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Parlare in Chiesa ? il capo scoperto? san Paolo e i suoi insegnamenti alle Donne

Ultimo Aggiornamento: 07/03/2015 09:55
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Sesso: Femminile
11/08/2012 16:58
 
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Le collaboratrici nell’apostolato

Le lettere autentiche di Paolo contengono – specialmente nella loro parte finale – numerosi accenni a persone menzionate con il loro nome, spesso accompagnati da brevi titoli e osservazioni, che studiati singolarmente e nel loro contesto, si sono rivelati preziosi per ricostruire il quadro della situazione storica delle prime comunità cristiane, e in particolare il ruolo delle donne nel ministero apostolico.

Ad esempio, nella lettera ai Filippesi Paolo nomina due donne, Evodia e Sintiche, esortandole ad essere concordi nel Signore (4,2: παρακαλω το αυτο φρονειν εν κυριω), e prega un suo fedele compagno di aiutarle (a riconciliarsi), poiché esse hanno combattuto per il vangelo insieme con lui (αιτινες εν τω ευαγγελιω συνηθλησαν μοι), al pari di altri collaboratori (συνεργων) tra cui Clemente: “i loro nomi sono scritti nel libro della vita” (4,3).

Per queste donne l’aver lottato insieme all’apostolo per la diffusione del vangelo comporta in qualche modo l’aver esercitato almeno in parte lo stesso ministero dell’apostolo; inoltre le espressioni di ammirazione e il fatto che praticamente sono le uniche persone ad esser nominate – oltre a Clemente che è probabilmente un componente di quella chiesa – portano a dedurre che esse devono aver avuto un ruolo di primo piano nella conduzione di quella comunità[20]. Qualcosa di simile si può supporre anche di Cloe (1Cor 1,11) e soprattutto della "sorella Apfia" (Απφια τη αδελφη), unico caso di una donna esplicitamente citata da Paolo tra i destinatari di una sua lettera, subito dopo la menzione di Filemone e prima di Archippo (Fm 2)[21].

Ma è soprattutto nel capitolo conclusivo della lettera ai Romani che abbondano i riferimenti a donne collaboratrici nell’apostolato, a cui Paolo rivolge saluti e apprezzamenti[22].
Vediamoli in sintesi:

In Rm 16,1-16 Paolo nomina ventinove persone, riportando il nome di ventisette di loro, tra cui otto donne (più due senza nome, la madre di Rufo e la sorella di Nereo; vv. 13.15)[23].
La prima menzionata è Febe, detta “nostra sorella, che è diacono della chiesa di Cencre… patrona (προστατις) di molti e anche di me stesso” (vv. 1-2). La vedremo a parte.
Al v. 3 dice di salutare Prisca ed Aquila (suo marito). Prisca (o Priscilla), è identificata come collaboratrice (συνεργος)[24];
al v. 6 saluta Maria “che si è data molto da fare per voi” (πολλα εκοπιασεν εις υμας);
al v. 7 chiede di salutare “Andronico e Giunia… eccellenti tra gli apostoli” (εισιν επισημοι εν τοις αποστολοις). Giunia non è un uomo come molti commentatori – specialmente nel passato – hanno sostenuto, bensì una donna[25], di loro Paolo afferma che sono suoi parenti, e diventati discepoli di Cristo prima di lui (προ εμου γεγοναν εν Χριστω).
Al v. 12 dice di salutare Trifena e Trifosa, due donne che “si danno da fare per il Signore” (τας κοπιωσας εν κυριω); e “la carissima Perside”, anch’essa “si dà molto da fare per il Signore” (πολλα εκοπιασεν εν κυριω).
Al v. 13 saluta la madre di Rufo che è stata anche per Paolo una madre.
Al v. 15 si nomina infine Giulia e la sorella di Nereo.

Se si va a fare il conto di tutte le persone menzionate in 16,1-16, le donne sono circa un terzo degli uomini, e tuttavia le cose che si dicono di loro sono talmente rilevanti da far intravedere un loro ruolo di primo piano nelle prime comunità cristiane (e non solo in quelle di matrice paolina, in quanto sappiamo che Paolo scrive ad una comunità non fondata da lui), in quanto collaboratrici nel ministero apostolico di Paolo, o in generale in quanto “si sono date da fare per il Signore”[26].

Rm 16 dunque, come ha affermato un commentatore, può davvero essere intesa come “la più gloriosa attestazione di onore per l’apostolato della donna nella chiesa primitiva”[27].

Febe (Rm 16,1-2)[28]: sorella nella fede, diacono e patrona

Per quanto riguarda Febe, ci fermiamo ad analizzare il testo più da vicino:

1Vi raccomando (συνιστημι) Febe nostra sorella (αδελφην),
che è anche diacono (διακονον) della chiesa che è a Cencre,
2affinché la accogliate nel Signore in maniera degna dei santi
e l’assistiate nelle cose di cui può aver bisogno.
Poiché anche lei è stata patrona (προστατις) di molti e anche di me stesso.

Paolo inizia la sezione finale della lettera ai Romani raccomandando Febe[29] a quella comunità. Si tratta di una donna di Cencre - una delle due località portuali presso Corinto, situata nella parte orientale dell’istmo[30] (sul lato occidentale c’era l’altro porto, quello di Lecheo) – e il fatto che viene nominata per prima fa ritenere che fosse lei l’incaricata di recapitare la lettera stessa[31]. In realtà non conosciamo il motivo del suo viaggio a Roma; alcuni commentatori suppongono che abbia avuto da sistemare alcuni affari legati al suo lavoro[32].

