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L'Anno sacerdotale un tempo di rinnovamento interiore

Ultimo Aggiornamento: 02/05/2010 00:10
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27/05/2009 11:06
 
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Lettera della Congregazione per il Clero a tutti i vescovi

L'Anno sacerdotale un tempo di rinnovamento interiore




L'Anno sacerdotale in programma dal 19 giugno 2009 al 19 giugno 2010 sarà l'occasione per "riscoprire la bellezza e l'importanza del sacerdozio e dei singoli ordinati", con una particolare attenzione "all'indispensabile e prioritaria promozione delle vocazioni al ministero ordinato". È l'auspicio contenuto nella lettera inviata dalla Congregazione per il Clero a tutti i vescovi del mondo.

Il Papa, lo scorso 16 marzo, durante l'assemblea plenaria del dicastero, aveva annunciato l'evento ecclesiale sottolineando la necessità di "una tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale". L'indizione dell'Anno sacerdotale si inserisce, pertanto, in questa ricerca della "perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l'efficacia del loro ministero". Esso avrà inizio nella solennità del Sacro Cuore di Gesù, giornata della santificazione sacerdotale, nella basilica di San Pietro, con la celebrazione dei vespri presieduti dal Pontefice. L'Anno giubilare coincide con il 150° della morte di san Giovanni Maria Vianney, "vero esempio di pastore a servizio del gregge di Cristo". Per sottolineare questa ricorrenza, durante le celebrazioni di apertura, la reliquia del santo verrà portata a Roma dal vescovo di Belley-Ars e il curato verrà proclamato dal Pontefice "patrono di tutti i sacerdoti del mondo". 

Altra iniziativa in programma è la pubblicazione del Direttorio per i confessori e i direttori spirituali, insieme con una raccolta di testi del Pontefice sui temi essenziali della vita e della missione sacerdotale nell'epoca attuale. Il tema scelto per l'Anno giubilare è "Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote", a indicare "il primato assoluto della grazia, "Noi amiamo perché Egli ci ha amato per primo" (1 Giovanni 4,19) e, nel contempo, l'indispensabile cordiale adesione della libertà amante, memori che il nome dell'amore, nel tempo, è:  "fedeltà!"".

Per la buona riuscita dell'evento ecclesiale, il Papa ha affidato alla Congregazione per il Clero, d'intesa con i vescovi diocesani e i superiori degli istituti religiosi, il compito di "promuovere e coordinare le varie iniziative spirituali e pastorali che appariranno utili a far percepire sempre più l'importanza del ruolo e della missione del sacerdote nella Chiesa e nella società contemporanea". La lettera, a firma del cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione, e dell'arcivescovo Mauro Piacenza, segretario, vuole essere un invito a celebrare l'Anno sacerdotale in ogni diocesi, premettendo un'adeguata preparazione e sollecitando iniziative e incontri, che risveglino l'attenzione del clero e dei fedeli al valore del ministero ordinato. In particolare, i vescovi di ogni parte del mondo sono invitati a unirsi il 19 giugno alla recita dei vespri presieduti dal Papa, promuovendo analoghe celebrazioni in ogni cattedrale o santuario o chiesa significativa della diocesi, coinvolgendo sacerdoti e fedeli.

Allo stesso modo, il dicastero esorta a coinvolgere nelle iniziative le parrocchie, i luoghi di formazione sacerdotale, le associazioni, i movimenti, le scuole cattoliche, i monasteri, gli istituti di vita consacrata e ogni realtà ecclesiale che, "secondo la propria condizione e il proprio carisma, possono offrire un valido contributo all'Anno sacerdotale". Occorre, cioè, sensibilizzare "tutto il popolo santo di Dio:  i consacrati e le consacrate, le famiglie cristiane, i sofferenti e, soprattutto, i giovani così sensibili ai grandi ideali, vissuti con autentico slancio e costante fedeltà".

L'Anno sarà occasione privilegiata per un "approfondimento teologico-spirituale e di missione pastorale - si legge nel testo -, feconda innanzitutto per gli stessi sacerdoti, chiamati a rinnovare la consapevolezza della propria identità e, per conseguenza, a rinvigorire la tensione missionaria che scaturisce dall'intimità divina, dallo "stare" con il Signore. Fecondità pastorale che si dilata a ogni ambito e persona della Chiesa". Perciò è opportuno "riservare la giusta visibilità attraverso i mass media". Oltre a questo necessario coinvolgimento dei mezzi di comunicazione di massa, la lettera del dicastero consiglia ai presuli di consultare il sito internet (www.clerus.org), dove saranno annunciati gli eventi e offerti sussidi utili per ritiri spirituali, momenti di preghiera, convegni e iniziative pastorali.

Tutto ciò senza perdere di vista che l'Anno sacerdotale è un evento "non spettacolare ma che si vorrebbe fosse vissuto soprattutto come rinnovamento interiore nella riscoperta gioiosa della propria identità, della fraternità del proprio presbiterio, del rapporto sacramentale con il proprio vescovo". In particolare, si raccomanda che "sia curata la "presenza" dei sacerdoti in ogni ambito della missione della Chiesa, anche andando incontro a coloro che, pur battezzati, non sono ancora stati sufficientemente evangelizzati".

L'Anno si concluderà con una Giornata mondiale per i sacerdoti, celebrata con il Papa nella solennità del Sacro Cuore di Gesù del giugno 2010. Solo allora sapremo se l'evento avrà risposto alle attese di Benedetto XVI che, nel discorso di indizione, ha ricordato quanto sia "urgente anche il recupero di quella consapevolezza che spinge i sacerdoti a essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l'abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa".



(©L'Osservatore Romano - 27 maggio 2009)
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28/05/2009 10:30
 
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Lettera del Cardinale Hummes per l'Anno sacerdotale

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 27 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la lettera ai sacerdoti del Cardinale Claudio Hummes, Prefetto della Congregazione per il Clero, in vista dell’Anno loro dedicato, che avrà inizio con la celebrazione dei Vespri, presieduti da Benedetto XVI, nella Basilica Vaticana, nella festa del Sacro Cuore di Gesù, il 19 giugno prossimo.  

* * *

Cari Sacerdoti,

L’Anno Sacerdotale, indetto dal nostro amato Papa Benedetto XVI, per celebrare il 150º anniversario della morte di S. Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato D’Ars, è alle porte. Lo aprirà il Santo Padre  il 19 giugno p.v., festa del Sacro Cuore di Gesù e Giornata Mondiale di preghiera per la santificazione dei sacerdoti. L’annunzio di quest’anno speciale ha avuto una ripercussione mondiale positiva, specialmente tra gli stessi sacerdoti. Tutti vogliamo impegnarci, con determinazione, profondità e fervore, affinché sia un anno ampiamente celebrato in tutto il mondo, nelle diocesi, nelle parrocchie, in ogni comunità locale, con il coinvolgimento caloroso del nostro popolo cattolico, che indubbiamente  ama i propri sacerdoti e li vuol vedere felici, santi e gioiosi nel lavoro apostolico quotidiano.

Dovrà essere un anno positivo e propositivo, in cui la Chiesa vuol dire innanzitutto ai sacerdoti, ma anche a tutti i cristiani, alla società mondiale, attraverso i massmedia globali, che è fiera dei suoi sacerdoti, li ama, li venera, li ammira e riconosce con gratitudine il loro lavoro pastorale e la loro testimonianza di vita. Davvero, i sacerdoti sono importanti non solo per ciò che fanno, ma anche per ciò che sono. Al contempo, è vero che alcuni sacerdoti sono talora apparsi coinvolti in  problemi gravi e situazioni delittuose. Ovviamente, bisogna continuare ad investigarli, giudicarli debitamente e punirli. Questi casi, però, riguardano una percentuale molto piccola del clero. Nella stragrande maggioranza i sacerdoti sono persone molto degne, dedicate al ministero, uomini di preghiera e di carità pastorale, che  investono l’intera esistenza nell’attuazione della propria vocazione e missione, spesso con grandi sacrifici personali, ma sempre con amore autentico verso Gesù Cristo, la Chiesa e il popolo, solidali con i poveri e i sofferenti. Perciò, la Chiesa è fiera dei suoi sacerdoti in tutto il mondo.

