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RUFINO di Aquileia: brani scelti

Ultimo Aggiornamento: 30/07/2009 23:23
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30/07/2009 23:20
 
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SPIEGAZIONE DEL SIMBOLO

1. Il mio animo, o fedelissimo papa Lorenzo, non tanto è riluttante a scrivere quanto neppure capace, ed io so che non è senza pericolo presentare al giudizio di molti un ingegno di modesta capacità. Ma, per dirla col tuo permesso, temerariamente tu mi forzi, in nome dei sacramenti di Cristo che noi riceviamo con la massima reverenza, a scrivere per te qualcosa sulla fede secondo la tradizione e l’interpretazione del Simbolo: perciò, anche se il peso della tua imposizione è al di sopra delle nostre capacità (non ignoro infatti le parole dei sapienti che molto giustamente affermano esser pericoloso dire di Dio anche cose vere), tuttavia se tu aiuterai con la preghiera l’obbligo derivante dalla richiesta che imponi, cercheremo di dire qualcosa più per rispetto di obbedienza che per presunzione d’ingegno; e questa esposizione non tanto sarà degna delle meditazioni dei perfetti quanto sarà adattata all’ascolto di coloro che sono piccoli in Cristo e si iniziano alla fede.

So che alcuni illustri scrittori hanno scritto su questo argomento brevemente e in modo ortodosso. Invece l’eretico Fotino ha scritto in proposito non per chiarire agli ascoltatori il significato delle parole (del Simbolo) ma per trarre a sostegno della sua dottrina ciò ch’era stato detto in forma semplice e conforme alla fede, dato che lo Spirito Santo aveva provveduto che in queste parole non vi fosse alcunché di ambiguo, di oscuro, di discordante col resto del discorso.

Infatti proprio a proposito di questo testo si realizza la profezia che dice: "È parola infatti che conclude con brevità ed equità, poiché il Signore parlerà con poche parole sulla terra" (Is. 10, 23; Rom. 9, 28). Perciò noi cercheremo sia di conservare la semplicità propria delle parole degli apostoli sia di completare ciò che è stato tralasciato dai precedenti interpreti. Ma perché diventi più chiaro il significato di questo testo che è – come abbiamo detto – di poche parole, esporrò dall’origine il motivo per cui questa tradizione è stata data alle Chiese.

2. Come tramandano i nostri predecessori (At 2, 14), dopo l’ascensione del Signore, quando per la venuta dello Spirito Santo sopra ad ognuno degli apostoli si posarono lingue di fuoco perché essi parlassero con diversi e svariati linguaggi sì che nessuna gente straniera, nessuna lingua barbara sembrasse loro inaccessibile e preclusa, fu loro comandato di partire alla volta di ogni singola nazione per predicare la parola di Dio (At 1, 5). Sul punto di partire e di separarsi gli uni dagli altri, stabiliscono in comune la norma della loro futura predicazione, perché non avvenisse che, allontanandosi gli uni dagli altri, comunicassero qualcosa di diverso a coloro che invitavano ad abbracciare la fede di Cristo. Perciò stando tutti insieme e ripieni di Spirito Santo, mettendo insieme ciò che ognuno sentiva, compongono – come abbiamo detto – questa breve traccia della loro futura predicazione, e stabiliscono di dare tale norma a quanti avrebbero creduto.

La vollero chiamare simbolo per molte e motivate ragioni. Infatti in greco la parola simbolo significa indizio e apporto collettivo, cioè ciò che più persone mettono insieme: infatti proprio questo fecero gli apostoli in quei loro discorsi, mettendo insieme ciò che ognuno sentiva. È detto poi indizio e segno perché in quel tempo, come dice l’apostolo Paolo ed è riferito negli Atti degli apostoli (2Cor 11, 13; At 15, 1; Rom 16, 18). molti dei Giudei circoncisi fingevano di essere apostoli di Cristo e per guadagno e ingordigia partivano a predicare, nominando, sì, Cristo ma annunziandolo non secondo le schiette linee della tradizione. Perciò essi stabilirono questo segno, al fine che si riconoscesse colui che annunziava Cristo veramente secondo le norme apostoliche. Dicono infine che anche nelle guerre civili viene osservata tale usanza: poiché uguale è la foggia delle armi e medesimo il suono della voce e uno solo il modo di vivere e uguali le norme del combattere, ognuno dei generali dà ai suoi soldati simboli che sono tenuti segreti, che in latino sono definiti segni (signa) e indizi (indicia): in tal modo, se per caso ci si imbatte in qualcuno di cui non si è sicuri, questi interrogato sul simbolo, rivela se sia nemico o amico.

