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RIFLESSIONI sulla Vita del sacerdote, sui Consacrati religiosi e i riflessi sui fedeli

Ultimo Aggiornamento: 14/03/2017 18:13
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26/04/2015 23:42
 
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"a noi sembra l'invasione dei gesuiti o la nuova serie degli "Men in Black": neri per neri, era meglio la talare"

Questa "battuta" in rete dopo il Regina Coeli di stamani, ci ha dato l'idea per chiarire alcuni punti su come vestono, o dovrebbero vestire i preti oggi.

L'immagine riporta l'invito che il Papa ha fatto stamani, di benedire con lui la folla radunata in piazza San Pietro per il consueto incontro mariano, a due dei diciannove Sacerdoti ordinati nella mattina in Basilica. Ci teniamo a sottolineare che l'articolo non ce l'ha con i neo Ordinati, anzi, ci stringiamo a loro con commossa e filiale letizia, augurando ogni Bene ed un fruttuoso Ministero. Abbiamo solo colto l'occasione - in se anche simpatica la foto - per approfondire una sorta di "caccia al tesoro", il tesoro è la talare, è scomparsa, qualcuno l'ha rubata, o qualcosa l'ha fatta sparire: dove è finita la talare?

Probabilmente non sbagliamo nell'osservare che questo, il famoso clergyman, è l'abito sempre usato da Bergoglio e da molti sacerdoti e vescovi a partire sempre dal Vaticano II anche se, è corretto dirlo, questo abito fu introdotto nella Chiesa Cattolica già dai primi del Novecento come abito da viaggio.

Per evitare di rispondere smossi dai nostri sentimenti, facciamo un piccolo passo indietro e andiamo a leggere, integralmente, la Lettera che Giovanni Paolo II indirizzò all'allora Vicario per la Diocesi di Roma, il cardinale Ugo Poletti:

Al venerato fratello Cardinale Ugo Poletti Vicario Generale per la diocesi di Roma.

Talare sacerdoti

La cura dell'amata diocesi di Roma pone al mio animo numerosi problemi, tra i quali appare meritevole di considerazione, per le conseguenze pastorali da esso derivanti, quello relativo alla disciplina dell'abito ecclesiastico.

Più volte negli incontri con i sacerdoti ho espresso il mio pensiero al riguardo, rilevando il valore ed il significato di tale segno distintivo, non solo perché esso contribuisce al decoro del sacerdote nel suo comportamento esterno o nell'esercizio del suo ministero, ma soprattutto perché evidenzia in seno alla Comunità ecclesiastica la pubblica testimonianza che ogni sacerdote è tenuto a dare della propria identità e speciale appartenenza a Dio.

E poiché questo segno esprime concretamente il nostro "non essere del mondo" (cf. Gv 17,14), nella preghiera composta per il Giovedì Santo di quest'anno, alludendo all'abito ecclesiastico, mi rivolgevo al Signore con questa invocazione: "Fa' che non rattristiamo il tuo Spirito... con ciò che si manifesta come una volontà di nascondere il proprio sacerdozio davanti agli uomini e di evitarne ogni segno esterno".

Inviati da Cristo per l'annuncio del Vangelo, abbiamo un messaggio da trasmettere, che si esprime sia con le parole, sia anche con i segni esterni, soprattutto nel mondo odierno che si mostra così sensibile al linguaggio delle immagini. L'abito ecclesiastico, come quello religioso, ha un particolare significato: per il sacerdote diocesano esso ha principalmente il carattere di segno, che lo distingue dall'ambiente secolare nel quale vive; per il religioso e per la religiosa esso esprime anche il carattere di consacrazione e mette in evidenza il fine escatologico della vita religiosa. L'abito, pertanto, giova ai fini dell'evangelizzazione ed induce a riflettere sulle realtà che noi rappresentiamo nel mondo e sul primato dei valori spirituali che noi affermiamo nell'esistenza dell'uomo. Per mezzo di tale segno, è reso agli altri più facile arrivare al Mistero, di cui siamo portatori, a Colui al quale apparteniamo e che con tutto il nostro essere vogliamo annunciare.

