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La storia della Madonna de La Salette: apparizione e profezie

Ultimo Aggiornamento: 29/01/2018 18:14
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27/03/2014 10:06
 
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 Per restaurare la società, Zola puntava poi, ineludibilmente «sul ruolo esercitato in essa dalla famiglia e sull’opera di educazione che l’istituto familiare può svolgere». Come, infatti, auspicava Leone XIII, egli esortava i cattolici a «ricomporre sopra tutto con le massime del Vangelo e della morale cristiana la famiglia» perché è da essa «che deve prender le mosse la sociale riforma, perché questa ben composta e riformata sarà pure tutto il corpo sociale che dalle private famiglie appunto assorge […]. Datemi famiglie veramente cattoliche e io vi do per sicura la pace e la prosperità della Chiesa e della società civile».

http://www.papalepapale.com/develop/lo-zelo-di-zola-il-vescovo-di-lecce-che-per-primo-credette-alle-rivelazioni-di-la-salette/




“Con gli occhi fissi all’altare”

La Salette

La Salette

L’intenso impegno pastorale di Zola scaturiva da un costante dialogo con il Signore: era uomo di preghiera totale.

«Da giovinetto mostrò subito svegliatissimoingegno, da sorpassare tutti i suoi compagni e dedicarsi con amore speciale alle lettere ed alle scienze teologiche […]. Quanto a morale fu edificantissimo, quantunque di carattere impetuoso, che seppe frenare con virtù, che ebbe tutto l’aspetto di un eroismo». A prima vista Zola sembrava avere un carattere «bollente, quasi impetuoso»; quando, però, lo si avvicinava e se ne approfondiva la conoscenza, «bisognava convincersi del contrario», cioè che fosse estremamente mite. «Era martire del proprio carattere. […] Aveva lampi di sdegno e fulgori di maestà uniti a celesti sprazzi di santità».

Mons. Zola fu «l’Angelo della preghiera», durante la notte passava molte ore in ginocchio «con gli occhi fissi all’Altare» e, a volte, lo si doveva scuotere e chiamare a gran voce, per quanto egli fosse intensamente assorbito nella sua estasi. Un giorno fu sorpreso immobile, steso bocconi per terra nella cappella dell’episcopio, dinnanzi al tabernacolo, così immerso nella preghiera tanto da rivolgere un paterno rimprovero a coloro che lo avevano distratto da quel suo intimo colloquio con Dio. La sua preghiera si prolungava spesso fino all’alba, specialmente nei giorni che precedevano le sacre ordinazioni dei novelli sacerdoti.

Spesso anche le preghiere liturgiche erano «intersecate da pianti e sospiri, pregava Dio con le sue lacrime». Quando «discendeva dall’Altare per la Comunione portando il suo Dio tra le mani, la sua andatura grave e raccolta gli dava l’aspetto di un Angelo». Ancora qui si notano i toni un po’ troppo carichi tipici dell’agiografia e delle rappresentazioni edificanti ottocentesche.

Dalla preghiera Zola attinse sempre forza e conforto per affrontare le avversità della vita. La preghiera e la mortificazione furono le vie percorse dal servo di Dio; egli le esercitò durante tutta la sua vita».

«Ogni suo apparire era sempre salutato da entusiastiche dimostrazioni di affetto. I suoi seminaristi lo amavano e «facevano a gara a chi dovesse servirgli la Santa Messa ogni mattina». In città, tutti accorrevano ad assistere alle sue funzioni, terminate le quali «era un esclamare generale: “Beato lui!. Che santo abbiamo in Lecce!” E si correa con tanta calca a baciargli la mano, chiamandosi fortunati quei che potevano arrivarvi».

Come Leone XIII, Zola dimostrò sempre di possedere un acuto spirito profetico. Infatti, come il Papa aveva denunciato i mali della società e precorso i tempi additando una strada verso la quale indirizzare gli animi degli individui e dei popoli, anche il Vescovo denunciò «i mali che si vanno di giorno in giorno aumentando, e annunziano alla società una catastrofe che sarà la più terribile fra tutte le altre narrate nella storia». Egli, infatti, reputava imminente lo scoppio di una guerra mondiale a causa dei mali che divenivano sempre più evidenti, e lo palesava scrivendo: «Guardate l’odierno atteggiamento delle Fronti coronate; guardate gli eserciti permanenti; ascoltate il convulso moto delle nazioni; oh Dio! I sintomi di una guerra terribile e mondiale si fan pur troppo manifesti».