Quest’anno sia anche un’occasione per un periodo di intenso approfondimento dell’identità sacerdotale, della teologia del sacerdozio cattolico e del senso straordinario della vocazione e della missione dei sacerdoti nella Chiesa e nella società. Ciò richiederà convegni di studio, giornate di riflessione, esercizi spirituali specifici, conferenze e settimane teologiche nelle nostre facoltà ecclesiastiche, ricerche scientifiche e rispettive pubblicazioni.Il Santo Padre, nel discorso d’indizione, durante l’Assemblea Plenaria della Congregazione per il Clero, il 16 marzo u.s., disse che con quest’anno speciale si vuole “favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero”. Perciò deve essere, in modo molto speciale, un anno di preghiera dei sacerdoti, con i sacerdoti e per i sacerdoti, un anno di rinnovamento della spiritualità del presbiterio e dei singoli presbiteri. In questo contesto, l’Eucaristia si presenta come il centro della spiritualità sacerdotale. L’adorazione eucaristica per la santificazione dei sacerdoti e la maternità spirituale di monache,  donne consacrate e laiche verso i singoli presbiteri, come già proposte, qualche tempo fa, dalla Congregazione per il Clero, potrebbero essere sviluppate con sicuri frutti di santificazione.

Sia anche un anno in cui si prendono in esame le condizioni concrete ed il sostentamento materiale in cui vivono i nostri sacerdoti, alle volte obbligati a situazioni di dura povertà. Sia, al contempo, un anno di celebrazioni religiose e pubbliche, che portino il popolo, le comunità cattoliche locali, a pregare, a meditare, a festeggiare e a prestare  il giusto omaggio ai loro sacerdoti. La festa nella comunità ecclesiale è un’espressione molto cordiale, che esprime e nutre la gioia cristiana, una gioia che sgorga dalla certezza che Dio ci ama e con noi festeggia. Sarà un’opportunità per sviluppare la comunione e l’amicizia dei sacerdoti con la comunità loro affidata.

Molti altri aspetti ed iniziative potrebbero essere nominati per arricchire l’Anno Sacerdotale. Qui dovrà intervenire la giusta creatività delle Chiese locali. Perciò, è bene che ogni Conferenza Episcopale, ogni diocesi ed ogni parrocchia e comunità locale stabilisca, al più presto possibile, un vero e proprio programma per quest’anno speciale. Ovviamente, sarà molto importante cominciare l’anno con un avvenimento significativo. Nello stesso giorno dell’apertura dell’Anno Sacerdotale a Roma con il Santo Padre, il 19 giugno, le Chiese locali sono invitate a partecipare, in qualche modo, alla inaugurazione, magari con un atto liturgico specifico e festivo. Coloro che potranno venire a Roma per l’apertura, vengano senz’altro, per manifestare la propria partecipazione a questa felice iniziativa del Papa. Dio, senza dubbio, benedirà questo impegno con grande amore. E la Vergine Maria, Regina del Clero, pregherà per tutti voi, cari sacerdoti.

 Cardinale Cláudio HummesArcivescovo Emerito di São PauloPrefetto della Congregazione per il Clero
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18/06/2009 10:45
 
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martedì 16 giugno 2009
dal Blog di padre Giovanni Scalese: Senza peli sulla lingua


Ecclesia semper reformanda

Due pubblicazioni mi hanno scosso non poco in questi giorni: innanzi tutto il Rapporto della Child Abuse Commission, costituita in Irlanda per indagare sugli abusi su minori compiuti negli istituti gestiti da religiosi (ne ha riferito ZENIT il 21 maggio scorso); quindi il libro di Gianluigi Nuzzi, Vaticano S.p.A. (a cui ha fatto riferimento ieri Sandro Magister sul sito www.chiesa). Non si tratta di novità: sono cose che già sapevamo; ma ciò che colpisce dalla pubblicazione di tali rapporti è l'endemicità di certi fenomeni.

Non sono nato ieri, per cui non mi scandalizzo piú di tanto della fragilità umana; conoscendo me stesso, e sapendo che ogni giorno ho bisogno della misericordia di Dio, non mi straccio le vesti per le debolezze degli uomini di Chiesa. Non sono neppure un manicheo, che divide l'umanità fra buoni e cattivi, come se ci fossero uomini intrinsecamente perversi che vanno esemplarmente puniti e noi, i giusti, che abbiamo il diritto di giudicarli. Per questo non mi sono mai piaciute le campagne mediatiche contro i preti pedofili; è ovvio che essi vadano messi nella condizione di non nuocere, ma senza mai dimenticare che si tratta, anche nel loro caso, di esseri umani che hanno sbagliato e vanno, per quanto è possibile, recuperati.

Ma in questo caso si rimane male perché non si tratta tanto di "debolezze", di "cadute" isolate (situazioni nella quali tutti, prima o poi, possiamo trovarci); si tratta di "sistemi": sembra quasi che fosse normale avere certi comportamenti riprovevoli. Personalmente, ho sempre distinto fra moralità e correttezza. Sul piano morale, tutti possiamo sbagliare: è una questione personale che va affrontata e risolta fra noi e Dio (semmai con la mediazione del confessore). Ma, nello svolgimento delle nostre funzioni, dobbiamo cercare di essere sempre estremamente corretti: se sono un educatore, a prescindere dalle mie personali tendenze, non posso abusare delle persone che sono state affidate alle mie cure ("Maxima debetur puero reverentia"!); se sono un amministratore, devo amministare il denaro che mi è stato affidato con estremo rigore. Non si può pretendere da tutti la santità; ma si ha il diritto di aspettarsi da tutti la correttezza.

Ma la conoscenza di certe situazioni mi porta a fare anche un'altra riflessione. Direte che sono un fissato; vado sempre a finire allo stesso punto, ma non so come evitarlo. Lo svelamento di tali a dir poco incresciosi comportamenti smentisce la tesi, cara alla Scuola bolognese, del Concilio Vaticano II come "rottura", come "nuovo inizio" nella storia della Chiesa. Questi fatti dimostrano, purtroppo, che nella Chiesa c'è una avvilente continuità: gli abusi sessuali e gli scandali finanziari c'erano prima del Concilio (e ciò dimostra che la Chiesa aveva effettivo bisogno di riforma), e continuano a esserci dopo il Concilio (e ciò dimostra che il Concilio ha fallito nei suoi piani di riforma). Qui abbiamo tutti torto: hanno torto i tradizionalisti, che vorrebbero farci credere che nella Chiesa, prima del Vaticano II, tutto andasse bene; hanno torto i progressisti, che vorrebbero farci credere che nella Chiesa post-conciliare certe cose non possano piú avvenire. È stata una grande illusione pensare che potesse bastare convocare un concilio per rinnovare la Chiesa. Ci sono state, è vero, tante riforme esteriori, ma il nostro cuore, segnato dal peccato, è rimasto lo stesso.

Che fare? I tradizionalisti ci diranno: "Aboliamo il Concilio! Torniamo alla tradizione!", come se questa, da sé sola, fosse la panacea per tutti i mali della Chiesa, come se tra gli amanti della tradizione non esistesse il peccato originale. I progressiti ci diranno: "Queste cose ancora succedono perché il Concilio non è stato ancora pienamente applicato; specialmente a Roma, esso ha incontrato e continua a incontrare forti resistenze. Se si seguisse veramente lo spirito del Concilio, queste cose non accadrebbero". Illusi gli uni e gli altri. Non si rendono conto che la situazione potrà cambiare solo quando la smetteremo di preoccuparci dell'esteriorità, delle riforme strutturali, e incominceremo a preoccuparci del rinnovamento interiore. Nel Cinquecento ciò che rinnovò la Chiesa non fu tanto il Concilio di Trento (pur necessario), ma la fioritura di santità che ci fu prima e dopo quel Concilio.

