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"Caritas in Veritate" - Carità nella Verità: nuova Enciclica Sociale di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2010 18:43
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04/06/2010 20:34
 
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Da san Bonaventura alla "Caritas in veritate"

Il mistero del dono e la tirannia dell'autosufficienza



Il 5 e il 6 giugno si svolge a Bagnoregio il cinquantottesimo Convegno di Studi Bonaventuriani "La carità rivelazione della verità". Il sottosegretario del Sinodo dei vescovi ha anticipato a "L'Osservatore Romano" una sintesi del suo intervento.

di Fortunato Frezza

"La carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono". Sono queste le prime parole del terzo capitolo dell'enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, seguite da altre:  "La gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell'esistenza (...) La convinzione di essere autosufficiente e di riuscire a eliminare il male presente nella storia solo con la propria azione ha indotto l'uomo a far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale e di azione sociale" (n. 34).

Verità, carità, dono, gratuità, felicità sono categorie essenziali dell'intera enciclica, ne fondano lo statuto dottrinale, ne indicano l'appello testimoniale, ne rivelano tratti anche antropologicamente fecondi. In merito a dono e gratuità è richiamata nel documento la dottrina di sant'Agostino, il quale nel Dialogo sul libero arbitrio sembra voler precisare l'indeterminato, dare corpo all'invisibile, fornire razionalità teologale a un "senso interno", come intuitus alieno da pretese gnostiche, rivelatore di una certezza speculativa ed esistenziale, che dall'interiore umano rimanda a una verità eterna, che si chiama Dio o porta il nome santo di Gesù Cristo.

Se stupefacente è l'esperienza del dono, è perché questo salto da una evidenza introspettiva al riconoscimento di una eternità altissima è vertiginoso. Del resto l'enciclica non esita a spiegare che "l'essere umano è fatto per il dono, che ne esprime e attua la dimensione di trascendenza", accedendo alla quale l'uomo trova Dio con il suo nome.

È, dunque, certo che la verità, essendo dono come la carità, è più grande di noi, ci oltrepassa e oltrepassa i nostri meriti. Nello stesso dinamismo della verità è coinvolta la capacità di donazione, che come tale non si lascia imbrigliare dagli intrighi e dai grovigli del calcolo. Se una regola ha, essa è l'eccedenza, prossima alla trascendenza di Dio che in essa si dona. Infatti nell'ambito del dono l'eccedenza ha la duplice accezione di esigenza di oltrepassare i limiti convenzionali o banali del dare in contropartita e anche di sublimazione dell'autocoscienza fino alla carità increata di Dio.

Non a caso tale valicamento nell'Itinerarium di Bonaventura è chiamato excessus mentis, excessus contemplationis, che manifesta come Bonaventura si ispiri ad Agostino e proceda poi verso una novità, attraverso una tipica operazione bonaventuriana di dono, quale si manifesta nella contemplazione, come gratuito scambio tra Dio e la creatura nella stessa trascendenza di Dio. Si tratta di una vera e propria eccedenza della reciprocità mistica.

Bonaventura, commentando nel vangelo di Luca l'episodio dei dieci lebbrosi, spiega analiticamente le parole che Gesù rivolge all'unico guarito che torna sui suoi passi per ringraziare:  "Per approvazione della gratitudine aggiunge:  "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato". "Alzati", per penitenza, "Va'", per giustizia, ossia per obbedienza che è l'atto più nobile della giustizia, come un procedere da Dio a Dio, secondo Dio e per Dio. "La tua fede ti ha salvato", per fiducia; infatti la fede è l'inizio della nostra salvezza, essa rende noto il nome di Gesù Cristo. Di questa salvezza la speranza è sostegno; la carità è perfezione. Cristo dona la salvezza della fede".

L'incontro di Gesù con i lebbrosi è sollecitato dal loro grido univoco, unisono:  "Gesù maestro, abbi pietà di noi". Nessun altro, al di fuori della cerchia dei discepoli, ha mai chiamato Gesù con il titolo di "maestro", eppure, a miracolo avvenuto, i nove non hanno imparato la lezione e così facendo non cercano più il maestro, non avvertono l'impulso dell'obbedienza che procede da un interiore senso della giustizia nel riconoscere la fonte del dono, si assentano dall'ulteriore dialogo della salute recuperata e non scoprono, come secondo insegnamento, il segreto della guarigione, che è uno solo, la fede, anch'essa dono, dono di salvezza.

Salute e salvezza sono un doppio dono non corrisposto, amputato della reciprocità, privato della gratitudine:  una ingratitudine che tuttavia ha partorito paradossalmente la conoscenza della gratuità. Non c'è, infatti, momento maggiore di gratuità che l'assenza di gratificazione per il dono elargito. La sovrana libertà del dono, gratia gratis data, è quella che non ha riconoscimento e basta a se stessa, come segno di una carità suprema, amore che è stipendio a se stesso, eccedenza netta.
Nel solco della condotta ingrata affondano le radici ulteriori di infecondità, come nel caso dei nove, i quali, associati nell'egoistica euforia del beneficio, ma lontani dal maestro e dal compagno grato, si privano anche della festa della fraternità e della solidarietà. Per un dono che arriva, altri si sottraggono, e così l'incapacità di dono fomenta l'infelicità che non conosce l'alterità e tanto meno l'eccedenza.

L'autosufficienza recuperata può far regredire a uno stadio anteriore della coscienza, in cui si manifesta la presunzione "di far coincidere la felicità con forme immanenti di benessere" autonomo e irriconoscente. Bonaventura, l'abbiamo già detto, ha la felice, sorprendentemente moderna intuizione di introdurre nel discorso della gratitudine il riferimento alla giustizia. Il comando di Gesù al lebbroso grato è:  "Va'!" e Bonaventura attribuisce questa ingiunzione a una esigenza di giustizia, attratta comunque in una relazione pienamente teologale che trova in Dio l'origine, il fine, la dedicazione degli atti e della condotta di vita, "da Dio a Dio, secondo Dio e per Dio".

E Benedetto XVI dichiara:  "La logica del dono non esclude la giustizia e non si giustappone a essa in un secondo momento e dall'esterno e (...) lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità" (n. 34). Il riconoscimento dei campi di ciascuno, del dare e dell'avere di ogni persona o istituzione fonda la stessa possibilità dell'eccedere quei necessari e giusti ambiti di esperienza accertata, al di là dei quali si espande l'atto del dono.


(©L'Osservatore Romano - 4-5 giugno 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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