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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Un Vescovo disobbediente è la rovina del gregge: denuncie di situazioni inaccettabili

Ultimo Aggiornamento: 27/02/2013 13:26
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INTERVISTA ESCLUSIVA A DON NICOLA BUX

Siamo lieti di pubblicare questa intervista in esclusiva concessa a
Fides et Forma da don Nicola Bux, Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Santo Padre e teologo di notevole fama. Don Bux ha pubblicato recentemente il volume "La Riforma di Benedetto XVI" edito per i tipi della Piemme che sarà presentato la prossima settimana nella sua edizione spagnola, con prefazione di S.E. Cardinal Canizares Llovera a Madrid e Siviglia.

di Francesco Colafemmina

A due anni dalla pubblicazione del Motu Proprio
Summorum Pontificum si può parlare di un vero e proprio fervore liturgico, teso alla riscoperta dei tesori millenari del culto cattolico. Don Nicola Bux, professore della Facoltà Teologica Pugliese, nonché Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice è un testimone eccellente di questo fervore.
Il suo recente saggio dal titolo rivelatore “La Riforma di Benedetto XVI” edito in Italia per i tipi della Piemme è già alla seconda edizione e nuove edizioni in varie lingue sono in corso di pubblicazione.

Don Bux, come spiega questo successo della “riforma” di Papa Benedetto, come lei stesso l’ha autorevolmente definita? E perché questo termine: “riforma”?

Il Santo Padre spiegando nella
Lettera ai vescovi perché ha ritenuto una “priorità” la remissione della scomunica, scrive: “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio”. Ora, un canto attribuito a san Paolino da Nola dice: Ubi charitas et amor Deus ibi est. Non dovremo quindi dilatare gli spazi dell’amore perché Dio sia presente nel mondo? Questo il senso del gesto del Pontefice. Ma egli aggiunge che si deve aprire l’accesso “Non ad un qualsiasi dio, ma a quel dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine(cfr Gv 13,1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto”. Ora, non è questo il senso vero della Liturgia? Far incontrare la presenza di Dio all’uomo che cerca la Verità, il suo Mistero presente che precede sempre la nostra esistenza nel mondo? Il Concilio approvò per primo la Costituzione liturgica anche per questa ragione: la Chiesa deve parlar di Dio all’uomo, farglielo incontrare.
L’uomo cerca la Bellezza “Veritatis splendor”: la “riforma” se non servisse a ciò sarebbe inutile maquillage per esibire meglio noi stessi. Ma la vera riforma mira a dare a Dio il posto che gli spetta prima di tutto e al centro di tutto. In realtà riforma significa ri-forma (“ritorno alla bellezza”), senza passatismi inutili o idee di restaurazione.

Tradizione e innovazione sono dunque espressioni da dimenticare?

Tutt’altro. La migliore definizione della tradizione l’ha data san Paolo: ”Ho ricevuto dal Signore quanto vi ho anche trasmesso”(1 Cor 11,23).
L’Apostolo si riferisce alla fractio panis, l’eucaristia che è il centro della sacra liturgia. Per questo la liturgia si riceve dalla Tradizione che è fonte della Rivelazione insieme alla Scrittura. Ora, traditio viene da tradere, un verbo di movimento che, per essere tale, implica cambiamento e vita, trasporto di cose antiche e nuove, perché Egli, il Verbo eterno, fa nuove tutte le cose (Ap 21..).
Qui la tradizione diventa innovazione che non è una cosa diversa che viene dal mondo, da fuori, ma da dentro, perciò in-novazione, da Colui che è il Vivente. Mons. Piero Marini ha recentemente affermato in una conferenza che sulla tradizione c’è molta confusione. Gli dò ragione, anzi, mi piacerebbe che un giorno potessimo colloquiare su questo proprio per contribuire a pacificare gli spiriti, con verità e amore. Noi sacerdoti che serviamo nel Corpo mistico di Gesù Cristo siamo chiamati a dare l’esempio, soprattutto praticando la riconciliazione.

Negli ultimi mesi le celebrazioni della Messa nella forma straordinaria sembrano essersi diffuse e non sono più riservate a pochi appassionati, bensì promosse da personalità di alto profilo. Solo nelle scorse settimane abbiamo avuto gli splendidi esempi del Card. Canizares Llovera e del Card. Zen che hanno voluto rimarcare la forza liturgica del rito antico. Dunque davvero, come affermava l’allora Cardinal Ratzinger, “Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa”?

La ragione d’essere dell’episcopato è nell’essere uno col Capo del collegio, il Santo Padre. Un vescovo che disobbedisce – come un prete che facesse altrettanto col vescovo – è come un membro disarticolato dal corpo e reca scandalo ai fedeli.
Quindi, il Prefetto del Culto divino, - al quale va in queste ore in cui è ricoverato al Policlinico Gemelli il mio pensiero e la mia costante preghiera - e gli altri ecclesiastici non fanno altro che il proprio dovere dando l’esempio. Per edificare il Regno e la Chiesa, è più importante l’obbedienza umile o la mia opinione fosse anche teologicamente attrezzata? Il fatto che il Santo Padre non abbia imposto, ma proposto la ripresa della Messa gregoriana – così amo chiamarla con Martin Mosebach perché risale a Gregorio Magno – sta avendo e avrà un effetto trainante ancora più grande. Perché i vescovi temono di tornare indietro? Non voleva la riforma liturgica ripristinare anche l’antico? Cosa di più venerabile della Messa di san Gregorio? Non dovremmo imitare lo scriba evangelico che trae dal tesoro cose nuove e antiche? Abbiamo incentivato musei diocesani ove ammirare le bellezze che prima erano nelle chiese e i concerti per ascoltare le musiche sacre che prima si eseguivano nei riti. Nei musei e ai concerti vanno solo gli appassionati, mentre alla liturgia vanno tutti.

Ha senso privare il popolo di ciò che gli spetta, favorendo quasi una Chiesa d’èlite? Piuttosto, vescovi e clero, guardiamo il grande movimento di giovani che si è creato intorno alla messa gregoriana, in crescendo continuo –basta andare su internet- già sono i giovani e non nostalgici. Far finta di non vedere è grave per chi per definizione deve episcopein, osservare attorno, monitorare. Lo rifiuteremo solo perché non è nato da me o non corrisponde alla mia sensibilità? Chi mi conosce, sa che da giovane laico e poi chierico sono stato tra i promotori in diocesi e oltre della riforma liturgica: questa ora continua mettendo insieme nuovo e antico, agganciandosi meglio al dogma: è noto il rapporto di dipendenza tra liturgia e regola di fede. Non a caso un aspetto quasi sempre tralasciato nella polemica è quello relativo alle messe private. Il Motu Proprio infatti contempla l’uso del messale del Beato Giovanni XXIII anche per le messe “senza il popolo”, ovvero quelle che i sacerdoti celebrano privatamente. Ciò dimostra che l’uso del messale antico non è solo collegato ad un discutibile amore per i formalismi e l’aspetto esteriore della celebrazione, bensì ripristina la comunione del singolo sacerdote con tutti i cristiani nello spazio e nel tempo, mettendolo in comunicazione con il passato, con i Santi e con i martiri. Di qui ad esempio la decisione del Card. Zen di celebrare l’ultimo pontificale da Arcivescovo di Honk Hong secondo il rito straordinario. E’ un’esigenza profondamente spirituale. D’altra parte l’universalità della lingua latina dovrebbe essere di stimolo in un mondo globalizzato, affinché la Chiesa, almeno nel rito, si esprima con una sola lingua.

Sono ancora in molti però a leggere in questa promozione del rito antico una sorta di tradimento dello spirito del Concilio. Crede che il dialogo sia una strada percorribile per sanare le fratture e le reciproche diffidenze?

Siccome lo spirito del Concilio non può essere diverso dallo Spirito Santo - se lo fosse sarebbe spirito di errore e non di verità, come scrive la 1 Lettera di Giovanni – non si può pensare alcuna frattura e discontinuità tra la messa celebrata in quell’assise e quella poi aggiornata da Paolo VI. Dunque nessun tradimento ma tutta tradizione.

Sebbene, se si va a studiare, non tutto quello che Paolo VI aveva prescritto è stato attuato, e quindi attende di esserlo per portare a compimento la riforma liturgica.Per esempio, egli aveva stabilito che i messali nazionali recassero sempre il testo latino a fronte: questo per impedire le traduzioni libere che hanno prodotto e producono non poco sconcerto. A chi si preoccupa e vede in questa riforma un tentativo di erosione del Concilio bisognerebbe ricordare il monumentale
discorso del Papa alla Curia Romana del dicembre 2005 che ha superato fermamente questa contrapposizione introducendo l’ermeneutica della continuità .
Ad ogni modo è sempre bene ricordare che nella Chiesa c’è libertà di critica se fatta con verità e amore, purché non si voglia censurare o demonizzare chi non la pensa come me. Per questo il Papa ha mostrato ancora una volta la sua lungimiranza, per dimostrare che “nessuno è di troppo nella Chiesa”. Io auspico sempre un confronto sereno e un approfondito e rispettoso dibattito. Pax et concordia sit convivio nostro, dice sant’Agostino.

Lei ha affermato: “L’uso della lingua parlata non è necessariamente sinonimo di comprensione. Oltre l’intelligenza e il cuore, per entrare in essa ci vuole anche immaginazione, memoria, e tutti i cinque sensi.” Crede che la riscoperta del rito antico possa aiutare a vivere con maggiore partecipazione anche la Messa celebrata nella forma ordinaria?

Per intenderci, la Sacra Liturgia è l’attrattiva della Bellezza che a sua volta è il percorso ragionevole alla Verità. La Bellezza è lo splendore della Verità. Come ho già detto in altra sede, proviamo con un sillogismo: siccome la sacra e divina liturgia – che include arte e musica sacra – è Bellezza, senza Verità non c’è liturgia, culto a Dio. E’ proprio Gesù che lo ricorda nel vangelo di san Giovanni: “I veri adoratori, adoreranno il Padre in spirito e verità”. Ma per trovare la Verità bisogna conoscere le creature. Questo solo cambia la vita mia e sua. L’ho constatato ancora in tanta gente che ha partecipato con me alle celebrazioni pasquali. Che il rito sia antico o nuovo deve guardare nell’unica direzione possibile, deve essere rivolto al Signore, interiormente ed esteriormente. Se oggi i sacerdoti quando concelebrano si orientano in direzione dell’ambone per ascoltare il Vangelo, perché non potrebbero farlo verso l’altare e la Croce per offrire l’eucaristia? Fare questo aiuta a convertirsi. Seguendo la sacra liturgia, ad un certo punto i riti e i simboli spariranno, svelando il significato; il Mistero penetrerà allora in tutte le direzioni: sarà il cielo sulla terra, la rappresentazione del Paradiso.

Copyright © Fidesetforma.blogspot.com


[SM=g1740733]

ripetere giova ergo riporto dall'intervista preziosa due passi della prima risposta di mons. Bux:

Il Concilio approvò per primo la Costituzione liturgica anche per questa ragione: la Chiesa deve parlar di Dio all’uomo, farglielo incontrare. L’uomo cerca la Bellezza “Veritatis splendor”: la “riforma” se non servisse a ciò sarebbe inutile maquillage per esibire meglio noi stessi..

......

In realtà riforma significa ri-forma (“ritorno alla bellezza”), senza passatismi inutili o idee di restaurazione.

.....

appare evidente che:

1) non pochi furono coloro che usarono tale riforma del Concilio PER ESIBIRE IL PERSONALE PROGETTO ARTISTICO E CATECHETICO;

2) molti gruppi e movimenti, con la compiacenza di vescovi e l'ignoranza di molti sacerdoti ai quali, nel frattempo NON si insegnava più nei seminari la Liturgia di sempre, ma si innovava continuamente (e via anche il latino!) NON hanno capito cosa significa RIFORMA...[SM=g1740727]  hanno confuso, hanno pensato AD UNA CHIESA DA RICOSTRUIRE COME VOLEVANO LORO...

RE-FORMA indubbiamente parte dall'etimologia RE=di nuovo, ADDIETRO; e FORMARE=da forma....dunque RIDARE FORMA A QUALCOSA DI GIA' ESISTENTE [SM=g1740733]
vuol dire poi, nell'uso ECCLESIALE (REFORMARE) CORREGGERE per ridare, RESTITUIRE ad una tal cosa LA SUA REALE ED ORIGINALE MOTIVAZIONE...

va da se che TUTTI coloro che hanno usato il Concilio usando questi termini impropriamente, hanno deviato dalle reali intenzioni del Concilio stesso ^__^
altrimenti, per altro, sarebbe inspiegabile il lavoro che sta portando avanti Benedetto XVI...


[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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31/12/2011 09:33
 
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“Non c’era posto per loro”… nella cattedrale

Gesù, Maria, Giuseppe…

“Non c’era posto per loro”… nella cattedrale

    di Antonio Socci
 

Benedetto XVI, nella messa di mezzanotte di Natale, quest’anno, ha pronunciato un’omelia tutta incentrata su san Francesco per la sua meravigliosa “invenzione” del presepio, a Greccio, nell’anno 1223. Spiegando che quell’umile rappresentazione coglie il cuore del cristianesimo.

Incredibilmente, proprio quest’anno, il vescovo di Rieti, che è il vescovo di Greccio – cioè del luogo dove Francesco inventò il presepio – ha deciso: niente più storico presepio nella cattedrale.
Gesù bambino, la Madonna, san Giuseppe, con i pastori e i magi… Come a Betlemme duemila anni fa, “non c’era posto per loro” nella cattedrale di Rieti.

Negli anni scorsi su queste pagine più volte abbiamo criticato certe crociate ideologiche contro il presepio, soprattutto nelle scuole, dovute a professori o presidi imbevuti di “politically correct” che consideravano quella tradizione cristiana una discriminazione verso alunni di religione islamica.
Ma non era mai capitato che fosse un vescovo ad “abolire” il presepio e soprattutto sta facendo clamore – nella rete – il fatto che si tratti proprio del vescovo di Greccio.

PAROLE SCONCERTANTI

Più ancora della decisione in sé, hanno sconcertato le motivazioni che sono state fornite dal settimanale diocesano di Rieti per giustificare la scelta.
La toppa è stata molto peggiore del buco.
Infatti il giornale ha scritto che si tratta di “una scelta di sobrietà” e “un segno tangibile di condivisione”. Condivisione di cosa? Con chi? Il presepio lo fanno tutti. E poi perché “scelta di sobrietà”?
In omaggio al governo Monti, “sobrio” per definizione? Siamo a tal punto alla mercé delle mode politiche da svendere il presepio?

Allora il papa che anche quest’anno (come tutti i parroci della Chiesa Cattolica) ha fatto allestire il presepio in piazza San Pietro non avrebbe fatto una scelta “sobria” e “di condivisione”?
La Curia reatina sembra considerare il presepio un segno di “edonismo”. Ma ignora – proprio lei – la storia del presepio? Esso nasce dal santo della povertà come segno di amore al Salvatore da parte dei più poveri e dei più semplici.
L’ineffabile settimanale diocesano reatino sostiene che sarebbe “superficiale” (oltreché “edonista”) chi giudicasse criticamente la cancellazione del presepio.
Dunque la Curia reatina – unica nella cristianità – avrebbe dato un segno di profondità e di ascesi? Negando il presepio ai fedeli?
Il giornale diocesano dice che dobbiamo “contribuire a recuperare risorse”. Abolendo il presepio? Non sarebbe un risparmio maggiore abolire il giornale diocesano visto che – anche in questo numero – sembra preoccupato soprattutto di difendere le esenzioni dall’Ici della Chiesa?
Il settimanale motiva la “cancellazione” del presepio invitando a “rinunciare a quello che ci sembra necessario per concentrarci su quello che è essenziale”.
Ebbene, la difesa dell’esenzione dell’Ici sarà “necessaria” per la Chiesa, ma davvero non sembra “l’essenziale” della sua missione nella storia. Oppure tutto si è capovolto?

GESU’ CACCIATO

Un fedele ha scritto: “La Cattedrale senza presepe non è per nulla più sobria, è solo più brutta, e la bruttezza non salverà certo il mondo… se si deve rinunciare ad usare la bellezza per parlare al mondo di Dio, cosa che costituisce l’unica ragione di essere di una cattedrale, allora è la cattedrale ad essere superflua”.
In realtà dal 1997, su direttiva dei vescovi, è stato sfrattato dalle chiese italiane lo stesso Gesù eucaristico (si è infatti imposto di relegare il tabernacolo in qualche sgabuzzino) per cui non c’è da sorprendersi che ora venga sfrattato anche il presepio.
C’è il rischio che quello di Rieti sia solo l’inizio di un altro crollo a catena.
Notevole è un altro sofisma della Curia reatina, secondo cui “l’assenza in questo caso vale più della presenza”.
Un lettore ha ribattuto: “Non ho parole… nemmeno il governo Monti nella manovra pensioni ha avuto il coraggio di usare boutade di questo genere…”.
Del resto se questa “assenza” voleva essere una “provocazione” alla serietà della fede ha risposto a tono Riccardo Cascioli, sul giornale cattolico online La bussola quotidiana: “Chissà che bella provocazione alla nostra fede quella domenica che entrando in chiesa, trovassimo l’avviso: ‘La messa non si celebra per richiamare all’essenziale’. Chissà quante conversioni fulminanti”.

SOBRIETA’ E ROTARY

Dei lettori di Rieti ci scrivono mail indignate: “il vescovo vuole che teniamo solo l’essenziale e cancelliamo via, per ‘sobrietà’ e ‘solidarietà’, tutto ciò che non è essenziale. Sarà per questo che quest’anno è andato al Rotary Club di Rieti a ricevere il Premio ‘Sabino d’oro’ consistente in una placca d’argento dorato su cui è incisa l’immagine di un Guerriero Sabino stilizzato? Era proprio essenziale per la fede?”.

Dal reatino ci segnalano altre iniziative con cui quest’anno la Chiesa di Rieti ha mirato all’ “essenziale”.
Per esempio, durante i festeggiamenti di S. Antonio, conclusi dalla solenne celebrazione del vescovo, segnalano – oltre all’illuminazione delle maggiori vie cittadine (fatta forse per “recuperare risorse”) – l’”essenziale” festa del “Bertoldo show”, lo spettacolo dell’Orchestra Sonia e il Duo di Pikke, il fondamentale (per la fede) spettacolo “Pizzica e Taranta” con i tamburellisti di Torrepaduli, il concerto della Rino Gaetano band, quello della banda di Poggio Bustone, l’imperdibile (per il bene delle anime) concerto Erosmania, con Antonella Bucci e il comico Gabriele Cirilli, per non dire della distribuzione della “tradizionale cioccolata calda” che è un tocco di ascesi e di spiritualità.
Il tutto concluso dalla processione solenne col vescovo seguita, a ruota, dallo spettacolo pirotecnico della ditta pirotecnica Morsani.
E dopo ciò invocano la “sobrietà” per far fuori il presepe.
Si dirà: suvvia, quello della Curia di Rieti è stato uno sbaglio, ma non facciamola lunga, in fondo è solo un presepio. E’ vero.

MENTALITA’ PROTESTANTE

Ma dietro questa scelta in realtà fa capolino una mentalità purtroppo assai diffusa nel mondo ecclesiastico-episcopale, la quale intimamente disprezza la devozione popolare, ritenendola preconciliare e fastidiosamente “materialista”, mentre sarebbe da preferire una presunta purezza della spiritualità incarnata dai discorsi degli “addetti ai lavori” (da qui anche l’ostilità verso santi popolari come padre Pio o verso realtà come Medjugorije).
Ora, a parte la somiglianza di questa mentalità clericale, un po’ iconoclasta, con quella protestante, c’è da dire che il presepio e la venerazione dei santi e della Madonna sono quanto c’è di più cattolico, proprio perché esprimono il desiderio di toccare con mano e vedere il Dio che si fa uomo e che entra nella carne della nostra vita, si prende sulle spalle le nostre sofferenze e le nostre miserie.

LA LEZIONE DEL PAPA

E’ precisamente per questo che il papa, la notte di Natale, ha pronunciato quella poetica meditazione sul presepio di san Francesco a Greccio, dove si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale”.
Francesco di Assisi “baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano … attraverso di lui e mediante il suo modo di credere” ha aggiunto il papa “è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù… Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio”.

Il Papa ha concluso:

Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere. .. ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato”.

