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I PROGRESSI DELL'ECUMENISMO e i suoi reali problemi

Ultimo Aggiornamento: 28/11/2013 13:58
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02/06/2009 08:29
 
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I PROGRESSI DELL'ECUMENISMO

[Tratto da: Chiesa, Ecumenismo e Politica, Ed. Paoline, 1987, pp. 131-137]

Una lettera alla «Theologische Quartalschrift» di Tubinga
dal card. J.Ratzinger

[La «Theologische Quartalschrift» ha pubblicato nel 1986, sotto la direzione del prof. M. Seckler, un quaderno circa lo stato dell'ecumenismo. Io fui gentilmente invitato a parteciparvi. Questa lettera è il mio tentativo di risposta all'invito]



 

Stimatissimo e caro signor collega Seckler!

Lei mi ha invitato a tracciare per la Theologische Quartalschrift un quadro di ciò che io penso a riguardo dei progressi dell'ecumenismo. Non mi è facile rispondere a una domanda così enorme a causa del tempo purtroppo limitato. Lo farò ma ovviamente in maniera lacunosa e insufficiente. D'altra parte io vedo sempre più chiaramente che abbiamo bisogno di propositi nuovi sul tema delle prospettive ecumeniche e, nonostante tutti i ripensamenti, non vorrei dir di no al Suo invito.

Mi consenta anzitutto un breve sguardo all'indietro lungo la strada percorsa negli ultimi vent'anni. Una localizzazione dell'oggi mi sembra indispensabile per poter vedere il domani. Quando il Concilio Vaticano II gettò basi nuove nella Chiesa cattolica per l'attività ecumenica, c'era già stato un lungo processo di comuni ricerche, che aveva portato alla maturazione di alcune idee che si sono quindi potute rapidamente mettere in pratica. Durante questa fase, in cui tutto d'un tratto si resero possibili novità così importanti e inaspettate, parve fondata la speranza per una fine rapida e completa della divisione. Ma quando ciò che era diventato possibile da dentro venne tradotto in forme ufficiali, dovette necessariamente subentrare una specie di quiete. Per coloro che avevano di persona conosciuto fin dagli inizi il processo ecumenico, o che vi avevano anche collaborato, un simile momento era prevedibile, perché essi sapevano bene dove le soluzioni erano in vista e dove, invece, i confini erano ancora invalicabili. Invece, per coloro che stavano al di fuori, questo momento causò una grande delusione; furono inevitabili le imputazioni di colpa e furono facilmente rivolte alle autorità ecclesiastiche.

 

Subito dopo l'attenuarsi del primo slancio conciliare, era affiorato il contromodello dell'ecumenismo «di base», il quale mirava a far sorgere l'unità «dal basso» se non era possibile farla discendere dall' alto. In questa concezione è giusto che l' «autorità» nella Chiesa non può realizzare nulla che non sia prima maturato nella vita della Chiesa, quanto a intelligenza ed esperienza di fede.

Dove, però, non si faceva riferimento a questa maturazione, ma si andava affermando una divisione della Chiesa in «chiesa di base» e in «chiesa ministeriale», non poteva certo emergere una nuova unità di qualche rilievo. Un ecumenismo di base di questo genere crea alla fine soltanto dei gruppuscoli, i quali dividono le comunità, e tra loro stessi non realizzano un'unità più profonda, nonostante una propaganda comune di ampiezza mondiale. Per un certo lasso di tempo parve che le tradizionali divisioni delle chiese sarebbero state superate mediante una divisione nuova e che si sarebbero in futuro trovati contrapposti, da una parte dei cristiani «impegnati» in senso progressista e, dall'altra, dei cristiani «tradizionalisti», che avrebbero ambedue fatto adepti nelle diverse chiese finora esistenti. In tale ottica nacque allora il proposito di omettere del tutto dall'ecumenismo le «autorità», perché un eventuale accostamento o perfino unione su questo piano non avrebbe che rafforzato l'ala tradizionalista della cristianità e si sarebbe impedita la formazione di un cristianesimo nuovo e progressista.


Simili idee oggi non sono ancora del tutto spente, ma sembra tuttavia che il tempo della fioritura sia ormai alle spalle. Un'esistenza cristiana, che si definisce quanto all'essenza secondo i criteri dell' «engagement», è troppo labile nei suoi confini per poter alla lunga creare unità e generare solidità in una vita cristiana comune. Le persone perseverano nella chiesa non perché vi trovano feste comunitarie e gruppi di azione, bensì perché sperano di trovarvi le risposte a domande vitali indispensabili.Tali risposte non sono state escogitate dai parroci o da altre autorità, ma vengono da un'autorità più grande e sono fedelmente mediate e amministrate, semmai, dai parroci. Gli uomini soffrono anche oggi, forse ancora più di prima; non basta ad essi la risposta che viene dalla testa del parroco o da qualche «gruppo attivistico». La religione penetra oggi come sempre in profondità nella vita degli uomini per attingervi un punto di assoluto e, a tanto, serve solo una risposta che viene dall' assoluto. Là dove i parroci o i vescovi non appaiono più come i mediatori di quanto è assoluto anche per essi, ma hanno solamente da offrire le loro proprie azioni, è allora che diventano una «chiesa ministeriale» e, come tali, superflui.

Voglio dire con tutto ciò che la stabilità del fenomeno religioso viene da zone che non possono essere attinte dall' «ecumene di base» ed inoltre che la ricerca di assoluto segna anche i confini di ogni operazione «autoritativa» nella chiesa. Ciò significa che, portatrici di azioni ecumeniche, non possono venir considerate né una «base» isolata, né un' «autorità» isolata; un'azione ecumenica reale presuppone l'intima unità tra l'azione delle autorità e l'autentica vita di fede della Chiesa.

Qui io vedo uno degli errori fondamentali del progetto Fries-Rahner. Rahner pensa che i cattolici seguiranno senz'altro l'autorità; è un presupposto della tradizione e della struttura del cattolicesimo. Di fatto le cose non sono essenzialmente diverse tra i protestanti; se l'autorità decide l'unità e si impegna a sufficienza per essa, non verrà a mancare neppure qui l'obbedienza docile delle comunità. Per me questa è una forma di ecumenismo d'autorità, che non corrisponde né alla concezione cattolica né a quella evangelica di Chiesa.

Una unità operata da uomini non potrà essere logicamente che un affare iuris humani. Non attingerebbe per principio l'unità teologica intesa da Gv 17 e non potrà essere di conseguenza neppure una testimonianza del mistero di Gesù Cristo, ma parlerà unicamente a favore dell' abilità diplomatica e della capacità compromissoria dei responsabili della trattativa. E già qualcosa, ma non tocca il piano veramente religioso, di cui si tratta appunto in fatto di ecumenismo. Anche le dichiarazioni teologiche di consenso rimangono di necessità sul piano dell'intelligenza umana (scientifica), la quale è in grado di approntare certe condizioni essenziali per l'atto di fede, ma non concerne l'atto di fede in quanto tale.

Nella prospettiva dell'avvenire mi sembra quindi importante riconoscere i limiti dell' «ecumene contrattuale» e non aspettarsi da essa più di ciò che può dare: avvicinamento su importanti aspetti umani, ma non l'unità stessa.

A me sembra che si sarebbero potute evitare certe delusioni, se tutto ciò si fosse tenuto chiaramente presente fin dal principio. Così invece molti, dopo i successi dei primi anni postconciliari, hanno concepito l'ecumenismo come un compito diplomatico secondo categorie politiche. Come da buoni intermediari ci si aspetta che appunto si addivenga dopo un certo tempo a un accordo per tutti accettabile, così si è potuto credere di attendersi tutto ciò dall'autorità ecclesiastica in questioni di ecumenismo. Ma in tal modo si domandava troppo a una simile autorità. Ciò che essa ha potuto fare dopo il Concilio si fondava su un processo di maturazione che non era stato da essa compiuto, ma aveva solo bisogno di essere tradotto nell' ordinamento esterno della chiesa.

Ma, stando così le cose, che cosa dobbiamo fare? In vista di una risposta mi è assai di aiuto la formula che Oscar Cullmann ha coniato per tutta la discussione: unità attraverso pluralità, attraverso diversità. Certamente la spaccatura è dal male, specie quando porta all'inimicizia e all'impoverimento della testimonianza cristiana. Ma se a questa spaccatura viene a poco a poco sottratto il veleno dell'ostilità e se, nell'accoglimento reciproco della diversità, non c'è più riduzionismo, bensì ricchezza nuova di ascolto e di comprensione, allora la spaccatura può diventare nel trapasso una felix culpa, anche prima che sia del tutto guarita.


Caro signor collega Seckler, verso la fine degli anni da me trascorsi a Tubinga, Lei mi diede da leggere un lavoro compiuto sotto la sua guida, lavoro che esponeva l'interpretazione agostiniana della misteriosa sentenza di Paolo: «E' necessario che avvengano divisioni tra voi» (1Cor 11,19).
 
Il problema esegetico dell'interpretazione di 1Cor 11,19 non è in discussione qui; a me sembra che i padri non avevano gran torto a trovare in questa annotazione localizzata un'affermazione aperta sull'universale, ed anche H. Schlier pensa che si tratti per Paolo di un principio escatologico-dogmatico (Th WNT, I, 182). Se è legittimo pensare in questa direzione, assume un peso speciale l'affermazione esegetica secondo cui il [...] biblico rinvia sempre in qualche modo a un agire di Dio, cioè a una necessità escatologica (così per es. Grundmann, Th WNT, II, 22-25). Ma allora ciò significa che, se le divisioni sono anzitutto opera umana e colpa umana, esiste tuttavia in esse anche una dimensione che corrisponde a disposizioni divine. Perciò noi le possiamo trasformare solo fino a un certo punto con la penitenza e la conversione; ma quando le cose sono arrivate al punto che noi non abbiamo più bisogno di questa rottura e che il [...] viene a cadere, questo lo decide tutto da sé il Dio che giudica e perdona.


Sulla strada mostrata da Cullmann noi dovremmo per prima cosa cercare di trovare unità attraverso diversità, cioè a dire: assumere nella divisione ciò che è fecondo, disintossicare la divisione stessa e ricevere proprio dalla diversità quanto è positivo; naturalmente nella speranza che alla fine la rottura smetta radicalmente d'essere rottura e sia invece solo una «polarità» senza contraddizione. Ma quando ci si protende troppo direttamente verso quest'ultimo stadio con la fretta superficiale del voler fare tutto da sé, si approfondisce la separazione invece di sanarla.
 
Mi permetta di dire il mio pensiero con un esempio molto pratico. Non è stato forse in tanti modi un bene per la Chiesa cattolica in Germania e altrove il fatto che sia esistito accanto alla Chiesa il protestantesimo con la sua liberalità e la sua devozione religiosa, con le sue lacerazioni e la sua elevata pretesa spirituale? Certo, ai tempi delle lotte per la fede, la spaccatura è stata quasi soltanto contrapposizione; ma poi sono cresciuti sempre di più elementi positivi per la fede in entrambe le parti, un positivo che ci permette di comprendere qualcosa del misterioso «è necessario» di San Paolo. Giacché, viceversa, ci si potrebbe immaginare un mondo unicamente protestante? O non è forse vero che il protestantesimo in tutte le sue affermazioni, e proprio come protesta, è del tutto riferito al cattolicesimo, al punto che senza di questo sarebbe quasi impensabile?

Scaturisce di qui un duplice movimento per l'azione ecumenica. Una linea dovrà essere quella di una ricerca per trovare tutta l'unità; per escogitare modelli di unità; per illuminare opposizioni in ordine all'unità. Non solo nelle discussioni dotte, ma soprattutto nella preghiera e nella penitenza. Ma accanto a tutto ciò dovrebbe sorgere un secondo spazio operativo, il quale presuppone che noi non sappiamo l'ora e non la possiamo sapere, l'ora quando e come l'unità si realizza. A tanto vale davvero e in tutta serietà il detto di Melantone: «ubi et quando visum est Deo». In ogni caso dovrebbe risultare chiaro che l'unità non la facciamo noi (come non facciamo noi la giustizia con le nostre opere) e che inoltre non possiamo tuttavia rimanere con le mani in mano. Ciò che qui importa è di accogliere sempre daccapo l'altro in quanto altro nel rispetto della sua alterità. Possiamo essere uniti anche come divisi.




Questa specie di unità, per la cui crescita continua possiamo e dobbiamo impegnarci, senza collocarla sotto la pressione troppo umana del successo e della «meta finale», conosce molte e varie strade ed esige molti e vari impegni. Anzitutto è importante trovare, conoscere e riconoscere le unità che già ci sono e che non sono davvero piccola cosa. Il fatto che leggiamo insieme la Bibbia come parola di Dio; che ci è comune la professione di fede, formatasi negli antichi concilii in base alla lettura della Bibbia, in Dio uno e trino, in Gesù Cristo vero Dio e uomo, del battesimo e della remissione dei peccati, e che ci è quindi comune l'immagine fondamentale di Dio e dell'uomo: tutto ciò dev'essere sempre nuovamente attualizzato, pubblicamente testimoniato ed approfondito nella pratica. Ma comune a noi è pure la forma fondamentale della preghiera cristiana ed unico tra noi pure l'essenziale comandamento etico del decalogo, interpretato nella luce del Nuovo Testamento. All'unità di fondo della confessione di fede dovrebbe corrispondere una unità di fondo operativa. Si tratta dunque di rendere effettiva l'unità che già sussiste, di concretizzarla e di ampliarla. Appartengono a questa istanza naturalmente forme molteplici di incontro a tutti i livelli (autorità, teologi, credenti) e forme di attività comune; tutto ciò dev'essere attuato in esperienze concrete e ulteriormente sviluppato, a quel modo che già avviene in notevole misura, grazie a Dio.

All'«unità attraverso diversità» potrebbero e dovrebbero aggiungersi certamente azioni di carattere simbolico, per tenerla costantemente presente nella coscienza delle comunità. Il suggerimento di O. Cullmann quanto alle collette ecumeniche meriterebbe d'essere richiamato alla memoria. L'uso del pane dell'eulogia presente nella Chiesa d'oriente potrebbe essere utile anche per l'occidente. Dove la comunità eucaristica non è possibile, questo pane è un modo reale e corporeo di essere accanto nell'alterità e di «comunicare»; di portare la spina dell'alterità e al tempo stesso cambiare la divisione in una preghiera reciproca.

Appartiene a quest' «unità attraverso diversità» anche la volontà di non voler imporre all'altro ciò che (ancora) lo minaccia nel centro della sua identità cristiana. I cattolici non dovrebbero cercare di spingere i protestanti al riconoscimento del papato e della loro comprensione della successione apostolica; l'inserimento della parola nello spazio del sacramento, e nell'ordine giuridico definito dal sacramento, appare evidentemente ai protestanti un attentato alla libertà e alla non manipolabilità della parola, e noi questo dovremmo rispettarlo. Viceversa, i protestanti dovrebbero evitare di spingere la chiesa cattolica all'intercomunione a partire dalla loro idea della Cena" dal momento che per noi il doppio mistero del Corpo di Cristo - Corpo di Cristo come Chiesa e Corpo di Cristo come specie sacramentale - sono di un unico sacramento, e togliere la corporeità del sacramento dalla corporeità della Chiesa significa a un tempo distruzione della chiesa e del sacramento.

Questo rispetto per ciò che rappresenta per le due parti la necessità della divisione, non allontana l'unità; è un presupposto fondamentale per essa. Da questa rispettosa remora interiore, davanti al «necessario» che non è stato inventato da noi, maturerà molto più amore e anche molta più vicinanza che non da una forma di sollecitazione violenta, che crea ripulsa e alla fine rifiuto. E questo rispetto non solo non impedirà, di conseguenza, la ricerca di una comprensione maggiore in questi spazi centrali del problema, ma avrà per suo frutto una maturazione tranquilla e una gratitudine gioiosa per tanta vicinanza, nonostante il misterioso «necessario».

Immaginiamo che i concetti appena accennati non piaceranno a molti. Credo che una considerazione dovrebbe in ogni caso essere evitata: che tutte queste non siano che delle idee stagnanti e rassegnate, o addirittura un rifiuto dell'ecumenismo. E' molto semplicemente il tentativo di lasciare a Dio quello che è affare unicamente suo, e di esplorare poi, in tutta serietà, che cosa è nostro compito. A questa sfera dei nostri compiti appartiene agire e soffrire, attività e pazienza. Se si cancella una delle due cose, si guasta l'insieme. Se noi ci impegniamo su ciò che spetta a noi, allora l'ecumenismo sarà anche in futuro, e più ancora di prima, un compito altamente vivace e ardimentoso. Io sono convinto che noi - liberati dalla pressione del successo delle nostre energie autonome e dalle sue date segrete e palesi - arriveremo più in fretta e più in profondità allo scopo che se cominciamo a trasformare la teologia in diplomazia e la fede in «engagement».

Caro signor Seckler, io spero che queste righe possano rendere un po' più chiare le mie idee ecumeniche. Sono, con i miei più cordiali saluti, il Suo

 


+ JOSEPH CARD. RATZINGER

www.ratzinger.us


Si legga anche:

ECU...MANIA: in che senso san Paolo potrebbe essere stato ecumenico?

Come deve porsi un cattolico nei confronti del grande valore dell'amicizia?

Prima di tutto la COMUNIONE ECCLESIALE

Perchè sono Cattolico, di Chesterton

LA CATASTROFE CHE FU IL LUTERANESIMO


[Modificato da Caterina63 25/09/2009 13:30]
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Pio XI
Mortalium animos

Indicazioni del Pontefice per il sano Ecumenismo

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1. Forse mai nel passato sentì il mondo vivo come al Nostri giomi il desiderio di rafforzare ed estendere al bene comune dell’umanità quelle fraterne relazioni che, per identità di natura e di origine, ci uniscono, in quanto uomini, strettamente fra noi.

Le nazioni sono ancora ben lontane dal goder pienamente i beni della pace, anzi vecchi e nuovi dissidi sbocciano qua e là in rivolte e lotte civili; d’altra parte la soluzione dei molti contrasti circa la tranquillità e prosperità dei popoli è subordinata all’opera concorde ed attiva dei rispettivi governanti; si spiega facilmente (massime ora che tutti convengono sull’unità del genere umano) perché siano tanti a desiderare una sempre maggiore unione fra le varie nazioni, a ciò portate da questa fraternità universale.

2. Analogo è l’intento che si prefiggono di conseguire taluni per quanto riguarda l’ordinamento della nuova legge promulgata da Nostro Signore Gesù Cristo.

Convinti che rarissimo è il caso di uomini assolutamente privi di ogni sentimento religioso, sembrano nutrire speranza che non debba riuscire troppo difficile che, malgrado singole divergenze in materia di religione i popoli si accordino fraternamente un giorno nella professione di alcune dottrine, accolte come base comune di vita spirituale.

Di qui il frequente indire che fanno, con notevole intervento di persone, di congressi, riunioni, conferenze cui sono indifferentemente invitati a discutere infedeli di ogni gradazione e cristiani e perfino infelici apostati da Cristo che ne ripudiano con pertinace ostinazione la natura e missione divina.

Simili tentativi non possono in nessun modo riscuotere l’approvazione dei cattolici, fondati come sono sul falso presupposto che tutte le religioni siano buone e lodevoli in quanto tutte, pur nella diversità dei modi, manifestano e significano ugualmente quel sentimento, a chiunque congenito, che ci rivolge a Dio e ci rende ossequienti nel riconoscimento del suo dominio.

Teoria questa non solo erronea e ingannatrice, ma che attraverso una deformazione del vero concetto religioso conduce insensibilmente chi la professa al naturalismo ed all’ateismo. E’ chiara quindi la conseguenza: aderendo ai fautori di tali teorie e tentativi ci si allontana del tutto dalla religione rivelata da Dio.

3. Ma dove parvenze di bene ingannano più facilmente parecchi è quando si tratta di promuovere l’unità fra tutti quanti i cristiani. Si sente ripetere con insistenza che, non solo è giusto, ma doveroso che quanti invocano il nome di Cristo si astengano da reciproche recriminazioni e si stringano una buona volta in vincoli di vicendevole carità.

E chi oserebbe sostenere di amar Gesù Cristo, senza impegnar tutte le proprie forze per contribuire alla realizzazione di uno dei voti di Lui, quando pregò il Padre perché i suoi discepoli fossero "una cosa sola?".

E lo stesso Gesù non diede ai propri fedeli quasi come distintivo l’amore reciproco: "Da questo tutti vi conosceranno per i miei discepoli: dall’amarvi l’un l’altro?" E magari aggiungono fossero tutti i cristiani "una cosa sola"; ben maggiore sarebbe la resistenza alla peste dell’empietà il cui quotidiano diffondersi ed imporsi minaccia di paralizzare la Buona Novella.

4. Queste e simili sono le ragioni che espongono non senza ampliarle, i cosiddetti pancristiani. E non è da credere che costoro siano pochi e raccolti in rari gruppi: si sono invece moltiplicati per così dire in fitta schiera e riuniti in società di vasta diffusione, rette specialmente - benché composte di credenti di varie confessioni - da acattolici.

Il lavoro a questo scopo è talmente attivo che in vari luoghi ha guadagnato la pubblica opinione e parecchi fra gli stessi cattolici sono presi dal miraggio e dalla speranza di simile unione, tanto più che essa sembra rispondere ai desideri di Santa Madre Chiesa, uno dei cui voti più antichi è di richiamare e ricondurre nel proprio seno i figli che l’han disertata.

Eppure sotto codeste attrattive e lusinghe si nasconde un gravissimo errore che scalzerebbe dalle basi il fondamento della Chiesa cattolica. Perciò la consapevolezza del Nostro dovere apostolico ci impone di vigilare a che il gregge del Signore non cada vittima di pericolose fallacie, e contro tanto male sollecitiamo, venerabili fratelli, la vostra diligenza.

Voi avvicinerete - ne siamo sicuri - con il più facile mezzo dello scritto e della parola, il popolo e ne sarete compresi nella spiegazione degli argomenti e principi che stiamo per esporre.

Non mancherà così ai cattolici una precisa norma di pensiero e di azione per saper come regolarsi rispetto a iniziative tendenti a procurare in qualsivoglia modo l’unione in un corpo solo di tutti i cristiani.

5. Dio, sommo fattore dell’universo, ci ha creati per conoscerlo e servirlo: pieno diritto ha per conseguenza alla nostra servitù. Avrebbe potuto Iddio per governar l’uomo prescrivere solamente la legge di natura, quella cioè che gli scolpì nell’animo all’atto della creazione e quindi, mercé la ordinaria sua provvidenza regolarne i progressi. Amò invece presentarci dei particolari precetti e nel corso dei secoli, dall’origine del genere umano sino alla venuta e predicazione di Cristo, insegnò egli stesso all’uomo i doveri che gli derivavano dalla propria natura verso il Creatore: "molte volte e in molti modi Dio ha parlato già ai nostri Padri per mezzo dei Profeti, e da ultima ai giorni nostri ha parlato a noi attraverso il suo Figliolo".

E’ evidente da quanto precede che delle religioni sola vera sarà quella che si fonda sulla parola della rivelazione, cominciata fin da principio, proseguita nell’antico testamento e compiuta nel nuovo dello stesso Gesù Cristo. Ora, se Dio ha parlato, e la storia ci prova che realmente parlò, tutti comprendono che è Nostro dovere credere senza limiti a quanto Egli rivela e senza restrizioni obbedire ai suoi ordini. E proprio per questo, perché potessimo rettamente comportarci a gloria di Dio e per la nostra salvezza, fondò il Signore la sua Chiesa nel mondo.

Nessuno crediamo, può dichiararsi cristiano senza almeno credere alla istituzione di una Chiesa e di una sola, per opera di Cristo: ma se appena si richiede quale deva essere secondo la volontà del suo fondatore, allora cominciano le divergenze. Molti per esempio negano che la Chiesa di Cristo deva essere visibile, almeno nel senso che debba presentarsi come un solo corpo di fedeli, concordi in un solo insegnamento e in una sola dottrina, sotto unico governo; e dicono invece che la Chiesa visibile altro non è se non una società composta dall’assieme delle varie comunità cristiane, anche se singolarmente aderenti a dottrine magari opposte fra loro.

La Chiesa sua invece Nostro Signore la fondò come società perfetta, per natura esterna e sensibile, con il fine di perpetuare nel futuro l’opera salvatrice della Redenzione, sotto la guida di un solo capo, mercé l’insegnamento della parola e con la dispensa dei sacramenti, fonti della Grazia celeste.

Ecco perché nelle sue parabole la dichiarò simile a regno, a casa, a ovile, a gregge. E codesta Chiesa, morti che furono il fondatore e gli apostoli, primi artefici della sua propaganda, non poteva certo, così mirabilmente costituita, venir meno e cessare, poiché ad essa era stato assegnato il compito di condurre tutti gli uomini senza alcuna eccezione di tempo o di luogo all’eterna salvezza "andate dunque ed insegnate a tutti...".

E come potrà mai la chiesa deflettere dall’adempimento di questo dovere, per diminuito valore ed efficacia, sicura della permanente presenza a suo fianco di Gesù Cristo secondo la solenne promessa "Ecco io sono con voi ogni giorno, sino alla fine dei secoli?".

Non solamente deve dunque la Chiesa di Cristo sussistere oggi, domani e sempre, bensì deve avere l’identica fisionomia di quella dei tempi apostolici, a meno che non si voglia giungere all’assurdità di ritenere che Gesù Cristo o abbia fallito allo scopo o pur si sia sbagliato quando affermò che le porte dell’inferno non avrebbero mai prevalso contro di essa.

Se non che a questo punto occorre chiarire e confutare una falsa opinione, da cui sembra dipenda tutta la questione presente da cui traggono origine la molteplice attività e sollecitudine degli acattolici tendenti - come dicemmo - all’unione delle chiese cristiane.

I fautori di questa iniziativa van di continuo e quasi all’infinito ripetendo le parole di Cristo: "Che tutti siano una cosa sola... si farà un solo gregge ed un solo pastore..." con l’idea però di esprimere così un voto e una preghiera di Gesù Cristo tuttavia inesauditi. Per costoro l’unità di governo e di fede, che è la nota distintiva dell’unica e vera Chiesa di Cristo non è mai, si può dire, esistita nel passato né esiste al presente; è possibile si desiderarla e forse, una volta o l’altra, mediante la comune volontà dei fedeli potrebbe anche realizzarsi, ma rimane per adesso vaga utopia.

Di più: la Chiesa, dicono, per sé, per sua natura è divisa in parti, consta cioè di molte singole Chiese e comunità e queste separate finora pur avendo in comune taluni punti dottrinali, tuttavia non sono d’accordo per altri i ma tutte godono e possono rivendicare gli stessi diritti; la Chiesa insomma fu unica al più dall’età apostolica fino ai primi concili ecumenici.

******

( [SM=g1740733] ATTENZIONE: non a caso infatti l'allora card. Ratzinger scrisse la DOMINUS JESUS
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...
firmata da Giovanni Paolo II ed oggi in qualità di Pontefice Benedetto XVI, seppur con parole diverse, sta dicendo le stesse motivazioni di Pio XI firmando per altro anche un altro Documento importante:
RISPOSTE RIGUARDANTI ALCUNI ASPETTI CIRCA LA DOTTRINA SULLA CHIESA
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...
ed infine nell'Enciclica Caritas in Veritate, al n. 12 Benedetto XVI ha ribadito l'importanza di INTERPRETARE E TRASMETTERE LA DOTTRINA DELLA CHIESA IN COERENZA con gli altri scritti pontifici:
"E se è "giusto rilevare le peculiarità dell'una o dell'altra Enciclica, dell'insegnamento dell'uno o dell'altro Pontefice, mai però perdendo di vista la coerenza dell'intero corpus dottrinale", d'altra parte "coerenza non significa chiusura in un sistema, quanto piuttosto fedeltà dinamica a una luce ricevuta"" (Caritas in veritate, 12). [SM=g1740733] )

*****

Dunque, soggiungono, bisogna mettere da parte e superare ogni controversia e codeste antichissime divergenze che ancor oggi mantengono diviso il nome cristiano; e formare invece, dalle altre dottrine comuni, e proporre, una norma di fede nella cui professione prevalga piuttosto al sapersi il sentirsi fratelli; che infine se unite da un patto universale le varie comunità o chiese potranno opporre solida e fruttuosa resistenza ai progressi dell’empietà.

6. Questo, venerabili fratelli, è quanto si sente comunemente dire. E’ ben vero che non mancano di quelli che ritengono e concedono che il Protestantesimo ha peccato di leggerezza nell’abbandonare certi punti di fede e qualche rito del culto esterno, certamente accettabili ed utili, che invece la Chiesa romana ancora mantiene. Subito dopo però rinfacciano proprio a questa chiesa di aver corrotto la purezza delle antiche dottrine con l’aggiunta di altre, nonché aliene, contrastanti addirittura al Vangelo; e la principale sarebbe quella del primato di giurisdizione concesso a Pietro e ai suoi successori nella sede romana. Fra costoro ce ne sono pure benché pochi - che concedono - al Romano Pontefice un primato d’onore, una qualche giurisdizione o potere, ma solo in quanto derivato, in certa maniera, dal consenso dei fedeli e non già per diritto divino; ed altri arrivano fino a desiderare alla presidenza dei loro, diciamo così, variopinti convegni, lo stesso Pontefice.

[SM=g1740733] (ehm fu davvero profeta Pio XI!)

Ma se molti sono gli acattolici che predicano a gran voce la fraterna comunione in Gesù Cristo, non se ne trova nemmeno uno cui venga in mente di obbedire all’insegnamento e sottoporsi al governo del Vicario di Gesù Cristo. [SM=g1740721]

E intanto sostengono che essi tratteranno ben volentieri con la chiesa romana ma con eguaglianza di diritti, cioè da pari a pari; e se così potessero fare ci vuol poco a supporre che agirebbero in modo che l’eventuale accordo non li costringesse al ripudio delle opinioni per cui vagano ancora erranti lontano dall’unico ovile di Cristo.

