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RIFLESSIONI sulla Vita del sacerdote, sui Consacrati religiosi e i riflessi sui fedeli

Ultimo Aggiornamento: 14/03/2017 18:13
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Sesso: Femminile
19/03/2015 14:29
 
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  Un sacerdote risponde

Fra i dispiaceri che fanno parte della nostra vita di sacerdoti vi è l’incomprensione (che poi degenera nel disprezzo, nella calunnia ecc) e ora anche la figura di Papa Francesco diventa pretesto per accusarci

Quesito

Sono un parroco di un piccolo paese.
Fra i dispiaceri che fanno parte della nostra vita di sacerdoti vi è l’incomprensione (che poi degenera nel disprezzo, nella calunnia ecc) a causa di alcuni “No” che in coscienza si devono devo dare. 
Mi riferisco alla solita questione dei sacramenti agli irregolari. Questo diventa a volta drammatico e fonte di discussioni e di litigi in occasione della celebrazione della prima Comunione, dove alcuni genitori divorziati risposati, sposati civilmente, ecc. “pretendono” di ricevere a loro volta la comunione in quel giorno, perché si sentono discriminati rispetto agli altri. La comunione forse non sanno che sia, non ci credono neppure,  e in altre situazioni non avrebbe nessuna attrattiva per loro, ma in quel caso diventa una “rivendicazione” e una fonte di litigi e incomprensioni a non finire. 
Chiaro che tu lo spieghi in bei modi, motivi il perché del tuo ‘no’... Tutto inutile. Ora ci si mette pure papa Francesco che predica “apertura” “disponibilità” “accoglienza” a questi fratelli (quanto mai è stato il contrario?) … ma non chiarisce che non è in potere di nessun uomo, fosse anche papa, cambiare la volontà di Cristo nel vangelo  che a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio è netta e non ammette dubbi. Il fatto che, certa gente ti sbatta sul muso “Papa Francesco” così grande, così aperto, così innovativo e non come te: “chiuso, ottuso, retrogrado, incapace” è stato avvertito da altre confratelli, in confessionale e non. E’ un equivoco, è chiaro, ma farne le spese siamo noi parroci che quotidianamente dobbiamo affrontare e sostenere queste situazioni che ci portano a dire dei sofferti ‘no’ controcorrente in nome della verità e della fedeltà al Signore. Forse sarebbe bene che qualcuno lo facesse sapere al papa di questo disagio di noi parroci e di questi equivoci che si stanno creando, e forse lui stesso dica una parola chiarificatrice. 
Mi aiuti padre, sono davvero stanco e avvilito. Ho pensato talvolta, per evitare questo spiacevole inconveniente, in quel giorno, di dare la comunione solo ai bambini e a nessun altro (“Muoia Sansone e tutti i filistei”) ma non so se è la soluzione migliore…. Grazie saluti. 
Don  P.


Risposta del sacerdote

Caro don P.,
1. comprendo bene l’amarezza di tanti sacerdoti che oltre alla sofferenza per molti che si allontanano dalla casa del Signore ne ricevono anche il disprezzo, come se da loro dovessero imparare a fare il sacerdote, a fare il parroco.
E in maniera molto sommaria accusano di non essere conformi all’insegnamento e al comportamento di Papa Francesco, che è aperto, va incontro alla gente, ecc…
La tua non è un’esperienza isolata, ma abbastanza comune.

2. Che dire di questa situazione?
Benedetto XVI, prima di lasciare il governo della Chiesa e salutando i parroci di Roma, aveva fatto un grande discorso, che valeva un’enciclica. Aveva distinto tra Concilio reale e Concilio virtuale.
Il Concilio reale è quello che è stato celebrato ed è quello il cui spirito trasuda dai testi emanati e che sono a disposizione di tutti.
Il Concilio virtuale è quello fatto dai media, che hanno imposto un’altra immagine del Concilio, un’altra dottrina e un altro magistero che non corrispondono al Concilio reale. Ma alla fine, proprio per la potenza dei media, si è imposto il Concilio virtuale su quello reale.
Mi pare che si possa dire più o meno la stessa cosa tra il papa Francesco vero e il papa Francesco virtuale e che di fatto presso la gente, soprattutto presso i più fragili e più lontani che dell’insegnamento di Papa Francesco non ne ascoltano e non ne mettono in pratica una parola (l’unica cosa che sanno dire è questa: “è il papa che dice buona sera, buon pranzo!”), si sia imposto papa Francesco virtuale.