Da “Libero”, 30 dicembre 2011







Si legga anche qui:

Mons. Lucarelli, Vescovo di Rieti, abolisce il presepe in cattedrale. VERGOGNA!

Di seguito le vibranti parole di Andra Tornielli e la sua pacata ma ferma invettiva contro il Vescovo di Rieti, Mons. Lucarelli, contro l'arciprete e il clero della cattedrale per la scandalosa e vergognosa (queste sono parole nostre) decisione di non preparare lo storico presepe nella cattedrale e per le assurde e ridicole pseudo motivazioni.
Riportiamo alcuni brani dell'articolo del Vaticanista de LaStampa, che potrete leggere nella versione integrale nel suo blog "Sacri Palazzi" a questo link.
Roberto

**************************

Riflessione:
Eccellenza Reverendissima, mons. Lucarelli...  
oggi è morto "don" Verzè, travolto dagli scandali, sospeso a divinis....  
quanto siamo fragili Eccellenza! Eppure, quanta forza ci viene da quel Divino Bambino che ogni Famiglia rievoca ad ogni SUO Natale nelle proprie Case....  
Ci rifletta!  
Lei non è il padrone della Cattedrale, ma il custode.... ci rifletta!  
Buon Natale e Buon Anno!





Cari Vescovi.... non ne possiamo più delle vostre opinioni dissociate dalla Tradizione e dall'insegnamento del Papa...
e come ricordava Giovanni Paolo II: CONVERTITEVI!! prima o poi arriverà il giudizio di Dio!!

**************

attenzione, c'è un aggiornamento:

AGGIORNAMENTO
Sembrerebbe che ad essere stato "eliminato" è lo storico presepe monumentale. La "rettifica" proviene dal sito
Cantuale Antonianum "
Niente presepio a Rieti? Ma è proprio così...?"

Sembra che un presepe sia stato preparato (SOLTANTO) il 23 dicembre sui gradini del presbiterio in fretta e furia dopo -parrebbe- le proteste dei fedeli.


A conferma alleghiamo una mail che il segretario del Vescovo ha inviato ad un sacerdote, nostro lettore, in risposta alla sua nella quale manifestava il proprio disappunto e la sua indignazione per la notizia della mancanza del presepe storico in Cattedrale:


Rev.do don B.A.,

Le scrivo in ordine alla e-mail ricevuta questa mattina, con la quale manifestava il suo disappunto per il mancato allestimento del Presepe in Cattedrale.
Tempestivamente Le rispondo che Le è giunta una notizia errata in quanto il Presepe che presenta la scena della Natività del Signore Gesù con Sua Madre Maria e Giuseppe contornata da pastori e altri personaggi (secondo tradizione) è stato realizzato nel Duomo dal 23 dicembre.
La "polemica", amplificata dai media, di cui presumibilmente è venuto a conoscenza, è nata dal fatto che il Presepe differentemente dagli anni passati non è stato realizzato in una cappella laterale della Basilica dove venivano utilizzati "effetti" di luci, ruscelli e suoni.
Il richiamo all'essenziale non è riferito al mistero dell'Incarnazione, ma all'apparato che lo ricorda.
La saluto con cordialità augurandole ogni bene dal Signore Gesù.
Don Emmanuele
Segretario del Vescovo

Roberto





[Modificato da Caterina63 31/12/2011 16:31]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/06/2012 17:12
 
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Chiesa cattolica: il “caso” del Vescovo argentino Bargallò

(di Mauro Faverzani da Corrispondenza Romana)

È proprio vero, una volta di più si ha conferma di come “lex orandi lex credendi”: i modi e le forme del pregare determinano cioè i contenuti del credere. La riprova la si è avuta col “caso” di mons. Fernando Maria Bargalló, il Vescovo della Diocesi di Merlo-Moreno e Presidente della Caritas per l’America Latina, di cui ha parlato la stampa internazionale, perché sorpreso da una televisione argentina assieme ad una donna su di una spiaggia caraibica in atteggiamenti decisamente imbarazzanti ed inopportuni. Prima un improbabile e goffo tentativo di autodifesa, poi le scuse, quindi la “confessione” davanti ai sacerdoti della sua Diocesi, infine la notizia delle sue dimissioni nelle mani del Nunzio Apostolico, mons. Emil Paul Tscherring.

Si credeva, così, di sapere tutto della vicenda. Invece non è così. Ciò che giornali, radio, tv, blog, siti Internet, agenzie non hanno valutato sono altre foto, dal contenuto per certi versi ancora più scandaloso di quelle che han fatto il giro del mondo. Ovvero quelle che ritraggono mons. Bargalló, mentre celebra la S. Messa. Immagini, che purtroppo ben poco mantengono dei concetti di Sacro e di Mistero intrinseci al Sacrificio eucaristico, lasciando immaginare più una tavola imbandita che altro, con tanto di sgargiante tovaglietta da picnic, cesti del pane e di frutta ‒ probabilmente tracce di un estemporaneo offertorio ‒, palloncini ed, alle spalle, l’orchestrina da balera con le immancabili chitarre.

Sciatti, anzi praticamente inesistenti gli stessi abiti liturgici, la stola è l’unico segno che lascia intuire chi sia il sacerdote concelebrante, per il resto trasandato con indosso una polo grigia e pantaloni beige. Ora, alla luce di questa foto, risulta più semplice comprendere la deriva spirituale ed etica di certo clero, deriva che conduce anche ad “inciampi”, come quello di cui tutti han parlato. Se non si ha rispetto nemmeno della Liturgia, che rappresenta il culmine della sacralità, figuriamoci di tutto il resto! Non a caso già l’allora Card. Ratzinger, nel libro-intervista Rapporto sulla fede, affermò: «Dietro ai modi diversi di concepire la liturgia ci sono modi diversi di concepire la Chiesa, dunque Dio e i rapporti dell’uomo con Lui». E in La mia vita si disse «convinto che la crisi ecclesiale, in cui oggi ci troviamo», dipenda «in gran parte dal crollo della liturgia».

Qual è il problema? E’ molto chiaro: sta nel ritenere la liturgia frutto «della nostra fantasia, della nostra creatività» ‒ come scrisse ancora l’allora Card. Ratzinger in Introduzione allo spirito della liturgia ‒, qualcosa di umano insomma, una sorta di «grido nel buio o una semplice autoconferma» comunitaria, che vorrebbe abbassare Dio al nostro livello, anziché far salire noi verso di Lui. Celebrazioni, quali quelle presiedute da mons. Bargalló, rendono evidente – purtroppo ‒ tutto questo. E danno ragione a Benedetto XVI, quando nella lettera di accompagnamento al Motu Proprio Summorum Pontificum, ha denunciato chiaramente «deformazioni arbitrarie della Liturgia al limite del sopportabile».

Poi, però, tutti i nodi vengono al pettine. Fatti come quello di mons. Bargalló mostrano quali ricadute concrete abbia la sciatteria liturgica in termini di costumi morali e di pratiche pastorali. Il giornale argentino “Clarin” più volte aveva dato spazio alle posizioni del prelato, impegnato ‒ come Presidente della Caritas per l’America Latina ‒ a discettare di disuguaglianze sociali e di giustizia di classe. È lo stesso giornale che pochi giorni fa ha diffuso invece il nome della donna sorpresa con lui. Forse il Vescovo non avrebbe fatto male a dedicare più tempo alla preghiera e ad una celebrazione dignitosa della S. Messa che ad assumere estemporanei ruoli da “sindacalista”. Per non parlare d’altro. Insomma, davvero: dimmi come celebri e ti dirò chi sei.
(Mauro Faverzani)


[SM=g1740720]

facciamo seguito ad un'altra notizia davvero vergogna, implorando la Curia di Napoli di reagire nel modo giusto, in obbedienza al Papa e al suo MP Summorum Pontificum.... fino a quando i fedeli dovranno pazientare su questi sorsprusi? [SM=g1740730]

A Napoli fedeli in rivolta: la Curia blocca una S. Messa in rito antico

Un gruppo di fedeli della zona di Chiaia ha richiesto al loro parroco della chiesa del Sacro Cuore al Corso Vittorio Emanuele, Don Mario Cinti, una celebrazione almeno mensile della S. Messa tradizionale. Dopo aver ricevuto la richiesta di fare una raccolta firma (non prevista dal Motu Proprio), è stato detto loro di tornare il 13 giugno. Il giorno del "responso" i fedeli si sono però visti opporre un netto rifiuto perché "la Curia non vuole; oltre alla Chiesa di S. Ferdinando non devono esserci altre messe tradizionalia".; "A Napoli c'è già una celebrazione in latino"; "A Napoli il Summorum Pontificum non si applica per volere della Curia".
Sembrerebbe che dietro tutto ciò ci sia un responsabile: Mons. Lemmo, vescovo ausiliare, già aduso a boicottaggi di questo genere.
I fedeli richiedenti, tra cui molti professionisti (avvocati, insegnanti) e giornalisti, sono in rivolta contro la Curia e sono pronti a fare ricorso a ll'Ecclesia Dei, non prima di aver chiesto udienza al Card. Sepe e aver ottenuto spiegazioni e chiarimenti di un tale illecito rifiuto.

Qui la notizia sui vari quotidiani di oggi, 27.06.2012:

- La RepubblicaNapoli- Adnkronos, Napoli, fedeli chiedono Messa in latino, scontro con il parroco e segue qui

- ANSA, Chiesa, Napoli, Messa in latino, polemica con Curia - Pronto esposto in Vaticano, chiesto l'interventdo del Card. Sepe.

- Corriere di Mezzogiorno, Vietata la Messa in Latino a Chiaia - Protesta di una decina di professionisti verso la Curia che avrebbe bloccato la celebrazione secondo il rito tridentino;

- Campania su web, Messa in Latino vietata, scontro tra fedeli e Curia



Roberto

[SM=g1740720]

[Modificato da Caterina63 28/06/2012 17:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Un cardinale fuori dalla realtà. Non un parola sui massacri dei cristiani nei paesi islamici!

L'articolo che pubblico di seguito è apparso su Corrispondenza Romana. Esso illustra l'ultima performance dell'arcivescovo di Vienna.


Islam: il card. Schönborn incoraggia i musulmani in Europa
Nel 1912 l’islam ottenne il riconoscimento giuridico da parte dell’Impero austro-ungarico, grazie alla cosiddetta “legge sull’islam”. A cento anni di distanza, l’arcivescovo di Vienna, il cardinale Cristoph Schönborn, ha lodato quel provvedimento auspicando che l’Austria possa rappresentare per l’Europa «un modello di comprensione e convivenza tra cristiani e musulmani». In un Paese in cui l’islam sta prendendo sempre più campo, provocando problemi di integrazione non indifferenti, il massimo esponente della Chiesa cattolica austriaca si congratula con i fedeli musulmani e incoraggia un’attiva collaborazione con essi, ad esempio attraverso «competizioni sportive tra sacerdoti e imam o la condivisione del mese di Ramadan da parte delle famiglie cristiane».
 
In un incontro avuto con i leader della comunità islamica austriaca, il card. Schönborn e gli imam presenti hanno parlato del bisogno di rapporti fondati sul reciproco rispetto, memori del fatto che Gesù nel Vangelo invita ad amare e perdonare il prossimo. L’arcivescovo di Vienna ha poi ricordato l’importanza di alcuni documenti del Concilio Vaticano II, come la Dignitatis humanae, sulla libertà religiosa e la Nostra aetate sui rapporti con le religioni non cristiane. A detta del porporato «si è trattato di notevoli passi avanti della Chiesa. Passi in avanti che ora anche la comunità islamica deve compiere».
 
E sempre prendendo come spunto i testi conciliari, il card. Schönborn ha dichiarato che bisogna «mettere da parte il passato, fatto a volte di scontri tra le due religioni, e progredire sulla strada della reciproca comprensione, della libertà e della difesa dei diritti umani e della giustizia», perché se è vero che islam e cristianesimo presentano differenze notevoli, è altrettanto doveroso ricordare che in entrambe le fedi si adora l’unico Dio.
 
Con uno sguardo all’Europa, infine, l’arcivescovo di Vienna ha invitato alla costruzione di un continente fondato sulla pace e sull’integrazione culturale. Tutte parole molto belle, ma che rischiano di far dimenticare i massacri di cristiani che continuamente avvengono nel mondo islamico e soprattutto il mandato che Gesù ha dato agli apostoli di andare in tutto il mondo a predicare il vangelo e a convertire a Lui tutti i popoli. Il discorso del card. Schönborn sembra quello di un politico poco attento all’identità religiosa del proprio Paese, piuttosto che del vescovo più importante d’Austria, da molti indicato addirittura come fedele seguace (!) di Papa Benedetto XVI.
(Federico Catani)




[SM=g1740771]  facciamo una breve riflessione a mo di Lettera aperta....


[SM=g1740733] Cardinale Schonborn... eminenza!
forse Lei dimentica che l'Islam non ha bisogno di alcun incoraggiamento, specialmente da parte nostra....
Se le fosse sfuggito in Francia la Chiesa è in profonda crisi, le Moschee hanno superato le Chiese Cattoliche, i musulmani hanno superato i cattolici e i preti in Francia sono al loro minimo storico mai verificatosi in 2000 anni di storia della Chiesa.... tanto che l'allarme è stato lanciato anche dall'Osservatore Romano due settimane orsono...

L'Italia regge grazie al Papa, alla sua presenza, alla sua costante missione...
in Austria ci risulta che siete messi maluccio, come ha risolto la crisi dei 300 sacerdoti ribelli?
Lei è stato fatto cardinale per risolvere i problemi della Chiesa e del GREGGE battezzato (anche non) oppure è stato mandato per risolvere i problemi dell'Islam?

Può un cieco guidare un'altro cieco? [SM=g1740732]

Padre Piero Gheddo il 17 settembre 2010 (ZENIT.org)lanciava un appello:
La risposta all’islam è tornare a Cristo

e un suo confratello, Padre Reginald Garrigou-Lagrange O.P. diceva:
" Possiamo fare (...) della libertà religiosa un argomento ad hominem contro coloro che, pur proclamando la libertà di religione, perseguitano la Chiesa (stati laici e socialisti), o ostacolano il suo culto, direttamente o indirettamente (stati comunisti, islamici, ecc). Questo argomento ad hominem è giusto e la Chiesa non lo respinge, usandolo per difendere efficacemente il proprio diritto alla libertà. Ma non ne consegue che la libertà religiosa, considerata in se stessa, sia per i cattolici sostenibile in linea di principio, perché è intrinsecamente assurdo ed empio che la verità e l'errore debbano avere gli stessi diritti "

L'Islam procede benissimo non si preoccupi, eminenza... [SM=g1740733]

mons. Bernardini, esattamente a 11 anni fa, scriveva al Papa:
vivo da 42 anni in Turchia, Paese musulmano al 99,9%, e sono Arcivescovo di Izmir – Asia Minore – da 16 anni. L’argomento del mio intervento è quindi scontato: il problema dell’Islam in Europa ora e nel prossimo futuro. […] Il mio intervento è fatto soprattutto per rivolgere al Santo Padre un’umile richiesta. Per essere breve e chiaro prima riferirò tre casi che, data la loro provenienza, reputo realmente accaduti.
1 Durante un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole personaggio musulmano, rivolgendosi ai partecipanti cristiani, disse a un certo punto con calma e sicurezza: “Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo”. C’è da crederci perché il “dominio” è già cominciato con i petroldollari, usati non per creare lavoro nei Paesi poveri del Nord Africa o del Medio Oriente, ma per costruire moschee e centri culturali nei Paesi cristiani dell’immigrazione islamica, compresa Roma, centro della cristianità. Come non vedere in tutto questo un chiaro programma di espansione e di riconquista?



[SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]
Fraternamente CaterinaLD

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Cattiva liturgia. A Dublino la rivincita dei vecchi baroni

marini

“The Tablet” è un settimanale cattolico inglese di impronta “liberal”, che in Italia ha forse il suo corrispettivo più simile nel quindicinale “Il Regno”.

Ma, al pari della rivista bolognese, dà spazio nella sua documentazione anche a testi importanti di indirizzo conservatore.

È ciò che ha fatto nel suo ultimo numero, in data 14 luglio.

“The Tablet” ha pubblicato per intero un discorso tenuto a fine giugno a Salt Lake City da monsignor Andrew R. Wadsworth, direttore esecutivo del segretariato della International Commission on English in the Liturgy, con sede a Washington.

Nel suo discorso, Wadsworth prende spunto dal messaggio indirizzato da Benedetto XVI al congresso eucaristico internazionale tenuto a Dublino dal 10 al 17 giugno.

Per mostrare come la messa conclusiva del congresso non abbia affatto attuato le indicazioni del papa, ma anzi le abbia contraddette.

Wadsworth non fa nomi. Ma la sua critica va direttamente a colpire il presidente del pontificio comitato per i congressi eucaristici internazionali. Che è l’arcivescovo Piero Marini (nella foto), l’indimenticato regista delle celebrazioni liturgiche del pontificato di Giovanni Paolo II, nonché colui che fece cacciare il maestro Domenico Bartolucci da direttore perpetuo del coro della Cappella Sistina, giudicato incompatibile col nuovo corso.

Nel suo messaggio, Benedetto XVI assegna al Concilio Vaticano II “il più ampio rinnovamento del rito romano mai visto prima”.

E così prosegue:

“Oggi, a distanza di tempo dai desideri espressi dai padri conciliari circa il rinnovamento liturgico, e alla luce dell’esperienza universale della Chiesa nel periodo seguente, è chiaro che il risultato è stato molto grande; ma è ugualmente chiaro che vi sono state molte incomprensioni ed irregolarità. Il rinnovamento delle forme esterne, desiderato dai Padri Conciliari, era proteso a rendere più facile l’entrare nell’intima profondità del mistero. [...] Tuttavia, non raramente, la revisione delle forme liturgiche è rimasta ad un livello esteriore, e la ‘partecipazione attiva’ è stata confusa con l’agire esterno. Pertanto, rimane ancora molto da fare sulla via del vero rinnovamento liturgico”.

Wadsworth commenta punto per punto queste considerazioni del papa, con esempi concreti.

E come esempio negativo, per mostrare come “la revisione delle forme liturgiche è rimasta ad un livello esteriore, e la ‘partecipazione attiva’ è stata confusa con l’agire esterno”, prende proprio la messa conclusiva del congresso eucaristico di Dublino.

La requisitoria di Wadsworth è molto dettagliata, specie sulla scelta dei canti. A suo giudizio, la celebrazione risentiva molto di uno stile “anni Ottanta”, aveva l’aria di uno “spettacolo”, era frequentemente “salutata da applausi” e c’era un ripetuto allontanamento dalle regole dell’Ordinamento Generale del Messale Romano.

E ancora. Era praticamente assente la lingua latina, nonostante il carattere internazionale dei convenuti. Assente il canto gregoriano. Ignorate le antifone proprie della messa del giorno. Il Credo letto da vari lettori e inframmezzato dal grido di “Credo, Amen”. Alla comunione la performance di tre tenori, con un motivo di musica leggera.

Insomma:

“Il deprimente effetto cumulativo del mancato rispetto dell’ordinamento del messale, in una messa di grande impatto, celebrata da un legato pontificio e trasmessa in tutto il mondo, non può essere sottovalutato. [...] È come se i vecchi baroni dell’establishment liturgico abbiano trovato [nei congressi eucaristici internazionali] una nuova e formidabile arena di attività nella quale modellare i loro esempi di mediocre liturgia”.

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NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

[SM=g1740771]

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18/07/2012 11:45
 
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Mons. Machado: un Vescovo brasiliano e il Carnevale dei pregiudizi contro la Messa antica.