Come rimedi proponeva il ritorno alla devozione verso la Madonna, il Sacro Cuore di Gesù e i Santi. In particolare insisteva nel proporre il Santo Rosario come «mezzo efficacissimo per conservar sempre ardente nel nostro cuore la Speranza cristiana» ricordando che già Leone XIII ne aveva «ripetutamente consigliato la recita». Infatti Zola fu devotissimo della Vergine Maria ed esortò costantemente i cattolici a deporre le proprie preghiere «nelle mani di Colei che si chiama piena di grazia» poiché, in questo modo, sarebbero salite «più spedite al trono dell’Altissimo».

Bastava che fosse pronunciato il nome della Madonna, che lui si entusiasmava, i suoi occhi brillavano di gioia e «si elevavano in alto quasi cercasse tra l’azzurro dei Cieli la sua Mamma bella». Egli diceva che, dopo Dio e Gesù Cristo, il più valido sostegno della nostra speranza è la Vergine Maria «come in causa secondaria e istrumentale, ond’esser da essa soccorsi per ottenere il bene ordinato all’eterna beatitudine». Ella, «per eterno consiglio dell’augustissima Triade, è destinata a compiere in Cielo l’amorevole ufficio di mediatrice fra la giustizia e la misericordia e perorar con buon esito ogni causa dei travagliati mortali». Per questo motivo «taccia lo sciagurato apostata Lutero e con esso tutti gli antichi e moderni eretici, che lo sperar nella Vergine Maria hanno in conto di gravissima ingiuria a Dio, ed a Gesù Cristo».

Zola fu soprattutto il «Vescovo dell’Eucaristia» per la sua ardente devozione verso il SS. Sacramento: «Per lui l’Eucaristia è più che una sublime dottrina […], è Gesù con tutte le attrattive stupende della sua Santissima Umanità». Egli ebbe anche un amore particolarissimo per le Anime abbandonate del Purgatorio. Infatti, «bastava vederlo durante la Messa nel Memento dei Defunti. I suoi occhi si imperlavano di lacrime, i suoi sospiri, le sue preghiere si accendevano di fervore più intimo. Pareva che dinanzi a lui falangi di anime si presentassero a domandargli il pane della carità, il suffragio tanto desiderato. Qualche cosa di sovrumano parea che volesse sprigionarsi dalla sua anima impetrante dal Signore la liberazione, non risparmiando d’offrirsi vittima d’espiazione per le anime che tanto gli stavano a cuore, e per le quali offriva in quel momento tutte le sue pene, tutte le sue insonnie, tutte le trafitture del suo cuore».

La pietà di Zola

Lapide commemorativa di Zola, a Lecce

Lapide commemorativa di Zola, a Lecce

Monsignor Zola visse sacrificando sempre le sostanze di cui disponeva. Quando era vescovo ad Ugento, per la particolare devozione per la Madonna, si occupò del Santuario di Santa Maria di Leuca, si adoperò affinché fossero restituiti al Santuario i fabbricati facenti parte dell’antica Mensa Vescovile e dell’Ospizio che erano stati incamerati dal Governo. Da Vescovo di Lecce, invece, restaurò il Seminario spendendo ingenti somme e molto spesso mantenne, a proprie spese, numerosi studenti che per insufficienza dei mezzi non avrebbero potuto frequentare gli studi.

Diede un così grande prestigio al nuovo Seminario che fu frequentato da molti che venivano da altre Diocesi. Nel 1887 dettò un corpo di Regole che resero il Seminario leccese il primo della Puglia per disciplina, studio e pietà, tanto che molti Vescovi vicini vi mandarono i propri giovani affinché si perfezionassero e altrettanti, fra quelli lontani, adottarono le stesse Regole.

La sua carità, oltre ad indirizzarsi a vantaggio del clero, si estese al popolo «che in lui vedeva sempre il proprio benefattore. Erano centinaia di lire che distribuivansi settimanalmente ai numerosi poveri che piovevano all’Episcopio, come all’asilo sicuro del soccorso».