Stabilirono infine che tali norme non fossero trascritte su fogli di qualsiasi genere bensì fossero ritenute a memoria, perché fosse certo che nessuno le avrebbe apprese da un testo scritto, che talvolta può anche venire nelle mani di chi non è credente, e che invece tutti le avrebbero apprese dalla tradizione degli apostoli. Perciò, come abbiamo detto, al momento di allontanarsi per andare a predicare, gli apostoli stabilirono questa norma della loro concordia e della loro fede: non come i figli di Noè, al momento di allontanarsi gli uni dagli altri costruirono con mattoni cotti e catrame una torre la cui cima toccasse il cielo (Gen 11, 1-9); ma con pietre vive e perle del Signore edificarono una difesa della fede che potesse stare salda di fronte al nemico: né i venti l’avrebbero spinta giù né i fiumi in piena l’avrebbero travolta né i turbini delle tempeste l’avrebbero scossa (1Pt 2, 5; Mt 13, 45; 7, 27). Perciò bene a ragione i figli di Noè, che sul punto di separarsi fra loro costruirono la torre della superbia, furono condannati a confondere le loro lingue, perché nessuno potesse comprendere le parole del suo vicino; invece agli apostoli, che costruivano la torre della fede, è stata donata la conoscenza di tutte le lingue: così è stato dimostrato che quello era segno di peccato, questo invece segno di fede.

3. Ma ormai è tempo che noi diciamo qualcosa anche proprio riguardo a questo tesoro, in cui in primo luogo è presentata la fonte e origine di tutte le cose, con le parole: Credo in Dio Padre onnipotente. Ma prima di cominciare a trattare proprio del significato delle parole, ritengo che non sia fuor di luogo rammentare che in diverse Chiese troviamo che qualcosa è stato aggiunto a queste parole. Invece non consta che ciò sia avvenuto nella Chiesa di Roma, ritengo perché di lì non ha tratto origine alcuna eresia e vi si conserva l’antica usanza che coloro i quali stanno per ricevere la grazia del battesimo ripetano il Simbolo pubblicamente, cioè mentre ascolta il popolo dei fedeli; e per certo quelli che li hanno preceduti nella fede e stanno ad ascoltare non tollererebbero l’aggiunta di una sola parola. Invece in altri luoghi, per quanto è possibile comprendere, a causa di alcuni eretici è stata aggiunta qualche parola, per mezzo della quale si pensava di respingere il significato della nuova dottrina. Noi poi seguiamo la norma che abbiamo ricevuto nella Chiesa di Aquileia con la grazia del battesimo.

