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Il sacerdote che insegnò a Giovanni Paolo II a parlare portoghese

Ultimo Aggiornamento: 12/06/2009 06:49
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Il sacerdote che insegnò a Giovanni Paolo II a parlare portoghese

Intervista a monsignor Fernando José Monteiro Guimarães



di Alexandre Ribeiro


SAN PAOLO, mercoledì, 10 giugno 2009 (ZENIT.org).- Nel 1980, durante i preparativi per il primo viaggio di Giovanni Paolo II in Brasile, un sacerdote brasiliano venne chiamato per lavorare nella Segreteria di Stato e aiutare il Papa a imparare il portoghese.

Oggi Vescovo di Garanhuns (Stato del Pernambuco, nel nord-est del Brasile), monsignor Fernando José Monteiro Guimarães, missionario redentorista, ha raccontato a ZENIT questa storia. Circa la facilità del Papa a imparare la lingua, il Vescovo confessa di essere arrivato a pensare: “Mio Dio, sto vedendo la realtà dello Spirito Santo”.

Come è diventato il professore di portoghese di Giovanni Paolo II?

Monsignor Fernando Guimarães: All'epoca lavoravo come assistente del Cardinale Eugênio Sales, Arcivescovo di Rio de Janeiro. Pur essendo missionario redentorista e vivendo in convento, lavoravo a tempo pieno al servizio dell'Arcidiocesi. Facevo parte dei consulenti della pastorale, dei consulenti della stampa e dell'équipe teologica del Cardinale Sales. All'inizio del 1980, quando si preparava la prima visita di Giovanni Paolo II in Brasile, nella Santa Sede si sentì il bisogno di un sacerdote brasiliano, perché all'epoca nella Curia Romana c'erano praticamente solo il Cardinale Agnelo Rossi e il Vescovo Lucas Moreira Neves.

Serviva qualcuno che nella Segreteria di Stato, insieme all'officiale lusofono, che era un monsignore portoghese, potesse incaricarsi dei preparativi del viaggio apostolico di Giovanni Paolo II, il terzo del suo pontificato. Non c'era know-how, mancava una struttura per un viaggio papale, che all'epoca era ancora una grande novità.

Andai a Roma nel febbraio 1980 per lavorare nella Segreteria di Stato. La preparazione del viaggio papale riguardava l'organizzazione generale della visita, dalla parte tecnica ai discorsi del Santo Padre in portoghese, al dialogo e all'intesa con la Conferenza Episcopale e con il Governo brasiliano.

Com'erano le lezioni di portoghese per il Papa?

Monsignor Fernando Guimarães: Ci incontravamo regolarmente per la celebrazione della Santa Messa nella cappella privata del Papa. Da febbraio a luglio del 1980, quando avvenne il viaggio, si organizzava due volte a settimana la celebrazione della Santa Messa in lingua portoghese. Con la collaborazione di monsignor Stanislaw Dziwisz, segretario particolare del Papa, chiamavamo per ogni Messa un gruppo di suore brasiliane a Roma, che venivano e cantavano in portoghese. Anche le letture erano in portoghese. Dopo la Messa, il Santo Padre le riceveva per un breve momento per la benedizione. Poi si andava a fare colazione, solo gli stretti collaboratori del Papa, e si iniziava il lavoro. Lavorava molto durante i pasti. L'abbiamo fatto due volte a settimana fino al momento del viaggio.

In quell'occasione, ho avuto l'onore di essere l'unico brasiliano membro della comitiva papale. Durante le 12 ore di viaggio, tra una città e l'altra, spesso durante i voli interni, era normale che il Papa mi chiamasse e allora ripassavamo i discorsi della tappa successiva.

Il Pontefice era quindi molto attento alla realtà che visitava?

Monsignor Fernando Guimarães: Sì, e questo mi colpì molto. Mi ricordo un episodio. Stavamo andando dal sud del Brasile al nord-est – in quel viaggio visitammo tutto il Paese, da nord a sud – e ricordo che facemmo uno scalo tecnico a Sergipe, perché l'ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede di allora era originario di lì. Quando l'aereo si stava già abbassando per atterrare, ricevetti un avviso da monsignor Stanislaw, che disse che il Papa mi chiamava.