3. Ma Papa Francesco diverse volte ha detto che anche lui “è figlio della Chiesa” e cioè che è obbediente al deposito della fede e al Magistero della Chiesa, a quel deposito che ha ricevuto perché lo custodisca e lo trasmetta intatto.
Quando gli è capitato, ha avuto occasione di dire che la dottrina della Chiesa non muta.
Su questo punto non dobbiamo avere alcun timore per un duplice motivo: primo, perché ha manifestato pubblicamente questa sua volontà.
Secondo, perché siamo certi che Colui che ha detto “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli…. insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20) continuerà ad assistere la sua Chiesa anche nel suo Magistero perché trasmetta in maniera fedele agli uomini le verità che Egli ci ha insegnato e ci ha comandato di osservare.
È interessante quell’insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato, perché qui il Signore in maniera molto chiara fa riferimento non solo alle verità di fede, ma anche alle verità di morale, che sono le vie che di fatto e concretamente ci conducono a Lui, al cielo.

4. Nel frattempo ci stiamo abituando a conoscere Papa Francesco, che nel suo modo di presentarsi, di parlare e di agire è certamente diverso dai suoi predecessori.
Anche i suoi predecessori avevano ognuno una personalità e un carisma proprio. 
Certamente erano marcatamente diversi l’uno dall’altro.
Ma rimanevano tutti entro un certo stile o filone al quale eravamo assuefatti e che inconsapevolmente eravamo portati a identificare con l’essere Papa.
Papa Francesco è al di fuori di questo stile e col suo comportamento, con i fatti più ancora che con le parole, distingue bene ciò che è Magistero e ciò che è connotazione personale.

5. Di papa Francesco è evidente il fervore evangelico e l’ansia di andare a ricuperare le molte pecore perdute.
Vuole che tutti gli uomini – soprattutto i più lontani - non si sentano respinti da Dio, che si è incarnato proprio per accoglierli, per curarne le ferite e portarli alla comunione con Sé.
Conseguentemente vuole che non si sentano respinti neanche dalla Chiesa, che è il prolungamento di Cristo, della sua opera evangelizzatrice e della sua misericordia.
Questo tutti l’hanno capito e di questo tutti siamo contenti.

6. Rimane il problema pastorale degli irregolari, acuito dal “Papa Francesco virtuale”, e cioè da quello presentato dai media, come il papa che dice di dare la Comunione a tutti quelli che la chiedono, anche se come dici tu, “la comunione forse non sanno che sia, non ci credono neppure,  e in altre situazioni non avrebbe nessuna attrattiva per loro, ma in quel caso diventa una “rivendicazione” e una fonte di litigi e incomprensioni a non finire”.
Mi dici che sei tentato da un’opzione radicale, ma della quale avverti subito che forse che non è la strada giusta: dare la Comunione solo ai bambini e non agli adulti.

7. Secondo me sarebbe necessario percorrere una duplice strada.
La prima è a livello catechetico: non tanto in riferimento ai bambini (di cui si presuppone o si spera che abbiano imparato la dottrina), quanto piuttosto per gli adulti, per i genitori e i parenti dei bambini della prima Comunione.
In genere tutti i parroci si preoccupano di fare almeno un incontro con loro per prendere accordi per tanti problemi pratici relativi alla festa.
Bisognerebbe cogliere l’occasione per far capire ai genitori di che cosa si tratta, partendo dai primi due requisiti che il Catechismo indica per poter fare bene la Santa Comunione.

8. Il primo di questi requisiti consiste nell’essere in grazia di Dio.
Molti genitori “irregolari” che rivendicano di poter fare la Santa Comunione almeno in quel giorno non sanno che cosa sia la grazia.
Allora è necessario spiegare che cosa è la grazia santificante e che per godere della presenza della grazia è necessario osservare i comandamenti del Signore secondo le parole di Gesù: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,23).
E che prima di mangiare di quel “Pane” è necessario esaminare se stessi secondo le parole della Sacra Scrittura: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,27-30).
Credo che sia necessario avere il coraggio di ripetere anche queste parole di San Paolo: non per privarli di qualcosa, ma per premunirli, per il loro bene.