Un sacerdote scriveva: «I poverelli, conosciuto il cuore di questo Padre caritatevole, venivano a fiumane presso la sua porta per chiedere e per chiedere ancora oltre il necessario. Più volte egli mi diceva con tutta semplicità: “Oggi non tengo proprio un soldo!” Ed io che sapea ciò anche prima, mi facea di fuoco, impedendo che altri poveri venissero». Era un continuo pellegrinaggio sull’Episcopio «di accattoni, di famiglie erubescenti, di studenti privi di libri e mancanti di mezzi per pagare le tasse, di chierici poveri aspiranti al sacerdozio, di fanciulle bisognose di dote, di operai senza lavoro, di uno sterminato numero di diseredati e proletari, cui mancava qualche cosa».

Istituì anche “la visita dei poveri a domicilio”, spronando le associazioni laiche a compierla abitualmente. Lui stesso, senza alcuna ostentazione metteva il necessario a disposizione dei bisognosi, perfino a costo di umiliazioni tanto da farlo esclamare: «Io mi sono ridotto lacero e sono sempre ricambiato con ingratitudine». Se ne accorsero bene le Figlie di san Vincenzo de’ Paoli quando videro che il loro vescovo aveva le vesti lacere e provvidero alla donazione di nuovi abiti.

Famose restarono nella memoria collettiva le visite che fece nel 1886 a Torchiarolo (in provincia di Brindisi) colpito, come altri comuni limitrofi, da una gravissima epidemia di colera che, solo in questo piccolo paese di 1800 anime aveva già causato in un mese la morte di 74 persone. Mons. Zola, incurante del pericolo, lo si vide aggirarsi da solo nelle case, nei tuguri, ovunque si trovava un coleroso. Quasi tutti i giorni vi si recava prendendo a nolo una carrozza e intimando al cocchiere di lasciarlo alle porte del paese. Così, con mille premure lo si trovava al capezzale dei moribondi, per dispensare loro quel che poteva per il loro sostentamento e per spronarli a ricevere i sacramenti.

«La carità fu il suo ideale […]. Finché avea soldi visitava i poveri; quando non ne aveva, visitava i ricchi» e la sua «carità sconfinata […] non poteva lasciarlo insensibile verso i bambini che, nati sordomuti, rimangono come fuori dal consorzio umano crescendo senza potere apprendere dalla viva voce della mamma o dei maestri i principi della religione e della istruzione». Ma «la Provvidenza gli aprì la via». Infatti nel 1882 arrivò a Lecce un sacerdote napoletano, Filippo Smaldone, che gli manifestò la volontà di dedicarsi all’educazione dei sordomuti. Così fu fondata nel 1888 una piccola comunità di suore che furono poste sotto la protezione di San Francesco di Sales e dei SS. Cuori di Gesù e Maria.

Zola diede forte impulso alla nascita di associazioni devozionali, con fini di promozione spirituale ed assistenziale, affiancando il clero che diveniva meno numeroso. Istituì il primo Oratorio domenicale per i giovani nel 1888, un Comitato per gli Interessi Cattolici di Lecce nel 1892, l’organizzazione delle Donne cristiane, l’Opera dei Tabernacoli e delle Chiese povere e l’Assistenza ai malati poveri.

Consigliò costantemente l’adesione alle Associazioni cattoliche quali la Propagazione della Fede e la Santa Infanzia, quella delle Buone Opere, della Buona Stampa, delle Madri Cristiane ed altre ancora.

Zola non ignorò la presenza e lo sviluppo delle antiche Confraternite presenti nel territorio, sollecitandole a puntare su un ruolo sociale e su «un’azione di contrasto nei confronti di organizzazioni laiche “contrarie alle istituzioni della Chiesa”, per cristianizzare la società e provvedere al decoro del sacro culto». Il ruolo delle Confraternite doveva essere quello di opporsi alle associazioni anticattoliche al fine di «promuovere la carità verso Dio e verso il prossimo, dare ospitalità ai pellegrini, dare assistenza agli infermi, «vestire i nudi», seppellire i poveri gratuitamente, «accompagnare i condannati all’estremo supplizio».