Pertanto, ben venga un "Anno sacerdotale" a ricordare a noi sacerdoti quali sono i nostri doveri, primo fra tutti la santità. Negli anni dopo il Concilio si è fatto di tutto per distruggere l'immagine del prete; si guardava con sufficienza a tutti i tradizionali strumenti per la sua santificazione (preghiera e studio severo, mortificazione e sacrificio, prudenza e distacco dal mondo, ecc.); si è voluto fare del prete, a seconda dei casi, uno psicologo, un sociologo, un agitatore sociale, un sindacalista, un politico; ed ecco che cosa ci ritroviamo: non possiamo fare altro che raccogliere i cocci di quello che era una volta il prete. Ora ci viene riproposto l'esempio del Santo Curato d'Ars, che spese la sua vita in ginocchio davanti al Santissimo e seduto in confessionale. Saremo capaci di accogliere questo messaggio? Una cosa è certa: se vogliamo che la Chiesa si rinnovi, dobbiamo ripartire di lí
.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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09/01/2010 12:35
 
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Il convegno dei Francescani dell'Immacolata sul sacerdozio


di L. L.


Dal 10 al 12 dicembre 2009, nell’Auditorium “Collegio di Terra Santa” in via di Boccea (Roma), presso la Parrocchia di S. Maria di Nazareth dei Frati Francescani dell’Immacolata, si è svolto il Convegno dal titolo “Il Sacerdozio ministeriale: l’amore del Cuore di Gesù”. Il tema è stato sviluppato in relazione alle sfide della post-modernità.

Nell’anno sacerdotale indetto dal Sommo Pontefice Benedetto XVI i Frati Francescani dell’Immacolata hanno organizzato questo convegno specifico sul sacerdozio ordinato avendo come modello la vita e l’opera di San Giovanni M. Vianney, il Santo Curato d’Ars. Hanno partecipato moltissimi Frati Francescani dell’Immacolata, un nutrito gruppo di Suore Francescane dell’Immacolata ed anche alcuni fedeli laici.

Tra i relatori del meraviglioso Convegno un Arcivescovo e sei Vescovi: Mons. Paolo Rabitti, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio; Mons. Gino Reali, Vescovo di Porto-S. Rufina (Ordinario del luogo); Mons. Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero; Mons. Francesco Moraglia, Vescovo di La Spezia-Sarzana-Bugnato; Mons. Velasio De Paolis, Presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, Mons. Luigi Negri, Vescovo di S. Marino-Montefeltro; Mons. Mauro Parmeggiani, Vescovo di Tivoli.

Inoltre hanno tenuto le loro relazioni quattro Frati Francescani dell’Immacolata, docenti presso il “Seminario Teologico Immacolata Mediatrice” della stessa Congregazione: Rev.do Prof. P. Massimiliano M. Zangheratti, Parroco di Boccea; Rev.do Prof. P. Alessandro M. Apollonio; Rev.do Prof. P. Serafino M. Lanzetta; Rev.do Prof. P. Stefano M. Manelli, fondatore e Ministro generale. Ed altri quattro eminenti relatori: Rev.do Prof. Mons. Brunero Gherardini, emerito della Pontificia Università Lateranense; Rev.do Prof. Don Michelangelo Tàbet della Pontificia Università Santa Croce; Rev.do Prof. Don Manfred Hauke della Facoltà Teologica di Lugano e il Rev.do Prof. P. Giovanni Cavalcoli O.P. della Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna.

Mons. Gino Reali ha introdotto il Convegno sottolineandone l’importanza e ringraziando per questo evento ricco di doni spirituali che ha luogo nella sua Diocesi.

Mons. Mauro Piacenza ha delineato la spiritualità del sacerdote: il suo modello deve essere sempre Gesù Cristo e a Lui deve sempre più conformarsi. Ha inoltre sottolineato che si deve evitare la lettura sociologica del prete e della Chiesa che ricade in una visione antropocentrica e orizzontalistica.

Mons. Francesco Moraglia ha approfondito il tema della sacralità del celibato sacerdotale, per cui il sacerdote uniformandosi a Cristo Sommo Sacerdote con Lui deve amare e donarsi totalmente ad un’unica sposa: la Chiesa.

Mons. Brunero Gherardini ha insistito sulla dimensione soprannaturale del prete, il quale è presenza misterica di Cristo. Conformandosi a Cristo il sacerdote agisce in persona Christi a tal punto che Cristo stesso in modo misterioso è presente in lui.

P. Massimiliano M. Zangheratti nella sua relazione ha indicato la vita e l’opera di S. Giovanni M. Vianney come esempio di sacerdote santo, tutto dedito alla celebrazione della S. Messa, alle confessioni per ore intere, all’Adorazione continua del Ss.mo Sacramento, all’educazione cristiana del popolo, alle opere di carità verso le persone più bisognose: tutto ciò ha fatto del Curato d’Ars un sacerdote santo.

Don Michelangelo Tabet attraverso l’esegesi biblica ha delineato il collegamento tra il Sacerdozio di Cristo (prefigurato già nell’Antico Testamento) e il sacerdozio ministeriale voluto da Cristo stesso nel Nuovo Testamento: infatti è Lui il Sommo Sacerdote che costituisce nel sacerdozio ministeriale gli apostoli e i loro successori. Ha ribadito, infine, che il sacerdozio ministeriale è essenzialmente diverso dal sacerdozio universale.

Mons. Paolo Rabitti ha fortemente riaffermato la necessità che vengano ricostituite le basi per una formazione autentica del sacerdote, così egli sarà già incamminato sulla via della santità. Le coordinate della vita presbiterale sono: vocazione, consacrazione, missione. Il seminario è un periodo di suprema conversione in cui il seminarista deve mettere al centro Gesù per divenire un uomo di profonda fede e pensare come Lui. I quattro fari del seminario sono: Parola di Dio, Liturgia, Sacramenti della Chiesa, senso della Chiesa. Accanto alla preghiera e allo studio fondamentale è anche la disciplina per prepararsi meglio a diventare uomo di Dio, a plasmarsi sempre meglio in Cristo. Bisogna imparare ad amare l’umanità rimanendo distinti dal mondo: questo è difficile ma è fondamentale. Nel dopo-concilio c’è stata una certa confusione riguardo a questo punto: bisogna vivere nel mondo ma non lasciarsi contaminare dal mondo. È importante avere un amore per tutti gli uomini ed efficacia di parola per correggere gli elementi spuri, senza mai farsi contagiare da germi mondani.

Don Manfred Hauke ha incentrato la sua relazione sulla contestazione del sacerdozio ministeriale nella teologia femminista e ha messo in chiaro tutti gli inganni e la mancanza di fondamento di tale visione. La teologia femminista non è ortodossa perché mutua le sue categorie dal marxismo, cioè da un sistema di pensiero anticattolico ed ateo e che considera la società maschilista. Questa visione insiste erroneamente sulla confusione tra sacerdozio comune e sacerdozio ordinato, negando, infondatamente, che quest’ultimo sia stato istituito da Cristo stesso.

P. Alessandro M. Apollonio si è concentrato sulla figura del sacerdote santo, predicatore e confessore, portando come esempi alcuni santi francescani tra cui il beato Marco d’Aviano. Lo zelo per la salvezza delle anime ha spinto durante i secoli, a partire dalle origini, molti santi francescani ad adoperarsi nella predicazione e nella confessione: tutto ciò anche in periodi difficili come quello delle crociate e durante l’ultimo assedio alla città di Vienna da parte dei Turchi; in questa occasione si distinse in particolare il beato Marco d’Aviano che guidò spiritualmente l’esercito cristiano alla liberazione della capitale dell’Impero Asburgico.

Mons. Velasio De Paolis, professore di Diritto Canonico, ha sottolineato come purtroppo dopo il Concilio l’aspetto disciplinare nella Chiesa abbia perso importanza perché doveva imporsi (erroneamente) l’aspetto carismatico fino al punto di dimenticare l’aspetto istituzionale, considerando la carità senza la giustizia. Qualsiasi riforma, ha concluso il Presule, non può concretizzarsi se non c’è unità tra dottrina e stile di vita.