7. Stando così le cose, è evidente che non può la Sede Apostolica prendere parte a queste riunioni né è permesso in alcun modo ai cattolici aderire o prestar l’opera propria a tali iniziative; cosi facendo attribuirebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai diversa dall’unica Chiesa di Cristo. Ma potremo noi tollerare l’iniquissimo tentativo che la verità, e di più divinamente rivelata sia oggetto di transazioni?

***

(ATTENZIONE: infatti, nei Documenti sopra citati, Benedetto XVI ribadisce I MODI E I TERMINI attraverso i quali si può concretizzare il dialogo con i non cattolici...così come sia Paolo VI quanto Giovanni Paolo II condannarono entrambi in Documenti scritti la così detta INTERCOMUNIONE che non è altro quella degenerazione ecumenica di cui parla qui Pio XI [SM=g1740733] )

***

Ché qui si tratta proprio della difesa della verità rivelata. Dal momento che Gesù mandò per il mondo intero a diffondere tra tutti la buona novella gli apostoli, dopo aver loro tolto, per mezzo del preventivo insegnamento di tutta la verità da parte dello Spirito Santo, ogni possibilità di errore, forse che cotesta dottrina apostolica è mai venuta del tutto meno o fu talvolta alterata, in quella chiesa di cui Dio stesso è guida e custode ?

E poteva il Signore, mentre dichiarò apertamente che il Vangelo non si riferiva solo ai tempi apostolici, ma abbracciava anche tutto il futuro, permettere un oscuramento progressivo dell’oggetto della fede, tale da trovarci a dover oggi tollerare opinioni contrastanti?

Ma se questo fosse vero bisognerebbe pur convenire bestemmiando che la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e la sua stessa perpetua permanenza nella Chiesa e fin la Predicazione di Cristo han perduto ormai da parecchi secoli ogni efficacia ed utilità.

Di più l’Unigenito Figlio di Dio quando ordinò ai suoi messi di evangelizzare tutto il mondo impose a tutti gli uomini il dovere di prestar fede alla verità insegnata da questi "testimoni preordinati da Dio" con la sanzione: "Chi crederà e sarà battezzato si salverà; e chi non crederà sarà dannato". Ora non si può nemmeno comprendere la portata e il valore di questo duplice precetto di insegnare cioè e di credere indispensabile al conseguimento dell’eterna salute, se non attraverso l’integra e chiara esposizione della dottrina evangelica fatta dalla Chiesa, e la sicurezza della sua infallibilità.

A questo riguardo sono pure fuori di strada quanti ammettono sì l’esistenza in terra di un deposito di verità, ma ne subordinano la conquista a così faticoso lavoro, con studi ed indagini tanto diuturne, che sì e no la vita di un uomo potrebbe bastare; come se Dio nella sua immensa bontà, avesse parlato per mezzo dei profeti e del proprio Unigenito perché solo pochi ed anziani conoscessero la verità da lui rivelata, e non per imporre norme di fede e di morale a guida e sostegno dell’uomo nel suo corso mortale.

8. Potrà sembrare che codesti "pancristiani" tutti occupati nell’unire le Chiese si propongano il nobilissimo scopo di diffondere e d’intensificare tra tutti i cristiani il senso della carità; ma come mai potrebbe la carità rivolgersi in danno della fede? [SM=g1740721]

Nessuno certamente ignora che proprio Giovanni, l’apostolo della Carità, che pare nel suo vangelo aver svelato i secreti del Cuore Sacratissimo di Gesù e che sempre inculcava ai discepoli il nuovo comandamento: "Amatevi l’un l’altro", vietò ogni relazione con chi non professi piena ed incorrotta la fede di Cristo: "Chi viene a voi e non porta questa dottrina non accoglietelo in casa e non lo salutate nemmeno".

Quindi, basandosi la carità sulla fede integra e sincera, occorre che principalmente sul vincolo dell’unità della fede si polarizzino gli sforzi per riunire i figli di Cristo.

9. Come è dunque possibile concepire una società cristiana i cui singoli componenti siano liberi di ritenere, anche quando si tratta dell’oggetto della fede, il proprio modo di pensare e di giudicare benché contrario alle opinioni degli altri ?

E in che maniera, di grazia, armonizzerebbero a comporre una sola ed uguale unità di fedeli, uomini che seguono sentenze diverse! Come, per esempio, gli assertori della validità della sacra Tradizione, a fonte genuina della Rivelazione divina e quelli che la impugnano? Chi accetta l’origine divina della gerarchia ecclesiastica, coi suoi vescovi, sacerdoti e ministri, e chi la considera sorta mano a mano per le esigenze dei tempi e delle cose? Chi nella santissima Eucaristia, per la transustanziazione del pane e del vino, adora Cristo realmente presente e chi sostiene che ivi il Suo corpo è soltanto presente per la fede o per il segno e la virtù del Sacramento, chi nell’Eucaristia riconosce la natura di sacrificio e di sacramento e chi la giudica niente altro che memoria o rievocazione dell’Ultima Cena?

E come potranno star insieme le contrastanti dottrine sulla bontà e utilità delle preghiere ai santi prima fra tutti la Vergine Maria Madre di Dio che regnano insieme a Nostro Signore, e della venerazione alle loro immagini, e quelle per cui il culto dei santi non è lecito in quanto si oppone all’onore dovuto a Gesù Cristo "solo mediatore fra Dio e gli uomini"?

Date divergenze dottrinali così gravi e numerose non vediamo come si prepari la via a formare l’unità della Chiesa, mentre suoi requisiti essenziali sono un unico magistero, una unica legge del credere ed una sola fede.

Sappiamo invece benissimo che da tutto questo all’indifferenza religiosa ed al modernismo è breve il passo. Per quelli infatti che ne han miseramente subito il contagio, la verità dogmatica non è già assoluta ma relativa, proporzionata alle diverse esigenze di tempo e di luogo ed alle varie tendenze degli spiriti, non essendo basata sulla rivelazione immutabile ma sull’adattabilità alla vita.

Inoltre in materia di fede non si può assolutamente tollerare la distinzione posta tra articoli fondamentali e non fondamentali come se gli uni si imponessero a tutti e gli altri fossero lasciati all’arbitrio ed al gusto dei fedeli.

La virtù soprannaturale della fede che ha per causa formale l’autorità di Dio rivelante, non permette una simile distinzione. Sicché i veri cristiani prestano, per esempio, all’augusto mistero della Ss.ma Trinità uguale fede che a quello dell’Immacolata Concezione, e credono cosi all’Incarnazione del Verbo come all’infallibilità del Romano Pontefice, così come il Concilio Vaticano la definì.

Né per il fatto che le singole verità sono state definite e solennemente proclamate dalla Chiesa in tempi diversi ed anche recenti ne consegue una graduatoria nella loro certezza e credibilità. Forse non è sempre Dio che le rivelò?

Il Magistero Ecclesiastico infatti, stabilito per divina provvidenza nel mondo allo scopo di conservare intatti in perpetuo le verità rivelate e di diffonderne con facilità e sicurezza la conoscenza, per quanto si eserciti quotidianamente per mezzo del Sommo Pontefice e dei vescovi in comunione con Lui, abbraccia pure il compito di definire, con riti e solenni decreti, quei punti della Sacra dottrina che, per errori di eretici e controversie, occorre spiegare con ulteriore efficacia e chiarezza e ribadire nelle menti dei fedeli.

Però con questa forma straordinaria di insegnamento non si introducono invenzioni o comunque qualcosa di nuovo che venga ad aggiungersi alla somma delle verità almeno implicitamente contenute nel deposito della Rivelazione divina; si tratta invece o di chiarire punti che a taluni potrebbero rimanere tuttavia oscuri, o di dichiarare oggetto di fede verità prima ancora ritenute da taluno controverse.

10. Risulta quindi evidente, venerabili fratelli, il motivo del permanente divieto posto da questa Sede Apostolica ai fedeli di partecipare a riunioni degli acattolici. Ché l’unico modo possibile di favorire l’unità dei cristiani si è di agevolare il ritorno dei dissidenti alla unica vera Chiesa di Cristo, a tutti ben nota e, per volontà del proprio fondatore, destinata a rimaner in eterno tale come Egli la istituì per la comune salvezza di tutti. Che mai nel volgere dei secoli la mistica Sposa di Cristo fu contaminata né mai potrà contaminarsi secondo le belle parole di Cipriano: "Non può adulterarsi la Sposa di Cristo; è incorrotta e pudica; una sola casa conosce, di una sola stanza custodisce con casto pudore: la santità". E il medesimo santo martire bene a ragione si meravigliava che ci fosse qualcuno capace di credere che "questa unità proveniente dalla divina stabilità e saldata per mezzo dei sacramenti celesti possa nella Chiesa infrangersi ed esser sciolta per il dissenso di volontà discordanti".

Se infatti il mistico corpo di Cristo, cioè la Chiesa, è ben connesso e solidamente collegato come il fisico suo corpo, sarebbe sciocchezza fallace il dire che il mistico corpo si risolva in membri separati e distinti. Chiunque ad esso non è congiunto non può esserne membro né comunica con il capo che è Cristo. Ora nessuno partecipa a questa unica Chiesa di Cristo, come nessuno vi rimane, se non conoscendo ed accogliendo con l’obbedienza la suprema autorità di Pietro e dei suoi legittimi successori. Non fu forse al Vescovo di Roma che obbedirono gli antenati degli odierni seguaci degli errori di Fozio e dei Protestanti? I figli si allontanarono purtroppo dalla casa paterna ma non per questo essa andò in rovina sostenuta com’era dal continuo aiuto di Dio. Ritornino dunque al padre comune ed Egli dimentico delle precedenti ingiurie contro la Sede Apostolica li accoglierà con tutto l’affetto del cuore.

Ché se desiderano, come ripetono, unirsi con Noi e con i Nostri, perché non si affrettano a venire alla Chiesa " Madre e maestra di tutti i seguaci di Cristo?". [SM=g1740721]

Ascoltino la dichiarazione di Lattanzio: "La sola... Chiesa Cattolica è quella che mantiene il culto vero. Questa è la fonte della verità, questa la dimora della Fede, questo il tempio di Dio. E chiunque non v’è entrato o ne sia uscito rimane privo della speranza di salvezza. Nessuno deve cercare d’ingannare sé stesso con dispute pertinaci: qui si tratta della vita, e se non vi si pensa e provvede, la si perde irreparabilmente".

Tornino dunque i Nostri figli dissidenti alla Sede Apostolica, posta nell’Urbe che i principi degli apostoli, Pietro e Paolo, consacrarono col loro sangue, alla sede "Radice e matrice della Chiesa cattolica": non già con l’idea o la speranza che la "Chiesa del Dio vivo, colonna e fondamento della verità" faccia getto dell’integrità della fede per tollerare i loro errori, ma per sottomettersi al suo magistero e governo.

11. Volesse il Cielo che toccasse a Noi di realizzare quanto non riuscì ai Nostri predecessori: di poter abbracciare con effusione paterna i figli di cui piangiamo il doloroso abbandono; così il Salvatore che vuol tutti gli uomini salvi e consapevoli della verità, ascoltando la nostra appassionata preghiera si degnasse di richiamare tutti gli erranti alla unità della Chiesa!

E per conseguire cosi difficile intento invochiamo, e vogliamo s’invochi, l’intercessione della Beata Vergine Maria Madre della grazia divina, vincitrice di ogni eresia ed aiuto dei cristiani, perché ci ottenga quanto prima il sorgere di quel desideratissimo giorno in cui tutti gli uomini udranno la voce del suo Figliolo divino "conservando nel vincolo della pace l’unità dello Spirito".

Voi ben comprendete, venerabili fratelli, quanto questo ritorno Ci stia a cuore e desideriamo che lo sappiano tutti i Nostri figli, non soltanto i cattolici ma anche quelli da Noi separati. E non v’è dubbio che se richiedono con umiltà di preghiera lumi celesti riconosceranno l’unica vera chiesa di Cristo e vi entreranno finalmente uniti con Noi in perfetta carità.

In questa attesa a voi, venerabili fratelli, al vostro clero e popolo impartiamo di cuore, auspicio di doni divini e conferma di benevolenza paterna, l’apostolica benedizione.

Data a Roma, presso S. Pietro, il 6 Gennaio 1928, Festa dell’Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo, nell’anno VI del Nostro Pontificato.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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01/11/2009 14:03
 
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APPELLO DEL PAPA AL SANO ECUMENISMO:


DOPO L’ANGELUS di oggi 1.11.2009

Sono trascorsi esattamente dieci anni da quando alti rappresentanti della Federazione Luterana Mondiale e della Chiesa cattolica, il 31 ottobre 1999, ad Augsburg, firmarono la
Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione.

Ad essa aderì poi, nel 2006, anche il Consiglio Metodista Mondiale. Quel documento attestò un consenso tra luterani e cattolici su verità fondamentali della dottrina della giustificazione, verità che ci conducono al cuore stesso del Vangelo e a questioni essenziali della nostra vita.
Da Dio siamo accolti e redenti; la nostra esistenza si iscrive nell’orizzonte della grazia, è guidata da un Dio misericordioso, che perdona il nostro peccato e ci chiama ad una nuova vita nella sequela del suo Figlio; viviamo della grazia di Dio e siamo chiamati a rispondere al suo dono; tutto questo ci libera dalla paura e ci infonde speranza e coraggio in un mondo pieno di incertezza, inquietudine, sofferenza.

Nel giorno della firma della Dichiarazione Congiunta, il Servo di Dio Giovanni Paolo II la definì "una pietra miliare sulla non facile strada della ricomposizione della piena unità tra i cristiani" (
Angelus, 31 ottobre 1999).

Questo anniversario è dunque un’occasione per ricordare la verità sulla giustificazione dell’uomo, testimoniata insieme, per riunirci in celebrazioni ecumeniche e per approfondire ulteriormente tale tematica e le altre che sono oggetto del dialogo ecumenico. Spero di cuore che questa importante ricorrenza contribuisca a far progredire il cammino verso l’unità piena e visibile di tutti i discepoli di Cristo.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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16/11/2009 08:56
 
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 Occhi al cielo ci vorrebbe qualche ortodosso a sostituire Kasper....

(riporto la traduzione e il commento da Messainlatino)

Ecumenismo: Gli ortodossi russi chiudono la porta in faccia agli evangelici
 


La Chiesa ortodossa russa, indignata, vuole troncare i rapporti coi luterani. Motivo? La scelta di Margot Käβmann –una donna, oltre tutto separata- al vertice del Consiglio di Presidenza della comunione evangelica tedesca, l’EKD. Secondo quanto riportato dal periodico “Der Spiegel”, pare che la nomina renda impossibile il dialogo, almeno nella forma in cui lo si è inteso da cinquant’anni a questa parte: è quanto ha dichiarato all’agenzia Interfax, a Mosca, Padre Georgi Sawerschinski. La Chiesa Ortodossa non ammette alcuna ordinazione femminile, né tanto meno che alle donne possa esser assegnata la guida della comunità religiosa.

In questo campo l’ultima parola spetta al Patriarca Kirill I, riferimento spirituale della Chiesa ortodossa russa a livello mondiale. La frattura tra le due confessioni religiose è stata l’argomento principale sulle pagine di numerosi quotidiani russi. “Il Patriarca non vuole aver niente a che fare con la nuova guida luterana tedesca”, titolava “Wremja Nowostej”.

Käβmann, vescovo della Bassa Sassonia, è giunta al più alto incarico contemplato in Germania all’interno della comunione evangelica lo scorso 28 ottobre, in occasione dell’ultimo sinodo. Che le celebrazioni in programma per fine novembre in occasione dei 50 anni di dialogo tra la Chiesa Ortodossa e la comunione luterana rappresentino anche la fine del confronto ecumenico tra le due confessioni, è stato evidenziato dal fatto che il “ministro degli Affari Esteri” ortodosso, l’arcivescovo Ilarion di Wolokolamsk, ha gettato la spugna e lasciato il tavolo, come annunciato dal quotidiano “Kommersant”. Decisione condivisa dagli evangelici russi. Lo stesso “segretario capo” della comunione evangelico-luterana di Russia, Pastore Alexander Priluzki, però, ha definito –dal canto suo- l’elezione di Käβmann un “segno della crisi della società occidentale”.

Käβmann si è detta sorpresa dalla reazione degli Ortodossi: “Si chiama ecumenismo anche accettare di comprendere chiese e funzioni differenti”, ha dichiarato ad un incontro coi media organizzato dalla comunione bavarese a Norimberga. Le sta bene che alcune chiese non abbiano ammesso alcuna donna al loro vertice, ma si aspetta in questo reciprocità di trattamentoOcchi al cielo ovvero che anche gli altri non facciano questioni, quando ciò sia ammesso dagli evangelici: “Il rispetto reciproco –ha dichiarato- è la base più importante dell’ecumenismo”.

I difensori dei diritti umani russi hanno invocato l’allontanamento degli Ortodossi, segno dell’accresciuta radicalizzazione ideologica dello scontro. Uno di loro, Lew Ponomarjow, ha dichiarato che la Chiesa Ortodossa russa ha voluto isolarsi dal resto del mondo moderno occidentale.

Di contro sono nettamente migliorate le relazioni tra la Chiesa Cattolica ed il Patriarcato di Mosca. Ilarion ritiene assolutamente possibile, alla fine, lo storico incontro tra Kirill e Papa Benedetto XVI.



Fonte: Der Spiegel

[SM=g1740720] [SM=g1740722]
Fraternamente CaterinaLD

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20/01/2010 18:32
 
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La catechesi del Papa nella Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

Progressi e difficoltà
nel cammino ecumenico


"Progressi reali" si sono registrati negli ultimi cinquant'anni. Eppure quello ecumenico "non è un processo lineare":  mentre vengono superati vecchi ostacoli nascono "nuove difficoltà". Lo ha spiegato Benedetto XVI nella catechesi dedicata alla Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, durante l'udienza generale svoltasi mercoledì mattina, 20 gennaio, nell'Aula Paolo VI.

Cari fratelli e sorelle!
Siamo al centro della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani, un'iniziativa ecumenica, che si è andata strutturando ormai da oltre un secolo, e che attira ogni anno l'attenzione su un tema, quello dell'unità visibile tra i cristiani, che coinvolge la coscienza e stimola l'impegno di quanti credono in Cristo. E lo fa innanzitutto con l'invito alla preghiera, ad imitazione di Gesù stesso, che chiede al Padre per i suoi discepoli "Siano uno, affinché il mondo creda" (Gv 17, 21).

Il richiamo perseverante alla preghiera per la piena comunione tra i seguaci del Signore manifesta l'orientamento più autentico e più profondo dell'intera ricerca ecumenica, perché l'unità, prima di tutto, è dono di Dio. Infatti, come afferma il Concilio Vaticano Secondo:  "Il santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell'unica Chiesa di Cristo, una e unica, supera tutte le forze umane" (Unitatis redintegratio, 24). Pertanto, oltre al nostro sforzo di sviluppare relazioni fraterne e promuovere il dialogo per chiarire e risolvere le divergenze che separano le Chiese e le Comunità ecclesiali, è necessaria la fiduciosa e concorde invocazione al Signore.

Il tema di quest'anno è preso dal Vangelo di san Luca, dalle ultime parole del Risorto ai suoi discepoli "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24, 48). La proposta del tema è stata chiesta dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, in accordo con la Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, ad un gruppo ecumenico della Scozia. Un secolo fa la Conferenza Mondiale per la considerazione dei problemi in riferimento al mondo non cristiano ebbe luogo proprio ad Edimburgo, in Scozia, dal 13 al 24 giugno 1910.

Tra i problemi allora discussi vi fu quello della difficoltà oggettiva di proporre con credibilità l'annuncio evangelico al mondo non cristiano da parte dei cristiani divisi tra loro. Se ad un mondo che non conosce Cristo, che si è allontanato da Lui o che si mostra indifferente al Vangelo, i cristiani si presentano non uniti, anzi spesso contrapposti, sarà credibile l'annuncio di Cristo come unico Salvatore del mondo e nostra pace? Il rapporto fra unità e missione da quel momento ha rappresentato una dimensione essenziale dell'intera azione ecumenica e il suo punto di partenza. Ed è per questo specifico apporto che quella Conferenza di Edimburgo rimane come uno dei punti fermi dell'ecumenismo moderno. La Chiesa Cattolica, nel Concilio Vaticano ii, riprese e ribadì con vigore questa prospettiva, affermando che la divisione tra i discepoli di Gesù "non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura" (Unitatis redintegratio, 1).

In tale contesto teologico e spirituale si situa il tema proposto in questa Settimana per la meditazione e la preghiera:  l'esigenza di una testimonianza comune a Cristo. Il breve testo proposto come tema "Di questo voi siete testimoni" è da leggere nel contesto dell'intero capitolo 24 del Vangelo secondo Luca.

Ricordiamo brevemente il contenuto di questo capitolo. Prima le donne si recano al sepolcro, vedono i segni della Risurrezione di Gesù e annunciano quanto hanno visto agli Apostoli e agli altri discepoli (v. 8); poi lo stesso Risorto appare ai discepoli di Emmaus lungo il cammino, appare a Simon Pietro e successivamente, agli "Undici e agli altri che erano con loro" (v. 33). Egli apre la mente alla comprensione delle Scritture circa la sua Morte redentrice e la sua Risurrezione, affermando che "nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati" (v. 47). Ai discepoli che si trovano "riuniti" insieme e che sono stati testimoni della sua missione, il Signore Risorto promette il dono dello Spirito Santo (cfr. v. 49), affinché insieme lo testimonino a tutti i popoli. Da tale imperativo - "Di tutto ciò", di questo voi siete testimoni (cfr. Lc 24, 48) -, che è il tema di questa Settimana per l'Unità dei Cristiani, nascono per noi due domande.

La prima:  cosa è "tutto ciò"? La seconda:  come possiamo noi essere testimoni di "tutto ciò"?
Se vediamo il contesto del capitolo, "tutto ciò" vuole dire innanzitutto la Croce e la Risurrezione:  i discepoli hanno visto la crocifissione del Signore, vedono il Risorto e così cominciano a capire tutte le Scritture che parlano del mistero della Passione e del dono della Risurrezione. "Tutto ciò" quindi è il mistero di Cristo, del Figlio di Dio fattosi uomo, morto per noi e risorto, vivo per sempre e così garanzia della nostra vita eterna.

Ma conoscendo Cristo - questo è il punto essenziale - conosciamo il volto di Dio. Cristo è soprattutto la rivelazione di Dio. In tutti i tempi, gli uomini percepiscono l'esistenza di Dio, un Dio unico, ma che è lontano e non si mostra. In Cristo questo Dio si mostra, il Dio lontano diventa vicino. "Tutto ciò" è quindi, soprattutto col mistero di Cristo, Dio che si è fatto vicino a noi. Ciò implica un'altra dimensione:  Cristo non è mai solo; Egli è venuto in mezzo a noi, è morto solo, ma è risorto per attirare tutti a sé. Cristo, come dice la Scrittura, si crea un corpo, riunisce tutta l'umanità nella sua realtà della vita immortale. E così, in Cristo che riunisce l'umanità, conosciamo il futuro dell'umanità:  la vita eterna. Tutto ciò, quindi, è molto semplice, in ultima istanza:  conosciamo Dio conoscendo Cristo, il suo corpo, il mistero della Chiesa e la promessa della vita eterna.

Veniamo ora alla seconda domanda. Come possiamo noi essere testimoni di "tutto ciò"? Possiamo essere testimoni solo conoscendo Cristo e, conoscendo Cristo, anche conoscendo Dio. Ma conoscere Cristo implica certamente una dimensione intellettuale - imparare quanto conosciamo da Cristo - ma è sempre molto più che un processo intellettuale:  è un processo esistenziale, è un processo dell'apertura del mio io, della mia trasformazione dalla presenza e dalla forza di Cristo, e così è anche un processo di apertura a tutti gli altri che devono essere corpo di Cristo.


In questo modo, è evidente che conoscere Cristo, come processo intellettuale e soprattutto esistenziale, è un processo che ci fa testimoni. In altre parole, possiamo essere testimoni solo se Cristo lo conosciamo di prima mano e non solo da altri, dalla nostra propria vita, dal nostro incontro personale con Cristo. Incontrandolo realmente nella nostra vita di fede diventiamo testimoni e possiamo così contribuire alla novità del mondo, alla vita eterna.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dà un'indicazione anche per il contenuto di questo "tutto ciò". La Chiesa ha riunito e riassunto l'essenziale di quanto il Signore ci ha donato nella Rivelazione, nel "Simbolo detto niceno-costantinopolitano, il quale trae la sua grande autorità dal fatto di essere frutto dei primi due Concili Ecumenici (325 e 381)" (ccc, n. 195). Il Catechismo precisa che questo Simbolo "è tuttora comune a tutte le grandi Chiese dell'Oriente e dell'Occidente" (Ibid.). In questo Simbolo quindi si trovano le verità di fede che i cristiani possono professare e testimoniare insieme, affinché il mondo creda, manifestando, con il desiderio e l'impegno di superare le divergenze esistenti, la volontà di camminare verso la piena comunione, l'unità del Corpo di Cristo.

La celebrazione della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani ci porta a considerare altri aspetti importanti per l'ecumenismo. Innanzitutto, il grande progresso realizzato nelle relazioni tra Chiese e Comunità ecclesiali dopo la Conferenza di Edimburgo di un secolo fa. Il movimento ecumenico moderno si è sviluppato in modo così significativo da diventare, nell'ultimo secolo, un elemento importante nella vita della Chiesa, ricordando il problema dell'unità tra tutti i cristiani e sostenendo anche la crescita della comunione tra loro. Esso non solo favorisce i rapporti fraterni tra le Chiese e le Comunità ecclesiali in risposta al comandamento dell'amore, ma stimola anche la ricerca teologica.

Inoltre, esso coinvolge la vita concreta delle Chiese e delle Comunità ecclesiali con tematiche che toccano la pastorale e la vita sacramentale, come, ad esempio, il mutuo riconoscimento del Battesimo, le questioni relative ai matrimoni misti, i casi parziali di comunicatio in sacris in situazioni particolari ben definite. Nel solco di tale spirito ecumenico, i contatti sono andati allargandosi anche a movimenti pentecostali, evangelici e carismatici, per una maggiore conoscenza reciproca, benché non manchino problemi gravi in questo settore.

La Chiesa cattolica, dal Concilio Vaticano ii in poi, è entrata in relazioni fraterne con tutte le Chiese d'Oriente e le Comunità ecclesiali d'Occidente, organizzando, in particolare, con la maggior parte di esse, dialoghi teologici bilaterali, che hanno portato a trovare convergenze o anche consensi in vari punti, approfondendo così i vincoli di comunione. Nell'anno appena trascorso i vari dialoghi hanno registrato positivi passi.
 
Con le Chiese Ortodosse la Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico ha iniziato, nell'XI Sessione plenaria svoltasi a Paphos di Cipro nell'ottobre 2009, lo studio di un tema cruciale nel dialogo fra cattolici e ortodossi:  Il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio, cioè nel tempo in cui i cristiani di Oriente e di Occidente vivevano nella piena comunione. Questo studio si estenderà in seguito al secondo millennio. Ho già più volte chiesto la preghiera dei cattolici per questo dialogo delicato ed essenziale per l'intero movimento ecumenico. Anche con le Antiche Chiese ortodosse d'Oriente (copta, etiopica, sira, armena) l'analoga Commissione Mista si è incontrata dal 26 al 30 gennaio dello scorso anno. Tali importanti iniziative attestano come sia in atto un dialogo profondo e ricco di speranze con tutte le Chiese d'Oriente non in piena comunione con Roma, nella loro propria specificità.
 
Nel corso dell'anno passato, con le Comunità ecclesiali di Occidente si sono esaminati i risultati raggiunti nei vari dialoghi in questi quarant'anni, soffermandosi, in particolare, su quelli con la Comunione Anglicana, con la Federazione Luterana Mondiale, con l'Alleanza Riformata Mondiale e con il Consiglio Mondiale Metodista. Al riguardo, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani ha realizzato uno studio per enucleare i punti di convergenza a cui si è giunti nei relativi dialoghi bilaterali, e segnalare, allo stesso tempo, i problemi aperti su cui occorrerà iniziare una nuova fase di confronto.

Tra gli eventi recenti, vorrei menzionare la commemorazione del decimo anniversario della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, celebrato insieme da cattolici e luterani il 31 ottobre 2009, per stimolare il proseguimento del dialogo, come pure la visita a Roma dell'Arcivescovo di Canterbury, il Dottor Rowan Williams, il quale ha avuto anche colloqui sulla particolare situazione in cui si trova la Comunione Anglicana.

Il comune impegno di continuare le relazioni e il dialogo sono un segno positivo, che manifesta quanto sia intenso il desiderio dell'unità, nonostante tutti i problemi che si oppongono. Così vediamo che c'è una dimensione della nostra responsabilità nel fare tutto ciò che è possibile per arrivare realmente all'unità, ma c'è l'altra dimensione, quella dell'azione divina, perché solo Dio può dare l'unità alla Chiesa. Una unità "autofatta" sarebbe umana, ma noi desideriamo la Chiesa di Dio, fatta da Dio, il quale quando vorrà e quando noi saremo pronti, creerà l'unità.
 
Dobbiamo tenere presente anche quanti progressi reali si sono raggiunti nella collaborazione e nella fraternità in tutti questi anni, in questi ultimi cinquant'anni. Allo stesso tempo, dobbiamo sapere che il lavoro ecumenico non è un processo lineare. Infatti, problemi vecchi, nati nel contesto di un'altra epoca, perdono il loro peso, mentre nel contesto odierno nascono nuovi problemi e nuove difficoltà. Pertanto dobbiamo essere sempre disponibili per un processo di purificazione, nel quale il Signore ci renda capaci di essere uniti.

Cari fratelli e sorelle, per la complessa realtà ecumenica, per la promozione del dialogo, come pure affinché i cristiani nel nostro tempo possano dare una nuova testimonianza comune di fedeltà a Cristo davanti a questo nostro mondo, chiedo la preghiera di tutti. Il Signore ascolti l'invocazione nostra e di tutti i cristiani, che in questa settimana si eleva a Lui con particolare intensità.


