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IL SILLABO? FU UNA VERA PROFEZIA, riportiamolo alla luce!

Ultimo Aggiornamento: 16/07/2014 15:35
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18/05/2009 00:32
 
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da Avvenire

Com'è moderno il "Sillabo"
di Rino Cammilleri

Reazionario? Ma nel 1864 mettere in guardia dai pericoli delle ideologie più funeste del '900 era addirittura profetico.
"Pio IX lanciò un monito contro tutti gli "ismi" e solo noi,
uomini del 2000, possiamo apprezzarne la lucidità".

L'8 dicembre 1864, lo stesso giorno in cui dieci anni prima era stato
proclamato il dogma dell'Immacolata Concezione, veniva pubblicata
l'enciclica Quanta cura.
Recava annesso un catalogo (in latino Syllabus) di dottrine,
idee, teorie e affermazioni che la Chiesa condannava.

Fosse uscita da sola, l'enciclica avrebbe avuto un effetto meno dirompente:
si sa, le encicliche sono generalmente prolisse, avvolte in uno stile
solenne e severo che stempera in qualche modo il rigore delle affermazioni.

Ma quel repertorio di brevi proposizioni, secche, precise, terribili,
ebbe l'effetto di un macigno piombato in un negozio di specchi.
Non potevano esservi dubbi, né vi era spazio per erudite controversie
di teologi: quelle 80 frasi erano lì, nero su bianco, seguite dal richiamo ai pronunciamenti pontifici che le fulminavano.
Un pugno diretto allo stomaco del mondo moderno
(anzi, al suo cuore), così come esso si era venuto
sviluppando negli ultimi due secoli.
La semplice impostazione di condanna (La Chiesa condanna
chiunque affermi questo e quest'altro...) costituiva una sorta
di prontuario per il credente: gli bastava fare il contrario per essere nella verità cattolica. Solo che in quel documento c'era l'universo intero, lo spirito della modernità era folgorato in toto, né rimaneva quasi spazio per altro.

In genere si dice che a chi crede bastano poche parole; è chi non crede o per quelli paucae fidei che, sempre in genere, "questo linguaggio è duro"(Gv 6,60).
Duro, quello del Sillabo, lo era senz'altro; ma, altrettanto
sicuramente, chiaro ed efficace. Infatti, all'epoca tutti capirono
perfettamente. E da allora le cose non sono più state le stesse, con
implicazioni e complicazioni che tuttora perdurano, a 136 anni di distanza.

Molti cattolici, infatti, considerano il Sillabo una sorta di scheletro nell'armadio, un momento della loro storia di cui vergognarsi e scusarsi. [SM=g1740729]
Per mettere in difficoltà un cattolico in una discussione basta
a un certo punto scagliargli in faccia un "E il Sillabo?".
Di solito l'effetto che si ottiene è paragonabile a quello, terroristico e paralizzante, che si aveva quando, in tempi neanche tanto remoti, si dava del "fascista" a qualcuno.

Coloro che, quasi un secolo e mezzo fa, sostennero e difesero
quel documento sono considerati, nella migliore delle ipotesi,
"anime povere di vita che non sapevano nulla dei vasti orizzonti
del mondo moderno". L'affermazione è di uno storico laico,
Gabriele Pepe, ed è contenuta in un libretto dal titolo:
Il Sillabo e la politica dei cattolici. Non vi sarebbe niente
di strano, rispetto ai giudizi ancora correnti sul Sillabo,
se queste parole non fossero datate capodanno 1945, cioè
a pochi mesi dalla fine dell'incubo peggiore che il "mondo
moderno" (anzi, il mondo tout court) avesse mai conosciuto.
Dopo lo spaventoso carnaio della seconda guerra mondiale,
dopo i lager, dopo Hiroshima, dopo le purghe sovietiche,
dopo l'Europa ridotta a un cumulo di rovine fumanti,
forse era davvero il momento di chiedersi se il Sillabo
non avesse avuto per caso ragione.

Se cioè, quel vecchio Papa che un secolo prima era stato "sconfitto
dalla storia" non avesse voluto lanciare un grido profetico alle generazioni presenti e future; un ultimo grido disperato, una messa in guardia tagliente e forte contro le ineluttabili conseguenze di certe premesse, contro gli abominevoli frutti che sarebbero cresciuti sui tronchi delle ideologie;
un monito contro tutti gli "ismi" che si presentavano, allora, radiosi
e gravidi di futuro.

Se c'è qualcuno che può veramente capire e apprezzare la lucidità
del Sillabo, quelli siamo proprio noi, uomini del Duemila. Noi, che
possiamo mettere in fila e valutare tutti i disastri che sono venuti dopo e che hanno avuto come portato finale l'epoca in cui viviamo,
contrassegnata dal nichilismo e dal rifiuto della vita.
Il secolo seguito al Sillabo è stato definito, nella migliore
delle valutazioni, "breve". Ma anche "del male" e "dei martiri",
nonché "della morte di Dio" che ha portato con sé quella "dell'uomo".
Si noti che tutte queste definizioni sono rigorosamente
di mano laica. Man mano che si spegne la luce portata dal Cristo
(riflessione del cardinale Ratzinger), tornano superstizione e schiavismo, suicidi e violenza diffusa, il vizio premiato e la virtù derisa...

Ma è inutile fare l'elenco: basta leggere la cronaca quotidiana.
Il sottofondo comune è la paura, paura del presente e, soprattutto,
del futuro.
Dalla stessa scienza si prendono le distanze: la diffusa preoccupazione ecologica e la sfiducia nella medicina ufficiale valgano per il tutto. Ma è una paura che gli uomini dell'Ottocento, abbagliati dalle promesse degli "ismi", non avevano.
Anzi.

In una parte di certo mondo clericale è invalso oggi l'uso
di qualificare come "profetici" gesti, atteggiamenti, parole che
altri potrebbero trovare, piuttosto, opinabili o magari, in qualche caso, insignificanti. "Profetico" vuol dire "capace, per ispirazione, di vedere e rivelare il futuro".
Quanti, di quelli che criticano il Sillabo, possono dire
di averlo letto e, magari, studiato?


Forse troverebbero che quel vituperato e negletto documento
della Chiesa docente fu realmente "capace, per ispirazione,
di vedere e rivelare il futuro".
Certo, non c'è scritto, per esteso, che il comunismo finisce
invariabilmente nei gulag. Ma non è profetico già il solo
averne inserito la voce nel 1864?
Si faccia caso alla data; il Manifesto dei comunisti cominciò
a circolare clandestinamente solo durante la Comune
di Parigi del 1871.


Certa storiografia, anche di parte cattolica, ha opposto per lungo
tempo il magistero di Leone XIII a quello di Pio IX, tanto "chiuso",
questo, nei confronti del mondo moderno quanto quello sarebbe
stato "aperto".
Eppure fu proprio Leone XIII, quando era l'arcivescovo
di Perugia Gioacchino Pecci, a lanciare l'idea di un Sillabo
fin dal 1849, e a battersi e insistere affinché un "catalogo"
di errori venisse stilato a modo di vademecum riassuntivo
.
Leone XIII lo si cita a proposito e a sproposito come il Papa
della Rerum Novarum, senza mai ricordare che la terza parola
dell'enciclica è cupiditas: "Rerum novarum cupiditas..."
"il desiderio smodato di novità...".
Così comincia, con una condanna perfettamente in linea
con quelle del predecessore, la famosa enciclica leoniana.

Giudicare il Sillabo senza conoscere niente del clima in cui maturò
è come deridere i fucili ad avancarica avendo l'occhio sulle moderne
armi al laser.
Il susseguirsi degli eventi storici e la modifica di alcuni
dati di partenza ha reso possibile alla Chiesa l'accantonamento
di alcune delle condanne contenute nel Sillabo.
Ma quello scarno elenco vide la luce in una cittadella assediata
e prossima alla fine, mentre antichissimi diritti venivano irrisi
e schiacciati in nome di un "Progresso" che oggi non pochi storici
- anche laici - cominciano a vedere nella sua giusta luce anche
di sopraffazione politica e ideologica.

Nessuno più osa negare che, a partire dai philosophes settecenteschi,
la Chiesa da cui uscì il Sillabo aveva dovuto affrontare il giacobinismo, il bonapartismo e infine il liberalismo virulentemente anticattolico risorgimentale.
Ma lo studio sereno e pacato non potrà non rivelare in esso il grido -
ripetiamo, profetico - di un pastore che dice al suo gregge: state attenti, quel che vi sembra "sol dell'avvenire" si rivelerà puro veleno.

La beatificazione in contemporanea di due papi, Pio IX e Giovanni
XXIII, mostra tangibilmente che la Chiesa è sempre la stessa;
cambia solo il modo di predicare un identico messaggio a uomini
di epoche differenti. Ma è quanto meno singolare osservare quante
voci si sono levate a dichiarare il "gradimento": questo Papa sì,
quello no; ultima - ieri su La Repubblica - quella dello storico
"laico" Lucio Villari. Tanto per cambiare, i più critici sono
quelli a cui le beatificazioni dovrebbero importare meno, visto
che sono dichiaratamente i più distanti dal credo cattolico.

Ma chiunque abbia esperienza di dialogo sa che i difensori
della "tolleranza" diventano virulentemente intolleranti quando
sono i loro dogmi a venir messi in discussione.
La "libertà" deve dunque venire difesa anche da se stessa?
Deve essere tutelata a qualunque costo anche dalle critiche
che essa stessa potrebbe generare?
Ecco un bel paradosso su cui il pensiero cosiddetto laico
potrebbe più utilmente esercitarsi anziché cercare
di insegnare alla Chiesa il suo mestiere.

Di Rino Cammilleri suggeriamo:

L'ultima difesa del Papa Re

Elogio del Sillabo di Pio IX , ed. Piemme
[SM=g1740721]

Ecco profetizzato l'avvento del cosiddetto “pensiero debole”, che nega l'esistenza di qualsiasi verità, riducendo la convivenza civile a semplice convenzionalismo. Gli stessi diritti “civili” vengono determinati dagli interessi temporanei dei diversi gruppi, non dipendendo assolutamente da valori perenni e metastorici. Ciò, secondo lo studioso Marco Invernizzi, produce le contraddizioni insolubili da cui è afflitto il cosiddetto progressismo: sostegno ai diritti dell'individuo ma non a quelli del feto umano, campagne contro l'estinzione di alcune specie animali e contemporaneo favore per l'eutanasia, solidarietà ai comportamenti sessuali contro natura ma non alla famiglia, eccetera.