Innanzitutto è posta la parola Credo, come dice anche l’apostolo Paolo scrivendo agli Ebrei: "È necessario infatti che prima di tutto colui che si accosta a Dio creda che quello esiste e ricompensa quanti credono in lui" (Eb 11, 6). E il profeta afferma: "Se non avrete creduto, neppure comprenderete" (Is 7, 9). Al fine perciò che ti si apra l’accesso alla comprensione, giustamente tu prima di tutto affermi di credere, perché nessuno sale sulla nave e affida la propria vita al mare profondo se prima non crede di potersi salvare; né il contadino seppellisce i semi nei solchi e sparge in terra la biada, se non avrà creduto che verranno le piogge e ci sarà anche il calore del sole, sì che la terra nutrita e riscaldata produrrà abbondante messe e la farà crescere con lo spirare dei venti. Non c’è insomma alcuna azione che si possa compiere in vita se non avrà preceduto il credere. E allora che c’è da meravigliarsi se accostandoci a Dio innanzitutto noi affermiamo di credere, là dove senza di questo non si può vivere neppure la vita di tutti i giorni? Abbiamo premesso all’inizio queste considerazioni, perché i pagani son soliti obiettarci che la nostra religione, in quanto priva di fondamento razionale, si fonda soltanto sulla forza di persuasione che deriva dal credere. Perciò abbiamo dimostrato che nulla può esser fatto o può sussistere se non avrà preceduto la forza del credere. Infatti anche i matrimoni vengono fatti perché si crede che nasceranno i figli; e i giovani sono mandati a scuola ad apprendere le varie discipline perché si crede che la scienza del maestro si trasfonderà nei discepoli; e uno prende le insegne del potere perché crede che gli ubbidiranno città e popoli e anche l’esercito in armi. Che, se nessuno intraprende tutte queste azioni se prima non avrà creduto che esse potranno realizzarsi, perché mai ben più a ragione non si dovrebbe giungere alla conoscenza di Dio per mezzo del credere? Ma vediamo ormai che cosa ci proponga il Simbolo col suo testo abbreviato.

4. Credo in Dio Padre onnipotente. Quasi tutte le Chiese d’Oriente tramandano così: Credo in un solo Dio Padre onnipotente. E ancora, nella frase che segue, dove noi diciamo: e in Gesù Cristo, unico Figlio suo, nostro Signore, gli orientali tramandano: e in un solo Signore nostro Gesù Cristo, unico Figlio suo, cioè professano un solo Dio e un solo Signore, secondo l’autorità dell’apostolo Paolo (1Cor 8, 6). Ma questo punto lo riprenderemo appresso; ora invece esaminiamo l’espressione in Dio Padre onnipotente. Dio, secondo quanto può pensare la mente dell’uomo, è definizione di quella natura o sostanza che è al di sopra di tutto. Padre è parola che racchiude un mistero profondo e indicibile. Quando senti nominare Dio, intendi una sostanza senza inizio e senza fine, semplice e senza alcuna mescolanza, invisibile incorporea indicibile incomprensibile, nella quale nulla c’è di aggiunto, nulla di creato. Non ha infatti creatore colui che è il creatore di tutte le cose. Quando senti nominare il Padre, intendi il Padre del Figlio, il quale Figlio è immagine della suddetta sostanza (Eb 1, 3; Col 1, 15). Come infatti nessuno è detto signore se non ha un possedimento o un servo su cui esercita il dominio, e come nessuno è detto maestro se non ha un discepolo, così anche un padre in nessun modo può essere definito tale se non ha un figlio. Perciò con lo stesso nome con cui Dio è definito Padre si dimostra che anche il Figlio deve parimenti sussistere col Padre.

In che modo poi Dio Padre abbia generato il Figlio, non voglio che tu lo esamini né che con troppa curiosità ti introduca nel mistero di questa profondità: c’è infatti pericolo che, mentre scruti con troppa insistenza lo splendore della luce inaccessibile, tu venga a perdere anche quella modesta capacità visiva che per dono divino è stata data ai mortali (Prov 25, 27). Che se poi tu credi che su questo argomento bisogna sforzarsi in ogni modo di comprendere, proponiti prima alla mente le realtà che sono alla nostra portata: se riuscirai a spiegarle coerentemente, allora spingiti dalle realtà terrestri a quelle celesti, dalle visibili alle invisibili (Rom 1, 20). Dapprima spiega, se ne sei capace, ed esponi in che modo la mente, ch’è dentro di te, generi la parola e quale sia in essa lo spirare della memoria. Come mai queste facoltà, pur diverse di fatto e per operazione, tuttavia sono una cosa sola per sostanza e natura? e come mai, pur procedendo dalla mente, non si distaccano mai da questa? Se poi queste facoltà, benché si trovino in noi e nella sostanza della nostra anima, tuttavia ci sembrano tanto più nascoste quanto più sono invisibili all’occhio corporeo, esaminiamo realtà più accessibili. In che modo la fonte genera da sé il fiume? da quale forza è trasportata la rapida corrente? perché mai, pur costituendo il fiume e la fonte una sola e inseparabile realtà, tuttavia né la fonte può essere intesa o chiamata come il fiume né il fiume come la fonte? E tuttavia chi avrà visto il fiume vede anche la fonte. Esercitati prima nella spiegazione di queste cose ed esamina, se sei capace, ciò che hai tra le mani: e allora passeremo a realtà più sublimi. E non credere che io ti voglia convincere a salire subito dalla terra al di sopra dei cieli; ma prima, se sei d’accordo, ti condurrò a questo firmamento che si vede con gli occhi, e qui, se sei capace, spiega la natura di questa luce visibile: in che modo questo fuoco celeste generi da sé lo splendore della luce; in che modo produce anche il vapore; e pur essendo tre di fatto, tuttavia nella sostanza sono una cosa sola.