Mons. Luigi Negri ha sottolineato come il sacerdote debba essere generatore e rigeneratore del popolo. Il popolo cristiano non nasce dalla carne e dal sangue perché supera le condizioni immanenti e investe queste condizioni di una realtà soprannaturale. Il prete, dunque, vive per educare il popolo ad essere cosciente della sua identità.

P. Giovanni Cavalcoli nel suo intervento ha messo a confronto l’offerta del Sacrificio nel sacerdozio cattolico e la concezione rahneriana evidenziando gli aspetti eterodossi di quest’ultima. Il ‘sacro’ (da cui deriva sacrificium) è quella dimensione che sta nell’orizzonte del divino, sta presso il divino ma può non essere il ‘santo’: il ‘santo’, invece, è sempre ‘sacro’. Le società decadono quando il sacro non è rispettato oppure si sacralizza ciò che non è degno di essere tale. Il teologo Rahner, nella sua visione orizzontalistica e antropocentrica, sminuisce la funzione (propria del sacerdote) di mediatore tra l’uomo e il sacro.

Mons. Mauro Parmeggiani ha ribadito che il sacerdote configurato per sempre a Cristo fa da ‘ponte’ tra Dio e il mondo. La costituzione essenziale della Chiesa viene direttamente dal Signore e deve essere fedelmente custodita dai Vescovi. In Maria SS.ma, afferma il Presule, incontriamo l’essenza della Chiesa in modo non deformato.

P. Serafino M. Lanzetta ha tenuto una relazione sugli aspetti sacerdotali della figura della Vergine Maria. Un diacono di Rouen nel 1806 scrive un inno alla Vergine definendola Virgo sacerdos ed arriva a dire che Maria è Dux dei seminaristi e dei preti. Maria infatti è redenta in modo previo per essere stata concepita senza peccato: questo, afferma il relatore, la rende corredentrice, cioè cooperatrice dell’opera redentiva di Cristo. Maria precede la Chiesa come Madre di Cristo e dei fedeli e precede anche i sacerdoti ordinati. Il sacerdozio (non ministeriale) di Maria attinge direttamente al sacerdozio di Cristo. Maria in Cristo è per gli uomini Mediatrice ed Avvocata, Maria offre se stessa in Gesù. Il sacerdozio di Maria è eminentissimo ed è, secondo P. Lanzetta, superiore a quello ministeriale perché solo Maria è ‘offerente’ al farsi della Redenzione: Maria infatti immola il figlio Gesù al Calvario (Benedetto XV: Inter sodalicia) ed è Ancilla Domini. Maria, conclude P. Lanzetta, ha un sacerdozio che precede ontologicamete e cronologicamente quello della Chiesa e dei suoi Ministri.

P. Stefano M. Manelli ha parlato di due esempi di santità quali sono stati S. Massimiliano M. Kolbe e S. Pio da Pietrelcina. Tra questi due e il santo Curato d’Ars vi è una perfetta continuità teologica di arricchimento. La vocazione sacerdotale è mistero di “meraviglioso scambio”: tra l’uomo che dona la sua umanità e Cristo che lo trasforma in un altro se stesso perché il sacerdote possa impersonare Cristo ed agire in persona Christi, cosa che impone una conformità a Cristo nei pensieri e nelle opere. San Paolo scrive infatti: “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me” e “ciascuno sia trovato fedele nel ministero perché non venga vituperato Dio”. Si tratta dunque di una conformità con Cristo che deve spingere alla con-Crocifissione con Cristo. Ogni S. Messa porta quella presenza di Maria immancabile accanto al Figlio (come fu già sul Golgota). La morte di S. Massimiliano M. Kolbe fu coronamento e compimento del Sacrificio che celebrava ogni giorno. Al di sopra di tutto infatti bisogna collocare la gloria di Dio diventando santi e lo si diventa salvando le anime. S. Massimiliano M. Kolbe diceva che si deve amare Gesù con il cuore di Maria e che bisogna per ciò essere “marianizzati” da Maria, vivere nel grembo di Lei, lasciandosi così rivestire da Maria dell’unica sacerdotalità di Gesù. Gli aspetti fondamentali della vita di S. Pio da Pietrelcina furono: conformità a Cristo, celebrazione della S. Messa, salvezza delle anime (confessione e direzione delle anime), devozione alla Madonna, devozione all’Angelo Custode, obbedienza filiale alla Gerarchia, amore filiale nei confronti del Papa (“dopo Gesù sulla terra non esiste altro che il Papa”), pregare, soffrire. S. Pio da Pietrelcina definiva la S. Messa “mistero tremendo” in quanto momento decisivo per la salvezza delle anime: altare e confessionale furono i poli della sua vita. La S. Messa è infinita come Gesù: il mondo può stare anche senza il sole ma non può stare senza la S. Messa.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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23/04/2010 20:48
 
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Attività e finalità della Pontificia Opera delle vocazioni sacerdotali

Quelli che danno
il primo posto a Dio


di Nicola Gori


Sulle vocazioni sacerdotali niente può essere lasciato all'improvvisazione e al caso:  si tratta di una questione che interpella tutta la Chiesa e perciò deve essere oggetto della massima cura e attenzione. A questo compito si dedica la Pontificia Opera delle vocazioni sacerdotali - istituita da Pio xii col motu proprio Cum Nobis del 4 novembre 1941 presso l'allora Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi (oggi Congregazione per l'Educazione cattolica) - che cura il coordinamento e la promozione della specifica pastorale nelle diocesi dei cinque Continenti. Lo fa soprattutto tramite la diffusione nelle varie lingue del messaggio del Pontefice per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che quest'anno si celebra il 25 aprile, domenica del Buon Pastore. Per l'occasione abbiamo chiesto al direttore, monsignor Francis Bonnici, di spiegarci origini e finalità dell'Opera.

L'Anno sacerdotale può essere un'occasione per fare il punto sullo stato di salute delle vocazioni?

Nella sua lettera per l'indizione di un Anno sacerdotale, Benedetto XVI ha scritto:  "Nel mondo di oggi, come nei difficili tempi del Curato d'Ars, occorre che i presbiteri nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica". La testimonianza dei sacerdoti è la più efficace promozione delle vocazioni sacerdotali nelle parrocchie e nelle comunità ecclesiali. Il decreto del concilio Vaticano ii Optatam totius sulla formazione afferma:  "Tutti i sacerdoti dimostrino il loro zelo apostolico soprattutto nel favorire le vocazioni, e con la loro vita umile, operosa, vissuta con cuore gioioso, come pure con l'esempio della loro scambievole carità sacerdotale e della loro fraterna collaborazione". Infatti, tanti sacerdoti hanno creduto che erano chiamati da Dio al ministero sacerdotale quando hanno visto sacerdoti in preghiera, collaborando nello svolgimento delle attività pastorali e pure condividendo una vita in comune.

Può dirci se in base ai dati più recenti vi è stato incremento o decremento delle vocazioni in alcuni continenti?

Riguardo all'indice di incremento o di decremento delle vocazioni al ministero sacerdotale in alcuni continenti, faccio riferimento all'Annuarium statisticum Ecclesiae del 2009 e in particolare ai numeri dei candidati al sacerdozio e alla vita consacrata. Un forte incremento di candidati al ministero sacerdotale è stato registrato nell'America settentrionale e in Africa, e alla vita consacrata in Asia e pure in Africa. Invece, un decremento notevole nelle vocazioni al ministero sacerdotale è stato registrato in Europa e in America latina. Si deve notare per la gioia di tutti che in Europa ci sono 18 nazioni in cui c'è stato un aumento, anche se piccolo, di vocazioni al sacerdozio ministeriale. Globalmente, considerando i numeri dell'incremento rispetto a quelli del decremento delle vocazioni, il bilancio è negativo per il ministero sacerdotale e positivo per la vita consacrata.

Ci spiega quali sono le finalità e l'attività della Pontificia Opera delle vocazioni sacerdotali?

La Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali è l'espressione di corresponsabilità e di stretta collaborazione tra la Santa Sede e le Chiese locali. In modo speciale, promuove il messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che il Santo Padre rivolge ogni anno a tutta la Chiesa. La Pontificia Opera delle vocazioni sacerdotali s'impegna perché il messaggio sia bene accolto e utilizzato dalle Chiese locali, suscitando nel cuore dei fedeli una più intensa invocazione per ottenere nuove vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata come ha comandato Gesù, e risvegli la responsabilità di tutti, specialmente dei genitori e degli educatori alla fede, nel servizio alle vocazioni.
Inoltre la Pontificia Opera delle vocazioni sacerdotali offre il servizio di diffondere i documenti del magistero ecclesiale riguardo alla promozione della vocazione al sacerdozio ministeriale, le informazioni e le esperienze significative provenienti da diverse parti del mondo, perché ogni comunità locale possa svolgere i suoi programmi per la promozione della vocazione al ministero sacerdotale e alla vita consacrata mediante esperienze valide e riuscite. Infine, l'organismo collabora con le Chiese locali attraverso l'organizzazione di convegni internazionali continentali perché si viva il più possibile in sinergia tra quanti operano nel campo vocazionale.

Quali iniziative ha preso la Pontificia Opera in occasione della prossima Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni?

La Pontificia Opera delle vocazioni sacerdotali ha curato la traduzione del messaggio del Papa per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni in sette lingue e lo ha inviato ai nunzi apostolici perché lo trasmettano alle Conferenze episcopali e ai Centri nazionali vocazioni. Sono già giunte all'ufficio della Pontificia Opera alcune riviste dei Centri nazionali vocazionali, in particolare da Italia, Germania, Belgio, Francia e Stati Uniti d'America, che hanno pubblicato il messaggio in un formato attraente insieme con sussidi relativi al tema del messaggio:  "La testimonianza suscita vocazioni".
Per una più efficace utilizzazione del messaggio la Pontificia Opera delle vocazioni sacerdotali propone anche un programma annuale in sintonia con il tema scelto, con un triplice scopo:  favorire la riflessione delle comunità locali sulla vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata, incoraggiare le Chiese locali a offrire una preghiera corale al "Padrone della messe perché mandi operai per la sua messe", spingere tutta la Chiesa e in particolare tutte le diocesi e le comunità ecclesiali a promuovere una specifica pastorale che favorisca la vocazione al ministero sacerdotale.

Quali sono oggi per un giovane le maggiori difficoltà a rispondere affermativamente alla chiamata del Signore?

Penso che i giovani oggi non abbiano la possibilità di percepire molto la vocazione al sacerdozio ministeriale. Prima di tutto perché si parla troppo genericamente della vocazione sacerdotale o si sente poco di questa vocazione nella catechesi, negli incontri dei giovani e nelle stesse omelie. Inoltre, tanti giovani si sono allontanati dalla messa domenicale e, per questo, non solo non vedono il sacerdote, ma, purtroppo, sentono tante voci pronunciarsi sulla contro-testimonianza di alcuni sacerdoti, sia quando corrisponde alla realtà sia quando è infondata.
Alcune condizioni che ostacolano i giovani a seguire la chiamata di Dio al sacerdozio, come possono essere la secolarizzazione, il consumismo e anche l'opposizione dei loro familiari e del loro ambiente sociale, ci sono state sempre. Nella mia lunga esperienza di pastorale vocazionale, ho visto tanti giovani abbracciare la vocazione al sacerdozio perché volevano dare il primo posto a Dio. Oggi, con la spiritualità di comunione che si vive nelle parrocchie, animata soprattutto dai movimenti ecclesiali, stanno venendo fuori nuove vocazioni fondate su una solida fede cristiana.


(©L'Osservatore Romano - 24 aprile 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/04/2010 19:55
 
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Meditazione sugli scritti della santa senese

Il sacerdote secondo Caterina


"Il sacerdozio ministeriale negli scritti di Santa Caterina da Siena" è il tema della meditazione che l'arcivescovo ordinario militare per l'Italia ha tenuto oggi, mercoledì 28, ai cappellani militari nella chiesa romana di Santa Caterina a Magnanapoli. Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento.


di Vincenzo Pelvi

Voce chiara e potente, quella di Caterina da Siena, che per volontà di Dio risuona nella Chiesa e non finisce di stupire. In questo anno dedicato dal Santo Padre alla santificazione dei sacerdoti, che camminando per la via del Verbo, tolgono la morte e rendono la vita al mondo (cfr. Orazioni, XII, 167) sembra veramente provvidenziale riflettere sul sacerdozio ministeriale negli scritti di santa Caterina, pensando soprattutto al capitolo cxix del Dialogo. I sacerdoti necessitavano di una profonda e impegnativa riforma. È un'analisi veritiera, sostenuta da un grande amore per la gerarchia, per riscoprire la dignità del sacerdozio, anche dinanzi alle tentazioni del maligno e a situazioni di peccato.

Ella - nella sua vita come nella dottrina - non ha pensato che al Cristo, alla Chiesa e al Papa, ai sacerdoti, facendo di questo impegno il motivo centrale della sua esistenza.

Offrì, infatti, se stessa per la conversione dei ministri della Chiesa, sperimentando un calvario luminoso, un Getsemani di obbedienza alla verità, un calice di passione di cui inebriarsi. Nel romanzo storico su santa Caterina da Siena, l'autore Louis de Wohl, afferma che la santa, tormentata dal dolore, ogni giorno si trascinava a San Pietro per pregare, magra e sottile come un ostia bianca da trasformare nel corpo del Signore. Soleva inginocchiarsi davanti al mosaico di Giotto raffigurante la barca di Pietro, scossa dalla tempesta, con gli apostoli accovacciati per la paura e Cristo che camminava sulle onde verso di loro.

Caterina pregava per ore, chiedendo al Signore che ancora una volta venisse in aiuto della sua Chiesa. Era il tormento del suo corpo e della sua anima. Quante volte si era offerta per i peccati di tutta la Chiesa, immaginando che quel Cristo sulle acque prendesse la navicella con sopra l'umanità e se la mettesse sulle spalle e che lei si sbriciolasse sotto il peso sino a cadere inerme a terra.

Qualcuno aveva da sempre acceso in lei il fuoco dell'amore verso la Chiesa in un periodo in cui gli uomini di Chiesa erano coinvolti e travolti da ribellioni, ipocrisie, scambi politici e calcolo snervante a cui Caterina ricorda la parola del Vangelo:  "Cosa vale conquistare il mondo se l'uomo perde se stesso?". Illuminata da Dio, comprese in quali difficoltà si dibatteva il clero e che da quei mali ci si poteva guardare soprattutto con la preghiera, la penitenza, una vita virtuosa e un singolare e continuo disprezzo di sé. Caterina scelse di consumarsi nel dolore per le indegne condizioni della Chiesa e anche se a stento leggeva o scriveva ebbe una lucidità insostituibile nel parlare tanto che religiosi e prelati, maestri di spirito e teologi venivano illuminati dalla sapienza spirituale del suo animo.

Per lei, la Chiesa non è altro che Cristo (cfr. Lettera 171) al quale si consegna come vittima per il clero e per il Pontefice (cfr. Lettera 371). Al dolce Cristo in terra (cfr. Lettera 196), nelle cui mani è custodito il sangue - e per suo tramite in quelle dei sacerdoti - si deve sempre amore e obbedienza; e chi non obbedisce a questo Cristo terrestre, che è una sola cosa col Cristo celeste (cfr. Lettera 207) non partecipa al frutto del sangue del Figlio di Dio. Né Caterina tace su quanto necessita per riformare i costumi della Chiesa, prima di tutto tra i sacri pastori, che con insistenza ammonisce:  "Oimè, non più tacere. Gridate con cento migliaia di lingue. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto; la Sposa di Cristo è impallidita, gli è tolto il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso, cioè il sangue di Cristo" (Lettera 16).

Certo impressiona il tono libero, vigoroso, tagliente con cui vengono ammoniti preti, vescovi e cardinali.