Tra le opere attuate da Zola ci fu anche il riordino della liturgia. Infatti egli «ordinò e volle disciplinate le funzioni religiose, e fu severo nello svolgimento delle cerimonie liturgiche, inculcando lo studio tra i giovani leviti e togliendo degli abusi che deformavano i sacri riti». Inoltre impedì che «si continuassero le vecchie cantilene nella salmodia liturgica, contrarie alla disciplina della Chiesa, ed incoraggiò, benedisse, premiò l’introduzione del canto gregoriano, istituendo nel Seminario non solo la scuola di Sacre cerimonie, ma anche quella per il canto liturgico». Nella notificazione del 2 dicembre 1894 scriveva: «Noi dichiariamo obbligatoria per i Seminaristi e i Chierici la scuola di canto, […] niuno sia promosso agli Ordini Sacri senza l’attestato di profitto nel detto canto».

“Questa è la mia ultima messa”. La salma insepolta

Il sarcofago di mons. Zola, nella cattedrale di Lecce

Il sarcofago di mons. Zola, nella cattedrale di Lecce

Mons. Zola aveva addirittura preconizzato la sua morte, tanto che il suo segretario scriveva: «Per me sta che a Mons. Zola l’ora della morte era stata rivelata». Infatti, quando da Lecce andò a Cavallino, un paese poco distante, nove giorni prima della sua dipartita, disse agli abitanti: «Me ne vado, figli miei, a Cavallino, per ritornare morto alla mia Lecce […]. Son sicuro che la fine di questo mese non la vedrò certo». Infine, tre giorni prima della sua morte, disse di aver celebrato la sua ultima Messa. Quando morì tutti «lo piansero amaramente ed a ragione, perché avean perduto in Lui, il Padre, il benefattore, l’amico!». I suoi funerali furono una vera apoteosi, la folla mesta e raccolta bene, senza sosta, per sfilare e inginocchiarsi davanti al Padre tanto amato».

Anche quattordici anni dopo la sua morte, quando la sua salma fu riesumata per essere, poi, trasportata nel Duomo dal cimitero, ci fu un’imponente dimostrazione di affetto da parte dei fedeli provenienti da tutta la Provincia: più di sessantamila persone, una folla immensa per una piccola città come era Lecce all’epoca, assistettero alla traslazione della salma. La gente si era riversata da tutto il Salento, dalle provincie limitrofe e da altre parti d’Italia, con i mezzi più disparati. Folle che volevano attestare il loro affetto per la santità di questo semplice vescovo, la cui bontà aveva travalicato la propria Diocesi, grazie alle innumerevoli amicizie e atti di carità che aveva prodigato con il suo cuore. Paradossalmente, «dopo l’apoteosi tributata alla salma incorrotta del Servo di Dio, questa rimase per 22 anni insepolta nello stanzino retrostante al monumento erettogli in Cattedrale» fino a quando non avvenne la sepoltura canonica il 27 aprile 1935, giorno dell’anniversario della sua morte. Anche in questa circostanza «non fu possibile allontanare l’immensa calca di popolo che aveva invaso il Duomo fin dalle primissime ore del giorno».

Il suo elogio fu sulla bocca di tutti perché era venerato non solo come un dotto ma «ancora, e sopratutto, come un santo». Infatti, furono raccolte innumerevoli firme per promuovere la causa di Beatificazione di questo perfetto discepolo di Cristo.

Il segreto di Melanie Calvat

La Madonna de La Salette. Statua in cartapesta lecce, risalente all'epoca del vescovo di Lecce, Zola, che ne fu devoto e difensore

La Madonna de La Salette. Statua in cartapesta leccese, risalente all’epoca dell’episcopato zoliano: Zola ne fu devoto e difensore

Certamente degno di nota è l’interesseche il Vescovo Zola dimostrò per l’apparizione della Madonna avvenuta a La Salette, in Francia, nel 1846, tanto da poter facilmente intuire la stretta assonanza tra alcune sue lettere pastorali come quelle sulla bestemmia e sulla domenica giorno del Signore e le fondamentali ammonizioni rivolte dalla Vergine Maria nell’apparizione. Determinante fu l’incarico affidato a mons. Zola di dirigere spiritualmente la veggente Mélanie Calvat che lo portò ad assumerne la difesa in seguito ai molteplici attacchi da lei subiti, il più grave dei quali fu quello di voler dimostrare l’inattendibilità di una parte del segreto che la Madonna le avrebbe rivelato.