9. Il secondo di questi requisiti è il seguente: “sapere e pensare chi si va a ricevere”.
Si richiede pertanto di vivere bene la Comunione col Signore, di stare insieme con Lui nel raccoglimento e nella preghiera.
In particolare si richiede di ringraziare il Signore per il grande dono che ci fa per mezzo della Santa Comunione e dell’occasione privilegiata di domandare grazie per sé, per i propri cari vivi o defunti, per la Chiesa, per il mondo intero.

10. La seconda strada da percorrere è a livello pratico.
Se una volta si poteva dire ai bambini della prima Comunione che il più bel regalo che i genitori avrebbero potuto fare loro in quella  circostanza sarebbe stata la Santa Comunione (e per molti genitori era un’occasione opportuna per riavvicinarsi alla confessione e alla Comunione), adesso, a motivo dello stragrande numero di irregolari, questo invito non si può e non si deve fare.
In riferimento a questo in alcune parrocchie si era presa l’abitudine di comunicare prima il figlio e subito dopo i genitori che gli stavano accanto (o dietro) e poi passare al successivo bambino.
Questa prassi di fatto metteva in risalto chi non poteva fare la Comunione. Anzi, che era necessario “saltarlo”.
E così agli occhi altrui - in riferimento ai bambini - emergeva quella che poteva sembrare una discriminazione e un’offesa o dispiacere recato ai bambini proprio in quel giorno indimenticabile.
Ricordo invece che quando io ho fatto la prima Comunione i bambini stavano davanti in semicerchio e i genitori stavano confusi tra la gente. Nessuno poteva verificare se l’uno o l’altro si accostava al Sacramento e così la possibile e odiosa discriminazione era del tutto neutralizzata.

11. Ecco, caro don P., quello che mi sono sentito di suggerire.
Come vedi, aveva ragione San Paolo a dire: “noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).
Tutto è disposto dal Signore sempre per il meglio.
Ti assicuro la mia preghiera perché il Signore ti sostenga nelle fatiche, nelle delusioni, nelle incomprensioni e nella mancanza di sostegni umani.

Ti auguro ogni bene e un fruttuoso lavoro nella vigna del Signore.
Padre Angelo





Comunicato della Conferenza Episcopale dei vescovi polacchi sulla comunione ai divorziati "risposati"

 
Riprendiamo da Toronto Catholic witness [qui] by Rorate Caeli.
In relazione all'articolo precedente sull'eco internazionale delle dichiarazioni dei Cardinale Burke e Tagle in Inghilterra, registriamo anche le posizioni pubbliche di distanza formale dalla tesi sinodale del Card. Kasper da parte dei Vescovi polacchi.
I fronti si vanno delineando. Non dimentichiamo che la problematica del matrimonio e della famiglia non è l'unica questione in discussione, ma è quella attorno alla quale e dalla quale sono stati lanciati segnali rivoluzionari di portata ben più ampia e generale.
Aggiungo alle informazioni che ricaviamo dal testo tradotto che la plenaria dei vescovi polacchi tocca la questione di cui stiamo parlando al punto 3. mentre negli altri punti esamina anche svariati problemi non solo di etica (eutanasia, fecondazione in vitro, aborto) ma anche la persecuzione dei cristiani in tante parti del mondo, la situazione al loro confine orientale (l'Ucraina), le migliaia di sacerdoti polacchi vittime a Dachau, verso cui preparano un Pellegrinaggio in occasione dei 70 anni dalla liberazione del campo. (M.G.)


I Vescovi della Conferenza Episcopale polacca nella riunione plenaria annuale (368) hanno respinto formalmente la "proposta-Kasper" di dare la comunione ai cattolici sposati sacramentalmente, che vivono seconde "unioni" illecite e peccaminose.
Nell'affermare formalmente la loro posizione, i Vescovi polacchi rifiutano totalmente il Partito in favore dell'adulterio di cui alla scandalosa ed eretica relatio di medio-termine dello scorso ottobre 2014, e si pongono dalla parte di Nostro Signore Gesù Cristo e della sua dottrina della indissolubilità del santo matrimonio.

