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Parlare in Chiesa ? il capo scoperto? san Paolo e i suoi insegnamenti alle Donne

Ultimo Aggiornamento: 07/03/2015 09:55
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11/08/2012 17:01
 
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Note

[1] Alcune opere di riferimento in italiano:
E. Schüssler Fiorenza, In memoria di lei: Una ricostruzione femminista delle origini cristiane, Claudiana, Torino 1990 (orig. ingl. 1983); C.S. Keener, “Uomo e donna”, Dizionario di Paolo e delle sue lettere, a cura di G.F. Hawthorne; R.P. Martin; D.G. Reid; ed. ital. a cura di R. Penna, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1999; pp. 1576-1592; B. Byrne, Paolo e la donna cristiana, ed. Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1991 (orig. ingl. 1989). Per il quadro storico-sociale: E.W. Stegemann e W. Stegemann, Storia sociale del cristianesimo primitivo: Gli inizi nel giudaismo e le comunità cristiane nel mondo mediterraneo , EDB, Bologna 1998 (orig. ted. 1995); pp. 605-687.
Altri studi per approfondire:
G. Dautzenberg, “Zur Stellung der Frauen in den paulinischen Gemeinden”, in: Die Frau im Urchristentum, QD 95; ed. G. Dautzenberg et al.; Herder, Freiburg 1983, 182-224; S. Heine, Frauen der frühen Christenheit: zur historischen Kritik einer feministischen Theologie, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1986 (trad. ingl. 1987); C.S. Keener, Paul, Women and Wives: Marriage and Women's Ministry in the letters of Paul, Hendrickson, Peabody (MA) 1992; N. Baumert, Frau und Mann bei Paulus: Überwindung eines Missverständnisses, Echter, Würzburg 1992 (trad. Ingl. 1996); F.M. Gillman, Women who knew Paul, The Liturgical Press, Collegeville, MINN 1992; K.A. Gerberding, "Women Who Toil in Ministry", Cur TM 18 (1991) 285-291; P. Trebilco, "Women as Co-workers and Leaders in Paul's Letters", JCBRF 122 (1990) 27-36; J.-Y. Thériault, "La femme chrétienne dans les textes pauliniens", ScEs 37 (1985) 297-317; B. Witherington, Women in the Earliest Churches, University Press, Cambridge 1988.
Riguardo all’approccio femminista nell’esegesi biblica, cf. Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1993, pp. 59-62; “Numerosi sono i contributi positivi provenienti dall’esegesi femminista. Le donne hanno preso così una parte più attiva nella ricerca esegetica; sono riuscite a percepire, spesso meglio degli uomini, la presenza, il significato e il ruolo della donna nella Bibbia, nella storia delle origini cristiane e nella Chiesa. ... La sensibilità femminile porta a svelare e a correggere alcune interpretazioni correnti, che erano tendenziose e miravano a giustificare il dominio dell’uomo sulla donna” (p. 61).
Per una opinione ragionata sul contributo dell’esegesi femminista, cf. M. Perroni, “Lettura femminile ed ermeneutica femminista del NT; uno status quaestionis”, RivBiblIt 41 (1993) 315-339; Id., “Una valutazione dell’esegesi femminista: verso un senso critico integrale”, StPatav 43 (1996) 67-92 (dove si prende in esame soprattutto il testo di Lc 10,38-42).

[2] E. Schüssler Fiorenza, In memoria di lei, cit., p. 191-192. Sarebbero tanti gli esempi che si potrebbero portare per mostrare il punto di vista maschile-patriarcale che emerge da tante pagine della Scrittura, sia dell’AT che nel NT; basti pensare a Sir 25,12ss dove si descrive a tinte piuttosto forti la donna malvagia; o alla nota del narratore alla moltiplicazione dei pani (Gv 6,10): “Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini (ανδρες)”; oppure all’episodio dell’adultera (Gv 8,3s): perché nessuno si chiede che fine ha fatto l’adultero? E ancora, al modo di tradurre servilmente i testi sempre con il pronome maschile – singolare o plurale – quando chiaramente il senso è inclusivo (“padri”; “figli”; “fratelli”... e le madri? le figlie? le sorelle?); non dimentichiamo che gli autori umani della Bibbia sono esclusivamente di sesso maschile! E gli interpreti della Scrittura – almeno fino a qualche decennio fa - idem!

