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La Chiesa e internet: l'invito del Papa ad usare questo strumento

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2013 11:55
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«Pope2you» un sito per conoscere il Papa[SM=g1740722]  

    "Giovani, siate testimoni della vostra fede nel mondo digitale!".

Mentre il Papa lanciava quest'appello da piazza San Pietro, durante l'udienza generale di oggi, mercoledì 20, al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali si stavano dando gli ultimi ritocchi al portale "Pope2you", la nuova finestra che da domani, giovedì 21 maggio, si apre sul web per consentire ai giovani di conoscere l'attività di Benedetto XVI.

"Abbiamo voluto dedicare questo nuovo sito ai giovani - ha detto a "L'Osservatore Romano" l'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio - per entrare in dialogo con loro in modo più diretto. E perché possa essere un dialogo fruttuoso, ricco, caratterizzato dal rispetto e dall'amicizia abbiamo voluto utilizzare il digitale, cioè lo strumento a loro più congeniale, attraverso il quale si ritrovano quotidianamente a volte anche senza conoscersi di persona".

    Tra l'altro il nuovo sito viene inaugurato alla vigilia della celebrazione della quarantatreesima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il cui tema non a caso è prioprio "Nuove tecnologie, nuove relazioni".

    Quanto Benedetto XVI tenga a queste nuove forme di incontro, lo testimonia l'attenzione che ha sempre dedicato all'argomento. L'ultima volta, in ordine di tempo, proprio con le parole rivolte questa mattina a quanti usano il ciberspazio. "L'appello di questa mattina - ci ha detto ancora l'arcivescovo Celli - rappresenta uno stimolo ed un incoraggiamento. Lo stimolo è quello di essere propositivi nel promuovere una cultura del dialogo, del rispetto reciproco, dell'amicizia. Il coraggio è quello di mettersi in gioco nel mondo dei social network, e rendere testimonianza dell'amore di Dio per tutti gli uomini".

    Dunque il ciberspazio come luogo da abitare scelto dalla Chiesa per incontrare l'uomo dell'era del digitale, si allarga. "Pope2you" si aggiunge agli altri strumenti già utilizzati per diffondere il Vangelo:  wikipedia, youtube, iphone, facebook. "Il nuovo portale - ci ha spiegato ancora l'arcivescovo - consentirà di accedere direttamente al mondo parallelo di facebook grazie ad un'applicazione che consentirà di inviare ai propri amici una fotografia virtuale con una frase scelta tra i discorsi del Papa. Ed è bene precisare che la presenza stessa del Papa su facebook si limita proprio a questo, cioè alla possibilità di inviare una sua fotografia con dedica, cioè con una frase presa dal suo magistero. Tutto qui".

    Più attiva ed effettiva invece la presenza sul sito che si inaugura giovedì perché "in questo luogo virtuale - ci ha spiegato ancora l'arcivescovo Celli - i giovani non solo potranno trovare tutte le notizie che riguardano il Papa e la sua attività, ma potranno entrare in contatto con la persona di Benedetto XVI, attraverso la sua parola".

    Il sito è in cinque lingue:  italiano, spagnolo, inglese, francese e tedesco ed è frutto della collaborazione fattiva con l'ufficio delle comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana.

http://www.pope2you.net/

(©L'Osservatore Romano - 21 maggio 2009)

Le parole del Papa al termine dell'udienza generale del mercoledì (ieri) ai pellegrini di lingua inglese  - Traduzione dell'Osservatore Romano :


La prossima domenica, la Chiesa celebrerà la Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali. Nel mio messaggio di quest'anno, invito tutti coloro che utilizzano le nuove tecnologie di comunicazione, in particolare i giovani, ad avvalersene in modo positivo e a comprendere il grande potenziale di questi strumenti per creare vincoli di amicizia e solidarietà che possano contribuire a un mondo migliore. Le nuove tecnologie hanno modificato in maniera fondamentale le modalità di diffusione delle notizie e delle informazioni e di comunicazione e relazione fra le persone. Desidero incoraggiare quanti accedono al ciberspazio a essere attenti a mantenere e promuovere una cultura di autentici rispetto, dialogo e amicizia in cui i valori di verità, armonia e comprensione possano fiorire. Giovani! Mi rivolgo in particolare a voi: siate testimoni della vostra fede nel mondo digitale! Impiegate queste nuove tecnologie per far conoscere il Vangelo cosicché la Buona Novella dell'amore infinito di Dio per tutti risuoni in nuovi modi nel nostro mondo sempre più tecnologico!




PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

LA CHIESA E INTERNET 

CLICCATE QUI PER IL TESTO


La proliferazione di siti web che si definiscono cattolici crea un problema di tipo diverso. Come abbiamo detto, i gruppi legati alla Chiesa dovrebbero essere presenti in modo creativo su Internet. Parimenti, hanno diritto di esservi presenti anche individui e gruppi non ufficiali, ben motivati e ben informati, che agiscono di propria iniziativa. Tuttavia è motivo di confusione, come minimo, non distinguere dalle posizioni autentiche della Chiesa interpretazioni dottrinali eccentriche, pratiche devozionali stravaganti e proclami ideologici che recano l'etichetta « cattolico ».


[SM=g1740739] [SM=g1740739]
[Modificato da Caterina63 21/05/2009 14:11]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La prossima domenica, la Chiesa celebrerà la Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali. Nel mio messaggio di quest'anno, invito tutti coloro che utilizzano le nuove tecnologie di comunicazione, in particolare i giovani, ad avvalersene in modo positivo e a comprendere il grande potenziale di questi strumenti per creare vincoli di amicizia e solidarietà che possano contribuire a un mondo migliore. Le nuove tecnologie hanno modificato in maniera fondamentale le modalità di diffusione delle notizie e delle informazioni e di comunicazione e relazione fra le persone. Desidero incoraggiare quanti accedono al ciberspazio a essere attenti a mantenere e promuovere una cultura di autentici rispetto, dialogo e amicizia in cui i valori di verità, armonia e comprensione possano fiorire. Giovani! Mi rivolgo in particolare a voi: siate testimoni della vostra fede nel mondo digitale! Impiegate queste nuove tecnologie per far conoscere il Vangelo cosicché la Buona Novella dell'amore infinito di Dio per tutti risuoni in nuovi modi nel nostro mondo sempre più tecnologico!

(Benedetto XVI 20.5.2009)



XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2009

[Croato, Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]



MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA XLIII GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI


"Nuove tecnologie, nuove relazioni.
Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia."


 
24 maggio 2009


 
 
Cari fratelli e sorelle,

in prossimità ormai della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, mi è caro rivolgermi a voi per esporvi alcune mie riflessioni sul tema scelto per quest’anno: Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia. In effetti, le nuove tecnologie digitali stanno determinando cambiamenti fondamentali nei modelli di comunicazione e nei rapporti umani.
 
Questi cambiamenti sono particolarmente evidenti tra i giovani che sono cresciuti in stretto contatto con queste nuove tecniche di comunicazione e si sentono quindi a loro agio in un mondo digitale che spesso sembra invece estraneo a quanti di noi, adulti, hanno dovuto imparare a capire ed apprezzare le opportunità che esso offre per la comunicazione. Nel messaggio di quest’anno, il mio pensiero va quindi in modo particolare a chi fa parte della cosiddetta generazione digitale: con loro vorrei condividere alcune idee sullo straordinario potenziale delle nuove tecnologie, se usate per favorire la comprensione e la solidarietà umana.

Tali tecnologie sono un vero dono per l’umanità: dobbiamo perciò far sì che i vantaggi che esse offrono siano messi al servizio di tutti gli esseri umani e di tutte le comunità, soprattutto di chi è bisognoso e vulnerabile.

L’accessibilità di cellulari e computer, unita alla portata globale e alla capillarità di internet, ha creato una molteplicità di vie attraverso le quali è possibile inviare, in modo istantaneo, parole ed immagini ai più lontani ed isolati angoli del mondo: è, questa, chiaramente una possibilità impensabile per le precedenti generazioni.

I giovani, in particolare, hanno colto l’enorme potenziale dei nuovi media nel favorire la connessione, la comunicazione e la comprensione tra individui e comunità e li utilizzano per comunicare con i propri amici, per incontrarne di nuovi, per creare comunità e reti, per cercare informazioni e notizie, per condividere le proprie idee e opinioni. Molti benefici derivano da questa nuova cultura della comunicazione: le famiglie possono restare in contatto anche se divise da enormi distanze, gli studenti e i ricercatori hanno un accesso più facile e immediato ai documenti, alle fonti e alle scoperte scientifiche e possono, pertanto, lavorare in équipe da luoghi diversi; inoltre la natura interattiva dei nuovi media facilita forme più dinamiche di apprendimento e di comunicazione, che contribuiscono al progresso sociale.


Sebbene sia motivo di meraviglia la velocità con cui le nuove tecnologie si sono evolute in termini di affidabilità e di efficienza, la loro popolarità tra gli utenti non dovrebbe sorprenderci, poiché esse rispondono al desiderio fondamentale delle persone di entrare in rapporto le une con le altre.


Questo desiderio di comunicazione e amicizia è radicato nella nostra stessa natura di esseri umani e non può essere adeguatamente compreso solo come risposta alle innovazioni tecnologiche. Alla luce del messaggio biblico, esso va letto piuttosto come riflesso della nostra partecipazione al comunicativo ed unificante amore di Dio, che vuol fare dell’intera umanità un’unica famiglia. Quando sentiamo il bisogno di avvicinarci ad altre persone, quando vogliamo conoscerle meglio e farci conoscere, stiamo rispondendo alla chiamata di Dio – una chiamata che è impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza di Dio, il Dio della comunicazione e della comunione.


Il desiderio di connessione e l’istinto di comunicazione, che sono così scontati nella cultura contemporanea, non sono in verità che manifestazioni moderne della fondamentale e costante propensione degli esseri umani ad andare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri. In realtà, quando ci apriamo agli altri, noi portiamo a compimento i nostri bisogni più profondi e diventiamo più pienamente umani.

Amare è, infatti, ciò per cui siamo stati progettati dal Creatore. Naturalmente, non parlo di passeggere, superficiali relazioni; parlo del vero amore, che costituisce il centro dell’insegnamento morale di Gesù: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza" e "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (cfr Mc 12,30-31). In questa luce, riflettendo sul significato delle nuove tecnologie, è importante considerare non solo la loro indubbia capacità di favorire il contatto tra le persone, ma anche la qualità dei contenuti che esse sono chiamate a mettere in circolazione.

Desidero incoraggiare tutte le persone di buona volontà, attive nel mondo emergente della comunicazione digitale, perché si impegnino nel promuovere una cultura del rispetto, del dialogo, dell’amicizia.


Pertanto, coloro che operano nel settore della produzione e della diffusione di contenuti dei nuovi media non possono non sentirsi impegnati al rispetto della dignità e del valore della persona umana. Se le nuove tecnologie devono servire al bene dei singoli e della società, quanti ne usano devono evitare la condivisione di parole e immagini degradanti per l’essere umano, ed escludere quindi ciò che alimenta l’odio e l’intolleranza, svilisce la bellezza e l’intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi.


Le nuove tecnologie hanno anche aperto la strada al dialogo tra persone di differenti paesi, culture e religioni. La nuova arena digitale, il cosiddetto cyberspace, permette di incontrarsi e di conoscere i valori e le tradizioni degli altri. Simili incontri, tuttavia, per essere fecondi, richiedono forme oneste e corrette di espressione insieme ad un ascolto attento e rispettoso. Il dialogo deve essere radicato in una ricerca sincera e reciproca della verità, per realizzare la promozione dello sviluppo nella comprensione e nella tolleranza.

La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze: è piuttosto ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Occorre non lasciarsi ingannare da quanti cercano semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità.


Il concetto di amicizia ha goduto di un rinnovato rilancio nel vocabolario delle reti sociali digitali emerse negli ultimi anni. Tale concetto è una delle più nobili conquiste della cultura umana. Nelle nostre amicizie e attraverso di esse cresciamo e ci sviluppiamo come esseri umani. Proprio per questo la vera amicizia è stata da sempre ritenuta una delle ricchezze più grandi di cui l’essere umano possa disporre. Per questo motivo occorre essere attenti a non banalizzare il concetto e l’esperienza dell’amicizia.

Sarebbe triste se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line le amicizie si realizzasse a spese della disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero. Quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza è che la persona si isola, interrompendo la reale interazione sociale. Ciò finisce per disturbare anche i modelli di riposo, di silenzio e di riflessione necessari per un sano sviluppo umano.


L’amicizia è un grande bene umano, ma sarebbe svuotato del suo valore, se fosse considerato fine a se stesso. Gli amici devono sostenersi e incoraggiarsi l’un l’altro nello sviluppare i loro doni e talenti e nel metterli al servizio della comunità umana. In questo contesto, è gratificante vedere l’emergere di nuove reti digitali che cercano di promuovere la solidarietà umana, la pace e la giustizia, i diritti umani e il rispetto per la vita e il bene della creazione.

Queste reti possono facilitare forme di cooperazione tra popoli di diversi contesti geografici e culturali, consentendo loro di approfondire la comune umanità e il senso di corresponsabilità per il bene di tutti.

Ci si deve tuttavia preoccupare di far sì che il mondo digitale, in cui tali reti possono essere stabilite, sia un mondo veramente accessibile a tutti. Sarebbe un grave danno per il futuro dell’umanità, se i nuovi strumenti della comunicazione, che permettono di condividere sapere e informazioni in maniera più rapida e efficace, non fossero resi accessibili a coloro che sono già economicamente e socialmente emarginati o se contribuissero solo a incrementare il divario che separa i poveri dalle nuove reti che si stanno sviluppando al servizio dell’informazione e della socializzazione umana.


Vorrei concludere questo messaggio rivolgendomi, in particolare, ai giovani cattolici, per esortarli a portare nel mondo digitale la testimonianza della loro fede.

Carissimi, sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! Nei primi tempi della Chiesa, gli Apostoli e i loro discepoli hanno portato la Buona Novella di Gesù nel mondo greco romano: come allora l’evangelizzazione, per essere fruttuosa, richiese l’attenta comprensione della cultura e dei costumi di quei popoli pagani nell’intento di toccarne le menti e i cuori, così ora l’annuncio di Cristo nel mondo delle nuove tecnologie suppone una loro approfondita conoscenza per un conseguente adeguato utilizzo.

A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo "continente digitale". Sappiate farvi carico con entusiasmo dell’annuncio del Vangelo ai vostri coetanei! Voi conoscete le loro paure e le loro speranze, i loro entusiasmi e le loro delusioni: il dono più prezioso che ad essi potete fare è di condividere con loro la "buona novella" di un Dio che s’è fatto uomo, ha patito, è morto ed è risorto per salvare l’umanità.

Il cuore umano anela ad un mondo in cui regni l’amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità e dove l’identità di ciascuno sia realizzata in una comunione rispettosa. A queste attese la fede può dare risposta: siatene gli araldi!

Il Papa vi è accanto con la sua preghiera e con la sua benedizione.


Dal Vaticano, 24 gennaio 2009, Festa di San Francesco di Sales.



 

BENEDICTUS PP. XVI

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Numerosi interventi di episcopati per la Giornata delle comunicazioni

Il mondo digitale
non è un luogo senza regole


Roma, 20. Internet e tutte le nuove tecnologie sono strumenti affascinanti e potenti, in grado di offrire il meglio come il peggio, di costruire come di distruggere.

Per questo, i loro principali fruitori, i giovani, vanno seguiti e tutelati, non solo dalle famiglie e dagli educatori ma anche da coloro che operano  nel  settore delle comunicazioni.

L'obiettivo è, attraverso l'utilizzazione  di  tali  strumenti e le relazioni che essi stabiliscono, promuovere una  cultura animata da valori cristiani che non dimentica il rapporto autentico, reale, con l'altro, non sostituibile  con  qualsivoglia immagine digitale.

In vista della 43ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebrerà domenica 24 maggio, le Conferenze episcopali di vari Paesi invitano a riflettere sul tema dell'evento - "Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia" - approfondendo il messaggio scritto per l'occasione da  Benedetto XVI. Un messaggio rivolto alla "generazione digitale", ai giovani, soprattutto ai giovani cattolici,  esortati  "a  portare  nel  mondo digitale  la  testimonianza  della loro fede".

Il modello che esalta le nuove tecnologie - afferma la Commissione dei mezzi di comunicazione sociale in seno alla Conferenza episcopale spagnola - ha "i suoi innegabili valori positivi per le relazioni umane e lo sviluppo personale, sociale e culturale", ma "un uso inadeguato di queste stesse tecnologie, che tanto hanno trasformato la vita della società attuale e con le quali convivono con naturalezza i giovani, contengono pericoli e possono provocare danni".

Riferendosi a un passaggio del discorso del Papa, i vescovi spagnoli sottolineano che "non possiamo rinunciare alla relazione autentica prodotta dalla vera amicizia e dall'incontro con gli altri" per un "sostituto virtuale". Il ciberspazio non può essere "un terreno franco, esente dalla debita responsabilità etica e morale né dall'attenzione e dalla vigilanza dei genitori e degli educatori, così come dall'azione protettrice delle autorità, obbligate dalla nostra Costituzione a difendere i minori dai contenuti perniciosi e inadeguati".

E in un'epoca di secolarizzazione, l'invito, per la Chiesa e per i mezzi di comunicazione cristiani, è di sfruttare le enormi potenzialità della tecnica per la missione evangelizzatrice:  "Più presenza di Dio sui media" auspicano i vescovi, che ricordano  la grande opportunità, per la Chiesa di Spagna, rappresentata dall'eco mediatica della Giornata mondiale della gioventù, nel 2011 a Madrid.

"Informare o dar fuoco all'attualità, giornalisti o piromani?" si chiede il vescovo di Gap ed Embrun, Jean-Michel di Falco Leandri, presidente del Consiglio per la comunicazione della Conferenza episcopale francese. L'informazione mostra, soprattutto su internet, "il suo potere di attrattiva, di deformazione, di disinformazione, ma anche di rettificare la verità". E come per qualsiasi giornale - spiega di Falco Leandri - il padrone non è il direttore né l'editore, non è il caporedattore né il cronista, ma il lettore.

"Abbiamo veramente coscienza che è ciascuno di noi, lettore, ascoltatore, telespettatore, internauta, che ha l'ultima parola?" domanda il presule. "Il desiderio di connessione e l'istinto di comunicazione, che sono così scontati nella cultura contemporanea, non sono in verità - si legge nel messaggio di Benedetto XVI - che manifestazioni moderne della fondamentale e costante propensione degli esseri umani ad andare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri". Ma - spiega monsignor di Falco Leandri - "non si esce da se stessi per entrare in relazione con gli altri senza la fiducia, e non c'è fiducia se si mente". Per questo il vescovo invita "a cercare la verità e non i pettegolezzi, a esercitare il proprio spirito critico, ad approfondire per formare meglio il proprio giudizio e non a seguire semplicemente la moda".

In occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, la Conferenza dei vescovi svizzeri ha organizzato una raccolta di fondi nelle parrocchie per sostenere l'attività mediatica ecclesiale. "La Chiesa comunica, vuole farsi capire e deve farsi capire - dice il vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, Bernard Genoud, responsabile dei media per la Svizzera romanda - e per questo ha bisogno di persone competenti e di strumenti efficaci per presentare in modo oggettivo i suoi punti di vista". Anche la Chiesa in Portogallo celebrerà l'evento:  domani, giovedì, all'Università cattolica di Lisbona verranno presentati il nuovo portale informativo dell'agenzia Ecclesia e il nuovo sito internet della Conferenza episcopale.



(©L'Osservatore Romano - 21 maggio 2009)

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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13/11/2009 14:22
 
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Sottolineando che un passo del testo che segue è stato postato qui:
ECU...MANIA: in che senso san Paolo potrebbe essere stato ecumenico?

poichè riguarda anche il mondo ecumenico.... qui proseguo con un altra parte del testo assai interessante....[SM=g1740733]


La Chiesa diffonda su Internet la Buona Novella di Cristo


Serve un'evangelizzazione "a croce": orizzontale per estensione, verticale per profondità




di Roberta Sciamplicotti



ROMA, giovedì, 12 novembre 2009 (ZENIT.org).- In un mondo in cui Internet è ormai uno dei principali veicoli di informazione, la Chiesa non può esimersi dall'esservi presente, perché ha una buona notizia da diffondere, quella di Gesù Cristo.

Su questa base si svolge in Vaticano, da questo giovedì al 15 novembre, l'incontro della Commissione Episcopale Europea per i Media (CEEM), la cui Plenaria è dedicata al tema "La cultura di Internet e la comunicazione della Chiesa".

Nel suo saluto all'assemblea all'apertura dell'evento, il Cardinale Josip Bozanić ha affermato che visto che Internet "non è solo un recipiente che raccoglie diverse culture", ma "produce cultura", "appare evidente chiedersi quale rapporto intrattiene questa 'nuova' cultura con quelle dette 'tradizionali'".

"Quali implicazioni ha la presenza di Internet, oggi, per la missione della Chiesa? Quali ripercussioni ha nell'opera di evangelizzazione delle culture e di inculturazione della fede? Come Internet è entrato nella pastorale ordinaria delle nostre diocesi e delle nostre parrocchie?", si è chiesto.

Il Cardinale ha ricordato che finora Internet è stato considerato "per lo più come uno strumento", ma oggi bisogna prendere atto che è "innanzitutto un mondo".

"Il crescente peso che sta assumendo nella vita delle persone in generale, e non solo dei nostri fedeli, ci impone quindi di annunciare il Vangelo anche in questo altro mondo", ha osservato.

La Chiesa, ha ricordato il porporato, nella sua storia millenaria "ha sempre saputo cogliere la bontà degli strumenti di comunicazione sociale per l'edificazione del genere umano", essendone in non pochi casi anche "una grande promotrice".

Nel contesto attuale, ha di fronte a sé una nuova sfida, "quella innanzitutto di essere presente sulla rete con il suo messaggio di amore".

La presenza ecclesiale in Internet è quasi una necessità per non rimanere "a margine dello sviluppo tecnologico", ma soprattutto perché la Chiesa "ha una Buona Novella da comunicare" e perché "è in Internet che è possibile capire e si sta costruendo il modello antropologico dell'uomo di domani".

Dal canto suo Jean-Michel di Falco Léandri, Vescovo di Gap e di Embrun e Presidente della CEEM, ha dichiarato che non si può fare "lo struzzo" ignorando la realtà: "Internet si trasforma, trasforma la nostra società e non può non trasformare la Chiesa, non può non trasformare il nostro modo di essere e di agire come Chiesa, con il rischio di non essere più testimoni di Cristo nel mondo di oggi".

(nota mia:  Che?!? mi auguro solo che non si interpreti queste parole come una sorta di un dio internettiano capace di SALVARE la Chiesa dalla sua crisi attuale..il virtuale RESTA VIRTUALE, semmai esso è utile per l'informazione, per i testi magisteriali, per gli aggiornamenti, per uno scambio di vedute...ma la Chiesa non può certo dipendere da internet eh!..o peggio che internet davvero trasformi la Chiesa in una sorta di realtà divisa per forum, siti, blog e quant'altro.... Ghigno )

La cultura digitale, ha ricordato, "si dota di una propria grammatica, di una lingua in costante e veloce evoluzione".

( nota mia: Che?!? di una propria SGRAMMATICA semmai, e di una evoluzione linguistica attraverso la quale si pretende di modificare il magistero stesso....attenzione eh! Occhi al cielo )

"La nostra generazione soffre di un'eccessiva tendenza a considerare come superficiale tutto ciò che è breve, istantaneo, basato sull'emozione", ma la Chiesa nella sua storia "non ha considerato come vettori di verità soltanto i lunghi trattati di teologia", sapendo "esprimere la sua fede in modo conciso e convincente".

Per questo, deve essere presente anche in Internet, con un sito che dovrebbe "poter mettere in contatto con Gesù Cristo e con una Chiesa viva, una comunità in cui si vivono l'unità e la carità".

Bisogna dunque rivolgere un appello ai sacerdoti a "circondarsi di laici competenti per l'implementazione dei loro siti parrocchiali o di movimenti, una chiamata a collaborare, una chiamata ad accompagnare i laici che si stanno lanciando, o che si sono già lanciati, nell'evangelizzazione via Internet".

"Dobbiamo promuovere una presenza cristiana sul web fatta dunque di operatori, sacerdoti inclusi, che certo conoscano bene le tecniche di comunicazione, ma che sappiano offrire anche degli spazi per la ricerca, l'incontro, il dialogo, la preghiera".

Visto che Internet "fa sempre più parte integrante della vita quotidiana", del resto, "non esservi presenti equivale a tagliare fuori una buona parte della vita delle persone".