I mali che Caterina denuncia con franchezza sono:  l'amor proprio dominante, l'insensibilità della coscienza, la lussuria, l'avarizia, la superbia, la cura di interessi materiali, l'usura, e persino l'abuso dei sacramenti per raggiungere scopi malvagi. Perciò, "occorre sradicare dal giardino della Chiesa le piante fradice sostituendole con piante novelle, fresche e olezzanti".

Era l'ideale supremo a cui aveva ispirato tutta la vita, spendendosi senza riserva per la Chiesa. Sarà lei stessa a testimoniarlo ai suoi figli spirituali sul letto di morte:  "Tenete per fermo, carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa" (beato Raimondo da Capua, Vita di Santa Caterina da Siena).
 
Il "desiderio" è certamente centrale nel Dialogo, nelle Lettere e nelle Orazioni. E se il desiderio orienta la vita delle creature nella verità della propria condizione, quanto più i sacerdoti, che vivono in Dio, sono i "cristi" del Padre (Orazioni xii, 179), colgono la realtà nella luce in cui Egli la vede, "hanno desiderio infinito, cioè sono uniti per affetto d'amore in me" (Dialogo, iii, 25) e devono essere come angeli, generosi, non avari e mai vendere la grazia dello Spirito per ambizione e brama di guadagno (cfr. Dialogo, cxiv, 405).

Se il clero è abitato dal fuoco del desiderio di Dio, la presenza nella storia diventa feconda della fecondità stessa di Dio. Nel "Traeste me da te" (Orazioni, i, 69) respira l'identità del sacerdozio ministeriale. Una assimilazione nell'essere che è conformità, perché Dio assimila le creature che non resistono alla sua attrazione, si manifesta nella storia come misericordia, le predilige e le rende feconde della vita nella quale sono vivificate.

Il sacerdote, "un altro te per amore" (Orazioni, xxi, 75), desidera ciò che Dio desidera, condividendo la sua volontà. È il ministrare, servire il disegno di Dio, che vuole che tutti giungano alla conoscenza della verità, manifesta nella Croce di Cristo. Perciò essi devono essere rispettati non per le loro qualità personali ma per la reverenza al Sangue di cui sono ministri, perché il Sangue redentore ha lo stesso valore sia che venga amministrato da un sacerdote santo che da un cattivo ministro. I sacerdoti hanno una dignità che supera quella dei puri spiriti:  "Allo stesso modo in cui essi esigono la limpidezza del calice in cui vanno a celebrare il sacrificio, così io esigo in loro purezza dei cuori, dell'anima e della mente. Voglio che il loro corpo, in quanto strumento dell'anima, conservi una perfetta purità" (Dialogo, cxiii, 385).

Non c'è nessuna bellezza sul volto della Chiesa che non sia un riverbero del fulgore del Risorto, "dove i gloriosi ministri, avendo ministrato il sole, ànno presa la condizione del Sole. Tutto è preso e derivato dal lume, cioè il corpo e il sangue de l'unigenito mio Figliolo, sole unito e non diviso. Così nella Chiesa ogni grandezza, ogni santità, ogni sanità è redenta; in conseguenza dell'amore del Signore Gesù che, senza pausa, rinnova l'umanità nel ricordamento del benefizio del Sangue" (Dialogo, cxix, 774).

Santificare gli uomini è opera propria di Dio, ma attraverso i suoi ministri santi. In che cosa consiste la santità sacerdotale se non in ciò per cui la mente applica se stessa e i suoi atti a Dio. Se amiamo veramente Dio, desideriamo conoscerlo di più e più lo conosciamo, più lo amiamo. In questo abbraccio fra volontà e intelletto, fra amore e conoscenza, fra carità e fede consiste la Verità. Caterina incoraggia i ministri del Sangue a essere immersi in questa Verità, perché da "cristi" siano una cosa sola, legati a Cristo, tirati dentro di lui.

Comprendiamo, così, l'attualità dell'ansia santificatrice di Caterina, desiderosa di condividere l'accostamento al Mistero per arricchire di bene il cuore dell'uomo per cui "dire tu" è "intendere Te". E, così, nel Sangue di Cristo crocifisso, Caterina balbetta l'abbraccio di Cristo che stringe a sé la Chiesa e i sacri ministri e li aiuta ad accostare quel pati divina, che fa crescere il senso dell'Eterno.


(©L'Osservatore Romano - 29 aprile 2010)

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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02/05/2010 00:10
 
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Da 40 anni al servizio della Santa Sede


Parla l'Arcivescovo Józef Kowalczyk, Nunzio apostolico in Polonia


di Wlodzimierz Redzioch

VARSAVIA, sabato, 1° maggio 2010 (ZENIT.org).- Alcuni sacerdoti donano la loro vita per la missione nelle frontiere della povertà o della malattia, altri lo fanno nella diplomazia al servizio della Chiesa e dei Papi. E' questo il caso dell'arcivescovo Józef Kowalczyk (Jadowniki Mokre, 28 agosto 1938), Nunzio apostolico in Polonia.

E' stato nominato a questo carico nel 1989 da Papa Giovanni Paolo II. Più di 20 anni sono passati da allora e la Polonia e il mondo sono cambiati radicalmente, come spiega in questa intervista concessa a ZENIT ormai al termine dell'Anno sacerdotale.

Eccellenza, alcuni media la presentano come “Arcivescovo polacco” – ignorando o dimenticando -  che lei è cittadino vaticano e rappresenta la Santa Sede in un Paese estero. Per di più, lei da 40 anni sta al servizio dei Papi. In quali circostanze ha cominciato il suo lavoro nella Curia Romana?

Mons. Kowalczyk: Dopo il Concilio Vaticano II, Paolo VI volle internazionalizzare la Curia Romana. In tale circostanza il Cardinale Stefan Wyszyński – a nome dell’episcopato polacco - propose me per il lavoro nella Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti: il Cardinale Antonio Samorè, allora Prefetto, accettò la mia candidatura e così, il 19 dicembre 1969, cominciai il mio servizio.  

Lei, nato in Polonia, si occupava anche dei problemi particolari riguardanti quel Paese?  

Mons. Kowalczyk: All’inizio no, ma nel 1976 fui nominato – d’accordo con l’episcopato polacco - membro del gruppo della Santa Sede per i Contatti Permanenti di Lavoro con la Repubblica Popolare della Polonia. Nell’ambito di tale incarico viaggiavo in Polonia con gli altri membri del Gruppo – tra i quali voglio ricordare almeno l’Arcivescovo Luigi Poggi - per incontrare i rappresentanti dell’episcopato, del governo e dell’Ufficio per il Culto.  

Com’è cambiata la sua vita con l’elezione alla Cattedra di Pietro dell’Arcivescovo di Cracovia? 

Mons. Kowalczyk: Subito dopo la sua elezione, il 18 ottobre 1978, Giovanni Paolo II mi chiese di diventare capo della sezione polacca della Segretaria di Stato, che dovevo organizzare e far funzionare, assumendo dei collaboratori. Il mio compito primario era di curare tutti i testi in polacco del Santo Padre – encicliche, lettere apostoliche, omelie, catechesi del mercoledì, messaggi, ecc, e la loro pubblicazione. Per di più, la sezione polacca doveva occuparsi della corrispondenza, ufficiale e privata, che il Papa riceveva in polacco. Ovviamente, in accordo con lui, rispondevo alle lettere o le smistavo tra i vari uffici della Curia.

Posso immaginare che dovesse essere un compito enorme…

Mons. Kowalczyk: E’ vero. Ma subito dopo dovevo occuparmi anche d’altro: il 17 novembre del 1978 il Segretario di Stato mi mise a capo della Commissione per la pubblicazione degli scritti di Karol Wojtyła, il cui compito fu la preparazione delle traduzioni e delle pubblicazioni di tutti i testi di Wojtyła, prima dell’elezione alla Cattedra di Pietro; questo lavoro – che comprendeva anche centinaia di contratti per le traduzioni e le pubblicazioni in varie lingue – si faceva in collaborazione con la Libreria Editrice Vaticana.  