[3] Che naturalmente restano a far parte del canone neotestamentario e per molti cristiani continueranno ad essere considerate "paoline". Occorre però distinguere da questo materiale "post-paolino" i testi che hanno sicuramente Paolo come autore. In Ef e Col si trovano i testi che parlano della sottomissione della moglie al marito (Ef 5,22; Col 3,18); in 1Tm 2,11-15 si trova il testo più forte nella “limitazione di spazio” alle donne: si mette insieme silenzio e sottomissione; in vari altri brani delle Pastorali, ad esempio in 2Tm 3,6-7 si usano parole offensive per stigmatizzare certe donne con comportamento riprovevole; in Tt 2,3-5 si tratta di avvertimenti e limitazioni nel loro campo d’azione; ecc.

[4] Su questi due testi e per uno status quaestionis su vari aspetti del tema “Paolo e la donna”, vedi il recente e approfondito studio di G. Biguzzi, Velo e silenzio: Paolo e la donna in 1Cor 11,2-16 e 14,33b-36, EDB, Bologna 2001 (bibliografia: pp. 159-171). Si vedano inoltre i commentari alla 1Cor di C.K. Barrett, La prima lettera ai Corinzi, EDB, Bologna 1979 (orig. ingl. ’68); G. Barbaglio, La prima lettera ai Corinti, EDB, Bologna 1995; W. Schrage, Der erste Brief an die Korinther, 3 volls., (EKK VII, 1-3) Neukirchener Verlag, Zürich-Neukirchen-Vluyn 1991-1995-1999 (su 1Cor 11,2-16 il II vol. [1Kor 6,12-11,16] pp. 487-541).

[5] Per questo secondo brano trova sempre più sostenitori l’ipotesi che si tratti di una interpolazione (l’indizio che più viene segnalato è quello di una diversa collocazione di questi versetti in vari manoscritti antichi); Schrage ne è talmente sicuro che addirittura mette in appendice il commento dei vv. 33-34, cf. Schrage, Korinther, cit., III vol. (1Kor 11,17-14,40) pp. 479-501; Cf. anche Barbaglio, La prima lettera ai Corinti, cit., p. 732; 764-768.
Per il primo brano invece i pochi fautori dell’ipotesi non si possono avvalere di argomenti di critica testuale.

[6] Almeno nella metà dei casi, nei titoli nelle Bibbie e nei commentari si usa il termine “velo”: in realtà nel brano non ricorre mai il termine specifico (cf. invece καλυμμα, che ricorre le uniche quattro volte in tutto il NT in 2Cor 3,13-16; c’è un sinonimo in 1Cor 11,15: περιβολαιον); si tratta quindi già di un’interpretazione suggerita dall’aggettivo ακατακαλυπτος di 1Cor 11,5 (ακατακαλυπτω τη κεφαλη = “a capo scoperto / svelato”; e soprattutto dalla variante testuale presente in alcune versioni e testimoni patristici, “καλυμμα” al posto di “εξουσια”).

[7] Cf. le varie traduzioni italiane: “Per questo la donna deve portare un segno di dipendenza sul capo, a motivo degli angeli” (Paoline 1985); La traduzione della CEI 1974 impiega addirittura cinque parole per tradurre εξουσιαν “un segno della sua dipendenza” (la Versione CEI 1997: “un segno dell’autorità”); forse per le traduzione moderne sarebbe stato meglio dare più peso alla traduzione letterale della Volgata: “ideo debet mulier potestatem habere supra caput propter angelos”. Tralasciamo la questione degli angeli, dato che non interessa direttamente per il nostro scopo.

[8] Rimandiamo allo studio di Biguzzi, cit., pp. 42-48.