Il verbo tipicamente paolino συνιστημι (raccomandare, dimostrare, consistere, esistere) è usato anche altrove per presentare e raccomandare un amico ad un altro[33].

Le credenziali di questa donna presentata da Paolo contengono tre titoli:
αδελφη/διακονος/προστατις.
Per quanto riguarda il primo, mentre il maschile “fratello” (αδελφος), quale appellativo di membri della stesso gruppo religioso, non è una caratteristica specifica cristiana, sembra invece che lo sia l’uso di sorella (αδελφη)[34]. Inoltre, il pronome possessivo “nostra” (ημων) è un’attestazione del fatto che era già comune il concetto di comunione e quindi di universalismo tra membri di chiese sparse nelle varie parti del mondo.

Febe è un diacono della chiesa di Cencre. Questo secondo titolo (διακονος) è stato oggetto di molte discussioni[35]. Innanzitutto si tratta di un sostantivo che serve invariato sia al maschile che al femminile (perciò non è pienamente corretto tradurlo con “diaconessa”, come fanno alcune Bibbie); inoltre occorre evitare l’anacronismo di attribuire a questo termine il significato che “diaconessa” assumerà nei secoli successivi[36].

Nel nostro caso non è nemmeno sufficiente pensare ad un generico “servizio” (si sarebbe probabilmente usato il verbo “διακονεω”, come in Rm 15,25; o le si sarebbe attribuita una generica “διακονια”, come in 1Cor 16,15), invece bisogna tener presente che con questo termine Paolo solitamente designa se stesso o i suoi collaboratori nell’esercizio del ministero apostolico (cf. ad es.: 1Cor 3,5; 2Cor 3,1-11; Fil 1,1; cf. Rm 15,8: Cristo diacono dei circoncisi)[37]; e come per quelle ricorrenze si traduce nella maggior parte dei casi con “ministro”- a cui è legato un ruolo di responsabilità e autorità nella chiesa - anche qui coerentemente andrebbe tradotto e compreso allo stesso modo[38].

Naturalmente occorre tener presente che a quel tempo il ruolo e i compiti di tipo ministeriale-gerarchico abbinati ai singoli titoli sono in piena evoluzione e non hanno ancora raggiunto una sufficiente comune comprensione (una prima istituzionalizzazione la si fa normalmente risalire al tempo delle lettere pastorali; cf. 1Tm 3,1s; Tt 1,5s)[39]; quindi anche la portata di quel ministero designato attraverso la connotazione di diacono, in ogni caso dipendeva dai contesti locali e dalle necessità delle singole chiese[40].
Comunque sia, Febe rimane la prima donna diacono di cui si viene a conoscenza nella storia del cristianesimo.

L’ultimo titolo è un hapax del NT: προστατις è un deverbale da προιστημι, che al transitivo significa “porre come patrono, capo”; all’intransitivo, “porsi davanti (come difensore)”; nelle due ricorrenze paoline il verbo al participio (προισταμενος) indica senz’altro il ruolo di guida e presidenza (cf. Rm 12,8; 1Ts 5,12). Ma vediamo più in particolare:
l’equivalente maschile è προστατης, ben attestato nella letteratura ellenistica[41], per il ruolo di persona benestante e influente, protettore legale, patrono e leader di gruppi religiosi. Per il femminile, le meno numerose attestazioni in papiri e iscrizioni (del secondo e terzo secolo), lasciano intendere lo stesso significato del maschile[42]. Nel nostro caso bisogna intendere dunque il senso di “donna posta sopra altri”, e normalmente andrebbe tradotto con “protettrice, patrona” o, in traduzione più moderna, “presidente”[43].
Occorre inoltre tener presente che, al contrario di quando si riteneva nel passato, il ritrovamento e lo studio recente di papiri e iscrizioni, fa registrare una discreta presenza di donne che detenevano ruoli da leader anche in gruppi religiosi[44].

Ora il fatto che Paolo affermi che Febe è stata patrona di molti e anche di lui stesso, lascia supporre che ella fosse benestante e altolocata socialmente. Probabilmente la sua casa era adatta ad ospitare la comunità cristiana di Cencre, della quale in quanto diacono era anche una leader. Inoltre nella sua generosità non mancava di offrire ospitalità e protezione ai missionari itineranti, come Paolo e collaboratori. Ciò che Paolo chiede dunque ai romani in termini di accoglienza e assistenza nei riguardi di Febe (16,2: ινα αυτην προσδεξησθε εν κυριω αξιως των αγιων και παραστητε αυτη εν ω αν υμων χρηζη πραγματι: “che l’accogliate nel Signore in maniera degna dei santi e l’assistiate nelle cose di cui può aver bisogno”) in qualche modo deve riflettere ciò che anche lei ha fatto (και γαρ αυτη προστατις πολλων εγενθη) nei confronti di fratelli e sorelle in Cristo, sia quelli appartenenti a quella comunità locale, che quelli di fuori che si trovavano a passare nella sua casa.

Insomma, i romani, nel ricevere e leggere la lettera di Paolo a loro destinata, si trovavano in presenza di una donna (probabilmente latrice dello scritto) di grande prestigio umano e cristiano, sorella nella fede, ministro della sua comunità di Cencre, benefattrice generosa e patrona per chiunque dei fratelli si fosse trovato a passare nella sua casa.




[SM=g1740771]  continua...........

[Modificato da Caterina63 11/08/2012 16:58]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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