Lei fu anche impegnato nella Fondazione “Giovanni Paolo II”…    

Mons. Kowalczyk: Fu un altro compito che mi affidò il Segretario di Stato: dovevo preparare lo statuto e il regolamento della Fondazione “Giovanni Paolo II”, che serviva per raccogliere la documentazione del pontificato e per la diffusione del magistero del Papa Polacco.  

Nel contempo continuava ad occuparsi anche dei contatti con le autorità comuniste polacche?

Mons. Kowalczyk: Sì, mi occupavo sempre dei contatti sia con l’episcopato polacco, sia con il Governo, in modo particolare con il Gruppo della Repubblica Popolare Polacca per i contatti permanenti di lavoro con la Santa Sede residenti presso  l’Ambasciata Polacca a Roma. Gli argomenti delle nostre conversazioni erano molteplici, ma vorrei ricordare anzitutto i preparativi dei viaggi del Papa in Polonia, il primo nel 1979 e il secondo nel 1983, particolarmente difficile a causa del perdurare dello stato di guerra introdotto dalla giunta militare del generale Jaruzelski nel 1981 e poi per i viaggi successivi. Di tutto informavo il Santo Padre, che mi dava anche delle indicazioni. Per esempio, quando i comunisti non volevano che il primo viaggio si facesse nel maggio del 1979 e proponevano il giugno successivo, il Papa acconsentì ma mi chiese di esigere che tale viaggio coincidesse con il giubileo di san Stanislao.   

Un compito particolare era il lavoro legato all’elaborazione di un accordo riguardante i rapporti Stato-Chiesa: i comunisti, per uscire dall’isolamento, lo volevano, invece per la Chiesa Cattolica in Polonia, tale accordo era una condizione necessaria perché la Santa Sede potesse allacciare i rapporti diplomatici con la Polonia. 

Alla fine tale accordo fu raggiunto e, il 17 luglio 1989, si arrivò allo scambio delle Lettere tra il ministro degli esteri polacco e il Cardinale Agostino Casaroli, che dava inizio alle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Lei si aspettava di essere nominato Nunzio a Varsavia?

Mons. Kowalczyk: Per niente, ma un giorno dell'estate del 1989 Giovanni Paolo II mi invitò a pranzo a Castel Gandolfo. Dopo l’Angelus mi disse: “Andrai a Varsavia come Nunzio”. Fui sorpreso, ma il Papa mi fece capire che questa era la sua decisione personale e me ne spiegò le motivazioni. Il suo ragionamento fu il seguente: in Polonia da 50 anni non c’era un Nunzio, allora la Chiesa si era abituata ad un certo modo di lavorare e di agire, perciò serviva una persona in grado di capirlo; per di più una persona che, come me, conoscesse bene anche la Curia. Il Papa mi disse apertamente che mi avrebbe aiutato con le sue indicazioni e i suoi suggerimenti.  

Guardando la cosa dalla prospettiva degli anni trascorsi, si può ben dire che il Papa avesse ragione…

Mons. Kowalczyk: Penso di sì: essendo di formazione polacca, conoscevo bene la situazione politica ed ecclesiale locale, i problemi della società e la mentalità polacca. Per uno straniero forse sarebbe stato difficilissimo affrontare i problemi che si presentavano allora.

Non tutti si rendono conto come la Polonia vanti una lunga storia di rapporti diplomatici con la Santa Sede. Potrebbe dirci qualche cosa a questo riguardo?

Mons. Kowalczyk: Il primo accordo concordatario tra il Papa Leone X e il Sejm (il parlamento polacco) fu firmato quasi 500 anni fa. Da allora in Polonia si sono susseguiti i diversi rappresentanti dei Papi: il primo fu un certo Girolamo Lando mentre il primo rappresentante al rango di Nunzio, Alois Lippomano, cominciò la sua missione nel 1555. Lo Stato Polacco cessò di esistere per 123 anni, quando venne spartito tra le tre potenze vicine: Prussia, Russia e Impero austro-ungarico. La Polonia rinasce dopo la prima guerra mondiale nel 1917. Subito dopo, nell’aprile del 1918, in Polonia arrivò il Visitatore apostolico mons. Achille Ratti, che l’anno successivo divenne Nunzio apostolico. Come curiosità vorrei dire che mons. Ratti ricevette la consacrazione episcopale nella cattedrale di Varsavia per mano di mons. Aleksander Kakowski, Arcivescovo della capitale, perciò si riteneva “Vescovo polacco”. Il Nunzio Ratti fu molto legato alla Polonia e diede un grande contributo alla rinascita della Chiesa polacca e della sua gerarchia, dopo le spartizioni. In più, Benedetto XV, tenendo conto dell’importanza del cattolicesimo polacco, decise per primo di riconoscere la sovranità della Polonia e di organizzare a Varsavia una Nunziatura di prima classe, ossia di più alto rango, come quelle di Parigi, Madrid, Vienna e Berlino.  Mons. Ratti, nominato Arcivescovo di Milano, lasciò la Polonia il 4 giugno 1921. Il suo successore divenne l’Arcivescovo Lorenzo Lauri. Dal giugno all'ottobre del 1923, come Segretario di Nunziatura, lavorò a Varsavia mons. Giovanni Battista Montini.  

Questo vuol dire che nella Nunziatura apostolica a Varsavia lavorarono due futuri Papi.

Mons. Kowalczyk: Esatto. Il 5 settembre 1939, qualche giorno dopo l’inizio della seconda guerra mondiale, il Nunzio del tempo, Filippo Cortesi, lasciò la capitale e non vi fece più ritorno.

Dopo la parentesi comunista, la storia della Nunziatura ricominciò con la sua nomina nel 1989.  Quali furono le più grandi sfide che ha dovuto affrontare in questi 20 anni?

Mons. Kowalczyk: Prima di tutto, dovevo organizzare e far funzionare la stessa Nunziatura. Lo facevo tenendo sempre conto delle indicazioni di Paolo VI, che diceva: il rappresentante della Santa Sede è il segno visibile della Chiesa particolare con Pietro, aggiungendo che la Chiesa locale agisce sempre cum Petro et sub Petro

Due grandi sfide che dovevo affrontare come Nunzio in Polonia si chiamavano: il Concordato e la nuova organizzazione amministrativa della Chiesa Cattolica in Polonia e poi l’ingrandimento adeguato e degno della sede della Nunziatura apostolica in Polonia. L’avvento della democrazia in Polonia ha permesso di preparare un documento di carattere internazionale – il Concordato appunto - che impegnava sia lo Stato, sia la Chiesa. Oggi, dalla prospettiva degli anni trascorsi, si può dire che questo Concordato moderno abbia funzionato bene, tanto da essere apprezzato anche dalle altre Chiese in Polonia, che lo usano come modello per i loro rapporti con lo Stato.

Giovanni Paolo II tenne tanto alla ristrutturazione amministrativa della Chiesa polacca perché era una cosa necessaria, anche se difficilissima. Penso che ci siamo riusciti grazie alle preghiere del Papa e alla collaborazione della Conferenza Episcopale Polacca.   