Era da tanto che non aggiornavamo la nostra lista "La trahison des clers". Ma rimediamo subito su suggerimento di un nostro lettore che ha portato alla nostra attenzione le parole di Mons. Machado, Vescovo di São Carlos in Brasile. Lettera è stata pubblicata come editoriale sul bolletino "Nosso Boletin", n. 940 del 31.03.2012 nella rubrica "Palavra do Bispo" (Parola del Vescovo ...).
Il linguaggio di Mons. Machado è tanto intriso di livore quanto sconvolgente: gli aggettivi e le parole usati, intrecciati ai soliti luoghi comun, e a superati pregiudizi, traducono tutto il disprezzo e l'ostilità non solo verso la S. Messa tradizionale, ma anche verso quei "
poveretti" che hanno un "desiderio morboso" per "certe stranezze" (parole del Vescovo). Per non parlare degli errori dottinali (come la Salvezza di tutti e l'inferno vuoto), le provocazioni (le velette anche per gli uomini) e le citazioni dei soli profeti (senza ricordare le citazioni di Gesù che compi e integrò la Scrittura) e di socialisti francesi.
Quanta cattiveria verso il venerabile rito antico!che edificò milioni di fedeli e suscitò vocazioni e sanitificazioni. Che dileggio verso una decisione del Papa (e si sa quanto gli stia a cuore!).
E
pensare che sulla prima pagina c'è pure l'immagine del Santo Padre e un richiamo alla "Fondacão Bento XVI" (Fondazione Benedetto XVI). Quanta ipocrisia.
L'occasione è - tanto per cambiare - il L anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II. Pure il prelato brasileiro condensa in poche righe le più sciatte e insulse banalità sulla S. Messa tridentina e ne aggiunge di sue.

Il bolelttino si può leggere
qui al sito servosdocristoredentor. La traduzione in italiano è presa da CattoliciRomani.


 

Ritorno al Medioevo – 31 Marzo 2012
di S. Ecc. Mons. Paulo Sérgio Machado, Vescovo di São Carlos in Brasile


 

Non riesco a capire come, nel XXI secolo, ci siano persone che vogliono il ritorno della Messa in latino con il sacerdote celebrante "con le spalle al popolo", utilizzando i pesanti paramenti "romani". Celebriamo quest'anno il cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II, e mentre sentiamo il bisogno di tenere un Concilio Vaticano III, troviamo persone che vogliono tornare al passato. E a preoccupare di più sono le persone che hanno frequentato l'università, che sono entrate nell'università, ma l'università non è entrata in loro. Penso che sia arrivato il tempo per i nostri scienziati inventare un dispositivo per "aprire menti". Lo "sfiduciomentro" è superato, perché queste persone non hanno nemmeno il sospetto di essere "offline", "fuori stagione". Vogliono a tutti i costi tornare al passato. Vivono miracoli e apparizioni, devozioni e "stranezze" già felicemente superati.

Immaginate un prete celebrando in latino in una cappella rurale. "Dominus vobiscum". "Et cum spiritu Tuo". Il nostro popolo penserà semplicemente che il prete è pazzo o almeno che sta maledicendo. Mi ricordo quando ero bambino, quando la messa era in latino. Le pie donne non comprendendo nulla, pregavano il rosario. Non ho nulla contro il rosraio, inoltre lo recito ogni giorno, ma il Rosario è preghiera, non celebrazione.

Resta soltanto difendere il ritorno dei famosi "veli" che coprivano le teste delle donne. E mi chiedo: perché non la testa degli uomini? Sarebbe bello vedere gli uomini con "velo di pizzo". Sarebbe difficile trovare chi vorrebbe usarlo. Salvo qualche "sbadato" che voglia insegnare il Padre Nostro al vicario.

Ma la domanda rimane, cosa c'è dietro? Una nostalgia? Io credo di no. E 'di più: si tratta di un desiderio morboso, una paura del nuovo. L'avversione al cambiamento. Questo è ciò che potremmo chiamare - per usare un espressione francese - un "laissez faire, laissez passer", un "lascia essere per vedere se funziona". Si tratta di un tentativo di mantenere lo "status quo", anche se questo "status quo" vantaggi soltanto una mezza dozzina. E gli altri "che vadano al diavolo".

Secondo questi puritani l'inferno è pieno, quando in realtà, il cielo è riempito perché Dio vuole la salvezza di tutti. E non solo di una minoranza moralista che vede il peccato in tutto e per cui il diavolo è più potente di Dio.. "Aprite il cuore e non le vesti", dice il profeta. Le persone si preoccupano di lavare bicchieri, ciotole, e non le menti e i cuori. È la vecchia posizione dei farisei - che ancora sono molti - che hanno criticato Gesù per le guarigioni nel sabato. Mi ricordo la storia di una persona che, alla notizia che Giovanni aveva ucciso Pietro, il Venerdì Santo, disse: "perché non ha aspettato il Sabato per uccidere?" Per questa persona il giorno era il più importante.

Concludo citando due pensieri che fanno pensare: "Il passato è una lezione da meditare, a non riprodurre" (Mário de Andrade - autore di Macunaíma), "Prendete all'altare del passato, il fuoco, non le ceneri" (Jean Jures - capo socialista francese).


+ Dom Paulo Sérgio Machado
Vescovo di São Carlos






******************


riflessione

Embarassed se la FSSPX dovesse accettare il compromesso con Roma, nel giro di pochi mesi si troverebbe con tutto il Clero, duramente preparato e formato, SOSPESO A DIVINIS perchè, di vescovi come questo che ha scritto queste corbellerie, ce ne sono a josa nella Chiesa, solo che a loro si da il potere di decidere , di fare e disfare (più disfare...), mentre a quelli come della FSSPX e non necessariamente "dei loro",  si obbliga ad accettare in silenzio quello che questi vescovi dicono e fanno...  
 
Roma, Roma... che fai, dormi? Non vedi come la Sposa è lacerata, non vedi come questi vescovi la stanno strappando dall'interno?  
Se è vero che la pazienza di Dio è infinita, quante anime si stanno dannando per colpa di queste "pastorali"? 
Pastura avvelanata viene data ai fedeli con il consenso, o il silenzio, di Roma?  
Perchè siete così severi con i Vescovi della FSSPX e così clementi con questi vescovi ipocriti?


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Dal "Discorso sui pastori" di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 46, 3-4; CCL 41, 530-531)


I pastori che pascono se stessi
 

Vediamo che cosa dice la parola di Dio, che non adula nessuno, ai pastori attenti a pascere piuttosto se stessi che non le pecore:
"Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di bestie selvatiche: sono sbandate" (Ez 34, 3-5).

Ai pastori, che pascono se stessi invece del gregge, si muove rimprovero per ciò che pretendono e per ciò che trascurano. Che cosa pretendono dunque? "Voi vi nutrite di latte e vi coprite di lana". L'Apostolo si domanda: "Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge?" (1 Cor 9, 7).

Vediamo dunque che per latte del gregge si intende tutto ciò che il popolo di Dio offre ai suoi capi per procurare loro il vitto temporale..

Infatti di questo intendeva parlare l'Apostolo con le parole che ho citato. In verità l'Apostolo, quantunque avesse preferito mantenersi con il lavoro delle proprie mani e non cercasse il latte delle pecore, tuttavia rivendicò il diritto di prendere il latte, perché il Signore aveva disposto che coloro che annunziano il Vangelo vivessero del Vangelo (cfr. 1 Cor 9, 14).
Ed in proposito affermò che gli altri apostoli, suoi colleghi, avevano fatto valere questo diritto, certo legittimo, non abusivo. Egli andò oltre, rinunziando anche a quello che gli era dovuto.


Con ciò non è detto che gli altri abbiano preteso una cosa indebita, ma semplicemente che egli volle fare più di quanto era strettamente richiesto. Forse colui che condusse all'albergo il ferito e disse: "Ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno" (Lc 10, 35), voleva indicare proprio questo comportamento dell'Apostolo.
Che diremo dei pastori che non esigono latte dal gregge? Che sono più generosi degli altri o meglio che esercitano più largamente degli altri la generosità pastorale. Lo possono fare, e lo fanno. Si lodino pure costoro, tuttavia non si condannino gli altri. Infatti lo stesso Apostolo non andava in cerca di donativi, e tuttavia voleva che i fedeli fossero operosi e produttivi e ricchi di frutti.

 

......nessuno vive per se stesso.

            Lettera agli Efesini, Cap. V, versetti 15-16,  Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti ma da uomini saggi, profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi.”






[SM=g1740733]

.... una, santa, cattolica e apostolica

 

Chiesa santa e uomini peccatori. La casta donna di tutti
Da "L'Osservatore Romano" del 18 giugno 2010

di Inos Biffi


Nel Credo professiamo e definiamo la Chiesa come "una, santa, cattolica e apostolica", dotata quindi di prerogative che le appartengono essenzialmente: non potrebbe esserci una Chiesa "non-una", "non-santa", "non-cattolica", "non-apostolica". Se così fosse, avremmo il dissolvimento della stessa Chiesa, della quale si parla molto, ma spesso senza preoccuparsi di sapere che cosa dica di essa anzitutto la Parola di Dio.

Si sente proclamare da ogni parte: "Finalmente si legge la Bibbia! La Scrittura è tornata a essere la fonte della teologia e della spiritualità cristiana!". Questo è certamente un bene. Senonché avviene non raramente di constatare che ci sono testi biblici stranamente dimenticati e quasi oscurati, e tra questi proprio dei testi ecclesiologici.

Si pensi a quelli della lettera agli Efesini, dove appare chiaramente che "la Chiesa ha la sua origine nel mistero della provvidenza e predestinazione divine", dal momento che "da sempre Dio (...la) vede davanti a sé e la vuole" (Schlier). Vediamo questi testi. In uno si afferma che Cristo "è il capo del corpo, della Chiesa" (Colossesi, 1, 18. 24). In un altro la Chiesa è, ugualmente, chiamata "il corpo di lui (Cristo), la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose" (Efesini, 1, 23).

Altrove si afferma che "Cristo è Capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo"; egli l'"ha amata e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificata con il lavacro dell'acqua mediante la parola. E così egli vuole che la Chiesa compaia davanti a lui tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Efesini, 5, 22, 25-26).

A questo punto ci domandiamo: esiste veramente, oppure è solo un'ipostasi astratta, una Chiesa che è adesso il "Corpo di Cristo", la sua "pienezza" e il "luogo" in cui si rende "gloria a Dio"? Una Chiesa "santa e purificata", per la quale Gesù ha dato se stesso e che è lo strumento della manifestazione della "multiforme sapienza di Dio" "ai Principati e alle Potenze dei cieli", così che la loro comprensione del mistero avviene contemplando la Chiesa?

Se una tale Chiesa non esistesse nella realtà, o fosse solo un abbozzo precario e una realtà futura, verrebbe smentita la Parola di Dio; anzi, lo stesso Gesù Cristo risulterebbe compromesso. Scalfire la Chiesa, equivale a "intaccare" Cristo e alla fine ridurlo a una condizione anomala e di non esistenza. Ovviamente, non perché questa gli sia conferita dalla Chiesa, ma perché egli non esiste distaccato dalla Chiesa, senza Corpo e senza Sposa. E questo significherebbe che egli non nutre e non cura nessuna Chiesa (cfr. Efesini, 5, 29), e che la sua opera, in particolare il suo sacrificio è risultato vano.

Ma, se questa Chiesa esiste realmente, non può che essere una Chiesa "santa", cioè una Chiesa che non può assolutamente e mai essere definita "peccatrice". Il peccato, infatti, comporta il distacco da Cristo, per cui una Chiesa peccatrice sarebbe distaccata da lui, non sarebbe né suo Corpo né sua Sposa, ma semplicemente una non-Chiesa, come lo sarebbe una Chiesa non-una, non-cattolica, non-apostolica.

In realtà questa Chiesa "santa", Corpo e Sposa del Signore, c'è, adesso, ed è l'unica che può dirsi genuinamente Chiesa, formata dai giusti già in cielo e dai santi pellegrini sulla terra. Nella Chiesa "nunc", come direbbe Agostino, ossia nel suo momento terreno, sono visibili senza dubbio dei membri ancora compromessi col peccato, ma questo non ci fa dire che allora la Chiesa è peccatrice.

È vero invece che, nella misura in cui siamo peccatori, non siamo compiutamente Chiesa, e abbiamo la possibilità e la speranza di diventarlo, proprio in virtù dell'esistenza della Chiesa santa. "La Chiesa — insegnava sant'Ambrogio con la sua abituale limpidità e acutezza — non è ferita in sé, ma è ferita in noi" (De virginitate, 8, 48).

Forse è il caso di ascoltare qui alcune voci autorevoli. Intendo dire non qualche teologo d'avanguardia, per esempio di quelli che amano scrivere puntigliosamente "chiesa" minuscolo (però Stato e Partito maiuscolo), ma per esempio Tommaso d'Aquino. Questi — a commento della lettera agli Efesini, 5, 25-26 — scrive: "Sarebbe stato sconveniente che uno sposo immacolato si prendesse una sposa macchiata. Per questo la mostra senza macchia: quaggiù in virtù della grazia e nel futuro in virtù della gloria".

Ma sentiamo ancora il vescovo di Milano, che tra tutti i Padri è quello che con più viva e prolungata compiacenza si è soffermato ad ammirare estasiato la Chiesa, che certo egli non riduceva a un "immaginario".

In particolare, "la percezione della bellezza della Chiesa — osserva il cardinale Giacomo Biffi — è un dato costante della teologia ambrosiana". Ambrogio non si stanca di riproporlo secondo gli accenti e le suggestioni che specialmente gli offre il Cantico dei Cantici, ecclesialmente interpretato: "Cristo desiderò la bellezza della sua Chiesa e dispose di unirserla in matrimonio" (Apologia David altera, 9, 48).

Certamente, ragione della bellezza è Gesù Cristo, l'unico che riesca ad affascinarla: "Molti tentano la Chiesa, ma nessun incantesimo di arte magica le può nuocere. Ella ha il suo incantatore: è il Signore Gesù" (Exameron, IV, VI, 8, 33), il suo Sposo: "Il marito è Cristo, la moglie è la Chiesa, sposa per l'amore, vergine per l'intatta purezza".

Certamente la Chiesa non si trova sullo stesso piano di Cristo, dal momento che essa "rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo, e prende il suo splendore dal Sole di giustizia, così che può dire: 'Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me'" (Exameron, IV, VI, 8, 32)

Sarà il metodo ambrosiano di considerare la Chiesa: quello di considerarla sempre con lo sguardo rivolto a Gesù Cristo, in contemplazione di lui, e quindi nel riflesso della bellezza, del "decoro", "ravvivato dal sangue di Cristo" (Expositio Psalmi cxviii, 17, 22) e della grazia del suo Signore: la Chiesa, che è il fiore  "che annunzia il frutto, cioè il Signore Gesù Cristo" (ibidem, 5, 12.), il quale, volgendosi a lei, esclama: "Tu sei il  mio  sigillo, creata  a  mia  immagine e somiglianza" (ibidem, 22, 34). "Il costato di Cristo è la vita della Chiesa" (Expositio evangelii secundum Lucam, II, 86).

Ma non è sant'Ambrogio a parlare della Chiesa come "casta meretrix" (ibidem, III, 23)? Certo che è lui, e lui solo, ma non per dire quello che intendono e vanno affermando alcuni "blasonati" teologi. "L'espressione 'casta meretrix' — osserva ancora Giacomo Biffi, al quale dobbiamo finalmente l'esegesi esatta del testo di sant'Ambrogio — lungi dall'alludere a qualche cosa di peccaminoso e di riprovevole, vuole indicare — non solo nell'aggettivo ma anche nel sostantivo — la santità della Chiesa; santità che consiste tanto nell'adesione senza tentennamenti e senza incoerenze a Cristo suo sposo (casta) quanto nella volontà di raggiungere tutti per portare tutti a salvezza (meretrix)".

Della meretrice la Chiesa imita, quindi, non il peccato, ma la disponibilità, solo che è una "casta" disponibilità, cioè una larghezza di grazia.

Ma riportiamo per intero l'audace testo ambrosiano, tutto costruito secondo l'esegesi allegorica: "Rahab nel tipo (ossia nel simbolo e nella profezia) era prostituta, ma nel mistero (in quello che significava) è la Chiesa, vergine immacolata, senza ruga, incontaminata nel pudore, amante pubblica, meretrice casta, vedova sterile, vergine feconda: meretrice casta, perché molti amanti la frequentano per l'attrattiva dell'affetto ma senza la sconcezza del peccato; vedova sterile, perché non è suo uso partorire quando il marito è assente; vergine feconda, perché ha partorito questa moltitudine, vendendo i frutti del suo amore e senza esperienza di libidine" (ibidem, III, 23).   D'altra parte, la Chiesa vive di Spirito Santo. E, infatti, è dopo lo Spirito Santo che nel Credo professiamo la Chiesa, mentre in una formula battesimale ricorre la domanda: "Credi nello Spirito santo, buono e vivificante, che tutto purifica nella santa Chiesa?".

Il grande Ireneo scriveva: "Dove c'è la Chiesa, là c'è lo Spirito di Dio, e dove c'è lo Spirito di Dio, là c'è la Chiesa, là c'è ogni grazia. Alla Chiesa è stato affidato il Dono di Dio, così come Dio ha affidato il respiro alla carne plasmàta (il primo Adamo), affinché tutti i membri ne ricevano la vita" (Adversus haereses, 3, 24, 1).

Abbiamo sentito la voce di Ireneo, di Ambrogio, di Tommaso d'Aquino. Possiamo ascoltare anche un laico, Alessandro Manzoni, che nell'inno sacro La Pentecoste, con raro senso teologico, canta il mistero della Chiesa come nessun ecclesiologo dei suoi tempi avrebbe saputo fare. È lui a definire la Chiesa come "Madre dei Santi": ma una "Madre dei Santi" come può essere definita "peccatrice"?

In ogni caso, come non convenire con il cardinale Biffi che "dir male della Chiesa non è mai stato ritenuto nell'ascesi un atto particolarmente meritorio"?

 





[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 17/08/2012 22:11]
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[SM=g1740758]  Cari Vescovi.....

aggiornare Cristo significa aggirare Cristo

 


 
Quelli che vogliono aggiornare Cristo

di Inos Biffi

 


L'ortodossia, cioè il Credo cristiano nella sua integrità, è il fondamento e la condizione dell'esistenza stessa della Chiesa.

Questa perderebbe la propria identità, se qualche verità del Credo si annebbiasse nell'incertezza o fosse rimossa o trascurata. La prima missione che sta a cuore alla Chiesa è la piena fedeltà alla Parola di Dio, autorevolmente espressa e proposta dalla stessa Chiesa.

Verso le formulazioni della fede non è raro riscontrare una diffidenza e reazione, ma è perché vengono fraintese, quasi riducessero e impoverissero tale Parola, frantumandola in enunciazioni astratte, prive di vita. Se è vero che nessun linguaggio umano riesce a esprimerne adeguatamente il contenuto, che solo nella visione beatifica sarà immediatamente percepito, è altrettanto indubbio che i simboli di fede coi loro articoli e le definizioni della Chiesa col loro rigore, grazie all'opera dello Spirito, mediano infallibilmente la Rivelazione. E proprio questa sta a cuore alla Chiesa, quale sua prima e insostituibile missione, in ogni tempo.

Già Paolo raccomandava a Tito di insegnare "quello che è conforme alla sana dottrina" (Tito, 2, 1), mentre, esortando Timoteo ad annunciare la Parola, gli prediceva: "Verrà un giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina" (2 Timoteo, 4, 2-3). D'altronde lui stesso si preoccupava di essere in sintonia con gli altri apostoli.

Oggi qua e là si reagisce quando si sente parlare di "eresia", non considerando che, se l'eresia non è possibile, vuol dire che non esiste neppure la Verità e tutto si stempera in una materia cristiana confusa e informe. Quando, al contrario, la fede ha degli oggetti precisi e non interscambiabili.

In questa trasmissione lo sguardo della Chiesa è sempre volto soltanto al Signore, che le affida il Vangelo: non a quello che una determinata cultura potrebbe gradire o approvare, e non limitatamente a quegli aspetti su cui si possa essere d'accordo e consenzienti dopo un accogliente dialogo. Non è fuori luogo sottolineare che il Verbo si è fatto carne non per istituire un disteso e lusinghiero dialogo con l'uomo, ma per creare e manifestare in sé l'unica immagine valida e riconoscibile dell'uomo. A prescindere da Gesù Cristo semplicemente non c'è l'uomo conforme al progetto divino.

Per non equivocare si potrebbe aggiungere che Gesù Cristo non va mai "aggiornato", perché è Lui il perenne e insuperabile Aggiornamento, che include in sé ogni tempo, quello presente, quello passato e quello futuro. Siamo noi che invece, per non perdere l'"attualità", ci dobbiamo aggiornare a Lui, siamo noi che, per essere veri credenti, ci dobbiamo aggiornare al Credo cristiano in sé inalterato e inaggiornabile.