Se sarai riuscito a indagare tutte queste realtà, sappi che il mistero della generazione divina è tanto più eccelso e trascendente quanto il creatore è più potente delle creature, quanto l’artefice è superiore alla sua opera, quanto colui che sempre è, è più nobile di colui che ha cominciato ad essere dal nulla. Perciò bisogna credere che Dio è Padre del suo unico Figlio e nostro Signore, non bisogna sottoporlo ad esame. Infatti non è permesso allo schiavo discutere circa la nascita del padrone. Lo ha affermato il Padre dal cielo dicendo: "Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo" (Mt 17, 5): il Padre afferma che quello è suo Figlio e comanda di ascoltarlo. Il Figlio dice: "Chi ha visto me ha visto anche il Padre", e: "Io e il Padre siamo una cosa sola", e: "Io sono uscito da Dio e sono venuto in questo mondo" Gv 14, 9; 10, 30; 16, 28). Ma allora chi oserà mettersi in mezzo, per discutere, fra queste parole del Padre e del Figlio, e dividere la divinità, distinguere la loro volontà, spezzare la sostanza, tagliare a mezzo lo Spirito, dire che non è vero ciò che afferma la verità?. Perciò Dio è vero Padre, in quanto Padre della verità, e non crea dall’esterno ma da ciò ch’egli stesso è genera il Figlio: in quanto sapiente genera la sapienza, in quanto giusto la giustizia, in quanto eterno l’eternità, in quanto immortale l’immortalità, in quanto invisibile l’invisibile, in quanto luce lo splendore, in quanto mente la parola.

5. Quando poi abbiamo detto che la Chiesa d’Oriente tramandano un solo Dio Padre onnipotente e un solo Signore, bisogna intenderlo in questo modo: uno è detto non riguardo al numero ma riguardo alla totalità. P. es., se uno dice: un uomo, o: un cavallo, qui egli ha introdotto uno in senso numerico; infatti ci può essere un secondo uomo e un terzo, e così per il cavallo. Ma là dove non si può aggiungere un secondo e un terzo, se si dice uno, questo nome non ha valore numerico ma indica la totalità. Così, se, p. es., diciamo: un sole, qui uno è detto in modo tale che non si può aggiungere un secondo e un terzo: infatti il sole è uno solo. Perciò ben più a ragione quando si dice un solo Dio, uno è detto con valore non di numero ma di totalità: cioè, egli è detto uno solo perché non ce n’è altri. Analogamente anche riguardo al Signore bisogna intendere che uno solo è il Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale Dio Padre esercita la dominazione su tutte le cose. Di conseguenza la parola che segue definisce Dio onnipotente.