Secondo Augusto Del Noce tutto è cominciato nel Seicento con Cartesio, per proseguire poi con gli illuministi del secolo successivo. Cominciò perché “si diede valore assoluto alla ragione umana, a quella soltanto”, estromettendo tutta la dimensione trascendente, la metafisica; tutto ciò che, appunto, va “al di là della fisica”. Sui temi a quel punto irrisolvibili (Dio, l'Aldilà, il miracolo) calò il “divieto di fare domande”. Fino al culmine dell'ateismo marxista. A Marx non importava discutere sull'esistenza di Dio: Dio non esiste perché non deve esistere, altrimenti l'uomo ne è dipendente e non può più rifare il mondo a sua immagine e somiglianza. Ma Del Noce andava più in là: “Checchè ne dicano marxisti e liberals di ogni risma che non vogliono riconoscere i parenti imbarazzanti, fascismo e nazismo (pur assai diversi tra loro e non assimilabili affatto tout court) non sono negazioni della modernità; ne sono figli legittimi. Si situano anch'essi tra le ideologie che hanno decretato l'inesistenza o almeno l'irrilevanza di Dio, sono un momento come gli altri della secolarizzazione. Non sono, come hanno cercato di farci credere i “progressisti”, degli errori contro la cultura moderna, sono degli errori dentro quella stessa cultura”. [SM=g1740721]

Nel 1978, quando l'eurocomunismo sembrava cultura egemone, il filosofo pubblicava Il suicidio della rivoluzione, in cui avvertiva fin dalla copertina che “l'esito dell'eurocomunismo non può essere che quello di trasformare il comunismo in una componente della società borghese ormai completamente sconsacrata”. Infatti oggi il comunismo ha assunto l'ideologia più borghese di tutte, quella del “liberalismo di sinistra”, che fa del partito comunista “un partito radicale di massa” e che, in quanto tale, trova il sostegno della grande finanza internazionale. Del Noce: “Persa per strada l'utopia rivoluzionaria, l'essenza di surrogato religioso, è restato al marxismo soltanto il suo aspetto fondamentale, di prodotto dell'illuminismo scientista, del razionalismo che esclude Dio per una scelta previa e obbligata”. Esso “si è rovesciato nel suo contrario: voleva affossare la borghesia e ne è divenuto una delle componenti più salde ed essenziali”. L'esito finale è la caduta di tutti gli ideali e di tutti i valori, il nichilismo, che si cerca di nobilitare cambiandogli nome (“pensiero debole”). Nichilismo nella sua forma più volgare, vera e finale ideologia per le masse: il consumismo, che è per Del Noce “l'alienazione massima, la trasformazione di tutto in merce con un prezzo, e il raggiungimento della massima illibertà, crocifiggendo l'uomo indifeso al desiderio, all'invidia, all'affanno di procurarsi sempre più beni”.

Giovanni Cantoni così sintetizza: “La nota dominante del comunismo “classico” era socio-economica, la “lotta di classe”; quella del neocomunismo è socio-culturale, è il relativismo, che postula l'assenza di valori assoluti, è “pensiero debole” da intronizzare non più attraverso l'egemonia culturale del partito (che sarebbe gramscismo), ma con un political drag dell'arcipelago associazionistico che si raccoglie di volta in volta attorno all'abortismo e all'animalismo, alla deep ecology (ecologia profonda), all'omosessualità, al femminismo, all'antiproibizionismo (prodotti non elencabili perchè in continua emersione). L'opera tende soprattutto a infiltrare i mass media di disvalori”.

Diamo la parola conclusiva al premio Nobel per la letteratura Octavio Paz, secondo il quale, di fronte a tutto ciò, si deve cercare di “riscattare un sentiero abbandonato e che bisogna ripercorrere” per “recuperare la capacità di dire no, di riannodare la critica delle nostre società obese e addormentate, risvegliare le coscienze anestetizzate dalla pubblicità”. Per discendere “nel fondo dell'uomo, là dove è custodito il segreto della risurrezione. Bisogna dissotterrarlo”.


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Vittorio Messori
Syllabus
tratto da: Vittorio Messori, Pensare la storia. Una lettura cattolica
dell'avventura umana Ed. Paoline, Milano 1992, p. 532s.


La storia in generale -e quella della Chiesa in particolare- è ricca di opere, di fatti, di frasi, di personaggi che vengono citati da un autore all'altro, senza che qualcuno si prenda la briga di controllare, di andare alle fonti, di leggere finalmente nell'originale quanto è citato di ennesima mano. Talvolta, qui, ci siamo divertiti a metter al vaglio cose date per scontate dai manuali storici, per scoprire che di "storico" avevano poco o nulla.

Facciamo, questa volta, un rapido "carotaggio" riguardante
il Sillabo, cioè (per dirla con la dizione ufficiale) l'«elenco
comprendente i principali errori dell'età nostra», messo da Pio IX
come appendice all'enciclica "Quanta cura".
Quel documento è del 1864 ma, ancor oggi, è citato con imbarazzo
da non pochi cattolici e con sarcasmo se non orrore dai laici
di ogni obbedienza, come esempio massimo della cecità
oscurantista raggiunto dalla Chiesa dell'Ottocento.

Ma quelle ottanta proposizioni condannate dal Sillabo,
quanti le hanno davvero lette?

Ad esempio, mentre il comunismo si arrende, si vergogna della sua storia, recita il mea culpa, è singolare riprendersi in mano quel Syllabus citato senza conoscerlo e vedere come il quarto paragrafo condanni le seguenti cose: Socialismus, Communismus, Societates Secretae, Societates Biblicae, Societates Clerico-Liberales.

Condanne come quella delle "Società Bibliche" vanno viste sullo
sfondo dello sforzo compiuto in quegli anni sia dal governo di Torino
che dalle potenze protestanti -Gran Bretagna e Germania in primis,
ma anche Stati Uniti- per sradicare il cattolicesimo e far passare
l'Italia alla Riforma protestante, creandovi una Chiesa Nazionale
di Stato: e le "Società Bibliche" erano il braccio organizzativo
e propagandistico di questo sforzo.

Ma ciò che interessa è il fatto che -già in quel 1864- Socialismus
et Communismus sono definiti «pestilenze dell'umanità».
Sino alla fine degli Anni Ottanta del nostro secolo, una simile
definizione suscitava lo sdegno dei cattolici "aperti": quelli che,
ancora nel 1985, coprirono di contumelie il cardinale Ratzinger
perché, nel suo documento sulla Teologia della Liberazione,
aveva definito il comunismo come «vergogna del nostro tempo».
In pochissimi anni il vento è cambiato.
Ecco divenuta di colpo profetica una condanna del 1864,
ben 135 anni prima che i popoli prigionieri di quella "pestilenza"
riuscissero a liberarsi dalle catene.

Ma, continuando nella lettura di quel Syllabus rimosso
e demonizzato, quante lacrime e sangue sarebbero stati
risparmiati a intere generazioni successive, se si fosse presa
sul serio la proposizione condannata al numero 39:
«Lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode
di un diritto tale che non ammette confini»?
Qui c'è già la premonizione, davvero profetica, del totalitarismo
statuale. Qui c'è il mettere in guardia contro quello "Stato etico"
moderno che diverrà il terribile Grande Fratello.
Peschiamo ancora qua e là tra le ottanta proposizioni.
Vediamo, ad esempio, quella condannata al numero 64.
Dice: «Tanto la violazione di qualsiasi santissimo giuramento,
quanto qualunque scellerata e criminosa azione ripugnante
alla legge eterna, non solamente non è da condannare, ma sibbene
torna lecita del tutto, e degna di essere celebrata con somme lodi,
quando lo si faccia per l'amore di patria».

Tutto l'Ottocento e poi, ancor più sanguinosamente, il Novecento,
saranno devastati da un patriottismo che, degenerando in nazionalismo,
è all'origine di entrambe le guerre mondiali.
Qui, tra l'altro, ad «amor di patria» basta sostituire «amor di classe» o di «partito», o di bandiera ideologica quale essa sia, per vedere quanto fosse acuta la vista di una Chiesa considerata tagliata
fuori ormai dalla storia. È in nome di quegli "amori" sanguinosi
che si dipana la tragedia contemporanea, dalle guerre europee
sino alle pistole dei terroristi, passando attraverso gli orrori
delle ideologie per cui il trionfo della "causa" giustifica ogni mezzo.




[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/05/2009 00:43
 
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Sillabo di Pio IX:

la profezia  

Le leggi e i costumi non abbisognano di sanzione divina, e nemmeno bisogna che le leggi umane si conformino al diritto di natura, e ricevano da Dio la forza obbligatoria.

Allocuzione Maxima quidem , 9 giugno 1862

Proposizione LVI del Sillabo, cap. VII

 Errori circa l'etica naturale e cristiana






[SM=g1740717]

Il Sillabo fu (anzi E'...) più che un testo una serie di articoli che CONDANNAVANO  e condannano....di fatto NON la libertà individuale e la libertà di pensiero come diabolicamente fu propagandato e si propaganda..., bensì ilpensiero tenebroso di una ideologia libertaria...specialmente nei confronti della fede Cristiana che si riflette poi sulla dignità dell'uomo e sul suo vero BENE....
Oggi non sono pochi coloro che, con onestà intellettuale, parlano del Sillabo come di una PROFEZIA che si è di fatto avverata.....
Il Papa mise per iscritto queste regole per poter mettere in guardia i cristiani e tutta la Chiesa dei pericoli che il mondo stava per andare incontro....ma fu preso in giro, deriso e calunniato......eppure ciò che previde scrivendole in queste condanne....le stiamo vivendo noi oggi.....
Quello che seguirà è QUESTA CONDANNA......

I - PANTEISMO, NATURALISMO E RAZIONALISMO ASSOLUTO
 

(premetto che quanto segue sono le CONDANNE perciò NON travisate quanto leggete come una posizione favorevole del Papa...ma il contrario, cioè, il Papa condannava queste ideologie che avevano invaso la sua epoca proiettando la sua preoccupazione sul futuro non solo della Chiesa ma del mondo....)


Condanniamo quelle dottrine che dicono....

I. Non esiste niun Essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da quest'universo, e Iddio non è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto a mutazioni, e Iddio realmente vien fatto nell'uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e Dio è una sola e stessa cosa con il mondo, e quindi si identificano parimenti tra loro, spirito e materia, necessità e libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto.

II. e' da negare qualsiasi azione di Dio sopra gli uomini e il mondo.

III. La ragione umana è l'unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.

IV. Tutte le verità religiose scaturiscono dalla forza nativa della ragione umana; laonde la ragione è la prima norma, per mezzo di cui l'uomo può e deve conseguire la cognizione di tutte quante le verità, a qualsivoglia genere esse appartengano.

V. La rivelazione divina è imperfetta, e perciò soggetta a processo continuo e indefinito, corrispondente al progresso della ragione umana.

VI. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a nulla, ma nuoce anzi alla perfezione dell'uomo.

VII. Le profezie e i miracoli esposti e narrati nella sacra Scrittura sono invenzioni di poeti, e i misteri della fede cristiana sono il risultato di indagini filosofiche; e i libri dell'Antico e Nuovo Testamento contengono dei miti; e Gesù stesso è un mito.


II - RAZIONALISMO MODERATO

CONDANNIAMO quelle dottrine che...:



VIII. Siccome la ragione umana si equipara colla stessa religione, perciò le discipline teologiche si devono trattare al modo delle filosofiche.