(©L'Osservatore Romano - 21 gennaio 2010)


                                       Pope Benedict XVI looks on during his weekly Wednesday general audience in Paul VI hall at the Vatican January 20, 2010.
                                       Pope Benedict XVI waves as he arrives to lead his weekly Wednesday general audience in Paul VI hall at the Vatican January 20, 2010.

Fraternamente CaterinaLD

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I rapporti con la Comunione anglicana e il Consiglio metodista mondiale nel 2009

L'«Anglicanorum coetibus» non contraddice
il dialogo ecumenico


di Mark Langham

Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani


Nel 2009, l'evento più significativo nelle relazioni ufficiali tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana è stata la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus. Questa è stata promulgata nel mese di novembre come risposta alle richieste avanzate in un arco di tempo alquanto esteso da gruppi di anglicani ed ex-anglicani desiderosi di ottenere una forma d'ammissione collettiva alla piena comunione con la Santa Sede. All'interno della Comunione anglicana, la promulgazione della costituzione ha suscitato varie reazioni, sia positive che critiche; si è temuto, in un certo senso, che la Santa Sede potesse considerare come obsoleta la forma tradizionale del dialogo ufficiale.

I numerosi contatti formali e informali del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani (Pcpuc) si sono rivelati preziosissimi in questo periodo per chiarire il senso della costituzione e presentare un accurato contesto per la sua promulgazione. Allo stesso tempo, il cardinale Walter Kasper, presidente del Pcpuc, ha tenuto a sottolineare che la costituzione apostolica offre un approccio pastorale che, conformemente al decreto Unitatis redintegratio (n. 4), è cosa distinta dal lavoro tradizionale del dialogo ecumenico. Il cardinale ha affermato che il lavoro del Pcpuc e le sue storiche relazioni con i suoi partner ecumenici sarebbero proseguiti normalmente.
 

La visita dell'arcivescovo di Canterbury

Nel mese di novembre, l'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, si è recato a Roma per partecipare, come oratore, al simposio in onore del centenario della nascita del cardinale Willebrands. L'arcivescovo è stato ricevuto in udienza dal Papa, con il quale ha avuto un colloquio privato. Durante la sua visita, programmata già da tempo, Williams ha avuto modo di tenere utili conversazioni anche presso il Pcpuc, che ha ribadito l'importanza del dialogo ecumenico ufficiale; tale scambio è stato un ampio e positivo preludio alle conversazioni ufficiali che hanno avuto luogo subito dopo con la Comunione anglicana. L'arcivescovo ha inoltre incontrato importanti membri della Curia romana, tra cui il cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, l'arcivescovo Nikola Eterovic, segretario generale del Sinodo dei vescovi.

Una liturgia della Parola comune è stata celebrata presso l'Oratorio San Francesco del Caravita; il cardinale Kasper ha presieduto e l'arcivescovo ha letto l'omelia. Vi è stato poi un incontro presso la residenza dell'ambasciatore della Gran Bretagna presso la Santa Sede, dove l'arcivescovo ha potuto conversare con vari esponenti della Curia romana in un fraterno scambio d'idee in previsione della visita del Papa in Gran Bretagna programmata per il 2010; le discussioni hanno toccato anche questioni comuni attinenti alla situazione spirituale attuale della società occidentale. Tutti questi dibattiti e incontri sono stati utili per rafforzare le relazioni tra anglicani e cattolici e per riaffermare l'impegno comune nel dialogo ecumenico ufficiale.

Una nuova fase di Arcic III

A fine novembre, presso il Pcpuc, ha avuto luogo l'incontro preparatorio per la terza fase dell'Anglican-Roman Catholic International Commission (Arcic III). Questo incontro, il terzo del tipo, ha prodotto una bozza di programma per l'Arcic III, in linea con il mandato conferito da Benedetto XVI e dall'arcivescovo Williams nella loro dichiarazione congiunta del 2006. I temi scelti per la nuova fase di dialogo sono "La Chiesa come comunione:  locale e universale" e "Come, nella comunione, la Chiesa locale e universale può discernere il giusto insegnamento etico". Questi temi toccano in pieno i difficili problemi interni che l'anglicanesimo affronta attualmente e, allo stesso tempo, permettono alla nuova fase di dialogo di proseguire il lavoro sulla base di ciò che è stato conseguito nelle due fasi precedenti con i tre documenti su "L'autorità nella Chiesa" e in particolare con lo studio di Arcic sul primato.

I temi presentati sono stati in seguito approvati dalle conversazioni informali annuali tra il Pcpuc e la Comunione anglicana tenutesi alla fine di novembre. È stato proposto che la terza fase dell'Arcic si riunisca verso la fine del 2010 e che la ripresa del dialogo ufficiale venga annunciata al più presto. Durante le conversazioni informali sono state trattate varie questioni aventi un impatto sulle relazioni tra la Comunione anglicana e la Chiesa cattolica. Si è parlato, tra l'altro, dell'eventualità dell'ordinazione episcopale delle donne nella Chiesa d'Inghilterra, della recente dichiarazione degli episcopaliani degli Stati Uniti di permettere ordinazioni indipendentemente dallo stile di vita e dell'Anglican Covenant.

Le conversazioni informali si sono svolte in un'atmosfera distesa e cordiale, che ha incoraggiato un franco scambio d'idee sugli sviluppi all'interno della Comunione anglicana e sui dialoghi ufficiali futuri. L'incontro è stato co-presieduto dal cardinale Kasper, da parte cattolica, e dal reverendo Kenneth Kearon, segretario generale dell'Anglican Communion Office, da parte anglicana.


L'Anglican Covenant

Il 2009 ha visto insorgere difficoltà nelle relazioni ufficiali tra la Comunione anglicana e la Chiesa cattolica a causa di sviluppi recenti, ma ha visto anche crescere reali speranze di un progresso futuro ed espressioni della chiara intenzione di proseguire il dialogo ufficiale. Di fronte all'aggravarsi di questioni che sembrano minacciare l'unità della Comunione anglicana nel mondo, provocando ulteriori problemi nelle relazioni ecumeniche, entrambi i partner si sono impegnati in un nuovo round di dialoghi internazionali ufficiali e hanno affermato l'importanza delle loro discussioni ecumeniche.

In seguito all'ordinazione di un vescovo omosessuale tra gli episcopaliani degli Stati Uniti nel 2003, l'arcivescovo di Canterbury, insieme a una commissione da lui nominata, ha raccomandato un periodo di restrizione in tale pratica. Tuttavia, la Convenzione generale degli episcopaliani, tenutasi nell'agosto del 2009, pur confermando la moratoria, ha dichiarato al contempo la sua intenzione di permettere le ordinazioni indipendentemente dall'orientamento sessuale. A ciò ha seguito, nel dicembre 2009, la nomina di una donna omosessuale come vescovo di Los Angeles.

L'arcivescovo di Canterbury, pur non avendo autorità diretta sugli episcopaliani, ha reagito con fermezza di fronte a questi eventi, facendo notare in particolare il danno che avrebbero causato alle relazioni ecumeniche. L'arcivescovo ha proposto un Anglican Covenant (Patto anglicano) nell'intento di rafforzare la Comunione non in termini di autorità centrale o di unità forzata, ma tramite un'intensificazione delle relazioni. La versione finale dell'Anglican Covenant è stata pubblicata nel dicembre 2009 e verrà presto inviata alle province della Comunione per essere approvata.



Altri contatti

Le proposte riguardanti l'Anglican Covenant sono state discusse nel dettaglio durante il Consiglio consultivo anglicano, riunitosi a Kingston, in Giamaica, nel maggio 2009, al quale ha partecipato anche un officiale del Pcpuc. Il Consiglio consultivo anglicano, composto da rappresentanti dell'episcopato, del clero e dei laici, è uno degli "strumenti di comunione" dell'anglicanesimo a livello mondiale. Delegati provenienti da tutto il mondo hanno studiato il Covenant e proposto una nuova versione, con una sezione che parla specificatamente della relazione tra province e Comunione. In seguito, dietro invito del Consiglio consultivo anglicano, il cardinale Kasper ha presentato il suo parere su questa revisione dell'Anglican Covenant, che ha apprezzato come un tentativo di rafforzare i vincoli d'unità, notandone tuttavia un certo indebolimento delle nozioni di impegno e auto-contenimento rispetto alle versioni precedenti.

Oltre ai dialoghi ufficiali, il Pcpuc ha contatti regolari con la Comunione anglicana attraverso uno scambio costante d'informazioni con lo staff del Lambeth Palace e dell'Anglican Communion Office di Londra. Questi contatti permettono di monitorare e comprendere le implicazioni di vari eventi. L'iter dell'Anglican Covenant è stato seguito in tal modo, con l'invito rivolto al cardinale Kasper d'inviare i suoi commenti dopo la riformulazione di tale testo. Anche i rapidi sviluppi a livello della Convenzione nazionale episcopaliana sono stati comunicati all'Anglican Communion Office grazie a contatti ben funzionanti.

L'Anglican Centre di Roma continua a svolgere un importante ruolo. Si tengono incontri regolari con il suo direttore, il reverendo David Richardson. Anche la biblioteca del centro è un'utile risorsa per l'approfondimento delle relazioni tra anglicani e cattolici. L'Anglican Centre ospita, inoltre, riunioni e organizza occasionalmente ricevimenti per vari ospiti, come nel caso della visita dell'arcivescovo anglicano del Burundi, Bernard Ntahotouri, e, in particolare, dell'arcivescovo di Canterbury.



Il Consiglio metodista mondiale

Le relazioni tra metodisti e cattolici continuano a portare ricchi frutti, come nel passato. Nel 2009 esse sono state condotte tramite conversazioni, contatti, delegazioni ufficiali e il lavoro continuo della Commissione internazionale cattolico-metodista.

Tale Commissione si riunisce in cicli di cinque anni, seguendo lo stesso modello da ormai più di quarant'anni. L'incontro del novembre 2009, tenutosi al Boston College, nel Massachusetts, è stato il quarto dell'attuale ciclo. Co-presidenti erano il vescovo di Townsville (Australia), Michael Ernest Putney, da parte cattolica, e il reverendo Geoffrey Wainwright da parte metodista. Era presente anche padre Gregory Fairbanks del Pcpuc.
La Commissione s'è concentrata su due punti, entrambi sviluppati nel corso delle riunioni precedenti.

Il primo riguardava l'approvazione di un documento intitolato Together in Holiness:  Forty Years of Methodist-Roman Catholic Dialogue ("Insieme nella Santità:  quarant'anni di dialogo cattolico-metodista") che riassume i risultati dei dialoghi tra metodisti e cattolici sin dall'inizio, immediatamente dopo il concilio Vaticano ii. Il testo è sotto molti aspetti parallelo al documento di sintesi Harvesting the Fruits ("Raccogliere i frutti") del cardinale Kasper, nel presentare i frutti dei documenti prodotti alla fine d'ogni ciclo di cinque anni, nel dimostrare importanti convergenze e consensi e anche nell'evidenziare questioni aperte che dovranno essere considerate ulteriormente nel futuro. Tramite questa sintesi, s'intende avvicinare il dialogo a una nuova generazione di cristiani, forse ignara dei risultati raggiunti negli ultimi decenni.

Il secondo importante punto su cui si è concentrata la Commissione è stato lo studio, già iniziato nel passato, del documento Encountering Christ the Saviour:  Church and Sacraments ("Incontrare Cristo il Salvatore:  Chiesa e sacramenti") che tratta del mistero pasquale in rapporto ai sacramenti del battesimo, dell'eucaristia e degli ordini sacri. Questo approccio innovativo offrirà, è quanto si auspica, un nuovo modo per affrontare temi che nel passato sono stati controversi. I membri della Commissione lavorano in coppia alla revisione del testo, che dovrebbe essere finalizzato in tempo per l'incontro del Consiglio metodista mondiale di Durban nel 2011. Lo studio dovrebbe essere presentato contemporaneamente alla Chiesa cattolica tramite il Pcpuc e la Congregazione per la Dottrina della Fede.

Anche con i metodisti, i contatti informali sono molto importanti. Per questo hanno luogo incontri regolari con il reverendo Trevor Hoggard, rettore del tempio metodista a Ponte Sant'Angelo e ministro responsabile per le relazioni tra il metodismo europeo e il Pcpuc. Il 20 gennaio, un officiale del Pcpuc ha ricevuto un gruppo di studenti metodisti dal Garrett Evangelical Seminary del Canada. Il 17 giugno, il vescovo Brian Farrell, segretario del Pcpuc, ha partecipato a una celebrazione in commemorazione della nascita di John Wesley presso il tempio metodista di Roma.


(©L'Osservatore Romano - 23 gennaio 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER L’APERTURA DEL SECONDO KIRCHENTAG ECUMENICO A MONACO DI BAVIERA (GERMANIA), 15.05.2010

Dal 12 al 16 maggio 2010 è in corso a Monaco di Baviera (Germania) il secondo Kirchentag Ecumenico il quale riunisce cristiani di diverse denominazioni e credenti di altre fedi sul tema della speranza.

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre ha inviato in occasione dell’apertura della Giornata Ecumenica:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

da Roma saluto tutti coloro che si sono riuniti sulla Theresienwiese a Monaco per la celebrazione liturgica in apertura del secondo Kirchentag ecumenico. Ricordo volentieri gli anni in cui ho vissuto nella bella capitale della Baviera, come arcivescovo di Monaco e Frisinga. Rivolgo, quindi, un saluto speciale all'arcivescovo di Monaco e Frisinga Reinhard Marx, e al Vescovo regionale luterano Johannes Friedrich. Saluto tutti i Vescovi tedeschi e di molti Paesi del mondo, e, in modo speciale, anche i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali e tutti i cristiani che partecipano a questo evento ecumenico. Saluto inoltre i rappresentanti della vita pubblica e tutti coloro che sono presenti attraverso la radio e la televisione. La pace del Signore risorto sia con tutti voi!

«Affinché abbiate speranza»: con questo motto vi siete riuniti a Monaco. In un tempo difficile, volete inviare un segnale di speranza alla Chiesa e alla società. Per questo vi ringrazio molto. Infatti, il nostro mondo ha bisogno di speranza, il nostro tempo ha bisogno di speranza. Ma la Chiesa è un luogo di speranza?

Negli ultimi mesi ci siamo dovuti confrontare ripetutamente con notizie che ci vogliono togliere la gioia nella Chiesa, che la oscurano come luogo di speranza. Come i servi del padrone di casa nella parabola evangelica del regno di Dio, anche noi vogliamo chiedere al Signore: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?» (Mt 13, 27). Sì, con la sua Parola e con il sacrificio della sua vita il Signore ha davvero seminato del buon seme nel campo della terra.

È germogliato e germoglia. Non dobbiamo pensare solo alle grandi figure luminose della storia, alle quali la Chiesa ha riconosciuto il titolo di «santi», ovvero completamente permeati da Dio, risplendenti a partire da Lui. Ognuno di noi conosce anche le persone comuni, non menzionate in alcun giornale e non citate in alcuna cronaca, che a partire dalla fede sono maturate raggiungendo una grande umanità e bontà. Abramo, nella sua appassionata disputa con Dio per risparmiare la città di Sodoma ha ottenuto dal Signore dell’Universo l'assicurazione che se ci saranno dieci giusti non distruggerà la città (cfr. Gen 18, 22-33). Grazie a Dio, nelle nostre città ci sono molto più di dieci giusti! Se oggi siamo un po’ attenti, se non percepiamo solo il buio, ma anche ciò che è chiaro e buono nel nostro tempo, vediamo come la fede rende gli uomini puri e generosi e li educa all'amore.

Di nuovo: La zizzania esiste anche in seno alla Chiesa e tra coloro che il Signore ha accolto al suo servizio in modo particolare. Ma la luce di Dio non è tramontata, il grano buono non è stato soffocato dalla semina del male.

«Affinché abbiate speranza»: Questa frase vuole prima di tutto invitarci a non perdere di vista il bene e i buoni. Vuole invitarci a essere noi stessi buoni e a ridiventare buoni sempre, vuole invitarci a discutere con Dio per il mondo, come Abramo, cercando noi stessi, con passione, di vivere dalla giustizia di Dio.

La Chiesa è dunque un luogo di speranza? Sì, poiché da essa ci giunge sempre e di nuovo la Parola di Dio, che ci purifica e ci mostra la via della fede. Lo è, poiché in essa il Signore continua a donarci se stesso, nella grazia dei sacramenti, nella parola della riconciliazione, nei molteplici doni della sua consolazione. Nulla può oscurare o distruggere tutto ciò. Di questo dovremmo essere lieti in mezzo a tutte le tribolazioni.

Se parliamo della Chiesa come luogo della speranza che viene da Dio, allora ciò comporta, allo stesso tempo, un esame di coscienza: Che cosa faccio io della speranza che il Signore ci ha donato? Davvero mi lascio modellare dalla sua Parola? Mi lascio cambiare e guarire da Lui? Quanta zizzania in realtà cresce dentro di me? Sono disposto a sradicarla? Sono grato del dono del perdono e disposto a perdonare e a guarire a mia volta invece che a condannare?

Domandiamo ancora una volta: Che cos'è veramente la «speranza»? Le cose che possiamo fare da soli non sono oggetto della speranza, bensì un compito che dobbiamo svolgere con la forza della nostra ragione, della nostra volontà e del nostro cuore. Ma se riflettiamo su tutto ciò che possiamo e dobbiamo fare, allora notiamo che non possiamo fare le cose più grandi, le quali ci giungono solo come dono: l'amicizia, l'amore, la gioia, la felicità. Vorrei osservare ancora una cosa: tutti noi vogliamo vivere, e anche la vita non ce la possiamo dare da soli. Quasi nessuno, però, oggi parla ancora della vita eterna, che in passato era il vero oggetto della speranza. Poiché non si osa credere in essa, bisogna sperare di ottenere tutto dalla vita presente. L'accantonare la speranza nella vita eterna porta all'avidità per una vita qui e ora, che diventa quasi inevitabilmente egoistica e, alla fine, rimane irrealizzabile.
Proprio quando vogliamo impossessarci della vita come di una sorta di bene, essa ci sfugge. Ma torniamo indietro. Le cose grandi della vita non possiamo realizzarle noi, possiamo solo sperarle. La buona novella della fede consiste proprio in questo: esiste Colui che può donarcele. Non veniamo lasciati soli. Dio vive. Dio ci ama. In Gesù Cristo è diventato uno di noi. Mi posso rivolgere a lui e lui mi ascolta. Per questo, come Pietro, nella confusione dei nostri tempi, che ci persuadono a credere in tante altre vie, gli diciamo: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68s).

Cari amici, auguro a tutti voi, che siete riuniti sulla Theresienwiese a Monaco, di essere di nuovo sopraffatti dalla gioia di poter conoscere Dio, di conoscere Cristo e che Egli ci conosce. È questa la nostra speranza e la nostra gioia in mezzo alle confusioni del tempo presente.

Dal Vaticano, 10 maggio 2010

BENEDICTUS PP. XVI
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IL CRISTIANESIMO DI KIERKEGAARD

(visto che si usa citare molto questo autore ma molti neppure sanno chi era....
proviamo a farne una breve descrizione)

Il concetto cristiano di amore.

L'amore è un tema centrale in quanto sentimento edificante, è l'agape di Dio verso i propri figli, che però non cancella la forma di amore umano. L'amore è l'espressione dell'interiorità rapportato con la fede, ne segue che Kierkegaard ritenga che bisogna amare il prossimo come noi stessi. Amare per il cristiano è un dovere che segue la volontà di Dio. L'amore e l'amicizia non sono eterni, ma hanno in sé come punto di partenza Dio: devono essere altruistici e dipendenti da abnegazione. L'amore è compimento di una legge. Anche il matrimonio che Dio vuole per i suoi figli è l'unione eterosessuale fra uomo e donna che ha come vincolo l'amore che Dio vuole per le sue creature.

"L'amore è perciò principio e presupposto di ogni edificazione spirituale umana, giacché esso esprime l'azione di tutto l'uomo per l'uomo, azione esplicantesi in totalità nel senso dell'elevazione dell'amore stesso dalla sua significazione esclusiva, meramente sensibile, al significato spirituale inclusivo in Dio di tutta l'umanità". L'amore crede tutto, spera tutto, deve essere disinteressato e caritatevole. L'amore è un rapporto spirituale analogico che investe cielo e terra, Dio e gli uomini.

L'amore è il dono gratuito di Dio nella carità. Solo Dio è tutto: "in lui l'amore può compiersi in quell'atto di abnegazione totale, di totale rinuncia che nel sacrificio di sé stesso si consacra in spirito come superiore a ogni differenza che non sia quella che caratterizza l'assoluta Maestà Divina.". Dio solo è in grado di aiutare l'uomo con la sua grazia e da parte dell'uomo è necessaria l'abnegazione cioè l'estrema manifestazione di fede. E' la fede che salva: le opere sono importanti, ma dipende da Dio considerarle. L'uomo per Kierkegaard non deve dimenticare la differenza con Dio: se facesse delle opere un merito, si metterebbe alla pari di Dio. E' Dio perciò che salva con il suo amore; non c'è come per noi cattolici il valore salvifico di mediazione della Chiesa, sposa di Cristo con i sacramenti.

Kierkegaard e Lutero.

Il pensiero di Kierkegaard risente innegabilmente del luteranesimo. Il filosofo studia Lutero dal 1846 fino al 1848, periodo in cui prova una fervida ammirazione. Più tardi, attaccando la chiesa stabilita sembra quasi che egli abbia un dubbio radicale sulla qualità cristiana della religione luterana. Per Lutero il peccato e la fede sono i due poli del cristianesimo: tutto è peccato senza fede. Anche Kierkegaard risente del pietismo del padre che è un luteranesimo radicalizzato nel senso di completo abbandono a Dio. Ma anche se pervaso dal protestantesimo secondo il filosofo vi è nel luteranesimo "un vizio radicale che ne costituisce il principio stesso e questo vizio consiste nel fatto che Lutero esprime il cristianesimo nell'interesse dell'uomo (…)"; nella religione luterana tutto si incentra nella salvezza individuale dell'anima e non sulla glorificazione di Dio.

L'uomo per Kierkegaard non deve agire per sé stesso, ma avvicinandosi al cattolicesimo dice che deve agire per la gloria di Dio. L'antropomorfismo luterano è profondo "tanto che il protestantesimo, dopo aver soppresso la canonizzazione dei santi e dei martiri, propria della tradizione cattolica, ha trovato modo di sostituirla con la canonizzazione del piccolo borghese". Kierkegaard, criticando il luteranesimo così aspramente sembra avvicinarsi al cattolicesimo. Il filosofo infatti riconosce la grandezza del medioevo e del cattolicesimo del periodo che è stata "quella di accentuare il lato di Cristo come modello e non soltanto come dono alla maniera di Lutero".

Inoltre aggiunge che il pericolo che il cattolicesimo ha è quello di dare all'imitazione di Cristo "una forma esteriore e legale e nel ridurre il merito all'osservanza meccanica del culto esteriore". Ci dice così che il luteranesimo avrebbe avuto valore se fosse stato correttivo del cattolicesimo del quindicesimo secolo (in cui oggettivamente anche noi cattolici riconosciamo gli errori del potere temporale), dando spazio alla necessità del rapporto personale con Dio. Anche il Concilio Vaticano II ha riconosciuto tale rapporto con Dio e valorizzato, ma se ricondotto alla chiesa come corpo mistico di Cristo.

L'errore che Kierkegaard attribuisce al protestantesimo è quello di essere diventato la norma tanto da diventare peggiore del male iniziale (il cattolicesimo). In Il diario il filosofo manifesta chiaramente la delusione nei confronti del protestantesimo: il cattolicesimo mantiene per Kierkegaard il concetto dell'ideale cristiano, mentre il protestantesimo è finitezza dal principio alla fine. E a Lutero rimprovera di aver tolto al Papa il potere per darlo al pubblico.

Kierkegaard: a un passo dal cattolicesimo.

Ci sono studiosi come Roos, Fabro e Spera che vedono un côté mistico nelle riflessioni kierkegardiane. Fabro vede un orientamento cattolico. "L'interiorità kierkegardiana è cattolica nel fondo. Essa è di fatto di preghiera e di trasporto filiale verso Dio, di impegno ascetico, di mediazione sulle Divine Persone, e sul verbo incarnato e spesso anzi con la guida di autori cattolici (l'Imitazione di Cristo: Taulero, San Bernardo, Blosio, San Alfonso Maria dei Liguori) e di un pietismo sano ispirato alla mistica cattolica ed in opposizione esplicita alle ore silenziose (Stille timer) della vaga interiorità protestante".

Ruttenbeck, prendendo a fondamento molti passi de Il Diario, ritiene che Kierkegaard se fosse vissuto ancora sarebbe diventato cattolico, e ciò anche perché egli si staccò dalla chiesa stabilita di Danimarca. Leggendo Ruttenbeck sembra che Kierkegaard avrebbe pensato che il protestantesimo fosse dal punto di vista cristiano disonestà ed ipocrisia, malgrado una simile constatazione l'entrare nella Chiesa Cattolica è un passo che non si risolse a fare, anche se gli altri se lo aspettavano da lui. Questo pensiero è di estrema chiarezza e dimostra come l'orientamento del filosofo fosse cattolico. Pur rimanendo profonda l'influenza luterana, che è dimostrata nel tema costante dell'inquietudine e dell'angoscia del singolo, Kierkegaard si è avvicinato al cattolicesimo.

Ad esempio in Il diario ho notato il fatto che il filosofo riconosce il culto dei santi. "Dio crea dal nulla, meraviglioso si, ma Egli fa una cosa ancora più meravigliosa crea i santi (la coscienza dei santi) dai peccatori". Il filosofo non ha però compreso che i sacramenti, essendo la mediazione salvifica che Cristo, rivelatore del Padre, ci ha dato per mezzo della Chiesa, suo corpo mistico, sono anche le condizioni essenziali dell'interiorità e i mezzi di appropriazione personale.

Appare evidente che, malgrado i suoi sforzi, egli rimanga .chiuso in una concezione pessimistica in cui la fede consiste nel disperare assolutamente di sé e nell'abbandonarsi a Cristo crocifisso, in un rapporto con Dio personale ed irrazionale, che anche il cattolicesimo non esclude se mediato dalla Chiesa.

Kierkegaard non crede che la Chiesa, come noi cattolici, con i sacramenti che lavano i peccati operi la giustificazione o remissione dei peccati perché il peccato non è annullato o abolito dalla Grazia di Cristo, ma solo nascosto. Rifiuta così la Chiesa come Corpo Mistico di Cristo che ha Cristo come fondatore capo e sostenitore. Per noi cattolici "Cristo è il capo del corpo della chiesa" (Coll. 1, 18). "La Chiesa infatti è un ovile la cui porta unica e necessaria è Cristo" (Giov. 10, 1-10). "E' pure un gregge di cui Dio stesso apre annunziato che ne sarebbe il pastore e le cui pecore anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo; il Pastore buono e Principe dei Pastori, il quale ha dato la sua vita per le pecore".
 
Ne segue che noi cattolici crediamo in Dio, in Cristo e la Chiesa che Gesù ci ha dato poiché "Cristo è sempre presente nella sua Chiesa in modo speciale è presente nel sacrificio della messa, nelle persone del ministero, essendo egli stesso che, offertosi nella croce, offre sé stesso ancora tramite il mistero dei sacerdoti". Essendo la Chiesa Corpo Mistico, le cui membra siamo noi nell'unione con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito, per noi cattolici Essa è ciò che ci avvicina alla Trinità Economica.
 
Infatti la Chiesa nasce da Cristo unico mediatore che "ha costituito sulla terra e incessantemente sostenuta la sua Chiesa Santa, comunità di fede, di speranza e di carità quale organismo visibile". E il Papa ne è a capo poiché "Pietro in forza del primato (Mat. 16, 13-19) non è altro che un vicario di Cristo e in tal guisa si ha di questo corpo un solo capo principale cioè Cristo, il quale, pur continuando a governare arcanamente la Chiesa (…) visibilmente però la dirige attraverso colui che rappresenta la sua persona poiché, dopo la sua gloriosa ascensione al cielo, non la lasciò edificata soltanto in sé, ma anche in Pietro, quale fondamento visibile". Gesù affida a Pietro le chiavi del regno cioè il compito di pascere le sue pecore: noi. Il potere della Chiesa universale è un privilegio personale che è tramandato ai successori. Ne segue che se il primato di Pietro è quello transapostolico, diventa chiaro che nel volere di Gesù esso debba durare quanto la Chiesa e che il fondamento duri quanto l'edificio. Il primato di Pietro è dato in Persona Ecclesiae cioè è trasmissibile, cosicché il Papa è il capo della Chiesa.

Kierkegaard rimane prigioniero di una concezione che gli preclude il vero significato della Chiesa e dei suoi sacramenti e gli impedisce di comprendere che essi sono l'unico rimedio all'angoscia e al dubbi.

Il cattolico, invece sa trovare Cristo perché è nella Chiesa: è lui stesso Chiesa. La Chiesa Cattolica afferma infatti che la natura umana non è corrotta dal peccato totalmente, ma solo contaminata specialmente per la volontà e che l'uomo può compiere il bene, pentendosi ed affidandosi ai sacramenti.

Ritengo personalmente che Kierkegaard non sia divenuto cattolico per l'influenza radicata dal pessimismo individualistico e creaturale del luteranesimo e del pietismo. Con questo non escludo come dice Ruttenbeck una sua potenziale adesione al cattolicesimo (nel desiderio).

Se avesse infatti conosciuto la Chiesa tramite la quale discendono nel mondo la certezza, la luce e la pace che Dio vuole per i suoi figli, avrebbe così sentito il cattolicesimo come risposta a questa ricerca dolorosa e a questo pungolo nella carne che è stata la sua fede.

La teologia cattolica contemporanea ha risposto come nella Lumen gentium al singolo cristiano laico visto come popolo santo di Dio. Ne segue che la dimensione del singolo si accompagna a quella ecclesiale poiché "tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio".