In tal modo, i Vescovi rimangono fedeli alla Familiaris Consortio che si limita a ribadire l'immutata e immutabile verità sul matrimonio cristiano che nessun uomo, anche se si tratti del Papa può cambiare. San Giovanni Paolo II ha ribadito in un discorso alla Rota Romana[cito per esteso in nota 1 per comodità di chi legge] che nessun Papa ha l'autorità di modificare la dottrina della Chiesa. Il Papa è il Pastore universale, tenuto solennemente sotto pena di peccato grave a sostenere gli insegnamenti dell'Unico Cristo e dell'unica Chiesa.

Dal Comunicato della Conferenza episcopale polacca [qui]: 
[...] 3. In vista del prossimo Sinodo straordinario dei vescovi a Roma, i vescovi si sono assunti l'impegno di una riflessione sul matrimonio e sulla famiglia. Questa riflessione ha dimostrato l'importanza della famiglia dal punto di vista delle questioni filosofiche, teologiche e giuridiche.
Una volta l'imprescindibile importanza del sacramento del matrimonio e della famiglia era collegata alla crescita della vita cristiana nella Chiesa.
Essi hanno sottolineato la necessità di promuovere la pastorale delle famiglie, per rafforzare i fedeli nella comprensione e nell'attuazione del matrimonio sacramentale, inteso come unione sacra e indissolubile tra un uomo e una donna.
L'insegnamento e la tradizione della Chiesa dimostra che le persone che vivono in unione non-sacramentale si privano della possibilità di ricevere la Santa Comunione.
A chi vive in tali unioni deve essere garantita la cura pastorale perché possano essere in grado di mantenere la fede e rimanere nella comunità della Chiesa. La cura pastorale per le persone che vivono unioni non-sacramentali dovrebbe tener conto anche dei bambini, che hanno il diritto di partecipare pienamente alla vita e alla missione della Chiesa. [...]
[Traduzione di Chiesa e post-concilio] 
_____________________________
1. Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, 21 gennaio 2000, in AAS, 92 (2000), pp. 350-355 
[...] Tuttavia, va diffondendosi l’idea secondo cui la potestà del Romano Pontefice, essendo vicaria della potestà divina di Cristo, non sarebbe una di quelle potestà umane alle quali si riferiscono i citati canoni [1099 - 1057], e quindi potrebbe forse estendersi in alcuni casi anche allo scioglimento dei matrimoni rati e consumati. Di fronte ai dubbi e turbamenti d’animo che ne potrebbero emergere, è necessario riaffermare che il matrimonio sacramentale rato e consumato non può mai essere sciolto, neppure dalla potestà del Romano Pontefice. L’affermazione opposta implicherebbe la tesi che non esiste alcun matrimonio assolutamente indissolubile, il che sarebbe contrario al senso in cui la Chiesa ha insegnato ed insegna l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.

7. Questa dottrina, della non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni rati e consumati, è stata proposta molte volte dai miei Predecessori [Cfr. ad esempio, Pio IX, Lett. Verbis exprimere, 15 agosto 1859: Insegnamenti Pontifici, Ed. Paoline, Roma 1957, vol. I, n. 103; Leone XIII, Lett. Enc. Arcanum, 10 febbraio 1880: ASS 12 [1879-1880], 400; Pio XI, Lett. Enc. Casti connubii, 31 dicembre 1930: AAS 22 [1930], 552; Pio XII, Allocuzione agli sposi novelli, 22 aprile 1942: Discorsi e Radiomessaggi di S.S. Pio XII, Ed. Vaticana, vol. IV, 47]. Vorrei citare, in particolare, un’affermazione di Pio XII: “Il matrimonio rato e consumato è per diritto divino indissolubile, in quanto che non può essere sciolto da nessuna autorità umana [Can. 1118]; mentre gli altri matrimoni, sebbene intrinsecamente siano indissolubili, non hanno però una indissolubilità estrinseca assoluta, ma, dati certi necessari presupposti, possono (si tratta, come è noto, di casi relativamente ben rari) essere sciolti, oltre che in forza del privilegio Paolino, dal Romano Pontefice in virtù della sua potestà ministeriale” [Allocuzione alla Rota Romana, 3 ottobre 1941: AAS 33 [1941], 424-425.].
Con queste parole Pio XII interpretava esplicitamente il canone 1118, corrispondente all’attuale canone 1141 del Codice di Diritto Canonico, e al canone 853 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, nel senso che l’espressione “potestà umana” include anche la potestà ministeriale o vicaria del Papa, e presentava questa dottrina come pacificamente tenuta da tutti gli esperti in materia. In questo contesto conviene citare anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, con la grande autorità dottrinale conferitagli dall’intervento dell’intero Episcopato nella sua redazione e dalla mia speciale approvazione. Vi si legge infatti: “Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina” [N. 1640].