Un rinnovamento nella Chiesa passa sempre e imprescindibilmente da un lucido annunzio anzitutto dell'assolutezza di Gesù Cristo, che rappresenta "il mistero di Dio Padre" (Colossesi, 2, 2). Del resto, i concili più importanti e impegnativi furono quelli dedicati all'ortodossa proposizione del mistero di Cristo, della identità di Gesù di Nazaret: concili dottrinali e quindi, nel significato più alto, concili pastorali. A cominciare da Nicea.

La storia della Chiesa mostra con innegabile evidenza che una ripresa della condotta evangelica si innesta sempre su una energica riproposizione dell'ortodossia. Si pensi al Concilio di Trento, che fu prima di tutto un concilio dottrinale - sul peccato originale, sulla giustificazione, sui sacramenti - a cui seguì un meraviglioso rifiorire di vita e di santità cristiana. [SM=g1740721]

La Riforma aveva colto, e giustamente stigmatizzato, comportamenti antievangelici nella Chiesa del suo tempo. Solo che alla base del risanamento pose un aggiornamento dell'ortodossia di fatto consistente in eresie, che spezzavano la comunione con la Tradizione. Si pensi alla negazione del sacerdozio ministeriale, alla contestazione del sacrificio della Messa, alla negazione di alcuni sacramenti, al carattere ecclesiale dell'intepretazione della Scrittura. Sarebbe illuminante far passare analiticamente alcuni punti dell'ortodossia da riannunciare con vigore. Ma, prima di singoli dogmi, pare urgente la riproposizione del senso del "mistero", che sostiene tutto il Credo. La Parola di Dio manifesta il disegno, iscritto nell'intimo della Trinità e conoscibile soltanto per la condiscendenza divina e per la sua "narrazione" avvenuta in Cristo. Credere significa affidarsi a questa "narrazione" e quindi accogliere e annunciare un "altro mondo", il mondo invisibile e duraturo. Secondo quanto afferma Paolo: "Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne" (2 Corinzi, 4, 18).

Lo smarrimento della "sensibilità al soprannaturale", razionalizzando il dogma, dissolve la fede; deteriora e dissipa l'evangelizzazione; altera e svuota la missione della Chiesa, che Cristo ha fondato come testimonianza della Grazia, e per il raggiungimento non del benessere e del fine terreno dell'umanità, ma della beatitudine eterna. Né per questo il Vangelo trascura o sottovaluta l'esistenza temporale dell'uomo, solo che questa esistenza, fragile e transitoria, è considerata nella sua destinazione e riuscita gloriosa.

Ovviamente, la conseguenza di un tale smarrimento è l'estinzione della teologia. A proposito del senso del mistero vengono in mente, e appaiono di sorprendente attualità, le luminose pagine che il più grande teologo dell'Ottocento, Joseph Matthias Scheeben, purtroppo dimenticato dall'esile riflessione dei nostri giorni, dedica nel primo capitolo de I misteri del cristianesimo, l'opera dogmatica a sua volta più originale e profonda dell'epoca: "Quello che ci affascina è l'apparizione di una luce che ci era nascosta. I misteri pertanto devono essere verità luminose, splendide", che "si sottraggono al nostro sguardo per soverchia maestà, sublimità e bellezza".

E anche andrebbe letto, specialmente da chi si sta formando nei seminari, l'ultimo capitolo dell'opera di Scheeben, quello sulla teologia, "la scienza dei misteri", appoggiata tutta "al Lògos di Dio".

L'ortodossia, quindi, con le sue verità "visibili" agli "occhi illuminati del cuore" (Efesini, 1, 18): ecco la condizione imprescindibile per un annunzio fedele del Vangelo e un rinnovamento nella Chiesa.

 

da "L'Osservatore Romano" del 25 agosto 2010

 




[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/08/2012 18:32
 
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[SM=g1740733] Uomini irrequieti


Lettera scritta nell’anno 380 da papa Damaso ai vescovi della Macedonia.Dopo aver condannato l’ordinazione di Massimo Cinico, Damaso esorta i vescovi macedoni affinché nel concilio che sarà di lì a poco celebrato a Costantinopoli venga affidata la guida di quella città a un vescovo degno; e affinché vengano osservati i decreti dei padri contro il trasferimento dei vescovi


La lettera di papa Damaso ai vescovi della Macedonia


Il papa accoglie l’appello contro un vescovo intruso, Ms. lat. 3898, 
f.142 v., Biblioteca Nazionale, Parigi

Il papa accoglie l’appello contro un vescovo intruso, Ms. lat. 3898, f.142 v., Biblioteca Nazionale, Parigi

Dopo aver letto ciò che la vostra carità mi ha scritto, fratelli carissimi, sono rimasto veramente rattristato; proprio nel momento in cui, con l’aiuto di Dio, gli eretici, colpiti da infamia, si erano allontanati, alcuni – non so chi – venuti su richiesta dall’Egitto, contro la regola della disciplina ecclesiastica, vollero chiamare all’episcopato nella città di Costantinopoli un [filosofo] cinico, estraneo alla nostra fede.
Ebbene, se questo sia stato dovuto a impeto sincero piuttosto che a vergognosa presunzione, non possiamo saperlo.

Comunque appare evidente che gli uomini irrequieti, mentre presumono molto, non sanno affatto quel che devono fare.
Non avevano letto l’Apostolo che scrive: «È una vergogna per un uomo prendersi cura dei capelli»?
Non sapevano che il modo di essere dei filosofi non conviene a quello cristiano?
Non avevano udito l’Apostolo che ammonisce di non abbandonare il vestito della sana fede per la seduzione vuota di quella filosofia che a lungo avevano professato?
Perché così tanta fretta – visto che il modo di essere dei filosofi non piace per nulla ai cristiani – nel fare senza pudore ciò che era del tutto sconveniente?
Ma la perversità di questi uomini così meschini ha fatto dell’altro.
Espulsi dalla chiesa, ordinarono tra muri altrui quell’uomo irrequieto e, per quanto è dato di capire, ambizioso. Ma è chiaro che queste sono macchinazioni del diavolo, che procura agli eretici materia per accusarci.

Si è compiuto quello che dice il Vangelo: «Ogni pianta che non avrà piantato il Padre mio celeste, sarà sradicata».
Questo l’ho ricordato spesso alla vostra carità perché non si faccia nulla sconsideratamente. Ignora forse la vostra sincerità che nelle guerre mondane i soldati stanno maggiormente all’erta lì dove il nemico attacca con insistenza? Se dunque sempre con le armi episcopali dobbiamo resistere, sollecitamente dobbiamo agire per non lasciare, Dio non voglia, il gregge di Cristo a lupi rapaci.

La filosofia, amica della sapienza mondana, è nemica della fede, veleno per la speranza, in lotta acerrima contro la carità. Che accordo può esserci tra il tempio di Dio e gli idoli? Che hanno da spartire Cristo e Belial?

Forse alcuni diranno: era cristiano. Ma a un uomo che incede con atteggiamento profano non va mai riconosciuto il nome di cristiano, perché non può essere che chi in questa maniera cerca di piacere ai pagani possa essere partecipe con noi della fede integra.
D’altra parte, non senza ragione, quelli che erano venuti dall’Egitto, biasimati da tutti, se ne andarono ammettendo il proprio errore. E a colui che era stato ordinato per motivi non buoni vennero tagliati i capelli, in modo che fosse disonorato e nello stesso tempo non potesse essere ciò cui ambiva. Fu giusto che quel che ingiustamente era stato intrapreso venisse cancellato dalla pubblica autorità [dall’imperatore che in quel momento risiedeva a Tessalonica in Macedonia].

Per il resto faccio appello alla vostra santità.
Dal momento che ho saputo che è stato stabilito debba tenersi un concilio a Costantinopoli, la vostra sincerità si adoperi perché sia scelto un vescovo, per la predetta città, che non abbia nessun motivo di biasimo: affinché, con la benevolenza di Dio, essendo stata confermata integralmente la pace dei vescovi cattolici, non nasca in seguito nessun dissenso nella Chiesa; cosicché, con l’aiuto di Dio, che già prima abbiamo invocato, la pace fra i vescovi cattolici possa durare sempre.

Inoltre richiamo la vostra carità. Non permettete che qualcuno, contro quello che è stato stabilito dai nostri padri, sia trasferito da una città a un’altra, e abbandoni il popolo a lui affidato passando per ambizione a un’altra Chiesa. Ne sorgono infatti ora contese, ora le divisioni più pericolose; dal momento che quelli che hanno perso il vescovo non possono non essere addolorati, e quelli che ricevono il vescovo da un’altra città, anche se immediatamente sono contenti, si renderanno conto che va a loro discredito stare sotto un vescovo che viene da altrove.


[SM=g1740771]
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31/08/2012 12:53
 
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[SM=g1740733] Piccola premessa:

il cardinale Martini sta morendo.... oltre alle nostre filiali preghiere e sentimenti di vero e sincero affetto, è indispensabile, proprio per la purificazione della sua anima, che anche i suoi insegnamenti vengano.... purificati.... e se alla sua Anima ci pensa il Signore al quale supplichiamo clemenza e benevolenza, quanto alle sue idee dobbiamo prodigarci noi, la Chiesa, a ripulire i suoi errori...

Martini è stato un buon pastore ma un pessimo maestro.... spesso contestatore ed innovatore nelle dottrine, ILLUDENDO tuttavia i fedeli su certi cambiamenti dottrinali che la Chiesa non avrebbe mai potuto accettare, e che di fatto non ha accettato.

Volutamente non lo abbiamo postato nella sezione dedicata ai "falsi maestri" perchè innanzi tutto Martini non solo non è mai stato un "falso" ma anzi, ha sempre cercato di rimanere onestamente ancorato e fedele AL SOMMO PONTEFICE..... Martini aveva idee strambe si è vero, ma non le ha mai imposte come dottrina, nè ha mai fondato gruppi o comunità che si opponessero alla Dottrina della Chiesa; e poi qui, attraverso le parole di padre Lentini, ci diventa più chiaro l'errore di Martini a cominciare da quel: .....CREDIAMO QUELLO CHE DIO CI HA RIVELATO
E LA CHIESA CI PROPONE A CREDERE...... [SM=g1740733]
ecco, il cardinale Martini, se pur come Pastore ha portato il gregge in quel "crediamo quello che Dio ha rivelato".... ha poi disatteso quel "e la Chiesa ci propone a credere" cercando in tutta la sua vita di modernizzare quelle dottrine "non negoziabili" che la Chiesa proponendoci a credere, viene perseguitata e spesso usata come oggetto di cambiamenti a seconda delle mode e dei tempi....

Dopo questa premessa leggiamo infatti dalla tastiera di Izzo, una interessante biografia del cardinale Martini e per lui preghiamo, in Cristo lo abbracciamo con affetto, ma senza per questo rinunciare a denunciarne gli errori.....

Il pietoso silenzio della Chiesa sui limiti di Martini (Socci)

Clicca qui per leggere l'articolo.

Vedi anche:


Chi sogna di farsi un anti-papa (Tarquinio)

venerdì 31 agosto 2012

MARTINI: L'AMICO CONTESTATORE MA FEDELE DI RATZINGER E WOJTYLA

Salvatore Izzo


(AGI) - CdV, 30 ago.


Benedetto XVI ha potuto salutarlo lo scorso 3 giugno, nell'episcopio di Milano, e in questi 7 anni numerose volte ha voluto rendere omaggio al grande cardinale gesuita, punto di riferimento dell'ala progressista nel Conclave del 2005 dopo essere stato il simbolo di una chiesa piu' aperta e dialogante per tutto il pontificato di Giovanni Paolo II, il Papa polacco che lo aveva nominato a sorpresa arcivescovo di Milano (la piu' grande diocesi del mondo) il 29 dicembre 1979 e lo ha consacrato personalmente il 6 gennaio del 1980.

Il gesuita Martini infatti era il rettore della Pontificia Universita' Gregoriana ed era considerato un autorevole biblista. Non risulta che mai Papa Wojtyla si sia pentito della sua scelta, anche se per vent'anni l'arcivescovo di Milano ha poi rappresentato una sorta di magistero alternativo, tanto che il Corriere della Sera era arrivato a definirlo in un titolo "il candidato degli anglicani" al Papato, per dare conto degli ottimi rapporti (vere e proprie convergenze) tra la chiesa martiniana e quella protestante inglese.

Questa continua contrapposizione pero' il cardinale la viveva senza arroganza, quasi meravigliandosi che giornali e giornalisti cogliessere le poche differenze piuttosto che la sua sostanziale obbedienza. Nel 1997, ad esempio, commentando il "no" definitivo di Wojtyla al sacerdozio femminile, l'arcivescovo di Milano disse: "nella storia della Chiesa pero' ci sono state le diaconesse, possiamo pensare a questa possibilita'". Gli storici della Chiesa antica replicarono immediatamente che le donne erano ammesse a un particolare servizio della carita' che si differenza dal diaconato odierno in quanto non era prevista l'ordinazione che ne fa oggi una sorta di primo grado del sacerdozio. E il cardinale evito' di controreplicare.

Il torinese Martini (autore di decine di libri di commento esegetico ed ex professore e rettore del Pontificio Istituto Biblico, prima di approdare alla Gregoriana) era cosi': non cercava la polemica con Roma, ma non era disposto a tacere se la pensava diversamente dal Papa.

Da biblista, ad esempio, ha dedicato in questi anni recensioni puntute ai due volumi dell'opera "Gesu' di Nazaret" firmati da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. E il Papa tedesco non se l'e' presa affatto. Anzi in piu' occasioni, anche in discorsi pronunciati a braccio, ha rinnovato la sua stima e espresso considerazione e stima per Martini, come pastore e come studioso. Gli e' grato del resto per quanto accaduto la mattina del 19 aprile 2005, quando il porporato gesuita ha fatto convergere sul suo nome i cardinali progressisti, che nelle prime votazioni avevano indicato l'arcivescovo di Buenos Aires Bergoglio (anche lui gesuita).
I due cardinali professori, il teologo e il biblista, oltre che coetanei (classe 1927, Martini e' nato il 15 febbraio, Ratzinger il 16 aprile) hanno sempre avuto rapporti cordiali. Anzi si puo' dire che tra loro c'e' sempre stato un feeling, anche se quello divenuto Papa era allora, per il suo ufficio di prefetto dell'ex Sant'Uffizio, il custode dell'ortodossia, e l'arcivescovo di Milano amava invece i territori inesplorati della teologia e dell'etica, dove spesso camminava rasente agli strapiombi, come emerge anche dai suoi piu' recenti scritti sull'eutanasia.

Joseph Ratzinger e Carlo Maria Martini si erano conosciuti personalmente solo nel 1978 quando alla morte di Paolo Vi l'allora arcivescovo di Monaco trascorse a Roma le settimane del preconclave. Pochi mesi prima il rettore della Gregoriana (che nel tempo libero assisteva gli anziani ospiti di una casa famiglia della Comunita' di Sant'Egidio a Trastevere) era stato chiamato da Papa Montini a predicare gli esercizi spirituali di Quaresina in Vaticano, un incarico che qualche era toccato anche a Karol Wojtyla.
Si dice che l'infarto che uccise appena un mese dopo l'elezione Giovanni Paolo I, abbia sorpreso il Papa mentre si struggeva per decidere chi mandare a Milano in sostituzione del cardinale Colombo, ormai anziano, e chi a Venezia, a fare il patriarca al suo posto. E che Albino Luciani pensasse per uno dei due incarichi a un gesuita, padre Bartolomeo Sorge.

In ogni caso, morto il Papa del sorriso ed eletto il vigoroso arcivescovo di Cracovia, il 10 febbraio 1980 fu un gesuita, Carlo Maria Martini, a fare l'ingresso ufficiale nella Diocesi di Milano, che ha poi guidato per oltre vent'anni.

Nel novembre 1980, cioe' pochi mesi dopo, ha introdotto in diocesi la "Scuola della Parola" che consiste nell'aiutare il popolo di Dio ad accostare la Scrittura secondo il metodo della lectio divina. E' del novembre 1986 il grande convegno diocesano ad Assago sul tema del "Farsi prossimo", dove viene lanciata l'iniziativa delle Scuole di formazione all'impegno sociale e politico. Grande risonanza ha avuto poi la serie di incontri - iniziati nell'ottobre del 1987 - sulle "domande della fede", detti anche "Cattedra dei non credenti", indirizzati a persone in ricerca della fede.

Il 4 novembre 1993 ha convocato il 47esimo Sinodo diocesano di Milano, conclusosi il primo febbraio 1995. Nel 1997 ha presieduto le diverse manifestazioni per celebrare il XVI centenario della morte di S. Ambrogio, patrono della diocesi di Milano. Vasta eco, al di la' dei limiti territoriali della diocesi, hanno avuto le sue Lettere Pastorali e i Discorsi alla citta' di Milano.

Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee dal 1987 al 1993, Martini ha anche preso parte a numerose Assemblee del Sinodo dei Vescovi. Relatore alla VI Assemblea generale del 1983, sul tema: "Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa", e' stato Membro della Segreteria del Sinodo dei Vescovi per molti diversi mandati. E proprio in uno degli ultimi Sinodi convocati da Wojtyla era intervenuto per chiedere un nuovo Concilio, proposta pero' subito archiviata da Giovanni Paolo II.

Dimessosi a 75 anni esatti da ogni incarico, l'arcivescovo emerito di Milano dall'11 luglio 2002 si trasferi' a Gerusalemme dove riprese gli amati studi biblici. E lo si vedeva passeggiare con il panama bianco e un bastone elegante nella citta' vecchia, tra la Porta di Damasco e quella di Jaffa, un itinerario che compiva spesso per recarsi dalla casa dei gesuiti biblisti al Santo Sepolcro. Il resto e' storia dei nostri giorni. La stessa malattia di Wojtyla, il morbo di Parkinson, lo costrinse qualche anno fa a rientrare in Italia, a Gallarate, da dove non era per lui possibile spostarsi facilmente, ma grazie a internet poteva collaborare con diverse testate, tra le quali il Corriere della Sera che ogni 15 giorni gli dava una pagina per rispondere ai lettori sui temi della fede e della morale.

[SM=g1740717] [SM=g1740720]
[Modificato da Caterina63 13/09/2012 19:03]
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Eccellenza, se parlasse «quando alle galline cresceranno i denti»?

venerdì 14 settembre 2012

“Come Vescovo di questa comunità ecclesiale pavese, voglio esprimere a nome mio e della comunità sentimenti di vicinanza e di presenza alla Comunità musulmana pavese, in occasione della chiusura dl mese sacro del Ramadan 2012. Sappiamo che avete celebrato la discesa celeste del Libro sacro del Corano, applicandovi a una lettura più intensa e pia della Parola di Dio e che avete offerto a Dio il sacrificio del vostro digiuno quotidiano. Grati della Vostra testimonianza, ci sentiamo in comunione di preghiera e di fede.
Con stima, Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia”.

Un caro amico ricordava spesso che, per essere eretici, bisogna essere almeno un po’ intelligenti. Mi frullava in mente questo pensiero quando mi sono imbattuto in questa strabiliante lettera di Mons. Giudici, Vescovo di Pavia. All’inizio, in verità, ho pensato ad una “bufala”: una di quelle affermazioni che vengono inventate per screditare qualcuno (capita piuttosto spesso nel mondo dell’informazione). Poi mi sono reso conto che il testo corrisponde a verità. Infatti, sempre sul sito de “Il Ticino”, giornale della diocesi di Pavia, è riportato uno stralcio della conversazione tra un giornalista e Mons. Giudici.

«In occasione della recente chiusura del Ramadan, lei ha inviato un messaggio alla comunità musulmana pavese ringraziandola per la lettura più intensa della Parola di Dio ed il sacrificio del digiuno quotidiano svolti in questo mese sacro, e sottolineando anche la "comunione di preghiera e di fede" che la unisce a noi cristiani. E un messaggio di speranza e pace in un panorama internazionale ancora segnato dalla violenza e dall'odio, come dimostra anche la guerra civile che si sta combattendo in Siria.

“L’ascolto della Parola, la preghiera e il digiuno, cioè il mettersi in discussione nelle proprie giornate per stare di fronte a Dio, sono fatti positivi. E’ importante guardare con attenzione a questi aspetti di una religiosità che costruisce l’uomo, pur dovendo spesso fare i conti con enormi difficoltà. Di fronte ad un mondo in cui c’è ancora tanta violenza, incapacità di collaborare e una continua contrapposizione, noi che siamo persone di fede sappiamo che il progetto di Dio su di noi e sulla società è diverso. Questo ci dà forza e coraggio. Il Dio che ci ha creati vuole fraternità. Ogni passo verso questi atteggiamenti è un gesto positivo”».