La disperazione di Kierkegaard come quella di ogni luterano, condizionata da un individualismo esasperato ed angosciante, è quella di non accogliere il calore della comunità ecclesiastica, come famiglia, come "podere o campo di Dio" (1 Cor. 3,9).


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Intervista all'arcivescovo Kurt Koch, nuovo presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani

Amicizia, amore e verità
i cardini del dialogo ecumenico


di Giampaolo Mattei


La prima visita ufficiale la farà al Patriarca Bartolomeo a Istanbul il 30 novembre per la festa di sant'Andrea. Ma già dal 16 al 19 settembre accompagnerà il Papa nel Regno Unito in un viaggio delicato per i rapporti con gli anglicani, mentre dal 20 al 27 settembre sarà a Vienna per l'attesa sessione della commissione mista per il dialogo teologico con gli ortodossi
.
Non ha avuto tempo per il rodaggio l'arcivescovo svizzero Kurt Koch, sessant'anni, dal 1° luglio presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. In questa intervista al nostro giornale anticipa i suoi primi passi e delinea il programma di lavoro che finirà di mettere a punto a novembre, all'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio.

Da buon svizzero, dice, "l'ecumenismo ce l'ho dentro dalla nascita". A dodici anni la lettura della Passione di Cristo lo "scuote e sconvolge", perché "i soldati romani non vogliono dividere la tunica di Gesù ma ci abbiamo pensato noi cristiani a lacerarla, separando l'unico corpo di Cristo".
 Era la stagione del concilio Vaticano ii, "grande evento nel solco della tradizione che vive".
Poi con gli studi a Lucerna e Monaco di Baviera l'ecumenismo è entrato a far parte a pieno titolo anche del suo bagaglio teologico.

Sacerdote dal 1982 e dal 1995 vescovo di Basilea, la più grande diocesi elvetica, ha accolto Giovanni Paolo ii a Berna, nel giugno 2004, organizzando un faccia a faccia coi giovani "per far ripartire l'evangelizzazione in Svizzera attraverso la trasmissione della fede", l'altra sua grande passione pastorale.

Monsignor Koch tiene a precisare di non essere il presidente di una holding internazionale "che può fare e organizzare tutto ciò che gli passa per la testa. L'unità dei cristiani è una missione voluta da Gesù stesso e ho un mandato ben preciso del Papa per provare a ricomporre lo scandalo delle divisioni". Un mandato che Benedetto xvi gli ha appena confermato, il 30 agosto, ricevendolo in udienza dopo averlo chiamato a Castel Gandolfo come relatore principale all'incontro con i suoi ex-alunni per parlare sulla corretta interpretazione del concilio Vaticano ii e sulla riforma liturgica.

Che cosa le ha detto il Pontefice affidandole l'incarico di presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani?

Il Papa mi ha convocato il 6 febbraio e, nell'udienza privata, mi ha confidato di aver pensato a me in quanto vescovo che conosce le comunità della riforma protestante non soltanto dai libri ma per esperienza viva, diretta. Sapeva che in Svizzera ho avuto modo di dialogare e confrontarmi con i riformati. Ne avevamo discusso nelle viste ad limina, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e io vescovo di Basilea. Dal 2002 sono membro del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e il lavoro svolto fino a ora mi rende ancora più consapevole della grande responsabilità che Benedetto xvi mi ha affidato.

Può anticiparci quali saranno le sue strategie nei diversi dialoghi, a oriente come a occidente?

Il punto nevralgico, per me, è riconoscere la dimensione spirituale come fondamento e anima di tutto il movimento ecumenico. Non è una trovata del momento, basta rileggere il numero 8 del decreto conciliare Unitatis redintegratio e rifarsi alle esperienze dirette. Senza dimensione spirituale non si va da nessuna parte.

Quali sono gli ingredienti indispensabili per il dialogo ecumenico?

L'amicizia innanzitutto. Un dialogo credibile e sincero si può intavolare solo se c'è quello che io chiamo l'ecumenismo dell'amore. Quando le relazioni non sono buone è difficile pregare insieme e affrontare i temi teologici. Incontrarsi, conoscersi personalmente, stringere amicizie vere sono gli ingredienti base per far funzionare il dialogo teologico molto meglio.

Amore e verità, dunque.

Amore e verità sono anche i due grandi verbi di Benedetto xvi, il centro del suo corpus teologico. Se amore e verità non vanno a braccetto il dialogo si blocca. È facile constatare che non c'è futuro per un uomo e una donna che mostrano di amarsi ma non si dicono la verità. Come l'amore senza verità non è amore, così la verità da sola, senza amore, può essere dura da accettare.

Passando in rassegna progressi e stalli, qual è lo stato di salute dell'ecumenismo?

Passi in avanti ne abbiamo fatti in ogni direzione. Non ci dobbiamo aspettare per forza risultati immediati, anche perché il fondamento dell'ecumenismo è la spiritualità. Ogni dialogo è sempre una nuova sfida, con le sue caratteristiche particolari. Ne ho fatto esperienza di persona come membro della commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali e della commissione internazionale per l'unità luterana-cattolica. C'è una differenza specifica nel modo di procedere. Con gli ortodossi abbiamo un grande fondamento comune di fede e alcune differenze nella cultura. Con il mondo che viene dalla riforma, invece, non è così grande il fondamento comune di fede ma la cultura è la stessa.

Il comune fondamento di fede con gli ortodossi sta producendo risultati insperati. Da Mosca le è arrivato un messaggio augurale del Patriarca Cirillo che auspica "nuove prospettive di collaborazione a beneficio di entrambe le Chiese", sottolineando i positivi e costruttivi sviluppi nelle relazioni.


È vero, con gli ortodossi stiamo registrando progressi anche nel dialogo teologico. E a Vienna, dal 20 al 27 settembre, potremo farne ancora, continuando lo studio del tema del ruolo del vescovo di Roma nel primo millennio. Poi per la festa di sant'Andrea, il prossimo 30 novembre, mi recherò a Istanbul. È importante che la mia prima visita ufficiale sia al Patriarca ecumenico Bartolomeo nell'ambito dello scambio di delegazioni tra Roma e il Fanar per le feste patronali.

Da parte protestante, la sua nomina ha suscitato reazioni positive e la speranza di una rinnovata "apertura ecumenica" che gli è stata riconosciuta in primis dal pastore luterano Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese.

La condizione fondamentale è discutere che cosa sia la Chiesa, esaminando i diversi punti di vista. Si corre infatti il rischio di perdere la visione stessa dell'unità della Chiesa. È un dialogo da approfondire. Proprio l'esperienza vissuta in Svizzera mi ha indicato priorità e urgenze dell'impegno ecumenico. Da prete e da vescovo mi sono sempre posto, per esempio, il problema dei tanti matrimoni misti, delle famiglie composte da cattolici e protestanti. È doloroso che mariti e mogli, genitori e figli non possano partecipare insieme alle celebrazioni gli uni degli altri. Una realtà che a Basilea ho vissuto come una sfida pratica.

A Roma cosa le potrà tornare utile dell'esperienza ecumenica fatta in Svizzera?

Nel mio Paese le comunità riformate sono un caso speciale, anche per il frammentato mondo protestante. Secondo il teologo evangelico Lukas Vischer, morto nel 2008, che faceva parte del Consiglio ecumenico delle Chiese, le comunità svizzere hanno "la confessione di non avere una confessione". A Roma porto soprattutto l'attitudine al dialogo e una conoscenza delle diverse questioni maturata sul campo.

L'apertura del Papa agli anglicani con la Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus ha suscitato molto fermento. E Benedetto xvi sta per recarsi nel Regno Unito.

La situazione del mondo anglicano non è semplice. Con la Anglicanorum coetibus il Pontefice ha aperto le porte a quanti hanno chiesto liberamente di vivere nell'unità della Chiesa cattolica. Nel viaggio che il Papa sta per compiere nel Regno Unito si potranno affrontare direttamente questioni importanti e contribuire a rilanciare il dialogo sempre più aperto con gli anglicani. È significativo che nelle sue visite internazionali inserisca sempre un incontro ecumenico. Non è una sorpresa, però, visto che già nel discorso all'inizio Pontificato ha chiaramente riaffermato la priorità dell'unità dei cristiani.

Quali saranno i temi in agenda alla plenaria del dicastero a novembre?

Siamo già al lavoro per preparare l'assemblea. Due anni fa, nella plenaria precedente, abbiamo fatto il punto dei passi ecumenici negli ultimi quarant'anni. Ora dobbiamo individuare insieme le strade da percorrere. Dai lavori uscirà un programma su cosa fare nel futuro. Siamo consapevoli che l'unità dei cristiani è una missione urgente da portare avanti, nonostante le manifeste difficoltà, con un dialogo che trova il suo fondamento nel concilio Vaticano ii.

Può presentarci l'équipe del Pontificio Consiglio?

So di avere collaboratori di grande livello, in questi anni ho già avuto modo di conoscerli, a cominciare dal segretario del dicastero, il vescovo Brian Farrell, che ha un quadro preciso delle diverse situazioni. E poi c'è monsignor Eleuterio Francesco Fortino, un uomo gentile di cui non puoi non essere amico, che con la sua esperienza custodisce la tradizione di questo ufficio.

Come articolerà il suo lavoro?

Il mio compito prevede soprattutto la tessitura di una fitta rete di incontri e visite con i rappresentanti di realtà molto diverse tra loro. C'è un aspetto del mio incarico particolarmente interessante e che, invece, a volte non viene abbastanza messo in risalto:  l'incontro con i vescovi per le visite ad limina Apostolorum. Per me è fondamentale il confronto diretto, esaminare le situazioni caso per caso. Sono vescovo da quindici anni, nella Conferenza episcopale svizzera sono stato per nove anni vicepresidente e per tre anni presidente. Ho dunque avuto modo di rendermi conto quanto siano importanti le visite ad limina. In quelle occasioni il dialogo con il cardinale Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, è stato sempre molto prezioso. Fino a quel momento lo conoscevo bene ma solo attraverso i suoi libri.

Nel territorio della sua diocesi di Basilea c'è la sede della Fraternità San Pio x. Ha avuto modo di conoscere da vicino la situazione, può dare una valutazione?

Non ho avuto particolari contatti con la Fraternità San Pio x. Il mio auspicio è che questo dialogo offerto e rilanciato dal Papa possa essere compreso da tutti e dare i risultati sperati.

A lei toccherà anche portare avanti il dialogo con gli ebrei. Intervenendo al sinodo del 2008 sulla Parola di Dio, disse che si "potrebbe imparare molto dall'ebraismo", considerando sempre più la Scrittura "una realtà viva".

A volte qualcuno dimentica che il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani è anche responsabile della Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo. Non è un caso o uno sbaglio, lo trovo molto significativo. È un incarico che sento in modo particolare. Mi ha fatto piacere che tra i primi a farmi visita qui a Roma, nonostante il periodo estivo, siano stati proprio alcuni rappresentanti dell'ebraismo. Si colgono evidenti segnali positivi nelle relazioni con il mondo ebraico. Al cardinale Walter Kasper, mio predecessore, va riconosciuto il merito di aver dato un impulso significativo per migliorare i rapporti, superando ostacoli e pregiudizi. Da parte mia, voglio continuare e approfondire questo lavoro di conoscenza reciproca. Nei rapporti con gli ebrei non è questione di politica, ciò che conta è la dimensione religiosa. Lo confermano le parole del Papa e le sue visite nelle sinagoghe di Colonia, New York e Roma.

All'ordine del giorno del suo lavoro non può mancare la questione delle sette.

Domandiamoci perché così tanta gente si rivolge alle sette. Che cosa ci trovano? Perché l'offerta appare così allettante? Come mai queste persone non bussano più alle porte delle nostre chiese? L'invadenza delle sette ci pone seri interrogativi. Certo non dobbiamo usare le loro strategie, ma siamo costretti a ripensare a come annunciamo il Vangelo, alla nostra credibilità. Sono rimasto impressionato ascoltando, al sinodo del 2008, le testimonianze dei rappresentanti dell'America Latina, che si trovano a fare i conti con l'aggressività delle sette. Nelle prossime visite ad limina dei vescovi latinoamericani affronteremo di petto la questione per vedere cosa si possa fare.

Il Papa ha chiamato lei, un teologo, a proseguire il lavoro ecumenico di un altro teologo come il cardinale Kasper. Il vostro passaggio di consegne ha anche sgomberato il campo dagli immancabili tentativi di attribuire etichette di progressismo o tradizionalismo.

Tra il cardinale Kasper e me non ci sono differenze sostanziali. Ci conosciamo da anni e proprio lui, nel 2002, mi ha chiamato a far parte del Pontificio Consiglio. In questi giorni si è reso disponibile per facilitare il mio inserimento. Posso assicurare che proseguirò il lavoro che il cardinale Kasper ha così ben impostato.


(©L'Osservatore Romano - 15 settembre 2010)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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21/09/2010 18:51
 
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Lo afferma l'arcivescovo Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani

Per il Papa nel Regno Unito
un successo anche in campo ecumenico


di Gianluca Biccini

È stata un grande successo anche in campo ecumenico la visita di Benedetto XVI nel Regno Unito. Rientrato dal suo primo viaggio al seguito del Papa, al quale ha partecipato come presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, l'arcivescovo Kurt Koch racconta al nostro giornale le impressioni tratte non solo dagli incontri con gli anglicani, ma anche da quelli di carattere politico e pastorale. Impressioni raccolte a caldo, alla vigilia di un altro importante appuntamento ecumenico, la dodicesima plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa nel suo insieme, che si è aperta a Vienna lunedì 20 settembre.

Prima di partire per la Gran Bretagna, lei aveva auspicato che gli aspetti più autentici della visita del Papa non fossero oscurati da polemiche e pregiudizi. Com'è andata alla fine?

Credo molto bene. Io e gli altri membri del seguito abbiamo avuto l'impressione che i popoli del Regno Unito abbiano davvero percepito com'è realmente il Pontefice, nella sua semplicità, nella sua profondità. La sensazione è che sia stato accolto con affetto da tutti e che alla fine questo viaggio si sia rivelato un gran successo. Da ogni punto di vista.

Come si è trovato ad affrontare quest'esperienza per lei inedita?

In realtà avevo già vissuto in prima persona un viaggio internazionale del Papa, quando il 13 maggio di due anni fa accolsi Benedetto XVI al Caritas Baby Hospital di Betlemme, come vescovo di Basilea e presidente della Conferenza episcopale svizzera, che è tra i maggiori sostenitori dell'ospedale pediatrico. In quell'occasione mi colpì il fatto che il Papa non vivesse quei momenti con lo sguardo all'orologio. Ricordo che si intrattenne a lungo con i bambini malati, soprattutto con i prematuri. Quella fu una meravigliosa esperienza. Ma stavolta la mia gioia è ancora maggiore:  ho partecipato a ogni appuntamento a Edimburgo, Glasgow, Londra e Birmingham; e ovunque ho avuto l'impressione che il Papa sia sempre riuscito a mostrarsi così com'è e che la gente lo abbia accolto con calore.

Qual è stato a suo giudizio il momento più significativo dal punto di vista ecumenico?

Tutto il viaggio ha avuto una dimensione ecumenica, perché in ciascuno dei diciotto discorsi pronunciati il Papa ha fatto riferimento al ruolo della comunità dei credenti nelle società europee, richiamando di continuo le radici cristiane del Continente. Ma per rispondere alla sua domanda, è evidente che il pomeriggio di venerdì 17 abbia rappresentato dal nostro punto di vista la giornata più importante.

Sta parlando della prima visita di un Papa alla residenza londinese dell'arcivescovo di Canterbury o della successiva celebrazione, anch'essa una prima storica assoluta, nell'abbazia di Westminster?

Entrambi gli appuntamenti hanno avuto una rilevanza senza precedenti. A Lambeth Palace i due incontri con l'arcivescovo Rowan Williams - quello pubblico e l'altro più riservato - sono stati molto amabili e fraterni. Il comunicato diffuso congiuntamente al termine del cordiale colloquio ha sottolineato come Benedetto XVI e il primate della Comunione anglicana abbiano riaffermato tra l'altro l'importanza di incrementare le relazioni ecumeniche e di approfondire il dialogo teologico, in particolare sul tema della Chiesa come comunione.

E poi ci sono stati i vespri ecumenici a Westminster Abbey. Cosa l'ha maggiormente colpita in quel rito così suggestivo?

Anzitutto la preghiera comune davanti alla tomba di Edoardo il Confessore, il re inglese venerato come santo in entrambe le tradizioni. Ma vorrei soffermarmi anche su alcuni gesti:  l'abbraccio e il bacio tra il Papa e l'arcivescovo Williams che hanno suggellato lo scambio della pace, in semplicità e in amicizia; e anche, alla fine della celebrazione, la benedizione impartita insieme. Sono stati momenti molto toccanti e nei diversi discorsi ho avuto la sensazione che i due si siano trovati in sintonia su molti punti, proponendo un messaggio condiviso:  ovvero che in una società secolarizzata è assolutamente necessaria una testimonianza comune. Gesù Cristo è stato al centro di tutti gli interventi. Questi incontri hanno offerto una vera testimonianza per la fede cristiana nella società dell'Inghilterra e della Scozia, i due Paesi toccati dal Papa nel suo viaggio.

Analizzati i progressi forse è il caso di parlare anche dei problemi. O sono stati cancellati di colpo?

Esistono, certo, ma con la viva coscienza che è assolutamente necessario lavorare in futuro e continuare il dialogo, che ha già portato dei frutti. In più di una circostanza alcuni vescovi anglicani mi hanno salutato dicendomi che sono contenti per come questo dialogo continui e si cerchi veramente l'unità tra le due comunità.

Anche se, negli ultimi tempi, la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus sembra aver creato qualche difficoltà.

Va subito chiarito come l'offerta pastorale dell'ordinariato per anglicani che vorranno entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica sia stata una risposta del Papa a esplicite richieste in tal senso. Lo ripeto:  ci sono state richieste di anglicani di ritrovare la Chiesa cattolica e il Pontefice non poteva dire di no. La differenza con altri tempi è che ci sono sempre state delle conversioni individuali, e l'esempio del cardinale Newman è illuminante; ma adesso si tratta di gruppi che vogliono entrare nella Chiesa cattolica con i loro pastori e forse con i vescovi. È un grande gesto da parte di Benedetto XVI, che apre le porte a chi bussa. Ma ciò non cambia niente nel dialogo, che deve continuare. Vorrei inoltre precisare che tutto ciò che riguarda il dialogo rientra nella responsabilità del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Mentre l'applicazione dell'Anglicanorum coetibus attiene alla sfera di competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede. E questo è un bene, perché abbiamo due vie per continuare la ricerca della comunione con gli anglicani.

Nel discorso ai vescovi di Inghilterra e Galles e di Scozia il Papa ha di nuovo chiesto loro di essere generosi nel porre in atto la Costituzione apostolica. È segno che ci sono ancora dei problemi?

Penso che si tratti soprattutto di problemi pratici. Per esempio:  come si deve procedere nel caso in cui un'intera comunità anglicana voglia entrare nella Chiesa cattolica con il suo vescovo? come integrare questi gruppi e i vescovi attraverso l'istituzione di un ordinariato personale? A oggi non abbiamo esperienze in questo senso. Penso che sia sempre un po' così quando vengono introdotte delle novità, ma con il buon senso si possono superare anche tali timori.

È in questo spirito che si prepara ad affrontare anche l'appuntamento viennese?

Direi di sì. La dodicesima plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa nel suo insieme si riunisce per una settimana intera, fino al 27 settembre, e spero che si facciano dei passi in avanti nell'approfondimento del tema in agenda:  il primato del vescovo di Roma, Successore di Pietro, nel primo millennio. Si tratta di un nodo cruciale nelle questioni storiche e dottrinali fra Oriente e Occidente. Essendovi differenze di interpretazione circa le testimonianze e i fondamenti scritturistici e teologici, è molto interessante che le due parti si sforzino di leggere i testi in altro modo, attraverso un'indagine comune e un'ermeneutica condivisa. Solo così si può cambiare la visione delle cose e riprendere un viaggio fruttuoso verso il futuro.


(©L'Osservatore Romano - 22 settembre 2010)
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI, 18.11.2010

Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani sul tema: "Verso una nuova tappa del dialogo ecumenico", in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Dicastero.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!


È per me una grande gioia incontrarvi in occasione della Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, durante la quale riflettete sul tema: "Verso una nuova tappa del dialogo ecumenico". Nel rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, desidero ringraziare in modo particolare il Presidente, Mons. Kurt Koch, anche per le calorose espressioni con cui ha interpretato i vostri sentimenti.

Ieri, come ha ricordato Mons. Koch, avete celebrato, con un solenne Atto commemorativo, il 50° anniversario dell’istituzione del vostro Dicastero.

Il 5 giugno 1960, alla vigilia del Concilio Vaticano II, che ha indicato come centrale per la Chiesa l’impegno ecumenico, il beato Giovanni XXIII creava il Segretariato per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, denominato poi, nel 1988, Pontificio Consiglio. Fu un atto che costituì una pietra miliare per il cammino ecumenico della Chiesa cattolica. Nel corso di cinquant’anni è stata percorsa molta strada. Desidero esprimere viva gratitudine a tutti coloro che hanno prestato il loro servizio nel Pontificio Consiglio, ricordando anzitutto i Presidenti che si sono succeduti: i Cardinali Augustin Bea, Johannes Willebrands, Edward Idris Cassidy; e mi è particolarmente gradito ringraziare il Cardinale Walter Kasper, che ha guidato il Dicastero, con competenza e passione, negli ultimi undici anni. Ringrazio membri e consultori, officiali e collaboratori, coloro che hanno contribuito a realizzare i dialoghi teologici e gli incontri ecumenici e quanti hanno pregato il Signore per il dono dell’unità visibile tra i cristiani. Sono cinquant’anni in cui si è acquisita una conoscenza più vera e una stima più grande con le Chiese e le Comunità ecclesiali, superando pregiudizi sedimentati dalla storia; si è cresciuti nel dialogo teologico, ma anche in quello della carità; si sono sviluppate varie forme di collaborazione, tra le quali, oltre a quelle per la difesa della vita, per la salvaguardia del creato e per combattere l’ingiustizia, importante e fruttuosa è stata quella nel campo delle traduzioni ecumeniche della Sacra Scrittura.

In questi ultimi anni, poi, il Pontificio Consiglio si è impegnato, tra l’altro, in un ampio progetto, il cosiddetto Harvest Project, per tracciare un primo bilancio dei traguardi conseguiti nei dialoghi teologici con le principali Comunità ecclesiali dal Vaticano II. Si tratta di un prezioso lavoro che ha messo in evidenza sia le aree di convergenza, sia quelle in cui è necessario continuare ad approfondire la riflessione. Rendendo grazie a Dio per i frutti già raccolti, vi incoraggio a proseguire il vostro impegno nel promuovere una corretta ricezione dei risultati raggiunti e nel far conoscere con esattezza lo stato attuale della ricerca teologica a servizio del cammino verso l’unità.

Oggi alcuni pensano che tale cammino, specie in Occidente, abbia perso il suo slancio; si avverte, allora, l’urgenza di ravvivare l’interesse ecumenico e di dare una nuova incisività ai dialoghi. Sfide inedite, poi, si presentano: le nuove interpretazioni antropologiche ed etiche, la formazione ecumenica delle nuove generazioni, l’ulteriore frammentazione dello scenario ecumenico. È essenziale prendere coscienza di tali cambiamenti e individuare le vie per procedere in maniera efficace alla luce della volontà del Signore: "che siano tutti una sola cosa" (Gv 17,21).

Anche con le Chiese Ortodosse e le Antiche Chiese Orientali, con le quali esistono "strettissimi legami" (Unitatis Redintegratio, 15), la Chiesa cattolica prosegue con passione il dialogo, cercando di approfondire in modo serio e rigoroso il comune patrimonio teologico, liturgico e spirituale, e di affrontare con serenità e impegno gli elementi che ancora ci dividono. Con gli Ortodossi si è giunti a toccare un punto cruciale di confronto e di riflessione: il ruolo del Vescovo di Roma nella comunione della Chiesa. E la questione ecclesiologica è anche al centro del dialogo con le Antiche Chiese Orientali: nonostante molti secoli di incomprensione e di lontananza, si è constatato, con gioia, di avere conservato un prezioso patrimonio comune.

Cari amici, pur in presenza di nuove situazioni problematiche o di punti difficili per il dialogo, la meta del cammino ecumenico rimane immutata, come pure l’impegno fermo nel perseguirla. Non si tratta, però, di un impegno secondo categorie, per così dire, politiche, in cui entrano in gioco l’abilità di negoziare o la maggiore capacità di trovare compromessi, per cui ci si potrebbe aspettare, come buoni mediatori, che, dopo un certo tempo, si arrivi ad accordi accettabili da tutti.

L’azione ecumenica ha un duplice movimento. Da una parte la ricerca convinta, appassionata e tenace per trovare tutta l’unità nella verità, per escogitare modelli di unità, per illuminare opposizioni e punti oscuri in ordine al raggiungimento dell’unità. E questo nel necessario dialogo teologico, ma soprattutto nella preghiera e nella penitenza, in quell’ecumenismo spirituale che costituisce il cuore pulsante di tutto il cammino: l’unità dei cristiani è e rimane preghiera, abita nella preghiera.

Dall’altra parte, un altro movimento operativo, che sorge dalla ferma consapevolezza che noi non sappiamo l’ora della realizzazione dell’unità tra tutti i discepoli di Cristo e non la possiamo conoscere, perché l’unità non la "facciamo noi", la "fa" Dio: viene dall’alto, dall’unità del Padre con il Figlio nel dialogo di amore che è lo Spirito Santo; è un prendere parte all’unità divina.

E questo non deve far diminuire il nostro impegno, anzi, deve renderci sempre più attenti a cogliere i segni e i tempi del Signore, sapendo riconoscere con gratitudine quello che già ci unisce e lavorando perché si consolidi e cresca. Alla fine, anche nel cammino ecumenico, si tratta di lasciare a Dio quello che è unicamente suo e di esplorare, con serietà, costanza e dedizione, quello che è nostro compito, tenendo conto che al nostro impegno appartengono i binomi di agire e soffrire, di attività e pazienza, di fatica e gioia.

Invochiamo fiduciosi lo Spirito Santo, perché guidi il nostro cammino e ognuno senta con rinnovato vigore l’appello a lavorare per la causa ecumenica. Incoraggio tutti voi a proseguire nella vostra opera; è un aiuto che rendete al Vescovo di Roma nell’adempiere la sua missione al servizio dell’unità. Quale segno di affetto e gratitudine, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

                          Pope Benedict XVI presides over a Celebration of Mass in Bellahouston Park, Glasgow, in Scotland on September 16, 2010. Tens of thousands of people lined the streets of Edinburgh Thursday to greet Pope Benedict XVI, waving flags as his popemobile went past, though some in the crowd criticised the state visit.
Fraternamente CaterinaLD

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22/01/2011 20:01
 
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ATTENZIONE, LEGGERE ATTENTAMENTE L'ARTICOLO CERCANDO DI NON STRUMENTALIZZARLO E DI NON DEVIARLO DAL SUO VERO INTENTO.....




Le relazioni con la Federazione luterana mondiale e la Conferenza internazionale dei vescovi veterocattolici dell'Unione di Utrecht

La base di una comune visione dell'unità


di Matthias Türk
Pontificio Consiglio per la Promozione
dell'Unità dei Cristiani

Cinquant'anni di intenso lavoro ecumenico sono stati rivisitati dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani in occasione della sua ultima assemblea plenaria tenutasi nel novembre 2010 sul tema "Verso una nuova tappa del dialogo ecumenico".
 
I significativi risultati ecumenici degli ultimi decenni costituiscono oggi una solida base di comunione di vita nella fede e nella spiritualità tra luterani e cattolici. Ciò dovrebbe incoraggiare noi tutti a compiere ulteriori passi verso l'unità e a non fermarci semplicemente a quello che è già stato conseguito.

Fanno però riflettere le parole espresse da un commentatore:  "Per quattrocento anni ci siamo combattuti fino allo spargimento del sangue, adesso partecipiamo insieme a celebrazioni liturgiche ecumeniche. Forse dovremmo accontentarci di questo".

Alcuni ritengono, da entrambe le parti, che l'ecumenismo abbia già fatto abbastanza e non sia necessario impegnarsi ulteriormente  per  portarlo  avanti  o  per approfondirlo. Diversamente, Benedetto XVI ha tenuto a sottolineare, durante l'udienza ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio, il 18 novembre 2010, la duratura importanza del dialogo ecumenico:  "Oggi alcuni pensano che tale cammino, specie in Occidente, abbia perso il suo slancio; si avverte, allora, l'urgenza di ravvivare l'interesse ecumenico e di dare una nuova incisività ai dialoghi".

Il 2010 è stato contrassegnato da una molteplicità di incontri e di consultazioni teologiche tra la Federazione luterana mondiale e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Sulla base della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, il dialogo teologico è stato proseguito a livello internazionale da un gruppo di lavoro di esegeti che si sono incontrati nel gennaio 2010 a Louisville, negli Stati Uniti, dietro invito della Federazione luterana mondiale. I biblisti cattolici, luterani, metodisti e riformati, convocati congiuntamente, sono pervenuti a un considerevole consenso nella riflessione sui fondamenti biblici della dottrina della giustificazione. Questi comprendono, oltre agli scritti paolini, soprattutto i vangeli sinottici, le lettere pastorali e l'Antico Testamento.
 
Un evento di rilievo del 2010 è stata la visita del Papa, il 14 marzo, alla Christuskirche della comunità evangelica-luterana di Roma. Si è trattato della prima visita di Benedetto XVI a una chiesa luterana, in ricordo di quella compiuta da Giovanni Paolo II nel 1983 alla comunità luterana di Roma. Insieme al pastore luterano, Jens-Martin Kruse, e a numerosi rappresentanti della Curia romana e della comunità luterana, il Santo Padre ha celebrato una toccante liturgia della Parola, osservando, fra l'altro:  "Credo che dovremmo mostrare al mondo soprattutto questo:  non liti e conflitti di ogni sorta, ma gioia e gratitudine per il fatto che il Signore ci dona questo e perché esiste una reale unità, che può diventare sempre più profonda e che deve divenire sempre più una testimonianza della parola di Cristo, della via di Cristo in questo mondo".