Eccellenza, con un certo rammarico e, direi anche un po’ di rabbia, vorrei parlare con lei di un argomento delicato che riguarda la Chiesa in Polonia: la cosiddetta “lustracja” (verifica). Va ricordato ai nostri lettori che nel 1989 i comunisti polacchi cedettero il potere (in seguito agli accordi detti “della tavola rotonda”) in cambio dell’impunità per i membri del partito e di tutto l’apparato dei servizi di sicurezza. In questo modo agli organizzatori e ai carnefici dello Stato totalitario ed anche ai fedeli servi del regime comunista - giudici, giornalisti, professori, gente di cultura ecc - veniva assicurata l’intoccabilità. La regola d’impunità venne rispettata anche quando si decise di aprire gli archivi dei servizi di sicurezza per dare la possibilità alle vittime del regime di consultare i loro dossier. Purtroppo, i primi che hanno “approfittato” della possibilità di accedere agli archivi dei servizi di sicurezza sono stati non i perseguitati ma alcuni giornalisti interessati soltanto alle carte riguardanti il clero. Per questo motivo l’opinione pubblica, non soltanto in Polonia ma in tutto il mondo, invece di sentire le storie dei carnefici e dei servi fedeli del regime comunista ha cominciato ad essere informata circa la presunta “collaborazione” del clero polacco con i servizi di sicurezza. E’ stata così capovolta la prospettiva storica e i sacerdoti polacchi, le prime vittime del regime, sono stati presentati come spie e collaborazionisti. Anni fa, avevo intitolato così uno dei miei articoli riguardante il caso del linciaggio mediatico dell’Arcivescovo Wielgus: “Dalla tomba della storia il comunismo colpisce ancora la Chiesa polacca”. I veleni hanno colpito anche lei, quando dagli archivi qualcuno ha tirato fuori i “documenti” che mostrerebbero la sua presunta collaborazione con i servizi segreti comunisti (registrato come cosiddetto “contatto informativo” con lo pseudonimo “Cappino”)…  

Mons. Kowalczyk: La lustracja era un processo di verifica il cui obiettivo era quello di scoprire chi avesse collaborato volutamente con i servizi segreti comunisti. A questo processo venivano sottoposti anche sacerdoti e Vescovi polacchi. Io sono cittadino della Santa Sede, la rappresento in Polonia, sono Decano del Corpo Diplomatico e come gli altri ambasciatori godo dell’immunità diplomatica. Per questo motivo il processo di lustracja non mi ha riguardato. Ma siccome sono nato qui, ne parlo la lingua, per tanti sono un Vescovo polacco come gli altri. Allora, qua e là si sono sollevate delle voci per “verificare” anche l’Arcivescovo Kowalczyk. Ho deciso di far controllare il mio dossier proveniente dagli archivi comunisti, in segno di solidarietà con gli altri Vescovi. Si è scoperto che nell’Istituto della Memoria Nazionale (IPN) si trovavano alcune pagine che sono state recapitate ai membri della Commissione Storica dell’Arcidiocesi di Varsavia. Dall’analisi di queste poche carte la Commissione ha scoperto che dal 1963 e poi, quando studiavo a Roma e lavoravo nelle strutture della Curia Romana e nel Gruppo della Santa Sede per i contatti permanenti di lavoro con il Governo polacco, fui tenuto sott’occhio dai servizi di sicurezza polacchi (come tutti gli altri studenti-preti sia in Polonia sia a Roma); dopo la mia partenza per Roma per l'incarico in Curia, dal 1971, fui attenzionato dai servizi segreti polacchi (I Dipartimento del Ministero degli Affari Interni) e il 15 dicembre 1982 fui registrato – certo, senza saperlo - nello stesso Ministero come “contatto informativo” con lo pseudonimo “Cappino”. Tra le carte c’è anche una nota datata il 3 gennaio 1990 con l’informazione che il dossier è stato distrutto, tenendo conto “dell’inutilità operativa”. Di conseguenza, la Commissione dell’Arcidiocesi ha dichiarato che non c’è nessun indizio che potrebbe suggerire la collaborazione volontaria e cosciente dell’allora mons. Józef Kowalczyk con i servizi di sicurezza polacchi.  In seguito, la Conferenza Episcopale Polacca ha pubblicato una dichiarazione nella quale ribadisce la piena fiducia a mons. Kowalczyk, in quanto fedele e leale collaboratore del Santo Padre Giovanni Paolo II.

E poi negli Archivi di IPN hanno trovato “un documento”, in seguito pubblicato in un giornale polacco sotto il titolo “I servizi di sicurezza comunisti hanno perso con il Nunzio”, perché la registrazione è stata fatta all’insaputo dell’interessato, “in abbondanza”,  per la copertura di uno dei segretari del Rappresentante del Governo polacco accreditato presso la Santa Sede che funzionava come spia delle autorità comuniste di Varsavia. Questo dimostra la falsità e la perversità dei metodi di lavoro dei rappresentanti del governo comunista polacco, anche di quelli accreditati presso la Santa Sede.

Il suo caso dimostra che i vecchi servizi di sicurezza comunisti – dalla tomba della storia – colpiscono ancora le loro vittime. Ma volevo cambiare argomento: parlavamo della sua missione quarantennale presso la Curia Romana e nella diplomazia della Santa Sede, ma lei, prima di tutto, è un sacerdote che nel 2012 celebrerà il 50° anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Vorrei chiederle qualche riflessione sul sacerdozio nell’anno che Benedetto XVI ha voluto dedicare proprio ai sacerdoti. 

Mons. Kowalczyk: Giovanni Paolo II, riflettendo sul suo sacerdozio, scrisse che il sacerdote è soprattutto “amministratore dei misteri di Dio”, che è chiamato a distribuire i beni della fede, i beni della salvezza alle persone alle quali viene inviato. E’, pertanto, uomo della Parola di Dio, del sacramento, del “mistero della fede”. La vocazione sacerdotale - per Giovanni Paolo II - è un mistero, un mistero di “un meraviglioso scambio” tra Dio e l’uomo. E’ un mistero e un dono: l’uomo dona a Cristo la sua umanità, perché Egli se ne possa servire come strumento di salvezza. Quindi deve essere disponibile a tutti quelli che lo avvicinano e chiedono aiuto sacerdotale indipendentemente dall’appartenenza politica. Non deve però mescolarsi negli affari politici in modo attivo perché tale attività non è la sua vocazione e il popolo di Dio non accetta una tale attività da parte di un sacerdote. Quanto è importante ricordare queste cose nell’Anno sacerdotale che viviamo!

Benedetto XVI durante il suo viaggio apostolico in Polonia ha detto ai sacerdoti polacchi che cosa veramente conta nella vita sacerdotale e che cosa invece può distrarre un sacerdote – particolarmente quello vissuto sotto il regime totalitario - dalla sua autentica missione: “Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa: che siano degli specialisti nel promuovere l'incontro dell'uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale. A tal fine, quando un giovane sacerdote fa i suoi primi passi, occorre che possa far riferimento ad un maestro sperimentato, che lo aiuti a non smarrirsi tra le tante proposte della cultura del momento. Di fronte alle tentazioni del relativismo o del permissivismo, non è affatto necessario che il sacerdote conosca tutte le attuali, mutevoli correnti di pensiero; ciò che i fedeli si attendono da lui è che sia testimone dell'eterna sapienza, contenuta nella parola rivelata. La sollecitudine per la qualità della preghiera personale e per una buona formazione teologica porta frutti nella vita”. Il Papa ha toccato anche il problema legato alla nostra precedente situazione politica: “Il vivere sotto l'influenza del totalitarismo può aver generato un'inconsapevole tendenza a nascondersi sotto una maschera esteriore, con la conseguenza del cedimento ad una qualche forma di ipocrisia. È chiaro che ciò non giova all'autenticità delle relazioni fraterne e può condurre ad un'esagerata concentrazione su se stessi. In realtà, si cresce nella maturità affettiva quando il cuore aderisce a Dio. Cristo ha bisogno di sacerdoti che siano maturi, virili, capaci di coltivare un'autentica paternità spirituale. Perché ciò accada, serve l'onestà con se stessi, l'apertura verso il direttore spirituale e la fiducia nella divina misericordia” (Incontro con il clero, Varsavia, Cattedrale 25 maggio 2006).

Per vivere il proprio sacerdozio così come viene delineato dal Papa Benedetto XVI occorre un continuo esame di coscienza e un impegno formativo di ciascuno dei sacerdoti. Le sfide dei tempi di oggi richiedono ai sacerdoti una testimonianza data non tanto a parole, ma con opere che qualche volta devono apparire come segno di contraddizione rispetto al mondo pieno di mentalità laicista e laicizzante e di relativismo morale. Ecco perché il Papa ha istitutito quest’Anno Sacerdotale presentando san Giovanni Vianney come esempio del sacerdote che si dedica totalmente a servire le anime ed avvicinarle a Dio. Solo con tale atteggiamento un sacerdote può affrontare le sfide del mondo contemporaneo.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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