Dio pertanto è detto onnipotente perché esercita il dominio su tutte le cose. Ma tale dominio il Padre esercita per mezzo del Figlio, secondo quanto dice anche l’Apostolo: "Perché per suo mezzo sono state create tutte le cose, visibili e invisibili: sia i troni sia le dominazioni sia i principati sia le potenze" (Col 1, 16). E di nuovo, scrivendo agli Ebrei, dice: "Per suo mezzo stabilì i secoli, e lui ha costituito erede di tutte le cose" (Eb 1, 2). Che se per mezzo del Figlio il Padre ha stabilito i secoli e per suo mezzo sono state create tutte le cose ed egli è l’erede di tutte le cose, è anche per suo mezzo che il Padre esercita il dominio su tutte le cose. Infatti, come la luce deriva dalla luce e la verità dalla verità, così dall’onnipotente è nato l’onnipotente, secondo quanto anche nell’Apocalisse di Giovanni è detto dei Serafini: "E non si fermavano mai notte e giorno dicendo: Santo santo santo il Signore Dio, che era e che è e che verrà onnipotente" (Ap 4, 8). È definito onnipotente colui che verrà: e chi altro è colui che verrà se non Gesù Cristo il Figlio di Dio?

Qui è aggiunto nel Simbolo: invisibile e impassibile. È bene sapere che queste due parole non si trovano nel Simbolo della Chiesa di Roma. Ma sappiamo che presso di noi sono state aggiunte a causa dell’eresia di Sabellio, cioè quella che i Latini definiscono Patripassiana, in quanto afferma che proprio il Padre è nato dalla Vergine e sostiene che egli si è fatto visibile e ha patito nella carne. Pertanto, al fine di respingere tale empietà riguardo al Padre, i nostri predecessori hanno aggiunto tali parole ed hanno definito il Padre invisibile e impassibile. Sappiamo infatti che il Figlio, non il Padre, è nato nella carne e in forza della nascita carnale il Figlio è diventato visibile e passibile. Ma per quanto attiene alla sostanza immortale della divinità che per lui è una sola e la stessa del Padre, in tal senso non crediamo visibile e passibile né il Padre né il Figlio né lo Spirito Santo. In quanto poi il Figlio si è degnato di assumere la carne, egli nella carne è stato visto ed ha patito. Tutto ciò anche il profeta aveva predetto con queste parole: "Questo è il nostro Dio: e nessun altro sarà ritenuto tale a confronto con lui. Ha trovato ogni via di conoscenza e l’ha data a Giacobbe suo figlio e ad Israele suo diletto. Dopo è apparso in terra e si è trattenuto fra gli uomini" (Bar 3, 36-38).



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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 05/10/2002 21.24

6. Il Simbolo continua così: e in Gesù Cristo unico Figlio suo nostro Signore. Gesù è parola di lingua ebraica, che presso di noi significa salvatore. Cristo prende nome dal crisma, cioè dall’unzione. Leggiamo nei libri di Mosè che Ause figlio di Nave, allorché fu eletto capo del popolo, mutato nome da Ause fu chiamato Gesù (Num 13, 16), e ciò fu al fine di dimostrare che questo è il nome che si addice ai principi e ai capi, almeno a quelli che traggono a salvezza i popoli che li seguono. Perciò fu chiamato Gesù quello che introdusse nella terra promessa il popolo che era stato tratto fuori dalla terra d’Egitto ed era stato liberato dalle peregrinazioni nel deserto: ed è chiamato Gesù questi che, tratto fuori il popolo dalle tenebre dell’ignoranza e richiamatolo dagli errori del mondo, lo introduce nel regno dei cieli. Cristo poi è nome che è proprio del pontefice e dei re: infatti anticamente i pontefici e i re venivano consacrati con l’atto dell’unzione. Ma quelli, in quanto mortali e corruttibili, venivano unti con l’unzione di materia corruttibile; invece questo, unto dallo Spirito Santo, diventa Cristo, come di lui dice la Scrittura: "Il Padre lo ha unto con lo Spirito Santo inviato dal Cielo" (At 10, 38); ed Isaia aveva prefigurato, parlando in persona del Figlio: "Lo Spirito del Signore è sopra di me: perciò mi ha unto e mi ha mandato a predicare la buona novella ai poveri" (Is 61, 1).