A tal proposito emblematica è la corrispondenza che si sviluppò nel corso degli eventi e di cui riporto solo alcuni stralci, che potranno dare un’idea di ciò che è avvenuto, specie in seguito all’imprimatur che il vescovo Zola diede alla pubblicazione del famoso “segreto” di Melanie.

Il 29 gennaio 1872 Zola scrive a nome di Monsignor Petagna al Vescovo Emerito di Luçon,: «[…] Abbiamo appreso che si osa far giungere voci menzognere sulla condotta di quella povera figliola fino al nostro Santo Padre, il Papa […]. Monsignor Petagna è desolato nell’apprendere questa triste notizia e […] vi prega anche di parlarne col Sommo Pontefice, perché il suo cuore paterno non abbia a soffrirne oltre. […] Melania in tutto si è dimostrata sottomessa al suo vescovo ed a quanti esercitano autorità su di lei. Ecco, Monsignore, la verità che esprimo con piena sincerità davanti a Dio e che certifico davanti a voi […]. Si vede che questa guerra è suscitata dal demonio, non tanto contro quella povera cara figliola, quanto contro le celesti rivelazioni de La Salette, allo scopo di distruggerle, o quanto meno di affievolirle, onde impedire, se fosse possibile, il bene delle anime e la conversione del mondo».

Una forte polemica investì, poi, anche lo stesso Zola in seguito, come già detto, alla concessione dell’imprimatur per la pubblicazione del segreto, ma egli ne aveva dato il nulla osta solo dopo aver appurato che le norme stabilite a riguardo dalla Costituzione Dominici Gregis di Pio IV erano state perfettamente rispettate e dopo che il segreto «tutto intero» era già stato reso noto a Leone XIII nell’edizione di Napoli. Il Pontefice aveva incaricato un tale Avv. Nicolas di comporre un libro capace di spiegare l’intero segreto, affinché fosse compreso dal pubblico. La notizia dell’incarico riempì di gioia il Vescovo Zola, il quale rispose all’avvocato: «Ho ricevuto la vostra buona lettera […], la quale mi ha fatto molto piacere per le notizie che mi donate. […] Mi felicito del vostro zelo nel difendere, propagare e far meglio comprendere il segreto de La Salette. Continuate a lavorare per la gloria di Dio e della Divina Maria; le anime pie resteranno edificate del vostro buon libro; i nemici de La Salette rimarranno confusi; io benedico voi ed il vostro pio lavoro. Vi seguirò con le mie preghiere. Poiché la lotta si svolge alla luce del sole ed attinge la sfera religiosa, nella questione del segreto de La Salette, non c’è motivo che io mi opponga al desiderio che mi avete espresso di pubblicare la mia lettera […] se giudicate che la sua lettura possa apportare qualche frutto. […] Nostra Signora de La Salette, che ha cominciato la sua opera, la compia!»

Importante è quanto attestò l’abbé Rigaux, parroco di Argoeuvres, che conosceva Melanié da moltissimi anni: «Ho 28 edizioni del Segreto con imprimatur di Cardinali Vescovi, ne ho anche diverse edizioni ornate da sigilli di vescovi francesi, ed il vescovo di Lecce ha dato il suo visto solo dopo aver visitato Leone XIII, che, dal 1878 possedeva il manoscritto di Melania. Ne fanno fede le mie lettere da Roma di quell’epoca, e Mons. Zola ha proceduto canonicamente, con il consenso del Papa. Posseggo la sua lettera autografa». E ancora: «Quand Léon XIII avait reçu Mélanie le 3 décembre 1878, il avait une belle occasion de la bâillonner s’il eut voulu rejeter le Secret destiné au public à partir de 1858». Questo conferma quanto dichiarato dalla veggente e cioè che Roma aveva esaminato il Segreto per ben quattro mesi senza rilevare nulla di contrario alla dottrina.