IX. Tutti indistintamente i dommi della religione cristiana sono oggetto della naturale scienza ossia filosofia, e l'umana ragione, storicamente solo coltivata, può colle sue naturali forze e principi pervenire alla vera scienza di tutti i dommi, anche i più reconditi, purché questi dommi siano stati alla stessa ragione proposti.

X. Altro essendo il filosofo ed altro la filosofia, quegli ha diritto e ufficio di sottomettersi alle autorità che egli ha provato essere vere: ma la filosofia né può, né deve sottomettersi ad alcuna autorità.

XI. La Chiesa non solo non deve mai correggere la filosofia, ma anzi deve tollerarne gli errori e lasciare che essa corregga se stessa.

XII. I decreti della Sede apostolica e delle romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.

XIII. Il metodo e i principi, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze.

XIV. La filosofia si deve trattare senza aver riguardo alcuno alla soprannaturale rivelazione.


III - INDIFFERENTISMO, LATITUDINARISMO

CONDANNIAMO QUELLE DOTTRINE CHE DICONO:


XV. E' libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera.

XVI. Gli uomini nell'esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salvezza, e conseguire l'eterna salvezza.

XVII. Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.

XVIII. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio.


IV - SOCIALISMO, COMUNISMO, SOCIETA' SEGRETE, SOCIETA' BIBLICHE, SOCIETA' CLERICO-LIBERALI


Tali pestilenze sono condannate più volte e con gravissime espressioni nella Lettera Enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846; nell'allocuzione Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nella Lettera Enciclica Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nell'Allocuzione Singulari quadam, 9 dicembre 1854; nella Lettera Apostolica Quanto conficiamur, 17 agosto 1863.


V - ERRORI SULLA CHIESA E SUOI DIRITTI

condanniamo quelle dottrine che dicono:



XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta società pienamente libera, né è fornita di suoi propri e costanti diritti, conferitile dal suo divino Fondatore, ma tocca alla potestà civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare detti diritti.

XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza e consenso del governo civile.

XXI. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica sia l'unica vera religione.

XXII. L'obbligazione che vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente, che dall'infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti come dommi di fede.

XXIII. I Romani Pontefici ed i Concilii ecumenici si scostarono dai limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei Principi, ed anche nel definire cose di fede e di costumi errarono.

XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta.

XXV. Oltre alla potestà inerente all'episcopato, ve n'è un'altra temporale che è stata ad esso concessa o espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può revocare, quando vuole.

XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo diritto di acquistare e di possedere.

XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali.

XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche.

XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono stimare irrite, quando non sono state implorate per mezzo del Governo.

XXX. L'immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche ebbe origine dal diritto civile.

XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano esse civili o criminali, dev'essere assolutamente abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa reclami.

XXXII. Senza violazione alcuna del naturale diritto e delle equità, si può abrogare l'immunità personale, in forza della quale i chierici sono esenti dalla leva e dall'esercizio della milizia; e tale abrogazione è voluta dal civile progresso, specialmente in quelle società le cui costituzioni sono secondo la forma del più libero governo.

XXXIII. Non appartiene unicamente alla ecclesiastica potestà di giurisdizione, qual diritto proprio e connaturale, il dirigere l'insegnamento della teologia.

XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice ad un Principe libero che esercita la sua azione in tutta la Chiesa, è una dottrina la quale prevalse nel medio evo.

XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un'altra città.

XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non si può sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può considerare tali definizioni come norma irretrattabile di operare.

XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all'autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate.

XXXVIII. Gli arbìtri eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in quella di Occidente.


VI - ERRORI CHE RIGUARDANO LA SOCIETA' CIVILE, CONSIDERATA IN SE' COME NELLE SUE RELAZIONI CON LA CHIESA

condanniamo quelle dottrine che.....


XXXIX. Lo Stato, come quello che è origine e fonte di tutti i diritti, gode un certo suo diritto del tutto illimitato.

XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agl'interessi della umana società.

XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore infedele, compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò gli appartiene non solo il diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosiddetto appello per abuso.

XLII. Nella collisione delle leggi dell'una e dell'altra potestà, deve prevalere il diritto civile.

XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti con la Sede apostolica intorno all'uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi reclami.

XLIV. L'autorità civile può interessarsi delle cose che riguardano la religione, i costumi ed il governo spirituale. Quindi può giudicare delle istruzioni che i pastori della Chiesa sogliono dare per dirigere, conforme al loro ufficio, le coscienze, ed anzi può fare regolamenti intorno all'amministrazione dei Sacramenti ed alle disposizioni necessarie per riceverli.

XLV. L'intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la gioventù dello Stato, eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminari vescovili, può e dev'essere attribuito all'autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun'altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi, nella scelta e nell'approvazione dei maestri.

XLVI. Anzi, negli stessi Seminari dei Chierici, il metodo da adoperare negli studi è soggetto alla civile autorità.

XLVII. L'ottima forma della civile società esige che le scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i fanciulli di qualsiasi classe del popolo, e generalmente gl'istituti pubblici, che sono destinati all'insegnamento delle lettere e delle più gravi discipline, nonché alla educazione della gioventù, si esimano da ogni autorità, forza moderatrice ed ingerenza della Chiesa, e si sottomettano al pieno arbitrio dell'autorità civile e politica secondo il placito degli imperanti e la norma delle comuni opinioni del secolo.

XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica, e dall'autorità della Chiesa e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto o per lo meno primieramente ai fini della vita sociale. IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed ai popoli fedeli di comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice.

L. L'autorità laicale ha di per sé il diritto di presentare i Vescovi e può esigere da loro che incomincino ad amministrare le diocesi prima che essi ricevano dalla S. Sede la istituzione canonica e le Lettere apostoliche.

LI. Anzi il Governo laicale ha diritto di deporre i Vescovi dall'esercizio del ministero pastorale, né è tenuto ad obbedire al Romano Pontefice nelle cose che spettano alla istituzione dei Vescovati e dei Vescovi.

LII. Il Governo può di suo diritto mutare l'età prescritta dalla Chiesa in ordine alla professione religiosa tanto delle donne quanto degli uomini, ed ingiungere alle famiglie religiose di non ammettere alcuno ai voti solenni senza suo permesso.

LIII. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono alla difesa dello stato delle famiglie religiose, e dei loro diritti e doveri; anzi il Governo civile può dare aiuto a tutti quelli i quali vogliono disertare la maniera di vita religiosa intrapresa, e rompere i voti solenni; e parimenti, può spegnere del tutto le stesse famiglie religiose, come anche le Chiese collegiate ed i benefici semplici ancorché di giuspatronato e sottomettere ed appropriare i loro beni e le rendite all'amministrazione ed all'arbitrio della civile potestà.

LIV. I Re e i Principi non solamente sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma anzi nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.

LV. E' da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.


VIII - ERRORI CIRCA IL MATRIMONIO CRISTIANO

condanniamo quelle dottrine che....dicono:


LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano della sanzione divina, né è necessario che le leggi umane siano conformi al diritto di natura, o ricevano da Dio la forza di obbligare.

LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono prescindere dall'autorità divina ed ecclesiastica.

LVIII. Non sono da riconoscere altre forze se non quelle che sono poste nella materia, ed ogni disciplina ed onestà di costumi si deve riporre nell'accumulare ed accrescere in qualsivoglia maniera la ricchezza e nel soddisfare le passioni.

LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale; tutti i doveri degli uomini sono un nome vano, e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.

LX. L'autorità non è altro che la somma del numero e delle forze materiali.

LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità del diritto.

LXII. E' da proclamarsi e da osservarsi il principio del cosidetto non-intervento.

LXIII. Il negare obbedienza, anzi il ribellarsi ai Principi legittimi, è cosa logica.

LXIV. La violazione di qualunque santissimo giuramento e qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna, non solo non sono da riprovare, ma anzi da tenersi del tutto lecite e da lodarsi sommamente, quando si commettano per amore della patria.

LXV. Non si può in alcun modo tollerare che Cristo abbia elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento.

LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso Sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale.

LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente detto.

LXVIII. La Chiesa non ha la potestà d'introdurre impedimenti dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete alla autorità civile, dalla quale debbono togliersi gl'impedimenti esistenti.

LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre gl'impedimenti dirimenti, nei secoli passati non per diritto proprio, ma usando di quello che ricevette dalla civile potestà.

LXX. I canoni tridentini, nei quali s'infligge scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl'impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere dell'anzidetta potestà ricevuta.

LXXI. La forma del Concilio Tridentino non obbliga sotto pena di nullità in quei luoghi, ove la legge civile prescriva un'altra forma, e ordina che il matrimonio celebrato con questa nuova forma sia valido.

LXXII. Bonifazio VIII per primo asserì che il voto di castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio.

LXXIII. In virtù del contratto meramente civile può aver luogo tra cristiani il vero matrimonio; ed è falso che, o il contratto di matrimonio tra cristiani è sempre sacramento, ovvero che il contratto è nullo se si esclude il sacramento.

LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di loro natura appartengono al foro civile.


IX - ERRORI INTORNO AL CIVILE PRINCIPATO DEL ROMANO PONTEFICE

LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica.

LXXVI. L'abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà e alla prosperità della Chiesa.


X - ERRORI CHE SI RIFERISCONO ALL'ODIERNO LIBERALISMO

LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l'unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano.

LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.

LXXIX. E' assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l'ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell'indifferentismo.

LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.

                                                  [SM=g1740720]

Nota: dal testo, tratto dal sito che la diocesi di Senigallia ha dedicato a Pio IX


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Rino Cammillleri: elogio del sillabo
 a cura di Paolo Pugni 

Tratto da: Kattoliko contro la leggenda nera

[Da "Studi cattolici", n. 412, giugno 1995]

Profezia è sostantivo che viene spesso accostato al nome di Nostradarnus, stregone medievale che avrebbe scritto il destino del mondo nelle sue oscure terzine. Profezia, secondo Rino Cammilleri, non è un ironico gioco da intellettuali, ma lo sguardo lucido di chi vede nel futuro i frutti, spesso marci, della semina di oggi. Per questo Cammilleri, giornalista e scrittore — da poco responsabile delta collana apologetica della Leonardo editore, da sempre autore controcorrente, spigoloso nelle scelte di argomenti che fanno rabbrividire i benpesanti di oggi: da I Santi Militari a La storia di Padre Pio (entrambi pubblicati da Piemme), da I mostri della ragione (edizioni Ares) all‘Elogio dell’Inquisizione (Leonardo) — ha pubblicato un interessante e provocatorio saggio dedicato all’Elogio del Sillabo, a proposito del documento di Pio IX che condannò nel 1864. in ottanta proposizioni, la modernità politica e filosofica di quel secolo.

Che cos’è, innanzi tutto, il Sillabo? Pubblicato l’8 dicembre 1864 congiuntamente all’enciclica Quanta cura — che ne rappresenta l’elaborazione dottrinale — il Sillabo altro non è se non un elenco che comprende quelli che per la Chiesa di allora, erano i principali e più comuni errori riguardanti Dio e la Chiesa stessa, ma anche la natura, il mondo, i caratteri e i fini della presenza dell’uomo sulla terra e della vita umana.