Inoltre un tweet dello stesso Vescovo afferma: «Giovanni Giudici @vescovogiudici. La comunità musulmana conclude il Ramadan; mese sacro di lettura più intensa della Parola e di offerta del digiuno quotidiano. In comunione.»

Comunione di preghiera e di fede? Forse bisognerebbe ritrovare il senso delle parole e anche la fierezza e il gusto della nostra fede cristiana! [SM=g1740721]
Come è possibile che «maestri della fede» sostengano posizioni così in contrasto con l’insegnamento della Chiesa? Come non preoccuparci per questo magistero parallelo, che comunica posizioni francamente eterodosse (oltre che superficiali e scioccamente buoniste), nell’illusione forse di essere ascoltato e di favorire il dialogo con gli altri? Che dialogo può esserci con chi non sa neppure chi è?

Sempre sul sito de “Il Ticino”, si trova un articolo che rivela preoccupazione per il calo degli studenti delle superiori che scelgono di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. In effetti, che senso ha l’ insegnamento di una materia che non ha più identità, per cui le religioni alla fine si equivalgono (tanto che il Corano è definito «Parola di Dio»); un insegnamento che non aiuta a leggere la drammaticità della realtà? Sono di questi giorni le notizie del barbaro assassinio dell’ambasciatore USA: oltre all’orrore del crimine, c’è lo sgomento per la rinuncia a quegli elementi di civiltà per cui ogni ambasciatore è sempre stato considerato “sacro”, nell’esercizio delle sue funzioni.

Occorre forse ricordare il significato e il valore dei Vescovi nella Chiesa? Il documento CHRISTUS DOMINUS di Paolo VI afferma: «Cristo diede agli apostoli ed ai loro successori il mandato e la potestà di ammaestrare tutte le genti, di santificare gli uomini nella verità e di guidarli. Perciò i Vescovi, per virtù dello Spirito Santo che è stato loro dato, sono divenuti veri ed autentici maestri della fede, pontefici e pastori».

Due corollari importanti

1. Chiediamo a chi è preposto nella Chiesa di vigilare perché il mandato episcopale sia svolto con fedeltà al magistero, e di riprendere quanto afferma il Codice di Diritto Canonico a proposito del Metropolita: «Can. 436 - §1. Nelle diocesi suffraganee spetta al Metropolita:
vigilare perché la fede e la disciplina ecclesiastica siano accuratamente osservate, e informare il Romano Pontefice su eventuali abusi…»

2. A proposito di informazione.
Proprio oggi, a Radio Rai 3, nella trasmissione Tutta la città ne parla, un ascoltatore riportava la grande quantità di cittadini inermi fucilati da Pio IX «perché non volevano il potere temporale». Siccome questa era la registrazione di quanto precedentemente affermato, riportarla senza correzione o commento testimonia una pericolosa faziosità, che non è tollerabile nel servizio pubblico.

[SM=g1740733]


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21/09/2012 14:36
 
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Un approfondimento su "Corrispondenza Romana"

Con la morte del cardinale Martini è stata canonizzata

 la teologia del dubbio

di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
 
A forza di interpretare la Scrittura a proprio estro, come ha insegnato il cardinale Carlo Maria Martini e prima di lui Lutero e prima ancora Valdo e prima di loro uno stuolo per nulla originale di eretici, troppi cattolici hanno finito per praticare al contrario il chiarissimo monito evangelico che invita a essere candidi come colombe e astuti come serpenti.
Perché solo gente candida come serpenti e astuta come colombe può applicarsi al tentativo di sottrarre il cardinale Martini all’uso che il mondo ne sta facendo dopo la sua morte.
Solo un’astuzia spuntata e un candore ingrigito possono condurre un cattolico a non rendersi conto che il mondo sta facendo dell’arcivescovo, in morte, l’uso che lui stesso aveva scelto in vita.

Non deve proprio stupire se il primo frutto pubblico post mortem dell’opera del cardinale è la
notizia della proposta di legge sul fine vita elaborata da Furio Colombo e intitolata proprio “Legge Martini”.
Un sorta di miracolo laico, verrebbe da dire, che “Il Fatto Quotidiano” del 12 settembre 2012 presenta così: “Il testo si compone di tre soli articoli. Primo: ogni cittadino ha il diritto di decidere liberamente di non ‘vivere’ in stato di coscienza la propria agonia e la propria morte.

Ha diritto perciò di chiedere di essere ‘sedato’ entrando nella fine irreversibile di ogni sofferenza e ogni angoscia, anche qualora l’uso di narcotici possa abbreviare la continuazione della vita dell’organismo. Secondo: la legge istituisce una ‘alleanza medico-paziente’ che stabilisce inequivocabilmente il diritto di ogni ammalato (irreversibilmente inguaribile) di scegliere il momento in cui ricevere una ‘sedazione’ definitiva che lo accompagni, in perfetta incoscienza senza ritorno, alla morte dell’organismo.

Tale diritto è esercitato da chi, per legame naturale o come indicato da una precedente dichiarazione esplicita, rappresenta la volontà dell’ammalato, nel caso di impossibilità diretta di comunicare da parte del paziente. Terzo: le strutture sanitarie pubbliche e private sono responsabili della sofferenza fisica, psicologica e morale conseguente alla non applicazione della presenta legge, a causa di carenze tecniche e o amministrative, e ne rispondono in sede civile e penale. Si parla dunque di palliazione nella proposta di Colombo che pone l’accento sulla volontà espressa da Martini ‘di dire ai medici che lo assistevano, di rinunciare a qualunque proseguimento delle tecniche di mantenimento in vita. Dunque l’espressione della richiesta, a cui i medici hanno aderito, di essere sedato in modo da poter morire senza terrore e senza dolore’”.

Come sempre, al dramma è seguita la farsa delle smentite, delle controsmentite, delle interpretazioni e delle contronterpretazioni.
Ma è difficile sottrarre all’uso del mondo la morte del cardinale, oltre che la sua vita, dopo la lettera della nipote Giulia Facchini Martini, pubblicata sul “Corriere della Sera” del 4 settembre. Nel testo, si legge tra l’altro: “Avevi paura, non della morte in sé, ma dell’atto del morire, del trapasso e di tutto ciò che lo precede. Ne avevamo parlato insieme a marzo e io, che come avvocato mi occupo anche della protezione dei soggetti deboli, ti avevo invitato a esprimere in modo chiaro ed esplicito i tuoi desideri sulle cure che avresti voluto ricevere. E così è stato. Avevi paura, paura soprattutto di perdere il controllo del tuo corpo, di morire soffocato.

Se tu potessi usare oggi parole umane, credo ci diresti di parlare con il malato della sua morte, di condividere i suoi timori, di ascoltare i suoi desideri senza paura o ipocrisia. Con la consapevolezza condivisa che il momento si avvicinava, quando non ce l’hai fatta più, hai chiesto di essere addormentato. Così una dottoressa con due occhi chiari e limpidi, una esperta di cure che accompagnano alla morte, ti ha sedato”
Quand’anche, scorrendo queste righe, non ci si trovasse in quella zona grigia tanto evocata e vezzeggiata dal cardinale, non pare proprio questo l’atteggiamento che il gregge si attende dal pastore davanti alla morte. Qui ci si trova davanti a un sentire e a un pensare che turbano e rimandano inevitabilmente a quanto Martini confessava nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme durante il colloquio con il confratello Georg Sporschill: “Le mie difficoltà hanno riguardato un grande interrogativo: non riuscivo a capire perché Dio lascia soffrire suo Figlio sulla croce. Perfino da vescovo, a volte, non riuscivo ad alzare lo sguardo verso il crocifisso, perché questa domanda mi tormentava. Me la prendevo con Dio… Soltanto in seguito un concetto teologico mi è stato di aiuto nel mio travaglio: senza la morte non saremmo in grado di dedicarci totalmente a Dio… Nella morte spero di riuscire a dire questo sì a Dio”.

Parlare del cardinale Martini, del suo pensiero e della sua opera dentro la Chiesa vorrebbe dire affrontare senza ipocrisie passi intessuti di tragedia come questo. Senza esimersi dal pregare generosamente per la sua anima, poiché nessuno, tranne Dio, sa dove si trovi e quale sia il suo destino. E, invece, per mesi e forse per anni, si dovranno sorbire lenzuolate di giornali, di libri, di siti, di radio, di tv cattoliche che spiegheranno come e qualmente il cardinale non ha detto ciò che ora il mondo gli fa dire e non ha fatto quello che il ora il mondo gli fa fare. Come se, a suo tempo, il cardinale si fosse mai degnato di ritrarsi, anche solo di un passo, dal ruolo di papa alternativo che il mondo laico, in solido con quello cattoprogressita, gli ha attribuito. Non lo ha mai fatto e, anzi, ha sempre contribuito ad alimentare tale vulgata con il pensiero e l’azione.

La questione del fine vita è solo l’ultimo degli esempi, eclatante come lo sono tutti gli altri. L’abolizione del celibato sacerdotale e il sacerdozio femminile, le aperture su convivenze, sugli omosessuali e la comunione ai divorziati risposati, la collegialità, il conciliarismo e la contestazione del primato petrino, l’esaltazione di figure come Lutero e il fiancheggiamento dei preti cosiddetti scomodi e quindi accolti in tutti i salotti che contano: sono tutte scelte meditate e praticate che hanno incontrato il plauso del mondo e ora non c’è più tempo per ritrattarle.

Eppure c’è chi spiega e spiegherà che il cardinale non voleva dire quello che ha detto e, anzi, metterà in guardia le avanguardie del mondo e del progressismo cattolico dal fare un uso indebito della sua eredità.
Come dire, l’ermeneutica della continuità applicata al martinismo, una dottrina che, prima ancora che essere un contenuto, consiste in un metodo fondato sull’esercizio del dubbio e dell’ambiguità. Pane per qualsiasi ermeneuta deciso a trarne ciò che vuole, ma impossibile da digerire per chiunque legga il magistero martiniano alla luce dell’ortodossia.

Uno degli esiti più eclatanti di tale pensiero si è mostrato nella “Cattedra di non credenti”, un’intrapresa culturale che ha contribuito gagliardamente alla devastazione dottrinale della diocesi di Milano e poi, per contagio, del resto d’Italia e non solo. Nel 2002, in un discorso agli studenti del Pontificio Istituto Biblico, il cardinale la ricordava così: “(…) la ‘Cattedra dei non credenti’ (…) non è di per sé un’iniziativa biblica, ma nasce dalla Scrittura. ‘Dice l’empio: non c’è Dio’, dunque ascoltiamo l’empio. Cioè chiamiamo in cattedra i non credenti a spiegarci perché non credono. Poi non facciamo con loro un dibattito apologetico o una conferenza, cerchiamo di ascoltarci. Con la percezione che c’è in ciascuno di noi, almeno in me, una duplice personalità: un credente e un non credente che continuamente fa obiezioni, pone domande, problemi”.

Non può passare inosservata l’evidente autocertificazione di schizofrenia dottrinale e spirituale sottoscritta da Martini. Una vera e propria patologia pericolosa per qualunque fedele, ma addirittura sciagurata per un pastore che dovrebbe confermare nella fede il proprio gregge. Eppure è proprio questo il cuore dell’azione pastorale e dottrinale dell’arcivescovo di Milano, il quale usò più volte le stesse parole e gli stessi concetti per illustrarlo. Su “Il nostro tempo” del 17 ottobre 1993, esaltava il dubbio come “quell’esercizio dello spirito che in questi anni a Milano ha avuto il nome un po’ provocatorio di ‘Cattedra di non credenti’. (…) Ho organizzato questi incontri partendo dall’ipotesi che c’è in ciascuno di noi una parte credente e una non credente, o almeno resistente alla fede. (…) I due si parlano, si contrastano, si confrontano. Ciascuno di noi dà poi la prevalenza all’uno o all’altro dei due atteggiamenti, ma quello opposto gli rimane dentro. Il non credente sente una domanda di certezza, il credente viene vessato dalle ombre del dubbio”.

E’ evidentissimo che, secondo le stesse parole del cardinale, dal confronto, è proprio il credente, “vessato dalle ombre del dubbio”, a uscire malridotto dal confronto. Perché è proprio questo l’esito della dottrina e della pastorale martiniana: la destrutturazione della fede. Un esito disumano in cui non esistono più certezze e punti riferimento che ha come corrispettivo iconografico l’incomprensibile arte moderna.

Ma, fatti salvi i dubbi involontari che possono sorgere nell’intelletto riguardo alla verità proposta dalla fede, poiché questa rimane oscura alla ragione, chi crede non è un povero cieco che brancola inutilmente nel caos. Il credente ha il preciso dovere di rigettare il dubbio, poiché la fede non poggia sull’evidenza della ragione, ma sulla veracità di Dio. Nella Summa Teologica (II II, q.4, a. 8, ad 2), San Tommaso spiega che “A parità di condizioni vedere è più certo che ascoltare. Quando però colui dal quale si ascolta supera di molto la perfezione di chi vede, allora udire è più certo che vedere. Come un uomo di cultura modesta è più certo di ciò che ascolta da una persona dottissima che di ciò che a lui può apparire secondo la sua ragione. E un uomo è molto più certo di ciò che ascolta da Dio, il quale non può ingannarsi, che di quanto egli vede con la sua propria ragione ingannevole”.

Abbandonato questo criterio, il metodo della “Cattedra dei non credenti” ha infranto anche un altro chiarissimo ammonimento deposto dalla sapienza e dalla fede di San Tommaso nella Summa, il cui articolo 7 della questione 11 (II II) porta l’inequivocabile titolo “Se si debba disputare pubblicamente con gli infedeli”.
La risposta del santo dottore inizia così: “Nelle dispute sulla fede si devono considerare due cose: una a proposito di chi affronta la disputa, l’altra a proposito degli ascoltatori. A proposito di chi disputa dobbiamo considerare l’intenzione. Se infatti uno disputasse perché dubita della fede, senza avere come presupposto la certezza della sua verità, ma volendola raggiungere con degli argomenti, peccherebbe indubbiamente, in quanto incredulo e dubbioso sulle cose di fede. Se invece disputa sulla fede per confutare, o per pio esercizio, fa una cosa lodevole”.

Come al solito, implacabile nella sua chiarezza e nella sua lucidità, Tommaso mostra che il contenuto e il metodo della “Cattedra dei non credenti” cadono sotto il caso di chi disputa “perché dubita della fede”. Con l’aggravante tutta moderna della volontà di rimanere nel dubbio.

Poi, l’articolo della Summa procede parlando del pubblico: “E a proposito degli ascoltatori si deve vedere se coloro che ascoltano la disputa sono istruiti e fermi nelle cose della fede, oppure sono delle persona semplici e titubanti. Infatti nel disputare sulle cose di fede dinanzi a persone istruite e ferme nel credere non c’è alcun pericolo. Se invece si tratta di gente semplice bisogna distinguere. Infatti questi ascoltatori o sono sollecitati e combattuti dagli infedeli, per esempio dagli Ebrei, dagli eretici o dai pagani che tentano di corromperne la fede, oppure sono tranquilli come avviene nelle regioni in cui non ci sono gli infedeli.
Nel primo caso è necessario disputare pubblicamente sulle cose di fede: purché vi siano delle persone capaci e preparate, che possano confutare gli errori. (…) Invece nel secondo caso è pericoloso disputare pubblicamente sulla fede dinanzi a persone semplici, la cui fede è più ferma per il fatto che non hanno mai ascoltato qualcosa di diverso da ciò che credono. Perciò non conviene che essi ascoltino i discorsi degli infedeli che discutono contro la fede”.

Anche su questo versante, pare chiarissimo come l’iniziativa del cardinale contravvenga all’insegnamento tomista e sia andata a turbare la fede di chi non avrebbe proprio avuto bisogno di essere “vessato dal dubbio”. Senza contare che non uno degli interlocutori non credenti portati in cattedra da Martini abbia dato mostra di aprirsi alla fede cattolica. Non uno dei grandi intellettuali agnostici, atei, eretici o di altre religioni che lo hanno osannato in vita e in morte l’hanno trovato così attraente da arrendersi a Cristo.
Del resto, il cardinale non lo chiedeva. Impugnando il dubbio come un pastorale, ha sempre preferito viaggiare sul filo dell’ambiguità pensando bene di sospingere le pecore oltre gli steccati dell’ovile e soprattutto, di mantenervi fuori quelle che già erano uscite. A volte in manifesto contrasto con la dottrina cattolica, altre mantenendosi un passo indietro e alimentando l’eresia altrui, basta che circolasse.

Tra i casi recenti più celebri, va ricordato quello del libro di Vito Mancuso, L’anima e il suo destino. Un’operina che demolisce il concetto di peccato originale, la resurrezione di Gesù, il ritorno del Salvatore nella gloria, l’eternità dell’inferno, Dio come fonte della salvezza, le Sacre Scritture come parola di Dio, l’intervento divino nella storia e definisce il purgatorio una “salutare invenzione”. Là dove le tesi di Mancuso non coincidono con quanto detto da Nostro Signore e da San Paolo è presto fatto: sono Nostro Signore e San Paolo a sbagliarsi. Quanto alla morale sessuale, il professore ha sistemato tutto mettendo sotto il compressore la dottrina della Humanae Vitae sulla contraccezione: “Occorre guardare in faccia la realtà per quello che è, non per quello che si vorrebbe che fosse, e la realtà è che i rapporti sessuali sono praticati largamente al di fuori del matrimonio e a partire da giovanissima età”.

Su “Civiltà cattolica”, padre Corrado Marucci, dopo aver stroncato il libello mancusiano, ha concluso: “Se per teologia si intende la riflessione dell’intelletto umano illuminato dalla fede sulla Sacra Scrittura e sulle definizioni della Chiesa, allora il nostro giudizio complessivo su questa opera non può che essere negativo. L’assenza quasi totale di una teologia biblica e della recente letteratura teologica non italiana, oltre all’assunzione più o meno esplicita di numerose premesse filosoficamente erronee o perlomeno fantasiose, conduce l’Autore a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica. A fronte di una relativa povertà di dati autenticamente teologici, la tecnica di accumulare citazioni da tutto lo scibile umano, oltre al rischio di distorcerne il senso reale ai propri fini poiché esse fanno parte di assetti logici a volte del tutto diversi, non corrisponde affatto alla metodologia teologica tradizionale”.

Eppure, nella prefazione, l’ex arcivescovo di Milano raccomanda vivamente il libro, anche se vi ravvisa concetti “che non sempre collimano con l’insegnamento tradizionale e talvolta con quello ufficiale della Chiesa”. Un colpo di genio, con quell’apparente innocente “non sempre”, il cardinale ha trovato il pertugio per il genere di operazione in cui è sempre stato maestro: smarcarsi da un’eventuale ricognizione della Congregazione per la Dottrina della fede e, nel contempo, aprire grazie ad altri un’autostrada diretta verso l’eterodossia conclamata. Come al solito, grazie al dubbio. “Sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenere conto di quanto tu hai detto con penetrazione coraggiosa” dice il cardinale al vecchio pupillo. “Anche quelli che ritengono di avere punti di riferimento saldissimi possono leggere le tue pagine con frutto, perché almeno saranno indotti o a mettere in discussione le loro certezze o saranno portati ad approfondirle, a chiarirle, a confermarle”.

In questo modo, nel corso dei decenni, Martini ha prodotto un instancabile lavorìo che ne ha fatto l’icona delle icone del progressismo cattolico, il cardinalissimo che a Milano ha impietosamente oscurato il cardinale successore e il successore del successore per chissà quanti mandati. Ne ha fatto il Grande Antagonista che ha sempre colto l’occasione giusta per esercitare il suo magistero alternativo: vuoi l’intervista, vuoi l’opera di esegesi, vuoi la raccolta di riflessioni, vuoi il dialogo con un spalla che le spari grosse e gli permetta di andare oltre fingendo di ritrarsi.

Sono esemplari, da questo punto di vista, le 96 paginette di Siamo tutti sulla stessa barca, firmate con don Luigi Verzé e piene della solita roba: la morale sessuale della Chiesa da buttare, i divorziati risposati da ammettere alla comunione, il celibato dei sacerdoti da mandare a ramengo, l’ottusità dell’etica cattolica da scrollarsi di dosso, e poi la sinodalità, l’apertura al mondo, il popolo di Dio che elegge direttamente i vescovi come se fossero dei borgomastri. Tutto spruzzato di snobistico orrore per “le fiumane di gente” che “quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate”.