[9] Così ad esempio G. Barbaglio, La prima lettera ai Corinti, cit., p. 530; e lo stesso Biguzzi, cit., p. 46.

[10] Sulla posizione della donna nel mondo antico, cf. S.E. Kraemer, “Women in the Religions of the Greco-Roman World”, RSR 9 (1983) 127-139; e soprattutto E.W. Stegemann e W. Stegemann, Storia sociale del cristianesimo primitivo, cit., pp. 605-687.
Qualche eccezione è rappresentata da alcuni culti misterici giunti dal vicino Oriente, da alcune scuole filosofiche che almeno in teoria sostenevano l’uguaglianza tra la donna e l’uomo; cf. per questo e sul mito dell’androgino, W.A. Meeks, “Image of the Androgyne” HR 13 (1974) 165-208, citato da Byrne, cit., p. 27.

[11] Per questa ipotesi cf. Biguzzi, cit., pp. 121-127.

[12] Id., pp. 142-152.

[13] Per dei commentari a Gal cf. A. Pitta, Lettera ai Galati, EDB Bologna 1996 (su 3,28 pp. 224-230); A. Vanhoye, Lettera ai Galati, Paoline, Milano 2000 (su 3,28 pp. 99-103); R.N. Longenecker, Galatians, Word Books, Dallas – Texas 1998.

[14] Propende per la provenienza prepaolina di questi binomi Byrne, cit., p. 26 (ivi ulteriore bibliografia); per l'origine paolina invece, Pitta, Galati, cit. p. 226.229.

[15] La costruzione del terzo binomio con και invece di ουδε – che non implica una variazione di significato - avvalora l'ipotesi della citazione implicita di LXX Gen 1,27 (αρσεν και θηλυ εποιησεν αυτους); così anche Pitta, Galati, cit. p. 229; Vanhoye, Galati, cit., p. 101.

[16] Per avere un confronto al negativo, si può citare la preghiera che l’ebreo recitava tre volte al giorno: “Ti ringrazio che non mi hai fatto pagano / che non mi hai fatto donna / che non mi hai fatto ignorante”; Queste tre berakhot sono attribuite a R. Judah ben Elai (circa 150 d.C.) in t. Ber. 7.18 e j. Ber. 13b, oppure a R. Meier (suo contemporaneo) in b. Menahi. 43b. Ma anche nel mondo Greco esistevano analoghe espressioni di “gratitudine”, ad es.: “che sono nato un essere umano e non una bestia, uomo e non donna, greco e non barbaro”, attribuite a Talete e a Socrate in Diogene Laerzio, Vitae Philosophorum 1,33; a Platone nel Marius di Plutarco (46,1); cf. R.N. Longenecker, Galatians, cit., ad loc..

[17] Naturalmente il tema dell’imparzialità e dell’uguaglianza di dignità emerge già dalla predicazione e dalla prassi di Gesù stesso; per un approfondimento di questo argomento cf. J. Moloney, Woman: First Among the Faithful, Collins Dove, Melbourne 1984 (specialmente alle pp. 8-25); ed anche Schüssler-Fiorenza, In Memoria di lei, cit., pp. 125-228.

[18] Ad esempio riconoscendo alla donna uguale diritto a ripudiare il coniuge, v. 13.

[19] Altre ricorrenze di questi binomi: 1Cor 12,12-13; Col 3,11.

[20] Cf. W. Cotter, "Women's Authority Roles in Paul's Churches: Countercultural or Conventional”, NT 36 (1994) 350-372; ritiene che delle 13 donne menzionate da Paolo, almeno 6 devono aver avuto ruoli da leader, cf. nota 2, p. 350.

[21] Cf. R. Penna, Lettera ai Filippesi. Lettera a Filemone, Città Nuova, Roma 2002, p. 171. Forse Apfia era la moglie di Filemone? È probabile comunque che condividesse con gli altri due destinatari un ruolo di guida nella comunità che si radunava nella sua casa.