Un sito Internet cristiano, ha aggiunto, "deve evitare il politichese, evitare di essere esso stesso un ideologo che cerca di imporre la propria verità", rappresentando un sito "aperto al dialogo e al dibattito", "pur mostrando che non transigerà su certi principi che sono accettati da tutti e dovunque".

Come ogni strumento che moltiplica le capacità umane, ha proseguito, Internet "è portatore tanto di minacce quanto di potenzialità".

"Tutto dipende dall'uso che se ne fa. La moralizzazione di Internet non si farà senza la moralizzazione degli uomini, e in primo luogo di noi stessi".

"Così come la croce ha il suo asse verticale e il suo asse orizzontale, così deve essere la nostra evangelizzazione nella rete: orizzontale per la sua estensione, verticale per la sua profondità e la sua qualità", ha concluso.

 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Monsignor Celli anticipa temi e prospettive del prossimo congresso promosso dal dicastero

La stampa cattolica a scuola di comunicazione digitale


di Giampaolo Mattei

Il mandato di Benedetto XVI è chiaro:  trasformare il multiforme pianeta digitale in un'accogliente piazza virtuale dove gli uomini possano conoscersi per dialogare, sfruttandone a pieno le potenzialità. E per rispondere al compito ricevuto dal Papa l'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, ha convocato un congresso sul ruolo della stampa cattolica nell'era digitale che si svolgerà dal 4 al 7 ottobre in Vaticano.
Presentando l'incontro al nostro giornale, monsignor Celli libera il campo da ogni possibile equivoco e anticipa che dal congresso vaticano "non ci si devono aspettare chissà quali pronunciamenti, annunci di nuove strategie o chiamate alle armi". Si tratta di "un punto privilegiato di osservazione per analizzare le questioni cruciali della comunicazione cattolica a livello mondiale, in un contesto di dialogo e di apertura verso tutti". Un "mattone in più" per la realizzazione del "cortile dei gentili", per usare un'espressione del Pontefice.

Chi parteciperà al congresso?

Abbiamo chiesto a tutte le conferenze episcopali di inviare tre rappresentanti:  due coinvolti direttamente nella stampa e uno nel campo di internet. Insomma non abbiamo scelto noi i partecipanti, sono le conferenze episcopali a delegare le persone che ritengono più adeguate. Ovviamente si tratta quasi esclusivamente di laici. Non mancano, però, vescovi e sacerdoti.

Come procedono le adesioni?

A oggi registriamo l'iscrizione di 58 Paesi per un totale di almeno 180 persone. Prevediamo che entro ottobre il numero crescerà, e non di poco. È un dato incoraggiante perché le conferenze episcopali hanno percepito l'importanza di ritrovarsi insieme alla ricerca di un confronto che verterà soprattutto su due tematiche:  dove sta andando la stampa cattolica e su quali basi si può intavolare un dialogo con il mondo.

Sarà un incontro a numero chiuso ma non a porte chiuse, dunque.

Sì, ai lavori parteciperanno solamente i rappresentanti delle conferenze episcopali. In questi giorni stiamo ricevendo molte altre domande di iscrizione ma, con rammarico, non possiamo accoglierle.

Cosa ci si deve aspettare dal congresso?

In linea generale, l'iniziativa si inquadra nella missione di favorire nel mondo cattolico una maggiore conoscenza degli strumenti della comunicazione digitale, favorendo una visione di insieme dei problemi e delle prospettive che si aprono in questo variegato universo. In particolare, ci sarà un'attenzione specifica alla carta stampata, con una significativa apertura alle novità digitali. Del resto oggi molti giornali, anche cattolici, vengono prevalentemente consultati su internet, attraverso aggiornatissimi siti, piuttosto che letti sulla carta. Una realtà che non ci coglie impreparati. La Chiesa, nel suo approccio comunicativo ab intra e ad extra, conta già qualificate presenze su internet.

Come si articoleranno i lavori?

Partiremo subito con due tavole rotonde. Alla prima interverranno alcuni direttori di grandi giornali laici di tutto il mondo per un confronto sulle problematiche e il futuro della stampa. Il programma è ancora in via di definizione ma posso assicurare che i nomi saranno di prim'ordine. La seconda tavola rotonda farà il punto, nel dettaglio, sullo stato di salute della stampa cattolica dando voce ai direttori delle maggiori pubblicazioni cattoliche internazionali.

Una delle questioni più scottanti è quella dello spazio che sulla stampa cattolica possono trovare le cosiddette voci del dissenso.

È vero, stiamo rilevando come la questione stia già suscitando un particolare interesse. Nel congresso ci si chiederà essenzialmente se ci sono argomenti da evitare e se si deve dare voce al dissenso. Sono temi che abbracciano anche il rapporto tra comunione ecclesiale e nodi controversi, tra libertà di espressione e verità nella Chiesa. È importante vedere questi problemi sotto diverse angolazioni, esaminandoli dalle prospettive di vescovi, teologi, giornalisti, sociologi e blogger.

Sarà perciò un congresso aperto al dibattito libero.

È solo con un dialogo aperto, rispettoso, che potremo tracciare una panoramica completa e moderna della presenza cattolica nei media. Per questa ragione il programma del congresso dà ampio spazio ai gruppi di lavoro e al dibattito. Ne ho fatto esperienza, di recente, anche a New Orleans, in occasione della convention della Catholic press association. È stato stimolante il dialogo diretto, inedito, tra i giornalisti e i rappresentanti delle conferenze episcopali degli Stati Uniti d'America e del Canada.

L'ultima parte dei lavori sarà dedicata a internet.

Ci sono prospettive enormi, con nuove opportunità pastorali e le possibilità di collaborazioni. È naturale per la Chiesa interrogarsi su come affrontare le sfide del futuro con una visione globale. È chiaro che la comunicazione corre a velocità diverse:  un conto è l'Europa e un altro conto è l'Africa. Lo scambio di esperienze resta un punto fondamentale per una crescita nella comunione e anche nell'efficienza della comunicazione stessa.

Come è nata l'idea di un congresso specifico sulla stampa cattolica?

È il completamento di un lavoro di analisi e approfondimento avviato da tempo dal Pontificio Consiglio. Nel 2006 a Madrid si era fatto il punto sulla realtà delle televisioni cattoliche. Nel 2007 abbiamo valorizzato la missione delle facoltà di comunicazione sociale delle università cattoliche per studiare come il mondo accademico prepara i futuri operatori nel campo dei media, puntando sui riferimenti antropologici ed etici. Quindi siamo passati a esaminare le radio cattoliche. È in questa linea che si pone il nuovo congresso.

Quali sono le regole per la stampa cattolica su internet?

C'è una sola regola ma fondamentale:  sempre aperti al dialogo con rispetto. Ci siamo accorti, e ne siamo pienamente consapevoli, che le nuove tecnologie hanno dato origine a una vera e propria cultura digitale. In linea con il concilio Vaticano ii si tratta di costruire un dialogo, non facile ma irrinunciabile. Il Papa ci ha chiesto di esercitare una diaconia della cultura, una vera e propria pastorale nel mondo dell'espressione digitale. Lo ha espresso chiaramente nell'ultimo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Dunque la nostra attenzione si è spostata, a poco a poco, dai singoli mezzi di comunicazione alla prospettiva culturale che le nuove tecnologie, la cosiddetta multimedialità, hanno creato.

Come pensate di realizzare il mandato del Papa per un confronto aperto sul terreno moderno dei nuovi sistemi di comunicazione?

Benedetto XVI ha parlato di un "cortile dei gentili". Da parte nostra non lasceremo nulla di intentato per individuare sempre nuovi punti di incontro sulle grandi autostrade della comunicazione, del web, facendo in modo che gli uomini possano avere un dialogo aperto. Proprio questo genere di congressi sono occasioni di continuo aggiornamento e fonte di nuove idee. A questo proposito, importantissimo è stato il recente seminario con i vescovi responsabili per i mass media di oltre cinquanta conferenze episcopali. Cerchiamo di non perdere mai di vista le novità che i sempre più diffusi e influenti nuovi media stanno esercitando in tutto il mondo.


(©L'Osservatore Romano - 29 agosto 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/09/2010 00:08
 
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Il tema della Giornata delle comunicazioni sociali 2011

Annunciare la verità
richiede autenticità di vita


"Verità, annuncio e autenticità di vita nell'era digitale" è il tema scelto dal Papa per la quarantacinquesima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebrerà nel 2011. Reso noto oggi, 29 settembre, festa degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, il tema precede il messaggio per la Giornata, che sarà pubblicato, come ogni anno, il prossimo 24 gennaio, ricorrenza di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.

La scelta di quest'anno è caratterizzata dall'intenzione di porre al centro di tutti i processi della comunicazione la persona umana. Anche in un tempo così largamente dominato - e spesso condizionato - dalle nuove tecnologie, resta fondamentale il valore della testimonianza personale:  accostarsi alla verità e assumersi l'impegno dell'annuncio richiede, per chi opera nel mondo dell'informazione e particolarmente per i giornalisti cattolici, la garanzia di un'autenticità di vita che non può venir meno neppure nell'era digitale.

Non sono gli strumenti a poter modificare e accrescere il livello di credibilità dei singoli operatori, né possono mutare i valori di riferimento rispetto a una comunicazione che continua a varcare le soglie di sempre nuovi traguardi tecnologici. La verità resta l'immutabile faro d'approdo anche per i nuovi media. E, anzi, l'era digitale, allargando i confini dell'informazione e della conoscenza, può rendere idealmente più vicino ciò che rappresenta il più importante degli obiettivi per chiunque operi nel mondo dei media.


(©L'Osservatore Romano - 30 settembre 2010)





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Anno Sacerdotale. Annunciare il Vangelo nel web: la testimonianza di un padre domenicano



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“Un sacerdote risponde”: s’intitola così la rubrica ospitata dal sito Internet www.amicidomenicani.it . A curarla è padre Angelo Bellon, sacerdote appartenente all’Ordine dei Domenicani e docente di Teologia, il quale risponde tramite web alle tante domande che i fedeli pongono sui principali temi teologici. Residente in Piemonte, padre Angelo ha sentito la chiamata alla vita consacrata sin da bambino. Al microfono di Isabella Piro, per la nostra rubrica dedicata all’Anno Sacerdotale, ascoltiamolo raccontare com’è nata la sua vocazione:

R. – Potrei dire che è nata prima di me, nel senso che non ho mai avuto – anche da piccolo – altra idea che quella di diventare sacerdote. Ricordo precisamente che la sera antecedente la Prima Comunione, il parroco mi suggerì di domandare al Signore la grazia di diventare un sacerdote. Probabilmente il parroco era consapevole di quello che ha scritto Santa Teresina del Bambino Gesù, nella “Storia di un’Anima”, e cioè “che il Signore non nega nulla di quello che Gli domanda un bambino nel giorno della Prima Comunione”.


D. – Perché ha scelto poi l’Ordine dei Domenicani, dei predicatori per eccellenza, potremmo dire?


R. – Questa scelta non è nata da me. Avevo incontrato un padre domenicano, avevo parlato con lui e questo padre si era convinto che io dovessi diventare domenicano. E devo dire che l’Ordine domenicano era fatto proprio per me: mi ritrovo in pieno nella dottrina di San Tommaso, nel fatto che nell’Ordine domenicano si vive all’interno della comunità la vita contemplativa, la vita di comunione con Dio, in cui ci si prepara per lo studio e per la predicazione, per comunicare poi con il nostro prossimo “ex abundantia cordis”.


D. – Lei oggi è un uomo felice? Se tornasse indietro rifarebbe la stessa scelta della vita consacrata?


R. – Felice, lo sono. Sul fare la scelta della vita consacrata, nessuno di noi diventa sacerdote di propria iniziativa. E dunque io sarei felicissimo che il Signore – se dovessi rinascere di nuovo – mi chiamasse al sacerdozio e all’Ordine domenicano. Mi pare di poter trovare il motivo nelle parole che Gesù ha usato con la Samaritana: “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete”. San Tommaso commenta: “Non avrà più sete di altre acque, perché si innamora ormai di questa”. Posso dire che la vita del sacerdozio ed anche la vita nell’Ordine domenicano, la scopro e la amo sempre di più. Se in tanti matrimoni si può dire che l’amore, con l’andare del tempo, si affievolisce, Gesù invece, che è roveto ardente, ci porta ad un amore, ad un fascino e ad un innamoramento sempre più grande.


D. – Padre Angelo, lei oggi cura la rubrica “Un sacerdote risponde” sul sito internet www.amicidomenicani.it Come è nata l’idea di dialogare con i fedeli tramite il web?


R. – È nata in maniera molto fortuita, perché un giovane del nostro gruppo era stato trasferito per motivi di lavoro in un’altra regione e per Natale aveva voluto farci una sorpresa: decise di creare un sito, quello di “amici domenicani” in cui i suoi amici potessero interloquire con lui. Ben presto, però, si è sentita l’esigenza anche del sacerdote per puntualizzare, su tanti problemi, quali fosse la dottrina della Chiesa. Si è inserita così questa rubrica “Un sacerdote risponde” alla quale io provvedo.


D. – Quali sono i dubbi, le perplessità, le domande che i fedeli le pongono con maggior frequenza?


R. – Un terzo riguarda problemi di teologia dogmatica, con particolare riferimento ai Sacramenti e specificatamente alla Confessione; un altro terzo riguarda i problemi della bioetica, della giustizia e con particolare riferimento ai problemi della vita affettiva e della vita matrimoniale. Il resto delle rimanenti domande riguarda argomenti vari, argomenti di pastorale.


D. – Nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il Papa invita i sacerdoti ad annunciare Cristo nel mondo digitale, dando però – possiamo dire – un’anima al web. Lei come mette in pratica questo invito?


R. – Lo metto in pratica cercando di partire dal convincimento che Cristo è l’Alfa e l’Omega di tutte le cose, di tutti i sentimenti, delle parole e quindi il criterio è quello di far vedere come tutto debba convergere in Gesù Cristo. Dando il punto di riferimento a Cristo, le nostre risposte diventano anche più chiare.



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04/12/2010 11:47
 
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ACCETTIAMO QUESTA SFIDA????

www.gloria.tv/?media=114762





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24/01/2011 19:36
 
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Ricordiamo ed INVITIAMO a leggere anche questo:

Card. Celli: in Internet, siti e blog cattolici troppo aggressivi


Il Vangelo non basta annunciarlo occorre anche testimoniarlo


di Chiara Santomiero

ROMA, lunedì, 24 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Un invito a guardare con fiducia alla rete di Internet e alla comunicazione nell’era digitale: è quello che proviene dal Santo Padre Benedetto XVI attraverso il messaggio per la 45ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (che verrà celebrata il prossimo 5 giugno) sul tema “Verità, annuncio e autenticità nell’era digitale”. Lo ha sottolineato mons. Claudio Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, nella conferenza stampa di presentazione del messaggio tenutasi lunedì a Roma presso la Sala stampa della Santa Sede.

“Il Papa – ha affermato Celli – evidenzia un atteggiamento di ‘stupore’ di fronte alle straordinarie potenzialità della rete Internet che, se usata con saggezza, può contribuire a soddisfare il desiderio di senso, verità e di unità che rimane l’aspirazione più profonda dell’essere umano”.

“Non si tratta di un atteggiamento naïve da parte del Pontefice” ha precisato Celli; sebbene Benedetto XVI “sia un uomo che ama scrivere a penna o con la matita i suoi testi e non usi Internet personalmente, ma attraverso l’aiuto dei collaboratori, è ben consapevole delle potenzialità così come dei rischi delle nuove tecnologie”.

Lo stesso messaggio prende le mosse da un fatto sempre più evidente: “è in atto una vera e vasta trasformazione culturale perché le nuove tecnologie non solo stanno cambiando il modo di comunicare ma la comunicazione stessa”. Tuttavia “tutto ciò che sta avvenendo – e che è frutto dell’ingegno umano – chiede di essere posto al servizio del bene della persona e dell’umanità”.

Il Papa invita quindi i cristiani “a unirsi con fiducia e consapevole e responsabile creatività nella rete di rapporti che l’era digitale ha reso possibile perché questa rete è parte integrante della vita umana”, sottolineando la necessità di “uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale che porti a una comunicazione onesta e aperta, responsabile e rispettosa dell’altro”.

Comunicare il Vangelo, infatti, ha ricordato il Presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali “non è solo inserire contenuti dichiaratamente religiosi nelle varie piattaforme ma anche testimoniare con coerenza, nel modo di comunicare, scelte, preferenze e giudizi che siamo profondamente coerenti con il Vangelo anche quando di esso non si parli esplicitamente”. Ne deriva lo stretto legame tra “annuncio di un messaggio e coerente testimonianza di vita da parte di chi annuncia”.

Uno stile cristiano di presenza nel web richiede “una forma rispettosa e discreta di comunicazione che richiami lo stile di Gesù risorto quando si fece compagno di cammino dei discepoli di Emmaus”. Ciò non significa, ha sottolineato Celli “un camuffamento della propria identità ma ‘un dialogo con la verità altrui’, secondo le parole dello stesso Pontefice in Portogallo”.

Parlando alle agenzie di stampa, Celli ha rimarcato come l'invito papale ad uno stile “rispettoso e discreto” nell'annuncio del Vangelo vale come richiamo anche “per quei siti e blog cattolici aggressivi, che scomunicano e non hanno uno stile cristiano di presenza” tanto che “bisogna vedere fino a che punto questi siti siano veramente cattolici”. A questo proposito è in preparazione da parte del dicastero “un documento programmatico con linee di azione e di presenza cristiana sul web che speriamo di poter pubblicare entro l'anno”.

E’ interessante, secondo il Presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, “la lettura teologica che il Papa fa della partecipazione massiccia ai vari sociale network intesa come desiderio umano di relazione e comunione per il quale Cristo è la risposta autentica”. “Benedetto XVI – ha aggiunto Celli – mette in collegamento nel messaggio tre aspetti importanti della vita odierna: la comunicazione digitale, l’immagine di sé e la coerenza di vita”.

Poiché “le dinamiche comunicative nel mondo digitale suscitano nuovi modi di costruire la propria identità” il Santo Padre “invita alla coerenza e all’autenticità per superare la parzialità dell’interazione, il rischio di cadere in una sorta di costruzione dell’immagine di sé che può indulgere all’autocompiacimento”.

“Nel messaggio – ha sintetizzato Celli – c’è una rinnovata valutazione del comunicare inteso come dialogo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive, importante perché semina speranze e segnala strade da seguire”.

“Più che mai – ha concluso il Presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali che ha annunciato presumibilmente per la prossima Pasqua la realizzazione del portale multimediale che riunirà tutta l’informazione vaticana (in italiano e in inglese, nella prima fase) – l’esigenza di far conoscere il Vangelo nella sua integrità deve manifestarsi come ‘ segno’ distintivo dell’era digitale”.



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28/02/2011 18:07
 
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AIUTARE A CAPIRE E PARLARE IL NUOVO LINGUAGGIO DEI MEDIA
 
CITTA' DEL VATICANO, 28 FEB. 2011 (VIS). Benedetto XVI ha ricevuto a mezzogiorno i partecipanti alla riunione del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, che in questi giorni riflettono sul tema del linguaggio e delle nuove tecnologie.
 
 Il Papa ha sottolineato che "il pensiero e la relazione avvengono sempre nella modalità del linguaggio, inteso naturalmente in senso lato, non solo verbale". In questo senso ha affermato che "i nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano, tra l'altro, una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l'immagine e i collegamenti ipertestuali".
 
 "I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell'interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell'emotività, il prevalere dell'opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un'incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni. Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente".
 
 Riferendosi alla "cultura digitale" e alle sfide che attendono la comunità ecclesiale e civile, il Santo Padre evidenzia che "non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l'uomo sta vivendo. Per questo ha aggiunto che per aiutare "a capire, interpretare e parlare il "nuovo linguaggio" dei media in funzione pastorale, in dialogo con il mondo contemporaneo, si deve domandare: quali sfide il cosiddetto "pensiero digitale" pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?".
 
 Sottolineando che "la cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza, il Papa ha detto che "oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all'uomo contemporaneo".
 
 "L'appello ai valori spirituali - ha concluso - che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione. (...). Il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare".

Benedetto XVI alla plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

Nuovi linguaggi digitali
per parlare di Dio all'uomo


I cristiani raccolgono la sfida dei nuovi linguaggi digitali per parlare di Dio all'uomo contemporaneo: lo ha detto il Papa ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, ricevuti stamane, lunedì 28 febbraio, nella Sala Clementina. A salutare il Pontefice è stato il presidente del dicastero, l'arcivescovo Claudio Maria Celli, che ha ricordato come i linguaggi legati alle nuove tecnologie incidano profondamente sul modo di vivere, di pensare e di agire, ed esigano perciò "una particolare attenzione" da parte della Chiesa.

Eminenze, EccellenzeCari Fratelli e Sorelle,

sono lieto di accogliervi in occasione della Plenaria del Dicastero. Saluto il Presidente, Mons. Claudio Maria Celli, che ringrazio per le cortesi parole, i Segretari, gli Officiali, i Consultori e tutto il Personale. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest'anno, ho invitato a riflettere sul fatto che le nuove tecnologie non solamente cambiano il modo di comunicare, ma stanno operando una vasta trasformazione culturale. Si va sviluppando un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e costruire comunione. Vorrei adesso soffermarmi sul fatto che il pensiero e la relazione avvengono sempre nella modalità del linguaggio, inteso naturalmente in senso lato, non solo verbale.

Il linguaggio non è un semplice rivestimento intercambiabile e provvisorio di concetti, ma il contesto vivente e pulsante nel quale i pensieri, le inquietudini e i progetti degli uomini nascono alla coscienza e vengono plasmati in gesti, simboli e parole. L'uomo, dunque, non solo "usa" ma, in certo senso, "abita" il linguaggio. In particolare oggi, quelle che il Concilio Vaticano II ha definito "meravigliose invenzioni tecniche" (Inter mirifica, 1) stanno trasformando l'ambiente culturale, e questo richiede un'attenzione specifica ai linguaggi che in esso si sviluppano. Le nuove tecnologie "hanno la capacità di pesare non solo sulle modalità, ma anche sui contenuti del pensiero" (Aetatis novae, 4).

I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano, tra l'altro, una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l'immagine e i collegamenti ipertestuali. La tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l'immediatezza dell'oralità. Le dinamiche proprie delle "reti partecipative", richiedono inoltre che la persona sia coinvolta in ciò che comunica.

Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo: diventano "testimoni" di ciò che dà senso alla loro esistenza. I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell'interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell'emotività, il prevalere dell'opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un'incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni. Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente. Il punto di partenza è la stessa Rivelazione, che ci testimonia come Dio abbia comunicato le sue meraviglie proprio nel linguaggio e nell'esperienza reale degli uomini, "secondo la cultura propria di ogni epoca" (Gaudium et spes, 58), fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio Incarnato.
La fede sempre penetra, arricchisce, esalta e vivifica la cultura, e questa, a sua volta, si fa veicolo della fede, a cui offre il linguaggio per pensarsi ed esprimersi. È necessario quindi farsi attenti ascoltatori dei linguaggi degli uomini del nostro tempo, per essere attenti all'opera di Dio nel mondo.

In questo contesto, è importante il lavoro che svolge il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali nell'approfondire la "cultura digitale", stimolando e sostenendo la riflessione per una maggiore consapevolezza circa le sfide che attendono la comunità ecclesiale e civile. Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l'uomo sta vivendo. È l'impegno di aiutare quanti hanno responsabilità nella Chiesa ad essere in grado di capire, interpretare e parlare il "nuovo linguaggio" dei media in funzione pastorale (cfr. Aetatis novae, 2), in dialogo con il mondo contemporaneo, domandandosi: quali sfide il cosiddetto "pensiero digitale" pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?

Il mondo della comunicazione interessa l'intero universo culturale, sociale e spirituale della persona umana. Se i nuovi linguaggi hanno un impatto sul modo di pensare e di vivere, ciò riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione. La teologia, secondo una classica definizione, è intelligenza della fede, e sappiamo bene come l'intelligenza, intesa come conoscenza riflessa e critica, non sia estranea ai cambiamenti culturali in atto. La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell'annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell'ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via.

Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all'uomo contemporaneo. È inoltre da considerare che la comunicazione ai tempi dei "nuovi media" comporta una relazione sempre più stretta e ordinaria tra l'uomo e le macchine, dai computer ai telefoni cellulari, per citare solo i più comuni.

Quali saranno gli effetti di questa relazione costante? Già il Papa Paolo VI, riferendosi ai primi progetti di automazione dell'analisi linguistica del testo biblico, indicava una pista di riflessione quando si chiedeva: "Non è cotesto sforzo di infondere in strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali, che è nobilitato ed innalzato ad un servizio, che tocca il sacro? È lo spirito che è fatto prigioniero della materia, o non è forse la materia, già domata e obbligata ad eseguire leggi dello spirito, che offre allo spirito stesso un sublime ossequio?" (Discorso al Centro di Automazione dell'Aloisianum di Gallarate, 19 giugno 1964). Si intuisce in queste parole il legame profondo con lo spirito a cui la tecnologia è chiamata per vocazione (cfr. Enc. Caritas in veritate, 69).