8. Il Romano Pontefice, infatti, ha la “sacra potestas” di insegnare la verità del Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente la Chiesa in nome e con l’autorità di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva. Né la Scrittura né la Tradizione conoscono una facoltà del Romano Pontefice per lo scioglimento del matrimonio rato e consumato; anzi, la prassi costante della Chiesa dimostra la consapevolezza sicura della Tradizione che una tale potestà non esiste. Le forti espressioni dei Romani Pontefici sono soltanto l’eco fedele e l’interpretazione autentica della convinzione permanente della Chiesa.
Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante un atto definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici, in modo costante e in un arco di tempo sufficientemente lungo. Essa è stata fatta propria e insegnata da tutti i Vescovi in comunione con la Sede di Pietro nella consapevolezza che deve essere sempre mantenuta e accettata dai fedeli.
In questo senso è stata riproposta dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Si tratta d’altronde di una dottrina confermata dalla prassi plurisecolare della Chiesa, mantenuta con piena fedeltà e con eroismo, a volte anche di fronte a gravi pressioni dei potenti di questo mondo.
È altamente significativo l’atteggiamento dei Papi, i quali, anche nel tempo di una più chiara affermazione del primato Petrino, mostrano di essere sempre consapevoli del fatto che il loro Magistero è a totale servizio della Parola di Dio [474] e, in questo spirito, non si pongono al di sopra del dono del Signore, ma si impegnano soltanto a conservare e ad amministrare il bene affidato alla Chiesa.

9. Queste sono, illustri Prelati Uditori ed Officiali, le riflessioni, che, in materia di tanta importanza e gravità, mi premeva parteciparvi. Le affido alle vostre menti e ai vostri cuori, sicuro della vostra piena fedeltà e adesione alla Parola di Dio, interpretata dal Magistero della Chiesa, e alla legge canonica nella più genuina e completa interpretazione.





LE AVVENTURE DI GHEDDO
Piero Gheddo
 

Io ormai appartengo alla “terza o quarta età” e ho anche la fortuna di poter scrivere. Vi racconto tre esperienze che documentano, come dice il Papa, che «gli anziani sono una ricchezza». Ecco adesso che anch’io lo sono, posso dire di essere stato un uomo e un prete molto fortunato. Per almeno tre motivi.

di padre Piero Gheddo

Nell’udienza generale del 4 marzo scorso, papa Francesco ha parlato a lungo degli anziani e ha detto: «Gli anziani sono una ricchezza. Una civiltà si giudica dal come tratta gli anziani… andrà avanti se saprà rispettare la saggezza degli anziani. Una civiltà in cui non c’è posto per gli anziani, porta con sé il virus della morte». Io ormai appartengo alla “terza o quarta età” e ho anche la fortuna di poter scrivere. Lasciatemi dire tre esperienze della mia vita.

A Tronzano Vercellese, una domenica del marzo 1929, mentre amezzogiorno rintoccavano le campane dell’Angelus, la maestra Rosa Franzi, moglie del geometra Giovanni Gheddo, dava alla luce il suo primogenito, Piero. Non è una notizia da internet, ma la comunico per condividere con gli amici lettori i sentimenti di un uomo che, sentendosi ancora giovane, compie 86 anni ritenendosi fortunato. Per tre motivi: 1) perché mamma e papà, e poi tutta la nostra “grande famiglia”, mi hanno trasmesso la fede e con i loro esempi lo spirito e la vita cristiana. Ho poi scoperto il valore salvifico della fede in Gesù Cristo, unico Salvatore dell’uomo e dell’umanità: la fede cambia il cuore, cambia la vita, comunica la gioia di vivere, anche nelle situazioni più difficili e dolorose; insomma, se la fede è autentica e porta all’imitazione di Gesù, diventa davvero il motore della vita umana. Perché Gesù Cristo è l’uomo nuovo secondo la volontà di Dio, che realizza tutte le aspirazioni umane e dell’umanità.