[22] A favore dell’appartenenza di questo capitolo finale all’originaria lettera scritta da Paolo ai Romani, ultimamente anche R. Penna, “Note sull’ipotesi efesina di Rom 16”, in: Atti del VIII Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo, a cura di L. Padovese, "Turchia: la Chiesa e la sua storia" XV, Pont. Ateneo Antoniano, Roma 2001, 109-114.

[23] Per il ruolo delle donne nella chiesa delle origini a partire da Rm 16, cf. S. Schreiber, "Arbeit mit der Gemeinde (Rom 16,6.12). Zur versunkenen Möglichkeit der Gemeindeleitung durch Frauen", in NTS 46 (2000) 204-226; Cf. F.M. Gillman, Women Who Knew Paul, Wilmington 1989; E. Schüssler Fiorenza, “Missionaries, Apostles, Coworkers: Romans 16 and the Reconstruction of Women’s Early Christian History”, WW 6 (1986) 420–33; P. Richardson, “From Apostles to Virgins: Romans 16 and the Roles of Women in the Early Church.” TJT 2 (1986) 232–61.
Per ultimo segnalo la recentissima pubblicazione di C. Marcheselli Casale, “Uno spaccato originale nella chiesa delle origini. Rm 16,1-2.3-16”, in: La Lettera ai Romani. Esegesi e Teologia, a cura di V. Scippa, Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sez. S.Tommaso d’Aquino, Napoli 2003, pp. 111-136 (con ulteriore bibliografia); di questo interessante studio condivido ampiamente sia la metodologia che le tesi di fondo (il rivelante ruolo ecclesiale delle donne nella chiesa delle origini, che emerge in particolare nelle figure di Febe e Giunia); l’ho avuta tra le mani soltanto nella fase di revisione di bozze del presente articolo, e quindi non ho potuto utilizzarla più ampiamente.

[24] Non ci soffermiamo a parlare dell'importante figura di Prisca/Priscilla (in quanto si tratterebbe del campo specifico delle coppie impegnate nell’evangelizzazione): basterebbe il suo esempio di coadiutrice di Paolo e di maestra nella fede addirittura di un apostolo come Apollo (assieme a suo marito Aquila, cf. At 18,26) per fornire un solido argomento contro l’interpretazione restrittiva del mulieres taceant. Tuttavia non va lasciato cadere il fatto "anormale" – e perciò ancor più significativo - che delle sei ricorrenze totali nel NT di "Prisca/Priscilla", ben quattro volte è anteposta a quella di Aquila suo marito (Rm 16,3; At 18,18.26; 2Tm 4,19; è al secondo posto in 1Cor 16,19 e in At 18,2): chiaro segno della preminenza e della celebrità di questa donna nella chiesa delle origini.

[25] Si registra ancora qualche voce contraria, cf. M. H. Buber – D. B. Wallace, “Was Junia really an Apostle? A Re-examination of Rm 16,7”, NTS 47 (2001) 76-91; la maggioranza degli studiosi tuttavia, a ragion veduta, sostiene l’interpretazione femminile; tra gli altri, cf. J.D.G. Dunn, Romans 9-16, Dallas, Texas, Word Books 1998, ad loc.; J.A. Fitzmyer, Romans, Doubleday, New York 1993, p. 737-738 (trad it. Piemme, Casale Monferrato 1999). Anche i copisti, probabilmente presi dal dubbio che Paolo potesse attribuire ad una donna il nome di apostolo, corressero a volte con il maschile “Junianus”. Cf. inoltre B.J. Brooten, “ ‘Junia … Outstanding among the Apostles’ (Romans 16:7)”, In Women Priests, ed. L. and A. Swidler, Paulist, New York 1977, pp. 141-144; R.S. Cervin, “A note regarding the Name «Junia(s)» in Romans 16.7”, NTS 40 (1994) 464-470; J. Thorley, “Junia, a Woman Apostle”, NT 38 (1996) 18-29.

[26] S. Schreiber, sostiene che il verbo κοπιαω (usato in Rm 16 per quattro donne), indichi non soltanto attività apostoliche generiche, ma un ruolo nella guida carismatica della comunità; cf. Id., “Arbeit mit der Gemeinde”, cit., p. 204. 209. 224.