Poiché abbiamo spiegato che cosa significhi Gesù, cioè colui che salva il popolo, e che cosa significhi Cristo, cioè colui ch’è stato fatto pontefice in eterno, (Eb 6, 20), da ciò che segue vediamo riguardo a chi sono detti questi nomi: Unico Figlio suo nostro Signore. In questo modo apprendiamo che questo Gesù, del quale abbiamo parlato, e Cristo, del quale abbiamo trattato, è l’unico Figlio di Dio e nostro Signore. Cioè, perché tu non creda che quei vocaboli umani ti propongano un insegnamento terreno, perciò è stato aggiunto che questo è l’unico Figlio di Dio e nostro Signore. Infatti uno nasce da uno, perché uno solo è lo splendore della luce e una sola la parola del cuore: la generazione incorporea non degenera in un numero plurale né c’è divisione là dove colui che nasce mai viene separato da colui che lo genera. È unico, come l’intelligenza alla mente, come la parola al cuore, come la potenza al forte, come la sapienza al sapiente. Come infatti il Padre è definito dall’apostolo il solo sapiente, così anche solo il Figlio è definito Sapienza (Rom 16, 27; 1Cor 1, 24). Perciò il Figlio è unico: e poiché per gloria eternità forza regno potenza egli è ciò che è il Padre, tuttavia tutte queste prerogative non le ha senza principio, come il Padre, ma le deriva dal Padre, in quanto Figlio; e mentre egli è il capo di tutto, tuttavia suo capo è il Padre. Infatti è scritto: "Capo di Cristo è Dio" (1Cor 11, 3).

7. Ma quando senti definire: Figlio, non voglio che tu pensi ad una generazione carnale, ma ricorda che ciò si dice di una sostanza incorporea e di una natura semplice. Se infatti, come già sopra abbiamo detto, nella generazione della parola dal cuore, dell’idea dalla mente, dello splendore dalla luce, non si ricerca alcunché di tal genere né in tale generazione si pensa ad alcunché di fragile, quanto più puramente e santamente dobbiamo pensare del creatore di tutte queste cose? Ma forse tu mi dirai che questa che ho portato come esempio è una generazione non sostanziale: infatti la luce non produce uno splendore sostanziale né il cuore genera una parola sostanziale: invece affermiamo che il Figlio di Dio è stato generato sostanzialmente. A questa obiezione in primo luogo risponderemo che anche riguardo ad altre cose, quando si portano degli esempi, questi non possono avere completa somiglianza con la cosa per la quale sono stati assunti, ma presentano somiglianza soltanto parziale, in forza della quale sono stati presi come esempi. P. es., dato che nel vangelo è detto: "Il regno dei cieli è simile al lievito che la donna mette in tre misure di farina" (Mt 13, 33), crederemo forse che il regno dei cieli sia così completamente simile al lievito che anche la sua sostanza sia altrettanto palpabile e fragile al punto da potersi inacidire e corrompere? o non piuttosto l’esempio è stato assunto soltanto per dimostrare che grazie alla predicazione del Verbo di Dio le menti umane possono crescere e svilupparsi insieme, grazie al lievito della fede? Analogamente, quando diciamo: "Il regno dei cieli è simile ad una rete calata in mare, che prende ogni genere di pesci" (Mt 13, 47), crederemo forse che la sostanza del regno dei cieli sia paragonata in tutto alla natura del lino, con cui si fa la rete, o ai nodi, con cui si intrecciano le maglie? e invece il paragone non è stato prodotto soltanto al fine di dimostrare che, come la rete trae sulla spiaggia i pesci dal profondo del mare, così grazie alla predicazione del regno dei cieli le anime umane sono liberate dal profondo errore di questo mondo? Di qui è chiaro che gli esempi non sono in tutto simili alle cose di cui sono esempi: altrimenti, se fossero in tutto uguali, non sarebbero più detti esempi, ma sarebbero piuttosto proprio quelle cose di cui ci si sta occupando.