In occasione del suo commiato come segretario generale della Federazione luterana mondiale, Ishmael Noko è stato ricevuto in udienza privata da Benedetto XVI, il 26 giugno 2010. Il successore di Noko, il pastore cileno Martin Junge, che è il primo segretario generale proveniente da una chiesa-membro latinoamericana, è entrato in carica il 1° novembre 2010. Junge, di padre austriaco, ha studiato teologia in Germania.

Fra i temi principali dell'undicesima assemblea plenaria della Federazione luterana mondiale, tenutasi a Stoccarda nel luglio scorso e intitolata "Dacci oggi il nostro pane quotidiano", figuravano la giustizia sociale, la pace e l'ambiente. I delegati, appartenenti a centoquarantacinque chiese nazionali con oltre settanta milioni di membri in tutto il mondo, hanno eletto come nuovo presidente il vescovo palestinese Munib Younan, della chiesa evangelica-luterana in Giordania e Terra Santa. Sono stati inoltre eletti i nuovi membri del Consiglio, composto da quarantotto persone, che sarà responsabile del lavoro della Federazione fino alla prossima plenaria.

A Stoccarda c'è stata fra l'altro una toccante celebrazione di riconciliazione tra luterani e mennoniti; tale evento è stato preparato dal dialogo luterano-mennonita, che in futuro proseguirà a livello trilaterale, con la partecipazione della Chiesa cattolica.

Durante le discussioni sulle implicazioni teologiche e organizzative del processo di rinnovamento della Federazione luterana mondiale, attualmente in corso, è emersa ancora una volta l'importanza per l'ecumenismo del tema dell'ecclesiologia.
Dall'assemblea del 2003 a Winnipeg, in Canada, la Federazione ha aggiunto alla propria dicitura il nome programmatico "una comunione di chiese". Adesso va ulteriormente chiarita quale sia la base della comunione luterana e cosa la tenga unita, quali siano le relazioni delle chiese-membro della Federazione tra di loro, come esse affrontino le differenze esistenti, come possa essere esercitata a livello mondiale la funzione dirigenziale, e quanta stabilità abbia la comunione mondiale luterana.

Come nel passato, la comunione luterana continua però a presentare divisioni interne. L'ordinazione delle donne, ad esempio, è prassi comune nella maggior parte delle chiese-membro, ma esiste una minoranza che non intende aderire a tale passo.

In una dichiarazione pubblicata a Stoccarda, le chiese luterane che non praticano l'ordinazione delle donne vengono adesso sollecitate a riflettere sulle conseguenze del loro comportamento sulle donne e a creare le necessarie condizioni giuridiche per garantire posizioni di responsabilità ecclesiale alle donne ordinate e non ordinate e fornire loro la possibilità di una formazione teologica.
Nel retroscena delle discussioni, si moltiplicano inoltre voci che esprimono insoddisfazione nei confronti del modo in cui vengono trattate le questioni relative alla famiglia e alla sessualità in un numero crescente di chiese appartenenti ai Paesi dell'emisfero settentrionale.

Il 27 agosto 2010, ad esempio, alcuni luterani conservatori degli Stati Uniti si sono staccati dalla Chiesa evangelica-luterana in America e hanno fondato una nuova Chiesa luterana nordamericana. Il motivo di ciò è la decisione presa dalla prima, nel 2009, di permettere l'ordinazione di teologi che vivono in relazioni omosessuali. Voci altrettanto insoddisfatte si fanno sentire nelle chiese luterane in Scandinavia, in Africa e recentemente anche in Germania in merito alle disposizioni sulle nuove ordinazioni.
 
Un gruppo di lavoro nominato nel 2004 dal Consiglio della Federazione luterana mondiale ha prodotto già nel 2007 un testo su Linee guida e procedure per un dialogo rispettoso su coppia, famiglia e sessualità. Questo documento è stato approvato durante la seduta del Consiglio del 2007 ed è stato in seguito presentato alle chiese-membro, che avranno tempo per esaminarlo fino al 2012. Rimane da vedere fino a che punto questa problematica rappresenterà una prova del fuoco per la Federazione.

Se viene mantenuto il tradizionale ritmo settennale, la dodicesima assemblea plenaria si terrà nel 2017, ovvero nell'anno in cui sarà celebrato il quinto centenario della Riforma. Il segretario generale Junge ha esplicitamente insistito a Stoccarda sul fatto che la plenaria sia iscritta nel programma di tale anniversario e questo venga celebrato "con apertura ecumenica".

L'analisi dei primi quattro dialoghi ecumenici condotti dalla Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano ii con i luterani, gli anglicani, i riformati e i metodisti, pubblicata dal cardinale Walter Kasper nel 2009 sotto il titolo Harvesting the Fruits, è stata oggetto di riflessione in una conferenza di ecumenisti organizzata nel settembre 2010 dall'Istituto ecumenico della Federazione luterana mondiale di Strasburgo. Lo studio evidenzia i progressi realizzati, come pure le questioni aperte e controverse negli oltre quarant'anni di dialogo con la Federazione. Al momento ci troviamo in una significativa tappa intermedia del dialogo tra le Chiese in cui è opportuno fare il punto della situazione. I frutti sono copiosi e, nonostante le importanti differenze che tuttora permangono, esiste un consenso di fondo in molte questioni relative alla dottrina della fede.

Per proseguire il lavoro sulla base del sopracitato studio è necessario tuttavia pervenire a una visione comune dell'unità e anche a strutture di unità nelle quali i risultati raggiunti possano pienamente fruttificare.

A tal fine, occorrerà affrontare una serie di questioni nel campo della metodologia ecumenica. Temi come il carattere vincolante, la cattolicità, la recezione, il mutuo riconoscimento e soprattutto l'ecclesiologia dovranno essere studiati in maniera congiunta. Anche la questione del "consenso differenziato o differenziante" andrà ulteriormente approfondita. A essa direttamente legato è il problema della valutazione delle differenze. Quali differenze sono parte del consenso ed espressione della ricchezza delle professioni di fede? In questo campo, le rispettive risposte da parte dei cattolici e dei luterani sono ancora diverse, ma anche qui sembra oggi possibile compiere passi avanti.

La Commissione internazionale luterana-cattolica per l'unità, durante la plenaria tenutasi nel mese di ottobre a Regensburg dietro invito del co-presidente cattolico, il vescovo Gerhard Ludwig Müller, ha proseguito il suo lavoro finalizzato all'elaborazione di una presa di posizione comune sull'"Anno della Riforma 2017", che si concentra sulla questione di quale possa essere oggi una giusta valutazione della Riforma dal punto di vista ecumenico. Per la prima volta in cinquecento anni, i cristiani luterani e cattolici desiderano commemorare insieme un anniversario della Riforma. Il co-presidente luterano della Commissione, il vescovo Eero Huovinen, ha parlato di un "passo rivoluzionario". Non si tratterà di un "festeggiamento trionfalistico", ma di una commemorazione comune.

La questione basilare consiste nel capire quale sia l'idea della Riforma che hanno oggi le comunità ecclesiali nate dalla Riforma. Nella prospettiva dell'anniversario del 2017, va chiarito se queste la considerino ancora come una rottura con la Tradizione, come l'inizio di qualcosa di totalmente nuovo, oppure se la vedano, così come avevano fatto i riformatori stessi, non come volontà di creare una nuova Chiesa, ma come un rinnovamento della Chiesa.
In questo senso, la nascita di nuove Chiese, come viene più volte affermato anche dai teologi luterani, esprime non il successo della Riforma ma il suo insuccesso.

Di conseguenza, è proprio all'interno del movimento ecumenico che potrebbe trovare il suo posto la vera istanza riformatoria. Per questo, l'anniversario della Riforma potrebbe essere commemorato ecumenicamente e potrebbe così testimoniare in modo incisivo il patrimonio comune cresciuto finora tra luterani e cattolici.

La Commissione internazionale di dialogo sta inoltre preparando un documento sul tema Battesimo e crescente comunione ecclesiale.
Nell'ottobre scorso, il nuovo presidente della Federazione luterana mondiale, Younan, ha preso parte come delegato ecumenico al Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Il 16 dicembre, in occasione dell'inizio del suo mandato, egli è stato ricevuto in udienza privata da Benedetto XVI insieme al nuovo segretario generale, Junge, e a una delegazione della Federazione. In tale circostanza, Younan, riferendosi al cinquecentesimo anniversario della Riforma, ne ha parlato come di "una prova importante per le relazioni ecumeniche", aggiungendo che "per noi la forza liberatrice del Vangelo che i riformatori hanno annunciato in maniera rinnovata è piena di gioia ed è questa che celebreremo. Allo stesso tempo - ha detto ancora - vogliamo festeggiare questo anniversario in maniera ecumenicamente responsabile:  vogliamo riconoscere sia gli aspetti dannosi della Riforma sia i progressi del movimento ecumenico dall'ultimo grande anniversario della Riforma". Questa responsabilità ecumenica potrà essere raggiunta dai luterani necessariamente  con  l'aiuto  dei  cattolici.

Gli incontri sopra menzionati hanno avuto luogo nel quadro della riunione annuale tra i responsabili della Federazione luterana mondiale e i responsabili del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Anche a livello regionale proseguono diverse iniziative di dialogo, complementari alle relazioni internazionali con la Federazione, fornendole preziosi stimoli. La commissione di dialogo tra luterani e cattolici negli Stati Uniti ha concluso le sue consultazioni con un rapporto finale intitolato Escatologia e vita eterna. Quella in Germania prosegue il suo lavoro sul tema dell'antropologia. E la commissione di dialogo nordica luterana-cattolica in Svezia e Finlandia ha presentato al Santo Padre, il 26 aprile 2010, durante un'udienza privata, il suo testo conclusivo sul tema Giustificazione nella vita della Chiesa.

Anche la serie di consultazioni tra l'Istituto per l'ecumenismo "Johann-Adam-Möhler" di Paderborn e la Lutherische Theologische Hochschule della Chiesa evangelica-luterana indipendente di Oberursel in Germania - che ha cercato di individuare i punti comuni fondamentali tra la Chiesa cattolica e il luteranesimo confessionale, così come viene professato dal Consiglio internazionale luterano del quale fa parte anche il Sinodo del Missouri negli Stati Uniti - è giunta alla conclusione dei propri lavori nel corso dell'anno passato. Nel rapporto finale, le parti hanno auspicato l'avvio di un dialogo internazionale ufficiale tra il Consiglio internazionale luterano e il Pontificio consiglio.

Sono buone anche le relazioni con i veterocattolici. La Commissione internazionale di dialogo cattolica-veterocattolica ha condotto conversazioni bilaterali ufficiali dal 2004 al 2009, dietro mandato del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e della Conferenza internazionale dei vescovi veterocattolici dell'Unione di Utrecht. I membri della Commissione, provenienti dalla Germania, dalla Svizzera e dai Paesi Bassi, hanno pubblicato nel 2009, come risultato delle loro consultazioni, il rapporto finale intitolato Chiesa e Comunità ecclesiale. Con questo nuovo testo, che è più di un semplice documento di consenso e che è stato presentato alle rispettive autorità ecclesiali con la richiesta di una presa di posizione al riguardo, sono stati realizzati importanti passi avanti nel campo dell'interpretazione ecclesiologica e sono stati evidenziati sia i consensi esistenti a livello di dottrina e di prassi sia le differenze che tuttora permangono.

Nel 2010, la Chiesa veterocattolica della Repubblica federale tedesca e la Chiesa unita evangelica-luterana della Germania hanno commemorato il venticinquesimo anniversario del loro accordo sulla comunione eucaristica, in base al quale, dal 1985, le chiese-membro praticano tra loro la comunione eucaristica, sebbene persistano differenze di fondo nelle rispettive interpretazioni di ciò che è la Chiesa e di ciò che è il ministero.

Il fatto che i veterocattolici desiderino ulteriormente ampliare la comunione ecclesiale già esistente con i luterani in Germania senza aver prima chiarito queste fondamentali differenze nella dottrina e nella pratica sacramentale è fonte di preoccupazione per la Chiesa cattolica, che vede ciò come un ostacolo al buon esito del dialogo ecumenico comune.

Questo problema si è particolarmente acuito quando, il 13 maggio 2010, nel quadro del Kirchentag ecumenico di Monaco, ha avuto luogo per la prima volta una celebrazione eucaristica ecumenica comune tra luterani e veterocattolici. In tale occasione, il nuovo vescovo tedesco veterocattolico, Matthias Ring, ha dichiarato che "tutto quello che si può dire a proposito di una celebrazione eucaristica ecumenica è stato già detto. Adesso lo vogliamo semplicemente fare". Rimane da vedere fino a che punto questo potrà chiarire ulteriormente le differenze che sono tuttora profonde nel campo dell'interpretazione sacramentaria ed ecclesiologica.


Per quanto concerne la Chiesa cattolica, essa può ora guardare a cinquant'anni di rapporti ecumenici. La situazione che aveva incontrato subito dopo la conclusione del concilio Vaticano ii non è paragonabile a quella che caratterizza l'inizio del XXI secolo. I rigidi fronti di Chiese e comunità ecclesiali contrapposte le une alle altre, ben definite e riconoscibili dal punto di vista confessionale, si sono oggi profondamente trasformati. Nonostante il permanere di differenze teologiche in questioni di fede in parte fondamentali, la vita delle Chiese e delle comunità ecclesiali, divenute nel frattempo partner ecumenici, è ormai caratterizzata dalla collaborazione e dall'arricchimento reciproco. Il dialogo tra luterani e cattolici è divenuto una realtà pervasiva. E l'impegno ecumenico della Chiesa cattolica, riaffermato come imprescindibile da Giovanni Paolo II nella sua enciclica Ut unum sint, non è semplicemente uno tra i tanti atteggiamenti in un mondo in continua trasformazione, ma fa parte della missione stessa della Chiesa.

Anche se oggi pare difficile che si riesca a pervenire a un'interpretazione comune di unità piena e visibile tra i cristiani, non dobbiamo rassegnarci e perdere di vista ciò che è possibile realizzare come prossimo passo. Infatti, proprio perché le divisioni tra i cristiani rendono più difficile esprimere nella realtà della vita della Chiesa la pienezza della cattolicità, che in Cristo e per Cristo è propria alla Chiesa stessa (cfr. Unitatis redintegratio, 4), il dialogo ecumenico è, nella vita della Chiesa, uno strumento che contribuisce al superamento di tale contraddizione, come è stato sostenuto dal decreto Unitatis redintegratio conformemente alle affermazioni fondamentali della costituzione dogmatica Lumen gentium.

Ciò deve continuare ad avvenire in prima linea tramite il dibattito teologico, il quale deve poter condurre a un consenso sulle questioni teologiche controverse, che rappresentano un ostacolo per l'unità visibile tra i cristiani. Pertanto, il dialogo tra cattolici e luterani così come quello tra cattolici e veterocattolici non può più essere reciso dalla realtà della vita della Chiesa cattolica senza recare danno a quest'ultima.



(©L'Osservatore Romano - 23 gennaio 2011)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/01/2011 18:20
 
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Alle ore 11.45 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza la Delegazione della Chiesa Evangelica Luterana Tedesca (Vereinigte Evangelisch-Lutherische Kirche Deutschlands), e rivolge ai presenti il discorso che pubblichiamo di seguito:



CITTA' DEL VATICANO, 24 GEN. 2011 (VIS). Questa mattina, nel Palazzo Apostolico, Benedetto XVI ha ricevuto una Delegazione della Chiesa Evangelica Luterana Tedesca, a Roma per la chiusura della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani.  
   
  Nel discorso in lingua tedesca, il Santo Padre ha ricordato che il dialogo fra cattolici e luterani risale a cinquanta anni fa e che nonostante le differenze teologiche in alcuni ambiti fondamentali, sono stati compiuti grandi progressi verso l'unità e si sono poste le basi di una spiritualità e di una viva comunione nella fede.  
   
  Il Papa ha quindi affermato che in questi momenti alcuni sentono che l'obiettivo comune dell'unità piena e visibile dei cristiani sembra allontanarsi ed ha detto di condividere la preoccupazione di molti cristiani secondo i quali i risultati del lavoro ecumenico non sono sufficientemente visibili. Tuttavia il dialogo ecumenico, ha sottolineato il Pontefice, guidato dallo Spirito Santo, continua ad essere lo strumento fondamentale per superare le difficoltà, ed ha riaffermato l'importanza del dibattito teologico per contribuire alla comprensione delle questioni ancora sospese.  
(se non altro non si parla più di solo ciò che ci unisce.... Wink )  
 
  Benedetto XVI si è inoltre soffermato sulla necessità di una posizione comune relativa ai temi riguardanti la protezione e la dignità della persona umana e le grandi questioni relative alla famiglia, al matrimonio e alla sessualità.  
(vi ricordo che per alcune comunità luterane l'aborto è consentito nel loro magistero, il divorzio pure ed anche l'omosessualità.... Cry )  
   
  Infine Benedetto XVI ha ricordato che nel 2017 ricorre il 500° anniversario della pubblicazione delle tesi di Martin Lutero, che diedero luogo alla divisione fra cattolici e luterani ed ha affermato che per gli uni e gli altri, tale commemorazione deve essere connotata dall'ecumenismo e non dal trionfalismo, e deve porre in risalto la fede comune nello stesso Dio, Uno e Trino. Tale data rappresenterà inoltre l'occasione per riflettere sui motivi della divisione e per sottoporsi ad una purificazione della coscienza. Nel contempo, ha aggiunto il Papa, sarà un'occasione per fare una valutazione dei 1500 anni che hanno preceduto la Riforma il cui patrimonio appartiene a cattolici e luterani.  
   
  Il Santo Padre ha concluso il suo discorso invitando tutti alla preghiera per chiedere allo Spirito Santo di aiutare a perseverare nel cammino intrapreso fino alla auspicata unità, senza indugiare sui risultati già conseguiti.

                         Pope Benedict XVI (C) attends a meeting with members of The United Evangelical Lutheran Church of Germany (VELKD) at the Vatican January 24, 2011.


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Vescovo regionale Friedrich!
Cari amici della Germania!


Porgo un cordiale benvenuto a tutti voi, rappresentanti dei vertici della Chiesa Unita Evangelica Luterana Tedesca qui nel Palazzo Apostolico e mi rallegro per il fatto che voi, come delegazione, siete venuti a Roma a conclusione della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. In questo modo mostrate anche che tutto il nostro anelito all'unità può recare frutti soltanto se radicato nella preghiera comune. In particolare, vorrei ringraziare Lei, caro Vescovo regionale, per le sue parole che, con grande sincerità, esprimono gli sforzi comuni per un'unità più profonda fra tutti i cristiani.

Nel frattempo, il dialogo ufficiale fra luterani e cattolici — così è scritto qui — può guardare indietro a più di cinquant'anni di intensa attività. Lei ha parlato di trent'anni. Penso che trent'anni fa, dopo la visita del Papa, abbiamo iniziato ufficialmente ma di fatto era già da molto tempo che dialogavamo.

Io stesso sono stato membro del «Jaeger-Stählin-Kreis» nato direttamente dopo la guerra. Si può quindi parlare sia di cinquanta sia di trent'anni. Nonostante le differenze teologiche che continuano a esistere su questioni in parte fondamentali, è cresciuto un «insieme» fra noi, che diviene sempre più la base di una comunione vissuta nella fede e nella spiritualità fra luterani e cattolici. Quanto già raggiunto rafforza la nostra fiducia nel proseguire il dialogo perché soltanto così possiamo rimanere insieme lungo quella via che in definitiva è Gesù Cristo stesso.

Quindi, l'impegno della Chiesa cattolica per l'ecumenismo, come ha affermato il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo ii nella sua Enciclica Ut unum sint, non è una mera strategia di comunicazione in un mondo che muta, ma un impegno fondamentale della Chiesa a partire dalla propria missione (cfr. Nm 28-32).

A qualche contemporaneo la meta comune dell'unità piena e visibile dei cristiani oggi sembra essere di nuovo più lontana. Gli interlocutori ecumenici portano nel dialogo idee sull'unità della Chiesa completamente diverse. Condivido la preoccupazione di molti cristiani per il fatto che i frutti dell'opera ecumenica, soprattutto in relazione all'idea di Chiesa e di ministero, non vengono ancora recepiti a sufficienza dagli interlocutori ecumenici. Tuttavia, anche se sorgono sempre nuove difficoltà, guardiamo con speranza al futuro. Anche se le divisioni dei cristiani sono un ostacolo nel modellare pienamente la cattolicità nella realtà della vita della Chiesa, come le è stato promesso in Cristo e attraverso Cristo (cfr. Unitatis redintegratio, n. 4) , confidiamo nel fatto che, sotto la guida dello Spirito Santo, il dialogo ecumenico, quale strumento importante nella vita della Chiesa, serva a superare questo conflitto. Ciò avverrà, in primo luogo, anche attraverso il dialogo teologico, che deve contribuire a un'intesa sulle questioni aperte, che sono un ostacolo lungo il cammino verso l'unità visibile e la celebrazione comune dell'Eucaristia come sacramento dell'unità fra i cristiani.

Fa piacere affermare che accanto al dialogo luterano cattolico internazionale sul tema «Battesimo e la crescente comunione ecclesiale», anche in Germania dal 2009 una commissione bilaterale di dialogo della Conferenza Episcopale e della Chiesa evangelica luterana tedesca ha ripreso la sua attività sul tema: «Dio e la dignità dell'uomo». Questo ambito tematico comprende in particolare anche i problemi sorti di recente in relazione alla tutela e alla dignità della vita umana, così come le questioni urgenti della famiglia, il matrimonio e la sessualità, che non possono essere taciute o trascurate solo per non mettere a repentaglio il consenso ecumenico raggiunto finora.

Auspichiamo che in queste importanti questioni relative alla vita non nascano nuove differenze confessionali ma che insieme possiamo rendere testimonianza al mondo e agli uomini di ciò che il Signore ci ha mostrato e ci mostra.

Oggi il dialogo ecumenico non può più essere scisso dalla realtà e dalla vita nella fede nelle nostre Chiese senza recare loro danno. Quindi volgiamo insieme il nostro sguardo all'anno 2017, che ci ricorda l'affissione delle tesi di Martin Lutero sulle indulgenze cinquecento anni fa.

In quell'occasione luterani e cattolici avranno l'opportunità di celebrare in tutto il mondo una comune commemorazione ecumenica, di lottare a livello mondiale per le questioni fondamentali, non — come lei stesso ha appena detto — sotto forma di una celebrazione trionfalistica, ma come un professione comune della nostra fede nel Dio Uno e Trino, nell'obbedienza comune a Nostro Signore e alla sua Parola. Dobbiamo attribuire un posto importante alla preghiera comune e alla preghiera interiore rivolte a nostro Signore Gesù Cristo per il perdono dei torti reciproci e per la colpa relativa alle divisioni. Di questa purificazione della coscienza fa parte lo scambio reciproco sulla valutazione dei 1500 anni che hanno preceduto la Riforma e che perciò sono a noi comuni. Per questo desideriamo implorare insieme, in modo costante, l'aiuto di Dio e l'assistenza dello Spirito Santo, per poter compiere passi ulteriori verso l'unità agognata e non rimanere fermi ai risultati ottenuti.

Lungo questo cammino ci incoraggia anche la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani di quest'anno. Ci ricorda il capitolo degli Atti degli Apostoli: «Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At, 2, 42). In questi quattro atti e comportamenti i primi cristiani erano costanti, e quindi la comunità cresceva con Cristo e da essa scaturiva questo «insieme» degli uomini in Cristo. Questa testimonianza, straordinaria e visibile al mondo, dell'unità della Chiesa primitiva potrebbe essere anche per noi sprone e norma per il nostro cammino ecumenico comune nel futuro.

Nella speranza che la vostra visita rafforzi ulteriormente la valida collaborazione fra luterani e cattolici in Germania, imploro per voi tutti la grazia di Dio e le sue abbondanti benedizioni. 

2011 - Libreria Editrice Vaticana

(Traduzione Osservatore Romano)



                                                                    Pope Benedict XVI (R) is greeted by Germany's Lutheran bishop Johannes Friedrich during a meeting at the Vatican January 24, 2011.
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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31/05/2011 16:07
 
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L’unità dei cristiani abita nella preghiera


Intervista con il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani




Creato cardinale da papa Benedetto XVI nel concistoro del 20 novembre 2010, Kurt Koch è stato dal 1995 vescovo di Basilea e per tre anni, dal 2007 sino al 2010, presidente della Conferenza episcopale svizzera. Lo scorso primo luglio il Papa lo nominò presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani. E in tale carica il cardinale Koch ha già fatto visita al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e al patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill. Non per questo, come lui ci dirà, viene meno però il suo interesse precipuo per le Chiese nate dalla Riforma.  

Kurt Koch [© Romano Siciliani]

Kurt Koch [© Romano Siciliani]

KURT KOCH: Gli impegni non mancano, e bisogna dosarli tra la sezione orientale e quella occidentale del nostro Pontificio Consiglio.
Comincerei dalla prima, ricordando l’incontro con tutte le Chiese ortodosse, a Vienna nel settembre 2010, nell’ambito della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, occasione in cui abbiamo compiuto un passo importante: abbiamo cioè definito la necessità per la Chiesa di avere un protos, cioè un vertice a livello locale, regionale e universale, e di approfondire anche gli studi storici sulla modalità con cui il primato del vescovo di Roma esisteva nel primo millennio della Chiesa indivisa. Sono gli stessi argomenti del precedente nostro incontro a Cipro nel 2009. Gli ortodossi hanno però deciso successivamente di non continuare con questo studio storico, ritenendolo oggettivamente complesso e non consono alla Commissione. È iniziato invece l’approfondimento teologico e sistematico della relazione tra primato e sinodalità, che sarà oggetto dell’incontro del prossimo anno.


Con gli ortodossi orientali avete tenuto un convegno a gennaio, durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Ci siamo concentrati in primo luogo sulle questioni cristologiche, dato che alcune Chiese ortodosse orientali non hanno accettato il Concilio di Calcedonia del 451 e che da qui era necessario ripartire. Siamo usciti da questo incontro riconoscendo che le differenze tra noi non concernono la fede ma certe modalità di espressione. Nel 1984 il Papa e il Patriarca siro ortodosso di Antiochia avevano sottoscritto una comune professione di fede circa l’incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo e l’ospitalità reciproca nei sacramenti della riconciliazione, dell’eucaristia e dell’unzione degli infermi, laddove vi fossero casi urgenti. Oggi vogliamo invece approfondire le questioni ecclesiologiche e il primato petrino.

La sezione occidentale?

Siamo spettatori del fatto che nelle Chiese nate dalla Riforma è in atto una grande frammentazione.
La prima necessità è allora discutere con i riformati della natura della Chiesa, perché la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della fede Dominus Iesus ha affermato che nel mondo protestante non vi sono Chiese in senso proprio ma comunità ecclesiali. E nel libro-intervista Luce del mondo, papa Benedetto dice che ci troviamo qui di fronte a un altro tipo di Chiesa. Infatti è così, e non spetta a noi definire il concetto ecclesiale delle Chiese della Riforma, bensì a loro stesse. Ecco perché ci compete dialogare sulla natura della Chiesa: ciascuna denominazione infatti ha la propria concezione di cosa sia l’unità al proprio interno. Il movimento ecumenico ha tra i suoi fini quello di riscoprire tale molteplicità, visto che sul tema dell’unità esistono e competono le diverse idee confessionali.
Un secondo aspetto è il grande cambiamento che si va radicando nel pensiero delle comunità riformate: esse non vedono più come approdo del movimento ecumenico l’unità visibile nella fede, nei sacramenti e nel ministero, ma reclamano la permanenza di una pluralità di Chiese che si riconoscano le une con le altre, la cui totalità produrrebbe infine la Chiesa di Cristo. Un po’ come delle case-famiglia, da cui ogni tanto parte un invito ai vicini per qualche festività. Ai cattolici e agli ortodossi tale posizione non piace. Non è questo l’unico e indiviso corpo di Cristo, ciò non corrisponde alla preghiera di Gesù che tutti i discepoli siano uniti, come lo sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. 

Qual è la risposta adeguata?

Nessun cammino comune potrà essere realizzato al di fuori della spiritualità ecumenica cioè senza la preghiera.
Il movimento ecumenico nacque col proporre nel mese di gennaio la Settimana di preghiera per l’unità. L’idea venne da un anglicano convertito al cattolicesimo, Paul Wattson, e da un episcopaliano americano, Spencer Jones, e fu appoggiata via via dai pontefici nei tempi recenti, e approfondita da Paul Couturier, un protagonista della spiritualità ecumenica. Essa sta a ricordarci che noi uomini non possiamo realizzare questa unità, possiamo magari porre qualche transitoria condizione storica, che poi lo Spirito Santo utilizza.
Questo è il fondamento dell’ecumenismo, e questo vorrei approfondire durante il mio mandato.

Lei prima ha affermato che nel dialogo tra i cristiani, unità non ha un’accezione condivisa. Che cosa propone?

L’unità nella stessa fede, nella celebrazione dei sacramenti e nel riconoscimento dei ministeri nella Chiesa non significa un’omologazione, perché le differenze tra le Chiese esistono e non è necessario eliminarle. Dobbiamo far scomparire solo quelle che hanno comportato la rottura tra noi e necessitano di una guarigione. Le altre… restino pure. Papa Benedetto lo ha ripetuto agli anglicani che chiedono di entrare nella Chiesa cattolica: potete conservare le vostre tradizioni. Ecco l’unità nella diversità e la diversità nell’unità: altrimenti c’è soltanto un’unificazione omologante, estranea alla sostanza stessa del cattolicesimo. L’insieme degli ordini religiosi e delle forme di vita ecclesiale compongono anche nella storia della Chiesa un giardino con molti fiori e noi non vogliamo rimpiazzarlo con una monocoltura, la Chiesa non lo è. Lo stesso valga nel campo dell’ecumenismo.