[27] Cf. P. Ketter, “Die Frau im Dienste der kirchlichen Gemeinde zur Zeit der Apostel”, Theologisch-praktische Quartalschrift 88 (1935) 36-52; 262-268; p. 49 (“Die herrlichste Ehrenurkunde für das Apostolat der Frau in der Urkirche”); citato in Biguzzi, cit., p. 134, nota 131. Ancora più deciso J.D.G. Dunn: “Per quanto riguarda il ministero femminile nelle chiese paoline la posizione non potrebbe essere più chiara. Le donne prevalgono nel ministero. Basta prendere il capitolo finale [di Rm], i dati parlano da soli”; Id., La teologia dell'apostolo Paolo, Paideia, Brescia 1999, p. 568-569.

[28] R. Jewett, “Paul, Phoebe and the Spanish Mission”, in The Social World of Formative Christianity and Judaism: Essays in Tribute to Howard Clark Kee, ed. J. Neusner et al., Philadelphia 1988, pp. 142–61; E.J. Goodspeed, “Phoebe’s Letter of Introduction” HTR 44 (1951) 55–57; M. Ernst, “Die Funktion der Phoebe (Röm 16,1f.) in der Gemeinde von Kenkrai”, Protokolle zur Bibel 1 (1992) 135-147. C.F. Whelan, “Amica Pauli: The Role of Phoebe in the Early Church”, JSNT 49 (1993) 67-85.

[29] Il nome Febe è preso dalla mitologia greca; era una Titana figlia di Urano e Gaia; significa “splendente, luminosa”; si deduce che questa donna era quindi di origine pagana.

[30] Notizie in Strabone, 8.335, 369.

[31] Cf. 2Cor 8,16-24; Fil 2,25-30; Fm 8-20; Per quanto riguarda la figura del latore delle lettere paoline, cf. A. Pitta, Il paradosso della Croce. Saggi di teologia paolina, Piemme, Casale Monferrato (AL), 1998, p. 25. Nel suo commento a Romani, Pitta suppone che in quanto latrice della lettera, a lei Paolo affida il compito di spiegarne il complesso contenuto; cf. Id. Lettera ai Romani, Paoline, Milano 2001, p. 514-515.

[32] πραγμα (16,2) è normalmente un termine generale (“compito, affare, faccenda”); ma si trova anche nel senso più specifico di “causa legale, processo”, come testimoniato da alcuni papiri ed anche da 1Cor 6,1.

[33] Delle 16 volte che ricorre nel NT (frequente invece nella LXX, 44 volte), 14 volte si trova nelle lettere paoline (Rm 3,5; 5,8; 16,1; 2Cor 3,1; 4,2; 5,12; 6,4; 7,11; 10,12.18; 12,11; Gal 2,18; Col 1,17; Lc 9,32; 2Pt 3,5); nel senso di “raccomandare qualcuno ad un altro” è attestato nella letteratura antica extrabiblica ed anche in 2Mac 9,25; in 2Cor 3,1 Paolo accenna alla pratica di scrivere lettere di raccomandazione.

[34] Cf. J.D.G. Dunn, Romans 9-16, cit. ad loc.; per altre ricorrenze del termine tecnico nel NT, cf. 1Cor 7,15; 9,5; Fm 2; Gc 2,15.

[35] Cf. H. W. Beyer, Diakonos, in GLNT II, 969-984; K. Romaniuk, “Was Phoebe in Romans 16,1 a Deaconess?”, ZNW 81 (1990) 132-134; G. Lohfink, “Weibliche Diakone im Neuen Testament“, Diakonia 11 (1980) 385–400; più in generale sui ministeri nel NT: K. Kertelge, Gemeinde und Amt im Neuen Testament, München, Kösel 1972; C.K. Barrett, Church, Ministry and Sacraments in the New Testament, Exeter, Paternoster Press, 1985; H. Hauser, L'église à l'âge apostolique: Structure et évolution des ministères, (Lectio divina 164) Cerf, Paris 1996; C. Perrot, Ministri e ministeri. Indagine nelle comunità cristiane del Nuovo Testamento, San Paolo, Milano 2002 (orig. fr. Paris 2000), sintesi sul ministero delle donne pp. 254-259.