È proprio l'appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione. Per questo la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino. Il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare.

In conclusione mi piace ricordare, insieme a molte altre figure di comunicatori, quella di padre Matteo Ricci, protagonista dell'annuncio del Vangelo in Cina nell'era moderna, del quale abbiamo celebrato il IV centenario della morte. Nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo. Cari amici, vi ringrazio per il vostro servizio; lo affido alla protezione della Vergine Maria e, nell'assicurarvi la mia preghiera, vi imparto la Benedizione Apostolica.



(©L'Osservatore Romano - 28 febbraio - 1 marzo 2011)


                                     Pope Benedict XVI  (C) salutes the members of general assembly of the Pontifical Academy for Life in the Clementine hall at the Vatican on February 26, 2011.
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La plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

Per una diaconia
della cultura digitale


Entro Pasqua sarà attivo un nuovo "portale multimediatico" dove affluiranno le notizie pubblicate da "L'Osservatore Romano", dalla Radio Vaticana e dall'agenzia Fides: una sorta di portale Vatican news - inizialmente in italiano e inglese, poi anche francese, spagnolo e portoghese - che raccoglierà tutte le presenze mediatiche della Santa Sede, le quali manterranno comunque la propria autonomia e individualità.

L'annuncio è stato dato dall'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, durante la plenaria del dicastero, che si è aperta lunedì 28 febbraio, nella sede di Via della Conciliazione, per concludersi giovedì 3 marzo.

Nel presentare l'attività del dicastero nel 2010, il presule ha anche ricordato che è stato eseguito un aggiornamento del sito istituzionale. Le novità riguardano la possibilità di consultare alcuni articoli e la scelta di dare maggiore visibilità a problematiche o situazioni che riguardano la comunione ecclesiale nei vari Paesi. Si sta preparando anche un forum per un dibattito ad ampio raggio sulla teologia della comunicazione. Un'altra novità è l'arrivo di un sacerdote di lingua araba che collaborerà con il Pontificio Consiglio.

Ciò è molto importante nell'attuale contesto - ha sottolineato l'arcivescovo - perché permette di seguire da vicino i media di lingua araba per cercare di capire quanto sta accadendo in quell'area e di verificare in che misura si fa riferimento al Papa e alla Chiesa.

Il presidente ha poi messo in evidenza come nel corso dell'anno il dicastero abbia lavorato a un dialogo concreto e fraterno con le varie conferenze episcopali e con le Chiese locali su alcuni punti fondamentali, a cominciare dall'esistenza di una cultura digitale "sempre più pervasiva" originata dai nuovi media. Di fronte a questa tematica la Chiesa "deve stabilire un dialogo fruttuoso trovando delle piste di soluzione nella linea di una vera diaconia della cultura digitale". Una diaconia a tutto campo - ha spiegato - per "far sì che proprio nel contesto mediatico risuoni il messaggio evangelico".

Nell'anno trascorso è stato anche approfondito anche il dialogo con il mondo accademico, con particolare attenzione all'Africa: a questo proposito, è significativo il contributo dato dal dicastero alla creazione di un'agenzia cattolica continentale di notizie. È stato inoltre organizzato un corso di formazione per gli operatori nel campo della comunicazione delle diocesi di Cuba, che si svilupperà nell'arco di tre anni. Il segretario del dicastero, monsignor Paul Tighe, ha annunciato che è allo studio la revisione della Aetatis novae.
Questo lavoro porterà a elaborare un nuovo documento pastorale. Da parte sua, il sotto-segretario del Pontificio Consiglio, Angelo Scelzo, ha illustrato le novità per quanto riguarda le riprese audiovisive in Vaticano. Si sta procedendo a una revisione delle procedure di autorizzazione con particolare riferimento alla beatificazione di Giovanni Paolo II del 1° maggio. Vi sarà una sempre più stretta collaborazione tra dicastero e Sala Stampa della Santa Sede, ha detto Scelzo, che può preludere a una possibile unificazione degli accrediti.

Altri interventi della giornata di apertura sono stati quelli di don Franco Lever, il quale ha parlato di linguaggi della comunicazione nel mondo digitale. "Il messaggio cristiano - ha detto - non è un insieme di informazioni riducibile a sequenze di bit così da essere trasmissibile attraverso i nuovi media. Il messaggio cristiano è una proposta di vita: è vivere come famiglia di Dio alla maniera di Gesù". La prima opzione, ha proseguito, è "vivere la comunità, formare la comunità, esattamente come ha fatto Gesù". Per raggiungere questo scopo "nessun medium oggi disponibile deve restarci estraneo, ma lo useremo rispettando le priorità del progetto".

Claudia Di Giovanni ha poi parlato della Filmoteca Vaticana - definita come "una scatola della memoria" - e dello sforzo affinché le migliaia di metri di pellicola conservati continuino a ricordare la storia. "La pellicola - ha evidenziato - di là dalle innovazioni tecnologiche continua a esistere dopo oltre 116 anni e sembra essere ancora lo standard di conservazione più duraturo". Leticia Soberon ha quindi illustrato tre progetti per la Missione continentale promossi dalla Red Informática de la Iglesia en América Latina (Riial).

Come parte organica del Pontificio Consiglio, la Riial ha messo al centro delle sue priorità la formazione degli agenti di pastorale digitale o informatica, con il suo carisma originario: una autentica cultura digitale in chiave di comunione. Taddheus Milton Jones ha infine illustrato alcune statistiche riguardanti le trasmissioni dal Vaticano nel 2010: la messa del 1° gennaio è stata diffusa in 25 nazioni, la Via Crucis in 43, la messa di Pasqua in 45, il messaggio e la benedizione urbi et orbi in 56, la messa della notte di Natale in 49, il messaggio e la benedizione urbi et orbi del giorno di Natale in 52.



(©L'Osservatore Romano - 2 marzo 2011)





Magistrale intervento di Benedetto XVI "l'innovatore" sul tema "Linguaggio e comunicazione"

"Occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo ... il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo". E' un discorso di alto contenuto quello che Sua Santità Benedetto XVI ha tenuto, presso la Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, lunedì 28 febbraio ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, convocata a Roma fino al 3 marzo sul tema "Linguaggio e comunicazione". E la frase che abbiamo messo in evidenza è un buon prologo di tutto ciò.

Il Santo Padre dimostra di conoscere appieno il mondo della comunicazione e, un pò a sorpresa, rispetto a quello che è il comune pensare, Benedetto XVI si dimostra attento all'evoluzione informatica della nostra società, una "rivoluzione" però da coniugare col l'imprescindibile messaggio cristiano. Se le nuove tecnologie non solo cambiano il modo di comunicare, ma stanno operando una vasta trasformazione culturale e si va sviluppando un nuovo modo di apprendere e di pensare, il Papa sottolinea che ci sono "inedite opportunità di stabilire relazioni e costruire comunione", "sempre nella modalità del linguaggio, inteso naturalmente in senso lato, non solo verbale".

E qui inizia la vera e propria breve lezione di comunicazione del Santo Padre. Scrive, infatti, che "il linguaggio non è un semplice rivestimento intercambiabile e provvisorio di concetti, ma il contesto vivente e pulsante nel quale i pensieri, le inquietudini e i progetti degli uomini nascono alla coscienza e vengono plasmati in gesti, simboli e parole. L’uomo, dunque, non solo «usa» ma, in certo senso, «abita» il linguaggio... I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano, tra l’altro, una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali. La tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità. Le dinamiche proprie delle «reti partecipative», richiedono inoltre che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo: diventano «testimoni» di ciò che dà senso alla loro esistenza".
 
Naturalmente il Santo Padre sottolinea i rischi che si corrono: "la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità". Tuttavia, ed è qui un importante passaggio del Papa, questi rischi sono "la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni". "Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente". E il Papa aggiunge che il punto di partenza è la stessa Rivelazione "che ci testimonia come Dio abbia comunicato le sue meraviglie proprio nel linguaggio e nell’esperienza reale degli uomini, «secondo la cultura propria di ogni epoca» ... fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio Incarnato. La fede sempre penetra, arricchisce, esalta e vivifica la cultura, e questa, a sua volta, si fa veicolo della fede, a cui offre il linguaggio per pensarsi ed esprimersi. È necessario quindi farsi attenti ascoltatori dei linguaggi degli uomini del nostro tempo, per essere attenti all’opera di Dio nel mondo".

"Quali sfide il cosiddetto «pensiero digitale» pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?". Questo si chiede Benedetto XVI e la risposta è la seguente: "Il mondo della comunicazione interessa l’intero universo culturale, sociale e spirituale della persona umana. Se i nuovi linguaggi hanno un impatto sul modo di pensare e di vivere, ciò riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione. La teologia, secondo una classica definizione, è intelligenza della fede, e sappiamo bene come l’intelligenza, intesa come conoscenza riflessa e critica, non sia estranea ai cambiamenti culturali in atto. La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo. È inoltre da considerare che la comunicazione ai tempi dei «nuovi media» comporta una relazione sempre più stretta e ordinaria tra l’uomo e le macchine, dai computer ai telefoni cellulari, per citare solo i più comuni".

Ed arriviamo ad una domanda che aspetta una risposta profetica: "Quali saranno gli effetti di questa relazione costante?". La risposta del Papa è chiara: "è proprio l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione. ... il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare". Infine il Papa conclude ricordando la figura del gesuita evangelizzatore della Cina, padre Matteo Ricci, che "nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo".

E adesso tocca a noi cattolici digitali mettere in pratica gli insegnamenti del successore di Pietro, del "dolce Cristo in terra".

MATTEO ORLANDO





[Modificato da Caterina63 02/03/2011 09:45]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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07/03/2011 15:48
 
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Nasce iBreviary “Pro Terra Sancta”


ROMA, domenica, 6 marzo 2011 (ZENIT.org).- Grazie alla collaborazione avviata da ATS pro Terra Sancta e don Paolo Padrini, ideatore di Ibreviary- l'applicazione che permette di pregare su tutti i supporti mobili - avvicinarsi alla Terra Santa e al mondo cristiano mediorientale sarà ancora più facile.

Grazie a iBreviary “Pro Terra Sancta”, infatti, sarà possibile unirsi nella preghiera attraverso la recita del Breviario e delle letture che vengono utilizzate nei santuari della Terra Santa. Inoltre, sarà possibile conoscere le attività dei Francescani del Luoghi Santi oltre che, attraverso le proprie donazioni, sostenere le loro iniziative di carità.

Diverse le caratteristiche tecniche dell’applicazione: la possibilità di ingrandire i testi attraverso la funzione “pinch-to-zoom”; la possibilità di cambiare il contrasto dello sfondo per permettere una migliore lettura dei testi (in modalità “pergamena” o in modalità “carta bianca”); la disponibilità di nuove lingue, tra cui il rumeno (in preparazione anche l’inserimento dei testi in lingua tedesca).



Per scaricare iBreviary “Pro Terra Sancta”: http://itunes.apple.com/it/app/ibreviary-pro-terra-sancta/id422601705?mt=8



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A colloquio con l'arcivescovo Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

La cultura digitale
luogo d'incontro per l'evangelizzazione


di MARIO PONZI

È in dirittura d'arrivo il nuovo portale web della Santa Sede. Come già annunciato dall'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, durante la recente plenaria del dicastero, subito dopo Pasqua sarà in rete in italiano, in inglese e in francese. "Ci sarà da aspettare ancora un po' - spiega il presule - perché sia operativo anche nelle altre lingue, cinese compreso. Del resto, abbiamo voluto che il progetto si realizzasse in maniera progressiva, per aver modo di apportare immediatamente tutte le modifiche che dovessero rendersi evidentemente necessarie in corso d'opera". Ma la plenaria non si è occupata solo del nuovo portale. Ce ne parla l'arcivescovo in questa intervista al nostro giornale.

La plenaria segna sempre un momento importante nella vita di un dicastero. Qual è il problema di fondo sul quale si è concentrata la vostra attenzione?

La plenaria consente un confronto diretto con i collaboratori, membri e consultori, i quali, vivendo la loro esperienza in tanti Paesi diversi, possono fornire un quadro complessivo sullo stato della comunicazione nel mondo. Quella di quest'anno ha avuto un significato e uno sviluppo particolari, perché è stata inaugurata dall'incontro con il Papa. Le sue parole sono state illuminanti proprio per farci capire quale deve essere il punto fermo: capire che la Chiesa è chiamata a dialogare con gli uomini di oggi, sempre più impregnati da una cultura digitale. Si tratta, in sostanza, di allargare gli orizzonti della diaconia della cultura. È quello che chiede il Papa quando raccomanda di conoscere, di capire i nuovi linguaggi attraverso i quali l'uomo contemporaneo si esprime, comunica ciò che egli è, ciò che egli percepisce.

Dunque un nuovo modo di evangelizzare?

La Chiesa deve certamente imparare ad annunciare Cristo secondo il linguaggio più facilmente e più direttamente comprensibile dall'uomo al quale si rivolge. Oggi si tratta dell'uomo dell'era digitale, della cultura digitale. E il Papa ha orientato la nostra riflessione in questo senso, ricordandoci che "occorre avere il coraggio di ripensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l'uomo sta vivendo" e chiedendoci un rinnovato impegno nell'aiutare "quanti hanno responsabilità nella Chiesa a essere in grado di capire, interpretare e parlare il nuovo linguaggio dei media in funzione pastorale". In sostanza, ci ha chiesto di pensare quali sfide il cosiddetto pensiero digitale pone alla fede e alla teologia, e quali sono le domande e le richieste che ne derivano.

Siete riusciti a trovare delle risposte?

Più che altro abbiamo individuato le realtà sulle quali è necessario intervenire per trovare risposte adeguate.

Per esempio?

L'accento è stato posto innanzitutto sull'attenzione pastorale da dedicare agli operatori del mondo della comunicazione. Si tratta di un aspetto fondamentale. Strettamente collegata è poi la questione della formazione di futuri sacerdoti, catechisti e laici impegnati, capaci di esercitare la loro missione nel mondo digitale. Lo scorso anno il Papa, nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, pose proprio l'accento sulla necessità di provvedere a una pastorale appropriata per il mondo della cultura digitale. Il punto fondamentale è cogliere le dimensioni più profonde dei processi comunicativi che via via emergono. La persona umana, come soggetto comunicativo, si esprime infatti attraverso un'attrezzatura tecnica che veicola un nuovo linguaggio, un modo nuovo di capire il mondo. È questo che va approfondito nei centri formativi della Chiesa, che già adesso vede tanti episcopati in prima linea. Dopo l'incontro delle università cattoliche del mondo organizzato qui a Roma lo scorso anno, abbiamo avviato noi stessi una serie di riunioni continentali proprio per incentivare questa attività formativa. Siamo già stati in Spagna, Thailandia e Stati Uniti. Prossime mete l'America latina e l'Africa. Si può ben parlare, dunque, di una "rete" di formazione vasta e articolata, alla quale il Pontificio Consiglio cerca, in molti modi, di dare il proprio contributo. Puntare forte sulla formazione è il nostro primo obiettivo. Se ne è discusso molto in plenaria.

E quali sono state le indicazioni?

Intanto i partecipanti hanno tenuto a ribadire che formare non significa aggiungere una materia in più da studiare nel percorso di apprendimento. O almeno non è questo l'aspetto più importante da curare. Bisogna invece ribadire il ruolo della comunicazione nella Chiesa e di conseguenza ripensare anche la teologia nella prospettiva della comunicazione. Molti degli intervenuti hanno poi posto l'accento sulla trasversalità della comunicazione all'interno della Chiesa stessa e hanno chiesto al Pontificio Consiglio di approfondire il dialogo con tutti gli altri dicasteri vaticani affinché si crei un legame profondo sul tema della comunicazione. La base ci ha chiesto, in sostanza, di ripensare il ruolo che il nostro dicastero dovrebbe interpretare nell'ambito della missione della Chiesa. Una missione, lo ricordiamo, dalla quale derivano complessi ed esigenti compiti operativi, che ci pongono di fronte non solo all'esercizio delle nostre responsabilità, ma, direi, alla ricerca di una forma di coerenza complessiva nei confronti del messaggio o del flusso di informazioni da comunicare.

Come si potrebbe realizzare questa collaborazione?

Riflettendo innanzitutto sul fatto che a ognuno, nel proprio ambito, è richiesto di trasmettere il messaggio evangelico, di viverlo e di testimoniarlo in modo concreto. E poi considerando che la comunicazione non è un settore, bensì un elemento costitutivo e culturalmente rilevante nella vita della Chiesa. Essa infatti si rivolge non solo ad extra ma anche ad intra, nel senso che, già in linea di principio, si pone l'obiettivo di estendere il proprio servizio verso tutti gli altri dicasteri vaticani. L'impegno primario di tutti non è altro che l'evangelizzazione, quindi l'annuncio sempre nuovo della Parola di Dio. Lo sviluppo delle nuove tecnologie impone assetti e, in molti casi, atteggiamenti sempre nuovi, collaborazioni più estese, coordinamenti più puntuali, sinergie più allargate. In questo senso siamo tutti chiamati a essere comunicatori; tutti convergiamo verso un unico obiettivo.

E il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali può essere il punto di riferimento?

Non parlerei tanto di punto di riferimento quanto piuttosto di un ruolo di collaborazione nello sviluppo di metodologie più adatte al nuovo modo di comunicare nell'era digitale, ben sapendo che anche queste vanno finalizzate a obiettivi comuni. Non si comunica per sé, perché l'autoreferenzialità è uno dei rischi maggiori di tutta la comunicazione. Da questo pericolo il Pontificio Consiglio intende stare molto alla larga.

In un'intervista dello scorso anno lei disse che il sacerdote deve restare il fulcro della diffusione del messaggio evangelico "qualunque sia la strada da percorrere per raggiungere l'uomo, anche se si tratta di una strada telematica". Cosa è cambiato, se è cambiato qualcosa, oggi?

Non è cambiato nulla perché non può cambiare nulla. E questo è un altro dei dati emersi durante la nostra plenaria. Nella comunicazione, al di là di ogni progresso tecnologico, non verrà mai meno l'esigenza costitutiva del messaggio. Torno a quello che ci ha detto il Papa all'inizio dei nostri lavori: "La fede sempre penetra e arricchisce, esalta e vivifica la cultura e questa, a sua volta, si fa veicolo della fede, a cui offre il linguaggio per pensarsi ed esprimersi. È necessario quindi farsi attenti ascoltatori dei linguaggi degli uomini del nostro tempo, per essere attenti all'opera di Dio nel mondo". Farsi attenti ascoltatori significa però anche e soprattutto saper ascoltare quello che Dio vuol comunicare. Si comunica se si ha qualcosa da dire. Il sacerdote, in questo senso, ha il grande privilegio di un messaggio che, per lui, si è fatto ed è diventato vita. Il suo compito è anche quello di comunicare - cioè di rendere partecipi tutti - questa sua gioia. Quando ciò avviene è un fatto che non passa inosservato; né per gli incontri diretti e personali, né sul web o nel cyberspazio. La verità sa farsi sempre strada nel mondo, pur così variegato e talvolta difficile, dei media. Al sacerdote non si chiede di essere un professionista della comunicazione, ma un servitore fedele e appassionato della Parola di Dio. Direi di più: l'efficacia della comunicazione dipenderà proprio dalla fedeltà e dall'amore che egli rivelerà nei rapporti con i fedeli.

Dal punto di vista pratico come intendete agire?

Intanto organizzando corsi di formazione. Cercheremo prima di tutto di dare un senso nuovo agli incontri con i vescovi in visita ad limina. Punteremo però soprattutto sulla formazione a livello internazionale. In questa ottica stiamo organizzando a Rio de Janeiro un seminario sulla comunicazione per i vescovi brasiliani, un incontro in Medio Oriente e un altro in Africa. Nella seconda parte dell'anno ne avremo uno anche in Cile, destinato agli operatori della rete informatica dell'America latina (Riial). Anzi, in questo vasto continente abbiamo avviato già da tempo una proficua collaborazione con il Celam e devo dire che il presidente, il cardinale Raymundo Damasceno Assis, si è mostrato particolarmente attento a questa forma di collaborazione.



(©L'Osservatore Romano 18 marzo 2011)
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA DELLE RADIO DELL’EUROPEAN BROADCASTING UNION, 30.04.2011

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla 17.ma Assemblea delle Radio dell’European Broadcasting Union, che ha tenuto i suoi lavori nei giorni scorsi in Vaticano, su invito della Radio Vaticana in occasione dell’80° della sua fondazione.
Nel corso dell’incontro il Papa rivolge ai presenti il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari amici,

sono molto lieto di dare il benvenuto a tutti voi, membri e partecipanti alla 17° Radio Assembly della European Broadcasting Union, che quest’anno è ospite della Radio Vaticana, in occasione dell’80° della sua fondazione. Saluto l’Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Ringrazio il Presidente della European Broadcasting Union, Jean Paul Philippot, e il Padre Federico Lombardi, Direttore Generale della Radio Vaticana, per le cortesi parole con cui hanno illustrato la natura del vostro incontro e i problemi che dovete affrontare.

Quando il mio predecessore Pio XI si rivolse a Guglielmo Marconi perché dotasse lo Stato della Città del Vaticano di una Stazione radio all’altezza della migliore tecnologia disponibile a quel tempo, dimostrò di aver intuito con acutezza in quale direzione si stava sviluppando il mondo delle comunicazioni e quali potenzialità la radio poteva offrire per il servizio della missione della Chiesa. Effettivamente, attraverso la radio, i Papi hanno potuto trasmettere aldilà delle frontiere messaggi di grande importanza per l’umanità, come quelli giustamente famosi di Pio XII durante la seconda guerra mondiale, che hanno dato voce alle aspirazioni più profonde verso la giustizia e la pace, o come quello di Giovanni XXIII al momento culminante della crisi fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel 1962.

Ancora attraverso la radio Pio XII ha potuto far diffondere centinaia di migliaia di messaggi delle famiglie per i prigionieri e i dispersi durante la guerra, svolgendo un’opera umanitaria che gli guadagnò gratitudine imperitura. Attraverso la radio, inoltre, sono state a lungo sostenute le attese di credenti e di popoli soggetti a regimi oppressivi dei diritti umani e della libertà religiosa.

La Santa Sede è consapevole delle potenzialità straordinarie che ha il mondo della comunicazione per il progresso e la crescita delle persone e della società. Si può dire che tutto l’insegnamento della Chiesa su questo settore, a partire dai discorsi di Pio XII, passando attraverso i documenti del Concilio Vaticano II, fino ai miei più recenti messaggi sulle nuove tecnologie digitali, è attraversato da una vena di ottimismo, di speranza e di simpatia sincera verso coloro che si impegnano in questo campo per favorire l’incontro e il dialogo, servire la comunità umana, contribuire alla crescita pacifica della società.

Naturalmente, ciascuno di voi sa che anche nello sviluppo delle comunicazioni sociali si nascondono difficoltà e rischi. Permettetemi perciò di manifestare a tutti voi il mio interesse e la mia solidarietà nell’importante opera che svolgete. Nelle società odierne sono in gioco valori basilari per il bene dell’umanità, e l’opinione pubblica, nella cui formazione il vostro lavoro ha tanta importanza, si trova spesso disorientata e divisa. Voi sapete bene quali preoccupazioni nutre la Chiesa cattolica a proposito del rispetto della vita umana, della difesa della famiglia, del riconoscimento degli autentici diritti e delle giuste aspirazioni dei popoli, degli squilibri che causano sottosviluppo e fame in tante parti del mondo, dell’accoglienza dei migranti, della disoccupazione e della sicurezza sociale, delle nuove povertà ed emarginazioni sociali, delle discriminazioni e delle violazioni della libertà religiosa, del disarmo e della ricerca di soluzione pacifica dei conflitti. A molte di tali questioni ho fatto riferimento nell’Enciclica "Caritas in veritate".

Alimentare ogni giorno una corretta ed equilibrata informazione e un approfondito dibattito per trovare le migliori soluzioni condivise su tali questioni in una società pluralistica, è compito delle radio come pure delle televisioni. E’ un compito che richiede alta onestà professionale, correttezza e rispetto, apertura alle prospettive diverse, chiarezza nell’affrontare i problemi, libertà da steccati ideologici, consapevolezza della complessità dei problemi. Si tratta di una ricerca paziente di quella "verità quotidiana" che meglio traduce i valori nella vita e meglio orienta il cammino della società, e che va cercata insieme con umiltà.

In questa ricerca la Chiesa cattolica ha un suo contributo specifico da dare, e intende darlo testimoniando la sua adesione alla verità che è Cristo, ma allo stesso tempo con apertura e spirito di dialogo.