Non ignoro le motivazioni di ordine storico, ambientale, psicologico e sociale, che possono essere proposte in contrario. Potrei tuttavia dire che motivazioni di eguale natura esistono in suo favore. Devo però soprattutto rilevare che ragioni o pretesti contrari, confrontati oggettivamente e serenamente col senso religioso e con le attese della maggior parte del Popolo di Dio, e con il frutto positivo della coraggiosa testimonianza anche dell'abito, appaiono molto più di carattere puramente umano che ecclesiologico. Nella moderna città secolare dove si è così paurosamente affievolito il senso del sacro, la gente ha bisogno anche di questi richiami a Dio, che non possono essere trascurati senza un certo impoverimento del nostro servizio sacerdotale.

In forza di queste considerazioni, sento il dovere, come Vescovo di Roma, di rivolgermi a lei, signor Cardinale, che più da vicino condivide le mie cure e sollecitudini nel governo della mia diocesi, perché, d'intesa con le Sacre Congregazioni per il Clero, per i Religiosi e gli Istituti Secolari e per l'Educazione Cattolica, voglia studiare opportune iniziative destinate a favorire l'uso dell'abito ecclesiastico e religioso, emanando a tale riguardo le necessarie disposizioni e curandone l'applicazione.

Nell'invocare su di lei, signor Cardinale, e sull'intera diocesi di Roma l'onnipotente aiuto del Signore, per l'intercessione della Vergine santissima "Salus Populi Romani", di cuore imparto l'apostolica benedizione.

Dal Vaticano, 8 Settembre 1982.

****

Il 20 aprile del 1966, dopo il Vaticano II già la Conferenza Episcopale si era così espressa per mezzo di un Documento ufficiale:

"La Conferenza Episcopale Italiana, considerando la opportunità che l'abito ecclesiastico, pur nella tutela della dignità sacerdotale, possa venir adattato alle esigenze della vita contemporanea e alle nuove condizioni dell'apostolato, in conformità allo spirito del CIC can. 136 § 1, desiderando assicurare ai sacerdoti - anche in questa materia - uniformità di disciplina, a loro personale vantaggio e ad edificazione della comunità, conferma che l'abito talare rimane la veste normale dei sacerdoti e anche dei religiosi.

Esso è d'obbligo:

a) nella propria chiesa;

b) negli Istituti ecclesiastici;

c) nell'esercizio del sacro ministero;

d) nelle funzioni liturgiche, anche se tenute fuori chiesa;

e) nella sacra predicazione;

f) nell'amministrazione dei Sacramenti e dei Sacramentali;

g) nell'insegnamento religioso nelle scuole.

La Conferenza Episcopale stabilisce che sia consentito a tutti i sacerdoti di cambiare l'abito talare con il clergyman, consistente in: giacca e calzoni di stoffa nera (o grigio-ferro scuro) e collare ecclesiastico, in caso di viaggi, di escursioni, di uso di macchina da trasporto, ecc., cioè quando lo richieda la comodità in un'azione profana.

In qualunque ambiente e circostanza, entro e fuori Diocesi e all'estero, come in occasione di ferie, il suddetto abito, "utpote sacerdotii signum", dovrà essere indossato, in pubblico, completo: così che esso risulti per tutti i sacerdoti unico e ben caratterizzato, e gli ecclesiastici abbiano a poter essere riconosciuti come tali.

La Conferenza Episcopale Italiana esorta infine i sacerdoti a tener presenti - nell'uso del clergyman - le diverse situazioni dei luoghi, gli usi e le consuetudini, la sensibilità della popolazione e, memori delle parole dell'Apostolo: "Omnia mihi licent, sed non omnia expediunt; omnia mihi licent, sed non omnia aedificant" (I Cor. 10, 22-23), sappiano comprendere e attendere sino a che i fedeli affidati alle proprie cure siano preparati alla nuova prassi."