[36] Ad es. in Costitutiones Apostolicae 3.7; Epifanio nel Panarion (376) precisa che esse non esercitano un ministero presbiterale, ma assistono nel battesimo delle donne. In epoca patristica le diaconesse erano “semplici cooperatrici che si occupavano prevalentemente dell’istruzione delle giovani e delle opere di carità”, cf. Byrne, cit., 106.

[37] Anche il genitivo oggettivo, “della chiesa di Cencre”, parla a favore di una funzione ben determinata e riconosciuta all’interno di quella comunità; non si tratta dunque di un servizio generico.

[38] Così traduce ad es. anche J.A. Fitzmyer, Romans, cit., p. 728.

[39] Cf. C. Marcheselli-Casale, Le Lettere Pastorali. Le due Lettere a Timoteo e la Lettera a Tito, EDB, Bologna 1995, l’excursus: Un ufficio di diaconessa nel NT? (1Tm 3,11), pp. 251-254.

[40] Attestazioni in età apostolica le troviamo in Ignazio d’Antiochia, Efesini 2,1; Magnesi 6.1.

[41] Cf. Filone, Virt. 155; Giuseppe Flavio, Ant. 14.157; ecc.

[42] Per la papirologia cf. O. Montevecchi, “Phoebe prostatis (Rom. 16,2)”, Miscellània papirologiga Ramon Roca-Puig en el seu vuitantè aniversari, ed. S. Janeras (Barcelona: Fund. S. Vives Casajuana, 1987) 205-16; M. Zappella, “A proposito di Febe προστατις (Rm 16,2)”, RivBib 37 (1989) 167-171.

[43] Così propone di tradurre R.R. Schulz, “A Case for ‘President’ Phoebe in Roman 12:2”, LTJ 24 (1990) 124-127.

[44] Per i titoli di αρχισυναγωγος o γυμνασιαρχος, attribuiti ad una donna, cf. B. Brooten, Women Leader in Ancient Synagogues, Chico, CA, Scholars, 1982 (specialmente cap. I).

[45] Oltre ai commentari agli Atti (cf. J.A. Fitzmyer, Gli Atti degli Apostoli, Queriniana, Brescia 2003; G. Rossé, Atti degli Apostoli, Città Nuova, Roma 1998), cf. I. Richter Reimer, “Lydia and Her House”, in: Id., Woman in the Acts of the Apostles. A Feminist Liberation Perspective, Fortress Press, Minneapolis 1995 (orig. ted. 1992), pp. 71-132 ; a livello di buona divulgazione, cf. R. Chiarazzo, “Lidia e la sua casa. E il Signore le aprì il cuore”, Rogate 1 (2002) 21-26.

[46] Un saggio della diversa prospettiva con cui si leggono gli stessi eventi lo si può facilmente avere leggendo At 15,1-29 e Gal 2,1-10, dove si tratta dell’assemblea di Gerusalemme.

[47] Cf. M. Perroni, Il discepolato delle donne nel Vangelo di Luca: Un contributo all'ecclesiologia neotestamentaria, Pontificio Ateneo S.Anselmo, Roma 1995.

[48] Per uno status quaestionis cf. la buona sintesi in G. Rossé, Atti, cit., pp. 50-63.

[49] Il nome viene da Filippo II, padre di Alessandro Magno; non aveva una popolazione numerosissima; la sua importanza le derivava dalla posizione strategica sulla via Egnatia. Divenuta colonia romana dal 42 a.C., godeva dello Jus Italicum (autoamministrazione e immunità da tasse di proprietà), era dunque in tutto una città romana.

[50] Per uno studio aggiornato di queste figure, cf. B. Wander, Timorati di Dio e simpatizzanti: studio sull'ambiente pagano delle sinagoghe della diaspora, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2002.