Come ho affermato
nell’incontro con i qualificati rappresentanti del mondo politico e culturale britannico nella Westminster Hall di Londra nello scorso settembre, la religione non intende prevaricare nei confronti dei non credenti, ma aiutare la ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi. La religione contribuisce a "purificare" la ragione, aiutandola a non cadere in distorsioni, come la manipolazione da parte dell’ideologia, o l’applicazione parziale che non tenga conto pienamente della dignità della persona umana. Allo stesso tempo, anche la religione riconosce di aver bisogno del correttivo della ragione per evitare eccessi, come l’integralismo o il settarismo. "La religione non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione". Invito perciò anche voi, "nell’ambito delle vostre sfere di influenza, a cercare di promuovere ed incoraggiare il dialogo fra fede e ragione" nella prospettiva del servizio al bene comune nazionale.

Il vostro è un "servizio pubblico", servizio alla gente, per aiutarla ogni giorno a conoscere e a capire meglio ciò che succede e perché succede, e a comunicare attivamente per concorrere al cammino comune della società. So bene che questo servizio incontra difficoltà, con differenti aspetti e proporzioni nei diversi Paesi.

Vi possono essere la sfida della concorrenza da parte dell’emittenza commerciale; il condizionamento di una politica vissuta come spartizione del potere invece che come servizio del bene comune; la scarsezza di risorse economiche accentuata da situazioni di crisi; l’impatto degli sviluppi delle nuove tecnologie di comunicazione; la ricerca affannosa dell’audience. Ma troppo grandi e urgenti sono le sfide del mondo odierno di cui dovete occuparvi, per lasciarvi scoraggiare e arrendervi di fronte a queste difficoltà.

Vent’anni fa, nel 1991, quando il Venerabile Giovanni Paolo II, che domani avrò la gioia di proclamare Beato, riceveva la vostra Assemblea generale in Vaticano, vi incoraggiava a sviluppare la vostra mutua collaborazione, per favorire la crescita della comunità dei popoli del mondo. Oggi, penso ai processi in corso in Paesi del Mediterraneo e nel Vicino Oriente, diversi dei quali sono pure membri della vostra Associazione. Sappiamo che le nuove forme di comunicazione hanno svolto e svolgono un ruolo non secondario in questi stessi processi. Vi auguro di saper mettere i vostri contatti internazionali e le vostre attività al servizio di una riflessione e di un impegno affinché gli strumenti delle comunicazioni sociali servano al dialogo, alla pace e allo sviluppo solidale dei popoli, superando le distanze culturali, le diffidenze o le paure.

Infine, cari amici, mentre auguro a tutti voi e alla vostra Associazione un fecondo lavoro, desidero esprimere ancora la mia gratitudine per la collaborazione concreta che in molte occasioni avete dato e date al mio ministero, come nelle grandi celebrazioni del Natale e della Pasqua o in occasione dei miei viaggi. Anche per me e per la Chiesa cattolica siete dunque degli alleati e degli amici importanti nella nostra missione. In questo spirito sono lieto di invocare su tutti voi, sui vostri cari e sul vostro lavoro la Benedizione del Signore.


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Così il Vaticano incontra i blogger e lancia il nuovo portale d’informazione

150 blogger sono entrati in Vaticano per il primo meeting loro dedicato. Scopo? Incontrarsi. O meglio, la volontà è del Vaticano (che ha convocato il meeting) di conoscere un mondo influente e ascoltato.

Durante la pausa caffè un’autorevole personalità d’oltre il Tevere ammette: “Come potevamo non organizzare un meeting coi blogger? Sulle nomine dei vescovi pesano di più le opinioni di alcuni blogger che quelle nostre”.

Dice padre Federico Lombardi, portavoce vaticano: “Ho scoperto che monitorare i blogger è importantissimo. Devo dire che sono molto aiutato da un blogger esperto che ogni mattina in poche pagine mi fa il resoconto di ciò che scrivete. A me questo servizio fatto da un blogger ha cambiato la vita”.

Non è un mistero: molte gaffe comunicative non imputabili esclusivamente alla responsabilità della sala stampa della Santa Sede si sarebbero potute evitare con un monitoraggio attento dei blogger. Che Richard Williamson fosse un vescovo negazionista, ad esempio, i blogger l’avevano scritto da prima che Papa Ratzinger revocasse lui la scomunica in quanto vescovo lefebvriano e che la Santa Sede si accorgesse del pasticciaccio.

In questo senso forse la migliore sintesi del perché alla chiesa non possono non interessare i blogger la dà Elizabeth Scalia, che tutte le settimane firma su First Things: “La verità è che la chiesa ha bisogno di noi, noi possiamo aiutarla”.

I 150 sono blogger vestiti in modo diverso. Chi da prete, chi da suora e chi da laico. E anche se l’incontro “non è un incontro per blogger cattolici”, la maggior parte dei presenti – non tutti – posta ogni giorno cose più o meno di chiesa. “Un focus attorno a cui sintetizzare il meeting non c’è”, dice padre Antonio Spadaro, critico letterario per la Civiltà Cattolica e curatore del sito Cyberteologia. “E’ un bailamme e non potrebbe essere diversamente. Internet e la comunità dei blogger nasce dal basso. E’ difficilmente contenibile”.

Difficile dire se il Papa sia interessato a questo mondo. Padre Lombardi assicura di sì. Per questo “ha accettato che aprissimo un canale YouTube e che andassimo su Facebook”. Di certo c’è che fu Giovanni Paolo II il primo Pontefice a collegarsi a Internet. Giovanni Paolo II, avendo capito le potenzialità del Web, domandò nel 1997: “Perché la Santa Sede non è ancora lì? Chi deve decidere questo?”. Spettava a lui, gli risposero. “E allora si faccia!”, disse. Il 24 marzo del 1997 la Santa Sede entrò così ufficialmente in Internet con il sito www.vatican.va.

Dal 1997 al 2011. Tra poco sarà online il nuovo portale del Vaticano. Raccoglierà le notizie di tutti gli organi di informazione della Santa Sede. Si conosce anche il nome. Si chiamerà news.va. Sarà una “piattaforma sociale”. Avrà collegamenti a Facebook e Internet. A conti fatti è la svolta più importante che il Vaticano abbia mai ideato in materia di rete.

Pubblicato sul Foglio martedì 3 maggio 2011



**************************************************************

Ulteriori interessanti riferimenti:

Incontro in Vaticano dei bloggers cattolici.





Si è tenuto ieri, 2 maggio 2011, in Vaticano l'incontro dei bloggers cattolici organizzato dai Pontifici Consigli delle Comunicazioni Sociali e della Cultura.Come ricorderete noi non siamo rientrati nei 150 ammessi al Convegno (qui la lista degli ammessi), e così abbiamo fatto un giro in rete per stilare una "rassegna" di qualche resoconto e qualche commento a caldo dei più fortunati. Vi proponiamo così, alcuni link a siti ufficiali e ad articoli di nostri "colleghi bloggeristi", come anticipazione dei resoconti del Convegno.


Dal sito del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali (www.pccs.va/):


- intervista al Card. Ravasi (presidente del Dicastero per la Cultura) e a Mons. Richard. Rouse responsabile del dipartimento comunicazione e linguaggi del Dicastero per la cultura) Link 1


*

- Il Saluto ai bloggers intervenuti e il discorso introduttivo al Convegno di S. Ecc. Mons Celli, Presidente del P.C.C.S. (Link 2)
*

- alcune foto dell'incontro (Link 3)


dal blog "Palazzo Apostolico" di Rodari:


- Resoconto e illustrazione del nuovo Portale del Vaticano (Link 4) di cui non possiamo però non riportare anche qui, due notizie che Rodari scrive:
"Durante la pausa caffè un’autorevole personalità d’oltre il Tevere ammette: “Come potevamo non organizzare un meeting coi blogger? Sulle nomine dei vescovi pesano di più le opinioni di alcuni blogger che quelle nostre”.
Dice padre Federico Lombardi, portavoce vaticano: “Ho scoperto che monitorare i blogger è importantissimo. Devo dire che sono molto aiutato da un blogger esperto che ogni mattina in poche pagine mi fa il resoconto di ciò che scrivete. A me questo servizio fatto da un blogger ha cambiato la vita”.


- altre foto del Convegno (Link 5)

- Commento di G. Marcotullio (LaPorzione.it) (Link 6)

Infine due altri articoli: uno tratto da un blog (Spiritualseeds) che ha partecipato al convegno (Link 7), un altro da un blog in lingua inglese (Link 8)

 

«…e i suoi “portali” non prevarranno contro di essa…»

Le tracce della cyberstoria, i problemi e le risorse del presente, sprazzi di futuro dal BLOG Meeting vaticano del 2 maggio

Il Meeting non riuniva bloggers esclusivamente cattolici, ma di certo gran parte di essi lo era, e soprattutto è stato organizzato dalle forze congiunte del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali e dal Pontificio Consiglio della Cultura, nonché svolto in territorio vaticano (per visionare immagini del Meeting clicca qui, mentre per visionare i nomi dei bloggers partecipanti qui). I postumi non ancora trascorsi della beatificazione di Giovanni Paolo II, poi, hanno circondato di un’aura marcatamente “petrina” la riunione. Difatti le allusioni alla rete, all’oceano dei contatti possibili (con relativa “liquidità”), al farsi “pescatori di uomini” hanno molto a che fare con l’attività del Principe degli apostoli. Questa mattina Paolo Rodari aveva ricordato sul suo blog l’apologo con cui si vuole che abbia avuto origine l’avventura della Santa Sede online. Sulla stessa lunghezza d’onda s’è mosso P. Federico Lombardi accennando – discretamente, va detto – alla straordinaria apertura del successore di Giovanni Paolo II nei confronti delle possibilità aperte dai nuovi mezzi di comunicazione (gli sms con frasi di Benedetto XVI inviati, durante la GMG di Sidney, ai cellulari di tutti i partecipanti, il canale YouTube, l’intervista televisiva mandata in onda lo scorso Venerdì Santo). Una storia ancora breve, ma ricca di densità d’animo e di audacia: la giornata di oggi s’è proposto il tacito ordine del giorno di abbozzare un “punto della situazione” in questo senso, ma – precisa Richard Rouse, uno degli organizzatori –: «Non è una questione di semplice pubblicità. Ci esponiamo a un rischio, a una serie di rischî. Non siamo qui per dare istruzioni di netiquette cattolica; non cerchiamo neanche di sapere come essere efficaci, anche se per tutte queste cose abbiamo certo delle idee e c’interessa ascoltare le vostre».

Rocco Palmo, moderatore della prima parte del Meeting – www.whispersintheloggia.blogspot.com/

Sala stracolma: centocinquanta persone di ogni età e genere, di ogni continente e stato di vita, armati fino ai denti di i-Pad e simili o solo di una “matita da pensatoio”. Diversi giornalisti italiani si sono raggruppati nelle prime file. Sugli schermi di qualche macbook brillano immagini religiose, ma gli atteggiamenti mistici più contemplati sono quelli di qualche zelante blogger che non ce la fa a lasciare agli organizzatori la responsabilità di una trasmissione in streaming, e sfrutta il wireless del palazzo per inviare tramite i-Pad le immagini del momento e sollecitare su Twitter i Re-twitt del popolo della Rete. «Ci sono in questo momento – ha dichiarato P. Antonio Spadaro (vedi il suo blog) – due convegni contemporanei: uno lo sto moderando io, l’altro lo sta facendo ciascuno di voi mediante twitts». Era divertito, il gesuita redattore de La Civiltà Cattolica (clicca link) e ideatore di Bombacarta (clicca link), e col suo consueto gusto per il paradosso ha illustrato il compiacimento che si potrebbe provare nell’ammettere che lì eravamo un po’ tutti confusi: «Se siamo qui è perché siamo confusi e scriviamo in modo confuso. Qual è il focus di questo incontro? Non c’è: siamo qui per mettere in moto delusioni, desiderî, aspettative».

Tanti i temi, li si potrebbe raccontare per ore: nella prima parte dell’incontro, ad esempio, c’era stato un simpatico incrocio di lame sulla valutazione da dare all’apporto del narcisismo tra le motivazioni di un blogger: «Ci sono tre ragioni per bloggare – elenca François Jeanne-Beylot (vedi il suo blog) –: c’è chi lo fa per profitto; altri per far passare le proprie idee; il rischio di gratificarsi c’è, sì, quindi l’ego, ma un concorso di (almeno) una delle tre va ammesso e accettato». Una blogger dalla platea attacca la posizione; risponde in seguito Spadaro: «C’è del narcisismo, sì, ed è naturale, perché al blogger è richiesto di esporsi e lasciarsi giudicare, o perfino ignorare». Stoica la stoccata di P. Lombardi, che difende la possibilità di cimentarsi anche in attività telematiche per puro spirito di servizio (sì, ha ragione, ma un portavoce è cosa ben diversa da un blogger). Tra i personaggî più difficilmente ignorabili del nutrito gruppo di relatori c’è senz’altro P. Roderick Vonhögen (vedi il suo blog), di cui Costanza Miriano ha scritto nel proprio blog: «C’era un prete olandese, Roderick Vonhogen, che ha cominciato a bloggare sul tema di Star Wars, ottenendo 10mila contatti al giorno, è riuscito a fare delle prediche distribuendo consigli su Farmville, ha fatto un blog su Tolkien e ieri ha seguito la beatificazione in diretta su twitter, rispondendo a domande come “ma per essere beatificati bisogna essere morti?”; “ma il Papa era polacco o tedesco?”».

Frivolezze? Forse, ma non superficiali: quello che queste citazioni telematiche esprimono è la sensibilità del Web 2.0, che eleva in modo esponenziale la percezione della facoltà di intervento in ogni singolo lettore (che immediatamente è già, se non uno scrittore, perlomeno un interlocutore). Questo è il mondo dei bloggers, così come appariva oggi: disparato, senz’altro, ma unanime nell’essere ricco di idee, di grinta, di proposte (talvolta conflittuali nei principî o nelle conseguenze) – lo specchio telematico di una Chiesa capace di accogliere la divergenza, di ascoltarla con delicatezza materna: «È una chiesa con la “c” minuscola – diceva ancora Jeanne-Beylot –, ma che può ben accostarsi alla Chiesa con la “c” maiuscola. […] Abbiamo il grande vantaggio, rispetto alla gerarchia, di poter rappresentare la Chiesa senza impegnarla. La Chiesa non potrebbe aiutare, tramite i blogger, a utilizzare meglio internet per cercare la verità, la buona informazione?».

Così, passando da considerazioni abbordabili ad altre più profonde (per finire con le vere e proprie novità), P. Lombardi aveva ricordato che «nell’Inter mirifica e nella Communio et progressio si parla abbastanza ampiamente del fatto che nella Chiesa dev’esserci un’opinione pubblica, e che il Magistero deve svilupparsi in dialogo con questa opinione pubblica. Non vuol dire che esso perda la sua funzione di guida, ma che esso è chiamato a esercitarsi come ministero dialogico. Questo tema non è stato adeguatamente valorizzato, negli ultimi decennî».

La sala del Meeting

C’è speranza, dunque, di avere davvero un lavoro serio, grande e impegnativo da compiere. E gli strumenti? Non si ha spesso la sensazione che – quando anche si riconoscono gli sforzi dei singoli – le energie messe in campo sono poco coordinate? Mentre P. Lucio Ruiz illustrava la portata di certi limiti tecnici dell’attuale portale della Santa Sede (www.vatican.va), e della sconvenienza teologica di aprirlo indiscriminatamente al Web 2.0, Thaddeus Jones ha esposto la varietà e la potenza di certi mezzi telematici già usufruibili (Vatican Player, CTV, CTV YouTube, agenzia Fides, PCCS), e le novità in arrivo. Già online la banca dati www.intermirifica.net, continuamente aggiornata; ultimi ritocchî invece per quello che si annuncia come un rivoluzionario portale destinato a raccogliere continuamente i maggiori link dalle più importanti agenzie e testate del mondo, in tutte le lingue in cui gli uomini scrivono – una piattaforma sociale dedita ad aprire una vasta gamma di contenuti facilmente condivisibili (l’indirizzo, dal dominio per ora inattivo, sarà www.news.va). Essa racchiude social network come Facebook, Twitter, YouTube e anche Flickr! Che sarebbe, ad esempio, se anche un portale di geniale intuizione (ma d’interfaccia ormai superata) come www.siticattolici.it si evolvesse verso questi standard?

Tanta carne sul braciere del Web, dunque, e l’incoraggiamento per tutti a pensare e a scrivere la propria, nel rispetto della libertà altrui e nella responsabilità delle proprie dichiarazioni. È partita tardi, in questo, la Chiesa? «Sì – aveva ammesso già in apertura monsignor Celli – ma ora siamo qui e intendiamo rimboccarci le maniche».

Risuona nell’aria – meglio, nel wireless – una parafrasi della promessa di Gesù a Pietro riguardo alla Chiesa: «…e i “portali” degli inferi non prevarranno contro di essa».

 

Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Files audio dell'incontro con i blogger

Clicca qui per ascoltare gli interventi.

 

[Modificato da Caterina63 04/05/2011 16:08]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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30/07/2011 23:49
 
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Spiritualità ed elementi per una teologia della comunicazione in Rete


 

ROMA, venerdì, 22 luglio 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l'intervento pronunciato da padre Antonio Spadaro S.I., redattore della rivista La Civiltà Cattolica, in occasione del 7° Incontro Brasiliano di Comunicazione (Muticom), svoltosi dal 17 al 22 luglio presso la Pontificia Università Cattolica (PUC) di Rio de Janeiro, in Brasile.


* * *

Internet fa parte della nostra vita quotidiana. Se fino a qualche tempo fa la Rete era legata all’immagine di qualcosa di tecnico, che richiedeva competenze specifiche sofisticate, oggi è un luogo da frequentare per stare in contatto con gli amici che abitano lontano, per leggere le notizie, per comprare un libro o prenotare un viaggio, per condividere interessi e idee. E questo anche in mobilità grazie a quelli che una volta si chiamavano «cellulari» e che oggi sono veri e propri computer da tasca.

Una Rete a portata di mano

Internet è uno spazio di esperienza che sempre di più sta diventando parte integrante, in maniera fluida, della vita di ogni giorno. E’ un nuovo contesto esistenziale, non dunque un «luogo» specifico dentro cui entrare in alcuni momenti per vivere on line, e da cui uscire per rientrare nella vita off line. La Rete, resa così a portata di mano (anche in senso letterale), comincia a incidere sulla capacità di vivere e pensare. Dal suo influsso dipende in qualche modo la percezione di noi stessi, degli altri e del mondo che ci circonda e di quello che ancora non conosciamo.

In fondo, l’uomo ha sempre cercato di capire la realtà attraverso le tecnologie. Pensiamo a come la fotografia e il cinema hanno mutato il modo di rappresentare le cose e gli eventi; l’aereo ci ha fatto comprendere il mondo in maniera diversa del carro con le ruote; la stampa ci ha fatto comprendere la cultura in maniera diversa. E così via. La «tecnologia», dunque, non è un insieme di oggetti moderni e all’avanguardia. Non è neanche, come credono i più scettici, una forma di vivere l’illusione del dominio sulle forze della natura in vista di una vita felice. Sarebbe riduttivo considerarla solamente frutto di una volontà di potenza e dominio. Essa, scrive Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, «è un fatto profondamente umano, legato all’autonomia e alla libertà dell’uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia»1, e nel contempo si manifestano le aspirazioni dell’uomo e le tensioni dei suo animo.

L’avvento di internet è stato, certo, una rivoluzione. Tuttavia è una rivoluzione con salde radici nel passato: replica antiche forme di trasmissione del sapere e del vivere comune, ostenta nostalgie, dà forma a desideri e valori antichi quanto l’essere umano. Pensando a internet occorre non solo immaginare le prospettive di futuro che offre, ma considerare anche i desideri e le attese che l’uomo ha sempre avuto e alle quali prova a rispondere, cioè: connessione, relazione, comunicazione e conoscenza2. E noi sappiamo bene come da sempre la Chiesa abbia nell’annuncio di un messaggio e nelle relazioni di comunione due pilastri fondanti del suo essere.

La domanda a questo punto sorge spontanea: se oggi la rivoluzione digitale modifica il modo di vivere e pensare, ciò non finirà per riguardare anche, in qualche modo, la fede? Se la Rete entra nel processo di formazione dell’identità personale e delle relazioni, non avrà anche un impatto sull’identità religiosa e spirituale degli uomini del nostro tempo e sulla stessa coscienza ecclesiale? Benedetto XVI col suo messaggio per la 45a Giornata delle Comunicazioni Sociali e il discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni ha indicato una strada in maniera chiara e decisa. Ecco le sue domande: «quali sfide il cosiddetto “pensiero digitale” pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?».

Internet come «ambiente»

Internet non è un semplice «strumento» di comunicazione che si può usare o meno, ma un «ambiente» culturale, che determina uno stile di pensiero, contribuendo a definire anche un modo peculiare di stimolare le intelligenze e di stringere le relazioni, addirittura un modo di abitare il mondo e di organizzarlo. In questo senso la Rete non è un nuovo «mezzo» di evangelizzazione, ma innanzitutto un contesto in cui la fede è chiamata a esprimersi non per una mera «volontà di presenza», ma per una connaturalità del cristianesimo con la vita degli uomini. La sfida della Chiesa non dev’essere quella del modo di «usare» bene la Rete, come spesso si crede, ma come «vivere» bene al tempo della Rete. Internet è una realtà destinata ad essere sempre più trasparente e integrata rispetto alla vita, diciamo così, «reale». Questa è la vera sfida: imparare ad essere wired, connessi, in maniera fluida, naturale, etica e perfino spirituale; a vivere la Rete come uno degli ambienti di vita.

È evidente, dunque, come internet con tutte le sue innovazioni dalle radici antiche ponga alla Chiesa una serie di interrogativi rilevanti di ordine educativo e pastorale. Tuttavia vi sono alcuni punti critici che riguardano la stessa comprensione della fede e della Chiesa. Proverò a individuarne alcuni per avviare una discussione alla luce di evidenti incompatibilità come anche di palesi connaturalità.

Come cambia la ricerca di Dio

La prima questione che vorrei sollevare è di ordine antropologico. La «navigazione» sul web è una via ormai ordinaria per la conoscenza. Oggi accade sempre più spesso che, quando si ha la necessità di una informazione, si interroghi la Rete per avere la risposta da un motore di ricerca come Google, Bing o altri ancora. Internet sembra essere il luogo delle risposte. Esse però raramente sono univoche: la risposta è un insieme di link che rinviano a testi, immagini e video. Ogni ricerca può implicare una esplorazione di territori differenti e complessi dando persino l’impressione di una certa esaustività. Quale fede troviamo in questo spazio antropologico che chiamiamo web?

Digitando in un motore di ricerca la parola God oppure anche religion, spirituality, otteniamo liste di centinaia di milioni di pagine. Nella Rete si avverte una crescita di bisogno religioso che la «tradizione» sembra faccia fatica a soddisfare. L’uomo alla ricerca di Dio oggi avvia una navigazione. Quali sono le conseguenze? Si può cadere nell’illusione che il sacro o il religioso siano a portata di mouse. La Rete, proprio grazie al fatto che è in grado di contenere tutto, può essere facilmente paragonata a una sorta di grande supermarket del religioso. Ci si illude dunque che il sacro resti «a disposizione» di un «consumatore» nel momento del bisogno. Il vangelo appare solo come una notizia fra molte altre.

Il Vangelo, però, «non è un’informazione fra le altre — affermava nel 2002 l’allora card. Ratzinger —, una riga sulla tavola accanto ad altre», ma è «la chiave, un messaggio di natura totalmente diversa dalle molte informazioni che ci sommergono giorno dopo giorno». Continuava l’attuale Pontefice: «Se il Vangelo appare soltanto come una notizia fra molte, può forse essere scartato in favore di altri messaggi più importanti. Ma come fa la comunicazione, che noi chiamiamo Vangelo, a far capire che essa è appunto una forma totalmente altra di informazione – nel nostro uso linguistico, piuttosto una “performazione”, un processo vitale, per mezzo del quale soltanto lo strumento dell’esistenza può trovare il suo giusto tono?»3.

La sfida che abbiamo davanti allora è seria, perché segna la demarcazione tra la fede come «merce» da vendere in maniera seduttiva e la fede come atto dell’intelligenza dell’uomo che, mosso da Dio, dà a Lui liberamente il proprio assenso. È dunque necessario oggi considerare che ci sono realtà capaci di sfuggire sempre e comunque alla logica del «motore di ricerca» e che la «googlizzazione» della fede è impossibile.