Il fremito clerical-chic del dialogo con l’antico nemico don Verzé è giusto una carezza consegnata dal cardinale ai suoi seguaci, un discorso della Luna per chi avrebbe voluto vederlo Papa al posto di Benedetto XVI.

Il cardinale, con uno sparring partner come il fondatore del San Raffaele, ha buon gioco a mostrare con studiata ritrosia il suo disegno di una nuova Chiesa. A un don Verzé sicuro che quando Cristo tornerà sulla terra troverà ancora la fede perché ci sarà ancora il San Raffaele, risponde evocando le zone grigie dell’etica su cui ama tanto avventurarsi senza portare un solo contributo per discernere il bianco dal nero. A un don Verzé che parla di morale cristiana incongruente col mondo confida con rammarico che, in effetti, “oggi ci sono non poche prescrizioni e norme che non sempre vengono capite dal semplice fedele”.  A un don Verzé ossessionato da una Chiesa che non rincorre abbastanza velocemente la scienza consegna i suoi “non so”, “non voglio giudicare” vuoti di dottrina e di speranza.
Il cardinale sta un’ottava sotto il prete manager, ma tra le righe il colpo d’ala c’è: per rimettere un po’ d’ordine in questa barca, caro il mio don Verzé, “non basta un semplice sacerdote o un vescovo. Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi”.

Per farla corta, urge un Concilio Vaticano III. Chi altri, se non il Cardinale Antagonista, avrebbe potuto evocarlo senza cadere nel ridicolo? Anzi, potendo vantare di averlo addirittura sognato fin dal Sinodo per l’Europa del 1999. Ma per arrivarci, non basta enunciare una nuova dottrina, serve un metodo per farla passare nell’opinione pubblica. E il metodo consta nella ripetuta pubblicazione di opere e operine, di cui quella con don Verzé è solo un esemplare fra i tanti.
Nella strategia martiniana, opere e operine progressivo-moderniste sono stati altrettanti schemi preparatori sul genere di quelli, che fino al Vaticano II compreso, redigeva la curia romana e su cui i Padri conciliari erano tenuti a discutere. Il fatto che, nel corso di questi decenni, siano stati diffusi a mezzo stampa invece che consegnati ai vescovi tramite Corriere della sera dipende dalla natura del Vaticano III: quella di Concilio mediatico, celebrato quotidianamente sui giornali, in tv, sul web, dove il dialogo paritario tra Chiesa e mondo trova la sua luciferina manifestazione in una Chiesa che si prostra davanti mondo.

Virtualmente in corso da tempo, al Vaticano III mancava una formale cerimonia d’apertura, che ora ha una sua collocazione storica precisa nella morte del cardinale Martini e nella istantanea canonizzazione celebrata all’unisono dal mondo laico, dal mondo ecclesiale progressista e dalla gerarchia a ogni livello. Salvo lodevoli voci isolate che non sono neanche state udite, si è assistito alla edificazione di un vero e proprio mito che ha ridato forza a un neomodernismo saldamente al potere ma in deficit di idee e di prospettive.

L’esito inevitabile dell’inedita unanimità degli elogi al capo riconosciuto della chiesa antagonista ha formalmente aperto il Vaticano III rendendo grottescamente inutili gli sforzi di trovare la migliore ermeneutica del Vaticano II. Sarebbe bastato, non si dice una critica aperta o una chiara presa di distanza, ma almeno un silenzio per incrinare il mito nascente e renderlo inoperante. Invece no. Persino il messaggio firmato da papa Benedetto XVI parlava di “Pastore generoso e fedele della Chiesa”,  “uomo di Dio, che non solo ha studiato la Sacra Scrittura, ma l’ha amata intensamente, ne ha fatto la luce della sua vita, perché tutto fosse ‘ad maiorem Dei gloriam’, per la maggior gloria di Dio”. E poi ancora pastore “capace di insegnare ai credenti e a coloro che sono alla ricerca della verità che l’unica Parola degna di essere ascoltata, accolta e seguita è quella di Dio, perché indica a tutti il cammino della verità e dell’amore”.

Oppure, si potrebbe citare l’intera omelia del cardinale Scola, attuale arcivescovo di Milano che, secondo la vulgata diffusa al suo arrivo, avrebbe dovuto demartinizzare la diocesi ambrosiana per conto di Benedetto XVI. O il mandato non è mai stato conferito, o è evaporato trasformandosi addirittura nel suo contrario: “Carissimi, siamo qui convocati dalla figura imponente di questo uomo di Chiesa, per esprimergli la nostra commossa gratitudine. In questi giorni una lunga fila di credenti e non credenti si è resa a lui presente. Caro Padre, noi ora, con i molti che ci seguono attraverso i mezzi di comunicazione, ti facciamo corona. (…) Non siamo qui per il tuo passato, ma per il tuo presente e per il nostro futuro. (…) Il Cardinal Martini non ci ha lasciato un testamento spirituale, nel senso esplicito della parola. La sua eredità è tutta nella sua vita e nel suo magistero e noi dovremo continuare ad attingervi a lungo”.

Da qui in giù, si è assistito a una valanga di elogi della figura, del pensiero e del magistero martiniano che ha attraversato gli episcopati, le diocesi e i consigli pastorali. E ha investito persino quei movimenti che per decenni hanno fatto la guerra alla curia milanese e ora sostengono che guerra non vi fu, forse qualche malinteso e, se malinteso vi è stato, non fu certo per colpa del cardinale. Neanche a papa Giovanni Paolo II è stato tributato un osanna così unanime.
Potenza della mitologia massmediatica, che ammette voci difformi solo se scorrono a lato, fuori quadro, là dove pur risuonando non esistono, nel luogo dove non vengono udite perché non hanno dignità per essere decifrate, nell’unico inferno concepito dalla modernità e da quel cattolicesimo che le si è fatto connaturale: la segregazione dal mondo.

E adesso si assiste al povero spettacolo di coloro che, dopo aver anche solo vagamente intuito quali sono i disegni del mondo e in qual modo il mondo intende ghermire coloro che gli si danno in pasto, tentano di spiegare che il cardinale non voleva dire quel che gli fanno dire, non voleva pensare quel che gli fanno pensare, non voleva fare quel che gli fanno fare. Ma inutilmente, perché se esiste una cifra che ha caratterizzato il pensiero e l’operato di Martini sta proprio nel non essersi mai sottratto all’abbraccio con il mondo. Il quale, dopo aver tributato gli onori, passa sempre all’incasso degli oneri.

Adesso, c’è chi si stupisce che si osi presentare una proposta di legge palesemente laica sul fine vita intestandola al cardinale. Ma è proprio questo il modo di operare del mondo: creare miti per il proprio uso e consumo ai quali è impossibile opporre una resistenza razionale in quanto operano su livelli diversi, nei cieli in cui la logica e la cronaca non hanno cittadinanza.

E quale logica e quale cronaca, oltretutto, si tenta di opporre all’uso che il mondo fa del cardinale e della sua memoria. Un timido balbettare che, dopo aver gettato a mare il principio di non contraddizione e l’ossequio all’ortodossia, può solo venire travolto dalla dialettica infernale messa in campo dalla modernità. Una povera ricostruzione di fatti costruita sugli omissis e su improbabili ermeneutiche, in cui si tenta surrealmente di mostrare come il cardinale fosse altro. Uno “che lo conosceva bene” è arrivato fino a sostenere che le deviazioni di Martini non sono frutto di una cattiva teologia, ma di una cattiva sociologia.

Davvero poca cosa che, ancora una volta, mostra come sia tragicamente vero il detto evangelico secondo cui i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce. Appena morto il cardinale, mentre in casa cattolica se ne organizzava la canonizzazione voluta dal mondo accompagnandola a un’inerme vulgata ortodossa, in televisione, Gad Lerner, parlando di musica e di eterodossia, spiegava che “l’interpretazione eretica degli spartiti di Bach sarebbe piaciuta tanto a Martini”. Una semplice battuta messa lì a fare da testo implicito in un discorso tessuto a elogio dell’eresia privo di vero contraddittorio. Questo, purtroppo, è sapiente uso dei mezzi di comunicazione e della mitologia di cui si alimentano. Con una sola frase, detta nel luogo e nel momento giusto, si seppellisce qualsiasi pensiero alternativo.

Per vanificare l’erezione del mito martinista sarebbe stato necessario un gesto difforme da parte della gerarchia, la carità nei confronti di ogni peccatore associata all’affermazione della verità là dove venga violata. Ma non si è visto. Al mondo è stato offerto lo spettacolo mediatico di una Chiesa associata al mondo nella canonizzazione del principe degli antagonisti: proprio l’unica operazione che il mondo, da solo, non avrebbe potuto fare.
 
Alessandro Gnocchi - Mario Palmaro
 
Fonte:
http://www.corrispondenzaromana.it/con-la-morte-del-cardinale-martini-e-stata-canonizzata-la-teologia-del-dubbio/

[SM=g1740758]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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22/09/2012 11:24
 
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[SM=g1740733]Riporto la riflessione qui a seguire a dimostrazione di come dilaga LO SCANDALO a causa del quale i fedeli SONO CONFUSI e disorientati per colpa di questi vescovi o cardinali.....

Ma te ne accorgi?

«Tu, prete, puoi fare ciò che vuoi: anche venderti al diavolo, se vuoi.

Però, questo è certo: che dal giorno dell’ordinazione a quello della morte,

resti immerso nel soprannaturale. Ma te ne accorgi?»

(Domenico Giuliotti)

La crisi della Chiesa è, innanzitutto, crisi del sacerdozio. Preti, vescovi e cardinali che ridicolizzano i Sacramenti sono ormai la norma. Tutta gente che, in tempi più civili, sarebbe stata pregata di ravvedersi o di passare sotto la bandiera di Lutero. Ma, si sa: da cinquant’anni a questa parte viene somministrata la medicina della misericordia e chi riesce a spararla più grossa degli altri viene creato cardinale (la cosa non è facile come sembra, dato il gran numero di eretici che aspirano ad una berretta).

Tutto questo è necessario per parlare dell’ultima vaccata – con tutto il rispetto per le mucche, animali nobilissimi – del card. Schoenborn. Già noto alle cronache per aver celebrato una “Messa dei giovani”, in cui l’Ostia – bianchissimo corpo di Nostro Signore – è stata distribuita come un hot-dog e, infine, schiacciata dalla maggior parte dei presenti, Schoenborn ha – pochi mesi fa – ratificato la nomina di un omosessuale, che “regolarmente” convive con un altro uomo, a consigliere pastorale. Ma, fin qui, nulla di nuovo.

L’ultima vaccata di Schoenborn (prometto – per tutelare il buon nome dei bovini – di non usare più questo termine per parlare delle corbellerie del porporato) è stata affermare che «dobbiamo liberarci dell’immagine tradizionale secondo la quale la Chiesa c’è solo quando è presente un sacerdote».

L’idea è quella di accorpare (entro i prossimi dieci anni) le parrocchie per darle in gestione ai laici. I piani quinquennali per rilanciare l’economia sovietica sono nulla rispetto ai piani decennali del card. Schoenborn per protestantizzare la diocesi.

Ma una parrocchia senza prete è come un corpo senza l’anima. Senza un sacerdote che celebri il Santo Sacrificio della Messa, che confessi, che – insomma – faccia il curato, ovvero si prenda cura delle anime, la parrocchia sarà solamente un centro ricreativo. Una sorta di ARCI, ma molto meno cattolico.

Così facendo, Schoenborn non si accorge che il suo, più che un accorpamento è un accoppamento: uccide la vita spirituale dei fedeli e chiama la propria apostasia “superamento di un’immagine tradizionale della Chiesa”. Rende la parrocchia cattolica una caricatura di quella protestante e chiama il proprio crimine progresso. Crea scandalo appoggiando un omosessuale come consigliere di una parrocchia della sua diocesi e ammanta la propria sfacciataggine di misericordia divina.

Matteo Carnieletto


[SM=g1740758]  breve riflessione:

Il paradosso è che per ben due volte il Papa ha risposto alle stravaganti uscite di questo cardinale, e lo ha fatto di recente sia con un messaggio ai Vescovi per la nuova evangelizzazione sottolineando che:

“Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo. Il Beato Giovanni XXIII, aprendo la grande assise del Vaticano II prospettava un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale ed una formazione delle coscienze, e per questo – aggiungeva – «è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo”...

e sia, il giorno prima parlando ai vescovi Francesi in visita ad Limina dove ha detto:

È dunque necessario che nella riorganizzazione pastorale sia sempre confermata la funzione del sacerdote che «in quanto strettamente vincolata all’ordine episcopale, partecipa della autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo» (Presbyterorum ordinis, n. 2).
Rendo omaggio alla generosità dei laici chiamati a partecipare a uffici e a incarichi nella Chiesa (cfr. cic, can. 228 § 1), dando così prova di una disponibilità per la quale quest’ultima è profondamente riconoscente.
È però opportuno, d’altra parte, ricordare che il compito specifico dei fedeli laici è l’animazione cristiana delle realtà temporali all’interno delle quali agiscono di propria iniziativa e in modo autonomo, alla luce della fede e dell’insegnamento della Chiesa (cfr. Gaudium et spes, n. 43). È dunque necessario vegliare sul rispetto della differenza esistente tra il sacerdozio comune di tutti i fedeli e il sacerdozio ministeriale di quanti sono stati ordinati al servizio della comunità, differenza non solo di grado ma anche di natura (cfr. Lumen gentium, n. 10). D’altro canto occorre restare fedeli al deposito integrale della fede così come è insegnata dal Magistero autentico e professata da tutta la Chiesa.
In effetti, «la stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario.
È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede» (Porta fidei, n. 10). Tale professione di fede trova nella liturgia la sua espressione più alta. È importante che questa collaborazione si situi sempre nel quadro della comunione ecclesiale attorno al Vescovo, che ne è il garante, comunione per la quale la Chiesa si manifesta come una, santa, cattolica e apostolica. [SM=g1740733]

****
pertanto....se dovesse mancare uno solo di questi presupposti, uno solo di questi requisiti ben delineati dal pontefice, verrebbe meno quella PIENA COMUNIONE insegnata dalla Chiesa

[SM=g1740733] e sia ben chiaro che il problema non sta nell'accorpamento in sè.... del resto se i sacerdoti scarseggiano c'è ben poco da fare  [SM=g1740727] il problema è l'appiattimento, la desolazione, il fatto che ci si ADEGUI alla situazione andando a creare delle situazioni che inevitabilmente porteranno a snaturare il Ministero sacerdotale da quello dei laici....
Ma dirò di più....
Schoenborn ha un problema da risolvere, la ribellione di ben 400 sacerdoti che stanno remando contro le dottrine più basilari della Chiesa e lui, ovviamente non vuole perderli, nè rischiare di creare una chiesa parallela.....
In questo senso ho com-passione per questo cardinale.... ma occorre dire che queste situazioni le sta creando lui, per altro alla guida della diocesi da molti anni, forse anche troppi....
Tuttavia, per risolvere il problema di 400 sacerdoti ribelli, non si può cedere a delle soluzioni che non porteranno nulla di buono.
Inoltre la Chiesa stessa insegna, infatti....
prima del Concilio non esisteva questa frenesia di vedere le CHIESE PIENE.... queste non lo sono mai state in duemila anni.... la gente si RADUNAVA attorno al parroco nelle Feste comandate.... nei cambi di STAGIONE per invocare la Provvidenza divina per il raccolto e le semine....
si radunava in caso di calamità o per ringraziare di uno scampato pericolo....
Il Catechismo lo si faceva alla domenica dopo la Messa.... e durante la settimana dopo la Messa del mattino i fedeli andavano avanti con le devozioni come IL ROSARIO che si diceva la sera ion Chiesa al tramontar del sole o nelle famiglie prima di cenare....
IL CAPO FAMIGLIA LEGGEVA LA BIBBIA o la nonna, o la mamma che sapeva leggere e.... se c'era qualcosa che non si capiva interveniva il parroco CON IL CATECHISMO....

Vi racconto questo fatto singolare:
Per un secolo conserva la vera fede [SM=g1740722]

Un Padre domenicano della Provincia delle Filippine, P. Florentino Castarñon, fu incaricato dal suo Superiore nel 1951 di partire missionario per le isole Babuyanes. Gli abitanti di quelle isole non vedevano infatti un missionario da varie generazioni. L'ultimo era stato ancora un domenicano, che prima di lasciarli aveva detto loro: Se verrà qualcuno da voi a presentarsi come ministro della vera religione, accoglietelo solo se viene col Rosario.

Quando dunque, dopo circa un secolo, videro arrivare quel Padre, osservarono subito che aveva la corona. Vedendola appesa alla sua cintura, felicissimi lo accolsero tra loro. Il missionario, visitandoli, restò meravigliato anzitutto di vedere che tutti erano regolarmente battezzati e conoscevano bene i principali misteri della fede. Come mai? Tra loro uno era incaricato di riunirli tutte le domeniche per la recita del Rosario. Poi provvedeva a battezzare i bambini. Così per un secolo. La gente, essendo domenica, recitava sempre i misteri gloriosi (e aveva dimenticato gli altri), ma essi erano stati sufficienti per conservare quel popolo nella fede cattolica.

(Da una lettera del Provinciale domenicano a tutti i religiosi, del 29/10/1972)

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Ecco come devono essere organizzate le Parrocchie senza un prete..... e fa specie che un Schoenborn, DOMENICANO per giunta, non rammenti questo episodio


Se il prete si confonde coi mondani

 
Guai se il sacerdote, dimentico di sì divine promesse, cominciasse a mostrarsi "avido di turpe lucro" e si confondesse con la turba dei mondani, su cui geme la Chiesa insieme con l'Apostolo: "Tutti pensano alle cose loro, non a quelle di Gesù Cristo".
In tal caso, oltre il mancare alla sua vocazione, raccoglierebbe il disprezzo del suo stesso popolo, il quale riscontrerebbe in lui una deplorevole contraddizione tra la sua condotta e la dottrina evangelica così chiaramente espressa da Gesù e che il sacerdote deve annunziare: "Non cercate di accumulare tesori sopra la terra, dove la ruggine e il tarlo li consumano e dove i ladri li dissotterrano e li rubano; procurate invece di accumulare tesori nel cielo".
Se si pensa che uno degli Apostoli di Cristo, uno dei Dodici, come mestamente notano gli Evangelisti, Giuda, fu condotto all'abisso dell'iniquità appunto dallo spirito di cupidigia delle cose terrene, ben si comprende come questo medesimo spirito abbia potuto arrecare tanti danni alla Chiesa attraverso i secoli: la cupidigia, che dallo Spirito Santo è detta "radice di tutti i mali", può trascinare a qualunque delitto; e quando anche non arrivi a tanto, di fatto un sacerdote infetto da tale vizio, consciamente o inconsciamente fa causa comune coi nemici di Dio e della Chiesa e coopera ai loro iniqui disegni.
 
E invece il sincero disinteresse concilia al sacerdote gli animi di tutti, tanto più che con questo distacco dai beni terreni, quando viene dall'intima forza della fede, va sempre congiunta quella tenera compassione verso ogni sorta d'infelici, che trasforma il sacerdote in un vero padre dei poveri, nei quali egli, memore di quelle commoventi parole del suo Signore: "Ogni volta che avete fatto qualche cosa per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatta a me", con affetto singolare vede, venera e ama Gesù Cristo stesso.
 
[ Brano tratto dall'Enciclica “Ad catholici sacerdotii”, di Papa Pio XI ]


[SM=g1740771]


[Modificato da Caterina63 31/12/2012 15:03]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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" Chi rema davvero contro la Chiesa e il Papa? "

Da un rione romano ( ...) abbiamo ricevuto e pubblichiamo . 
 