Dobbiamo poi osservare che nessuna creatura può essere tale quale il suo creatore: perciò, come è senza esempio la sostanza divina, così è anche senza esempio la nascita divina. Aggiungeremo ancora che tutte le creature derivano dal nulla. Se pertanto, in quanto creata dal nulla, non è sostanziale quella creatura che genera da sé (un’altra creatura), in questo essa conserva la condizione della sua origine: invece la sostanza di quella luce eterna, che è sempre esistita, poiché in sé non ha nulla di non sostanziale, non ha potuto produrre da sé uno splendore non sostanziale. Perciò ben a ragione diciamo che il Figlio è unico. Infatti è unico e solo colui ch’è nato in questo modo, e ciò ch’è unico non può avere alcun termine di confronto, né colui ch’è il creatore di tutte le cose può esser simile alle sue creature quanto alla sostanza.

Pertanto questo è Gesù Cristo unico Figlio di Dio, ch’è anche nostro Signore. Unico si può riferire sia a Figlio sia a Signore: infatti Gesù Cristo è il solo veramente Figlio e il solo veramente Signore. Gli altri, anche se son detti figli, son detti tali per grazia di adozione, non per realtà di natura. E se altri son definiti signori, son detti tali in forza di un potere ch’è stato loro concesso, non senza origine. Ma questo solo è unico Figlio e unico Signore come dice anche l’Apostolo: "E un solo Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale tutte le cose" (1Cor 8, 6). Così la norma di fede che ci è stata proposta, dopo aver presentato l’indicibile mistero della nascita del Figlio dal Padre, ora scende alla condiscendenza e all’economia della umana salvezza e colui che sopra aveva definito unico Figlio di Dio, ora lo definisce anche nostro Signore.

8. Che è nato per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine. Questa fra gli uomini è nascita dovuta all’economia della salvezza, mentre quella è della sostanza divina: questa è di condiscendenza, quella di natura. Nasce per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine: e certo a questo punto si richiedono più puri le orecchie e l’intelletto. Infatti a questi, che poco fa hai appreso nato indicibilmente dal Padre, ora apprendi che dallo Spirito Santo è stato preparato un tempio nel segreto del ventre verginale; e come nella santificazione dello Spirito Santo non si deve intendere nessuna fragilità, così anche nel parto della Vergine non si deve intendere alcuna corruzione. Ora infatti al mondo è stato dato un nuovo parto e non senza ragione. Chi infatti in cielo è unico Figlio, conseguentemente anche in terra è unico e nasce in modo unico. Su questo argomento sono a tutti note e riecheggiate nei vangeli le parole dei profeti, i quali affermano che "Una vergine concepirà e partorirà un figlio" (Is 7, 14). E anche il meraviglioso modo del parto il profeta Ezechiele aveva anticipatamente indicato, definendo simbolicamente Maria porta del Signore, cioè attraverso la quale il Signore è entrato nel mondo. Dice pertanto così: "La porta che guarda ad oriente sarà chiusa e non verrà aperta e nessuno vi passerà attraverso, perché proprio il Signore Dio d’Israele passerà attraverso questa porta, e sarà chiusa" (Ez 44, 2). Che cosa di altrettanto evidente si sarebbe potuto dire della consacrazione della Vergine? Rimase in lei chiusa la porta della verginità; attraverso di essa il Signore Dio d’Israele è entrato in questo mondo, e attraverso di essa è venuto dal ventre della Vergine, e in eterno la porta della Vergine è rimasta chiusa, poiché la verginità è stata preservata. Per tal motivo lo Spirito Santo è detto creatore della carne del Signore e del suo tempio.