Di recente Google ha introdotto una nuova funzionalità chiamata Instant la quale permette di ottenere i risultati della ricerca già nel momento in cui la ricerca viene effettuata. Se teniamo abilitata la funzione Google Instant e digitiamo la parola God scopriremo che nel «mercato» delle risposte Dio non è certo più «l’essere di cui non si può pensare il maggiore» secondo la definizione di sant’Anselmo. Infatti, appena vengono digitate le lettere «g», «o» e «d», i suggerimenti automatici in lingua inglese sono in ordine: «gods of Metal», e poi «god of war», «godot» e «godzilla», e cioè, rispettivamente: un videogioco, un festival di musica metal, la più famosa opera teatrale di Samuel Beckett e un mostro del cinema giapponese. Dio in quanto tale (God) non rientra nel campo delle risposte possibili. La ricerca di Dio al tempo di Google Instant si è fatta difficile...

Possiamo confrontare la logica del motore di ricerca istantanea a quella dei motori «semantici» e alla loro differente logica di funzionamento, fondata sul riconoscimento di una domanda precisa che va posta bene. Un esempio è quello offerto da Wolfram|Alpha. Visto che, al momento, l’unica lingua che comprende è l’inglese, è interessante notare la risposta alla domanda Does God exist? (Dio esiste?): «Mi dispiace, ma un povero motore computazionale di conoscenza, non importa quanto potente possa essere, non è in grado di fornire una risposta semplice a questa domanda».

Lì dove Google va a colpo sicuro fornendo centinaia di migliaia di risposte indirette, Wolfram|Alpha fa un passo indietro. Qual è la differenza? Google è un motore sintattico e si preoccupa unicamente di «censire» le parole che sono all’interno di un testo ma senza in alcun modo tentare di determinare il contesto in cui queste parole vengono utilizzate. La ricerca semantica tenta di invece di avvicinarsi al modo di apprendere dell’uomo, cercando di interpretare il significato logico delle frasi e tentando di carpirne il significato dal contesto. Il modo in cui si pone la domanda può influenzare l’efficacia della risposta. Ecco, dunque, che cosa possiamo imparare: anche al tempo della Rete la ricerca di Dio deve nascere sempre da un contesto preciso, non dalla capacità di compiere una ricerca «a caso», ma dalla paziente formulazione di una domanda e dal riconoscimento di ciò che si desidera veramente.

Si comprende, quindi, come la Rete «sfidi» la fede nella sua comprensione grazie a una «logica» che sempre di più segna il modo di pensare degli uomini.

L’uomo religioso al tempo della Rete

In tale contesto occorre considerare un possibile vero e proprio cambiamento radicale nella percezione della domanda religiosa. Una volta l’uomo era saldamente attratto dal religioso come da una fonte di senso fondamentale. Come l’ago di una bussola, lui sapeva di essere radicalmente attratto verso una direzione precisa, unica e naturale: il Nord. Se la bussola non indica il Nord è perché non funziona, e non certo perché non esiste il Nord. Poi l’uomo, specialmente con la Seconda Guerra Mondiale, ha cominciato ad usare il radar che serve a rilevare e determinare la posizione di oggetti fissi o mobili. Il radar va alla ricerca del suo target e implica una apertura indiscriminata anche al più blando segnale, non l’indicazione di una direzione precisa. E così anche l’uomo ha cominciato ad andare alla ricerca di un senso per la vita e anche di un Dio capace di qualche segno di riconoscimento, che faccia sentire la sua voce. L’espressione di questa logica è la domanda: «Dio, dove sei?». Da qui anche l’attesa di Godot e tante pagine della grande letteratura del Novecento, ad esempio. L’uomo era inteso comunque come un «uditore della parola» – per usare una celebre espressione del teologo Karl Rahner, che implicitamente ha dato forma teologica alla metafora tecnologica del radar – alla ricerca di un messaggio del quale sentiva il bisogno profondo. E oggi? Vale ancora questa immagine?

In realtà, sebbene sempre vive e vere, esse reggono meno. L’immagine che oggi è più presente è quella dell’uomo che si sente smarrito se il suo cellulare non ha campo o se il suo device tecnologico (computer, tablet o smartphone) non può accedere a qualche forma di connessione di rete wireless. Se una volta il radar era alla ricerca di un segnale, oggi invece siamo noi a cercare un canale di accesso attraverso il quale i dati possano passare. L’uomo oggi più che cercare segnali, è abituato a cercare di essere sempre nella possibilità di riceverli senza però necessariamente cercali. L’estrema conseguenza è la logica introdotta dal sistema push che funziona in maniera opposta a quello pull. Il primo implica il fatto che quando un dato è disponibile (una mail, ad esempio) io lo ricevo in maniera automatica perché tengo aperto un canale di ricezione. Il secondo sistema implica il fatto che io possa andare a recuperarlo quando ho voglia di stabilire una connessione.

L’uomo da bussola prima e radar poi si sta trasformando, dunque, in un decoder, cioè un sistema di accesso e di decodificazione delle domande sulla base delle molteplici risposte che lo raggiungono senza che lui si preoccupi di andare a cercarle. Viviamo bombardati dai messaggi, subiamo una sovrainformazione, la cosiddetta information overload. Il problema oggi non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, riconoscerlo sulla base delle molteplici risposte che io ricevo. E può essere «nascosto» dovunque. In un mondo che offre risposte a domande che ancora non sono state formulate, la domanda religiosa in realtà si sta trasformando in un confronto tra risposte plausibili e soggettivamente significative. Prima vengono le risposte, ed è da queste che l’uomo a chiamato a riconoscere le sue domande più radicali e autentiche.

La grande parola da riscoprire, allora, è una vecchia conoscenza del vocabolario cristiano: il discernimento. La risposta è il luogo di emersione della domanda. Tocca all’uomo d’oggi, dunque, e soprattutto al formatore, all’educatore, dedurre e distinguere le domande religiose vere dalle risposte che lui si vede offrire continuamente. E’ un lavoro complesso, che richiede una grande preparazione e una grande sensibilità spirituale.

La Chiesa: fili di rete o tralci di vite?

La secondaa questione che vorrei sollevare è di ordine più prettamente ecclesiologico. La Rete è oggi sempre di più luogo di networks e di communities. E’ possibile immaginare una vita ecclesiale essenzialmente di Rete? Una «Chiesa di Rete» in sé e per sé è una comunità priva di qualunque riferimento territoriale e di concreto riferimento reale di vita. Pensiamo alle «chiese» generate dai telepredicatori, che producono una pratica religiosa individuale, che conferma l’esasperata privatizzazione degli scopi della vita e l’individualismo estremo della società dei consumi capitalistica. Non è dovuto al caso il grande successo dei siti di spiritualità diffusa, svincolata da qualunque forma di mediazione storica, comunitaria e sacramentale (tradizione, testimonianza, celebrazione…), tendente a includere tutti i valori religiosi unicamente nella coscienza individuale e spesso di ispirazione new age.

Queste tensioni, com’è ovvio, hanno una ricaduta sul significato dell’«appartenenza» ecclesiale. Essa rischia di essere considerata il frutto di un «consenso» e dunque «prodotto» della comunicazione. In tale contesto i passi dell’iniziazione cristiana rischiano di risolversi in una sorta di «procedura di accesso» (login) all’informazione, forse anche sulla base di un «contratto», che permette anche una rapida disconnessione (logoff). Il radicamento in una comunità si risolverebbe in una sorta di «installazione» (set up) di un programma (software) in una macchina (hardware), che si può dunque facilmente anche «disinstallare» (uninstall).

D’altra parte la Rete, invece, è destinata sempre di più ad essere non un mondo parallelo e distinto rispetto alla realtà di tutti i giorni, quella dei contatti diretti: le due dimensioni, quella on line e quella off line, sono chiamate ad armonizzarsi e ad integrarsi quanto più è possibile in una vita di relazioni piene e sincere. La Chiesa in se stessa è sempre più compresa (e risulta comprensibile) in termini di network. La Rete dunque pone domande che riguardano la mentalità e il modello con cui può essere compresa la Chiesa nel suo essere «comunità» e nel suo sviluppo. La Lumen gentium al n. 6, parlando dell’intima natura della Chiesa, afferma che essa si fa conoscere attraverso «immagini varie». Nel passato, oltre a quelle bibliche, sono state usate anche immagini di altro genere per «significare» la Chiesa; ad esempio, le metafore navali e di navigazione4. Alcune immagini infatti possono anche essere «modelli» ecclesiologici. Per «modello» si intende un’immagine impiegata in modo riflesso e critico per approfondire la comprensione della realtà5. La domanda a questo punto è se oggi non si ponga la necessità di confrontarsi seriamente con il modello della «Rete» e con ciò che da essa deriva a livello di comprensione ecclesiologica.

Nel suo Thy Kingdom Connected, Dwight J. Friesen, professore associato di Teologia pratica presso la Mars Hill Graduate School di Seattle, immagina «il regno di Dio nei termini di un essere relazionalmente connessi con Dio, gli uni gli altri, e con tutta la creazione»6. In questa visione certo possiamo ritrovare quella del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica che afferma la sacramentalità della Chiesa nel suo essere «strumento della riconciliazione e della comunione di tutta l’umanità con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»7. Il pensiero di Friesen esprime una visione della Chiesa della cosiddetta emerging church, un ampio movimento complesso e fluido dell’area evangelico-carismatica, che intende reimpiantare la fede cristiana nel nuovo contesto post-cristiano. Ne risulta una Chiesa «organica, interconnessa, decentralizzata, costruita dal basso, flessibile e sempre in evoluzione»8.

In questa immagine sembra però che la natura e il mistero della Chiesa si diluiscano nell’essere uno «spazio connettivo», un hub di connessioni, che supporta un’«autorità connettiva»9 il cui scopo consiste sostanzialmente nel connettere le persone. L’idea di Chiesa che emerge da questa visione è quella di una Networked Church, che ripensa e ricomprende le strutture delle chiese locali. Lo scopo primario della Chiesa sarebbe quello di creare e sviluppare un ambiente connettivo dove è facile che la gente si raggruppi nel nome di Cristo.

La Chiesa in questa visione dunque sarebbe una struttura di supporto dove la gente possa «raggrupparsi». La Chiesa non è un luogo di riferimento, non è un faro che in sé emette luce, ma una struttura di supporto per far crescere il regno di Dio. Non si escludono in tale prospettiva «pastori, capi, vescovi, un pontefice, o altro»10, ma li si intende come network ecologist, persone che hanno l’incarico di tenere in funzione la rete di connessioni11. Questa visione offre un’idea della comunità cristiana che fa proprie le caratteristiche di una comunità virtuale intesa come leggera, senza vincoli storici e geografici, fluida. Certo una tale orizzontalità aiuta molto a comprendere la missione della Chiesa, che è inviata a evangelizzare. In effetti tutta l’impostazione della emerging ecclesiology è fortemente missionaria. In questo senso valorizza molto la capacità connettiva e di testimonianza. D’altra parte è a forte rischio la comprensione della Chiesa come «corpo mistico», che sembra diluirsi in una sorta di piattaforma di connessioni.

Ora, certamente la relazionalità della Rete funziona se i collegamenti (link) sono sempre attivi: qualora un nodo o un collegamento fosse interrotto, l’informazione non passerebbe e la relazione sarebbe impossibile. La reticolarità della vite nei cui tralci scorre una medesima linfa non è distante dall’immagine di internet, tutto sommato.

Ciò che da un punto di vista cattolico però deve rimanere chiaro è che la Chiesa non può essere compresa come una sorta di grande Rete di relazioni immanenti e orizzontali, ma ha sempre un principio e un fondamento «esterno». La «con-vocazione» ad essere parte del Corpo di Cristo che è la Chiesa non è dunque riducibile al modello sociologico dell’aggregazione. Essa è «il popolo che Dio convoca e raduna da tutti i confini della terra, per costruire l’assemblea di quanti, per la fede e il battesimo, diventano figli di Dio, membra di Cristo e tempio dello Spirito Santo»12. L’appartenenza alla Chiesa è data da questo fondamento esterno perché è Cristo che, per mezzo dello Spirito, unisce a sé intimamente i suoi fedeli; è lui che la unisce a sé in un’Alleanza eterna, rendendola santa (Ef 5, 26)13.

La Rete può essere compresa come una sorta di grande testo autoreferenziale e, dunque, puramente «orizzontale»: essa non ha radici né rami e dunque rappresenta un modello di struttura chiusa in se stessa. Se le relazioni in Rete dipendono dalla presenza e dall’efficace funzionamento degli strumenti di comunicazione, la comunione ecclesiale è invece radicalmente un «dono» dello Spirito. L’agire comunicativo della Chiesa ha in questo dono il suo fondamento e la sua origine. Su questo «dono» si fonda la sua intima natura.

La Grazia: «peer-to-peer» o «face-to-face»?

Si comprende bene che uno dei punti critici della nostra riflessione che stiamo facendo è in realtà il concetto di «dono», di un fondamento esterno. La Rete per la Chiesa è sempre e comunque «bucata»: la Rivelazione è un dono indeducibile, e l’agire ecclesiale ha in questo dono il suo fondamento e la sua origine. Ma è il concetto stesso di «dono» che oggi sta mutando.

La Rete è il luogo del dono, infatti. Concetti come file sharing, free software, open source, creative commons, user generated content, social network hanno tutti al loro interno, anche se in maniera differente, il concetto di «dono», di abbattimento dell’idea di «profitto». A ben guardare, però, più che di «dono» si tratta diuno «scambio» libero reso possibile e significativo grazie a forme di reciprocità che risultano «proficue» per coloro che entrano in questa logica di scambio. Comunque c’è una idea «economica» che ha in mente il concetto di «mercato».

In realtà il nodo consiste nel fatto che la logica del dono in Rete sembra sostanzialmente essere legata a ciò che in slang viene chiamato freebie, cioè qualcosa che non ha prezzo nel senso che non costa nulla. Essa si fonda sulla domanda implicita: «quanto costa?», e l’ottica è tutta spostata su chi «prende» (e non «riceve», dunque). Il freebie è ciò che si può prendere liberamente. La gratia gratis data invece non si «prende» ma si «riceve», ed entra sempre in un rapporto al di fuori del quale non si comprende. La Grazia non è un freebie, anzi, per citare il teologo Dietrich Bonhoeffer, è «a caro prezzo». Nello stesso tempo la Grazia si comunica attraverso mediazioni incarnate.

La logica della Grazia crea «legami» face-to-face, cioè del «faccia a faccia», come è tipico della logica del dono, cosa che invece è estranea di per sé alla logica del peer-to-peer, cioè del «nodo a nodo», che in se stessa è una logica di connessione e di scambio, non di comunione. E un «volto» non è mai riducibile a semplice «nodo». Ecco dunque un compito specifico del cristiano in Rete: farla maturare da luogo di «connessione» a luogo di «comunione». Il rischio di questi tempi è proprio quello di confondere questi due termini. La connessione di per sé non basta a fare della Rete un luogo di condivisione pienamente umana. Lavorare in vista di tale condivisione è compito specifico del cristiano. D’altra parte, se il «cuore umano anela a un mondo in cui regni l’amore, dove i doni siano condivisi», come ha scritto Benedetto XVI14, allora la Rete può essere davvero un ambiente privilegiato in cui questa esigenza profondamente umana possa prendere forma.

L’autorità tra emittenza e testimonianza

In questa linea di riflessione si colloca il problema dell’autorità nella Chiesa e delle mediazioni ecclesiali in senso più generale. La Rete, di sua natura, è fondata sui link, cioè sui collegamenti reticolari, orizzontali e non gerarchici. La Chiesa vive di un’altra logica, di un messaggio donato, cioè ricevuto, che «buca» la dimensione orizzontale. Non solo: una volta bucata la dimensione orizzontale, essa vive di testimonianza autorevole, di tradizione, di Magistero: sono tutte parole queste che sembrano fare a pugni con una logica di Rete. In fondo potremmo dire che sembra prevalere nel web la logica dell’algoritmo Page Rank di Google. Sebbene in fase di superamento, esso ancora oggi determina per molti l’accesso alla conoscenza. Si fonda sulla popolarità: in Google è più accessibile ciò che è maggiormente «linkato», quindi le pagine web sulle quali c’è più accordo. Il suo fondamento è nel fatto che le conoscenze sono, dunque, modi concordati di vedere le cose. Questa a molti sembra la logica migliore per affrontare la complessità. Ma la Chiesa non può sposare tale logica, che, nei suoi ultimi risultati, è esposta al dominio di chi sa manipolare l’opinione pubblica. L’autorità non è sparita in Rete e, anzi, rischia di essere ancora più occulta. E infatti la ricerca oggi si sta muovendo nella direzione di trovare altre metriche per i motori di ricerca, che siano più di «qualità» che di «popolarità».

Tuttavia, nonostante i problemi qui accennati, esiste anche un aspetto importante sul quale riflettere, e che appare oggi di grande importanza: la società digitale non è pensabile e comprensibile solamente attraverso i contenuti trasmessi, ma soprattutto attraverso le relazioni: lo scambio dei contenuti oggi, al tempo delle reti sociali, avviene all’interno delle relazioni. È necessario dunque non confondere «nuova complessità» con «disordine» e «aggregazione spontanea» con «anarchia». La Chiesa è chiamata ad approfondire maggiormente l’esercizio dell’autorità in un contesto fondamentalmente reticolare e dunque orizzontale. Appare chiaro che la carta da giocare è la testimonianza autorevole.

La logica dei social networks ci fa comprendere meglio di prima che il contenuto condiviso è sempre strettamente legato alla persona che lo offre. Non c’è, infatti, in queste reti nessuna informazione «neutra»: l’uomo è sempre implicato direttamente in ciò che comunica. Ciascuno è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità e il proprio compito nella conoscenza. In questo senso il cristiano che vive immerso nelle reti sociali è chiamato a un’autenticità di vita molto impegnativa: essa tocca direttamente il valore della sua capacità di comunicazione. Infatti, ha scritto Benedetto XVI nel suo recente Messaggio per la 45° Giornata delel Comunicazioni Sociali, «quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali». La tecnologia dell’informazione, contribuendo a creare una rete di connessioni, dunque sembra legare più strettamente amicizia e conoscenza, spingendo gli uomini a farsi «testimoni» di ciò su cui fondano la propria esistenza.

Se una volta il testimonial era una figura autorevole speciale, oggi tutti, a loro modo, sono sollecitati a diventarlo. Si prefigura, quindi, un rinnovato impulso al «misterioso incontro tra le possibilità tecnologiche dei linguaggi della comunicazione e l’apertura dello spirito all’iniziativa luminosa del Signore nei suoi testimoni»15. Un annuncio del Vangelo che non passi per l’autenticità di una vita quotidiana personale condivisa resterebbe, oggi più che mai, un flatus vocis, un messaggio espresso in un codice comprensibile forse con la mente, ma non col cuore. La fede quindi non solo si «trasmette», ma soprattutto può essere suscitata nell’incontro personale, nelle relazioni autentiche

La Chiesa in Rete è chiamata dunque non solamente a una «emittenza» di contenuti, ma soprattutto a una «testimonianza» in un contesto di relazioni ampie composto da credenti di ogni religione, non credenti e persone di ogni cultura. L’autorità oggi si gioca molto sul piano della testimonianza autorevole che non scinde il messaggio dalle relazioni «virtuose» che esso è in grado di creare.

Come pensare la Rete teologicamente?

La Rete, come abbiamo visto fino a questo momento, pone sfide davvero significative alla comprensione della fede cristiana. La cultura digitale ha la pretesa di rendere l’essere umano più aperto alla conoscenza e alle relazioni. Fin qui abbiamo identificato alcuni dei tanti nodi critici che questa cultura pone alla vita di fede e alla Chiesa.

Forse dunque è giunto il momento di considerare l’intelligenza della fede al tempo della Rete, cioè la riflessione sulla pensabilità della fede alla luce della logica della Rete. Si tratta della riflessione che nasce dalla domanda su come la logica della Rete, con le sue potenti metafore che lavorano sull’immaginario, oltre che sull’intelligenza, possa modellare la comprensione della ricerca di Dio, il modo di comprendere la Chiesa e la comunione ecclesiale, la teologia della Grazia e così via. La riflessione è quanto mai importante perché risulta facile constatare come sempre di più internet contribuisca a costruire l’identità religiosa delle persone. E se questo è vero in generale, lo sarà sempre di più per i cosiddetti «nativi digitali». Fides quaerens intellectum e questo anche nel nostro tempo in cui la logica della Rete segna la nostra intelligenza della realtà, il nostro modo di pensare, conoscere, comunicare, vivere.

***

L’immagine che forse rende meglio il ruolo e la pretesa del cristianesimo nei confronti della cultura digitale è quella dell’«intagliatore di sicomori» mutuata dal profeta Amos (7, 14) e interpretata da san Basilio. L’allora card. Ratzinger in un suo discorso a un convegno dal titolo Parabole mediatiche16 usò questa fortunata immagine per dire che il cristianesimo è come un taglio su un fico. Il sicomoro è un albero che produce molti frutti che restano senza gusto, insipidi, se non li si incide facendone uscire il succo. I frutti, i fichi, dunque, rappresentano per Basilio la cultura del suo tempo. Il Logos cristiano è un taglio che permette la maturazione della cultura. E il taglio richiede saggezza perché va fatto bene e al momento giusto. La cultura digitale è abbondante di frutti da intagliare e il cristiano è chiamato a compiere quest’opera di mediazione tra il Logos e la cultura digitale. E il compito non è esente da difficoltà, ma appare oggi più che mai esigente. In particolare è necessario cominciare a pensare la Rete teologicamente, ma anche la teologia nella logica della Rete.



1 BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, n. 69.

2 Cfr A. SPADARO, Web 2.0. Reti di relazione, Milano, Edizioni Paoline, 2010.

3 L’intervento aveva il titolo «Comunicazione e cultura, nuovi percorsi di evangelizzazione nel Terzo Millennio» (9 novembre 2002). Lo si può leggere in www.internetica.it/comunicazioni_Ratzinger.htm

4 Cfr H. RAHNER, L’ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Roma, Ed. Paoline, 1971.

5 Cfr A. DULLES, Models of the Church, Garden City (NY), Image Books, 1987.

6 D. J. FRIESEN, Thy Kingdom Connected. What the Church Can Learn from Facebook, the Internet, and Other Networks, Grand Rapids (MI), Baker Books, 2009, 31.

7 Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio n. 152.

8 K. BREWIN, Sign of Emergence. A vision for Church That Is Organic, Networked, Decentralized, Bottom-Up, Communal, Flexible, Always Evolving, Gran Rapids, BakerBooks, 2007.

9 D. J. FRIESEN, Thy Kingdom Connected…, cit., 80 s.

10 Ivi, 114.

11 Cfr P. LÈVY, Il virtuale, Milano, Raffaello Cortina, 1997, 10.

12 Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio n. 147.

13 Ivi, nn. 156 e 158.

14 Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali del 2009.

15 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, cit.

16 Parabole mediatiche è il titolo di un Convegno nazionale che fu organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana dal 7 al 9 novembre 2002. Il discorso fu pronunciato durante la sessione finale.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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giu 18, 2011 by

I CATTOLICI  FACEBOOKISTI

Sembravano cazzari, invece erano apostoli.

Che sanno ridere di se stessi

 

La chiesa ha sempre anticipato i tempi. Solo nel ’68 decise di inseguirli. I tradizionalisti: cacciati nella catacomba, se ne scapparono dalla finestra… window. E su internet ai progressisti cadde la maschera da Dorian Gray. Facebook: qui rendiamo ragione della speranza in noi. Ridendo di noi. Il primo papa e l’ultimo papa, una sola parola: spiegate a chi vi domanda. Ma con dolcezza.

 

E visto che la rete non ha padroni, ce ne siamo impadroniti: certo, gareggiando quanto a presenza coi siti porno, ma pure ‘sta cosa la guardo con ottimismo: noi dopo due millenni siamo ancora qui a parlare di Cristo, gli altri si son ridotti, dopo aver strombazzato tutte le rivoluzioni e le mode, alla cosa più scontata: tette e culi. Più originali di così! Infatti, noi ancora scandalizziamo parlando del buon vecchio Gesù; questi è già un miracolo, prima ancora che un peccato, se provocano qualche erezione. Non hanno fatto molta strada: sono passati dal ’68… al 69 (gli abituè capiranno…)

 

 

di Antonio Margheriti Mastino

 

LA CHIESA HA SEMPRE ANTICIPATO I TEMPI. SOLO NEL ’68 DECISE DI INSEGUIRLI

Che ce lo nascondiamo a fare? Siamo tutti facebookisti.

Qualcuno si meraviglia dell’assiduità, talora ostinata e chiassosa, con cui i cattolici su internet spesso tengono banco. In modo certamente più sistematico, logico e meno casuale degli utenti con altre priorità. Magari proprio quella di sputtanare i cattolici e i preti: esercizio antico, alla fine sempre sterile quello di clorizzare il clero: il quale può solo autodistruggersi ma non può essere distrutto.