" Non se ne può davvero più! 
E' un continuo tam-tam che davvero conduce alle affermazioni più assurde. 
Stiamo parlando non della rievocazione, in se, dell'11 ottobre 1962, apertura del Concilio Vaticano II, ma di come viene ancora presentato questo evento in barba agli appelli ed agli insegnamenti del Pontefice Benedetto XVI che lo ha posto in una chiave di lettura - seppur conciliante - racchiusa in quella ermeneuta "della continuità"

Veniamo ai fatti. TV2000 (Tv dei Vescovi della CEI) ha riproposto un video non proprio nuovo in cui le due voci principali fanno a gara per presentare l'evento come di qualcosa "mai avvenuta nella Chiesa", un fatto "nuovo", arrivando ad usare espressioni davvero inaccettabili. 
Giovanni XXIII, il grande Papa che avrebbe finalmente "cambiato la Chiesa". Ma come, non è insegnato dalla dottrina che è la Chiesa che ci cambia interiormente? 
Non è la Chiesa che santifica? 
E che cosa significa "cambiare la Chiesa" per questi catto-progressisti duri a convertirsi? 
Nell'Atto di Fede non diciamo forse di "credere in tutto ciò che la Chiesa ci propone a credere"? E come può una Chiesa insegnare infallibilmente se ad un certo punto della sua storia deve cambiare perché si vergogna del proprio passato? 
Lo stesso simbolo della Fede è "Credo la Chiesa..." ma come si fa a credere ad una Chiesa che dovrebbe cambiare perché a qualche gruppo così, come Essa era, non piace più? 
Ma se il Papa Benedetto XVI nel MP Porta Fidei scrive: 
"E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. 
Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. 
Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede", con quale criterio usare ancora termini ambigui come "cambiamento"? 

In che cosa sarebbe cambiata se il Papa stesso si batte per l'ermeneutica della continuità? 
Al n.30 del Compendio del Catechismo, alla voce noi crediamo si legge: " È infatti la Chiesa che crede: essa in tal modo, con la grazia dello Spirito Santo, precede, genera e nutre la fede del singolo cristiano. 
Per questo la Chiesa è Madre e Maestra". 
Come fa ad essermi quell'una Madre e Maestra che " precede, genera e nutre " se si pretende di cambiarla? E' ovvio che così si finisce per creare una nuova immagine di Chiesa che inevitabilmente andrà a scontrarsi con l'immagine della Chiesa del passato. 
Un conto sono le riforme, il rinnovamento, l'arricchimento, e queste sono sempre benvenute, ma altra cosa è parlare di cambiamento. Una curiosità: in tutti i discorsi tenuti da Giovanni XXIII, sul Concilio, in nessuno egli parla di "cambiamento". 

Veniamo all'altra frase odiosa ripetuta centinaia di volte , come una specie di messaggio subliminale, lungo il video: la Chiesa, dopo Giovanni XXIII non sarà più la stessa! 
Senza dubbio molte cose sono cambiate ma questo perché la Chiesa visibile è fatta dalle membra che vivono il proprio momento storico: noi non siamo certo come i fedeli di trecento anni fa (esteriormente parlando), ne possiamo dire che rappresentiamo i fedeli del futuro, la modernità è proprio specifica al momento storico che vive, non è ne passato ne futuro, ma è il presente. 
Noi forse potremmo dire che oggi siamo uguali alla Chiesa del secondo, quarto o decimo secolo? 
O che al Concilio di Trento la Chiesa era uguale -parliamo sempre di esteriorità e modi- alla Chiesa che si presentava al Concilio di Efeso? 
Forse che una santa Teresina del Bambin Gesù desiderava stare in una Chiesa diversa da quella che stava vivendo nel suo momento storico? 
Tuttavia qui nel video si insinua proprio il dubbio che non sia cambiata semplicemente l'esteriorità, ma il contenuto, e questo è grave, ed è grave che TV2000, dei Vescovi italiani, non dica nulla in merito e senza portare avanti le correzioni fatte dal santo Padre, ma lascia che il tutto continui ad essere vissuto con disgustoso sentimentalismo, portando l'ingenuo fedele a credere che davvero prima del Concilio c'era una Chiesa odiosa, una matrigna, Papi cupi e cattivi. 
Come se bastasse ripartire da una fiaccolata non per commemorare, attenzione, ma per "rivivere" quella serata "magica" del "discorso alla Luna"...., ma si dice anche "discorso della Luna", no scusate, ma il Papa era un esoterico, un astrologo? 
Ci si raduna per ricordare quell'evento, ma non stiamo rasentando l'idolatria, il culto del sensazionalismo, magari anche con qualche goccia di fideismo, o paganesimo? 
E' stato dato l'ordine di convogliare numerosi fedeli per la fiaccolata che ricorderà "il discorso alla Luna", mentre risulta da qualche parte che è stato boicottato il coinvolgimento di più persone per l'incontro a Loreto ( ??? ??? interessante argomento da approfondire al più presto N.d.R. ) con il Papa che affidava l'Anno della Fede alla Madonna di Loreto
Lì avremmo dovuto vedere fiaccolate e fiumi di fedeli, sacerdoti e prelati, ma le immagini stesse rivelano la scarsissima partecipazione e la stessa TV2000 che ha solo trasmesso la diretta della Messa. 
No! 
Tutti a Roma invece per commemorare il "discorso alla Luna" e i Media ci bombarderanno con le dirette! Guardando in positivo, hai visto mai che con il flusso delle alte e basse maree, effettivamente, la Luna non finirà per dare una mano a sommergere questa sindrome delle commemorazioni sentimentaliste? 
La voce nel video rincara la dose e dice: dopo che la Chiesa si era costituita in una torre d'avorio dentro la società, dopo aver guardato alla modernità con sospetto, condannandola, finalmente è arrivato un Papa, anziano, che ha avuto il coraggio di spezzare questa torre.... e scendere così, finalmente, nella modernità. 
Qui c'è un errore di fondo, se non proprio malafede, la Chiesa non ha mai condannato la "modernità o il progresso" ma il "modernismo e il progressismo", termini che portano a problematiche completamento diverse. 
Certo che si è guardato "con sospetto" alla modernità, proprio per valutare più saggiamente l'infiltrazione del modernismo, vera piaga per il mondo. 
Quindi, prosegue il video che: questo Papa anziano, anche lui sospettoso verso la modernità, con coraggio ed anche con qualche spregiudicatezza.... 
Ma che significa "con qualche spregiudicatezza"? 
L'evento di un Concilio non era una novità per la Chiesa, così come non lo sarebbero stati i problemi che sarebbero sorti. 
Nel Compendio al n.512, leggiamo: "Per questo la Chiesa rifiuta le ideologie associate nei tempi moderni al «comunismo» o alle forme atee e totalitarie di «socialismo». Inoltre, essa rifiuta, nella pratica del «capitalismo», l'individualismo e il primato assoluto della legge del mercato sul lavoro umano". 
Ma questo fratelli e sorelle carissimi è il volto del modernismo che la Chiesa infatti rigetta, non è la modernità correttamente intesa nel suo benefico progresso! 
Quindi in cosa sarebbe "cambiata la Chiesa" se quanto condannava ieri continua a condannare oggi? 

Nel 29.Novembre.2007, in un Convegno tenuto alla Pontificia Università di san Tommaso per i Cento anni della Pascendi Dominicis grecis di San Pio X (8. Settembre 1907) monsignor Luigi Negri, Vescovo di San Marino e Montefeltro al quale è stato affidato il discorso di chiusura, ha riportato il problema dell’equivoco post-conciliare ricordando la condanna della “ermeneutica della discontinuità” da parte di Papa Benedetto XVI. “L'errore di una ermeneutica della rottura, della discontinuità, che vede il Vaticano II come l’alba di una nuova chiesa”, ha commentato. 
San Pio X – ha affermato mons. Negri – ha dimostrato come tutte quelle correnti vicine al razionalismo e al modernismo portano inevitabilmente all’ateismo. 
Esse rappresentano un impietoso tentativo di eliminare Dio dalla considerazione della vita e della società. Se si elimina il divino, l’uomo diventa oggetto di manipolazione in tutti i sensi (...) 
I totalitarismi non sono stati ‘incidenti di percorso’ ma consapevoli e deliberate costruzioni di società senza Dio”. “Oggi ci troviamo di fronte a una battaglia epocale tra una concezione autentica e una concezione razionalista e ‘massonica’ della Chiesa – ha proseguito il presule –. 
Parimenti c’è un ecumenismo giusto, quello che affianca al dialogo la missione e un ecumenismo ‘d’accatto’ che contrappone dialogo e missione”. 
All’inizio del secolo attuale, nell’anno giubilare è stata pubblicata la dichiarazione Dominus Jesus che indica chiaramente nella Chiesa la fonte della verità: auspichiamo che insieme al Sillabo e alla Pascendi, anche la Dominus fra cento anni possa essere ricordato come il documento magisteriale che ha impedito la dissoluzione del cattolicesimo nel mondo”, ha poi concluso mon. Negri. 

La voce nel video dice ancora: Papa Giovanni XXIII credeva positivamente nelle novità del mondo, vedeva positivamente il progresso.... 
Quale Papa in passato non ha mai guardato con sospetto, che noi definiamo teologicamente "prudenza" ciò che poi si univa al progresso della società in cui viveva? 
E al contempo guardava con favore al vero progresso?

Mons. Luigi Maria Carli (1914-1986) già Vescovo di Segni e Gaeta, ha scritto nel 1969 "Nova et Vetera, Tradizione e progresso nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, ad un certo punto scrive: 
"Si ripete spesso, con l’aria, quasi di chi alza la voce per farsi coraggio: “Non sono più i tempi degli scismi! Roba del passato!”. 
Fosse vero. 
Ma perché mai gli scismi non sarebbero oggi più possibili? 
Dove sta scritto? 
Chi l’ha decretato? E non dimentichiamo che, ancorché non più dichiarati formalmente, come un tempo, mediante la pubblica affissione di tesi ereticali da una parte e bolle di scomunica dall’altra, gli scismi più insidiosi e deleteri rimangono quelli negati a parole ma esistenti nei fatti. 
La conclamata volontà di certi novatori di “andare avanti restando nella Chiesa” potrebbe anche significare il deliberato proposito di giuocare allo svuotamento del cristianesimo dal di dentro, di “portare l’infedeltà nel cuore stesso della Chiesa”
Costoro potrebbero rimanere dentro le strutture, perché gli riesca più facile “non solamente interpretare la realtà della Chiesa, ma cambiarla, alla luce del vangelo di Gesù Cristo”. 
Questo fenomeno — riconosciamolo pure, con sincerità — non avveniva dopo i Concili del passato, quando i contestatori del magistero ecclesiastico se ne separavano apertamente. 
Così, almeno, la nettezza delle posizioni assicurava la purezza della fede dei cattolici!
Trovo scritto che lo sbalordimento prodotto dai fenomeni che avvengono oggi nella Chiesa “non arriverà certo al vertice parossistico quale lo vide S. Girolamo, quando nel 350, dopo furiosi dibattiti politico-conciliari, rivelò che il mondo intero, addolorato, era stupito di ritrovarsi ariano”. 
Non arriverà certo... 
Ma donde tanta certezza? 
Perché non potrebbe accadere, poniamo tra qualche decennio, che un secondo S. Girolamo fosse costretto a riconoscere, gemendo, che l’intera cristianità non si ritrova più cristiana?"

***
Alla luce di queste parole ed ascoltando i Papi che parlano di scristianizzazione, apostasia, ed oggi l'indizione di un Anno della Fede, come non essere autorizzati a pensare come allora pensava san Girolamo e rivelare che il mondo intero non è neppure più stupito di ritrovarsi ateo? 
A cosa mi serve il cortile dei gentili, sul sacrato di una Basilica, dove un cardinale non parla per convertire, ma per passare il tempo in amicizia, e dove l'ospite, felice di essere ateo, conversa amichevolmente con un principe della Chiesa di moralità e viene pur applaudito? 
E' questo il cambiamento che voleva lo Spirito Santo? 
Se è si, allora a cosa mi serve un Anno della Fede? 
Per quale motivo dovrei impegnarmi se esiste una corte dei gentile nella quale posso esternare il mio ateismo ed essere applaudito per questo da un Cardinale della Chiesa? 
Se è no, allora cosa mi serve andare a fare una fiaccolata per ricordare un discorso "alla Luna" mentre milioni di bambini continuano ad essere uccisi per la legge sull'aborto che l'ospite alla corte dei gentili non ha mai menzionato parlando di morale? 

Scriveva con profetico monito mons. Carli sopra riportato: "
Ma tra i “segni dei tempi” registriamo ancor questo, con stupore e dolore: il nessun conto che fanno molti cattolici, chierici e laici, della parola del Papa, quando non la coprono d’irriverente sarcasmo o non ne fanno segno di contraddizione!" 
 La regola dello sviluppo nella Chiesa tra il concetto di PROGRESSO E TRADIZIONE, la troviamo formulata -citata anche dallo stesso Benedetto XVI- fin dall’anno 434 in un’opera di S. Vincenzo Lirinense: 
Dirà forse qualcuno: Non si dà, dunque, progresso alcuno della religione nella Chiesa di Cristo? 
Altroché se si dà, e grandissimo! Chi vorrà essere tanto ostile agli uomini e tanto odioso a Dio da tentare di impedire un simile progresso? 
Però avvenga in modo tale da esser veramente un progresso della fede e non un’alterazione. 
Progredire, infatti, significa che una cosa si amplifica rimanendo se stessa; mutamento, invece, significa che una cosa passa a diventare un’altra cosa. 
È necessario, dunque, che crescano — e crescano molto gagliardamente — col passare delle generazioni e dei tempi l’intelligenza e la scienza e la sapienza della fede sia nel singolo sia presso la comunità, sia in ciascun cristiano sia in tutta la Chiesa: però la crescita della fede avvenga soltanto ferma restando la sua propria natura, cioè entro l’ambito dello stesso dogma, nel medesimo significato e nella medesima sentenzain suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia” (Commonitorium,23 -PL50,667). 

Quello che rattrista è che proprio ai Vescovi della CEI, che non mandano in onda queste parole su TV2000, il Papa Benedetto XVI aveva ripetuto il 24 maggio 2012:
«Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace», affermava il Beato Papa Giovanni XXIII nel discorso d’apertura. E vale la pena meditare e leggere queste parole. 
Il Papa impegnava i Padri ad approfondire e a presentare tale perenne dottrina in continuità con la tradizione millenaria della Chiesa, «trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», ma in modo nuovo, «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi» (Discorso di solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962). 

Questa è l'unico "discorso" che dobbiamo commemorare, non il discorso alla Luna ".


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Ci sono Vescovi e vescovi  (il maiuscolo ed il minuscolo non sono casuali nel titolo, come nell'articolo)

Quanto segue trova radice in un articolo del Blog "Senza peli sulla lingua", e da noi ulteriormente approfondito.

Se c’è una questione chiara, definitivamente risolta, questa è l’esclusione delle donne dal Sacramento dell’Ordine.
Eppure esiste un folto gruppo  di cattolici "radical chic", spesso guidato in sordina da alcuni vescovi ( o veceversa, vescovi che si lasciano guidare da questi laici), che sovente torna all'attacco cercando di obbligare la Chiesa a piegarsi alle loro imposizioni di potere.
Sì, perchè l'imposizione del sacerdozio femminile è una matrice di potere, potere protestante contro la legge della Chiesa, poteri forti che sotto il pretesto di una falsa uguaglianza, pretendono di dominare il culto della Chiesa il quale, a questo punto, non sarebbe più "dato, donato, sceso dall'Alto", ma un culto proveniente dal basso, soggettivo, divenendo un diritto-possessivo, sotto il controllo del potere dominante e della moda (femminista in questo caso) dominate.

In un articolo del settembre 2012, dopo la morte del cardinale Martini, si riporta come elogio il fatto che egli, in modo garbato e non aggressivo, volesse far comprendere alla Santa Sede e al Papa in primis, che fosse giunta l'ora di cedere su questo argomento. Naturalmente questa posizione è stata accolta da tutti gli ambienti catto-progressisti, facendo del medesimo cardinale l'icona dell'ennesimo "santo" incompreso, e della Chiesa una "cattiva matrigna", antica e non al passo con i tempi.
Tutti gli elementi per risolvere la questione erano già contenuti nella dichiarazione della Sacra Congregazione per la dottrina della fede Inter insigniores del 15 ottobre 1976. L’unico limite di quella dichiarazione era la sua “nota dottrinale”: essa veniva presentata come un documento “disciplinare, autorevole e ufficiale”, ma non “infallibile né irreformabile” (cf Enchiridion Vaticanum, vol. 5, pp. 1392-3, in nota). Forse proprio per tale motivo quella dichiarazione non pose fine alle discussioni in materia. Fu cosí che Giovanni Paolo II si sentí costretto a intervenire di nuovo, in maniera piú autorevole, con la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 22 maggio 1994. Non venivano portate nuove motivazioni a sostegno della non-ammissione delle donne al sacerdozio.

Si trattava semplicemente di porre fine alle interminabili discussioni in materia:
«Benché la dottrina circa l’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini sia conservata dalla costante e universale Tradizione della Chiesa e sia insegnata con fermezza dal Magistero nei documenti piú recenti, tuttavia nel nostro tempo in diversi luoghi la si ritiene discutibile, o anche si attribuisce alla decisione della Chiesa di non ammettere le donne a tale ordinazione un valore meramente disciplinare.
«Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» (n. 4).

 Le espressioni usate non lasciano dubbi. Eppure anche in questo caso ci fu bisogno di un ulteriore intervento della Santa Sede per precisare il valore del pronunciamento pontificio. Ciò avvenne con la risposta a un dubbio da parte della Congregazione per la dottrina della fede in data 28 ottobre 1995:
«Dubbio: Se la dottrina, secondo la quale la Chiesa non ha la facoltà di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne, proposta nella Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis, come da tenersi in modo definitivo, sia da considerarsi appartenente al deposito della fede. Risposta: Affermativa.
«Questa dottrina esige un assenso definitivo poiché, fondata nella Parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa fin dall’inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale (cf Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 25, 2). Pertanto, nelle presenti circostanze, il Sommo Pontefice, nell’esercizio del suo proprio ministero di confermare i fratelli (cf Lc 22:32) ha proposto la medesima dottrina con una dichiarazione formale, affermando esplicitamente ciò che si deve tenere sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede».

Tale intervento della CDF, a firma dell'allora Cardinale Ratzinger, precisa che la dottrina contenuta nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis è definitiva e infallibile (praticamente si tratta del secondo caso in cui è stata esercitata l’infallibilità pontificia dopo la sua definizione nel Concilio Vaticano I; la prima volta era stata con il dogma dell’Assunzione). A questi interventi specifici vanno aggiunti il can. 1024 «Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile» e, se questo non dovesse apparire sufficiente per il suo carattere giuridico, il n. 1577 del Catechismo della Chiesa cattolica dice:
«“Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile [“vir”]”. Il Signore Gesù ha scelto uomini [“viri”] per formare il collegio dei dodici Apostoli, e gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori che sarebbero loro succeduti nel ministero. Il collegio dei Vescovi, con i quali i presbiteri sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo il collegio dei Dodici. La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso. Per questo motivo l’ordinazione delle donne non è possibile».

Che altro ci si dovrebbe aspettare dalla suprema autorità della Chiesa per porre fine alle discussioni su una determinata questione?
Appare evidente che "poteri occulti e forti" vorrebbero imporre alla Chiesa ciò che non è possibile modificare. Probabilmente la Chiesa (intesa nella sua legittima autorevolezza ) questo lo sa bene e forse proprio per questo non pretende più il silenziatore nei confronti di chi, come il cardinale Martini, o il vergognoso brindisi del cardinale Tettamanzi con una pretessa (vedi foto), in modo subdolo e perverso, pretendevano (o pretenderebbero ancora) radicali cambiamenti in talune dottrine.
La Chiesa, in qualità di Madre, forse pensa e spera che il Magistero ufficiale proclamato sia sufficiente per mettere in guardia i fedeli dai cattivi pastori, dai falsi maestri, dagli imbonitori tuttavia, guardando la foto stessa, non era forse compito di quel cardinale mettere in guardia la pretessa di trovarsi di fronte ad un grave peccato e ad una usurpazione di ruolo, anzichè brindare insieme per la sua promozione al ministero che non le compete?
Certo, trattandosi di una comunità eretica, il cardinale poteva non intromettersi nella discussione, ma qui l'ospite è proprio il cardinale, e come si sarebbe comportato un san Carlo Borromeo? Avrebbe davvero brindato con una pretessa, per giunta di una comunità eretica che rifiuta di riconoscere il Primato Petrino nello svolgimento del suo legittimo ministero; che usa la liturgia per benedire situazioni che nella dottrina cattolica sono gravi forme di peccato e di adulteri?
Le pecorelle già smarrite dallo stordimento mondano, come potrebbero ritornare all'ovile davanti a queste situazioni ambigue?
Chi mette in pratica la Parola di Dio se certo Clero gerarchico brinda con le pretesse o va dicendo che è giunta l'ora di cambiare dottrina e restano ai loro posti di comando e di potere? Non è forse anche questo parte dello scandalo denunciato dal Cristo?
"praedica verbum, insta opportune, importune, argue, increpa, obsecra in omni longanimitate et doctrina.
* annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina".
(2Tim.4,2)


Dal «Discorso sui pastori» di sant'Agostino, vescovo (XXV settimana del Tempo Ordinario, Uff. delle Letture )
(Disc. 46, 14-15; CCL 41, 541-542)

Insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna
«E non avete riportato le disperse, non siete andati in cerca delle smarrite» (Ez 34, 4). Da questo momento ci troviamo come tra le mani di ladri e le zanne di lupi furiosi e per questi pericoli vi domandiamo preghiere. Per di più anche le pecore non sono docili. Se noi andiamo in cerca di loro quando si smarriscono, dicono, per loro errore e per loro rovina, che non ci appartengono. Perché ci desiderate, esse dicono, perché venite in cerca di noi? Come se il motivo per cui le desideriamo e le cerchiamo non sia proprio questo, proprio il fatto cioè che sono smarrite e si perdono. Se sono nell'errore, dicono, se sono vicino a morte, perché mi desideri? Perché mi cerchi?