Mons. Zola da parte sua scrisse: «Tutti i prelati ed altri dignitari ecclesiastici di mia conoscenza che hanno conosciuto il Segreto, tutti, senza nessuna eccezione, hanno emesso un giudizio interamente favorevole a detto Segreto, sia in rapporto alla sua autenticità, sia per la sua origine divina, vagliata con le s. Scritture, ciò che dà al segreto un carattere di verità da cui d’ora in poi è inseparabile. Tra questi prelati basta nominare il Card. Riario Sforza, Arcivescovo di Napoli; Ricciardi, arcivescovo di Sorrento; Mons. Petagna, vescovo di Castellamare, ed altri prelati…».

Pio IX, letti i segreti, disse: «Devo rileggermi queste lettere con più calma. Sono flagelli che minacciano la Francia, ma la Germania, l’Italia e l’Europa tutta sono colpevoli e meritano castighi. Ho meno di temere per l’empietà dichiarata che per l’indifferenza ed il rispetto umano. Non è senza ragione che la Chiesa è chiamata militante e ne vedete qui il capitano».

Mons. Cortet Vescovo di Troyes, nel 1880 chiese che l’opuscolo fosse messo all’Indice, altrimenti non avrebbe mandato il cosiddetto obolo di San Pietro. Il pretesto era che il Segreto “causava disordine in Francia”. Il Card. Prospero Caterini, segretario del S. Uffizio, rispose con due lettere, di carattere privato, a mons. Cortet e al P. Archier, superiore dei Missionari di N. S. de La Salette dicendo loro che «con dispiacere la S. Sede ha visto comparire in pubblico il suddetto opuscolo. Per cui è suo volere che gli esemplari del medesimo, nella misura del possibile, vengano ritirati dalle mani dei fedeli, ma lasciati ai sacerdoti perché ne profittino».

È da notare che tale “provvedimento”, dunque, non aveva carattere di condanna, ma di consiglio, per evitare scandalo nei fedeli.

Il Vescovo di Tryes, però, non osando pubblicare questa lettera, la inviò al Vescovo di Nimes che la pubblicò omettendo la parte, oltremodo significativa: “ma lasciati ai sacerdoti perché ne profittino” e sostituendola con dei punti di sospensione.

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Nonostante tuttto ciò, e sebbene le numerosissime attestazioni di bontà sul contenuto del segreto accompagnate dal silenzio-assenzo di ben due pontefici – Pio IX e Leone XIII –, nel 1923 la Santa Sede condannò con un decreto il libro di Mélanie iscrivendolo nell’Indice dei libri proibiti. Va soltanto precisato che la Chiesa non ha mai condannato il segreto in sé, ma solo la versione pubblicata da Mélanie nel 1879. Un documento del Santo Uffizio, datato 4 giugno 1936 (Prot. 28/1910), attesta che la pubblicazione del segreto costituì un grande ostacolo alla causa di beatificazione di Monsignor Zola «perché si darebbe occasione con essa di riparlare del famoso Segreto de La Salette. E ciò anche se nulla sia da osservare sul modo di trattare usato dal medesimo Mgr. Zola con la serva di Dio Melania Calvat de La Salette».

Finisce qui, per ora, la storia di mons. Zola. Chissà, forse un giorno la causa di beatificazione sarà riaperta oppure il suo ricordo finirà definitivamente nel dimenticatoio

Sappiamo che non sempre i santi vengono riconosciuti tali, non perché non lo siano, ma a volte la Provvidenza ha altri piani a noi sconosciuti. Possiamo solo umanamente rattristarci, ben sapendo che ci sono in Cielo più santi di quanti ne possiamo immaginare, e magari anche più grandi e immensamente più intercessori di quelli canonizzati. Per me Mons. Zola è uno di questi! E sorrido di cuore al pensiero di aver visto un giorno d’estate, con i miei stessi occhi, una torma di turisti, che ignari di chi fosse sepolto in quella tomba, la più anonima di tutte, la più semplice del Duomo di Lecce, impolverata e quasi abbandonata, si sono fermati davanti ad essa per fare delle foto all’altare prospiciente e iniziare a dire sorpresi tra di loro di aver sentito l’inaspettato rumore di uno scroscio di acqua, come di un fiume proveniente da quella tomba. E so che non è la prima volta che il fenomeno si ripete. Mah, tante volte, la Provvidenza fa sentire a noi ignari spettatori di questa fulgida santità, il rumore del Mistero che vorrebbe inondarci della sua grazia.


 









Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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