Comincia già da qui a comprendere anche la maestà dello Spirito Santo. Infatti riguardo a questo anche la parola del vangelo afferma che, quando l’angelo parlò alla Vergine e le disse: "Partorirai un figlio e gli darai nome Gesù: infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati", ed ella rispose: "In che modo avverrà questo, dal momento che non conosco uomo", allora l’angelo di Dio le disse: "Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà: perciò ciò che da te nascerà santo sarà chiamato Figlio di Dio" (Lc 1, 31. 34. 35; Mt 1, 21). Osserva dunque la Trinità che coopera scambievolmente. È detto che lo Spirito Santo viene sulla Vergine e la potenza dell’Altissimo l’adombra. Ma qual è la potenza dell’Altissimo, se non proprio Cristo, che è potenza di Dio e sapienza di Dio? (1Cor 1, 24). Ma questa potenza di chi è? Dell’Altissimo, è detto. Perciò è presente l’Altissimo, è presente anche la potenza dell’Altissimo, è presente anche lo Spirito Santo. Questa è la Trinità, che dovunque è nascosta e dovunque appare, distinta nei nomi e nelle persone, sostanza inseparabile della divinità. E benché soltanto il Figlio nasca dalla Vergine, tuttavia è presente anche l’Altissimo, è presente anche lo Spirito Santo, perché venga santificato il concepimento della Vergine e il suo parto.

9. Queste verità, in quanto sono affermate sulla base dei libri dei profeti, possono forse confutare i Giudei, per quanto essi siano infedeli e increduli. Ma i pagani sono soliti prenderci in giro, quando sentono che noi affermiamo il parto di una vergine. Perciò in poche parole bisogna rispondere anche alle loro calunnie. Ogni parto esige – come credo – tre condizioni: che la donna sia di età adulta, che ci sia l’uomo, che la donna non sia impedita dalla sterilità. Di queste tre condizioni, in questo parto che noi affermiamo ne è mancata soltanto una, l’uomo; e la sua funzione, poiché colui che nasceva non era un uomo terreno ma celeste (1Cor 15, 47), affermiamo ch’è stata assunta dallo Spirito celeste, restando così preservata l’incorruttibilità della Vergine. E d’altra parte, perché mai sembra strano che una vergine abbia concepito, dal momento che l’uccello d’Oriente, che chiamano Fenice, si sa che nasce e rinasce senza coniuge a punto tale che è sempre uno solo e nascendo e rinascendo succede sempre a se stesso? E certo tutti sanno che le api ignorano l’accoppiamento e senza congiungimento producono la prole. Si sa inoltre che anche alcune altre creature nascono in tal modo. Sembrerà allora incredibile che per la restaurazione dell’intero universo sia avvenuto per potenza divina ciò di cui l’esempio osserviamo anche nella nascita degli animali?

E d’altra parte ci si deve meravigliare che ciò sembri impossibile proprio ai pagani, i quali credono che la loro Minerva sia nata dal cervello di Giove. Che cosa è più difficile a credere e che cosa è più contro l’ordine di natura? Qui c’è una donna, qui è preservato l’ordine di natura, qui a suo tempo ci sono stati concepimento e parto. Invece lì non c’è neppure sesso femminile, ma soltanto l’uomo e il parto. Chi crede una tale cosa perché si deve meravigliare di quell’altra?. Ma anche Bacco affermano nato dalla coscia di Giove. Ecco un portento d’altro genere, e pure viene creduto. Anche Venere, che chiamano Afrodite, credono che sia stata generata dalla spuma del mare, come dimostra anche la composizione del suo nome. Affermano che Castore e Polluce sono nati da un uovo, i Mirmidoni dalla formica. E mille altri portenti, che contravvengono all’ordine di natura, eppure a loro sono sembrati degni di esser creduti, come le pietre scagliate da Deucalione e da Pirra e la messe di uomini nata di lì. E mentre prestano fede a tali e tante invenzioni, soltanto questo sembra loro impossibile; che una donna in età adulta abbia concepito un frutto divino non per contaminazione di uomo ma per ispirazione di Dio? Che se sono così difficili a credere, mai avrebbero dovuto prestar fede a quelle tante e tanto turpi mostruosità. Se invece sono facili a credere, molto più prontamente avrebbero dovuto accogliere queste nostre verità così pure e così sante, piuttosto che quelle loro storie tanto indegne e turpi.

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