Rispondo: Perché sei nell`errore, voglio richiamarti; perché ti sei smarrito, voglio ritrovarti. Replicano: Voglio smarrirmi così, voglio perdermi così.
Così vuoi smarrirti, così vuoi perderti? Ma io con tanta maggior forza non voglio questo. Te lo dico chiaramente: Voglio essere importuno. Poiché mi risuonano alla mente le parole dell'Apostolo che dice: «Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna» (2 Tm 4, 2). Per chi a tempo opportuno e per chi a tempo non opportuno? Certamente a tempo opportuno, per chi vuole; a tempo inopportuno, per chi non vuole. Sono proprio importuno e oso dirtelo: Tu vuoi smarrirti, tu vuoi perderti, io invece non lo voglio.
Alla fin fine non lo vuole colui che mi incute timore. Qualora io lo volessi, ecco che cosa mi direbbe, ecco quale rimprovero mi rivolgerebbe: «Non avete riportato le disperse, non siete andati in cerca delle smarrite». Devo forse avere più timore di te che di lui? «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo» (2 Cor 5, 10).
Riporterò quindi la pecora dispersa, andrò in cerca di quella smarrita; che tu voglia o no, lo farò. Anche se nella mia ricerca sarò lacerato dai rovi della selva, mi caccerò nei luoghi più stretti, cercherò per tutte le siepi, percorrerò ogni luogo, finché mi sosteranno quelle forze che il timore di Dio mi infonde. Riporterò la pecora dispersa, andrò in cerca di quella smarrita. Se non vuoi il fastidio di dovermi sopportare, non sperderti, non smarrirti: E' troppo poco se io mi contento di affliggermi nel vederti smarrita o sperduta. Temo che, trascurando te, abbia ad uccidere anche chi è forte. Senti infatti che cosa viene dopo: E le pecore grasse le avete ammazzate (cfr. Ez 34, 3).
Se trascurerò la pecora smarrita, la pecora che si perde, anche quella che è forte si sentirà trascinata ad andar vagando e a perdersi.

Contro i modernisti ci vogliono misure energiche

 
A questo torrente di gravissimi errori, che di celato e alla scoperta va guadagnando, si adoperò con detti e con fatti di opporsi fortemente Leone XIII Predecessore Nostro di felice ricordanza, specialmente a riguardo delle sante Scritture.

Ma i modernisti, lo vedemmo, non si lasciano spaventare facilmente: affettando il maggior rispetto ed una somma umiltà, stravolsero a loro senso le parole del Pontefice, e gli atti di Lui li fecero passare come diretti ad altri.

Così il male è venuto pigliando forza ogni giorno più.

Abbiam dunque deciso, o Venerabili Fratelli, di non tergiversare più oltre e di por mano a misure più energiche. Preghiamo perciò e scongiuriamo voi che, in negozio di tanto rilievo, non Ci lasciate minimamente desiderare la vostra vigilanza e diligenza e fortezza.

E quel che chiediamo ed aspettiamo da voi, lo chiediamo altresì e lo aspettiamo dagli altri pastori delle anime, dagli educatori e maestri del giovine clero, e specialmente dai Superiori generali degli Ordini religiosi.
 
[Brano tratto dall'Enciclica "Pascendi Dominici gregis" di San Pio X]


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[Modificato da Caterina63 31/12/2012 15:04]
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03/02/2013 11:49
 
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Attenzione: vi ricordiamo anche il Documento recente della CEI SU MATRIMONIO E FAMIGLIA...CLICCATE QUI... importante soprattutto in questo tempo di votazioni....



Eminenza ! Siamo già nel baratro !!!

 

"Siamo vicino al baratro".
Lo ha affermato l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, commentando l'approvazione in Francia del primo articolo della legge per l'istituzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Il cardinale ne ha parlato al suo arrivo al convegno “Famiglia, risorsa per la chiesa e per la società” che si è svolto ieri sera nel capoluogo ligure. L'incontro, organizzato dall'Azione Cattolica, è stato l’ottavo dei sedici convegni regionali promossi in preparazione alla Settimana sociale dei cattolici italiani.



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Eminenza.... è brutto dire "e noi che stiamo dicendo da anni???" ma VOI Gerarchia NON avete ascoltato il grido dei fedeli.... CI AVETE CHIAMATO PROFETI DI SVENTURA.... avete usato il CONCILIO come strada tutta ROSE E FIORI, IN DISCESA.... VERSO QUESTO BARATRO....
Che dire? meglio tardi che mai!!
Ora che VI state svegliando, ricordatevi che per difendere la Famiglia NON esiste la politica corretta, bisogna combattere e votarsi al martirio....
Quando cominceranno a processare i Laici che difenderanno al posto vostro la Famiglia e i Bambini in adozione, cercate di agire da Uomini di Chiesa, di Cristo e non come diplomatici!
Grazie!

( Da Facebook )



Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

nella prima domenica di febbraio ricorre in Italia la “Giornata per la vita”. Mi associo ai Vescovi italiani che nel loro messaggio invitano ad investire sulla vita e sulla famiglia, anche come risposta efficace alla crisi attuale. Saluto il Movimento per la Vita ed auguro successo all’iniziativa denominata “Uno di noi”, affinché l’Europa sia sempre luogo dove ogni essere umano sia tutelato nella sua dignità. Saluto i rappresentanti delle Facoltà di Medicina e Chirurgia delle Università di Roma, specialmente i docenti di Ostetricia e Ginecologia, accompagnati dal Cardinale Vicario, e li incoraggio a formare gli operatori sanitari alla cultura della vita.





Dal Diario di Don Divo Barsotti Don Divo Barsotti

 
Chiesa problemi del Magistero - 26 Gennaio 1989

 

La Chiesa da decenni parla di pace e non la può assicurare, non parla più dell'inferno e l'umanità vi affonda senza gorgoglio. Non si parla del peccato, non si denuncia l'errore.
A che cosa si riduce il magistero? Mai la Chiesa ha parlato tanto come in questi ultimi anni, mai la sua parola è stata così priva di efficacia.
« Nel mio nome scacceranno i demoni ... ». Com'è possibile scacciarli se non si crede più alla loro presenza? E i demoni hanno invaso la terra.

La televisione, la droga, l'aborto, la menzogna e soprattutto la negazione di Dio: le tenebre sono discese sopra la terra.
Leggo la vita di Cechov. Era un agnostico, ma il suo amore per gli uomini, la sua semplicità ci conquistano. Mi domando come mai queste biografie che certo non sono di santi, mi prendono tanto.
Non vuole essere un eroe, non è un filosofo, sdegna di affrontare i grandi problemi, è conciliante, crede ingenuamente nel progresso.

Contestazione dei teologi al Papa.

Forse la crisi non sarà superata finché, in vera umiltà, i vescovi non vorranno riconoscere la presunzione che li ha ispirati e guidati in questi ultimi decenni e soprattutto nel Concilio e nel dopo-Concilio.

Essi, certo, rimangono i «doctores fidei» , ma proprio questo è il loro peccato: non hanno voluto definire la verità, non hanno voluto condannare l'errore e hanno preteso di «rinnovare» la Chiesa quasi che il «loro» Concilio potesse essere il nuovo fondamento di tutto.
 
Dal volume "Fissi gli occhi nel sole" Ed. Messaggero Padova

 

 
 

tratto da L'Eco dell'Eremo Santuario B.V del Soccorso Minucciano (Lu) n.62 Dicembre 2012

Pubblicato daunafides


[Modificato da Caterina63 04/02/2013 19:01]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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06/02/2013 13:26
 
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si sapeva... quando si parla a braccio e quando si parla troppo, si finisce per prestare il fianco al nemico....
MALEDETTO SIA IL FUOCO....DI PAGLIA
Riteniamo che nella Chiesa Cattolica siano in troppi a parlare, e che si si vuole e si deve parlare, basterebbe RIPORTARE il Magistero della Chiesa SENZA STRAVOLGIMENTI come chiede più volte il Papa....
Da ieri i titoloni dei giornali sostengono che grazie alle parole di mons. Paglia, la Chiesa apre la porta alle coppie omosessuali.... ma questo è FALSO!!!
Come interpretare le parole di mons. Paglia?
Vi proponiamo l'articolo di lanuovaBussolaQuotidiana che ha chiarito un pò questo "fuoco...di paglia"  ma invitiamo il Presule a fare attenzione a quando rilascia dichiarazioni pubbliche e quando vuole parlare a nome della Chiesa e dunque anche nostra..
ci rifutiamo categoricamente di obbedire a vescovi simili, basta!!! non se ne può più..


Fuoco di Paglia
di Riccardo Cascioli

06-02-2013
Mons. Vincenzo Paglia

S’avanza una strana idea nella Chiesa italiana a proposito di famiglia e offensiva gay. Vale a dire: continuare a proclamare l’unicità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, ma nello stesso tempo concedere un riconoscimento giuridico – sebbene non parificato al matrimonio - alle convivenze, sia etero che omosessuali.

E’ già da un po’ che si sente circolare questa idea ma il 4 febbraio l’ha esplicitata monsignor Vincenzo Paglia, neo presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, nel corso della conferenza stampa inaugurale del proprio mandato. Nel discorso introduttivo, monsignor Paglia ha parlato in realtà soltanto del valore unico della famiglia naturale e ha presentato le iniziative del suo dicastero per promuovere una «cultura della famiglia».
Ma poi, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha fatto una serie di affermazioni che tradiscono una impostazione francamente sconcertante, sia nel merito sia nella forma. Pur ribadendo che il matrimonio è solo tra uomo e donna (e ha citato anche Giorgio Gaber a supporto di questa tesi) ha però detto che vanno anche riconosciuti i diritti delle coppie di fatto, anzi «è tempo che i legislatori se ne preoccupino». Inoltre, monsignor Paglia nel riconoscere che c’è una molteplicità di «convivenze non familiari» assicura che la Chiesa è favorevole «a che in questa prospettiva si aiutino a individuare soluzioni di diritto privato e prospettive patrimoniali all’interno dell’attuale Codice civile». Infine non poteva mancare un omaggio al “politicamente corretto” con l’invito a vigilare sulle discriminazioni delle persone omosessuali nel mondo: «In oltre venti paesi l’omosessualità è ancora perseguita come reato».


Si diceva che le affermazioni sulle convivenze sono sconcertanti, anzitutto nel merito. Paglia chiede che il Parlamento legiferi in materia di «convivenze non familiari» per trovare  soluzioni di diritto privato e prospettive patrimoniali. Quindi l’ex vescovo di Terni ritiene che attualmente non siano garantiti i diritti dei conviventi, ma qui sbaglia di grosso: i diritti sono garantiti eccome – per etero e omosessuali -, sia dalla legge sia dalla giurisprudenza, che in materia è particolarmente ricca. Tanto è vero che quando si vogliono lanciare campagne per il riconoscimento delle coppie di fatto, si agitano problemi palesemente falsi (vedi l’assistenza del convivente in ospedale). Di fatto già oggi ci sono tutti gli strumenti possibili nel diritto privato per regolare in modo equo le relazioni fra conviventi.

Un eventuale intervento del legislatore, perciò, si configurerebbe come riconoscimento della convivenza e non come tutela dei diritti dei conviventi, cioè si andrebbe a creare un simil-matrimonio, che in verità non ha alcuna ragion d’essere. Peraltro, l’invito di Paglia era già stato colto dal governo Prodi che presentò nel 2006 il progetto dei Dico (firmato dai ministri Bindi e Turco), ma la Chiesa fece di tutto per bloccarli anche con il sostegno al Family Day. Vogliamo dire che allora la Chiesa si sbagliò e oggi una analoga proposta non incontrerebbe grande resistenza?

Ad ogni modo vale la pena ricordare che lo Stato – ogni Stato – si occupa della famiglia e riconosce la famiglia come propria cellula fondamentale non per garantire dei diritti ai coniugi o per riconoscere l’amore fra i due, ma in funzione della necessità dello Stato stesso. Detto molto banalmente: lo Stato ha bisogno di figli (scopo di ogni società è durare nel tempo), i figli nascono dal rapporto tra uomo e donna, i figli – per crescere bene, sviluppare tutte le potenzialità umane che hanno - hanno necessità di un padre e una madre dentro rapporti stabili. Lo Stato non si occupa di quanto un marito e una moglie si vogliano bene – e ci mancherebbe altro – ma semplicemente si preoccupa della tutela dei figli, che sono il futuro della nazione. Ecco perché gli articoli del Codice civile che si riferiscono al matrimonio – e che anche monsignor Paglia avrà letto mille volte alle coppie che avrà sposato – sono un elenco di doveri (fedeltà, assistenza materiale e morale, coabitazione, educazione dei figli, collaborazione), non di diritti. E marito e moglie nel matrimonio si assumono davanti alla società la responsabilità di assolvere questi doveri. I diritti patrimoniali – cui fa accenno Paglia riferendosi ai conviventi – discendono da questi doveri: la successione o la reversibilità della pensione a questo sono legati, perciò non ha alcun senso chiederli per le coppie conviventi che, proprio in quanto conviventi, non si assumono alcun dovere. Se invece il convivente si assumesse anche dei doveri, allora diventerebbe una relazione matrimoniale.

Il fatto che tra due persone conviventi ci sia una relazione affettiva, che magari in alcuni casi – ma solo in alcuni casi - possa essere più stabile di alcuni matrimoni non significa nulla dal punto di vista dello Stato, e la Corte Costituzionale già nel 1996 ha negato per questo ogni rilievo giuridico alla convivenza. Né questo dipende – come lascerebbe intendere l’intervento di mons. Paglia – dal numero delle convivenze: oggi è un fatto talmente diffuso, si dice, che il legislatore non può non prendere in considerazione il problema.
Ma l’intervento dello Stato si basa sulla natura del rapporto non sulla sua diffusione, anzi: proprio perché la famiglia naturale è in crisi si giustificherebbe una sottolineatura ancora più marcata per valorizzare questo istituto così fondamentale per la vita di una società, anche dal punto di vista economico.

E qui entra in gioco anche il giudizio morale, che riguarda più specificamente la Chiesa cattolica. L’intervento di Paglia sembra sottintendere una neutralità morale della convivenza: c’è chi si sposa, c’è chi convive (anche omosessuali), tutte scelte comunque possibili che dipendono semplicemente dalla volontà dei singoli. Ma per la Chiesa non è così: pur non obbligando nessuno, però è chiaro che l’unico luogo deputato per i rapporti sessuali è il matrimonio – e anche qui ci sono motivi adeguati alla ragione -, e non pare che questo insegnamento sia stato abrogato nel frattempo; non parliamo poi dei rapporti omosessuali, che restano contro natura malgrado la cultura dominante dica il contrario. Chiedere qualsiasi tipo di assegnazione di diritti alla convivenza implica invece un riconoscimento implicito del suo valore morale e un incoraggiamento a permanere in questo tipo di relazione, anche omosessuale. Detto per inciso, è anche in questo modo che s’avanza il pensiero omosessualista nella Chiesa: da una parte si continua a proclamare che l’unica famiglia è quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna, ma dall’altra si avallano stili di vita incompatibili con la vocazione dell’uomo.

Questo tipo di ambiguità sarebbe già abbastanza grave da parte di qualsiasi vescovo ma detta dal presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, per di più nella conferenza stampa con cui inaugura il suo mandato, assume una gravità particolare, anche se – dicevamo all’inizio – questa posizione si va diffondendo nella Chiesa italiana, nella migliore delle ipotesi come (miope) strategia politica per salvare l’unicità della famiglia naturale.
Certo, qui nascono inevitabilmente domande sul perché di certe nomine in Vaticano, soprattutto in dicasteri così importanti, ma è un tema su cui avremo modo di tornare. Resta il fatto che sulla questione del matrimonio e delle convivenze urge un chiarimento dei vertici della Chiesa: di confusione ce n’è già abbastanza.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/02/2013 13:26
 
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27/02/2013
BXVI: la zampata dell'orso

 

Decine e decine di vescovi rimossi durante il suo regno. Credo che questo sia il riconoscimento più sobrio e giusto da dare a papa Ratzinger, alla vigilia del suo “nascondimento” al mondo, e all’ingresso a una vita marcata dalla preghiera: che di unghie e di denti ne ha saputo mostrare come forse nessuno dei suoi predecessori, per pulire la Chiesa.

marco tosatti

Quando Benedetto XVI fu eletto, nel Conclave del 2005, scelse di mettere nel suo stemma l’orso di San Corbiniano. Narrano che l’orso divorò il mulo del santo, che gli impose di prendere su di sé il fardello del mulo, e di seguirlo. Benedetto XVI ha preso su di sé il fardello della Chiesa di Giovanni Paolo II (e dei predecessori). “Un orso dal sorriso di velluto, un po’ timido; ma che saprà ricordarsi, se ce n’è bisogno, che gli orsi hanno anche unghie e denti”, scrivevo. E credo che questo sia il riconoscimento più sobrio e giusto da dare a papa Ratzinger, alla vigilia del suo “nascondimento” al mondo, e all’ingresso a una vita marcata dalla preghiera: che di unghie e di denti ne ha saputo mostrare come forse nessuno dei suoi predecessori, per pulire la Chiesa.

L’ultimo episodio è di qualche giorno fa: ha convinto un arcivescovo e cardinale a ritirarsi dal suo ruolo, e a non venire in Conclave, per ragioni di morale. Secondo il mio conto, il caso di Keith O’Brien sarebbe quasi l’ottantesimo del genere durante il regno di Benedetto. Ma la cifra potrebbe essere più alta, nell’opinione del nunzio in Kyrgisistan e Tajikistan, mons, Miguel Maury Buendia. “Ha compiuto una pulizia dell’episcopato – ha dichiarato a EWTN News -.

Ha rimosso due o tre vescovi al mese in tutto il mondo perché la loro diocesi era un pasticcio, o la loro disciplina un disastro. I nunzi del posto andavano dal vescovo e gli dicevano: ‘Il Santo Padre le chiede per il bene della Chiesa di dare le dimissioni. Quasi tutti i vescovi, quando il nunzio arrivava, riconoscevano il disastro e accettavano di rinunciare. Ci sono stati due o tre casi in cui hanno detto no, e così il Papa semplicemente li ha rimossi.

E questo è un messaggio anche ai vescovi: fate lo stesso nella vostra diocesi”. E qualche zampata – forse troppo poche, secondo qualcuno – è arrivata anche in Curia, come testimonia il caso Viganò, attuale nunzio negli Stati Uniti, che Benedetto XVI non ha voluto fare cardinale. Non a caso Benedetto XVI ha speso quasi ogni giorno ore e ore studiando le “ponenze”, cioè i dossier che da tutto il mondo giungono per la creazione dei nuovi vescovi, per essere sicuro di mettere la persona giusta a capo delle diocesi. E spesso ne ha rimandate indietro, chiedendo altri candidati. Insomma, ha fatto tutto quello che poteva per lasciare al successore una Chiesa più forte e più pulita di quella che aveva ricevuto. Un’opera che è la prima eredità di chi raccoglierà il suo fardello da Papa.

[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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