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Le armi del cardinale Ercole Consalvi tra la Rivoluzione Francese e l'Impero napoleonico

Ultimo Aggiornamento: 28/08/2009 19:21
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05/06/2009 17:07
 
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E dal congresso di Vienna lo Stato pontificio uscì vincitore


di Alessandro Roveri
Università di Ferrara


Il 2 aprile 1810 ebbe luogo a Parigi (Saint-Denis) il matrimonio tra Napoleone Bonaparte e Maria Luisa d'Austria. Poiché in precedenza Bonaparte aveva sposato Giuseppina Beauharnais, l'imperatore aveva avuto bisogno dell'annullamento canonico delle precedenti nozze. Tale annullamento venne rifiutato sdegnosamente da Pio VII, benché egli si trovasse prigioniero dell'imperatore dei francesi a Savona.


Allora Bonaparte cercò e ottenne l'annullamento dalla compiacente Chiesa metropolitana di Parigi. Consalvi, che già il 26 gennaio precedente aveva ribadito a Bonaparte la propria intransigenza in difesa dei diritti della Santa Sede, insieme ad altri dodici cardinali si rifiutò di presenziare al rito. Il gruppo ribelle fu privato della porpora e disperso. Consalvi, divenuto così "cardinale nero", fu deportato a sua volta a Reims, dove giunse il 13 giugno 1810 e soggiornò fino al 2 febbraio 1813. Questo isolamento fu il risultato della sua fermezza dinanzi ad un Bonaparte che si trovava all'apogeo della sua potenza. 


cardinale Ercole Consalvi In quei due anni e mezzo nulla poté Consalvi per aiutare il vecchio e malato Pontefice a resistere alle pretese di Bonaparte che infatti approfittò della rassegnazione del Papa suo prigioniero per fargli accettare e il concilio gallicano del 1811 e il conseguente concordato di Fontainebleau del 25 gennaio 1813:  una vera capitolazione, quel concordato, ad onta della recente disfatta napoleonica di Russia, dalla quale l'imperatore stava cercando di riprendersi. Ciò perché 27 diocesi francesi erano rimaste senza titolare, e Bonaparte, oltre alla nomina da parte sua, ottenne istituzioni canoniche "gallicane" dopo un semestre di eventuale rifiuto pontificio, e inoltre il diritto alle nomine episcopali anche nel Regno d'Italia.

Grazie, tuttavia, alla stipulazione del concordato di Fontainebleau, Consalvi fu liberato e, lasciata Reims, raggiunse immediatamente Pio VII allo scopo di porre rimedio alla situazione. Già il 24 marzo 1813, quindi, Pio VII , spalleggiato dai cardinali Consalvi, Di Pietro e Pacca, scrisse a Bonaparte, alle prese con la sua guerra di rivincita contro i Russo-Prussiani e sempre più isolato in campo internazionale, e dichiarò nullo il concordato di Fontainebleau. Consalvi, sempre attento ai rapporti di forza, approfittò abilmente della successiva disfatta napoleonica di Lipsia dell'ottobre 1813 dinanzi ai Russo-Prussiani e alla riscossa del sentimento nazionale germanico. E la linea consalviana culminò nel diktat di Pio VII del 12 gennaio 1814:  nessuna trattativa è ora più possibile, se prima Bonaparte non restituisce Roma al Papa.

Si ebbe allora l'ultimo rabbioso colpo di coda di Bonaparte:  Bartolomeo Pacca, considerato complice della congiura antinapoleonica, deportato a Uzès, Consalvi ancor più lontano, a Béziers. Vi giunse il 9 febbraio 1814, ma non vi restò a lungo. Avendo Bonaparte ordinato il 10 marzo di ricondurre il Papa a Roma, il 19 marzo, mentre Bonaparte subiva sul suolo francese un'altra sconfitta ad opera della coalizione nemica, Pio VII prese la strada per Roma scegliendo di percorrere la via Flaminia, e Consalvi poté finalmente lasciare Béziers il 20 aprile. Da quel giorno il grande cardinale inseguì letteralmente il suo amato pontefice con la maggiore velocità possibile, ansioso di prendere in mano la politica estera della Santa Sede sottraendola a consiglieri meno di lui capaci di intendere il senso dell'ora storica.

E il senso dell'ora storica, che Consalvi aveva ben compreso - ma temeva che non di altrettanta lungimiranza si fosse capaci in curia - era che non si poteva tornare a prima del 1789. Per esempio:  non si poteva, in tutta Europa, restituire ai vecchi proprietari, Chiesa romana compresa, i beni nazionali mediante i quali era sorta una nuova borghesia terriera, pena una ripresa rivoluzionaria.
L'inseguimento affannoso di Consalvi terminò a Rimini l'8 maggio 1814, quando l'insigne inseguitore rivide finalmente il suo amato pontefice.
 
Troppo tardi, però, perché il maggiore guaio era già stato fatto, con l'invio a Parigi, in qualità di nunzio interinale incaricato di missione straordinaria presso i sovrani alleati, dello "zelante" monsignore Della Genga che si era riunito al Papa già dal 19 aprile, ma era latore di istruzioni, da lui stesso ispirate, intese a contestare sia il concordato del 1801 sia il testo costituzionale che il Senato francese aveva varato il 6 aprile. Per giocare con le diplomazie dei vincitori la carta del riacquisto delle Legazioni, da tempo oggetto delle mire dell'Austria, sarebbe stata un disastro, questa pretesa di convincere Luigi XVIIi a non firmare la nuova costituzione.