Per comprendere a fondo il Sillabo bisogna conoscere l’epoca nella quale fu scritto, cosa che il testo di Cammilleri fa con gran precisione. Ne emerge il panorama di un’epoca sventrata dalla crescente insofferenza per la religione cattolica e dal sorgere di quelle ideologie post-illuministe che tanto caratterizzano anche i nostri giorni.

Appena eletto, Pio IX, succeduto nel 1846 a Gregorio XVI, che nei quindici anni di pontificato era stato nemico implacabile delle società segrete rivoluzionarie. aveva subito riscosso ampi consensi, al punto da far nascere il mito del «Papa liberale» per aver concesso l’amnistia a oltre quattrocento detenuti ed esuli politici, e la libertà di stampa.

Due anni dopo scoppia il... Quarantotto: anche nello Stato pontificio, dove Pellegrino Rossi, ministro laico di Pio IX, viene assassinato sulle scale del Palazzo della Cancelleria, pare con la complicità di alcuni dei deputati. Il crimine del Rossi? L’idea di realizzare l’unità dello Stato italiano in una federazione di regioni con la presidenza del Papa.

Ovviamente non era questo che voleva il Piemonte di Cavour e Mazzini, il cui obbiettivo — realizzato — era quello di colonizzare la penisola. La situazione precipita: l’anno seguente Mazzini piomba a Roma con Armellini e Saffi e proclama la Repubblica romana, tentando di instaurare la religione dell’umanità.

Non ci addentriamo oltre nella ricostruzione storica; ricordiamo solo che, nel momento in cui il Sillabo vede la luce, siamo alla vigilia delta presa di Porta, il Papa ha conosciuto l’esilio di Gaeta, il Piemonte ha lanciato la sua campagna anticristiana confiscando i beni delle istituzioni cattoliche, imprigionando vescovi, cardinali e preti comuni: in più parti i venti delle nuove ideologie stanno confondendo le menti. C’è bisogno di un forte intervento della Chiesa che metta ordine nelle idee: il Sillabo, appunto. Accolto dalla stampa di allora con le stesse dichiarazioni sprezzanti — e patetiche, lette oggi a 130 anni di distanza, come quella del francese Siècle che parlô di «suprema sfida lanciata al mondo moderno dal Papato agonizzante» — che anche oggi gli eredi di quei mezzi di comunicazione riservano alla Chiesa.

Contro i facili entusiasmi

Che cosa condannavano le proposizioni del Sillabo? Soprattutto lo smodato desiderio di libertà e modernità. Un documento aberrante e mostruoso, dunque? Tutt’altro. sostiene Cammilleri, che parla di grande attualità del documento di Pio IX.

«Innanzitutto va precisato che il modernismo condannato da Pio IX è lo spirito negativo che distorceva quegli anni. Non per nulla oggi dichiariamo di essere in un’epoca post-moderna, prendendo in un certo senso le distanze dalle ideologie — o per lo meno dai loro eccessi — che fiorirono nel secolo scorso. Pio IX, con spirito profetico, nel suo Sillabo mise in guardia contro gli entusiasmi facili, soprattutto dei giovani, per innovazioni che sembravano affascinanti, ma che in realtà minavano alla radice la persona umana. Era dovere del Papa e dei dottori della Chiesa intervenire. Nascevano i razionalismi: le ideologie che creano l’uomo a tavolino. Si voleva a tutti i costi conquistare Roma per farne, in nome dell’Umanità, la capitale massonica d’Italia: la terza Roma riformata, ripulita dall’infezione papista e cattolica. “La capitale del mondo pagano e del mondo cattolico è ben degna di essere la capitale dello spirito moderno”, scriveva Francesco De Sanctis: “Roma è dunque per noi non il passato, ma l‘avvenire. Nol andremo là per distruggervi il potere temporale e per trasformare il papato. Si andava dunque incontro a un’epoca di conflitti che esplosero poi nel nostro secolo, il più sanguinoso della storia dell’uomo».

Sono anche gli entusiasmi di oggi. E il Sillabo?

«Opponendosi ai guasti ideologici cercò di porre l’uomo in salvo. Non ci riuscì perché non fu ascoltato. Certo, allora poteva anche essere incompreso, ma oggi, alla luce del guasti di questi due secoli… Aveva ragione in pieno. Oggi che tutti gli “ismi”, fioriti in quel contesto, sono a frutto, si può verificare l’attualità di quel documento, ed è ancora possibile aggrapparsi a esso, al di là del linguaggio datato, per mettere ordine nel confuso mondo attuale. Tutti i progetti di rimontaggio della società, che partono da uno schema concepito a tavolino da intellettuali rinchiusi nelle loro biblioteche e quindi avulsi dalla realtà, tutte le idee che hanno sconvolto e insanguinato il mondo, sono nati come eresie della religione cristiana. Donoso Cortés, spagnolo, marchese di Valdegamas, convertito al cattolicesimo dopo essere stato un acceso liberate, al cui contributo il Sillabo deve molto, mise in risalto questa stretta correlazione: “Tra gli errori contemporanei non ve n’è alcuno che non si risolva in eresia; e tra le eresie contemporanee non ve n’è alcuna che non si risolva in un’altra, già condannata nel tempo antico dalla Chiesa”. Ecco perché il Papa risponde con un documento religioso ai rivolgimenti politici di quell’epoca — non dimentichiamo che il Manifesto del Partito Comunista fu scritto a Londra da Marx ed Engels alla fine degli anni ‘40 — la cui radice è unica e consiste nell’attribuire la sovranità alla ragione umana. A questo si associa il rifiuto del peccato originale: l’uomo è buono per natura, dice Rousseau, il che è l’esatto contrario dell‘insegnamento di Cristo. Cortés lo mise in chiaro in una lettera scritta al cardinale Fornari nel 1852, nella quale attaccava il comunismo: “In questa maniera l’eresia perturbatrice, che da una pane nega il peccato originale e dall’altra la necessità per l’uomo di una direzione divina, conduce prima all’affermazione della sovranità dell’intelligenza, poi all’affermazione della sovranità della volontà e, per ultimo, all’affermazione della sovranità delle passioni”. Il che è quanto sta accadendo in questi anni senza verità».

Che cosa intende dire?

«Il punto è che abbiamo perso il senso della verità, confusa in un sottofondo di deboli pretese, la verità è forte, è splendida in sé: la sua assenza debilita la società intera creando il deserto e spalancando la porta... ma sì, alle intolleranze».

Come? Sembrerebbe il contrario. Alla tolleranza è anche stato dedicato dall’Onu il 1995!

«La tolleranza è un concetto liberale che implica la superiorità di chi la applica. Si crea cosi un ghetto. Tollerare, poi, è un verbo di per sé negativo: intende sopportare a malincuore, accettare il minore dei mali possibile. Ben diverso dalla comprensione — prendere insieme, in sé — e dalla carità cristiana. La verità è una: non la si può sostituire con la tolleranza, la quale per le persone è poco, mentre per le idee è troppo. Se non esiste una verità, ma tante verità, allora sorgeranno coloro che vorranno imporre la loro verità suIte altre: chi con la forza, chi con la sublime arte della manipolazione culturale. Lo sappiamo bene noi italiani... Questa mancanza di verità finisce per influire anche sulle decisioni internazionali: in assenza di una Verità tutto è lecito e tutto ë ugualmente giusto e sbagliato. Diventa impossibile allora agire, perché diventa impossibile capire chi ha ragione e chi ha torto. Prendiamo il caso della guerra nei Balcani: le atrocità sono ugualmente condivise, allora chi è il buono e chi il cattivo? Il dubbio costringe all’inazione. Manca oggi quel motivo ideale che spingeva i cavalieri — penso ai Templari, per esempio — ad agire nel passato, quando era chiaro quale fosse la verità da difendere».

Religione e politica, dunque?

«In un certo senso: perché anche qui al centro c’è la concezione dell’uomo. La sinistra — e i giacobini furono i primi a sedere provocatoriamente a sinistra perché i “buoni”, biblicamente, stanno a destra del Padre — non crede nella realtà del peccato: ne consegue che è convinta che tutto sia una questione di riforme. Riformando continuamente le istituzioni e, tramite queste, la società, si giungerà prima o poi alla soluzione di tutti i problemi: a colpi di decreti e di rivoluzioni si raggiungerà il Paradiso in terra. È la clasa discutadora, la classe che discute, come la definì causticamente Donoso Cortés. C’è un filo comune che parte da Pelagio e finisce in Marx passando per Occam, Wycliff, Huss, Lutero, Baio, Giansenio e così via. La negazione della caduta: la natura umana è capace di salvarsi da sé. Ecco allora il mito del nuovo Eden, dell’uomo nuovo, riformato, rigenerato, capace di trasformare l’intera umanità. Questa era la convinzione dei giacobini, dei padri fondatori degli Usa, dei dirigenti sovietici. Dall’altro lato, al contrario, la destra crede solo nel peccato: confida perciò nel gendarme come cura alle “malattie” della società. Il poliziotto di destra sta all’assistente sociale di sinistra. Il cattolicesimo invece è per la legge misteriosa dell’et-et: peccato e redenzione. Nel sociale: l’assistente per convincere e il poliziotto per dissuadere chi non volesse sentire ragioni; nel religioso: il sacramento della Confessione, che indica la cura, e la Comunione eucaristica che guarisce. È una concretezza ben diversa: come esempio si può portare san Benedetto, il padre dell’Occidente. Scrive la sua regola per il “gregge turbolento e indocile”, elenca a ogni pagina i “vizi legati all’umana natura”, come durezza di cuore, indisciplina, orgoglio, altezzosità., mormorazione. Ma san Benedetto ama gli uomini così come sono: non sogna neppure lontanamente di costruire un uomo nuovo, ma solo di fare di un poveraccio semplicemente un uomo, magari anche monaco. Si mette al servizio del suo gregge. C‘è una concezione dell’uomo radicalmente diversa che permette, comprendendo appieno che cosa sia la persona, di prendere le giuste decisioni.

In ginocchio davanti al mondo

I più delusi dal documento di Pio IX furono i cattolici liberali. Nel libro lei dedica ampio spazio a descriverne i discendenti: quelli del centro che ci portò a sinistra.

«I cattocomunisti sono quella porzione del popolo cattolico che è convinta di doversi inginocchiare dinanzi al mondo. Appiattiti sulle idee di volta in volta mondane, malgrado tutto convinti che la verità non sia quella indicata da sempre dalla Chiesa, quanto quella che nasce dal confronto dialettico delle opinioni, sono ossessionati dal desiderio di convergere verso le cosiddette forze del progresso. In religione confondono l’apostolato con l’integralismo e provano una sconfinata simpatia per chi ha abbandonato ogni credenza nel soprannaturale; in politica provano un’attrazione fatale verso le sinistre convinti che la democratizzazione delle sinistre è il passo decisivo verso il Paradiso Terrestre. Come sta accadendo anche oggi».