Con la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus il cammino comune compiuto con gli anglicani è avanzato.

La Chiesa d’Inghilterra è nata perché il Papa non accettò le seconde nozze del re, e questo ha un po’ garantito che gli anglicani si mantenessero, in fondo, più cattolici di altri. Nella Curia romana abbiamo una separazione chiara delle competenze. La Congregazione per la Dottrina della fede ha la responsabilità per Anglicanorum coetibus; il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani continua con il dialogo ecumenico.

Ritorniamo alle diverse concezioni di unità.

Esistono, dicevamo, due stili dell’ecumenismo. L’uno cerca l’unità visibile, lavora e prega per questa. L’altro lascia sussistere la pluralità odierna, la codifica, e chiede il riconoscimento ultimo di tutte le Chiese come quote-parti della Chiesa di Cristo. I vescovi cattolici, ortodossi e luterani che sostengono la prima via sono felici che la Santa Sede proponga l’unità e la pluralità; gli altri lo sono di meno. Nell’omelia per i Vespri della festa della Conversione di san Paolo, a conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, papa Benedetto ha detto che non possiamo rinunciare al fine dell’ecumenismo, cioè all’unità visibile nella fede, nei sacramenti e nel ministero.

Nel testo del Direttorio ecumenico si ricorda in più passi che esistono mezzi di salvezza al di fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica.

La Chiesa di Gesù Cristo non è un’idea astratta, che non esiste ancora, ma è nella Chiesa cattolica, intesa come soggetto storico. E ciò non implica affatto che i cattolici siano cristiani migliori degli altri, ma solo che nella Chiesa cattolica esistono i mezzi della salvezza. È un fatto oggettivo. Allora, quando sento che ci sono dei fedeli protestanti che intendono farsi cattolici dico loro: «Non dovete lasciare nulla, ricevete qualcosa di più», cioè i mezzi di salvezza presenti nella Chiesa cattolica. Che non sono un merito della Chiesa, ma un regalo del Signore.
Con questo è già sottinteso che anche nella altre Comunità ecclesiali esistono mezzi di salvezza.

Un momento della celebrazione dei Vespri, presieduta da Benedetto XVI, nella festa della Conversione di san Paolo apostolo, a conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Basilica di San Paolo fuori le Mura, Roma, il 25 gennaio 2011 [© Osservatore Romano]

Un momento della celebrazione dei Vespri, presieduta da Benedetto XVI, nella festa della Conversione di san Paolo apostolo, a conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Basilica di San Paolo fuori le Mura, Roma, il 25 gennaio 2011 [© Osservatore Romano]

Quale è il punto nel dialogo con le Chiese della Riforma?

Con loro certamente non possiamo cominciare dal primato. Con la Riforma è nata un’altra Chiesa, e ciò non era quanto Lutero si attendeva, lui chiedeva il rinnovamento della Chiesa cattolica. L’ecumenista protestante Wolfhart Pannenberg ha detto che l’esistenza di nuove Chiese non è il successo ma l’insuccesso della Riforma. Questo giudizio mi aiuta molto in vista dell’anno 2017, cinquecentesimo anniversario della Riforma, perché mi interroga su come gli stessi protestanti vedano oggi la Riforma: un impegno per il rinnovamento della Chiesa o una rottura? A me personalmente interessa moltissimo che i riformati parlino non solo dei cinquecento anni trascorsi dopo la rottura, ma anche e soprattutto dei duemila anni della vita della Chiesa, di cui millecinquecento trascorsi insieme. Sono molto contento che il neopresidente della Comunità evangelica in Svizzera, il pastore Gottfried Locher, si sia definito non un protestante ma un cattolico riformato. Cioè cattolico con l’esperienza della Riforma, mantenendo altresì il fondamento della stessa fede apostolica, comune sino al 1517. È un mio auspicio che si guardino le cose in questo modo.

Pensa di poter lavorare anche per l’unità della Chiesa in Cina?

Sinora non ne abbiamo avuto modo. È soprattutto nelle competenze della Segreteria di Stato. Conosciamo la delicatezza di quella realtà e la delicatezza della lettera, piena di compassione, che papa Benedetto scrisse ai fedeli cinesi nel 2007. Se il nostro Consiglio può facilitare qualcosa in futuro, ben venga…

Come?

Questo dipenderà da ciò che potrebbero chiedere gli organismi competenti della Curia. Ma per la Cina, nella mia preghiera personale, già compio tutto quello che posso fare.

Nel dialogo con gli ebrei gli spunti non le sono mancati. Iniziamo dall’indicazione che viene dal libro-intervista del Papa, cioè un’adesione a quanto san Paolo confessava circa il rapporto tra cristiani ed ebrei.

Sono certo della bontà di quanto san Paolo ci ha trasmesso, lui ci aiuta ancora oggi. Come pure sono certo che il Papa abbia seguito san Paolo nel redigere la nuova versione della preghiera del Venerdì Santo. Papa Benedetto è molto sensibile al tema ebraico, a cominciare dal fatto che non chiama più gli ebrei i «fratelli maggiori», ben sapendo quanto sia problematica la definizione di «fratello maggiore» nell’Antico Testamento. A me piacerebbe approfondire un dialogo teologico.

Su quali temi?

I cristiani credono nell’universalità della salvezza in Gesù Cristo, d’altra parte però si dice che una missione verso gli ebrei è assolutamente impossibile. Come possono queste due affermazioni non essere incompatibili? Ecco anche perché la nuova preghiera del Venerdì Santo ha sollevato tante discussioni.
Vorrei comprendere meglio che cosa significhi per un ebreo la fede cristiana e la relazione tra ebrei e cristiani. Il dialogo di papa Benedetto con il rabbino Neusner, nel primo libro Gesù di Nazaret, è per me rilevante, è esattamente il dialogo teologico che immagino. E circa la missione sistematica verso gli ebrei… la Chiesa non la cerca. Ma noi cristiani confessiamo la fede in Gesù, e la deponiamo gratis di fronte alla libertà dell’altro. 

Esiste un Leitmotiv che l’accompagna dall’inizio del suo lavoro a Roma?

C’è chi dice che Benedetto XVI non sia interessato all’ecumenismo con le Chiese nate dalla Riforma, dato che le Chiese ortodosse sono più vicine a noi, e tale affermazione non corrisponde al vero. Quando il Papa mi chiese di assumere questo incarico, disse che era necessario avere una persona che conoscesse le comunità ecclesiali nate dalla Riforma non solo attraverso gli studi fatti ma grazie all’esperienza. Il Papa nutre una grande speranza nel movimento ecumenico. Infatti, abbiamo questo testo, il Direttorio ecumenico, che ci rammenta che ogni vescovo nella sua diocesi è il principale responsabile dell’ecumenismo. Sarà sempre utile a tutti rileggere e usare questo documento. In ogni diocesi esistono realtà ecumeniche particolari, e il vescovo locale ha la prima responsabilità riguardo ad esse. Il nostro Pontificio Consiglio vuole essere anche al servizio della Chiesa locale quando questo sia richiesto e desiderato.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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PAPA: NON CAMBIA DOTTRINA SU SCISMA LUTERO MA CONTINUA DIALOGO

Salvatore Izzo

(AGI) - Erfurt, 23 set.

La dottrina cattolica sullo scisma di Martin Lutero, scomunica compresa, non cambia, anche se il Papa ha offerto oggi una lettura molto positiva della spiritualita' dell'ex monaco agostiniano che con la sua ribellione ha portato alla Riforma.
Benedetto XVI lo ha chiarito con parole inequivocabili nell'omelia della celebrazione ecumenica, definendo "un fraintendimento politico della fede e dell'ecumenismo" quello che ha portato i media e non solo ad ipotizzare, alla vigilia della visita di oggi a Erfurt, la citta' di Martin Lutero, "un dono ecumenico dell'ospite che si aspettava".

"Non c'e' bisogno - ha aggiunto testualmente - che io specifichi i doni menzionati in tale contesto".
"Quando un Capo di Stato visita un Paese amico, generalmente - ha ammesso il Papa teologo - precedono contatti tra le istanze, che preparano la stipulazione di uno o anche di piu' accordi tra i due Stati: nella ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi si arriva al compromesso che, alla fine, appare vantaggioso per ambedue le parti, cosi' che poi il trattato puo' essere firmato. Ma - ha scandito - la fede dei cristiani non si basa su una ponderazione dei nostri vantaggi e svantaggi".


Pope Benedict XVI leaves the protestant monastery of St. Augustin  in Erfurt, eastern Germany, on September 23, 2011, on the second day of  the Pontiff's first state visit to his native Germany. The 84-year old  pope, German born Joseph Ratzinger, has a packed program, with 18  sermons and speeches planned for his four-day trip to Berlin, Erfurt in  the ex-German Democratic Republic and Freiburg.Pope Benedict XVI smiles standing in front of Erfurt Cathedral in  Erfurt September 23, 2011. Pope Benedict visits his German homeland,  touring mostly Protestant and atheist regions in the ex-communist east  after previous visits to Catholic strongholds in the Rhineland and his  native Bavaria.

Pope Benedict XVI holds a vesper service at the pilgrimage chapel  in Etzelsbach, eastern Germany on September 23, 2011, the second day of  the Pontiff's first state visit to his native Germany. The 84-year old  pope, German born Joseph Ratzinger, has a packed program, with 18  sermons and speeches planned for his four-day trip to Berlin, Erfurt in  the ex-German Democratic Republic and Freiburg.
Pope Benedict XVI prays during a vesper service at the pilgrimage  chapel in Etzelsbach, eastern Germany on September 23, 2011, the second  day of the Pontiff's first state visit to his native Germany. The  84-year old pope, German born Joseph Ratzinger, has a packed program,  with 18 sermons and speeches planned for his four-day trip to Berlin,  Erfurt in the ex-German Democratic Republic and Freiburg.


Il Papa e Lutero, una polemica sbagliata

di Massimo Introvigne03-10-2011

Il week-end ci ha portato un buon numero di polemiche sterili, specie in Germania (ma non solo), a proposito di Martin Lutero (1483-1546) e dei due discorsi che il Papa gli ha dedicato visitando il 23 settembre l’ex-convento agostiniano di Erfurt, dove Lutero fu ordinato sacerdote nel 1507. A Erfurt Benedetto XVI ha proposto ai cattolici un nuovo «incontro con Martin Lutero», affermando che la domanda sul ruolo della fede e sul peccato, «questa scottante domanda di Martin Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda».

I commenti correnti vanno dall’idea che il Pontefice abbia riabilitato Lutero, con conseguente applauso scrosciante dei cattolici progressisti e vesti stracciate da parte di alcuni «tradizionalisti», a quella – prospettata da alcuni dirigenti protestanti tedeschi, e forse più vicina alla realtà – che Benedetto XVI abbia voluto ricordare ai luterani germanici di oggi, piuttosto liberali in materia sia di teologia sia di morale, che su questioni come i matrimoni omosessuali o la certezza della resurrezione di Cristo come evento realmente verificatosi nella storia Lutero era molto più rigoroso – e, se si vuole, più «cattolico» – di loro, suggerendo che – di fronte a certe loro posizioni – oggi si rivolterebbe nella tomba.

A queste discussioni manca il contesto. Quelli di Erfurt non sono certamente i primi discorsi dove il Papa parla di Lutero. Da anni, e come ci ha ricordato da ultimo in un in un incontro del 15 gennaio 2011 con una delegazione luterana giunta a Roma dalla Finlandia, di cui La Bussola Quotidiana ha dato conto , Benedetto XVI afferma di dare molta importanza a un testo che, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha contribuito a redigere: la Dichiarazione congiunta della Chiesa Cattolica e della Federazione Luterana Mondiale sulla dottrina della giustificazione, firmata ad Augusta il 31 ottobre 1999. In questa Dichiarazione si riconosce che non era senza fondamento la domanda posta da Martin Lutero a un mondo orgoglioso, caratterizzato dal clima del Rinascimento in cui l’uomo si affermava, secondo un’espressione di Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), tui ipsius quasi arbitrarius honorariusque plastes in quam malueris tute formam effigas, «plasmatore e scultore di se stesso [così che] tu ti possa foggiare da te stesso nella forma che avrai preferito». È Dio che salva l’uomo o l’uomo sui ipsius plastes et fictor si salva da solo? La ragione può salvare senza la fede?

Nella Dichiarazione di Augusta – che ricorda certe formulazioni proposte nel dialogo fra i rappresentanti cattolici e il più diretto collaboratore di Lutero, Filippo Melantone (1497-1560), un dialogo che non si concluse soprattutto per l’intervento politico dei principi tedeschi che ormai avevano deciso di rompere definitivamente con Roma – luterani e cattolici concordano sul fatto che «l’uomo dipende interamente per la sua salvezza dalla grazia salvifica di Dio». Pertanto, «quando i cattolici affermano che l’uomo, predisponendosi alla giustificazione e alla sua accettazione, “coopera” con il suo assenso all’azione giustificante di Dio, essi considerano tale personale assenso non come un’azione derivante dalle forze proprie dell’uomo, ma come un effetto della grazia». Per quanto fondamentale sia l’armonia tra fede e ragione, se si deve rispondere alla domanda se ultimamente sia la fede o la ragione a salvarci la risposta non è oggetto di dubbi: è la fede che salva.

La Dichiarazione congiunta di Augusta è criticata sia «da destra» da chi la ritiene troppo conciliante con i luterani – ancora nel 2010 il superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), mons. Bernard Fellay, ha ripubblicato suoi scritti su questo testo in un libro al vetriolo, L’hérésie justifiée («L’eresia giustificata», Le Sel de la Terre, Avrillé 2010), accusando di riabilitare l’eresia direttamente Benedetto XVI – sia «da sinistra», da chi come Hans Küng pensa e scrive che il Papa si sarebbe incontrato con un mondo luterano conservatore sulla base di un’interpretazione tradizionale e letteralista del peccato originale, che sarebbe «superata».

Certamente la Dichiarazione congiunta ha bisogno di essere ben compresa e interpretata. Non deve dare l’impressione che tutti i problemi tra cattolici e luterani sono risolti. Il Papa lo ha detto il 24 gennaio 2011 ricevendo a Roma una delegazione luterana tedesca e pronunciando un altro importante discorso di cui pure La Bussola Quotidiana ha riferito. Se si ignora questo contesto, in cui il Pontefice parte dalla Dichiarazione congiunta e la valorizza, ma elenca anche con franchezza i problemi irrisolti, si rischia di non capire neanche i discorsi di Erfurt. In questa prospettiva, vanno ricordati anche altri due elementi.

Ricevendo i luterani finlandesi il 15 gennaio, il Papa ha richiamato pure un altro documento più recente, che definisce un «risultato degno di attenzione». Si tratta del testo del 2010 La giustificazione nella vita della Chiesa prodotto dal Gruppo di dialogo cattolico-luterano nordico in Finlandia e in Svezia. Più lungo della Dichiarazione congiunta (134 pagine), questo documento approfondisce sia il consenso sia il dissenso, e mostra come le divergenze sul rapporto tra fede e ragione tra la tradizione cattolica e Lutero abbiano generato gravi problemi nella storia della Chiesa. Queste stesse divergenze sono state evocate da Benedetto XVI nell’enciclica del 2007 Spe salvi, in particolare nel settimo paragrafo, dove sono mostrate le responsabilità di Lutero nel separare la fede dalla ragione, rischiando di ridurre la fede stessa a un qualche cosa di volontaristico e di sentimentale, con conseguenze rovinose per tutto il pensiero europeo successivo.

A Erfurt il Papa ha detto che le domande poste da Lutero a un mondo dominato dall’umanesimo e dal Rinascimento, che erano penetrati anche nella Chiesa, e che esaltavano la ragione a scapito della fede e inneggiavano alla grandezza dell’uomo dimenticando il peccato originale, erano sensate. La domanda di Lutero all’umanesimo, la quale implica che il peccato ha un ruolo centrale che non può essere eluso e che «il male non è un’inezia», merita ancora – ha detto il Papa a Erfurt – tutta la nostra attenzione. Rivendicare il primato della fede contro l’orgoglioso razionalismo rinascimentale: è questo il senso in cui il Papa parla dell’«interesse» di un incontro con Lutero oggi. Ed è – i dirigenti luterani tedeschi hanno capito bene – anche un argomento ad hominem perché oggi proprio tante comunità protestanti del Nord Europa che accettano l’aborto, l’eutanasia, il matrimonio omosessuale e teologie che, come ha detto il Papa, «annacquano» la fede con il «pericolo di perderla» sono vittima di quello stesso razionalismo che ha le sue radici remote nell’umanesimo contro cui era insorto Lutero. [SM=g1740722]

Se però leggiamo i discorsi di Erfurt, com’è giusto fare, nel contesto di tutto il Magistero di Benedetto XVI su Lutero ci convinciamo che il Papa ci invita a prendere sul serio le domande del monaco di Erfurt – domande , per di più, formulate in gran parte quando era ancora cattolico – ma non certo ad accettare le sue risposte. [SM=g1740733]
Infatti, come emerge proprio dalla critica della Spe salvi, l’affermazione della fede come primaria rispetto alla ragione diventa nel pensiero maturo di Martin Lutero la tesi di una fede separata dalla ragione, cioè il fideismo. Anche se volessimo prescindere dalle frasi più dure e polemiche di Lutero, più frequenti negli ultimi anni della sua vita – come quelle in cui invitava a considerare la ragione «la più grande prostituta del diavolo» – non è periferica, ma centrale nel suo pensiero la svolta denunciata da Benedetto XVI nel celebre discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, per cui in Lutero a un certo punto «la metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte [rispetto a quella biblica, alla sola Scriptura], da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa».

Nelle parole stesse di Lutero, «la ragione è direttamente opposta alla fede; perciò si deve abbandonarla; nei credenti essa dev’essere uccisa e sepolta»; «deve essere affogata nel battesimo». Per essere davvero se stessa, la fede divorzia – nel senso etimologico del termine, che fa riferimento a due strade che divertunt, divergono – dalla ragione e dalla filosofia greca, così che Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona vede in Lutero la prima ondata di quella «deellenizzazione», cioè di un’infausta separazione della fede cattolica dall’eredità greca, quindi dalla ragione, che è responsabile di tutti i guai ideologici che l’Europa ha conosciuto nei secoli successivi. Lutero butta via il bambino con l’acqua sporca. Per reagire al razionalismo umanista, butta via anche la ragione, l’eredità della filosofia greca e del diritto romano. Mentre «la cultura dell’Europa – lo ha ribadito il Papa in Germania al Parlamento Federale, con una sorta di sintesi del discorso di Ratisbona – è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa». Lutero aveva torto: alla Grecia e a Roma non si può rinunciare.

Quali sono le conseguenze della rinuncia di Lutero all’eredità greca e romana, cioè alla ragione e al diritto fondato sulla ragione? Si potrebbe parlare di «eterogenesi dei fini», un’espressione che risale a Giambattista Vico (1668-1744) e che è passata a indicare un’azione o un pensiero che, immesso nella storia, finisce per causare effetti opposti a quelli che si proponeva. Così, sganciando la ragione dalla fede e lasciandola, per così dire, libera di operare senza il freno del confronto con la teologia, è nell’ambito del protestantesimo che prospera quello stesso razionalismo che Lutero, spaventato dall’umanesimo, affermava di voler combattere. La svalutazione della ragione porta molti eredi di Lutero – anche se non tutti – a negare l’esistenza di un diritto naturale, di principi e di leggi che proprio in forza della ragione s’impongono a tutti gli uomini – e anche ai governanti. Il governante si trova così in grado di esercitare il suo potere secondo la regola dell’assolutismo: un potere absolutus, cioè solutus ab, «sciolto da» ogni vincolo a una legge superiore.

Se non ci sono princìpi che la ragione può conoscere e che valgono per tutti, la volontà del sovrano non ha limiti. Secondo l’espressione del filosofo del diritto Juan Vallet de Goytisolo (1917-2011), che abbiamo recentemente commemorato su La Bussola Quotidiana in occasione della sua scomparsa, si passa «dal legislare come legere al legislare come facere». Per chi crede nel diritto naturale l’autorità non «crea» la norma ma la «legge» nella natura stessa delle cose: il legislare è un legere. Ma per chi non ci crede l’autorità crea la legge con un puro atto d’imperio e di volontà: il legislare è un facere. Per Lutero la sola fides sembra ergersi sovrana, dopo avere divorziato dalla ragione. Ma è una sovranità limitata al campo della teologia, che lascia tutto il resto del pensare e dell’agire umano – una volta rimossa la ragione – alla volontà di potenza e all’arbitrio del principe. Così, la svalutazione della ragione e la prima ondata della deellenizzazione non creano libertà, ma assolutismo: e si spiega perché tanti principi vogliosi di assolutismo abbiano appoggiato Lutero.

Tutto questo processo – per cui la svalutazione della ragione non produce libertà, ma assolutismo e oppressione che, come il Papa ha ripetuto al Parlamento Federale di Berlino, sono i frutti tipici della negazione del diritto naturale – è stato ricostruito molte volte e con rigore da Benedetto XVI, in particolare nel discorso di Ratisbona e nell’enciclica Spe salvi, senza timore di fare il nome di Lutero come di colui che è alle origini di questa deriva negativa e pericolosa.

Nella storia della scristianizzazione dell’Occidente – un tema centrale del Magistero di Benedetto XVI – non bisogna mai confondere domande e risposte, esigenze comprensibili e modi sbagliati di rispondere a queste esigenze. Il 12 maggio 2010 a Lisbona – in un altro discorso fondamentale per comprendere quelli di Erfurt – il Papa, come fa spesso, ha assunto come punto di partenza il Concilio Ecumenico Vaticano II, «nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo.

Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita». Benedetto XVI invita dunque a distinguere nella modernità – compresa la Riforma, cioè anzitutto Lutero – le domande in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi e le false soluzioni, le «istanze», di cui la Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore – ma «superandole» –, e gli «errori e vicoli senza uscita» in cui la linea prevalente della modernità ha fatto precipitare queste istanze, ultimamente travolgendo e negando quanto nel loro originario momento esigenziale potevano avere di comprensibile.


Per il Papa la modernità come insieme di esigenze, Lutero compreso, può e deve essere presa sul serio e diventare oggetto di discernimento. La modernità, ancora: Lutero compreso, come insieme di risposte, è invece finita in «errori e vicoli senza uscita» e in orrori storici. La verità è che alle domande della modernità le risposte giuste le ha date, e poteva darle, soltanto la Chiesa. [SM=g1740721]

[SM=g1740771]


 
[Modificato da Caterina63 03/10/2011 14:12]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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04/12/2011 09:24
 
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Il testo della 'Lectio Magistralis' sull'ecumenismo pronunciata dal Cardinale Kurt Koch per l'Associazione 'Tu es Petrus'

pubblicata da Gianluca Barile il giorno domenica 4 dicembre 2011 alle ore 1.34

Il magistero ecumenico di Papa Benedetto XVI[1]

 

del Cardinale Kurt Koch

 

 L’ecumenismo come partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù

“Lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo”: questo è l’ “impellente dovere” del successore di Pietro. Queste parole programmatiche Papa Benedetto XVI le ha pronunciate già nel suo primo messaggio dopo l’elezione al Soglio Pontificio. Ed ha aggiunto, in maniera ancora più incisiva, di essere disposto a fare quanto era “in suo potere per promuovere la fondamentale causa dell’ecumenismo”[2]. Volgendo uno sguardo agli oltre sei anni del suo ministero petrino, possiamo costatare con gratitudine che la causa dell’ecumenismo è il filo conduttore del suo pontificato. Non soltanto egli si riferisce, nelle sue numerose omelie e nei suoi molteplici messaggi, alla necessaria “purificazione della memoria” e intravvede nella “conversione interiore” il presupposto indispensabile per il progresso del cammino ecumenico, ma esercita fin da ora, nei suoi tanti incontri con i rappresentanti di altre Chiese e Comunità cristiane, un primato ecumenico, ponendo in tal modo il fondamento di un’ulteriore intesa ecumenica su questa importante questione per giungere alla piena unità dei cristiani.

 

Questo chiaro accento ecumenico nell’opera del Santo Padre non può sorprendere, se teniamo presente il fatto che Papa Benedetto XVI, già come teologo e cardinale, si è molto impegnato nel far avanzare il dialogo ecumenico e lo ha arricchito con utili riflessioni teologiche. Nel quadro della Lectio odierna non è naturalmente possibile rendere omaggio nel dettaglio agli svariati contributi apportati da Papa Benedetto XVI all’ecumenismo. Mi concentrerò dunque sul nucleo essenziale del suo operato ecumenico, che a mio parere è espresso in maniera più chiara e più profonda nella sua interpretazione della preghiera sacerdotale di Gesù, che tutti siano una cosa sola, di cui il Papa parla nel suo secondo volume su Gesù di Nazareth[3]. Poiché in questa preghiera l’invocazione di Gesù per l’unità dei suoi discepoli assume una rilevanza particolare, agli occhi del Papa l’ecumenismo cristiano non può essere altro, in ultima analisi, che una compartecipazione della Chiesa alla preghiera sacerdotale di Gesù, un diventare una cosa sola con lui. Papa Benedetto XVI sottolinea esplicitamente che in questa preghiera lo sguardo di Gesù va oltre la comunità dei discepoli di allora e si volge verso tutti coloro che per la loro parola crederanno: “il vasto orizzonte della comunità futura dei credenti si apre attraverso le generazioni, la futura Chiesa è inclusa nella preghiera di Gesù. Egli invoca l’unità per i futuri discepoli”[4]. Ed il Santo Padre conclude la sua meditazione teologica con la frase chiave nella quale sostiene che dalla preghiera di Gesù scaturisce la Chiesa come “la comunità di coloro che, mediante la parola degli apostoli, credono in Cristo”[5]. In questo fulcro essenziale della fede cristologica risiede la visione ecumenica di Papa Benedetto XVI, che cercherò adesso di sviluppare brevemente.

 

Un’unità non mondana, ma neppure invisibile

In primo luogo, va tenuto presente che Gesù stesso non ha comandato l’unità ai suoi discepoli e non l’ha neppure richiesta loro, ma ha pregato per essa. Da questa semplice ma fondamentale costatazione emerge la centralità della preghiera per l’unità in tutti gli sforzi ecumenici. Con la preghiera per l’unità, noi cristiani esprimiamo la nostra fede nel fatto che non possiamo noi stessi né fare l’unità, né decidere la sua forma e il tempo del suo compimento, ma possiamo soltanto accoglierla in dono, come ribadisce continuamente Papa Benedetto XVI: “Il richiamo perseverante alla preghiera per la piena comunione tra i seguaci del Signore manifesta l’orientamento più autentico e più profondo dell’intera ricerca ecumenica, perché l’unità, prima di tutto, è dono di Dio”[6].

 

Con questa accentuazione della preghiera per l’unità come fondamento o, così come l’ha definita il Concilio Vaticano Secondo, come “anima di tutto il movimento ecumenico”[7], si potrebbe trarre l’erronea conclusione che l’unità della Chiesa è in ultima analisi una realtà meramente interiore e invisibile. Al contrario, Papa Benedetto XVI sottolinea che l’unità della Chiesa certo non può venire dal mondo e dunque non è un fenomeno mondano, ma deve comunque essere visibile in questo mondo. L’unità deve essere tale che il mondo possa riconoscerla e, tramite essa, pervenire alla fede: “Ciò che non proviene dal mondo può e deve assolutamente essere qualcosa che sia efficace nel e per il mondo e sia anche percepibile da esso. La preghiera di Gesù per l’unità ha di mira proprio questo, che mediante l’unità dei discepoli la verità della sua missione si renda visibile agli uomini”[8]. Papa Benedetto XVI osserva addirittura che, mediante l’unità dei discepoli, che non proviene dal mondo e non può essere spiegata umanamente ma deve sempre essere visibile nel mondo, “viene legittimato Gesù stesso”: “diventa evidente che Egli è veramente il ‘Figlio’”[9].

 

La forte enfasi posta sulla visibilità dell’unità della Chiesa, in maniera concreta nella fede comune, nei sacramenti e nei ministeri ecclesiali, fa risaltare anche la fondamentale responsabilità ecumenica di tutti i cristiani. Questa responsabilità consiste nel testimoniare nel mondo di oggi il Dio vivente e il suo inviato e nel rendere visibile agli uomini il volto di Dio, che a noi si è rivelato in Gesù Cristo, come ci suggerisce il vero obiettivo della preghiera sacerdotale di Gesù per l’unità dei discepoli: “perché… il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17,23). Da questa frase conclusiva traspare in maniera inequivocabile che l’unità dei discepoli di Gesù non è un fine in sé, ma è al servizio della credibilità della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo. La nuova evangelizzazione voluta in modo particolare dal Santo Padre deve pertanto avere una dimensione ecumenica, dimensione a cui ha fatto esplicito riferimento Papa Benedetto XVI già nell’annunciare l’istituzione del nuovo Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione durante la celebrazione dei primi vespri della solennità dei Santi Pietro e Paolo nel 2010: “La sfida della nuova evangelizzazione interpella la Chiesa universale, e ci chiede anche di proseguire con impegno la ricerca della piena unità tra i cristiani.”[10] Poiché la nuova evangelizzazione consiste nell’avvicinare gli uomini al mistero di Dio e nell’introdurli in un rapporto personale con Dio, al centro di ogni nuova evangelizzazione deve essere la questione di Dio, che noi dobbiamo assumere ecumenicamente, nella convinzione che alla radice di ogni evangelizzazione non vi è un “progetto umano di espansione”, ma il desiderio “di condividere l’inestimabile dono che Dio ha voluto farci, partecipandoci la sua stessa vita”[11].