Il Santo Padre mi disse: “Fernando, capisco che le case dei poveri di qui non sono uguali a quelle che abbiamo visto a sud. Quali sono le differenze?”. Dall'aereo vide le baraccopoli del nord-est. A sud aveva visto piccole case di legno. Stava vedendo per la prima volta case di fango e con il tetto di paglia. Il Papa voleva che gli spiegassi come viveva un povero del nord-est. Io, essendo di quella regione, glielo dissi. Giovanni Paolo II aveva una sensibilità enorme. Poi, al momento di pronunciare il suo piccolo discorso, fece delle improvvisazioni. Disse: “Signore, il tuo popolo soffre la fame”. Non c'era nel testo ufficiale. Era la sua reazione alla realtà che vedeva con i propri occhi.

Giovanni Paolo II ha imparato rapidamente il portoghese?

Monsignor Fernando Guimarães: Sì. In Vaticano, in uno di quegli incontri in cui si praticava la lingua portoghese, ricordo che usai una parola che non capiva. Me ne chiese il significato, lo annotò e continuammo il lavoro. Nell'incontro successivo, due o tre giorni dopo, a un certo punto compose una frase in portoghese con quella parola. Dopo averlo fatto mi guardò con lo sguardo che faceva quando voleva scherzare o provocare, chiudendo un po' gli occhi. Con un sorriso, mi fece capire: “Ha visto che ho imparato”.

Giovanni Paolo II aveva una facilità impressionante. Conosceva bene lo spagnolo. Quando era un giovane sacerdote, negli anni Quaranta, aveva studiato a Roma e aveva composto la tesi di dottorato in Teologia sulla fede negli scritti di San Giovanni della Croce, il grande mistico carmelitano spagnolo. Per compiere quello studio, dovette leggere gli scritti di San Giovanni nella lingua originale. E leggere lo spagnolo di San Giovanni della Croce significa non solo leggere lo spagnolo moderno di oggi, ma quello del XVI secolo. La conoscenza della lingua spagnola gli facilitò l'apprendimento del portoghese.

Qui in Brasile ebbe una difficoltà, che all'epoca fu anche menzionata da uno degli organi di stampa locali: era il suono nasale “ão”, che usciva come un suono più orale. All'epoca scherzarono dicendo che il voto per il professore di portoghese era 9.

Un altro esempio della facilità che aveva: nell'incontro privato con i Vescovi, al termine della visita, era previsto che alcuni presuli parlassero, anche non era nel programma. Il Papa non aveva alcun testo preparato per l'occasione. Ci furono cinque o sei interventi, in cui i Vescovi manifestarono le proprie preoccupazioni e le proprie ansie, con temi precisi e delicati. Io ero in fondo alla sala, accanto a monsignor Stanislaw, e dissi che il Papa poteva rispondere in una lingua che dominava bene, come lo spagnolo, il francese o l'italiano, che quasi tutti i Vescovi comprendono bene, vista la delicatezza dei temi.

Il Papa aveva chiesto all'inizio carta e penna per scrivere degli appunti. Al termine degli interventi, si alzò e disse in portoghese: “Capirete che non sono nelle condizioni di rispondere in questo momento, ma per favore datemi i testi per iscritto, li studierò con calma a Roma e risponderò. Per ora...” e lì iniziò, in portoghese, una riflessione seria, teologica, pastorale. Punto per punto, parlò poco più di 20 minuti, senza un testo scritto. Nonostante vari “italianismi” nella struttura, che non erano propriamente errori, se in tutto quel tempo fece quattro o cinque sbagli di portoghese è molto. Erano errori che non ostacolarono affatto la comprensione di ciò che stava dicendo. Quando finì di parlare, io, dal fondo della sala, pensavo tra me e me: “Mio Dio, sto vedendo la realtà dello Spirito Santo”.

[Traduzione dal portoghese di Roberta Sciamplicotti]
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