******

 

Il testo in questione fu scritto ed emanato proprio per distinguere l'uso della talare dall'uso del clergyman, da preferirsi (una tolleranza) per i tanti che erano diventati troppo "allergici" all'abito. In realtà sappiamo come andarono poi le cose. Non ci fu quella prudente attesa "sino a che i fedeli affidati alle proprie cure sarebbero stati preparati alla nuova prassi..." e non ci fu affatto un uso chiaro e distinto della talare poiché essa scomparve all'improvviso e per il clergyman, questo, non venne adottato subito, molti preti di quegli anni preferivano gli abiti "civili", ciò che i fedeli videro fu la laicizzazione dell'abito del sacerdote.

Da ben distinguere anche  che "l'abito ecclesiastico" del sacerdote non è il clergyman ma la talare, così come ne descrive significativamente l'uso San Giovanni Paolo II che chiedeva al suo vicario di: ""studiare opportune iniziative destinate a favorire l'uso dell'abito ecclesiastico e religioso, emanando a tale riguardo le necessarie disposizioni e curandone l'applicazione."

Un appello completamente ignorato e disatteso.

Il clergyman inizialmente era in uso tra i Pastori protestanti (specialmente anglicani, episcopaliani, evangelical), in uso in rare occasioni ai Vescovi che viaggiavano molto già nei primi del Novecento, in seguito venne accolto ed esteso l'uso, dopo il Vaticano II, anche in ambiente cattolico, prima come concessione per coloro che dovevano viaggiare e fare altre attività, in seguito è stato tollerato ed infine accolto come abito religioso (ma sempre con il particolare collo alla romana) seppur i Pontefici da Paolo VI in poi hanno sempre ribadito l'uso della talare quale convenienza dell'identità cattolica e lasciare quest'altra opzione del clergyman solo per i viaggi e in condizioni particolari.

Il nome dell'abito - clergyman - che non ha affatto lo stesso significato della talare, deriva dall'omonima terminologia inglese "pastore evangelico". Il clergyman non è "l'abito ecclesiastico" cattolicamente inteso, anche se la traduzione letterale indica semplicemente il termine "uomo del clero", poi da una concessione è diventata la norma... i Vescovi e il Papa indossano la talare ed usano il clergyman (tranne il Papa, almeno fino ad oggi) in occasioni particolari come viaggi o visite non ufficiali.

Oggi questi preti sembrano i nuovi, o novelli, Men in Black, nuovi preti in nero, quando lo indossano, e non di rado non li vediamo vestiti affatto da preti, quando pensano di essere più "piacioni" nell'indossare un jeans e maglietta alla moda....

Onestamente parlando non è un problema che i preti di oggi vestano il clergyman, ciò che infastidisce è quella apatia, antipatia, o addirittura battaglia contro la talare la quale, unica davvero nel suo genere religioso, proprio a causa del suo significato cattolico, è oggi perseguitata, gettata alle ortiche, un abito di cui vergognarsi. Oggi, quando si vede un sacerdote in clergyman, ci si rallegra, perché per lo meno ci si trova di fronte a un prete che obbedisce alle norme vigenti e non ha paura di mostrare la sua identità. Però però… non è la stessa cosa che vederlo in talare.

Un certo falso spiritualismo gnostico oggi alla moda, una delle tante anime del neo-modernismo, tende a farci dimenticare la grandiosa portata simbolica della lunga veste nera.

Vedere quella foto del Papa in talare bianca con accanto i due sacerdoti in clergyman, diciamoci la verità, sembrava di vedere un "Capo" con accanto le sue guardie del corpo, due Men in Black...

L'abito, pertanto, giova ai fini dell'evangelizzazione, diceva Giovanni Paolo II, e parlava della talare, non del clergyman.