Allora Pio IX aveva previsto la crisi del governo Berlusconi?

«Aveva indicato lungo quale sentiero si sarebbero persi coloro che insistevano per accogliere nel cuore del cattolicesimo i principi filosofici dell‘illuminismo. Ma da un errore dottrinale non può scaturire una società giusta. Gli “ismi” che travagliano il nostro secolo e che l’hanno cosi macchiato di sangue sono i frutti di quelle deviazioni, abbracciate entusiasticamente dai cattolici liberali».

Ma oggi…

«La medesima situazione: ci sono ancona cattolici che presumono di cavalcare il progresso, anzi il progressismo. “Se faremo come De Gasperi e ci porremo alla testa del cambiamento, allora otterremo il consenso”, diceva Mario Segni nel 1992. I risultati si sono visti. Non è un caso che proprio negli anni in cui in Italia ha governato il partito sedicente cristiano, la società si è profondamente laicizzata. Basta ricordane queste parole di De Mita, nel 1986, per capire il perché di questo tradimento: “La Dc non vuole costruire lo Stato cristiano”, perché ciò “introdurrebbe un principio di intolleranza”. Solo che la tolleranza è un dogma liberale. Il termine cattolico è “carità”, che vuol dire “amore”, “comprensione”, ma anche “correzione fraterna”. Lo Stato condannato dal Sillabo è quello assoluto, padrone, etico; quello che impedisce le libere scuole e che, mentre loda i valori della famiglia, persegue politiche che non solo la insidiano, ma tendono a distruggerla. I cattosinistri sono convinti che la democrazia sia un fine, il valore assoluto, non il mezzo. Tutto questo il Sillabo l’aveva previsto».

E non solo. La Proposizione 40 condanna l’affermazione che l’insegnamento della gioventù debba essere affidato alle autorità civili. La scuola libera, che in molti paesi europei rappresenta una valida realtà, da noi è ancora una chimera. Nonostante ogni cittadino paghi tasse profumate, non può scegliere liberamente in quali scuole educare i propri figli. Anzi, chi decide di farlo al di fuori delle scuole statali, da diversi anni ideologizzate in senso anticristiano, viene tacciato di elitarismo o semplicemente bollato come ricco e stravagante. Anche il partito che si definiva cattolico, nei suoi lunghi anni di governo, non ha mai messo in discussione che la scuola debba essere statale: contro il parere di un Papa?

«A mantenere un enorme, dispendiosissimo, farraginoso e inefficace baraccone napoleonico siamo rimasti quasi soli nel mondo civile. Le altre potenze industrializzate hanno percentuali altissime di studenti che frequentano Istituti non statali, e la loro ‘‘democraticità” non sembra soffrirne… anzi, al contrario. Il dogma del “libero mercato” qui subisce un’eccezione. Le sinistre progressiste continuano ad alimentare l’equivoco secondo il quale pubblico equivale a statale. Ma pubblico vuol dire servizio disponibile a tutti: delle autolinee, anch’esse spesso vitali, in mano ai privati non si scandalizza nessuno. È il solito mito giacobino dell‘“uniformità” che persiste: l’odio tutto illuministico per il pluralismo, per le libertà concrete, al plurale, che sono cosa ben diversa dall‘astratta utopica Libertà con la maiuscola. Uno dei capisaldi del liberalismo trionfante fu proprio la scuota di Stato: per fare gli italiani Cavour insisteva sulla “cura del ferro”: ferrovie, leva di massa obbligatoria e scuola statale anch‘essa obbligatoria. La scuola può e deve essere libera, che non vuol dire privata, come vuole quella vulgata paleo-marxista che sta ancora oggi manipolando le idee”.

a cura di Paolo Pugni

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La realtà che il Syllabo fu profetico ce lo attesta questo brano del 1989.....quando il card, Ratzinger era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Vera Fede[SM=g1740733]


La nuova inquisizione contro Ratzinger
è ritornata.


tratto da: Il Sabato, 03.06.1989, n. 22, pag. 70.


Solo chi professa le formule di fede stabilite dal Potere è salvo; gli altri, i nuovi eretici, vengono sottoposti a pubblico ludibrio, ostracizzati, fatti oggetto di minacce e rappresaglie. Volete una clamorosa conferma? La vicenda dei 63 teologi firmatari della "Dichiarazione di Bologna" contro il centralismo vaticano. No non è una battuta. Stiamo parlando seriamente (nei limiti del possibile).

Basta intendersi... e sfogliare con un minimo di senso critico i giornali.
Il Potere, quello vero, di cui massima espressione e strumento sono i mass media, non sta forse usando del braccio religioso dei contestatori nostrani per propagandare ed imporre alla mentalità comune i suoi ferrei dogmi?

Uno di questi, che non ammette disobbedienze mentali, è che col Concilio Vaticano II la Chiesa abbia operato una specie di azzeramento della Tradizione e intrapreso finalmente un cammino nuovo e radioso in cui, fatta solennemente ammenda per i troppi Sillabo del passato, incontra e benedice un "mondo moderno" già orientato per suo conto sulla via della pace e dei valori religiosi e morali.

La «libertà» che ci testimoniano i vari Prodi, Alberigo e Dianich in cosa altro consiste se non nel ripetere (sulle prime pagine dei giornali) ed avallare (dall'interno delle strutture ecclesiastiche) questo sacrosanto superdogma laicista? Chi osa dissentire veramente dal Potere -ricordando ad esempio che ogni Concilio va letto "alla luce della Tradizione" (come ripete spesso il Papa), od osservando realisticamente che il ventennio postconciliare è stato un periodo affatto "radioso", anzi obiettivamente «sfavorevole» per la vita della Chiesa- viene sottoposto a pubblico processo e i suoi giudizi messi all'indice.

Paradosso dei tempi attuali: la personalità cattolica più insopportabilmente "eretica" per la «nuova inquisizione» è proprio l'inquilino dell'ex Sant'Uffizio. «Eretico» il cardinale Ratzinger non solo o non tanto per la sua intransigente difesa dell'ortodossia, in tempi in cui indifferenza e oblio di dogmi della fede cattolica hanno devastato tanta predicazione e pratica ecclesiale.

"Eretico" perché proprio quell'ortodossia dà prova di non mummificarsi in una dottrina cristallizzata (che non interessa e non disturba nessuno), ma diventa giudizio storico, movimento di vita. Il Potere infatti se la ride delle formule dei teologi, siano essi di destra, di sinistra o di centro. Professino essi dottrine vagamente teistiche od oggettivamente cristocentriche: in fondo è lo stesso. Il Potere troverà sempre il modo di utilizzarle a proprio uso e consumo.
 
L'unica "verità" che teme è una verità che si dimostri nella vita, che crei storia.
Perché è l'unica verità che può attrarre e raccogliere quindi in unità, secondo una logica irrimediabilmente diversa rispetto agli schieramenti mondani, gli uomini concreti del nostro tempo. Come scrive il cardinal Ratzinger in un libro appena uscito in Germania, Auf Christus Schauen, paragonando la situazione attuale a quella degli inizi del cristianesimo: «La conversione del mondo antico al cristianesimo non è stata il risultato di un'attività pianificata della Chiesa, bensì il frutto della verifica della fede divenuto visibile nella vita dei cristiani e nella comunità della Chiesa.

E' stato il reale invito di esperienza in esperienza, e null'altro -umanamente parlando- a costituire la forza missionaria della Chiesa antica. La comunità ecclesiale vivente invitava alla partecipazione a questa vita, in cui si rendeva accessibile quella verità da cui tale vita sgorgava. Viceversa l'apostasia dell'epoca moderna si fonda sulla soppressione della verifica della fede nella vita dei cristiani (...).

«La nuova evangelizzazione, di cui oggi abbiamo così urgentemente bisogno, non la otteniamo con teorie ben escogitate: il catastrofico insuccesso della catechesi moderna è fin troppo evidente. Solo l'intreccio tra una verità in sé convincente e la sua verifica nella vita può far risplendere quella evidenza propria della fede che il cuore umano attende; solo attraverso questa porta lo Spirito Santo entra nel mondo».


[SM=g1740722]


Fraternamente CaterinaLD

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23/05/2009 08:36
 
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Meticciato e dialogo tra culture

E se Babele
non fosse una punizione?


di Silvia Guidi

Attenzione al vuoto che si nasconde dietro gli slogan, alla retorica di una tolleranza che, come l'etimologia del termine stesso suggerisce, implica il rischio di tollerare l'altro senza un reale desiderio di incontrarlo; lo scopo del libro Meticciato:  convivenza o confusione di Paolo Gomarasca (Venezia, Marcianum press, 2009, pagine 216, euro 20) è ripensare il processo di incontro e fusione di culture diverse - tema centrale del progetto Oasis lanciato nel settembre 2004 dal patriarca di Venezia Angelo Scola - non limitandosi a descrivere a livello storiografico la genesi di un fenomeno che ha cambiato il volto a interi continenti (l'esempio più significativo resta sempre il métissage del Nuovo Mondo) ma individuando le categorie antropologiche che possono contribuire a rivelarne le reali potenzialità.
 
L'intento è mostrare alcuni concetti fondamentali che hanno caratterizzato la riflessione sul "culturalmente altro" (molte le sorprese per il lettore non specialista:  dal Kant precursore di Hitler nel teorizzare la superiorità delle razze pure a un Voltaire affascinato dalla Sacra Scrittura) per superare lo stallo di una sterile retorica delle differenze, che celebra acriticamente la fine delle identità e un "miscuglio culturale, che, non si capisce per quale motivo, dovrebbe essere per tutti automaticamente liberante". "Questo fatto non deve essere equivocato. Da processo in atto - scrive Gomarasca - il meticciato non può in alcun modo diventare una strategia politica paragonabile a quella peraltro rivelatasi fallimentare del multiculturalismo; oltre tutto, il fenomeno della mescolanza non sempre avviene in modo pacifico.

Ciò che è umanamente decisivo non è che le persone e le culture si mescolino - cosa del tutto contingente - bensì il fatto che tra persone e culture si stabiliscano relazioni di riconoscimento reciproco. Riconoscimento che, quando manca, disumanizza persone e culture. Si tratta allora di capire se i luoghi dove concretamente si genera il bene del riconoscimento sono in grado di ospitare processi di meticciato che ne arricchiscono l'intrinseco potenziale relazionale".

Se le culture sono in contatto (e, storicamente, lo sono sempre state, anche se con diverse modalità di interazione e integrazione) ciò significa che il meticciato è una metafora che tocca un punto antropologico fondamentale:  l'essere del soggetto umano non è chiuso in se stesso ma costitutivamente aperto al legame con l'altro. È a questo punto che l'autore introduce il concetto di "filiazione", "una questione troppo delicata per essere lasciata totalmente nelle nostre mani". Per questo "vale la pena di lasciarsi istruire dal testo biblico, il racconto della torre di Babele".

