
CORTIULA Don Virgilio, ucciso con suo padre e Pavine Virgilio.
 
CRECCHI Don Ferruccio, parroco di Levigliani (Lucca), fucilato all’arrivo delle truppe di colore nella zona, su false accuse dei comunisti del luogo.
 
CURCIO Don Antonio, cappellano dell’11° Btg. Bersaglieri, ucciso il 7 agosto 1941 a Dugaresa da comunisti croati.
 
DAMIANI Padre Sigismondo, o.f.m. ex cappellano militare, ucciso dai comunisti slavi a San Genesio di Macerata l’ 11 marzo 1944.
 
DAPPORTO Don Teobaldo, arciprete di Casalfiumanese (Diocesi di Imola), ucciso da un comunista nel settembre 1945.
 
DE AMICIS Don Edmondo, cappellano, pluridecorato della prima guerra mondiale, venne colpito a morte dai «gappisti», a Torino, sulla soglia della sua abitazione nel tardo pomeriggio del 24 aprile 1945, e spirò dopo quarantotto ore di atroce agonia.
 
DIAZ Don Aurelio, cappellano della Sezione Sanità della divisione «Ferrara», fucilato nelle carceri di Belgrado nel gennaio del ‘45 da partigiani «Titini».
 
DOLFI Don Adolfo, canonico della Cattedrale di Volterra, sottoposto il 28 maggio 1945 a torture che lo portarono alla morte l’8 ottobre successivo.
 
DONATI Don Enrico, arciprete di Lorenzatico (Bologna), massacrato il 28 maggio 1945 sulla strada di Zenerigolo.
 
DONINI Don Giuseppe, parroco di Castagneto (Modena). Trovato ucciso sulla soglia della sua casa la mattina del 20 aprile 1945. La colpa dell’uccisione fu attribuita in un primo momento ai tedeschi, ma alcune circostanze, emerse in seguito, stabilirono che gli autori del sacrilego delitto furono gli altri.
 
DORFMANN Don Giuseppe, fucilato nel bosco di Posina (Vicenza) il 27 aprile 1945.
 
D’OVIDIO Don Vincenzo, parroco di Poggio Umbricchio (Teramo), ucciso nel maggio ‘44 sotto la falsa accusa di filo-fascismo.
 
ERRANI Don Giovanni, cappellano militare della GNR, decorato al vm., condannato a morte dal CNL di Forli, salvato dagli americani e poi deceduto a causa delle sofferenze subite.
 
FALCHETTI Don Giovanni.
 
FASCE Don Colombo, parroco di Cesino (Genova), ucciso nel maggio del ‘45 dai partigiani comunisti.
 
FAUSTI padre Giovanni, superiore generale dei Gesuiti in Albania, fucilato il 5 marzo 1946 perché Italiano. Con lui furono trucidati altri sacerdoti dei quali non si è mai potuto conoscere il nome.
 
FERRAROTTI Padre Femando, o.f.m., cappellano militare reduce dalla Russia, ucciso nel giugno 1944 a Champorcher (Aosta) dai partigiani comunisti.
 
FERRETTI Don Gregorio, parroco di Castelvecchio (Teramo), ucciso dai partigiani slavi ed italiano nel maggio 1944.
 
FERRUZZI Don Giovanni, arciprete di Campanile, Diocesi di Imola, ucciso dai partigiani il 3 aprile 1945.
 
FILIPPI Don Achille, parroco di Maiola (Bologna), ucciso la sera del 25 luglio 1945 perché accusato di filofascismo.
 
FONTANA Don Sante, parroco di Comano (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 6 gennaio 1945.
 
FORNASARI Mauro: seminarista.
 
GABANA don Giuseppe, della diocesi di Brescia, cappellano della VI legione della Guardia di Finanza ucciso il 3 marzo 1944 da un partigiano comuni sta.
 
GALASSI Don Giuseppe, arciprete di S. Lorenzo in Selva (Imola), ucciso il 1° maggio 1945 perché sospettato di filofascismo.
 
GALLETTI Don Tiso, parroco di Spazzate Sassatelli (Imola), ucciso il 9 maggio 1945 perché aveva criticato il comunismo.
 
GIANNI Don Domenico, cappellano militare in Jugoslavia, prelevato la sera del 21 aprile 1945 e soppresso dopo tre giomi.
 
GUICCIARDI Don Giovarmi, parroco di Mocogno (Modena), ucciso il 10 giugno 1945 nella sua canonica dopo sevizie atroci da chi, col pretesto della lotta di liberazione, aveva compiuto nella zona una lunga serie di rapine e delitti, con totale disprezzo di ogni legge umana e divina.
 
ICARDI Don Virgilio, parroco di Squaneto (Aqui), ucciso il 4 luglio 1944, a Preto, da partigiani comunisti.
 
ILARDUCCI Don Luigi, parroco di Garfagnolo (Reggio Emilia), ucciso il 19 agosto 1944 da partigiani comunisti.
 