Consalvi comprese inoltre immediatamente che occorreva salvare quel concordato del 1801 che aveva rappresentato il trionfo di Roma sulla Chiesa gallicana:  erano ancora viventi 17 di quei vescovi che nel 1801 avevano rifiutato le dimissioni loro imposte da Pio VII. Inoltre Consalvi sapeva bene che non si poteva al tempo stesso pretendere per i cattolici piena libertà nei Paesi protestanti e impugnare in Francia la tolleranza per gli altri culti. Bisognava - pensò Consalvi - rompere l'alleanza tra gli zelanti della Chiesa e gli "ultra" di Francia, perché la Santa Sede non doveva legarsi a nessun partito politico. Per questo l'insigne Adolfo Omodeo ha scritto:  "appena nel maggio del 1814 riprese contatto col Papa reduce nei suoi Stati, e seppe dell'invio di monsignor Della Genga, intuì l'insidia dei suoi avversari di curia:  si fece delegare pieni poteri e corse in tutta velocità a Parigi a stornare errori irreparabili". 

cardinale Ercole Consalvi Il 20 maggio 1814, non appena ottenuta la nomina a segretario di Stato, ritardata di dodici giorni per l'evidente resistenza degli zelanti, da Foligno Consalvi prese la strada di Parigi. Aveva ottenuto istruzioni di Pio VII nelle quali era detto testualmente:  "vogliamo che, se le lettere da Noi consegnate al detto monsignor Della Genga non sono state ancor presentate all'arrivo del cardinal segretario di Stato, non si presentino più, dovendo presentarsi quelle che reca il cardinale anzidetto".

E che cosa pensasse il "cardinale anzidetto" risulta assai chiaro da quanto Consalvi scrisse al pro-segretario Pacca da Calais il 9 giugno 1814:  "Debbo io dare o no una nota a Parigi sull'articolo della Costituzione che accorda a tutti i culti eguale protezione ed eguale stipendio? La ragione di dubitare nasce dai seguenti riflessi: 
1, questa Costituzione è stata fatta dal re medesimo, il quale ha creduto che le circostanze della Francia esigessero indeclinabilmente questa misura;
2, è assolutissimamente impossibile di ottenerne la revoca;
3, se alle anzidette due difficoltà si potesse passar sopra (malgrado i non leggieri ostacoli che presentano) col riflesso che almeno il Santo Padre fa quello che può dal canto suo, vi è però una difficoltà assai più grave, quella cioè del danno che può risultare dalla cosa.

Mi spiego. Il Santo Padre desidera certo e dimanda che nei paesi non cattolici, come l'Ollanda, la Svizzera, Ginevra, l'Inghilterra, la Russia ed altri ecc., i cattolici siano almeno protetti e trattati egualmente che i protestanti. Può dunque parere o una contradizione o una pretensione ingiusta (benché nel fondo e secondo i principi della religione non lo sia), che impugni  per  gli  altri  quella  tolleranza che implora per i suoi. È vero che si può dire che la Francia è uno Stato cattolico,  ma  questo  di  può  dire  fino a un certo segno, e si noti che la religione cattolica non si è potuta dichiarare nella Costituzione per religione dominante, ma solo per religione dello Stato".

Il grande cardinale stava imbarcandosi per Londra, dove doveva chiedere ai sovrani la restituzione delle Legazioni, come aveva fatto con Luigi XVIIi a Parigi, e l'Inghilterra, che non aveva relazioni diplomatiche con la Santa Sede, escludeva ancora i cattolici dalla vita pubblica ed aveva una legislazione caratterizzata da un'amplissima libertà di stampa. Nonostante ciò, Consalvi fece di tutto per giungere a un concordato con l'Inghilterra, di cui ammirava l'abolizione della schiavitù:  un concordato che contemplasse l'emancipazione dei cattolici inglesi. Egli era entusiasta di un possibile accordo che permettesse ai cattolici inglesi di partecipare all'attività legislativa, ma non riuscì a convincere la Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, dominata dagli zelanti.

Quando riprese i colloqui con gli statisti della coalizione antinapoleonica al congresso di Vienna, Consalvi dovette superare, quindi, molti ostacoli che avrebbe voluto vedere rimossi a Roma dal pro-segretario Pacca. A essi si aggiunse una politica interna ed ecclesiastica, a suo giudizio, piena di errori.

A proposito della vigorosa battaglia di Consalvi contro i vescovi francesi non dimissionari, il conte Cortois de Pressigny, che era uno di loro, allora ambasciatore francese a Roma, scrisse al ministro degli Esteri francese Talleyrand il 3 ottobre 1814 con nessun rispetto per la verità storica e con aristocratico disdegno nei confronti di uno di quegli uomini di umili origini che la Chiesa di Roma ha sempre saputo portare ai più alti fastigi:  un homme d'une naissance médiocre, tour à tour protecteur et protégé de Bonaparte, tient en échec, pendant trois mois, aux yeux de toute la ville de Rome, un prélat nommé par le Roi. Quel "plebeo" era Ercole Consalvi.

A onta di tante difficoltà, l'uomo dalla naissance médiocre, che non era mai stato né protettore né, tanto meno, protetto di Bonaparte, riuscì a compiere il miracolo della conservazione del concordato del 1801, che resterà in vigore fino al 1905, e, a Vienna, quello del mantenimento dell'integrità territoriale dello Stato pontificio - con la sola eccezione del Ferrarese transpadano, preteso e ottenuto dall'Austria.



(©L'Osservatore Romano - 5 giugno 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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