Nel 1985 sono stato la prima volta in Giappone e mi è capitato di visitare la sede centrale della SokaGakkai, una setta derivata dal buddismo che pare abbia un buon seguito anche in Italia, con l’ex arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Maria Martini, il suo segretario e il mio confratello padre Pino Cazzaniga, allora in Giappone da circa vent’anni. La maestosa e imponente sede centrale della Soka Gakkai (che significa “Società creatrice di valori”), espressione del buddismo moderno, è una specie di Vaticano molto esteso con palazzi, giardini, case di abitazione, strutture per lo studio, la riflessione, gli incontri di massa. Tutto ricco e moderno, direi impressionante. I due dirigenti che accolgono e accompagnano il cardinale spiegano cosa è la Soka Gakkai ed esprimono concetti in gran parte condivisibili. Ma al termine della visita Martini ci diceva:«Il buddismo è interessante come tutto il mondo non cristiano al quale le missioni cattoliche annunziano Cristo, ma la sfida al cristianesimo e alla Chiesa cattolica si gioca soprattutto di fronte alla secolarizzazione, al relativismo, individualismo e ateismo consumistico della modernità. Tutti i popoli cercano Dio e anche i giapponesi, come gli altri popoli, faranno scelte come noi occidentali: saranno atei o cristiani». Per noi che abbiamo ricevuto la fede in Gesù Cristo, la nostra vita ha uno scopo preciso, impegnamoci a mantenerla con la preghiera e l’aiuto di Dio, perché è l’unica e vera ricchezza che abbiamo.

2) Mi ritengo un uomo fortunato perché, quando i miei genitori si sono sposati nel 1928, hannopregato per avere tanti figli (papà diceva che ne volevano 12) e che almeno un figlio si facesse prete e una figlia suora; che poi non è venuta perché mamma Rosetta, dopo tre figli maschi (Piero, Francesco e Mario), è morta nel 1934 di polmonite e di parto: con i due gemellini di cinque mesi che in un paese, a quel tempo, non potevano essere salvati.  Dio mi ha chiamato fin da bambino e lo ricordo bene. Quando avevo 8-9 anni, a chi mi chiedeva cosa avrei fatto da grande rispondevo deciso: il prete! Gli adulti si stupivano, ma non ho mai avuto altra aspirazione nella vita e ne ringrazio Dio e i genitori. Oggi, a 86 anni e 62 di sacerdozio, posso dire che è bello fare il prete e quando mi capita dico ai ragazzi, ai giovani: se Dio ti chiama, non dirgli di no. Devi rinunziare a te stesso e darti tutto a lui. E ne ricevi in cambio la vita eterna e cento volte tanto tutto quello che hai lasciato per seguire il Signore.

Perché è bello fare il prete? Perché sei nella condizione migliore per innamorarti di Gesù. Non hai piùproblemi di carriera, di soldi, diciamo anche di salute e di età che avanza: il prete non va mai in pensione, si sente sempre utile a tanti che cercano Dio. La fede non è solo intellettuale, è passione, innamoramento per Gesù Cristo e la Chiesa, per le persone che incontri alle quali porti la maggior ricchezza che abbiamo: la fede! Quanti santi preti ho incontrato nella mia vita che mi hanno aiutato a superare le mie passioni, le mie crisi e le mie sofferenze, perché quando sbagli e cadi nel peccato, il Signore ti fa sentire la sofferenza di essere lontano da Dio e ti perdona! Un esempio. Una delle peggiori crisi della mia vita è stata quando, nel 1994, dopo 40 anni di giornalismo missionario a Milano, il superiore generale del Pime, padre Franco Cagnasso, mi ha chiamato a Roma per scrivere la storia del Pime, che nel 2000 compiva 150 anni dalla fondazione. Cioè abbandonare Milano (le riviste, i viaggi, la rubrica di spiegare il Vangelo in Tv che avevo in RaiUno, ecc.) per andare a chiudermi in un archivio a Roma! 