JEMMI Don Giuseppe, cappellano di Felina (Reggio Emilia), ucciso il 19 aprile 1945 perché aveva deplorato gli «eccessi inumani di quanti disonoravano il movimento partigiano».
 
LAVEZZARI Serafino: Seminarista.
 
LENZINI Don Luigi, parroco di Crocette di Pavullo (Modena), trucidato il 20 luglio 1945. Nobile, autentica figura di Martire della Fede.
Prelevato nottetempo da un’orda di criminali, strappato dalla sua chiesa, torturato, seviziato, fu ucciso dopo lunghissime ore di indescrivibile agonia, quale raramente si trova nella storia di tutte le persecuzioni.
Si cercò di soffocare con lui, dopo che le minacce erano risultate vane, la voce più chiara, più forte e coraggiosa che, in un’ora di generale sbandamento morale, metteva in guardia contro i nemici della Fede e della Patria.
Il processo, celebrato in una atmosfera di terrore e di omertà, non seppe assicurare alla giustizia umana i colpevoli, mandanti ed esecutori, i quali, con tale orribile delitto, non unico, purtroppo, hanno gettato fango, umiliazione e discredito sul nome della Resistenza Italiana. Ma dalla gloria all’Eternità, come nella fosca notte del Martirio Don Luigi Lenzini fa riudire la ultime parole della sua vita, monito severo e solenne, che invitano a temere e a stimare soltanto il giusto Giudizio di Dio. (N.B. – Volantino fatto stampare a Pavullo l’8 agosto 1965).
 
LOMBARDI Don Nazzareno.
 
LORENZELLI Don Giuseppe, priore di Corvarola di Bagnone (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 27 febbraio 1945, dopo essere stato obbligato a scavarsi la fossa.
 
LUGANO Don Placido.
 
MANFREDI Don Luigi, parroco di Budrio (Reggio Emilia), ucciso il 14 dicembre 1944 perché aveva deplorato gli «eccessi partigiani».
 
MATTIOLI Don Dante, parroco di Coruzza (Reggio Emilia), prelevato dai partigiani rossi la notte dell’11 aprile 1945.
 
MERLI Don Ferdinando, mensionario della Cattedrale di Foligno, ucciso il 21 febbraio 1944 presso Assisi da jugoslavi istigati dai comunisti italiani.
 
MERLINI Don Angelo, parroco di Fiainenga (Foligno), ucciso il medesimo giomo dagli stessi, presso Foligno.
 
MESSURI Don Armando, cappellano delle Suore della S. Famiglia in Marino, ferito a morte dai partigiani comunisti e deceduto il 18 giugno 1944.
MORA Don Giacomo.
 
NANNINI Don Adelfo, parroco di Cercina (Firenze), ucciso il 30 maggio 1944 da partigiani comunisti.
 
NARDIN Don Simone, dei benedettini Olivetani, tenente cappellano dell’ospedale militare «Belvedere» in Abbazia di Fiume, prelevato dai partigiani jugoslavi nell’aprile 1945 e fatto morire tra sevizie orrende.
 
OBID Don Luigi, economo di Podsabotino e San Mauro (Gorizia), prelevato da partigiani e ucciso a San Mauro il 15 gennaio 1945.
 
PADOAN Don Antonio, parroco di Castel Vittorio (Imperia), ucciso da partigiani l’8 maggio 1944 con un colpo di pistola in bocca ed uno al cuore.
 
PAVESE Don Attilio, parroco di Alpe Gorreto (Tortona), ucciso il 6 dicembre 1944 da partigiani dei quali era cappellano, perché confortava alcuni prigionieri tedeschi condannati a morte.
 
PELLIZARI Don Francesco, parroco di Tagliolo (Acqui), chiamato nella notte del 5 maggio 1945 e fatto sparire per sempre.
 
PERAI Don Pompeo, parroco dei Ss. Pietro e Paolo di città della Pieve, ucciso per rappresaglia partigiana il 16 giugno 1944.
 
PERCIVALLE Don Enrico, parroco di Varriana (Tortona), prelevato da partigiani e ucciso a colpi di pugnale il 14 febbraio 1944.
 
PERKAN Don Vittorio, parroco di Elsana (Fiume), ucciso il 9 maggio 1945 da partigiani mentre celebrava un funerale.
 
PESSINA Don Umberto, parroco di San Martino di Carreggio, ucciso il 18 giugno 1946 da partigiani comunisti.
 
PERSICHILLO Don Giovanni.
 
PETRI Don Aladino, pievano di Caprona (Pisa), ucciso il 2 giugno 1944 perché ritenuto filo-fascista.
 
PETTINELLI Don Nazzareno, parroco di Santa Lucia di Ostra di Senigallia, fucilato per rappresaglia partigiana l’l 1 luglio 1944.
 
PIERAMI Giuseppe, seminarista, studente di teologia della diocesi di Apuania, ucciso il 2 novembre 1944, sulla Linea Gotica, da partigiani comunisti.
 
PISACANE Don Ladislao, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso da partigiani slavi il 5febbraio 1945 con altre dodici persone.
 