Diceva il cardinale Siri sull'uso proprio del clergyman:

Credo difficile possa esistere nel nostro tempo, proprio per le sue caratteristiche, lo spirito ecclesiastico senza il desiderio e il rispetto dell'abito ecclesiastico. […] Qui non parliamo solo di «abito ecclesiastico», ma di talare. E guardiamo bene le cose in faccia, senza alcun timore di quel che si può dire. […] Alcuni, per boicottare l'uso della talare o per giustificarsi nell'aver ceduto alla moda corrente contraria all'abito talare, affermano: «Tanto la talare è un abito liturgico», volendo così esaurire l'eventuale uso della talare alla sola liturgia. Questo è apertamente falso e capziosamente ipocrita! […] Francamente è chiaro che il clergyman […] non è la soluzione più desiderata. Chi non ama la sua talare resisterà ad amare il suo servizio a Dio?

Il prossimo non sostituisce Dio! Non è soldato chi non ama la sua divisa. […] L'indirizzo da darsi è:

- che anche se la legge ammette il clergyman, esso non rappresenta in mezzo al nostro popolo la soluzione ideale;

- che chi intende avere l'integro spirito ecclesiastico deve amare la sua talare; […]

che la difesa della talare è la difesa della vocazione e delle vocazioni.

Il mio dovere di Pastore mi obbliga a guardare assai lontano. Ho dovuto constatare che la introduzione del clergyman oltre la legge e le depravazioni dell'abito ecclesiastico sono una causa, probabilmente la prima, del grave decadimento della disciplina ecclesiastica in Italia. Chi vuol bene al sacerdozio, non scherzi con la sua divisa!

[Testo tratto da: Card. Giuseppe Siri, A Te sacerdote, vol. II, Frigento: Casa Mariana, 1987, pp. 67-73, vedi qui testo integrale].

 

Concludiamo con queste riflessioni.

Quella tonaca nera svolazzante sulla rue Canabière, tra una folla più maghrebina che francese, ti fa voltare. Toh, un prete, e vestito come una volta, per le strade di Marsiglia. Un uomo bruno, sorridente, eppure con un che di riservato, di monacale. E che storia, alle spalle: cantava nei locali notturni di Parigi, solo otto anni fa è stato ordinato e da allora è parroco qui, a Saint-Vincent-de-Paul.[...]

Perché la talare? "Per me – sorride – è una divisa da lavoro. Vuole essere un segno per chi mi incontra, e soprattutto per chi non crede. Così sono riconoscibile come sacerdote, sempre. Così per strada sfrutto ogni occasione per fare amicizia. Padre, mi chiede uno, dov’è la posta? Venga, l’accompagno, rispondo io, e intanto si parla, e scopro che i figli di quell’uomo non sono battezzati. Me li porti, dico alla fine; e spesso quei bambini, poi, li battezzo. Cerco in ogni modo di mostrare con la mia faccia un’umanità buona. L’altro giorno addirittura – ride – in un bar un vecchio mi ha chiesto su quali cavalli puntare. Io gli ho dato i cavalli. Ho chiesto scusa alla Madonna, fra me: ma sai, le ho detto, è per fare amicizia con quest’uomo. Come diceva un prete, che è stato mio maestro, a chi gli chiedeva come convertire i marxisti: 'Occorre diventare loro amici', rispondeva".

Problemi, in strade a così forte presenza di musulmani immigrati? No, dice semplicemente: "Rispettano me e questa veste".

Più tardi poi lo intravedi da lontano, per strada, con quella veste nera mossa dal passo veloce. "La porto – ti ha detto – perché mi riconosca uno che magari altrimenti non incontrerei mai. Quello sconosciuto, che mi è estremamente caro". (1)

(da Avvenire del 29.11.2012)

Sia lodato Gesù Cristo +

1) padre Michel-Marie Zanotti-Sorkine, Autore del libro: I tiepidi vanno all'inferno. Piccolo trattato sul sale della vita - vedi qui.

   

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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