Abitualmente citato come metafora della fiera delle differenze culturali, l'episodio biblico di Babele va visto - come spiega bene Derrida - come una questione paterna. Del resto già Voltaire si chiese, con un certo stupore, come mai nessuno si fosse accorto che Babele non vuole soltanto dire confusione, ma anche padre, più precisamente il nome di Dio come nome di padre. "Se questo è vero, allora dobbiamo dire che quando Dio punisce gli uomini imponendo a tutti la confusione, impone anche il suo nome di padre". Che significa? Derrida sembra cogliere la finezza del racconto e, infatti, si chiede:  perché Dio punisce i costruttori della torre? Per aver voluto costruire fino all'altezza dei cieli? È molto probabile, ma anche "per aver voluto "farsi un nome", scegliersi il proprio nome, costruirlo da sé".

L'"auto-nominazione" di Derrida assomiglia all'auto-riconoscimento dello spirito assoluto descritto da Hegel; è insomma la pretesa di mettersi al posto dell'origine per non dover dipendere, per non dover riconoscere che esistiamo in relazione agli altri. "Ciò equivale - continua Gomarasca - al colonialismo:  in fondo i costruttori delle terre vogliono riunire tutti gli uomini in un solo nome, in una lingua universale perché univoca, perfettamente trasparente. Quando Dio impone e oppone loro il proprio nome, rompe la trasparenza razionale, ma interrompe anche la violenza colonialista o l'imperialismo linguistico. Li destina alla traduzione".

La proibizione dell'univocità è dunque un gesto paterno di protezione che ci ripara dalla violenza dell'auto-nominazione, senza però lasciarci in balìa dell'equivoco:  l'universale c'è, ma, fortunatamente, non è esclusiva proprietà di nessuno. La traduzione è allora l'unica strada per essere autenticamente figli, eredi di un nome che è proprio per ciascuno solo in quanto è ricevuto.

"È quindi facile immaginare che, traducendosi, i mondi di vita particolari - fatti di persone, lingue, culture - potrebbero anche "meticciarsi" scoprendo inaspettate zone di contatto e di sovrapposizione. Del resto niente di ciò che è proprio, secondo una dinamica di filiazione, può mai equivalere all'esclusivo, nel senso dell'escludere l'altro". L'auspicio, conclude Gomarasca, è che questi possibili esiti "esproprianti" ci ricordino con maggiore evidenza la nostra origine comune e la convenienza umana di continuare a tradurre; con Babele Dio, sembra suggerire l'autore, ha regalato all'uomo la bellezza complessa e dialogica di un mondo polifonico per salvarlo da uno sterile (e alla lunga noioso) ruolo da solista.



(©L'Osservatore Romano - 22-23 maggio 2009)


Il Syllabo si pone nel cuore di questa traduzione biblica, esso è la chiave d'interpretazione PER IL CATTOLICO, attraverso la quale poter portare in questa Babele LA VERITA'(=GESù CRISTO)...
Il Syllabo fu importante ed è profezia perchè senza questa certezza della Verità, perde di significato la stessa Babele biblica, tralasciando appunto gli slogan e la strumentalizzazione di questo episodio biblico per relegarlo esclusivamente nel concetto di CONFUSIONE...noi Cattolici dice la Lettera di san Giacomo e di Giovanni, abbiamo la Verità e abbiamo la Scienza...viviamo NEL mondo ma non siamo DEL mondo, ecco che in quesa Babele il Syllabo ci aiuta a convivere con gli altri senza compromessi e senza fare sconti sul Vangelo....


[SM=g1740720]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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04/09/2009 23:54
 
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L'Istituto Pastorale Redemptor Hominis compie cinquant'anni

Ci vuole metodo
per far agire la Chiesa




di Maurizio Fontana

Ad uberrima vitae pascua gregem Domini ducere eis commissum est quos Pastor et Episcopus animarum elegit ac posuit "ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei". Con queste parole esordiva la Costituzione Apostolica con la quale il 3 giugno 1958 Pio XII erigeva il Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis presso la Pontificia Università Lateranense.

Circa un anno dopo, il 17 maggio 1959, Giovanni XXIII dichiarava l'istituto parte della stessa università. Sono quindi passati cinquant'anni da quando il Papa volle espressamente un'istituzione accademica che si occupasse dell'"agire della Chiesa", dell'educazione alla fede con azione differenziata secondo i bisogni, le circostanze e le età.

Un istituto che si mettesse in ascolto delle voci della contemporaneità, che studiasse le sfide poste dal contesto sociale e civile e che sapesse progettare in maniera articolata ciò che la comunità cristiana deve fare per essere fedele alla sua missione nel mondo. Un'istituzione al servizio della Chiesa affinché la Chiesa potesse mettersi sempre più al servizio dell'uomo.
Per celebrare la ricorrenza, l'istituto ospiterà il 28 e il 29 febbraio il convegno internazionale "L'uomo, via di Cristo e della Chiesa. Cinquant'anni del Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis". L'occasione per ripercorrere un cammino, per chiarirsi e chiarire metodi, obiettivi e finalità, per ipotizzare scenari futuri, soprattutto per riflettere sulla propria identità.
Proviamo a riassumere, in poche battute, il senso di questa riflessione con il preside dell'istituto, monsignor Dario Edoardo Viganò, che domani aprirà i lavori del convegno nell'aula Pio XI della Pontificia Università Lateranense.

Mezzo secolo di attività e d'impegno, durante il quale l'istituto è stato chiamato a rispondere a esigenze sempre più ampie e articolate. Finalità scientifiche, pedagogiche, didattiche. Ma quale è, al fondo, il significato di un istituto pastorale all'interno dell'"Università del Papa"?

Nato per occuparsi dell'agire della Chiesa e pensato per strutturare percorsi formativi principalmente per sacerdoti e religiosi, l'istituto negli anni ha visto maturare la sua identità e i suoi compiti seguendo in maniera particolare gli sviluppi del dibattito conciliare e post-conciliare riguardo al rapporto tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Negli anni si è sviluppato un metodo di lavoro originale elaborato in dialogo con la filosofia pratica e con le scienze umane e sociali, senza però mai venir meno alla specifica fisionomia di pensiero propriamente teologico.
Possiamo dire che proprio negli anni post-conciliari, l'istituto ha posto attenzione particolare all'identità della disciplina che va sotto il nome di teologia pastorale, elaborando l'approccio metodologico del "discernimento evangelico" ritenuto capace di istruire in maniera adeguata i temi legati alla nuova evangelizzazione, ultima frontiera della nostra ricerca e della nostra produzione scientifica.

Nell'istituto, accanto al curriculum in Teologia pastorale c'è anche l'indirizzo di specializzazione in Dottrina sociale della Chiesa. La nuova evangelizzazione s'incarna nella società.

A proposito della dottrina sociale della Chiesa da subito e specialmente dagli anni del cardinale Pietro Pavan, il "Redemptor Hominis" si è posto all'avanguardia nel magistero sociale, considerando i temi dell'economia, della politica, della vita sociale come strettamente pertinenti la missione della Chiesa. In particolare, nel magistero di Giovanni Paolo II ritroviamo il filo rosso dato dalla centralità e dalla dignità della persona umana, in una prospettiva pastorale che consente una precisa analisi delle questioni relative alla politica, all'economia e alla cultura.
La proposta formativa nella specializzazione in Dottrina sociale della Chiesa del nostro istituto ha come elemento peculiare l'aver compreso il profondo legame che unisce le singole discipline scientifiche, irrimediabilmente distinte in epoca moderna in seguito alla rivoluzione gnoseologica ed epistemologica del diciottesimo e del diciannovesimo secolo. Un legame che avviene sul terreno della prospettiva antropologica: tutte le scienze umane sono accomunate dal comune oggetto di studio: l'uomo, e dal comune soggetto che le analizza: l'uomo stesso. "L'uomo che studia l'uomo" per contribuire all'edificazione di una società più giusta e più libera.

In questa attività lei accennava a un metodo ben preciso.

Il metodo è quello del discernimento teologico, arricchito dalle più avanzate analisi provenienti dalle moderne scienze sociali. Il che rende la nostra istituzione scientifica un originale laboratorio sull'azione umana, sulle sue implicazioni sociali e sul ruolo della religione e del sapere umanistico nel costituirsi della cultura contemporanea; una cultura che appare sempre più pluralistica, internazionalmente fraterna (come sono i nostri studenti) e felicemente (benché problematicamente) contaminata da altre culture. L'Istituto PastoraleRedemptor Hominis, inoltre, vuole rappresentare un adeguato strumento di previsione delle future tendenze culturali, avendo a cuore l'uomo in tutte le sue dimensioni.

Ha accennato alla provenienza da ogni parte del mondo degli studenti dell'istituto.

Uno degli aspetti decisamente più affascinanti che caratterizza il nostro lavoro è proprio la diversità culturale di studenti e di docenti. Se ciò comporta una complessità non solo linguistica ma anche di confronto culturale, non di meno la varietà delle provenienze offre comunque la possibilità impagabile di conoscere modelli diversi, plurali, cercando di discernere quanto nella fede e nella prassi della Chiesa vi è di essenziale e di irrinunciabile, e che attraversa tutte le culture. Non a caso, l'inculturazionedel Vangelo è uno dei temi trasversali che attraversa le discipline insegnate. L'internazionalità degli studenti dà anche modo di misurare molto concretamente il processo di globalizzazione culturale in atto nel mondo, non solo occidentale. In termini cristiani, dà modo di vivere la dimensione cattolica, universale della fede.

Quali sono gli obiettivi per l'oggi e per il futuro?

Credo che i termini "complessità", "mobilità culturale, territoriale e sociale"descrivano bene le sfide a cui occorre rispondere. Le vie per affrontare tali sfide possono essere individuate nel ripensamento della presenza e dell'azione della Chiesa sul territorio che non può più essere concepita in termini puramente ed esclusivamente geografici. Inoltre nell'agenda nella riflessione e della ricerca non possono mancare temi come la proposta di una diversa articolazione delle figure ministeriali e il progetto di una nuova evangelizzazione.


(©L'Osservatore Romano - 28 febbraio 2008)
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02/10/2009 19:24
 
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Il cattolicesimo e la modernità

Un presente eterno
tra passato e futuro


di Roberto Morozzo della Rocca
 

Il mondo cattolico è stato al tempo stesso intransigente nel rifiuto della modernità e transigente nel modificare i suoi costumi nel lungo periodo.

Il Sillabo (1864) è una condanna apparentemente irrevocabile della modernità. Ma esiste il definitivo nel fluire storico? Peraltro il cattolicesimo è stato disponibile alla modernità tecnica che facilitava la vita quotidiana e l'economia. Inoltre c'è stato il graduale accoglimento del pensiero politico moderno.
La democrazia, avversata nell'Ottocento, nel secolo successivo è stata approvata, rivendicandone l'origine al cristianesimo.