La richiesta del superiore, anche ai miei amici giornalisti, pareva un assurdo e ho avuto la fortetentazione di rispondere di no. Mi svegliavo di notte, mi son venuti un po’ di capelli bianchi e mi sono confidato col mio confessore, che mi ha detto deciso: «Ai superiori bisogna obbedire sempre». Poco dopo sono andato in Birmania, invitato dal vescovo mons. Abramo Than che voleva iniziare la Causa di beatificazione di padre Clemente Vismara e ho scoperto che anche lui aveva avuto una forte crisi per lo stesso motivo: nel 1955, dopo 32 anni di missione a Monglin, dove partendo da zero aveva fondato una cittadella cristiana e decine di villaggi di battezzati, il vescovo di Kengtung, mons. Ferdinando Guercilena, gli chiedeva di andare a Mong Ping, per ricostruire una missione partendo ancora quasi da zero. In una lettera al fratello esprimeva tutta la sua sofferenza e scriveva:« Però debbo obbedire, perché capisco che se faccio di testa mia, sbaglio». Questo mi ha convinto e ho poi sperimentato che iniziare un lavoro nuovo a 65 anni è stata la mia fortuna, sono ringiovanito!

3) Mi ritengo un uomo fortunato per un terzo motivo. Durante l’ultima guerra mondiale (1940-1945), facevo le cinque classi del ginnasio nel seminario diocesano di Vercelli a Moncrivello. Attraverso le riviste missionarie (e le lettere di padre Vismara), ho scoperto le missioni. Dio mi ha chiamato a portare il Vangelo di Gesù a tutti i popoli della terra. Nel settembre 1945 sono venuto al Pime di Milano e ordinato sacerdote nel 1953 dal Beato cardinale Ildefonso Schuster. Ho poi visitato poco meno di 100 paesi nel Sud del mondo, incrociando guerre, terremoti, pericoli di vita (in Vietnam, Angola, Uganda, Somalia, Ruanda); ho sofferto la fame e la sete, dormito in capanne africane e indiane, con i topi che mi saltavano sulla brandina; ho passato una notte da solo nella foresta, chiuso nell’auto e circondato da animali feroci che si strusciavano contro quel mostro di ferro, immobile perché le ruote della pesante Bentley erano affondate nella sabbia e il mio taxista africano era corso in un villaggio vicino, ritornando però il mattino dopo con una decina di uomini.

La mia vita è stata un’avventura che ho vissuto con passione, tante rinunzie ma anche soddisfazioniperché ho visto dove e come nasce la Chiesa, con le meraviglie dello Spirito Santo come negli Atti degli Apostoli.  Mi sono reso conto della verità di quanto diceva la grande Madre Teresa: «I popoli hanno fame di pane e di giustizia, ma soprattutto hanno fame e sete di Gesù Cristo». E aggiungeva: «La più grande disgrazia dell'India è di non conoscere Cristo». Giornali e televisioni non lo dicono, ma questa è la verità: il più grande dono che possiamo fare ai popoli è l'annunzio della salvezza in Cristo e testimoniarlo nella nostra vita. Ecco perché sono pieno di gioia: mi sento utile agli uomini perché ho scelto di testimoniare e annunziare Gesù Cristo, di cui tutti hanno bisogno. Quando ero giovane, chiedevo a Dio di darmi l'entusiasmo per la vocazione sacerdotale e missionaria, e il dono della commozione fino alle lacrime quando parlavo o scrivevo del sacerdozio, della missione, della vocazione alla vita consacrata. Adesso sono ormai nella terza età e chiedo a Dio di non far diminuire in me la passione per il Regno di Dio che ho sperimentato fino ad oggi.

Sono pienamente d’accordo con don Primo Mazzolari, l'indimenticabile «tromba d'argento delloSpirito Santo nella Pianura padana» (così Giovanni XXIII), che ha scritto: «Se io non porto Cristo agli uomini sono un prete fallito. Posso fare molte cose buone nella vita, ma l'unica veramente indispensabile nella mia missione di prete è questa, comunicare il Salvatore agli uomini, che hanno fame e sete di Lui».






[Modificato da Caterina63 20/03/2015 16:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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