[51] Forse perché erano pochi i giudei presenti a Filippi, non sufficienti a formare il quorum per una sinagoga? O si radunavano fuori perché erano discriminati dalle autorità?

[52] Per uno studio approfondito della questione se la parola προσευχη indica una sinagoga o un luogo di preghiera all’aperto, cf. I. Richter Reimer, “Lydia...”, cit., p. 79-92.

[53] Così I. Richter Reimer, “Lydia...”, p. 77.

[54] Nella prospettiva dell’antropologia semitica non c’è una grande differenza di senso tra i due termini. Nella LXX νους ("mente") è raro; È usato 6 volte per tradurre l’ebraico leb-lebab ("cuore").

[55] Paolo è sempre stato contrario a ricevere per sé aiuti materiali o compensi dalle comunità che andava evangelizzando: cf. 1Cor 9,4.6-18, 2Cor 7,2; 11,7-10 (qui fa riferimento all'aiuto ricevuto dai "fratelli giunti dalla Macedonia"); in Fil 4,15-16 abbiamo la conferma di questa eccezione ("Proprio voi, Filippesi, sapete che all'inizio dell'evangelizzazione, quando lasciai la Macedonia, nessuna chiesa aprì un conto con me di dare e di ricevere, eccetto voi soli, e che una o due volte, mentre ero a Tessalonica, avete provveduto alle mie necessità"); anche gli Atti degli Apostoli attestano questo principio: cf. At 18,3; 20,34 ("Voi sapete che alle mie necessità e a quelle di coloro che erano con me hanno provveduto queste mie mani").

[56] Resta tuttavia la domanda: perché Paolo scrivendo ai Fil a distanza di alcuni anni da questo episodio non menziona Lidia? Forse aveva già lasciato Filippi? (così Penna, Filippesi, cit., p. 128) O era morta nel frattempo? Comunque è abbastanza probabile che le due donne menzionate nella lettera, Evodia e Sintiche (Fil 4,2-3) facessero parte dell’entourage di Lidia, che frequentassero quella che era stata la sua casa, ormai stabilmente divenuta chiesa domestica.

[57] Già nella Mulieris Dignitatem (1988) il Papa aveva coraggiosamente “corretto” un’interpretazione androcentrica e discriminatoria della Genesi e delle lettere paoline (cf. MD 9. 24).
Sulla missione profetica e di predicazione del vangelo, cui la donne partecipano alla pari con gli uomini, cf. Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti, Giovedì Santo 1995 (25 marzo 1995, punto 6).
L’invito appassionato a cambiare mentalità emerge soprattutto da queste parole del Papa: “Faccio oggi appello all’intera comunità ecclesiale, perché voglia favorire in ogni modo, nella sua vita interna, la partecipazione femminile... le donne partecipino alla vita della Chiesa senza alcuna discriminazione, anche nelle consultazioni e nell’elaborazione delle decisioni. È questa la strada che va percorsa con coraggio. In gran parte si tratta di valorizzare pienamente gli ampi spazi che la legge della Chiesa riconosce alla presenza laicale e femminile: penso ad esempio alla docenza teologica, alle forme consentite di ministerialità liturgica, compreso il servizio all’altare, ai consigli pastorali e amministrativi, ai sinodi diocesani e ai concili particolari, alle varie istituzioni ecclesiali, alle curie e ai tribunali ecclesiastici, a tante attività pastorali fino alle nuove forme di partecipazione nella cura delle parrocchie, in casi di penuria del clero, salvo compiti propriamente sacerdotali. Chi può immaginare quali grandi vantaggi verranno alla pastorale, quale nuova bellezza assumerà il volto della Chiesa, quando il genio femminile sarà pienamente riversato nei vari ambiti della sua vita?” (Saluto domenicale, 3 settembre 1995); sullo stesso argomento, cf. Vita consecrata, 57 (1996); Ecclesia in Europa 43 (28 giugno 2003).
Tutto questo – pur se non è il massimo – è già tanto: sarebbe un grande salto di qualità nella Chiesa se venisse recepito e messo in pratica!


[Approfondimenti]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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