 

In cammino verso Cristo, sulla via verso l’unità

Da ciò si capisce che, per Papa Benedetto XVI, l’unità dei discepoli di Cristo e dunque anche l’unità della Chiesa è profondamente radicata nella fede in Dio e nel suo Figlio, che Dio ci ha mandato. Questa fede è quindi molto più di una parola e di un’idea; essa è piuttosto un entrare, con la propria esistenza, nella comunione con Gesù Cristo e, mediante lui, con il Padre: “È il vero fondamento della comunità dei discepoli, la base per l’unità della Chiesa”[12]. Questa fede in Dio è, certamente, invisibile, ma, poiché i singoli credenti si legano a Cristo, essa si fa carne ed unisce i singoli fedeli in un unico vero e proprio Corpo.

 

Quanto la fede in Cristo sia il fondamento reggente dell’unità ecumenica è stato illustrato in maniera molto bella da Papa Benedetto XVI in una precedente pubblicazione, con il “Breve racconto dell’Anticristo” di Solowjev. In questo si dice che, da un lato, al momento del giudizio finale davanti a Dio si vedrà che in tutte e tre le comunità, ovvero in quella di Pietro, di Paolo e di Giovanni, vivono seguaci dell’Anticristo, che fanno causa comune con lui, accanto però ai veri cristiani, che rimangono fedeli al Signore fino all’ora della sua venuta, ma si dice anche che, dall’altro lato, al momento della parusia di Cristo, i cristiani divisi nelle comunità di Pietro, di Paolo e di Giovanni si riconosceranno come fratelli. Con questo racconto, Solowjev, secondo l’interpretazione del Papa, non intende assolutamente rinviare l’unità dei discepoli di Cristo alla fine dei giorni o rimandarla nell’escatologia. Per Papa Benedetto XVI, la dimensione escatologica non è altro che la “vera realtà”, che renderà un giorno manifesto ciò che da sempre segna la nostra vita: “Ciò che sarà manifesto alla luce del Cristo della parusia svela la verità del nostro tempo, la verità di ogni tempo”. La separazione definitiva tra i seguaci dell’Anticristo ed i fedeli discepoli di Cristo avverrà, certo, soltanto nel giorno del raccolto. Ma poiché la vita eterna è la vera vita, i cristiani fin da ora dovrebbero andare incontro gli uni agli altri “con quello sguardo escatologico” che vede inscindibilmente uniti Pietro, Paolo e Giovanni. Per il Papa, dunque, l’ecumenismo cristiano non significa altro che “vivere fin da adesso nella luce escatologica, nella luce del Cristo della parusia”[13].

 

Come cristiani divisi, essere fin da oggi una cosa sola

Il Santo Padre, intendendo l’ecumenismo alla luce del suo compimento, ci incoraggia a comprendere il carattere provvisorio delle nostre azioni e a non cadere nella tentazione di voler fare ciò che soltanto il Cristo della parusia può realizzare. Visto sotto questa luce, l’ecumenismo significa, in modo semplice ma fondamentale: quando siamo insieme in cammino verso il Cristo della parusia, allora siamo anche in cammino verso la nostra unità. Con questo sguardo escatologico, Papa Benedetto XVI ha il grande coraggio di vedere all’opera nelle divisioni storiche della Chiesa non solo i peccati umani, ma, nel senso delle parole misteriose di San Paolo, il quale dice che “è necessario” che avvengano le divisioni (1 Cor 11,19), anche una dimensione “che corrisponde ad un disegno divino”. In questa visione di fede, il Papa tenta continuamente di trovare l’unità innanzitutto “attraverso la diversità”. Questo significa più precisamente decontaminare le divisioni, accogliere in esse ciò che è fruttuoso e prendere proprio dalla diversità ciò che è positivo, naturalmente “nella speranza che la divisione alla fine cessi di essere divisione e rimanga soltanto ‘polarità’ senza contraddizione”[14]. Infatti l’amore vero “non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall’esterno, ma che dall’interno dà forma, per così dire, all’insieme”[15].

 

Da ciò si comprende anche in quale senso Papa Benedetto XVI intende la visibile unità ecumenica della Chiesa, ovvero nel senso di un’unità di Chiese che rimangono Chiese e al contempo diventano un’unica Chiesa: il vero obiettivo dell’ecumenismo deve essere quello di “trasformare il plurale di Chiese separate le une dalle altre nel plurale di Chiese locali, che, nella loro varietà di forme, sono realmente un’unica Chiesa”[16]. Tuttavia, fin tanto che non ci verrà donata quest’unità visibile della Chiesa, è una priorità del Santo Padre fare in modo che anche come cristiani divisi possiamo fin da oggi essere una cosa sola, e questo nella fede comune in Cristo. Infatti, l’ecumenismo può crescere in ampiezza soltanto quando ci radichiamo insieme nella fede cristologica, affinché l’ecumenismo cresca anche in profondità.

 

Il fondamento cristologico dell’unità ecumenica

In questa profondità della fede ci troviamo già nello spazio vitale dell’ecumenismo. Qui risiede anche il più profondo motivo per cui Papa Benedetto XVI concepisce l’ecumenismo non come interrelazionale e filantropico, ma come cristologicamente fondato e, di conseguenza, ravvisa l’istituzione della Chiesa e della sua unità nella preghiera sacerdotale di Gesù. Egli domanda così: “Che altro, infatti, è la Chiesa se non la comunità dei discepoli che, mediante la fede in Gesù Cristo come inviato del Padre, riceve la sua unità ed è coinvolta nella missione di Gesù di salvare il mondo conducendolo alla conoscenza di Dio”?[17] Poiché l’essere-un-noi nella comunità dei discepoli di Gesù fa parte in maniera costitutiva dell’essere-cristiani, la questione ecumenica si pone automaticamente come il banco di prova della fede cristologica. Come la preghiera sacerdotale di Gesù non è “soltanto parola” ma “atto”, poiché egli “si offre” per la vita del mondo e come nella preghiera di Gesù l’evento crudele della croce diventa “parola”, “festa di riconciliazione tra Dio e il mondo”[18], così anche oggi l’ecumenismo ha un prezzo e, senza “sacrificio”, non è credibile. Unità ecumenica e sacrificio sono strettamente uniti nel senso che il sacrificio è al servizio della riconciliazione e della ricomposizione dell’unità infranta.

 

Con ciò si apre contemporaneamente il più ampio orizzonte della responsabilità ecumenica, poiché l’universalità della missione di Gesù si rivolge al mondo intero, al cosmo e poiché la ricerca ecumenica dell’unità dei discepoli di Cristo è al servizio dell’unità dell’umanità e dell’unità tra l’umanità e Dio. A questo orizzonte universale conduce la visione ecumenica di Papa Benedetto XVI precisamente perché essa ha interamente il suo fondamento nella cristologia. Il Santo Padre dà così la bella testimonianza del fatto che fa ecumenismo non soltanto colui che ha continuamente sulla bocca tale parola, ma in prima linea colui che, anche senza usarne il termine, scende nella profondità della fede cristologica e in essa trova la sorgente comune dell’unità della Chiesa. Radicando nella professione di fede cristologica il compito ecumenico della ricerca dell’unità visibile dei discepoli di Cristo, Papa Benedetto XVI è guidato da una visione cristologica dell’ecumenismo e l’ecumenismo cristiano diventa veramente partecipazione alla preghiera sacerdotale di Gesù.

 

La magistrale interpretazione del Papa di questa preghiera di Gesù va dunque letta come una sintesi  della sua opera ecumenica, che è ecumenica proprio in quanto è cristocentrica. E nel porre Cristo al centro di tutto il suo annuncio, Papa Benedetto XVI si rivela il più grande ecumenista dei nostri tempi. In questo stesso spirito, egli è anche riuscito, all’interno dell’estenuante lavoro del suo ministero petrino, a trovare il tempo di scrivere il suo libro su Gesù di Nazareth, che va inteso come la professione di fede cristologica del successore di Pietro e come un grande dono che il Santo Padre ha fatto non solo alla nostra Chiesa ma a tutto l’ecumenismo, come ha giustamente sottolineato il pastore Gottfried Locher, Presidente della Federazione delle Chiese Protestanti della Svizzera: “Benedetto XVI presenta un libro che ha in sé il potenziale di condurre l’ecumenismo ad una maggiore unità, richiamando alla memoria la persona nella cui sequela si pongono tutti coloro che si dicono cristiani”[19].  

 

L’ecumenismo come sacro compito del Papa

Con il suo impegno ecumenico, Papa Benedetto XVI testimonia in modo esemplare in cosa consiste la responsabilità ecumenica di ogni vescovo nella Chiesa cattolica, descritta dal Codex Iuris Canonici con le seguenti parole: il vescovo diocesano “abbia un atteggiamento di umanità e di carità nei confronti dei fratelli che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica, favorendo anche l’ecumenismo, come viene inteso dalla Chiesa.”[20] Da ciò traspare in primo luogo che la promozione della causa ecumenica è implicita nello stesso ministero pastorale del vescovo, che è essenzialmente un servizio all’unità, ovvero a quell’unità che deve essere intesa in maniera più ampia della semplice unità della propria comunità diocesana e che comprende anche e precisamente i battezzati non cattolici. In secondo luogo, nel definire la responsabilità ecumenica del vescovo con l’ “atteggiamento di umanità e di carità” che deve avere “nei confronti dei fratelli che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica”, si pone chiaramente l’accento sul “dialogo della carità”. In terzo luogo, poiché questo “dialogo della carità” non può sostituire il “dialogo della verità”, ma ne costituisce il presupposto indispensabile, il Vescovo è tenuto a promuovere l’ecumenismo così “come viene inteso dalla Chiesa”.

 

Questi tre orientamenti evidenziano che il ministero pastorale che il vescovo rende all’unità della propria Chiesa è indissociabile dal suo ministero pastorale ecumenico volto alla ricomposizione dell’unità della Chiesa e che entrambe le dimensioni sono al servizio della fede in Gesù Cristo. Possiamo e dobbiamo essere riconoscenti a Papa Benedetto XVI per aver assunto, come Vescovo di Roma, questa responsabilità ecumenica in modo così esemplare e credibile. Poter essere a nome suo e per suo mandato al servizio dell’ecumenismo è per me una gioia ed un onore, ma anche una sfida ed un dovere. In questo spirito, accetto volentieri il premio “Tu es Petrus” e vi ringrazio di cuore per questo segno di benevola vicinanza e di unione con il nostro Papa Benedetto XVI.

 

 

 

[1] Lectio presso l’Associazione Cattolica Internazionale „Tu es Petrus“ a Battipaglia (Salerno), il 20 novembre 2011.

 

[2] Benedetto XVI, Messaggio alla Chiesa Universale al termine della Santa Messa con i Cardinali Elettori nella Cappella Sistina, in: Insegnamenti di Benedetto XVI  I 2005 (Città del Vaticano 2006) 1-7.

 

[3] J. Ratzinger- Benedetto XVI, Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano, 2011), p.p. 109-118.

 

[4] Ibid, p. 109.

 

[5] Ibid, p. 118.

 

[6] Benedetto XVI, Progressi e difficoltà nel cammino ecumenico. La catechesi dell’udienza generale del 20 gennaio 2010, in: Insegnamenti di Benedetto XVI  VI, 1  2010 (Città del Vaticano 2011) 95-100.

 

[7] Unitatis redintegratio, n. 8.

 

[8] J. Ratzinger- Benedetto XVI, Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano, 2011), p. 112.

 

[9] Ibid.

 

[10] Benedetto XVI, La Chiesa è un’immensa forza rinnovatrice. La celebrazione dei primi vespri della solennità dei Santi Pietro e Paulo il 28 giugno 2010, in: Insegnamenti di Benedetto XVI  VI, 1 2010 (Città del Vaticano 2011) 984-987, cit. 987.

 

[11] Benedetto XVI, Motu proprio Ubicumque et semper.

 

[12] J. Ratzinger- Benedetto XVI, Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano, 2011), p. 113.

 

[13] J. Cardinal Ratzinger, Zur Lage der Ökumene, in: Ders., Weggemeinschaft des Glaubens. Kirche als Communio (Augsburg 2002) 220-234, zit. 233-234.

 

[14] J. Kardinal Ratzinger, Zum Fortgang der Ökumene, in: Ders., Kirche. Ökumene und Politik. Neue Versuche zur Ekklesiologie (Einsiedeln 1987) 128-134. zit. 131.

 

[15] Benedetto XVI, L’omelia durante i secondi vespri della festa della conversione di San Paolo Apostolo il 25 gennaio 2006, in: Insegnamenti di Benedetto XVI II, 1  2006 (Città del Vaticano 2007) 106-110, cit. 107.

 

 

[16] J. Kardinal Ratzinger, Luther und die Einheit der Kirchen, in: Ders., Kirche, Ökumene und Politik. Neue Versuche zur Ekklesiologie (Einsiedeln 1987) 97-127, zit. 114.

 

[17] J. Ratzinger- Benedetto XVI, Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano, 2011), p.p. 117-118.

 

[18] Ibid.

 

[19] G. W. Locher, So ändern sich die Zeiten. Das „Jesus-Buch“ in reformierter Lesart, in: Th. Söding (Hrsg.), Ein Weg zu Jesus. Schlüssel zu einem tieferen Verständnis des Papstbuches (Freiburg i. Br. 2007) 53-67, zit. 53.

 

[20] Can. 383 § 3 CIC.

[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Passione per l'unità del corpo di Cristo

Catechesi del priore della comunità monastica di Taizé, tenuta al Congresso Eucaristico Internazionale di Dublino lunedì 11 giugno 2012

di fr. Alois Loeser


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PASSIONE PER L'UNITA' DEL CORPO DI CRISTO


Il Cristo della comunione

Il primo giorno di questo Congresso Eucaristico è volto ad approfondire il significato della nostra comune fede battesimale. Il mutuo riconoscimento del battesimo tra le varie Chiese è un grande dono che Dio ci ha dato nel secolo scorso. Malgrado la certezza espressa dall'apostolo Paolo: "C'è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ef. 4, 5) , tale riconoscimento non è sempre stato ovvio. Il Concilio Vaticano II, concludendo definitivamente un lungo periodo segnato spesso dal sospetto, afferma con sicurezza: "Il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell'unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati" (Unitatis Redintegratio, no. 22).

Permettetemi di illustrare la questione del significato della nostra comune fede battesimale condividendo con voi la nostra esperienza nella comunità di Taizé. La nostra vita a Taizé è intimamente legata alla riscoperta del comune battesimo, secondo le parole del Vaticano II, essendo "l'inizio e l'esordio che tende interamente all'acquisto della pienezza della vita in Cristo" (ibid.). La nostra esperienza a Taizé è certamente lontana dall'esaurire tutti gli aspetti della questione, ma sappiamo che - e continuo a citare il Vaticano II - da una parte, il battesimo è già "il vincolo sacramentale dell'unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati" e dall'altra, ci impegna a cercare continuamente "l'integra professione della fede, l'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, quale Cristo l'ha voluta, e infine la piena inserzione nella comunione eucaristica" (ibid.).

Vi parlerò specificamente di come noi cerchiamo di valorizzare l'unità della fede che il battesimo implica e come la anticipiamo, sia tra i fratelli della comunità che con i giovani di ogni denominazione che accogliamo settimana dopo settimana sulla nostra collina. Fratel Roger, fondatore della comunità, prese parte all'intero Concilio Vaticano II, del quale celebriamo il 50° anniversario, per cui intendo parlare anche del suo personale itinerario, poiché egli ha aperto una strada originale che conduce all'unità visibile dei cristiani.

Nei primi giorni di vita della nostra comunità, scrivendo la Regola di Taizé, fratel Roger indirizzò questo appello ad ogni fratello della comunità: "Fate dell'unità del Corpo di Cristo la vostra sollecitudine appassionata". I nostri cuori sono colmi di tale passione. Se aveste domandato a fratel Roger quale sia l'essenziale della fede cristiana, il punto centrale della fede professata nel battesimo, vi avrebbe citato le parole di san Giovanni , "Dio è amore" (1 Gv. 4, 16). Per lui, il cuore del Vangelo è lì. La visione di un Dio giudice severo ha distrutto le coscienze di molti. Lui prese la strada opposta, affermando che "tutto ciò che Dio può fare è amare".

A volte diceva ai giovani radunati a Taizé, "Se Cristo non fosse risorto, noi non saremmo qui". La risurrezione è centrale nella fede, è il segno che Dio ci ama senza limiti. La risurrezione di Cristo ha rimesso insieme i discepoli dispersi dal Venerdì Santo, continua a raccogliere i cristiani, e il primo frutto è la nuova comunione nata da questo mistero. Il centro della nostra fede è Cristo, il Signore risorto presente in mezzo a noi, legato a noi con un amore personale e che ci riunisce in virtù del battesimo comune. Fratel Roger chiamava questa realtà "il Cristo della comunione".

Nel suo ultimo libro, pubblicato poche settimane prima della sua morte, fratel Roger scriveva: "Cristo è comunione... Non è venuto sulla terra per iniziare una nuova religione, ma per offrire a tutti una comunione con Dio.... 'Comunione' è uno dei nomi più belli della Chiesa". Personalmente, posso dire che è stata proprio questa visione della Chiesa come comunione che mi colpì quando visitai per la prima volta la collina di Taizé. Ancora giovanissimo, mi impressionò la preghiera e il silenzio, ma anche la comunione che si viveva concretamente - il Vangelo vissuto non individualmente, ma in comunità. E posso affermare che io cattolico ho scoperto più profondamente la cattolicità della Chiesa a Taizé.

 


Riconciliazione nel Corpo di Cristo

Vorrei ora iniziare con la domanda: che cosa significano le parole "il Corpo di Cristo", e perché la riconciliazione nel Corpo di Cristo è tanto importante?

Nelle lettere che san Paolo scrisse alle varie comunità del suo tempo, si riferisce alla Chiesa come "Corpo di Cristo" per aiutarle a comprendere il mistero dell'unità tra Cristo e i cristiani, e il mistero dell'unità fra i cristiani stessi. "Voi siete corpo", scrive ai cristiani di Corinto, "corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra" (1 Cor. 12, 27).

Il battesimo è fondamento dell'unità di questo Corpo. Per questo, egli scrive: "Noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo" (1 Cor. 12, 13). Formando un solo corpo in Cristo, ci apparteniamo gli uni gli altri. "E' forse diviso il Cristo?" (1 Cor. 1, 13), chiede Paolo, preoccupato nel vedere i cristiani della stessa comunità separati tra loro. E li pregava di riconciliarsi. Le sue parole rimangono di grande rilevanza anche oggi: c'è un solo battesimo, e voi siete il Corpo di Cristo, perciò non sprecate tante energie opponendovi tra di voi, talvolta perfino all'interno delle vostre Chiese.

 


La comunione accolta come dono

Alla vigilia della sua Passione, Cristo pregava: "Tutti siano una sola cosa! Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv. 17, 21). Spesso le parole "tutti siano una sola cosa" sono interpretate come un comando che deve essere messo in pratica. Ma esse esprimono prima di tutto il dono che Cristo fa all'umanità: egli ci custodisce nel suo intimo, ci porta con sé nella comunione della Santissima Trinità, ci rende "partecipi della natura divina" (2 Pt. 1, 4). Non solo prega perché tutti siano una sola cosa, ma perché siano uno "in noi". Cristo chiede che "tutti" siano una sola cosa: il dono non è riservato a pochi individui, ma è offerto a tutti coloro che portano il nome di Cristo, ed è inteso per tutti gli esseri umani.

Questa comunione con Dio che si compie mediante il battesimo costituisce uno scambio. Nel farsi carne, Dio sceglie di prendere su di sé l'umana fragilità. Viene a vivere tra le nostre divisioni e i nostri dolori. Cristo ci viene incontro al livello più basso, diventa uno di noi per tendere meglio la sua mano verso di noi. In lui, Dio accoglie la nostra umanità e, in cambio, ci dona lo Spirito Santo, la sua stessa vita. La Vergine Maria è la garanzia eterna che tale scambio è reale, ella sostiene la nostra speranza che la vita dell'umanità sarà condotta in Dio.

Possiamo essere immensamente grati alla teologia ortodossa per avercelo dimostrato in modo così profondo. Lo scorso anno, insieme ad alcuni confratelli e a 250 giovani di ogni parte d'Europa, ho partecipato alle celebrazioni della Settimana Santa con la Chiesa ortodossa a Mosca. "Cristo è risorto", ripetevamo innumerevoli volte durante la notte pasquale. E ho sentito nel profondo del mio essere tutta la certezza che Cristo ci rende partecipi della sua risurrezione già qui sulla terra.

Quando scopriamo che la comunione con Dio è uno scambio, allora comprendiamo meglio che la riconciliazione non è una dimensione tra le altre del vangelo, ma ne è l'essenza. Coincide con ciò che è centrale nella nostra vita di battezzati, è la ritrovata fiducia reciproca che Cristo ha operato tra Dio e l'umanità, l'inizio di una nuova creazione. E ciò trasforma le relazioni tra le persone.

Cristo fa di tutti i battezzati degli ambasciatori di riconciliazione nel mondo. Siamo il Corpo di Cristo non per sentirci meglio insieme e per rinchiuderci in noi stessi, ma per raggiungere gli altri. Il corpo umano ha la vocazione di esprimere la persona all'esterno. Così il Corpo di Cristo ha la vocazione di esprimere Cristo che vuole riconciliare tutta l'umanità. Non possiamo ottenere l'unità con Dio senza ottenere unità fra tutti gli esseri umani. Lo scopo della Chiesa è di essere il segno visibile e il sacramento di tale unità. Il Concilio Vaticano II lo ha espresso con grande chiarezza: "La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (Lumen Gentium 1, 1).

 


Ecumenismo e comunione in Dio

Se la comunione, fondata nel battesimo in un solo Spirito, è un dono che viene da Dio, allora l'ecumenismo non può essere primariamente uno sforzo umano per armonizzare differenti tradizioni. Ci deve situare dentro la verità della redenzione di Cristo, il quale ha pregato: "Voglio che siano anch'essi con me dove sono io" (Gv. 17, 24). L'apostolo Paolo diceva: "la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col. 3, 3).

Il primo sforzo ecumenico è cercare di vivere in comunione con Dio, in Cristo, attraverso lo Spirito Santo. Maurice Zundel, un teologo svizzero del secolo scorso, spiegava mirabilmente come "è in una mistica unione con Cristo che l'ecumenismo può trovare la sua ultima realizzazione", altrimenti, diceva, "l'ecumenismo è un chiacchierare ozioso".

E' vero che le Chiese e le comunità ecclesiali a volte percorrono sentieri diversi per raggiungere tale comunione. Tuttavia, quanto più profondamente si appartiene a Cristo, tanto più si è resi capaci di guardare gli altri nella maniera giusta, vedendoli come fratelli e sorelle. Anzi ancor più, riconoscere gli altri come sorelle e fratelli è il segno che veramente si appartiene a Cristo.

Doroteo di Gaza nel VI secolo, descriveva questa realtà con un'immagine: se Dio è al centro di un cerchio, quanto più i raggi si avvicinano al centro, tanto più i raggi si avvicinano tra loro. Questa visione di comunione richiede una purificazione del nostro modo di credere, una "conversione" da intraprendere sempre di nuovo in una Ecclesia semper reformanda.

Uno dei documenti del "Groupe des Dombes", un gruppo di teologi protestanti e cattolici in Francia, ha fornito una solida base per questo tipo di approccio, esortando a dare priorità non alla identità denominazionale ma alla identità battesimale. Il documento di Dombes spiega che, per definire l'identità cristiana, oggi in tutte le Chiese si pone al primo posto l'identità denominazionale. Le persone si definiscono innanzitutto come cattolici, protestanti o ortodossi. I teologi di Dombes affermano che, in realtà, è l'identità battesimale che deve essere messa al primo posto; tutti i cristiani dovrebbero definirsi per prima cosa come dei battezzati. Il documento pertanto invita le Chiese ad entrare in un "processo dinamico di conversione".

 


Riconciliazione, uno scambio di doni

Si ha a volte l'impressione che i cristiani, nei secoli, si siano abituati ad essere divisi, come se fosse qualcosa di normale. Per preparare la riconciliazione, spetta a noi illuminare il meglio delle differenti tradizioni. Può aver luogo quindi uno scambio di dono: condividere quanto abbiamo ricevuto da Dio, e vedere anche i doni che Dio ha affidato ad altri. Tale scambio è possibile proprio perché abbiamo il fondamento che ci unisce in comune, il battesimo. Lo scambio di doni ha avuto inizio. Con la preghiera comune e gl'incontri personali, si è rafforzato il mutuo apprezzamento. Molti hanno scoperto che certi aspetti del Mistero della fede sono stati approfonditi da un'altra tradizione meglio che dalla propria. Come possiamo procedere nel mettere a disposizione gli uni degli altri tali tesori? E quali sono questi tesori?

I cristiani d'oriente hanno messo al centro di tutto la risurrezione di Cristo, che sta già trasformando il mondo. E non è proprio per questo che molti di loro sono riusciti a sopravvivere a decenni di sofferenze nei secoli scorsi? L'Oriente ha custodito l'insegnamento dei Padri della Chiesa con grande fedeltà. Il monachesimo, che ha poi trasmesso all'Occidente, ha ispirato in tutta la Chiesa una vita di contemplazione. I cristiani d'Occidente possono aprirsi a questi tesori?

I cristiani della Riforma hanno sottolineato certe realtà del Vangelo: Dio offre il suo amore liberamente; con la sua Parola Egli va incontro a chiunque la ascolta e la mette in pratica; il semplice fidarsi della fede porta alla libertà dei figli di Dio, alla immediatezza di una vita con Dio oggi; cantare insieme interiorizza la Parola di Dio. Questi valori, ai quali i cristiani della Riforma sono così affezionati, non sono essenziali per tutti noi?

( si Fr. Alois [SM=g1740733] lei ha ragione ma.... quando mai la Chiesa rpima dei Protestanti non ha insegnato questo? e tutta la schiera di Santi che hanno predicato questo senza fondare un protestantesimo li dimentichiamo? NON abbiamo nulla da imparare dai Protestanti sempre se, ovvio, siamo davvero cattolici!!!)

La Chiesa cattolica ha mantenuto visibile, lungo la storia, la universalità della comunione in Cristo. Essa ha costantemente cercato un equilibrio tra la Chiesa particolare e la Chiesa universale. L'una non può esistere senza l'altra. Un ministero di comunione a tutti i livelli ha contribuito a conservare la unanimità nella fede. Non dovranno tutti i battezzati avanzare in una comprensione progressiva di tale ministero?

 


La via di fratel Roger

Dopo aver parlato del comune battesimo quale fondamento della chiamata alla riconciliazione nel Corpo di Cristo, presento ora più specificamente la via di fratel Roger e della nostra comunità. Forse è perché fratel Roger era assolutamente coerente con questa visione di Chiesa che chiama a raccolta tutti i battezzati, e vivendola con tutte le sue conseguenze, che egli è stato riconosciuto dai capi delle diverse Chiese come un fratello che condivideva la comunione in Cristo.

Cinque anni dopo la sua morte, Papa Benedetto XVI ha scritto: "Possa la sua testimonianza di un ecumenismo della santità essere di ispirazione nel nostro cammino verso l'unità". Il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli ha aggiunto: "Questa ricerca dell'unità nella gioia, nell'umiltà, nell'amore e nella verità sia in rapporto con gli altri, 'sacramento del fratello' così come nel rapporto con Dio, 'sacramento dell'altare', riassume la sostanza di tale approccio, la via di Taizé". Il patriarca di Mosca, Kirill, ha commentato: "la fedeltà agli insegnamenti dei Santi Padri associata all'adattamento creativo alle esigenze di oggi in un ministero missionario fra i giovani, ha caratterizzato la via di fratel Roger e della comunità da lui fondata". E il Segretario Generale del Consiglio Mondiale delle Chiese, Olav Fykse Tveit, ha sottolineato che quanto fratel Roger ha fatto "ha ispirato le Chiese in tutto il mondo".

Fratel Roger ha vissuto in Cristo, ed è proprio questo il motivo che gli ha permesso di discernere la presenza di Cristo negli altri. Non si è lasciato fermare dalle spaccature delle differenti tendenze. Ha scoperto Cristo nei battezzati di ogni denominazione. Perfino uomini e donne che, senza professare nessuna esplicita fede, fossero testimoni di carità e pace, li considerava "portatori di Cristo": alcuni di loro, scriveva, "ci precedono nel Regno".

Nel corso del suo cammino, non si è mai preoccupato di perdere la sua identità. L'identità di un cristiano la vedeva soprattutto nella comunione con Cristo, che si risolveva nella comunione fra tutti quelli che appartengono a Cristo. Egli compì un passo che non aveva precedenti dal tempo della Riforma, fino ad affermare: "io ho trovato la mia identità cristiana riconciliando in me la fede delle mie origini con il mistero della fede cattolica, senza rompere la comunione con nessuno". E a volte aggiungeva "...e con la fede ortodossa", sentendosi vicino alle Chiese ortodosse. Entrare in comunione con gli altri senza rompere con le proprie origini: un approccio talmente nuovo che era facile fraintendere e sottovalutarne il significato.

 


La nostra comunità di Taizé, una piccola parabola di comunione

Era ancora molto giovane quando fratel Roger ebbe l'intuito che una vita di comunità composta da uomini in costante ricerca della riconciliazione potesse diventare un segno. Questa è la vocazione primaria di Taizé, di costituire quella che egli chiamava "una parabola di comunione". Ma la vita monastica era scomparsa dalle Chiese della Riforma. Perciò, senza rinnegare le sue origini, egli creò una comunità che aveva le sue radici nella Chiesa indivisa al di là del protestantesimo, e che proprio con il fatto di esistere era indissolubilmente legata alla tradizione cattolica ed ortodossa.

Fratel Roger era convinto che una tale comunità potesse dare espressione visibile all'unità del Corpo di Cristo, che non solo sta davanti a noi come un traguardo, ma che già esiste in Dio. La Chiesa è divisa, ma nel suo profondo è indivisa. Nel cuore di Dio è una. Sta a noi perciò creare dei luoghi dove questa unità possa emergere e manifestarsi. Fratel Roger visse talmente radicato nella Chiesa indivisa che, nato in una Chiesa della Riforma, volle che la comunità che aveva fondato anticipasse la comunione con la Chiesa cattolica e con le Chiese ortodosse.