PISK Don Antonio, curato di Canale d’Isonzo (Gorizia), prelevato da partigiani slavi il 28 ottobre e fatto sparire per sempre.
 
POLIDORI Don Nicola, della diocesi di Nocera e Gualdo, fucilato il 9 giugno 1944 a Sefro da partigiani comunisti.
 
PRECI Don Giuseppe, parroco di Montalto (Modena). Chiamato di notte col solito tranello, fu ucciso sul sagrato della chiesa il 24 maggio 1945.
 
RASORI Don Giuseppe, parroco di San Martino in Casola (Bologna), ucciso la notte sul 2 luglio 1945 nella sua canonica, sotto accusa di filo-fascismo.
 
REGGIANI Don Alfonso, parroco di Amola di Piano (Bologna), ucciso da marxisti la sera del 5 dicembre 1945.
 
RIVI Rolando, seminarista, di Piane di Monchio (Reggio Emilia), di 16 anni, ucciso il 10 aprile 1945 da partigiani comunisti, solo perchè indossava la veste talare. E' stato beatificato nel 2013.
 
ROCCO Don Giuseppe, parroco di Santa Maria, diocesi di S. Sepolcro, ucciso da slavi il 4 maggio 1945.
 
ROMITI Padre Angelico, o.f.m., cappellano degli allievi ufficiali della Scuola di Fontanellato, decorato al v.m., ucciso la sera del 7 maggio 1945 da partigiani comunisti.
 
SALVI Don Guido.
 
SANGIORGI Don Leandro, salesiano, cappellano militare decorato al v.m., fucilato a Sordevolo Biellese il 30 aprile 1945.
 
SANGUANINI Don Alessandro, della congregazione della Missione, fucilato a Ranziano (Gorizia), il 12 ottobre 1944 da partigiani slavi per i suoi servimenti di italianità.
 
SLUGA Don Lodovico, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso insieme al confratello Don Pisacane il 5 febbraio 1944.
 
SOLARO Don Luigi, di Torino, ucciso il 4 aprile 1945 perché congiunto del federale di Torino Giuseppe Solaro anch’egli soppresso.
 
SPINELLI Don Emilio, parroco di Campogialli (Arezzo), fucilato il 6 maggio 1944 dai partigiani sotto accusa di filo-fascismo.
 
SPOTTI Nerumberto, Chierichetto.
 
SQUIZZATO Padre Eugenio o.f.m., cappellano partigiano ucciso dai suoi il 6 aprile 1944 fra Corio e Lanzo Torinese perché impressionato dalle crudeltà che essi commettevano, voleva abbandonare la formazione.
 
TALE’ Don Ernesto, parroco di Castelluccio Formiche (Modena), ucciso insieme alla sorella l’l 1 dicembre 1944.
 
TAROZZI Don Giuseppe, parroco di Riolo (Bologna), prelevato la notte sul 26 maggio 1945 e fatto sparire. Il suo corpo fu bruciato in un forno di pane, in una casa colonica.
 
TATICCHIO Don Angelo, parroco di Villa di Rovigno (Pola), ucciso dai partigiani jugoslavi nell’ottobre 1943 perché aiutava gli italiani.
 
TAZZOLA Don di lui non si seppe più nulla.
 
TERENZIANI Don Carlo, prevosto di Ventoso (Reggio Emilia), fucilato la sera del 29 aprile 1945 perché ex cappellano della milizia.
 
TERILLI Don Alberto, arciprete di Esperia (Frosinone), morto in seguito a sevizie inflittegli dai marocchini, eccitati da partigiani, nel maggio 1944.
 
TESTA Don Andrea, parroco di Diano Borrello (Savona), ucciso il 16 luglio 1944 da una banda partigiana perché osteggiava il comunismo.
 
TORRICELLA Mons. Eugenio Corradino, della diocesi di Bergamo, ucciso il 7 gennaio ‘44, ad Agen (Francia) da partigiani comunisti per i suoi sentimenti d’italianità.
 
TRCEK Don Rodolfo, diacono della diocesi di Gorizia, ucciso il l° settembre 1944 a Montenero d’Idria da partigiani comunisti.
 
VENTURELLI Don Francesco, parroco di Fossoli (Modena), ucciso il 15 gennaio 1946 perché inviso ai partigiani.
 
VIAN Don Gildo, parroco di Bastia (Perugia), ucciso dai partigiani comunisti il 14 luglio 1944.
 
VIOLI Don Giuseppe, parroco di Santa Lucia di Medesano (Parma), ucciso il 31 novembre 1945 da partigiani comunisti.
 
ZALI Don Francesco.
 
ZAVADLOV Don Isidoro.
 
ZOLI Don Antonio, parroco di Morra del Villar (Cuneo), ucciso dai partigiani comunisti perché durante la predica del Corpus Domini del 1944 aveva deplorato l’odio tra fratelli come una maledizione di Dio.





[Modificato da Caterina63 24/04/2015 10:02]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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