Si meravigliano che i cattolici abbiano inventato la militanza (anche) online: io mi meraviglio dei crisantemi che si meravigliano: siamo banditi, almeno noi cattolici non rinnegati e ostinatamente bambini, dai giornali, dalle case editrici, dalle tv pubbliche e private, di fatto dai parlamenti, a momenti pure dai negozi e dai ristoranti, un tempo vietati solo ai cani e agli ebrei, da qualche parte dobbiamo pur dire la nostra. E visto che la rete non ha padroni, ce ne siamo impadroniti: certo, gareggiando quanto a presenza capillare coi siti pornografici, ma pure ‘sta cosa la guardo con ottimismo: noi dopo due millenni siamo ancora qui a parlare di Cristo, gli altri si son ridotti, dopo aver inaugurato con tanto di tromboni tutte le rivoluzioni e le mode, alla cosa più scontata del mondo: tette e culi. Più originali di così! Infatti, mentre noi ancora scandalizziamo parlando del buon vecchio Cristo, questi è già un miracolo, prima ancora di essere un peccato, se provocano qualche erezione. Non hanno fatto molta strada: sono passati dal ’68… al 69 (gli abituè capiranno…)

Si meravigliano di questa presenza dentro la modernità tecnologica dei cattolici. Perchè non conoscono una mazza della storia cattolica, e siccome il cattolicesimo è l’unica storia possibile d’Occidente (come germinazione o contrapposizione), viene il sospetto neppure della storia in generale. Sapessero pensarla la storia, saprebbero che la Chiesa sin dall’inizio non solo ha cavalcato tutti i migliori mezzi di circolazione delle idee, ma spesso li ha anticipati, quando non inventati essa stessa. Sono stati i “tempi” a inseguire la Chiesa, mai il contrario. Solo dopo il ’68, mettendosi la pretaglia a inseguire, nel clima di delirante ottimismo a prescindere dell’epoca, i dannati “tempi”, soltanto da allora la chiesa si è dovuta acchiappare alla coda della contemporaneità. E quando ha tentato di calvalcarla, lo ha fatto con un anacronismo che ha suscitato pena persino nei suoi peggiori nemici, un fuori tempo massimo che suscitava riso e compassione.

Il papa naviga. Gli donano un notebook

Emblematico il caso di Leonardo Boff, il fondatore della Teologia della Liberazione, che si fece un viaggio (rigorosamente “guidato” dai funzionari del PCUS) in Urss nel 1988, l’anno prima del crollo del Muro di Berlino. Se ne tornò entusiasta come un bambino, cinguettando della “modernità, giustizia, invidiabilità” di quel sistema, dove persino la Chiesa era “libera come in nessun altro posto”. Gli stessi accompagnatori a sentirlo ne provarono un misto di ilarità, pietà e disprezzo: provenienti dai servizi segreti comunisti, vero centro nervoso dei regimi rossi del tramonto, erano stati loro stessi a trasmettere ai governi centrali, dopo l’autopsia generale del sistema, il referto in cui si ordinava di preparare l’immediata transizione, lo sganciamento dal comunismo e l’avvio verso una sorta di democrazia occidentale, perchè, spiegavano, “la burocrazia, l’apparato comunista può ancora reggere per massimo due anni e forse meno”. Il povero patetico Boff si illuse lo avrebbero creduto moderno abbracciando le “magnifiche sorti e progressive” moriture (per tutti, tranne che per lui e i radical-chic) e non si rendeva conto che aveva preso per mano un cadavere putrefatto: mai un uomo di chiesa risultò più disgustoso nella sua ottusità, mai uno aveva toccato sino a tal punto il fondo del ridicolo: il peggio è che molto vescovame lo prese pure sul serio. Vecchio babbione!

Ma tornando a noi. Dicevamo che quanto a impiego missionario delle “tecnologie” la Chiesa ha sempre preceduto e anticipato i tempi. Che cos’era all’epoca, per dirne una a caso, l’accortezza architettonica di un pulpito attaccato in alto sul muro della navata, per migliorare l’acustica delle omelie quando mancavano ancora 1.500 anni all’invenzione del microfono? Siamo tutti d’accordo che potremmo fare centinaia di migliaia di esempi: ma non è il caso: la stessa nostra storia, la nostra vita testimonia che siamo il prodotto di quella temporale ininterrotta saggezza cattolica, antica e sempre nuova.

 

I TRADIZIONALISTI: CACCIATI NELLA CATACOMBA. SE NE SCAPPARONO DALLA FINESTRA… WINDOW

Suscita ancora più stupore il fatto che spesso una larga parte di questi cattolici online, siano quelli più conservatori, ortodossi, o per usare la parola da 50 anni tabù dei tabù anche in mezzo a un postribolo di preti e suore spogliati, “tradionalisti”. E che questi in genere siano i più assidui, roboanti, accaniti, dalla tastiera cruenta ma pure dalle idee belle chiare… cattoliche, facendosi sentire e persino ascoltare, questo suscita ancora più stupore amaro. Mysterium iniquitatis!, bofonchiano parecchi prodini stappati a tutti i carnevali.

Neppure qui c’è da meravigliarsi, in realtà. Essendo stati i cattolici intransigenti e -Dio non voglia!- “tradizionalisti”, considerati dalla base e dal vertice alla stregua di cani rognosi, se gli andava bene; nella peggiore ipotesi, che sembra persino preferibile alla prima ma non è, politicamente scorrettissimi. Soprattutto sordi alle mode del “tempo”. E perciò banditi dal progressismo trionfante, con una protervia che lascia basiti, da ogni contesto ecclesiale. Questi poveracci si sono ritrovati dalla sera alla mattina, infilati a calci in culo nelle catacombe, e chiusi dall’esterno a doppia mandata. Qualcuno avrebbe voluto persino riempirla d’acqua quella catacomba, per precauzione… si sa mai!, e forse solo lo Spirito Santo impedì a suo tempo al pontefice di benedire. Avevano la colpa odiosa quei “ribelli” di essere quei bambini molesti che alzando l’innocente ditino indicano il re portato nel suo falso trionfo, dove l’applauso mondano maschera lo scherno, e gridano con gli occhioni sgranati della verità: “il re è nudo!”. Erano uno specchio quei tradizionalisti, che negli anni della baldoria e dell’apostasia generalizzata e modaiola, ricordavano a questi stessi apostati modaioli, ciò che avevano smesso d’essere: cattolici. Gli ricordavano la loro giovinezza pulita e devota, che non era più.
Rinchiuderli e umiliarli così fu l’errore fatale dei progressisti, togliergli ogni cattedra, pulpito, voce li ha spinti a rinchiedersi in casa. E siccome chi è avanti ai tempi sono sempre i cattolici veri e non quelli posticci che i tempi rincorrono, questi qui nella solitudine desolata di questa loro cattolicità intemerata e in esilio, in questa cattività che talora si trasformò in cattiveria, ebbero un singulto di gioia improvviso un giorno. Dentro casa scoprirono una cosa sconosciuta agli altri: il computer. E poco dopo internet. Capirono tutto: era l’unica via d’uscita dalla catacomba che la Provvidenza gli stava adesso concedendo affinchè qualcuno nella Chiesa tornasse a dire sì-sì no-no. Non se la fecero scappare. Anzi, ci si buttarono a capofitto in questa cattedra della solitudine e senza allievi. Senza allievi… così credevano, tradizionalisti e progressisti, i primi per eccesso di pessimismo (come potevano credere diversamente, cioè di non essere rimasti gli unici esemplari in via d’estinzione al mondo, quando tutto gli era contro, tutti glielo ripetevano?) i secondi per eccesso di ottimismo che nasceva a mezzo fra la loro arroganza e la loro minchioneria.

In realtà, quando cominciarono a fare bene i conti, notarono che non solo non erano soli, non solo c’erano tanti compagni di sventura, ma che v’erano anche tanti maestri e tanti allievi. All’improvviso ci siamo resi conto di aver invaso tutto il web: forse nulla di “cattolico” ha tante migliaia di blog e siti a livello planetario quanto i tradizionalisti. E tutti abbiamo assistito alla pesca miracolosa, al moltiplicarsi di pani e pesci: avevamo precorso i tempi… in tempi non sospetti. Dall’età media bassissima dei tradizionalisti online (e poi non solo) fu chiaro che non c’era tempo per il passatismo, che questa nicchia cattolica non era poi così nicchia: era un arcipelago, un mondo, un cosmo, non composto solo da testimoni dei tempi andati, da reduci, ma al contrario e soprattutto da epigoni, quelli che erano venuti “dopo”, in tempi ancor meno sospetti. Giovanissimi tradizionalisti: praticamente la Chiesa di domani. I tradizionalisti, che tutti si immaginavano e forse in buonafede dipingevano come vecchi bacucchi vestiti alla gagà, oltretutto di pessimo carattere (e forse era pure vero, ma perchè dopo tanti soprusi come minimo erano incazzati neri), un po’ fenomeni da baraccone un po’ da clinica per disturbi della personalità, invece si dimostravano adesso modernissimi e aggiornati, non solo nell’aspetto, non solo per la loro tecnologizzazione, ma proprio nella mentalità: frizzante, gaiarda, carica di ormoni e idee che a lungo erano state compresse ma non atrofizzate nella catacomba coatta.

Avevano scoperto, questi ragazzi ortodossi, la loro arma di riconversione di massa: internet. Attraverso la tastiera, i social-network, in men che non si dica sono riusciti a penetrare ovunque: fra gli adolescenti, le associazioni cattoliche, sulle scrivanie di brillanti scrittori cattolici e opinion-maker che abbandonando le precedenti posizioni liberal, si sono offerti supporter a molte della cause della Tradizione. Quindi si sono infiltrati, inizialmente online, nelle parrocchie, negli episcopi, su su fino alle Sacre Stanze: l’elezione di Ratzinger fu il colpo scuro, ma tutt’altro che finale. Era invece il segnale di inizio della battaglia campale con i vecchi, superstiti, sclerotici, sempre più ossessionati dalle loro, poche e malate, idee fisse, degli ultimi progressisti, che dal canto loro comunque gestivano e gestiscono tutte le conferenze episcopali. Ma il domani è nostro. E questo grazie alla nostra tastiera, alla nostra pennetta internet: oggetti così disprezzati in genere dal solito intellettuale della magna-magna-grecia, il solone schizzinoso, modernista e modaiolo pure quando è antiquato.

 

E SU INTERNET AI PROGRESSISTI CADDE LA MASCHERA DA DORIAN GRAY

Poi certo, oltre alla ruspante presenza del cattolico tradizionalista e conservatore, su internet c’è pur sempre l’altra tipologia di cattolico: quello mieloso, bucolico, francescano nel senso ecologista del termine, dai buoni sentimenti tanto buoni da essere buonisti, di prassi chitarrizzato e con sorriso mellifluo incorporato, e più ipocrita di quello dei dittatori che accarezzano bambini. Cattolici amorosi, sentimentalistici, politicamente correttissimi (cioè sdraiati sulla linea di ogni porcata alla moda di stampo radicale, ossia a ogni parola d’ordine delle lobby laiciste con sede a Bruxelles), buonisti insomma (finchè applaudi) e, Dio ne scampi!, cattolici adulti. Che va da sé significa: demo-catto-liberal-comunistizzati. Modaioli pure questi in pratica. E sgualdrine. Ma onestamente, sul web non rendono: sono ripetitivi, stucchevoli, mancano di personalità, di personale e di allievi giovani, sfiniscono se stessi prima degli altri, con mezzo secolo di senile noia che si portano addosso da stitichezza mentale e morale. E poi: hanno già demolito e perseguitato quanto c’era da demolire e perseguitare, si sono arenati nel loro deserto morale. E inoltre internet lo guardano con disprezzo: perchè sono antichi, antiquati, retrò, preistorici, chè se stanno male devi chiamare un archeologo più che un gerontologo. Quando riempiono di fiori le loro affermazioni come minimo eretiche, pensi più a una corona da morto che a un pensiero gentile. Insomma: gli è caduta la maschera di Dorin Gray (sì, ok, so che era un ritratto: non me ne frega niente!)

 

FACEBOOK. QUI RENDIAMO RAGIONE DELLA SPERANZA IN NOI. RIDENDO DI NOI

C’è dell’altro da dire. Proprio in riferimento ai cattolici sui social-network e in modo particolare su facebook. Non è esatto dire, come fanno alcuni per pressapochismo, che si usa fb solo per passare il tempo o peggio per scrivere “cazzate”. Lo fanno in molti, moltissimi, certo: ma quasi mai sono militanti cattolici. Poi, naturalmente, i giuggioloni ci stanno pure fra i cattolici militanti, ma non è una racchia che fa l’epifania. Molti cattolici al contrario (e ho la presunzione di parlare anche di me), fra i tradizionalisti quasi tutti, lo usano per fare precisamente apostolato. E io so che in questo senso son servito a diversi amici e loro a me: a perfezionarci nella dottrina, confermarci nella fede reciprocamente, riconvertirci gli uni gli altri. Persino per riportare alla fede chi la fede l’aveva perduta. E ancora: scambiarci informazioni sul cattolicesimo, farci insieme una cultura cattolica, ripensare la storia e la politica in termini eminentemente cattolici; quindi, subentrata la confidenza, formatasi la comunità virtuale, molti si sono schiariti le idee sui loro reciproci compiti, vocazioni dentro la Madre Chiesa; si son create inseme iniziative, avvenimenti, occasioni di incontro, preghiera, militanza. La messa antica, la stiamo diffondendo così, ragazzi: giusto per farvi un esempio. Si è passati insomma dalla teoria alla pratica: l’apostolato è questo.

Poi è chiaro che, siccome il cattolicesimo prevede “tutto” e vuole il “tutto”, siccome la quaresima è preceduta dal carnevale e il venerdì santo sempre seguito dalla gioia pasquale, l’apostolato deve essere inframmezzato anche dallo scherzo, dal cazzeggio, dalle battutacce fulminanti talvolta, dagli aspetti ridicoli della vita, per non prenderci troppo sul serio per i nostri talenti, per esorcizzare l’orgoglio sempre in agguato: alla ricapitolazione della Creazione deve seguire la… ricreazione. Anche in questo la Chiesa non ha mai avuto bisogno di maestri e di adeguarsi ai tempi: li ha anticipati. Molto meno erano propensi alle “ricreazioni” e al riso, gli arcigni soloni e sommi sacerdoti dell’illuminismo (come pure del protestantesimo) che per esser tale era uggioso assai.

Internet è lo strumento di evangelizzazione che la Provvidenza ci ha affidato in questo nostro tempo; così come in altri, ad altri cattolici d’altri tempi, aveva affidato via via, i predicatori, le barche, i cavalli, la stampa, la radio, la televisione ecc. Utilizzatelo, e non seppellite il vostro talento: mettetelo a disposizione di Cristo e degli amici: di tutto ce ne sarà chiesto conto.

 

 

[Appendice]

IL PRIMO PAPA. L’ULTIMO PAPA. UNA SOLA PAROLA: SPIEGATE A CHI VI DOMANDA.

CON DOLCEZZA

 

Utilizziamolo, sì. Ma usando un’accortezza. Senza andare come i ridicoli liberal-progressisti a scartabellare trovandone edificazione fra le porcherie di protestanti e comunisti, fermiamoci a due cattolici per eccellenza, anzi, eccellenti: san Pietro primo papa e …san (massì!!)… Benedetto XVI ultimo papa (fino a questo momento). Che circa l’apostolato orale il primo e online il secondo hanno detto cose bellissime. Taglio e cucio e ve li ripropongo: mandateli a memoria.

Dice san Pietro ai primi evangelizzatori:

Ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo”. 

Il suo ultimo successore, papa Benedetto, fra tante altre cose,

con il pensiero rivolto alle nostre tastiere, completa il pensiero del predecessore:

Del resto, le dinamiche proprie dei social network mostrano che una persona è sempre coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali. Ne consegue che esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro. Comunicare il Vangelo attraverso i nuovi media significa non solo inserire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diversi mezzi, ma anche testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita. Del resto, anche nel mondo digitale non vi può essere annuncio di un messaggio senza una coerente testimonianza da parte di chi annuncia. Nei nuovi contesti e con le nuove forme di espressione, il cristiano è ancora una volta chiamato ad offrire una risposta a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui (cfr 1Pt 3,15).

L’impegno per una testimonianza al Vangelo nell’era digitale richiede a tutti di essere particolarmente attenti agli aspetti di questo messaggio che possono sfidare alcune delle logiche tipiche del web. Anzitutto dobbiamo essere consapevoli che la verità che cerchiamo di condividere non trae il suo valore dalla sua “popolarità” o dalla quantità di attenzione che riceve. Dobbiamo farla conoscere nella sua integrità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari “annacquandola”. Deve diventare alimento quotidiano e non attrazione di un momento. La verità del Vangelo non è qualcosa che possa essere oggetto di consumo, o di fruizione superficiale, ma è un dono che chiede una libera risposta. Essa, pur proclamata nello spazio virtuale della rete, esige sempre di incarnarsi nel mondo reale e in rapporto ai volti concreti dei fratelli con cui condividiamo la vita quotidiana.

Vorrei invitare, comunque, i cristiani ad unirsi con fiducia e con consapevole e responsabile creatività nella rete di rapporti che l’era digitale ha reso possibile. Non semplicemente per soddisfare il desiderio di essere presenti, ma perché questa rete è parte integrante della vita umana. II web sta contribuendo allo sviluppo di nuove e più complesse forme di coscienza intellettuale e spirituale, di consapevolezza condivisa. Anche in questo campo siamo chiamati ad annunciare la nostra fede che Cristo è Dio, il Salvatore dell’uomo e della storia, Colui nel quale tutte le cose raggiungono il loro compimento (cfr Ef 1,10). La proclamazione del Vangelo richiede una forma rispettosa e discreta di comunicazione, che stimola il cuore e muove la coscienza; una forma che richiama lo stile di Gesù risorto quando si fece compagno nel cammino dei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35), i quali furono condotti gradualmente alla comprensione del mistero mediante il suo farsi vicino, il suo dialogare con loro, il far emergere con delicatezza ciò che c’era nel loro cuore.

La verità che è Cristo, in ultima analisi, è la risposta piena e autentica a quel desiderio umano di relazione, di comunione e di senso che emerge anche nella partecipazione massiccia ai vari social network. I credenti, testimoniando le loro più profonde convinzioni, offrono un prezioso contributo affinché il web non diventi uno strumento che riduce le persone a categorie, che cerca di manipolarle emotivamente o che permette a chi è potente di monopolizzare le opinioni altrui. Al contrario, i credenti incoraggiano tutti a mantenere vive le eterne domande dell’uomo, che testimoniano il suo desiderio di trascendenza e la nostalgia per forme di vita autentica, degna di essere vissuta.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740733] IN RETE SENZA RETORICA..... IlGiornale scrive del blog papalepapale.com con il quale collaboriamo...

I n rete vi è una miriade di siti e blog cattolici. Alcuni trasudano buoni sentimenti da parrocchietta, altri s'impostano con formali toni vescovili, quelli «tradizionalisti» tendono un po' al sepolcrale. Fra i degni di attenzione, anche per non credenti, spicca papalepapale.com. Se ne stanno accorgendo molti internauti, dato che il sito, nato appena sei mesi fa, ha toccato la quota dei diecimila contatti. Merito non solo dei contenuti: «Non basta avere delle idee, sapere delle cose. Non basta volerle dire. È necessario saperle raccontare, magari per iscritto» ci dice il fondatore Antonio Margheriti Mastino, «cattolico dell'intransigenza», esperto della storia delle morti e delle malattie papali e dei riti funebri pontifici.

Convinto, come Vittorio Messori, che la Chiesa sia «indietro di trent'anni» sul piano della comunicazione, ha voluto uno spazio on line che sappia spiegare il cattolicesimo «al vicino di casa».
Cose da dire in modo «papalepapale», dunque: nel rispetto dell'ortodossia e del magistero ma anche senza retorica stucchevole . «Raccontare on the road la Chiesa» è il sottotitolo del sito, e subito viene in mente il cattolico più atipico d'America: Jack Kerouac.
Continua Mastino: «Non ci interessa il pubblico anziano, i vecchi scarponi di sacrestia e democristianume: sono imbevuti di cattocomunismo, che è in fase di metastasi terminale. Puntiamo a quelli sotto i 40, e ai ragazzini: su di loro si può ancora incidere, cambiarli. Perch´ la Chiesa del futuro somigli più a quella delle origini: politicamente scorretta, scandalosa, di rottura con la mondanità ma incarnata». I redattori di Papalepapale non inseguono le notizie («perch´ non è cattolico») ma fanno approfondimento sulla storia della Chiesa e sul senso della liturgia. Già i titoli dei loro pezzi sono tutto un programma: «Controstoria imbarazzante di Allende (massone e nazicomunista)», «Lutero anticipatore della soluzione finale», «Ma poi San Francesco era davvero il cicciobello che dicono?», «Certi preti son capaci di guastare perfino gli atei». Non mancano interventi più politici, sempre in ottica cattolica, come «Cristo è venuto a portare la spada. Strappiamo la bandiera della pace» e «Del perch´ non possiamo dirci democristiani».

A proposito di politica, Mastino, con alle spalle un passato da militante diessino ma ora «arcitaliano» elettore del Pdl, promette scintille con un prossimo intervento: «Berlusconi si giudica con la teologia».


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Riflessioni morali sull’uso di Internet  [SM=g1740733]



«È gran sapienza non credere a tutto quello che si sente dire e il non propalare subito quello che si è udito e creduto» (Imitazione di Cristo, L. 1, c. 4, 2).

La diffusione di internet è ormai sotto gli occhi di tutti e le case dei tradizionalisti non ne vanno esenti: d’altra parte entra anche nei Priorati… Mi sembra giunto il momento di dire qualcosa sulla moralità dell’uso di internet.

Tralascio volutamente l’aspetto legato alle oscenità di cui questo strumento può essere veicolo: ricordo solamente ai genitori che, lasciare libero accesso ad internet ai figli, è un’imprudenza colossale: se proprio ci deve essere in casa, il computer collegato alla rete sia collocato in una stanza comune (…e quindi, mai nella stanza dei ragazzi).

In queste righe vorrei considerare l’uso di internet sotto un altro punto di vista, sempre morale ma di altro genere: mi riferisco ai vari forum e alle variegate mailing-list che intasano le nostre caselle di posta elettronica.

Siamo tutti teologi

Internet, oltre ai vantaggi che tutti conoscono, ne comporta un altro degno di attenzione: il fatto di trovarsi dietro ad uno schermo, meglio ancora se protetti da un nick-name (un nome in codice che nasconde la vera identità) fa diventare immediatamente… teologi. Straordinario ma è così. C’è gente che studia anni per avere una licenza in teologia; altri invece s’iscrivono ad un forum o ad una mailing-list ed eccoli pronti a disseminare le loro sentenze illuminate ed illuminanti sugli internauti affamati di verità. Discettano, con abbondanti citazioni di illustri teologi su infallibilità pontificia, canonizzazioni, validità dei sacramenti, liturgia, magistero ordinario universale, e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente con relativi anatemi riservati a chi osa scostarsi dal loro autorevole insegnamento. Anatema …click.

È bello vedere il fiorire di questi teologi che osano volare là dove altri – evidentemente molto meno dotati di loro – non hanno mai osato.

Ora, fuori dall’ironia, vorrei qui fare una riflessione: la teologia è una cosa seria, così seria che non si può fare dietro ad uno schermo, in tempo reale. La teologia è l’apice del sapere. Se è vero che la metafisica è la più alta delle scienze umane – cioè delle scienze che conoscono la realtà con la sola luce naturale della ragione – la teologia sta ancora più in alto, in quanto la luce che l’illumina è la luce stessa di Dio.

Dio può essere conosciuto con le forze naturali della ragione, per mezzo delle creature, come Autore dell’ordine naturale. Ma vi è una “scienza di Dio” che non si può acquisire con le sole forze della ragione, perché presuppone che Dio stesso si sia manifestato agli uomini mediante la Rivelazione. È questa la teologia in senso stretto. Si capisce, allora, che il teologo debba ad un tempo possedere perfettamente sia la filosofia sia il dato rivelato, così come viene proposto dal Magistero, per poter effettuare quella sintesi – opportunamente innaffiata dalla preghiera – che contraddistingue la vera teologia dalla discussione da Bar dello sport.

Il teologo deve essere prima di tutto umile. Poi deve essere docile alle ispirazioni di Dio, essendo la materia di cui tratta la più elevata e la più sublime. Dall’unione tra umiltà e docilità sboccia il dono della sapienza.

Tutta merce assolutamente assente da forum e mailing-list. Sfido chiunque a provarmi il contrario. Mosso dal dono di sapienza, un teologo del calibro di san Tommaso d’Aquino, di fronte ad una questione particolarmente difficile, non trova di meglio che mettere la sua testa nel tabernacolo! Il tabernacolo, capito? Non lo schermo di un computer.

Copia-incolla o… taglia e cuci?