Senza cedere però su punti ritenuti essenziali alla propria identità. Infatti la Chiesa cattolica ha appoggiato i partiti democratici d'ispirazione cristiana, ma non è diventata essa stessa una democrazia. Si regge sulla comunione, non sul consenso democratico. Tanto meno la Chiesa cattolica ha assunto le sembianze di un'agenzia umanitaria internazionale. Non ha confuso il suo profilo religioso con messianismi terreni. Si è qualificata come pilastro dell'Occidente mantenendo però una dimensione universale che l'ha immunizzata dal mito del progresso risolutore presente nell'Occidente. Ha conservato formule comunitarie per vivere la fede senza concessioni eccessive all'individualismo.

Nel cuore del Novecento Emmanuel Mounier definiva la Chiesa cattolica "personalista e comunitaria" al tempo stesso. Mentre eruditi patrologi dimostravano come la Chiesa antica considerasse la salvezza realtà prettamente comunitaria, connessa non all'individuo isolato, ma all'unità del genere umano, corpo mistico di Cristo, essendo tutti gli uomini costituiti e ordinati a uguale immagine di Dio.

Daniele Menozzi vede "contrapposizione tra cattolicesimo e modernità - stemperata da una modernizzazione che, pur estrinsecandosi in una parziale ricezione dei diritti dell'uomo, non si è mai risolta nella piena accettazione dell'autonomia dell'uomo nel fabbricare la sua città". Questa contrapposizione c'è stata. Dalla Rivoluzione francese sino al Vaticano II la Chiesa cattolica si è opposta alla modernità, anche se ne accettava il mero progresso tecnico. Occorre tener presente che la modernità ha tentato di dominare la Chiesa oppure di svuotarla attraverso la secolarizzazione. Roma non ha mai accettato di essere dominata da prìncipi e imperatori. e in anni recenti non ha gradito la supremazia incontrastata degli imperialismi. Che la sua agenda potesse essere dettata dalla modernità la inorridiva. Il conflitto tra cattolicesimo e modernità è stato alimentato da entrambe le parti. L'uno ha difeso gelosamente la Tradizione, comprensiva di un antico monopolio della verità. L'altra ha visto il nemico nella religione. Fino a trent'anni fa, in Occidente, più modernità significava meno religione, e si pensava che la storia andasse verso una universale secolarizzazione.
 
Per altro verso, quanto Menozzi intende come negativo è visto invece come un valore dal cattolicesimo romano non intenzionato a mutare la sua concezione dell'uomo secondo le idee correnti.

Il cattolicesimo non accetta che l'uomo moderno sia essenzialmente diverso dall'uomo antico. E non si prefigge di colmare fossati e di recuperare terreni perduti, né di apparire attuale rivendicando, alla maniera dei protestanti, primogeniture nei processi di modernità. Il sensus fidelium non lo permetterebbe. Perché affannarsi quando la modernità è stata anche rivoluzioni distruttive, terrore e violenza, totalitarismi genocidari, razzismo e antisemitismo, stragi d'innocenti, lager e gulag, Cambogia e Ruanda?
Aggiornamento sì, secolarismo no:  così il concilio Vaticano II che ha comunque rappresentato una cesura, non della continuità della Tradizione ma di un'attitudine di diffidenza verso le realtà terrene per sospingere i cattolici a inedita cordiale simpatia innanzi all'umanesimo contemporaneo e alla città dell'uomo. Come affermava Paolo VI nel discorso di chiusura del Vaticano II:  "L'antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (...) ha assorbito l'attenzione del nostro Sinodo".

Dopo il concilio Vaticano II, la modernità è accettata dalla Chiesa cattolica. Ma con una doppia riserva. Che non venga ad alterarne la struttura interna e la dottrina. Che sia sottoposta, in ciascuna delle sue manifestazioni, a una verifica etica. Giovanni XXIII citava volentieri un pensiero di Bergson, le corps aggrandi attend un supplément d'âme, trovandolo "bene applicato al progresso della scienza. Questa pone problemi non solo scientifici, ma giuridici, filosofici, morali, religiosi:  e se la sua potenza si accresce occorre che il dotto accresca la sua sapientia:  quella che è norma di vita, legge morale, e riconoscimento di valori superiori". Analogamente Benedetto XVI:  "Penso che il vero problema della nostra situazione storica sia lo squilibrio fra la crescita incredibilmente rapida del nostro potere tecnico, del sapere, del know-how, e quella della nostra capacità morale, che non è cresciuta in modo proporzionale". Papa Ratzinger rileva un senso etico insufficiente "ad usare correttamente la tecnica, che pure ci vuole".

Come scrive nella Spe salvi:  "È necessaria un'autocritica dell'età moderna (...) Noi tutti siamo diventati testimoni di come il progresso in mani sbagliate possa diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel male. Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, nella crescita dell'uomo interiore, allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l'uomo e per il mondo". Benedetto XVI non crede nel progresso per se stesso, svincolato dal discernimento etico dell'uomo. Ragione e libertà dell'uomo - pilastri del progresso e della modernità - hanno valore soltanto se conducono a discernere tra il bene e il male:  "in caso contrario la situazione dell'uomo, nello squilibrio tra capacità materiale e mancanza di giudizio del cuore, diventa una minaccia per lui e per il creato". La fede nel progresso umano, che connota la modernità, incorrerebbe in un errore fondamentale, quello di scambiare il progresso materiale, addizionabile entro i limiti consentiti dalle leggi fisiche della natura, con il progresso dell'uomo come essere vivente, che non è addizionabile, in quanto connesso all'esercizio di ragione e libertà nelle scelte etiche, le quali sono sempre nuove e sempre fragili.

Per la Chiesa cattolica dei nostri giorni è un dato certo:  il progresso, il nuovo, la modernità non rivestono a priori un significato positivo e neppure negativo. Non hanno una valenza neutra, possono causare il male, ma possono  anche  essere  orientati al bene. Non producono il paradiso in terra, che è irrealizzabile, ma possono concorrere al bene sulla terra. Certo l'evangelico Regno di Dio è altro. Ma la modernità è oggetto di dialogo da parte della Chiesa. Paolo VI fece del dialogo con la modernità quasi la cifra del suo pontificato, nello spirito del Vaticano II.

La Chiesa cattolica resta fedele a una duplice visione della storia. C'è un momento del passato che racchiude già tutta la storia, ed è la passione, morte e resurrezione di Cristo, evento che esaurisce la storia e al tempo stesso la muove e la motiva dinamicamente verso un cosmico atto finale, la Parusia. Così la Chiesa cattolica è a un tempo antimoderna e moderna. Da una parte, la croce e la resurrezione di Cristo sono fissate nel passato ormai remoto. Dall'altra, l'eternità, non il tempo storico, è il destino ultimo dell'uomo.
Eppure, la storia ha per i cattolici uno svolgimento, un'intensità ontologica, una valenza salvifica nel presente. Il cristianesimo ha precipuo carattere storico, non è ritualità di gesti e pensieri, non è circolarità di eventi che si ripetono, non è dogma che imprigiona la creatività. E la storia ha un senso, una direzione, oltre che un'imprevedibilità dovuta al libero arbitrio dell'uomo.

Si obietterà che il credente tutto vede sub specie aeternitatis, che la preghiera e la contemplazione sono fuga dal secolo e dalle opere della storia, che la fede disprezza le realtà temporali poiché non esiste storia dell'eterno. Henri de Lubac, che definisce la storia "interprete obbligato tra Dio e ciascuno di noi", risponderebbe che "per elevarsi fino all'eterno bisogna necessariamente appoggiarsi sul tempo e lavorare in esso.
A questa legge essenziale s'è sottomesso il Verbo di Dio:  è venuto per liberarci dal tempo - ma per mezzo del tempo:  propter te factus est temporalis, ut tu fias aeternus. Legge d'incarnazione (...) Sull'esempio di Cristo ogni cristiano deve accettare la condizione d'essere impegnato nel tempo; condizione che lo fa solidale di tutta la storia, di maniera che il suo rapporto con l'eterno va di pari passo con un rapporto con un passato che sa immenso e con un avvenire la cui durata gli sfugge".

L'idea cattolica è che fede e storia stiano insieme. Ma anche il contrasto tra fede e scienza deriverebbe dall'equivoco che le vuole a competere nella stessa dimensione quando invece i lumi della fede e i lumi della scienza apparterrebbero a ordini diversi.
Ma allora le secolari polemiche sull'oscurantismo cattolico? Il caso Galilei e l'atavico timore che la teologia non controlli più la scienza? O che la scienza divenuta autonoma metta in dubbio la teologia? E la condanna del modernismo in cui la teologia chiedeva aiuto alla scienza ormai emancipata?

In realtà, la Chiesa cattolica è una complexio oppositorum in cui si va da un estremo all'altro. Per citare Yves Congar:  "La grandezza, secondo Pascal, è di tenere gli estremi e di riempire lo spazio tra loro. Il cattolicesimo è gerarchico e si rinnova a partire dalla base; si riversa nel pluralismo e abbonda in mistici; parla di sofferenza e di croce e, gioioso, preconizza lo sviluppo dei più alti valori umani; limita le pretese della ragione e ne rivendica le possibilità (...) Il cattolicesimo sarebbe questa complexio oppositorum (...) Il cattolicesimo è la pienezza, e, così come si è espresso nell'ultimo concilio, sintesi:  non il papa senza collegio, non il collegio senza il papa; non la Scrittura senza la Tradizione, non la Tradizione senza la Scrittura".

Nell'articolato organismo cattolico l'unità è fatta da Roma, dal papato, che in età contemporanea, da una parte, ha combattuto la modernità in quanto secolarizzazione, e dall'altra parte ha tenuto la modernità in debita considerazione perché rappresentava il presente dell'uomo cui annunciare il kèrygma cristiano. Mai che la modernità metta in discussione il dogma. Ma può esserci l'aggiornamento, la simpatia per la progrediente avventura umana, la valorizzazione dei segni dei tempi. Si vaglia il nuovo, per rigettarlo se insidia identità o dottrina, per sostenerlo se utile a salvare le anime.