La nostra comunità ha cercato fin dall'inizio di esprimere una comunione con la Chiesa ortodossa. Nel 1965, il patriarca Athenagoras inviò dei monaci a Taizé per condurre vita monastica con noi per diversi anni. I vincoli di amicizia e fiducia con le Chiese ortodosse si sono sempre più approfonditi fino ad oggi. E quando, alla fine degli anni '60, i primi fratelli cattolici entrarono nella nostra comunità, la questione di come anticipare la comunione con la Chiesa cattolica si fece ancora più urgente: come si poteva superare la barriera di separazione tra queste due tradizioni?

Per fratel Roger nella sua vita personale, entrare gradualmente in piena comunione con la Chiesa cattolica divenne realtà in due modi - ricevendo l'Eucaristia e riconoscendo la necessità di un ministero di unità esercitato dal Vescovo di Roma. Per lui non era "un ecumenismo del ritorno al gregge", poiché, iniziando con Giovanni XXIII e il Vaticano II, la Chiesa cattolica aveva accolto le domande fondamentali della Riforma: la priorità della grazia di Dio, la libertà di coscienza, una fede cristocentrica e il primato della Bibbia. E sarebbe stato contento di sapere che il Sinodo episcopale del 2008 a Roma, dedicato alla Parola di Dio, ricordava che due realtà uniscono già tutti i cristiani - il Battesimo e la Parola di Dio.

La via di fratel Roger è una via delicata ed esigente, e non abbiamo finito di esplorarla. Sui suoi passi, vogliamo anticipare la riconciliazione nella nostra vita, incominciando dal battesimo che ci unisce, vivendo da persone già riconciliate; è un'esperienza questa che certamente prepara sviluppi teologici. Nella storia della Chiesa, una fede vissuta non ha sempre preceduto la sua espressione teologica? Nel futuro, continueremo a confidare sui due passi che la nostra comunità ha deciso di compiere all'inzio degli anni '70:

- Il primo passo: dal 1973, con l'approvazione e l'incoraggiamento del vescovo di Autun, la diocesi in cui si trova Taizé, tutti noi riceviamo la Comunione nella Chiesa cattolica. Fu l'unica possibilità offertaci per fare insieme la Comunione. Il progresso della teologia ecumenica, in particolare l'opera del nostro fratello Max sul significato di memoriale, ci ha permesso di giungere a una comprensione comune dell'Eucaristia.

- E il secondo passo fondamentale della nostra comunità è questo: durante il Consiglio comunitario annuale nel 1969, i fratelli si erano resi conto che la semplice presenza di fratelli cattolici nella comunità li portava a "vivere ancor più un'anticipazione dell'unità restando in comunione con colui che esercita il ministero del servo dei servi di Dio".

La nostra comunità era arrivata alla persuasione che la riconciliazione di non-cattolici con la Chiesa di Roma non si sarebbe compiuta ponendo indefinitamente delle condizioni, ma aiutandola ad evolvere dall'interno. Il XX secolo ha dimostrato come il ministero petrino sia maturato. Lo stesso Giovanni Paolo II ha fatto appello ai non-cattolici di collaborare a questa evoluzione. Nella sua enciclica Ut unum sint , ha scritto queste parole: "La comunione reale, sebbene imperfetta, che esiste tra tutti noi, non potrebbe indurre i responsabili ecclesiali e i loro teologi ad instaurare con me e su questo argomento un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa?".

I fratelli nella nostra comunità che provengono da famiglie protestanti accettano questi due passi - ricevere la Comunione cattolica e anticipare la comunione con il pastore universale - senza ripudiare il proprio vissuto, ma dilatando la propria fede. Da parte loro, i fratelli provenienti da famiglie cattoliche trovano che la loro fede si arricchisce aprendosi, in linea col Vaticano II, alle questioni e ai doni delle Chiese della Riforma. Tutto ciò è diventato abbastanza naturale per noi. Se questi sforzi talvolta comportano limitazioni e sacrifici - ci può essere riconciliazione senza sacrifici? - la dilatazione di una vita di comunione è incomparabilmente più importante.

 


Un periodo di transizione verso la riconciliazione

Finora ho parlato dei fratelli della comunità. E i giovani che vengono a stare per qualche tempo a Taizé? Tutto ciò che riguarda i giovani è per noi primordiale. E' anzi un assillo quotidiano: come trovare nuove vie per comunicare il Vangelo alle giovani generazioni di oggi?

Settimana dopo settimana, accogliamo a Taizé giovani da tutti i Paesi europei ed anche da altri continenti, con tutte le loro differenze. La preghiera tre volte al giorno ci raduna alla presenza di Cristo, e pregando insieme, lo Spirito Santo ci unisce. L'insegnamento biblico che viene fatto quotidianamente ai giovani li fa andare alle fonti che sono comuni a tutti. E con loro riflettiamo come continuare questa ricerca nella vita di ogni giorno.

Questi giovani crescono in una società frammentata, che non offre chiari punti di riferimento. Devono affrontare scelte di vita spesso difficili. Anche nel campo etico, le divisioni tra cristiani non aiutano i giovani a trovare dei modi di vivere il vangelo nella propria vita personale. In questo campo delicato, piuttosto che definire posizioni risolte in modo troppo sbrigativo, che li distanziano tra loro, i cristiani non potrebbero trovare più tempo per il dialogo e per cercare una strada comune?

Da parte nostra, aiutiamo i giovani ad affacciarsi sulla "unica Chiesa di Cristo" nella sua visibilità, nel rispetto delle tradizioni delle diverse Chiese, e ciò comporta necessariamente una tensione. Riguardo all'Eucaristia, diamo ai giovani la possibilità di ricevere la Comunione nella propria tradizione. Ogni giorno si celebra la Messa cattolica. La liturgia ortodossa è celebrata quando ci sono partecipanti ortodossi che arrivano con dei preti. Quando vi sono gruppi anglicani, luterani o presbiteriani, li invitiamo a celebrare l'Eucaristia nella loro tradizione.

Constatiamo che molti giovani, dopo aver trascorso del tempo a Taizé, sono più attivi nella loro Chiesa d'origine, e allo stesso tempo acquisiscono un senso più acuto della Chiesa universale. Non pretendiamo di aver trovato la soluzione a Taizé. Le nostre modalità sono imperfette. Sappiamo che la nostra situazione è provvisoria, nell'attesa di un'unità pienamente realizzata.

( molto imperfette caro Fr. Aloise, qui c'è la confusione del SINCRETISMO religioso... a parte gruppi anglicani, ma i protestanti non celebrano l'EUCARISTIA ma la Cena dando proprio questo senso e non IL SACRIFICIO DELLA CROCE... [SM=g1740733] restare "attivi" nella propria comunità d'origine non produce conversioni a Gesù OSTIA SANTA.... il problema non è l'imperfezione, tutti lo siamo! ciò che è un problema è che si preferisce IL SINCRETISMO cristiano anzichè la CONVERSIONE... conversione all'UNICA CHIESA DI CRISTO che è divisa al suo interno, questa divisione NON è dei cattolici che hanno altre responsabilità e peccati da scontare, ma tale divisione è dei cristiani che rifiutano di riconoscere la Chiesa di Cristo... lasciarli "tranquilli e attivi" nelle loro comunità DIVISE non è un buon programma per l'unità....)


Il carattere visibile dell'unità che tentiamo di vivere non risolve tutte le problematiche, ma cerchiamo di entrare in un processo di riconciliazione che è in pieno sviluppo. Vorremmo condurre i cristiani separati a divenire più coscienti del proprio battesimo comune, della loro comune appartenenza, di purificare le rispettive tradizioni, di distinguere fra la Tradizione e le tradizioni che sono solo consuetudini, di avanzare in un ecumenismo che non si accontenti di tenere i cristiani su binari paralleli. E' così che può iniziare un periodo di transizione verso la riconciliazione.

 


Battesimo comune e servizio

L'ultimo capitolo della mia riflessione intende esaltare la comunione offertaci dal Cristo, poiché essa dota i suoi discepoli, uomini e donne, di una prospettiva universale. Li stimola ad andare agli altri, ad essere attenti ai più deboli, a quelli che sono più poveri di loro, e anche ai cercatori di Dio che appartengono ad un'altra religione o a coloro che non hanno alcun riferimento verso Dio. In molti luoghi, i cristiani di diverse denominazioni vivono insieme questa apertura.

Fratel Roger ripeteva spesso: "Dio è unito a ogni essere umano senza eccezione". Custodiva nel suo cuore tutti gli esseri umani di ogni nazione, specialmente i più poveri, i giovani, i bambini. Questa visione di comunione universale ci ha portato ad inviare fratelli a piccoli gruppi in Africa, Asia e America Latina per condividere la vita dei più derelitti e anche per gettare ponti tra le culture e i popoli.

I fratelli non sono attrezzati per mutare tante situazioni di miseria. Ma per alcuni di loro, rimanere ogni giorno davanti all'Eucaristia è fonte di vita che permette loro, con la semplice presenza, di "lavare i piedi", se posso osare questa espressione, della gente nel loro quartiere. E gradualmente sorgono modeste iniziative di solidarietà. Non sono che dei segni, ma possono aprire la via a Cristo, che trasfigura l'umanità e apre, nel cuore del mondo, un orizzonte di speranza.

Apro qui una parentesi. Quei nostri fratelli che vivono in altri continenti sono in contatto frequente con nuove assemblee di cristiani che si formano in gran quantità, soprattutto nel sud del mondo. Che ci piaccia o no, queste nuove assemblee ci provocano. Chiuderci in un giudizio categoricamente negativo può essere certamente giustificato da buoni argomenti. Ma un atteggiamento puramente negativo ignora, a mio parere, tutta la realtà della situazione. Ci sono molte diversità tra queste nuove assemblee; a volte professano dottrine che la grande tradizione della Chiesa non può accettare. Ma, forse più di quanto non pensiamo, chi fa parte di tali comunità ha un amore genuino per Cristo perché i tossicodipendenti sono curati, gli alcolizzati smettono di bere, gli uomini si prendono le loro responsabilità nell'essere padri ...

Noi cristiani delle Chiese storiche non abbiamo la responsabilità di cercare, con discernimento, il dialogo con queste nuove assemblee? Invece di guardare solo a ciò di cui mancano, non potremmo anche vedere le cose positive che hanno? Certo, tale questione ci porta lontano dal nostro tema, il battesimo come base di comunione, ma la chiamata di Cristo all'unità richiede oggi la nostra apertura. Un giorno, fratel Roger scrisse queste parole che propongo alla vostra meditazione: "Quando la Chiesa instancabilmente ascolta, guarisce e riconcilia, diventa quello che è al suo punto più luminoso - una comunione di amore, di compassione, di consolazione, un riflesso trasparente del Cristo risorto. Mai distante, mai sulla difensiva, priva di ogni asprezza, irradia l'umile sicurezza di amore nei cuori umani".

Giungo alla conclusione. Ho parlato molto di Taizé. Ma non era per esibire la nostra esperienza, piuttosto per condividere la nostra speranza, ed esprimere la nostra certezza che è possibile già adesso dare visibilità alla comunione nel medesimo e unico battesimo. Permettete che insista: dal momento che Cristo è venuto "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Gv. 11, 52), è essenziale che i nostri occhi vedano che il nostro comune battesimo ci conduce ad essere visibilmente una sola cosa in lui. Cristo è il Buon Pastore di tutti. Egli è anche la porta verso il Padre e il prossimo. Varcheremo quella porta per entrare nella casa del Padre e riunirci tutti insieme, visibilmente uniti? Ciò darebbe certamente nuovo dinamismo alle nostre Chiese, colme della gioia del Cristo e di fiducia che lo Spirito Santo ci indicherà il futuro passo dopo passo.


fratel Alois Loeser
Dublino, 11 giugno 2012.


traduzione italiana a cura di d. Giorgio Rizzieri
link: http://www.iec2012.ie/media/Monday11thJuneBrotherAlois1.pdf


(17/07/2012)

***  
 
... molto imperfette caro Fr. Aloise, qui c'è la confusione del SINCRETISMO religioso... a parte gruppi anglicani, ma i protestanti non celebrano l'EUCARISTIA ma la Cena dando proprio questo senso e non IL SACRIFICIO DELLA CROCE... restare "attivi" nella propria comunità d'origine non produce conversioni a Gesù OSTIA SANTA.... il problema non è l'imperfezione, tutti lo siamo, tutti siamo imperfetti! ciò che è un problema è che si preferisce IL SINCRETISMO cristiano anzichè la CONVERSIONE... conversione all'UNICA CHIESA DI CRISTO che è divisa al suo interno, questa divisione NON è dei cattolici che hanno altre responsabilità e peccati da scontare, ma tale divisione è dei cristiani che rifiutano di riconoscere la Chiesa di Cristo... lasciarli "tranquilli e attivi" nelle loro comunità DIVISE non è un buon programma per l'unità.... si chiama SINCRETISMO RELIGIOSO...  
 
Non riesco davvero a comprendere perchè si fa tanta difficoltà ad accettare la FSSPX, mentre si accettano e si confermano e si legittimano comunità sincretiste.... io non ho difficoltà ad accettare la comunità di Taizè, per altro sempre meglio di Bose... ma perchè farla difficile con la FSSPX? non sarà perchè non accetta alcun sincretismo e alcun compromesso con i non cattolici? e fino a che punto sbaglierebbe se così fosse?  
qui abbiamo protestanti che frequentano comunità cattoliche ma RIFIUTANO il primato petrino i sette sacramenti, l'Eucaristia, la Confessione.... hanno il sacerdozio femminile e sposano omosessuali.... e frequentando le comunità cattoliche vengono osannati, benedetti, CONFERMATI....  mentre la FSSPX che riconosce il primato, i 7 sacramenti ma non è disposta a fare compromessi con la dottrina, viene condannata! davvero mi riesce incomprensibile!!  
figli e figliastri... figli di serie a e di serie b....  
mah!

[SM=g1740758]

[Modificato da Caterina63 17/07/2012 17:05]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740733] Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

Cari Fratelli e Sorelle!

Sono lieto di incontrare tutti voi, Membri e Consultori del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in occasione della Plenaria. A ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto, in particolare al Presidente, il Cardinale Kurt Koch - che ringrazio per le cortesi parole con le quali ha interpretato i comuni sentimenti - al Segretario ed ai Collaboratori del Dicastero, con l’apprezzamento per il loro lavoro al servizio di una causa così decisiva per la vita della Chiesa.

Quest’anno la vostra Plenaria focalizza l’attenzione sul tema: «L’importanza dell’ecumenismo per la nuova evangelizzazione». Con tale scelta vi ponete opportunamente in continuità con quanto è stato preso in esame durante la recente Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, e, in un certo senso, intendete dare una forma concreta, secondo la particolare prospettiva del Dicastero, a quanto è emerso in quell’Assise.
Inoltre, la riflessione che state conducendo si inserisce molto bene nel contesto dell’Anno della fede che ho voluto come momento propizio per riproporre a tutti il dono della fede in Cristo risorto, nell’anno in cui celebriamo il 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II. Come è noto, i Padri conciliari hanno inteso sottolineare lo strettissimo legame che esiste tra il compito dell’evangelizzazione e il superamento delle divisioni esistenti tra i cristiani.
«Tale divisione - si afferma all’inizio del Decreto Unitatis redintegratio - contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ed è scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del vangelo a ogni creatura» (n. 1).
L’affermazione del Decreto conciliare riecheggia la "preghiera sacerdotale" di Gesù, quando, rivolgendosi al Padre, Egli chiede che i suoi discepoli «siano una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17,21). In questa grande preghiera ben quattro volte invoca l’unità per i discepoli di allora e per quelli del futuro, e due volte indica come scopo di tale unità che il mondo creda, che Lo «riconosca» come mandato dal Padre. C’è dunque uno stretto legame tra la sorte dell’evangelizzazione e la testimonianza dell’unità tra i cristiani.

Un autentico cammino ecumenico non può essere perseguito ignorando la crisi di fede che stanno attraversando vaste regioni del pianeta, tra cui quelle che per prime accolsero l’annuncio del Vangelo e dove la vita cristiana è stata per secoli fiorente. D’altra parte, non possono essere ignorati i numerosi segni che attestano il permanere di un bisogno di spiritualità, che si manifesta in diversi modi. La povertà spirituale di molti dei nostri contemporanei, che non percepiscono più come privazione l’assenza di Dio dalla loro vita, questa povertà spirituale rappresenta una sfida per tutti i cristiani.
In questo contesto, a noi credenti in Cristo viene chiesto di ritornare all’essenziale, al cuore della nostra fede, per rendere insieme testimonianza al mondo del Dio vivente, cioè di un Dio che ci conosce e che ci ama, nel cui sguardo viviamo; di un Dio che aspetta la risposta del nostro amore nella vita di ogni giorno. E’ dunque motivo di speranza l’impegno di Chiese e Comunità ecclesiali per un rinnovato annuncio del Vangelo all’uomo contemporaneo.

Dare infatti testimonianza del Dio vivente, che si è fatto vicino in Cristo, è l’imperativo più urgente per tutti i cristiani, ed è anche un imperativo che ci unisce, malgrado l’incompleta comunione ecclesiale che tutt’ora sperimentiamo.
Non dobbiamo dimenticare ciò che ci unisce, cioè la fede in Dio, Padre e Creatore, che si è rivelato nel Figlio Gesù Cristo, effondendo lo Spirito che vivifica e santifica. Questa è la fede del Battesimo che abbiamo ricevuto ed è la fede che, nella speranza e nella carità, possiamo insieme professare
.

Alla luce della priorità della fede si comprende anche l’importanza dei dialoghi teologici e delle conversazioni con le Chiese e Comunità ecclesiali in cui la Chiesa cattolica è impegnata. Anche quando non si intravede, in un immediato futuro, la possibilità del ristabilimento della piena comunione, essi permettono di cogliere, insieme a resistenze e ostacoli, anche ricchezze di esperienze, di vita spirituale e di riflessioni teologiche, che diventano stimolo per una sempre più profonda testimonianza.

Non dobbiamo, però dimenticare che la meta dell’ecumenismo è l’unità visibile tra i cristiani divisi. Questa unità non è un’opera che possiamo semplicemente realizzare noi uomini. Noi dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze, ma dobbiamo anche riconoscere che, in ultima analisi, questa unità è dono di Dio, può venire solamente dal Padre mediante il Figlio, perché la Chiesa è la sua Chiesa. In questa prospettiva, appare l’importanza di invocare l’unità visibile dal Signore, ma emerge anche come la ricerca di tale meta sia rilevante per la nuova evangelizzazione. Il fatto di camminare insieme verso questo traguardo è una realtà positiva, a condizione, però, che le Chiese e Comunità ecclesiali non si fermino lungo la strada, accettando le diversità contraddittorie come qualcosa di normale o come il meglio che si possa ottenere.

E’ invece nella piena comunione nella fede, nei sacramenti e nel ministero, che si renderà evidente in modo concreto la forza presente ed operante di Dio nel mondo.

Attraverso l’unità visibile dei discepoli di Gesù, unità umanamente inspiegabile, si renderà riconoscibile l’agire di Dio che supera la tendenza del mondo alla disgregazione.

Cari amici, voglio augurare che l’Anno della fede contribuisca anche al progresso del cammino ecumenico. L’unità è, da un lato, frutto della fede e, dall’altro, un mezzo e quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore o che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, hanno quasi dimenticato questo dono prezioso. Il vero ecumenismo, riconoscendo il primato dell’azione divina, esige innanzitutto pazienza, umiltà, abbandono alla volontà del Signore. Alla fine, ecumenismo e nuova evangelizzazione richiedono entrambi il dinamismo della conversione, inteso come sincera volontà di seguire Cristo e di aderire pienamente alla volontà del Padre. Ringraziandovi ancora una volta, invoco volentieri su tutti la Benedizione Apostolica. Grazie.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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22/11/2012 15:03
 
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[SM=g1740722]QUESTA SI, CHE E' UNA VITTORIA DELL'ECUMENISMO [SM=g1740721]

I laici determinanti
nel voto al Sinodo generale della Church of England

Gli anglicani dicono no
alle donne vescovo


Londra, 21. Un "no" quasi inatteso, ma "questo voto non rappresenta certamente la fine della storia": a sottolinearlo alla radio inglese Bbc è stato l'arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Rowan Williams, dopo la bocciatura, a sorpresa, da parte del Sinodo generale della Church of England (che si conclude oggi) della proposta sulla consacrazione delle donne vescovo.
Per il rigido sistema che regola l'attività del Sinodo non sono infatti stati raggiunti, in ciascuna delle tre Houses, in cui si suddivide l'organismo rappresentativo, i due terzi necessari ad accogliere la proposta.
Per l'attuale arcivescovo di Canterbury e primate - che assieme al recentemente nominato suo successore, il vescovo di Durham Justin Welby, si erano espressi per il "sì" alle donne vescovo - si tratterebbe comunque soltanto di una battuta di arresto. Entro tre anni infatti la proposta potrà, in base ai regolamenti, essere nuovamente sottoposta all'attenzione del Sinodo per un'eventuale approvazione.



(©L'Osservatore Romano 22 novembre 2012)

certo! domani potrebbe accadere ma, come dice il Signore: ad ogni giorno basta la sua pena..... e per oggi ciò che conta è questo NO!
Domani Dio vede e provvede.... [SM=g1740722]


Fraternamente CaterinaLD

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28/11/2013 13:58
 
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Il Papa: nel dialogo interreligioso non serve “fraternità finta”, ognuno porti sua identità



Il futuro dell’umanità “sta nella convivenza rispettosa delle diversità”. E’ uno dei passaggi chiave del discorso che Papa Francesco ha rivolto stamani ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. Il Papa ha sottolineato che “non è possibile pensare ad una fratellanza da laboratorio”. Quindi, ha ribadito con forza che va tutelata la libertà religiosa in tutte le sue dimensioni. L’indirizzo d’omaggio al Pontefice è stato rivolto dal cardinale Jean-Louis Tauran. Il servizio di Alessandro GisottiRealAudioMP3 

In un mondo diventato più piccolo è sempre più importante il dialogo e l’amicizia tra persone di diverse religioni. Papa Francesco è partito da questa considerazione per svolgere un appassionato discorso in favore del dialogo interreligioso. E’ una realtà e una sfida, ha detto, che “interpella la nostra coscienza di cristiani” e che ha un’incidenza sulla “vita concreta delle Chiese locali, delle parrocchie, di moltissimi credenti”. Del resto, ha constatato con amarezza, “non mancano nel mondo contesti in cui la convivenza è difficile”:

“Spesso motivi politici o economici si sovrappongono alle differenze culturali e religiose, facendo leva anche su incomprensioni e sbagli del passato: tutto ciò rischia di generare diffidenza e paura. C’è una sola strada per vincere questa paura, ed è quella del dialogo, dell’incontro segnato da amicizia e rispetto”.

Dialogare, ha precisato il Papa, “non significa rinunciare alla propria identità quando si va incontro all’altro, e nemmeno cedere a compromessi sulla fede e sulla morale cristiana”:

“È per questo motivo che dialogo interreligioso ed evangelizzazione non si escludono, ma si alimentano reciprocamente. Non imponiamo nulla, non usiamo nessuna strategia subdola per attirare fedeli, bensì testimoniamo con gioia, con semplicità ciò in cui crediamo e quello che siamo. In effetti, un incontro in cui ciascuno mettesse da parte ciò in cui crede, fingesse di rinunciare a ciò che gli è più caro, non sarebbe certamente una relazione autentica. In tale caso si potrebbe parlare di una fraternità finta”.

Al contempo, ha soggiunto, come cristiani “dobbiamo sforzarci di vincere la paura, pronti sempre a fare il primo passo, senza lasciarci scoraggiare di fronte a difficoltà e incomprensioni”. Il dialogo interreligioso, quando è “costruttivo”, ha poi evidenziato serve anche a superare “la paura verso le diverse tradizioni religiose e verso la dimensione religiosa in quanto tale”, fenomeno “in aumento nelle società più fortemente secolarizzate”. 

“La religione è vista come qualcosa di inutile o addirittura di pericoloso; a volte si pretende che i cristiani rinuncino alle proprie convinzioni religiose e morali nell’esercizio della professione”.

Il Papa ha osservato che è “diffuso il pensiero secondo cui la convivenza sarebbe possibile solo nascondendo la propria appartenenza religiosa, incontrandoci in una sorta di spazio neutro”. Ma, è il suo interrogativo, “come sarebbe possibile creare vere relazioni, costruire una società che sia autentica casa comune, imponendo di mettere da parte ciò che ciascuno ritiene essere parte intima del proprio essere?”: 

“Non è possibile pensare a una fratellanza da laboratorio. Certo, è necessario che tutto avvenga nel rispetto delle convinzioni altrui, anche di chi non crede, ma dobbiamo avere il coraggio e la pazienza di venirci incontro l’un l’altro per quello che siamo. Il futuro sta nella convivenza rispettosa delle diversità, non nell’omologazione ad un pensiero unico teoricamente neutrale. Diventa perciò imprescindibile il riconoscimento del diritto fondamentale alla libertà religiosa, in tutte le sue dimensioni”.




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/11/28/il_papa:_nel_dialogo_interreligioso_non_serve_%E2%80%9Cfraternit%C3%A0_finta%E2%80%9D,/it1-750708 
del sito Radio Vaticana 



DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI  PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO 
CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO

Sala Clementina
Giovedì, 28 novembre 2013

 

Signori Cardinali,
cari fratelli nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle,

prima di tutto mi scuso per il ritardo. Le udienza sono state in ritardo. Vi ringrazio per la pazienza. Sono lieto di incontrarvi nel contesto della vostra Sessione Plenaria: porgo a ciascuno il più cordiale benvenuto e ringrazio il Cardinale Jean-Louis Tauran per le parole che mi ha rivolto anche a nome vostro.

La Chiesa cattolica è consapevole del valore che riveste la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose. Ne comprendiamo sempre più l’importanza, sia perché il mondo è, in qualche modo, diventato “più piccolo”, sia perché il fenomeno delle migrazioni aumenta i contatti tra persone e comunità di tradizione, cultura, e religione diversa. Questa realtà interpella la nostra coscienza di cristiani, è una sfida per la comprensione della fede e per la vita concreta delle Chiese locali, delle parrocchie, di moltissimi credenti.

Risulta dunque di particolare attualità il tema scelto per il vostro raduno: “Membri di differenti tradizioni religiose nella società”. Come ho affermato nell’Esortazione Evangelii gaudium, «un atteggiamento di apertura nella verità e nell’amore deve caratterizzare il dialogo con i credenti delle religioni non cristiane, nonostante i vari ostacoli e le difficoltà, particolarmente i fondamentalismi da ambo le parti» (n. 250). In effetti, non mancano nel mondo contesti in cui la convivenza è difficile: spesso motivi politici o economici si sovrappongono alle differenze culturali e religiose, facendo leva anche su incomprensioni e sbagli del passato: tutto ciò rischia di generare diffidenza e paura. C’è una sola strada per vincere questa paura, ed è quella del dialogo, dell’incontro segnato da amicizia e rispetto. Quando si va per questa strada è una strada umana.

Dialogare non significa rinunciare alla propria identità quando si va incontro all’altro, e nemmeno cedere a compromessi sulla fede e sulla morale cristiana. Al contrario, «la vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa» (ibid., 251) e per questo aperta a comprendere le ragioni dell’altro, capace di relazioni umane rispettose, convinta che l’incontro con chi è diverso da noi può essere occasione di crescita nella fratellanza, di arricchimento e di testimonianza. È per questo motivo che dialogo interreligioso ed evangelizzazione non si escludono, ma si alimentano reciprocamente. Non imponiamo nulla, non usiamo nessuna strategia subdola per attirare fedeli, bensì testimoniamo con gioia, con semplicità ciò in cui crediamo e quello che siamo. In effetti, un incontro in cui ciascuno mettesse da parte ciò in cui crede, fingesse di rinunciare a ciò che gli è più caro, non sarebbe certamente una relazione autentica. In tale caso si potrebbe parlare di una fraternità finta. Come discepoli di Gesù dobbiamo sforzarci di vincere la paura, pronti sempre a fare il primo passo, senza lasciarci scoraggiare di fronte a difficoltà e incomprensioni.

Il dialogo costruttivo tra le persone di diverse tradizioni religiose serve anche a superare un’altra paura, che riscontriamo purtroppo in aumento nelle società più fortemente secolarizzate: la paura verso le diverse tradizioni religiose e verso la dimensione religiosa in quanto tale. La religione è vista come qualcosa di inutile o addirittura di pericoloso; a volte si pretende che i cristiani rinuncino alle proprie convinzioni religiose e morali nell’esercizio della professione (cfr Benedetto XVIDiscorso al Corpo Diplomatico, 10 gennaio 2011).
È diffuso il pensiero secondo cui la convivenza sarebbe possibile solo nascondendo la propria appartenenza religiosa, incontrandoci in una sorta di spazio neutro, privo di riferimenti alla trascendenza. Ma anche qui: come sarebbe possibile creare vere relazioni, costruire una società che sia autentica casa comune, imponendo di mettere da parte ciò che ciascuno ritiene essere parte intima del proprio essere? Non è possibile pensare a una fratellanza “da laboratorio”.

Certo, è necessario che tutto avvenga nel rispetto delle convinzioni altrui, anche di chi non crede, ma dobbiamo avere il coraggio e la pazienza di venirci incontro l’un l’altro per quello che siamo. Il futuro sta nella convivenza rispettosa delle diversità, non nell’omologazione ad un pensiero unico teoricamente neutrale. Abbiamo visto a lungo la storia, la tragedia dei pensieri unici. Diventa perciò imprescindibile il riconoscimento del diritto fondamentale alla libertà religiosa, in tutte le sue dimensioni. Su questo il Magistero della Chiesa si è espresso negli ultimi decenni con grande impegno. Siamo convinti che per questa via passa l’edificazione della pace del mondo.

Ringrazio il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso per il prezioso servizio che svolge, e invoco su ciascuno di voi l’abbondanza della benedizione del Signore. Grazie



 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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