L’altro enorme vantaggio di internet su qualsiasi altro mezzo di comunicazione è il fatto di poter diffondere a velocità vertiginosa, senza sforzo e senza spesa, la Buona Novella. Sennonché, con la stessa facilità e con incidenza centomila volte maggiore, si può diffondere l’errore, o anche solo l’imprecisione; la calunnia, o anche solo il dubbio su di una persona; la maldicenza, ecc.

Questa semplice constatazione dovrebbe far riflettere l’internauta prima di effettuare il fatidico “click” e diffondere una notizia, un giudizio, ecc. Pazienza per colui che non si pone il problema morale, ma l’internauta cattolico il pensierino salutare se lo dovrebbe porre.E invece, un giro rapidissimo sui forum cattolici che gravitano intorno alla Tradizione ci fa scoprire con orrore che pullulano di cattiverie, maldicenze, insinuazioni del tutto gratuite. Ci si chiede veramente se chi scrive – o diffonde – quelle cose abbia seriamente riflettuto sulla portata dell’8° Comandamento “non dire falsa testimonianza”.

Iudico …ergo sum

Che dire poi del prurito di commentare? Con una tastiera e un mouse si diventa tutti editorialisti, opinionisti, saggi ispirati che ritengono che il loro giudizio apporti alla povera umanità quella luce che fino ad allora mancava. E allora – pur non richiesti – diffondono, a piene mail, il loro verbo su qualsiasi argomento: attualità, politica, vita ecclesiale, ecc. Un giudizio non si nega su nulla e nessuno.Anche se temerario… Ora, è vero che l’operazione definita “giudizio” è propria dell’uomo in quanto essere razionale; tuttavia non c’è l’obbligo di portare un giudizio su tutto e su tutti, a maggior ragione se non richiesto, e ancor più quando non si è propriamente sicuri dei fatti.

«Non giudicate e non sarete giudicati […], perché con la stessa misura onde avrete misurato, sarà rimisurato a voi» (Lc 6, 37ss).

Monito per tutti

Tutti ricorderanno la singolare penitenza che san Filippo Neri impose a quella pia donna venuta a confessarsi di aver l’abitudine di parlare male del prossimo. Il Santo, per farle capire i tremendi effetti di quel peccato, le impose di spennare una gallina morta per le strade di Roma e poi di ritornare da lui. La donna eseguì e – tornata dal Santo – gli chiese che cos’altro dovesse fare.

«Ora tornerete per quelle stesse vie dove siete passata e raccoglierete ad una ad una tutte le piume della gallina che avete spennato, senza lasciarne attorno nessuna».

«Ma, Padre mio, mi chiedete una cosa impossibile! – esclamò disperata la povera penitente – Soffiava tanto vento che chissà dove avrà trasportato quelle piume».

«Lo so anch’io – concluse il Santo – ma con questo volevo farvi conoscere che le vostre maldicenze rassomigliano a queste piume».

Ci vorrebbe un altro Pippo Buono per escogitare una penitenza proporzionata per chi sparge, a suon di kilobyte, le maldicenze più malevoli e i giudizi più perfidi.

Effetto trasparenza

Infine internet permette di condividere con altri utenti le proprie conoscenze, le proprie esperienze, ecc. Non solo fra amici, ma anche con persone sconosciute. È finita l’éra del diario segreto col lucchettino. Ora si chiama blog, in cui ci si racconta al grande pubblico: vizi e virtù. Ce n’è per tutti.

Anche le discussioni acquistano un carattere pubblico di dimensioni planetarie: è molto più gustoso bisticciare davanti ad una platea di utenti collegati on line. Proprio come quelle belle liti tra casigliani: due bisticciano da un balcone all’altro e tutto il caseggiato ne approfitta, apprendendo un sacco di notizie interessanti sui due contendenti e le relative madri.

Molto bello. Il vantaggio di internet è che il “condominio” che assiste può essere costituito da svariate decine di utenti in copia conforme che si vedono recapitare una serie di mail di botta e risposta con un crescendo wagneriano. Edificante. Molto, molto cattolico…

«Vàssene il tempo e l’uom non se ne avvede…» (Purg. 4, 9)

Per concludere, vorrei sottolineare una altro aspetto. Il computer ci ha abituato a ragionare, agire, comunicare, ecc. ad una velocità inimmaginabile. Tutto si misura in nanosecondi, cioè la miliardesima parte di un secondo: neanche il tempo di scrivere la parola e già ne sono passati qualche migliaio! Il processore del computer, quanto a lui, il tempo lo usa bene: non ne perde neanche uno di nanosecondi. Invece, per contrasto, gli uomini quanto tempo (non più frazioni infinitesimali di secondo, ma ore di sessanta minuti) passano a postare commenti sui forum o a scrivere mail interminabili! Ci si chiede veramente: ma dove lo trovano il tempo per questo? E non avete mai notato l’orario di certi post o di certe mail? Mezzanotte, due di notte, quattro e mezzo…? Ma dico, il giorno dopo, al lavoro (o a scuola), che cosa mi combinano? Non mi sembra questo il modo di «riscattare il tempo», come dice san Paolo aggiungendo «…quoniam dies mali sunt - perché i giorni sono cattivi» (Ef 5, 16): proprio perché cattivi, i giorni vanno impiegati a fare il bene compiendo diligentemente il proprio dovere di stato e non sprecando inutilmente il tempo.

«Serva tempus – non sciupare il tempo», scrivevano saggiamente gli antichi sulle meridiane.

Bisognerebbe scriverlo anche sugli schermi (spenti) dei computer.

Don Luigi Moncalero

Fonte:

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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"Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione", questo il titolo del Messaggio di Benedetto XVI per la prossima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che si celebrerà il prossimo 20 maggio e che è stata l'occasione per il Papa di parlare, appunto, di comunicazione e nuovi media e che è stato presentato nella Sala Stampa Vaticana dall'Arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali.

Nella stessa occasione Celli ha annunciato il nuovo sito del Pontificio Consiglio delle comunicazioni e fatto un bilancio del portale vaticano news.va



[SM=g1740733]



MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA XLVI GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
  
 

"Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione"

[Domenica, 20 maggio 2012]

 

Cari fratelli e sorelle,

all’avvicinarsi della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2012, desidero condividere con voi alcune riflessioni su un aspetto del processo umano della comunicazione che a volte è dimenticato, pur essendo molto importante, e che oggi appare particolarmente necessario richiamare. Si tratta del rapporto tra silenzio e parola: due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone. Quando parola e silenzio si escludono a vicenda, la comunicazione si deteriora, o perché provoca un certo stordimento, o perché, al contrario, crea un clima di freddezza; quando, invece, si integrano reciprocamente, la comunicazione acquista valore e significato.

Il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro, scegliamo come esprimerci. Tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee. Si apre così uno spazio di ascolto reciproco e diventa possibile una relazione umana più piena. Nel silenzio, ad esempio, si colgono i momenti più autentici della comunicazione tra coloro che si amano: il gesto, l’espressione del volto, il corpo come segni che manifestano la persona. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la sofferenza, che proprio in esso trovano una forma di espressione particolarmente intensa. Dal silenzio, dunque, deriva una comunicazione ancora più esigente, che chiama in causa la sensibilità e quella capacità di ascolto che spesso rivela la misura e la natura dei legami. Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio. Una profonda riflessione ci aiuta a scoprire la relazione esistente tra avvenimenti che a prima vista sembrano slegati tra loro, a valutare, ad analizzare i messaggi; e ciò fa sì che si possano condividere opinioni ponderate e pertinenti, dando vita ad un’autentica conoscenza condivisa. Per questo è necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di “ecosistema” che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni.

Gran parte della dinamica attuale della comunicazione è orientata da domande alla ricerca di risposte. I motori di ricerca e le reti sociali sono il punto di partenza della comunicazione per molte persone che cercano consigli, suggerimenti, informazioni, risposte. Ai nostri giorni, la Rete sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte; anzi, spesso l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte. Il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti. Nel complesso e variegato mondo della comunicazione emerge, comunque, l’attenzione di molti verso le domande ultime dell’esistenza umana: chi sono? che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare? E’ importante accogliere le persone che formulano questi interrogativi, aprendo la possibilità di un dialogo profondo, fatto di parola, di confronto, ma anche di invito alla riflessione e al silenzio, che, a volte, può essere più eloquente di una risposta affrettata e permette a chi si interroga di scendere nel più profondo di se stesso e aprirsi a quel cammino di risposta che Dio ha iscritto nel cuore dell’uomo.

Questo incessante flusso di domande manifesta, in fondo, l’inquietudine dell’essere umano sempre alla ricerca di verità, piccole o grandi, che diano senso e speranza all’esistenza. L’uomo non può accontentarsi di un semplice e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita: tutti siamo cercatori di verità e condividiamo questo profondo anelito, tanto più nel nostro tempo in cui “quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali” (Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2011).

Sono da considerare con interesse le varie forme di siti, applicazioni e reti sociali che possono aiutare l’uomo di oggi a vivere momenti di riflessione e di autentica domanda, ma anche a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio. Nella essenzialità di brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico, si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità. Non c’è da stupirsi se, nelle diverse tradizioni religiose, la solitudine e il silenzio siano spazi privilegiati per aiutare le persone a ritrovare se stesse e quella Verità che dà senso a tutte le cose. Il Dio della rivelazione biblica parla anche senza parole: “Come mostra la croce di Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananza dell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata. (…) Il silenzio di Dio prolunga le sue precedenti parole. In questi momenti oscuri Egli parla nel mistero del suo silenzio” (Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 30 settembre 2010, 21). Nel silenzio della Croce parla l’eloquenza dell’amore di Dio vissuto sino al dono supremo. Dopo la morte di Cristo, la terra rimane in silenzio e nel Sabato Santo, quando “il Re dorme e il Dio fatto carne sveglia coloro che dormono da secoli” (cfr Ufficio delle Letture del Sabato Santo), risuona la voce di Dio piena di amore per l’umanità.

Se Dio parla all’uomo anche nel silenzio, pure l’uomo scopre nel silenzio la possibilità di parlare con Dio e di Dio. “Abbiamo bisogno di quel silenzio che diventa contemplazione, che ci fa entrare nel silenzio di Dio e così arrivare al punto dove nasce la Parola, la Parola redentrice” (Omelia, S. Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 6 ottobre 2006). Nel parlare della grandezza di Dio, il nostro linguaggio risulta sempre inadeguato e si apre così lo spazio della contemplazione silenziosa. Da questa contemplazione nasce in tutta la sua forza interiore l’urgenza della missione, la necessità imperiosa di “comunicare ciò che abbiamo visto e udito”, affinché tutti siano in comunione con Dio (cfr 1 Gv 1,3). La contemplazione silenziosa ci fa immergere nella sorgente dell’Amore, che ci conduce verso il nostro prossimo, per sentire il suo dolore e offrire la luce di Cristo, il suo Messaggio di vita, il suo dono di amore totale che salva.

Nella contemplazione silenziosa emerge poi, ancora più forte, quella Parola eterna per mezzo della quale fu fatto il mondo, e si coglie quel disegno di salvezza che Dio realizza attraverso parole e gesti in tutta la storia dell’umanità. Come ricorda il Concilio Vaticano II, la Rivelazione divina si realizza con “eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto” (Dei Verbum, 2). E questo disegno di salvezza culmina nella persona di Gesù di Nazaret, mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione. Egli ci ha fatto conoscere il vero Volto di Dio Padre e con la sua Croce e Risurrezione ci ha fatti passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla libertà dei figli di Dio. La domanda fondamentale sul senso dell’uomo trova nel Mistero di Cristo la risposta capace di dare pace all’inquietudine del cuore umano. E’ da questo Mistero che nasce la missione della Chiesa, ed è questo Mistero che spinge i cristiani a farsi annunciatori di speranza e di salvezza, testimoni di quell’amore che promuove la dignità dell’uomo e che costruisce giustizia e pace.

Parola e silenzio. Educarsi alla comunicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare, e questo è particolarmente importante per gli agenti dell’evangelizzazione: silenzio e parola sono entrambi elementi essenziali e integranti dell’agire comunicativo della Chiesa, per un rinnovato annuncio di Cristo nel mondo contemporaneo. A Maria, il cui silenzio “ascolta e fa fiorire la Parola” (Preghiera per l’Agorà dei Giovani a Loreto, 1-2 settembre 2007), affido tutta l’opera di evangelizzazione che la Chiesa compie tramite i mezzi di comunicazione sociale.

 

Dal Vaticano, 24 gennaio 2012, Festa di san Francesco di Sales

 

BENEDICTUS PP. XVI



[SM=g1740738] abbiamo piacere di constatare che parte di questi consigli del Papa li avevamo individuati da tempo inserendoli nel Regolamento del Forum .....:


Non si abbia fretta di rispondere, ma si proceda ad una riflessione accompagnata dalla Preghiera affinchè lo Spirito Santo possa veramente essere artefice di sante risposte e noi diventare degnamente collaboratori del Progetto di Dio.

[SM=g1740757]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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28/07/2012 16:05
 
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CATTOLICI SUI SOCIAL NETWORK

 

è questione di minuti o di stile?

 

Sto forse troppo su Facebook dite?

Bene. Grazie. Ne tengo conto e ci rifletto. Merita. Posso imparare molto.

E’ una annotazione che apprezzo. Indica attenzione e affetto.

Con il medesimo affetto e come condivisione dell’attenzione reciproca, propongo queste riflessioni a me per primo e a tutti chiedendo aiuto per capire meglio.

Come si può affermare di una persona che sta molto su FB?

Da che cosa dipende? dal fatto che ogni volta che ci sei vedi comparire un mio post? Ne deduco che ci sto quanto ci stai tu.

 

 

 

di Paolo Pugni

 

Alcuni amici fidati, fidati nel senso di persone che conosco, che so mi vogliono bene e sanno essere franchi e schietti anche con quella ruvidità che fa così bene all’amicizia – perché le evita di cadere nella complicità che mira al piacere invece che al bene – mi fanno notare che sembro trascorrere molto tempo su FB. Interessante. E utile. Perché i socialmedia fanno perdere il controllo. E il web ha molti tentacoli con i quali sottrarti alla realtà e farti perdere in un dedalo di link senza fine, che assorbono tempo ed energie.

Questo crea lo spazio per una riflessione attenta, e dovuta, alla presenza on-line perché il rischio di finire risucchiati dalla vita vera dentro a quella virtuale sono molti e seri. Lo puntualizza in modo molto semplice e attento Francesca Ungaro in questo post che prendo come slancio per avviarmi sul cammino tracciato poi da Benedetto XVI nel messaggio per la 45sima giornata per la comunicazione sociale.

IL PAPA DICE “GUARDATE CHE ESISTE UNO STILE CRISTIANO SUL WEB”

In particolare di questo di questo ricco e ampio documento voglio riprendere un passo che ho trovato decisamente sfidante e illuminante: “Esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro”.

Bella scoperta: certo che esiste. Esiste un modo cristiano per fare tutto, anche per guidare in strada. Perché dal modo con cui guido si deve poter dire, come suggeriva san José Maria Escriva, ecco un uomo che legge realmente la vita di Cristo.

Figuriamoci on-line!

In che cosa consiste però? Eh… qui è il problema. Per via di quella esigentissima bilancia che san Paolo ci ha regalato dimenticandosi tuttavia di lasciarci il libretto delle istruzioni. O facendolo apposta, cosa che mi sembra più appropriata.

Ma… quale bilancia? Ah sì, è il modo con cui io chiamo quella secca e ruvida affermazione, quattro parole che stringono alla gola e che costringono a lunghe preghiere e meditazioni e richieste di perdono: veritatem facientes in caritate (Ef, 4, 15). Sperimentare la verità nella carità (o meglio: l’annuncio della verità si realizza nella carità… inteso come agàpe). E la carità nella verità come ricorda proprio Benedetto XVI nella sua omonima enciclica.

COM’È DIFFICILE TROVARE L’EQUILIBRIO IN RETE… TRA VERITÀ E CARITÀ

Perché questo equilibrio è duro da trovare: facile è cadere da un lato nel buonismo sentimentalista, vuoto di verità, che finisce per confondere l’amicizia con la complicità e dare quello che le persone vogliono e non ciò che serve loro. Dall’altro ci sta l’eccesso di rigore, il fondamentalismo farisaico, l’amore per la lettera privo di generosità.

Ben diverso dalla severità misericordiosa di Gesù che non condanna l’adultera, ma nemmeno la giustifica: “vai e non peccare più” dice, non la invita a continuare la sua vita dissoluta.

Come disse una volta il cardinal Biffi: prostitute e pubblicani ci passeranno avanti nel regno in quanto poveri e pentiti, non nell’esercizio delle loro funzioni!

Ora questo equilibrio diventa ancora più complesso in rete, perché qui tutto è caricaturalmente più esasperato: l’ironia è una frequenza ignota e il vantaggio di non guardare in faccia – negli occhi – le persone invita malignamente ad arroventare i toni, così tutti sembriamo al contempo più stupidi e più cattivi in rete di quello che normalmente non siamo.

Non è impossibile, sia chiaro, riuscire a mantenere il dialogo in bacheca. Usando i toni seri e rispettosi di chi sa discutere, separando persone e pensieri. Ma è un impresa titanica che richiede la buona volontà di tutti i convenuti, come intorno ad un camino o un falò da campo,

e che a volte costringe a cacciare dalla cerchia i troll – così si definiscono in rete i disturbatori di professione, i provocatori passionali che distruggono per divertimento – per poter pacatamente riprendere a confrontarsi, magari senza mai trovare convergenze se non nel reciproco rispetto della persona, separata, appunto, dal suo pensiero.

SOMMA DI MINUTI O… SOMMA DI CATTIVERIE?

Mi chiedo allora quante delle mie affermazioni perentorie su Facebook, spesso maliziosamente avvolte nell’ambiguità, siano intrise di questa carità e quanto invece non siano imbevute di velenosa rivendicazione… E se quindi il tempo trascorso in rete non sia troppo più che in somma di minuti, piuttosto in quanto somma di cattiverie.

Mi chiedo se l’affermare con energia certe posizioni possa realmente appartenere alla descrizione che il Santo Padre fa del modo cristiano di stare in rete, e quanto poi trasporti in preghiere le sofferenze e i peccati che colgo sul web.

Perché a volte il dolore che mi coglie nel leggere certi post, o vedere certe foto, o ritrovare per l’ennesima volta quella calunnia a lungo rilanciata, non sono sempre sicuro che sia dolore d’amore, sofferenza per la Chiesa e per Dio, perché potrebbe essere frutto di vanità personale.

Certo, una bella sfida quella che ci presenta Sua Santità, e non la svisceriamo né esauriamo sicuramente in un articolo conciso e secco come questo.

Mi farebbe piacere invece iniziare a parlarne perché ci si possa aiutare reciprocamente.

A cominciare da quegli amici che con la loro battuta mi hanno spalancato la mente e ai quali vorrei rispondere, non attaccare si intende, in questo modo.

PASSO TROPPO TEMPO SUI SOCIAL NETWORK?

Sto forse troppo su Facebook dite?

Bene. Grazie. Ne tengo conto e ci rifletto. Merita. Posso imparare molto.

E’ una annotazione che apprezzo. Indica attenzione e affetto.

Con il medesimo affetto e come condivisione dell’attenzione reciproca, propongo queste riflessioni a me per primo e a tutti chiedendo aiuto per capire meglio.

Come si può affermare di una persona che sta molto su FB?

1) Da che cosa dipende? dal fatto che ogni volta che ci sei vedi comparire un mio post? Ne deduco che ci sto quanto ci stai tu. Tu ci stai troppo? In che senso?

2) Dal fatto che leggendo la mia bacheca vedi molti post? Questo intende che interagisco molto, lo vedo più come una questione di quanto scrivo, non di quanto ci sto.

3) Dal fatto che i miei post sono numerosi e cadenzati nel tempo? Questo può voler dire che passo di frequente in FB: una volta all’ora, non credo sia interpretabile come ci sono continuativamente per ore.

Si può prendere in esame che considero FB anche come strumento utile per la mia professione e che quindi sarebbe come dire che sto molto al computer?

Detto senza nessuna acredine e con l’interesse di comprendere meglio per migliorare.

E per iniziare a dialogare insieme.

http://www.franzrusso.it/condividere-comunicare/stare-troppe-ore-sui-social-media-comporta-dei-rischi/

 







**************

[SM=g1740758] Paolo chiede:

Mi farebbe piacere invece iniziare a parlarne perché ci si possa aiutare reciprocamente.
***
:-) intanto bell’articolo! essendo in rete dal 2001 ho spesso riflettutto sulle tematiche da lei, Paolo, esposte, e non di rado anche da quando c’è FB mi ritrovo a sviluppare i medesimi pensieri…. sollecitati per altro dagli ultimi interventi di Benedetto XVI sulle comunicazioni sociali e quindi anche sull’uso di internet…

Mi piace l’idea ripetuta più volte dal Papa sul concetto di uno “stile cristiano” nei confronti delle comunicazioni sociali e su internet, tuttavia l’unico esempio che abbiamo più vicino a noi è lo stile detto paolino ;-)
le Lettere di san Paolo ci possono insegnare lo stile accompagnato dalla fatica di dire la Verità perchè…. uno stile senza la verità, che la offuschi, o l’accomodi per rendere piacevole una risposta o un confronto, sarebbe veleno per la così detta evangelizzazione…
Del resto lei Paolo ha già sottointeso anche questo aspetto dicendo:

questo equilibrio è duro da trovare: facile è cadere da un lato nel buonismo sentimentalista, vuoto di verità, che finisce per confondere l’amicizia con la complicità e dare quello che le persone vogliono e non ciò che serve loro. Dall’altro ci sta l’eccesso di rigore, il fondamentalismo farisaico, l’amore per la lettera privo di generosità…

:-)parole sacrosante e forse il vero cuore dell’argomento: trovare questo equilibrio perchè la carità non diventi perdonismo, pacifismo, moralismo, con tutti gli ismi diabolici del nostro tempo…. e al tempo stesso la dottrina non diventi una sorta di campo di concentramento :-)

Non so Paolo se sono riuscita ad aiutarla ad approfondire l’argomento, intanto sono io a ringraziarla per aver smosso quell’unico neurone che mi è rimasto attivo e che cerco sovente di non affaticare ma che mi piace accendere in argomenti come questi :-)

[SM=g1740771]
Fraternamente CaterinaLD

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RETI SOCIALI: PORTE DI VERITÀ E DI FEDE; NUOVI SPAZI DI EVANGELIZZAZIONE

Città del Vaticano, 29 settembre 2012 (VIS). Una tra le sfide più significative dell'evangelizzazione oggi è quella che emerge dall'ambiente digitale. Al fine di richiamare l'attenzione su tale sfida, il Papa Benedetto XVI, nel contesto dell'Anno della Fede, ha scelto quale tema della XLVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2013: "Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione", come annuncia un Comunicato delle Comunicazioni Sociali.

"Gli elementi di riflessione - si legge nel Comunicato - sono numerosi e importanti: in un tempo in cui la tecnologia tende a diventare il tessuto connettivo di molte esperienze umane quali le relazioni e la conoscenza, è necessario chiedersi: può essa aiutare gli uomini a incontrare Cristo nella fede? Non basta più il superficiale adeguamento di un linguaggio, ma è necessario poter presentare il Vangelo come risposta a una perenne domanda umana di senso e di fede, che anche dalla rete emerge e nella rete si fa strada". [SM=g1740722]

"Sarà anche questo il modo per umanizzare e rendere vivo e vitale un mondo digitale che impone oggi un atteggiamento più definito: non si tratta più di utilizzare internet come un "mezzo" di evangelizzazione ma di evangelizzare considerando che la vita dell’uomo di oggi si esprime anche nell’ambiente digitale".

È necessario tener conto, in particolare, dello sviluppo e della grande popolarità dei social network, che hanno consentito l’accentuazione di uno stile dialogico ed interattivo nella comunicazione e nella relazione".

"La Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, l’unica giornata mondiale stabilita dal Concilio Vaticano II (“Inter Mirifica”, 1963), viene celebrata in molti paesi, su raccomandazione dei vescovi del mondo, la Domenica che precede la Pentecoste (nel 2013, il 12 maggio).

"Il Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali viene tradizionalmente pubblicato in occasione della ricorrenza di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti (24 gennaio)".


[SM=g1740758]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/01/2013 15:40
 
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  [SM=g1740758] IL PAPA VALUTA POSITIVAMENTE I "SOCIAL MEDIA"

Città del Vaticano, 24 gennaio 2013 (VIS). Questa mattina presso la Sala Stampa della Santa Sede ha avuto luogo la conferenza stampa di presentazione del Messaggio di Benedetto XVI per la XLVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebra quest'anno domenica 12 maggio, sul tema: "Reti sociali: porte di verità e di fede, nuovi spazi di evangelizzazione". Alla conferenza stampa sono intervenuti l'Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ed il Monsignor Paul Tighe, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.