(©L'Osservatore Romano - 3 ottobre 2009)
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[SM=g1740722] Mons. Negri: Mons. Negri: Elogio del Sillabo
22 Dic 2010

Elogio del Sillabo
sillabo
di Mons. Luigi Negri, Vescovo di S. Marino

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Demonizzato da verta cultura dominante, il Sillabo di Papa Pio IX denuncia con coraggio profetico gli errori della modernità. Va rivalutato: seguendolo, avremmo evitato i totalitarismi e gli errori della nostra epoca

* * *

Nel 1864, come appendice all’enciclica Quanta Cura, Pio IX pubblica l’elenco delle proposizioni che aveva già esplicitamente condannato nei suoi precedenti interventi. È il Sillabo, raccolta delle proposizioni che descrivono il soggetto moderno e il suo procedere. In verità, ci sono condizioni obiettive in cui questo documento matura.
Il cattolicesimo, in Europa, appariva diviso. Anzitutto, c'erano i Paesi cattolici aperti al dialogo con la modernità, democratici, progressisti, costituzionali, come il Belgio, preoccupati di salvare alcuni aspetti positivi della modernità, come l'evoluzione di tipo critico, scientifico, tecnologico, la maggiore partecipazione alla vita politica e alle realtà presenti nella società. Ma in tale dialogo, questi cattolici costituzionalisti correvano il pericolo di far proprio il progetto della modernità.
In secondo luogo, c'erano i tradizionalisti, gli ultra-montani, i papisti, che avevano chiara consapevolezza dell'alternativa tra cattolicesimo e modernità, ma che rischiavano di avere come ideale la difesa del passato, di un determinato momento della storia della cristianità occidentale, quando la religione cattolica era la forma della personalità, non in modo assoluto o perfetto, ma in modo sostanzialmente evoluto e intensamente amato, e quindi influente nella vita della società.
Il Sillabo va oltre questi condizionamenti e circostanze; nasce dentro questi stessi condizionamenti, ma è uno sguardo acutissimo portato alla posizione sostanziale dell'avversario, uno sguardo proteso al futuro, per comprendere gli esiti di quella posizione, conscio che se si mette alla base della cultura di una società un'idea sbagliata di uomo, presto o tardi la storia ne dimostrerà l'errore.
 
* * *

Con il Sillabo il Magistero prende coscienza dell'alternativa: certo, è presupposta un'altra concezione dell'uomo, della realtà della vita sociale e politica, con cui non ci si può più identificare, da cui si deve prendere le distanze. Nella coscienza di questa differenza di concezioni, vi sono le condizioni per comprendere gli oltre cento anni che intercorrono tra il Sillabo e noi, durante i quali il Magistero sociale ha sempre cercato il dialogo con il suo tempo, dialogo doloroso e inquieto, ma che ha salvato certi valori non solo per i cristiani ma per tutti.
Il Sillabo, dunque, rappresenta il punto di massima penetrazione, da parte della Chiesa, nella sostanza dell'avvenimento moderno (intendendo per avvenimento moderno il soggetto, il progetto moderno) e così stabilisce un'alternativa tra la Chiesa e la modernità, che nasce dalla coscienza della diversità.
La società moderna va verso il totalitarismo: in questa vicenda, che è graduale, ma che nel periodo che va dalla fine del secolo XIX fino a pochi anni fa ha caratterizzato il processo culturale e sociale nel suo complesso, la Chiesa cattolica ha resistito, intervenendo su tutti i problemi della vita personale e sociale, indicando un altro modo di affrontare la concezione dell'uomo e della famiglia, di affrontare l'educazione, di concepire lo 5tato, e così via.
 
* * *


Si possono indicare tre grandi punti su cui la Chiesa ha fatto resistenza.
1. Anzitutto, la priorità della persona sulla società. La società non fa nascere la persona, è la persona che crea società, perché vive una nativa, irriducibile libertà, che è la libertà del Figlio di Dio, dell'uomo creato. È l'uomo che crea società facendo una famiglia, generando dei figli, aggregando le famiglie secondo certi interessi, stanziandosi su un certo territorio comune, ecc. La sacietas è il risultato dell'esercizio di alcuni diritti che appartengono alla persona perché figlia di Dio. La Chiesa ha sempre sostenuto la priorità ontologica e strutturale della persona sulla società, che è il fermento dal basso di forme, di istituzioni, di valori, di tradizioni, di cultura, di arte. Questa società si forma per gli uomini liberi, e attraverso la loro responsabilità: non c'è la società e dentro, incastrato come un bullone in un organismo meccanico, l'individuo.
 
* * *


2. Il secondo punto di resistenza è la priorità della società sullo Stato. La Chiesa ha sempre rifiutato la concezione per la quale lo Stato è assoluto, e dunque si identifica con la società o è un soggetto etico, (come nel fascismo). Lo Stato non è etico, perché è uno strumento vivo fatto di uomini, di persone, di cui alcune esercitano il potere, non a vantaggio della loro ideologia o della loro concezione della vita e delle cose, ma a vantaggio del bene di tutti, dunque della libertà di tutti, singoli e associati. Il concetto tomistico di bene comune, rilanciato da Leone XIII nella sua grandissima enciclica Rerum novarum (1891), significa che lo Stato è funzione della coscienza personale, della libertà personale, non è assoluto, non è la fonte del diritto, ma è l'insieme delle condizioni che con. sentono l'esercizio dei diritti. I diritti sono tali in quanto completati da doveri. Il primo dovere è che il mio diritto non nega il diritto altrui.
 
* * *


3. Il terzo punto è la distinzione netta tra la sfera religiosa e quella politica. La prima appartiene alla libertà di coscienza: la vita religiosa, soprattutto quando è associata, ovvero quando è espressione di una realtà popolare, quando ha contatti con altre forze sociali e quindi ha un rilievo nella vita dello Stato, deve entrare in rapporto con lo Stato e in questo rapporto si devono accettare certi condiziona menti reciproci. La Chiesa è libera dallo Stato, come lo Stato è libero dalla Chiesa; la Chiesa non rappresenta una longa manus politica dello Stato, e non è un'agenzia di sacralizzazione del potere, come nella concezione protestante, luterana o calvinista, della vita sociale. , Il Sillabo, sebbene nato in un determinato momento della storia della Chiesa e all'interno di certi condizionamenti legati alla polemica che divideva i cattolici in certi -. ha un'incredibile ampiezza e profondità, penetra nella sostanza teorica della vicenda e individua le conseguenze pratiche posizione moderna. Che si sarebbe arrivati all'annullamento della persona attraverso la limitazione del consenso, non l'hanno detto i sociologi di questo secolo, l'aveva già detto papa Pio VI. Che si abbia la possibilità di manipolazione della vita attraverso i mezzi del potere, che questi ultimi sarebbero stati mezzi della comunicazione sociale, è una consapevolezza che percorre tutto il Magistero sociale, ma che nel Sillabo diventa un punto di chiarezza. Senza chiarezza della differenza non c’è possibilità di dialogo; nella confusione, nell’approssimazione, nell’equivoco, è possibile la violenza, la violenza teorica che è più grave di quella pratica, perché questa ti viene fatta di fronte e ti puoi difendere, quella teorica ti circuisce e te ne trovi inviluppato, senza rendertene conto.


Bisogna restituire al Sillabo la sua importanza storica. Senza questo documento che delineava il volto dell’interlocutore prendendo coscienza dei suoi propositi, progetti e del suo dinamismo di fondo, senza questa coscienza lucida delle differenze, non ci sarebbero state le resistenze della Chiesa per la libertà. Quando la Chiesa fa resistenza per la libertà, non lo fa solo per la propria, ma per quella di tutti, per difendere anche la libertà di coloro che, contingentemente, la violano, essendo al potere. Questa è la sostanza del sillabo: esso pone le condizioni di un dialogo durissimo che ha consentito alla Chiesa di resistere su certe posizioni di fondo che sono oggi patrimonio non soltanto dei credenti, ma di tutti coloro che, recintando il totalitarismo che ha distrutto l’uomo, cercano e pensano alla loro possibilità di vita, ci cultura e quindi di società.
 
* * *

 
IL SILLABO É DIVISO IN NOVE SETTORI

 
Il primo è sui fondamenti teorici della modernità: panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto. Il Papa riconduce a queste radici una teoria della modernità.
Il secondo contiene proposizioni più moderate, tipiche appunto del razionalismo moderato.
Nella terza parte, si evidenziano le conseguenze morali delle posizioni moderne. Non esiste il bene, perché non esiste la libertà, se non quella fissata dalla ragione, e dunque il solo bene è quello fissato dalla ragione. Questo significa che tutte le posizioni hanno lo stesso diritto.
Nella quarta parte, vi sono le conseguenze sul piano socio-politico della concezione moderna: infatti, se la ragione è tutto, la scienza e la tecnica possono fare tutto e la politica, pensata razionalmente, è tutto, lo Stato è tutto, la società è tutto. La società infatti si identifica con lo Stato e lo Stato è assoluto, cioè non deve rispondere a nessuno.
La quinta parte elenca gli "errori che riguardano la società civile, considerata in sé e nelle sue relazioni con la Chiesa"; è la definizione di Stato da tenere presente ogni volta che si sfoglia il giornale o si ascolta la televisione!
Gli ultimi settori riguardano gli errori circa la morale naturale e cristiana, il matrimonio, il dominio temporale del Papa e il liberalismo.

* * *
BIBLIOGRAFIA
 
Sillaba, ovvero sommario dei principali errori dell'età nostra, Cantagalli, Siena 1977.
Rino Cammilleri, Elogio del Sillaba, Leonardo, Milano 1994.
Roberto de Mattei, Pio IX. Con testo integrale del Sillaba, Piemme, Casale Mon.to (AL) 2000.


* * *

 

IL TIMONE  N. 23 - ANNO V - Gennaio/Febbraio 2003 - pag. 22 - 23



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16/07/2014 15:35
 
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  dal sito LanuovaBussola quotidiana


Don Giussani e il Sillabo

di Luigi Negri*
15-07-2014

Mio carissimo Riccardo,

ti chiedo come favore personale di pubblicare sul tuo ottimo quotidiano questo brano di don Luigi Giussani che provvidenzialmente ho ritrovato nelle mie letture di questi giorni.

È la dimostrazione lampante di quello che ho tentato di comunicare in più di un intervento in questi ultimi anni: che l’ipotesi di fondo sulle vicende culturali legate alla modernità e alla post modernità, don Giussani le ha formulate sin dai primi anni del suo insegnamento liceale e le ha tenute fedelmente per tutta la vita. Io peraltro ho visto la fecondità di questa ipotesi per gli studi e le letture che ho potuto fare lungo tutto il corso della mia vita di ricercatore.

Queste sono le posizioni di Giussani. Filosofi e giornalisti, che spesso parlano del magistero di Giussani e che attribuiscono a Giussani posizioni diverse da queste o che accusano Giussani di non avere capito lo spirito del Concilio, sappiano che queste sono le posizioni storiche e culturali che Giussani ha tenuto fedelmente per tutto il suo insegnamento.

Certo, si può avere incontrato Giussani, averlo seguito fino a un certo punto e a un certo punto dire cose diverse da quelle che lui diceva. Ma allora è bene dire che non si ripropone più l’insegnamento di Giussani.

* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

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«In un momento come quello di oggi sarebbe veramente una grazia che la Chiesa si sentisse chiamata da Dio a esplicitare tutta la verità che già porta nel seno della sua vita quotidiana.

È quello che è accaduto alla fine dell'Ottocento con il Sillabo. Per questo è odiato il Sillabo: perché ha chiarito le parti (insieme all'enciclica Pascendi contro il modernismo). Adesso, invece, il modernismo domina ovunque. Se Dio non chiama la Chiesa ad un intervento, la Chiesa umilmente deve subire la tempesta del dubbio e della indecisione. Bisogna pregare la Madonna che dia alla Chiesa guide e documenti chiari. Come la Redemptor Hominis, di cui ricorre l'anniversario in questi giorni»

(L. Giussani, L'attrattiva Gesù, Tischreden del 1994)





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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