"Il Messaggio di questa Giornata Mondiale - ha detto l'Arcivescovo Celli - presenta una valutazione positiva dei social media, anche se non ingenua. Essi sono visti come opportunità di dialogo e di dibattito e con la riconosciuta capacità di rafforzare i legami di unità tra le persone e di promuovere efficacemente l'armonia della famiglia umana. Questa positività esige però che si agisca nel rispetto della privacy con responsabilità e dedizione alla verità, e con autenticità dato che non si condividono solo informazioni e conoscenze ma in sostanza si comunica una parte di noi stessi".

"La dinamica dei social media - è opportuno sottolinearlo - è inserita in quella ancor più ricca e profonda della ricerca esistenziale del cuore umano. C'è un intrecciarsi di domande e di risposte che dà un senso al cammino dell'uomo. In questo contesto Papa Benedetto XVI tocca un aspetto delicato della vicenda, quando cioè il mare delle eccessive informazioni sovrasta 'la voce discreta della ragione'".

"Il tema dell'attuale Giornata parla di nuovi spazi di evangelizzazione, evangelizzazione che è annuncio della Parola, che è annuncio di Gesù Cristo. Occorre però ricordare, a questo proposito, quanto già Papa Benedetto XVI scriveva nel Messaggio della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2011, quando sottolineava che non si tratta solo di una espressione esplicita della Fede ma sostanzialmente di una efficace testimonianza, cioè nel modo in cui comunicano 'scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita".

Successivamente Monsignor Tighe ha spiegato che "Il Papa dà per scontata l'importanza dell'ambiente digitale come una realtà nella vita di molte persone. Non si tratta di una sorta di mondo parallelo, o solo virtuale, ma di un ambiente esistenziale in cui le persone vivono e si muovono. Si tratta di un 'continente' in cui la Chiesa deve essere presente e dove i credenti, se vogliono risultare autentici nella loro presenza, dovranno cercare di condividere con gli altri la fonte più profonda della loro gioia e della loro speranza, Gesù Cristo. Il forum creato dai social network ci permette di condividere la verità che il Signore ha trasmesso alla sua Chiesa, di ascoltare gli altri, di conoscere i loro interessi e le loro preoccupazioni, di capire chi sono e che cosa stanno cercando".

"Il Papa individua alcune delle sfide che dobbiamo affrontare se vogliamo che la nostra presenza risulti efficace. Dobbiamo migliorare la nostra conoscenza del linguaggio dei social network, un linguaggio che nasce da una convergenza di testo, immagini e suoni, un linguaggio che si caratterizza per la sua brevità e che mira a coinvolgere i cuori e le menti, ma anche l'intelletto. A questo proposito, il Papa ci esorta ad attingere al nostro patrimonio cristiano, che è ricco di segni, simboli ed espressioni artistiche. Abbiamo bisogno di ricordare una verità fondamentale della comunicazione: la nostra testimonianza - le nostre azioni e i nostri modelli di comportamento - è spesso più eloquente delle nostre parole e dichiarazioni per esprimere chi siamo e ciò in cui crediamo. In ambito digitale, il Papa suggerisce che la nostra volontà di coinvolgerci con pazienza e rispetto nelle domande e nei dubbi di coloro che incontriamo nelle reti può costituire una potente espressione della nostra attenzione e sollecitudine nei loro confronti".
 

MESSAGGIO PER LA XLVII GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

 Datato dal Vaticano 24 gennaio, festa di San Francesco di Sales, Patrono della stampa cattolica. Di seguito pubblichiamo il testo integrale:

"Cari fratelli e sorelle,

in prossimità della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2013, desidero proporvi alcune riflessioni su una realtà sempre più importante che riguarda il modo in cui le persone oggi comunicano tra di loro. Vorrei soffermarmi a considerare lo sviluppo delle reti sociali digitali che stanno contribuendo a far emergere una nuova «agorà», una piazza pubblica e aperta in cui le persone condividono idee, informazioni, opinioni, e dove, inoltre, possono prendere vita nuove relazioni e forme di comunità.

Questi spazi, quando sono valorizzati bene e con equilibrio [SM=g1740733] , contribuiscono a favorire forme di dialogo e di dibattito che, se realizzate con rispetto, attenzione per la privacy, responsabilità e dedizione alla verità, possono rafforzare i legami di unità tra le persone e promuovere efficacemente l’armonia della famiglia umana. Lo scambio di informazioni può diventare vera comunicazione, i collegamenti possono maturare in amicizia, le connessioni agevolare la comunione. Se i network sono chiamati a mettere in atto questa grande potenzialità, le persone che vi partecipano devono sforzarsi di essere autentiche, perché in questi spazi non si condividono solamente idee e informazioni, ma in ultima istanza si comunica se stessi.

Lo sviluppo delle reti sociali richiede impegno: le persone sono coinvolte nel costruire relazioni e trovare amicizia, nel cercare risposte alle loro domande, nel divertirsi, ma anche nell’essere stimolati intellettualmente e nel condividere competenze e conoscenze. I network diventano così, sempre di più, parte del tessuto stesso della società in quanto uniscono le persone sulla base di questi bisogni fondamentali. Le reti sociali sono dunque alimentate da aspirazioni radicate nel cuore dell’uomo.

La cultura dei social network e i cambiamenti nelle forme e negli stili della comunicazione, pongono sfide impegnative a coloro che vogliono parlare di verità e di valori. Spesso, come avviene anche per altri mezzi di comunicazione sociale, il significato e l’efficacia delle differenti forme di espressione sembrano determinati più dalla loro popolarità che dalla loro intrinseca importanza e validità. La popolarità è poi frequentemente connessa alla celebrità o a strategie persuasive piuttosto che alla logica dell’argomentazione. A volte, la voce discreta della ragione può essere sovrastata dal rumore delle eccessive informazioni, e non riesce a destare l’attenzione, che invece viene riservata a quanti si esprimono in maniera più suadente. I social media hanno bisogno, quindi, dell’impegno di tutti coloro che sono consapevoli del valore del dialogo, del dibattito ragionato, dell’argomentazione logica; di persone che cercano di coltivare forme di discorso e di espressione che fanno appello alle più nobili aspirazioni di chi è coinvolto nel processo comunicativo. Dialogo e dibattito possono fiorire e crescere anche quando si conversa e si prendono sul serio coloro che hanno idee diverse dalle nostre. “Costatata la diversità culturale, bisogna fa sì che le persone non solo accettino l’esistenza della cultura dell’altro, ma aspirino anche a venire arricchite da essa e ad offrirle ciò che si possiede di bene, di vero e di bello” (Discorso nell’Incontro con il mondo della cultura, Belém, Lisbona, 12 maggio 2010).

La sfida che i network sociali devono affrontare è quella di essere davvero inclusivi: allora essi beneficeranno della piena partecipazione dei credenti che desiderano condividere il Messaggio di Gesù e i valori della dignità umana, che il suo insegnamento promuove. I credenti, infatti, avvertono sempre più che se la Buona Notizia non è fatta conoscere anche nell’ambiente digitale, potrebbe essere assente nell’esperienza di molti per i quali questo spazio esistenziale è importante. L’ambiente digitale non è un mondo parallelo o puramente virtuale, ma è parte della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani. I network sociali sono il frutto dell’interazione umana, ma essi, a loro volta, danno forme nuove alle dinamiche della comunicazione che crea rapporti: una comprensione attenta di questo ambiente è dunque il prerequisito per una significativa presenza all’interno di esso.

La capacità di utilizzare i nuovi linguaggi è richiesta non tanto per essere al passo coi tempi, ma proprio per permettere all’infinita ricchezza del Vangelo di trovare forme di espressione che siano in grado di raggiungere le menti e i cuori di tutti. [SM=g1740722]
Nell’ambiente digitale la parola scritta si trova spesso accompagnata da immagini e suoni. Una comunicazione efficace, come le parabole di Gesù, richiede il coinvolgimento dell’immaginazione e della sensibilità affettiva di coloro che vogliamo invitare a un incontro col mistero dell’amore di Dio. Del resto sappiamo che la tradizione cristiana è da sempre ricca di segni e simboli: penso, ad esempio, alla croce, alle icone, alle immagini della Vergine Maria, al presepe, alle vetrate e ai dipinti delle chiese. Una parte consistente del patrimonio artistico dell’umanità è stato realizzato da artisti e musicisti che hanno cercato di esprimere le verità della fede.


L’autenticità dei credenti nei network sociali è messa in evidenza dalla condivisione della sorgente profonda della loro speranza e della loro gioia: la fede nel Dio ricco di misericordia e di amore rivelato in Cristo Gesù. Tale condivisione consiste non soltanto nell’esplicita espressione di fede, ma anche nella testimonianza, cioè nel modo in cui si comunicano “scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita” (Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2011). Un modo particolarmente significativo di rendere testimonianza sarà la volontà di donare se stessi agli altri attraverso la disponibilità a coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del senso dell’esistenza umana. L’emergere nelle reti sociali del dialogo circa la fede e il credere conferma l’importanza e la rilevanza della religione nel dibattito pubblico e sociale.

Per coloro che hanno accolto con cuore aperto il dono della fede, la risposta più radicale alle domande dell’uomo circa l’amore, la verità e il significato della vita – questioni che non sono affatto assenti nei social network – si trova nella persona di Gesù Cristo. [SM=g1740721]
E’ naturale che chi ha la fede desideri, con rispetto e sensibilità, condividerla con coloro che incontra nell’ambiente digitale. In definitiva, però, se la nostra condivisione del Vangelo è capace di dare buoni frutti, è sempre grazie alla forza propria della Parola di Dio di toccare i cuori, prima ancora di ogni nostro sforzo. La fiducia nella potenza dell’azione di Dio deve superare sempre ogni sicurezza posta sull’utilizzo dei mezzi umani.
Anche nell’ambiente digitale, dove è facile che si levino voci dai toni troppo accesi e conflittuali, e dove a volte il sensazionalismo rischia di prevalere, siamo chiamati a un attento discernimento. E ricordiamo, a questo proposito, che Elia riconobbe la voce di Dio non nel vento impetuoso e gagliardo, né nel terremoto o nel fuoco, ma nel «sussurro di una brezza leggera» (1 Re 19,11-12).
Dobbiamo confidare nel fatto che i fondamentali desideri dell’uomo di amare e di essere amato, di trovare significato e verità - che Dio stesso ha messo nel cuore dell’essere umano - mantengono anche le donne e gli uomini del nostro tempo sempre e comunque aperti a ciò che il beato Cardinale Newman chiamava la “luce gentile” della fede.


I social network, oltre che strumento di evangelizzazione, possono essere un fattore di sviluppo umano. Ad esempio, in alcuni contesti geografici e culturali dove i cristiani si sentono isolati, le reti sociali possono rafforzare il senso della loro effettiva unità con la comunità universale dei credenti. Le reti facilitano la condivisione delle risorse spirituali e liturgiche, rendendo le persone in grado di pregare con un rinvigorito senso di prossimità a coloro che professano la loro stessa fede. Il coinvolgimento autentico e interattivo con le domande e i dubbi di coloro che sono lontani dalla fede, ci deve far sentire la necessità di alimentare con la preghiera e la riflessione la nostra fede nella presenza di Dio, come pure la nostra carità operosa: “se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita” (1 Cor 13,1). [SM=g1740721]

Esistono reti sociali che nell’ambiente digitale offrono all’uomo di oggi occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio. Ma queste reti possono anche aprire le porte ad altre dimensioni della fede. Molte persone stanno, infatti, scoprendo, proprio grazie a un contatto avvenuto inizialmente on line, l’importanza dell’incontro diretto, di esperienze di comunità o anche di pellegrinaggio, elementi sempre importanti nel cammino di fede. Cercando di rendere il Vangelo presente nell’ambiente digitale, noi possiamo invitare le persone a vivere incontri di preghiera o celebrazioni liturgiche in luoghi concreti quali chiese o cappelle. Non ci dovrebbe essere mancanza di coerenza o di unità nell’espressione della nostra fede e nella nostra testimonianza del Vangelo nella realtà in cui siamo chiamati a vivere, sia essa fisica, sia essa digitale. Quando siamo presenti agli altri, in qualunque modo, noi siamo chiamati a far conoscere l’amore di Dio sino agli estremi confini della terra.

Prego che lo Spirito di Dio vi accompagni e vi illumini sempre, mentre benedico di cuore tutti voi, così che possiate essere davvero araldi e testimoni del Vangelo. “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15). [SM=g1740721]


[SM=g1740766]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/09/2013 09:50
 
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI , 21.09.2013

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

Alle ore 12.30 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali che ha luogo dal 19 al 21 settembre 2013 sul tema: "La rete e la Chiesa".
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:

  • DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi saluto tutti e vi ringrazio per il servizio che svolgete in un settore importante, quello della comunicazione, ma dopo aver sentito mons. Celli devo cancellare "settore"… una "dimensione esistenziale" importante… Ringrazio Mons. Claudio Maria Celli per il saluto che mi ha rivolto anche a nome vostro. Vorrei condividere con voi alcuni pensieri.

1. Primo: l’importanza della comunicazione per la Chiesa. Quest’anno ricorrono i 50 anni dell’approvazione del Decreto Conciliare Inter mirifica. Non si tratta solo di un ricordo; quel Documento esprime l’attenzione della Chiesa alla comunicazione e ai suoi strumenti, importanti anche in una dimensione evangelizzatrice. Ma agli strumenti della comunicazione; la comunicazione non è uno strumento! E’ un’altra cosa… Negli ultimi decenni i mezzi di comunicazione si sono molto evoluti, ma questa sollecitudine rimane, assumendo nuove sensibilità e forme. Il panorama comunicativo è diventato a poco a poco per molti un "ambiente di vita", una rete dove le persone comunicano, dilatano i confini delle proprie conoscenze e delle proprie relazioni (cfr BENEDETTO XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2013). Sottolineo soprattutto questi aspetti positivi, nonostante siamo tutti consapevoli dei limiti e dei fattori nocivi che pure esistono.

2. In questo contesto - ed ecco il secondo pensiero - ci dobbiamo domandare: che ruolo deve avere la Chiesa con le sue realtà operative e comunicative? In ogni situazione, al di là delle tecnologie, credo che l’obiettivo sia quello di sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, Sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze. Sono uomini e donne a volte un po’ delusi da un cristianesimo che a loro sembra sterile, in difficoltà proprio nel comunicare in modo incisivo il senso profondo che dona la fede.
In effetti, noi assistiamo, proprio oggi, nell’era della globalizzazione, ad una crescita del disorientamento, della solitudine; vediamo diffondersi lo smarrimento circa il senso della vita, l’incapacità di fare riferimento ad una "casa", la fatica di intessere legami profondi. E’ importante, allora, saper dialogare, entrando, con discernimento, anche negli ambiti creati dalle nuove tecnologie, nelle reti sociali, per far emergere una presenza, una presenza che ascolta, dialoga, incoraggia. Non abbiate timore di essere questa presenza, portando la vostra identità cristiana nel farvi cittadini di questo ambiente. Una Chiesa che accompagna il cammino, sa mettersi in cammino con tutti! E anche c’è un’antica regola dei pellegrini, che Sant’Ignazio assume, per questo io la conosco! In una delle sue regole dice che quello che accompagna un pellegrino e che va col pellegrino, deve andare al passo del pellegrino, non più avanti e non ritardare. E questo è quello che voglio dire: una Chiesa che accompagna il cammino e che sappia mettersi in cammino, come cammina oggi. Questa regola del pellegrino ci aiuterà a ispirare le cose.

3. Il terzo: è una sfida quella che tutti noi affrontiamo insieme, in questo contesto comunicativo, e la problematica non è principalmente tecnologica. Ci dobbiamo domandare: siamo capaci, anche in questo campo, di portare Cristo, o meglio di portare all’incontro di Cristo? Di camminare col pellegrino esistenziale, ma come camminava Gesù con quelli di Emmaus, riscaldando il cuore, facendo trovare loro il Signore? Siamo capaci di comunicare il volto di una Chiesa che sia la "casa" per tutti? Noi parliamo della Chiesa con le porte chiuse. Ma questo è più che una Chiesa con le porte aperte, è più! Trovare insieme, fare "casa", fare Chiesa, fare "casa". Chiesa con le porte chiuse, Chiesa con le porte aperte.
E’ questo: in cammino fare Chiesa. Una sfida! Far riscoprire, anche attraverso i mezzi di comunicazione sociale, oltre che nell’incontro personale, la bellezza di tutto ciò che è alla base del nostro cammino e della nostra vita, la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo. Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore. La nostra presenza, le nostre iniziative sanno rispondere a questa esigenza o rimaniamo tecnici? Abbiamo un tesoro prezioso da trasmettere, un tesoro che porta luce e speranza. Ce n’è tanto bisogno! Ma tutto ciò esige un’attenta e qualificata formazione, di sacerdoti, di religiosi, di religiose, laici, anche in questo settore. Il grande continente digitale non è semplicemente tecnologia, ma è formato da uomini e donne reali che portano con sé ciò che hanno dentro, le proprie speranze, le proprie sofferenze, le proprie ansie, la ricerca del vero, del bello e del buono. C’è bisogno di saper indicare e portare Cristo, condividendo queste gioie e speranze, come Maria che ha portato Cristo al cuore dell’uomo; c’è bisogno di saper entrare nella nebbia dell’indifferenza senza perdersi; c’è bisogno di scendere anche nella notte più buia senza essere invasi dal buio e smarrirsi; c’è bisogno di ascoltare le illusioni di tanti, senza lasciarsi sedurre; c’è bisogno di accogliere le delusioni, senza cadere nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità (cfr Discorso all’Episcopato del Brasile, 27 luglio 2013, 4). Questo è il cammino. Questa è la sfida.

È importante cari amici, l’attenzione e la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo, ma l’incontro con Cristo è un incontro personale. Non si può manipolare. In questo tempo noi abbiamo una grande tentazione nella Chiesa, che è l’"acoso" [molestia] spirituale: manipolare le coscienze; un lavaggio di cervello teologale, che alla fine ti porta a un incontro con Cristo puramente nominalistico, non con la Persona di Cristo Vivo. Nell’incontro di una persona con Cristo, c’entra Cristo e la persona! Non quello che vuole l’ingegnere spirituale che vuol manipolare. Questa è la sfida. Portarlo all’incontro con Cristo nella consapevolezza, però, che noi siamo mezzi e che il problema di fondo non è l’acquisizione di sofisticate tecnologie, anche se necessarie ad una presenza attuale e valida. Sia sempre ben chiaro in noi che il Dio in cui crediamo, un Dio appassionato per l’uomo, vuole manifestarsi attraverso i nostri mezzi, anche se sono poveri, perché è Lui che opera, è Lui che trasforma, è Lui che salva la vita dell’uomo.

E la nostra preghiera, di tutti, perché il Signore riscaldi il nostro cuore e ci sostenga nell’affascinante missione di portarlo al mondo. Mi raccomando alle vostre preghiere, perché anche io ho questa missione, e volentieri vi do la mia Benedizione. 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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11/12/2013 13:45
 
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  Un anno di @Pontifex. Mons. Celli: lungimirante la scelta di Benedetto XVI




Il 12 dicembre di un anno fa, Benedetto XVI apriva il suo account Twitter @Pontifex. Un evento di portata mondiale, che sottolineò - al massimo livello - l’impegno della Chiesa nell’annuncio del Vangelo nei social network. Dopo l’elezione alla Cattedra di Pietro, il testimone è stato raccolto da Papa Francesco con successo, visto che oggi @Pontifex - declinato in 9 lingue - si avvicina agli 11 milioni di follower in tutto il mondo. Alessandro Gisotti ha chiesto all’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del dicastero per le Comunicazioni Sociali, di tracciare un bilancio di questo primo anno del Papa su Twitter:RealAudioMP3 

R. – Quando Papa Benedetto XVI lanciò il primo tweet, era pienamente consapevole dell’importanza di quel momento. Posso confidare che quel giorno gli dissi proprio: “Padre Santo, mentre lei lanciava il primo tweet, io pensavo a ciò che fece il suo predecessore Pio XI, quando per la prima volta alla Radio Vaticana lanciava il suo primo messaggio”. E il Papa mi guardò sorridendo e mi disse: “Sa che ci ho pensato anch’io?”
Il che vuol dire che Papa Benedetto era pienamente consapevole dell’importanza di questa sua presenza in uno dei linguaggi, come quello di Twitter, più utilizzati, specialmente in campo giovanile. E oggi, con Papa Francesco, tutti siamo consapevoli che quella decisione, presa un anno fa, fu lungimirante, positiva. Oggi, abbiamo ormai 11 milioni di follower, ma quello che a noi più interessa è che almeno 60 milioni di persone, attraverso il "retwittaggio" ricevono una parola del Papa, questo breve messaggio, in una situazione di desertificazione spirituale, come diceva Papa Benedetto. Anche una goccia di acqua fresca, dunque, qual è un tweet - 140 caratteri - ha una sua valenza, una sua importanza.


D. – Qual è, secondo lei, il contributo specifico che "Pontifex" sta dando allo sforzo di evangelizzazione del cosiddetto "continente digitale"?

R. - Anche in questo continente deve risuonare la parola di Gesù. Anche perché molti dei suoi abitanti, se non trovano la Parola di Gesù in questo contesto, non la troveranno da altre parti. E credo che questa sia la sfida per tutti noi. Qui direi che dobbiamo riscoprire come ognuno di noi sia presente in questo contesto ambientale, dobbiamo assumere una dimensione missionaria che non è proselitismo. Nel contesto del "continente digitale", dobbiamo far sì che questa parola risuoni. Faccio mio un pensiero di Benedetto XVI, quando parlava delle "Reti sociali". Il Papa diceva che il problema non è di fare citazioni formali del Vangelo, ma nella Rete, in questo ambiente, devono essere presenti valutazioni e testimonianze personali. Direi quasi che i discepoli del Signore dovrebbero far presente in questa contestualità quella che è la sintesi tra la loro fede e la loro vita.

D. - Nella Evangelii gaudium, Papa Francesco esorta a essere audaci e creativi nel linguaggio. I social network possono aiutare in questo impegno, secondo lei?

R. – Credo che la grande sfida per noi, oggi, sia quella di annunciare il Vangelo con un linguaggio che gli uomini e le donne di oggi possano comprendere. Papa Francesco, nella sua Esortazione apostolica, dedica molte pagine e riflessioni al tema del linguaggio, perché il grande rischio è che addirittura il messaggio stesso possa essere travisato. Il Papa dice che potremmo annunciare un "Dio falso", con tutte le buone intenzioni che possiamo avere in cuore. Alle volte, il rischio è proprio che il linguaggio cambi il messaggio. Allora ecco qui il bisogno di poter utilizzare invece un linguaggio che gli uomini di oggi riescano a capire. 

D. – Proprio, nei giorni scorsi, parlando alla Plenaria dei laici, Papa Francesco ha detto che la presenza della Chiesa in Internet è indispensabile, perché la tecnologia non basta...

R. – Io penso che il Papa abbia ricordato a tutti noi che oggi comunicazione non è solamente sforzo tecnologico. Credo che dobbiamo riscoprire che alla base della nostra comunicazione c’è una visione di Chiesa e Papa Francesco sta invitando tutti noi a una conversione pastorale, nel senso che siamo chiamati a dare un volto a questa Chiesa, un volto più attento, più vicino all’uomo e alla donna di oggi, che camminano per le strade difficili di questo mondo. Papa Francesco invita a dare vita a una cultura dell’incontro. Anzi, proprio il tema da lui scelto per la prossima Giornata mondiale della comunicazione è “Una comunicazione per una cultura dell’incontro”. E’ una Chiesa che va incontro all’uomo, che mostra la sua simpatia per l’uomo, che è accanto all’uomo: che non impone, ma propone, che sa dialogare rispettosamente con tutti. La sottolineatura è qui: una comunicazione che si fa incontro con l’uomo di oggi.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/12/11/un_anno_di_@pontifex._mons._celli:_lungimirante_la_scelta_di/it1-754453 
del sito Radio Vaticana 









P.S. Guardate che le "battute sono comunque verosimili perchè tratte da alcune risposte che entrambi hanno dato in alcune interviste  





A chi opera nella rete, suggerisco questa preghiera tratta dal Salmo ;-)

Canterò senza fine la tua gloria, Signore.

Sii Tu la mia roccia,
una dimora sempre accessibile;
hai deciso di darmi salvezza:
davvero mia rupe e mia fortezza Tu sei!
Mio Dio, liberami dalle mani del malvagio.

Sei Tu, mio Signore, la mia speranza,
la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza.
Su di Te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre sei Tu il mio sostegno.

Verrò a cantare le imprese del Signore Dio:
farò memoria della Tua giustizia, di Te solo.
Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito
e oggi ancora proclamo le tue meraviglie.



   




[Modificato da Caterina63 19/12/2013 11:55]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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