Sull’onda della questione del Padre Nostro riapparsa di recente, ecco l’insolita testimonianza di uno storico senatore comunista toscano, Luciano Mencaraglia, già sindaco di Siena, morto nel 2001 dopo aver ricevuto i Sacramenti.

di Marcello Cristofani della Magione* – “Per tutta la vita ho cercato Dio con la mia ragione: alla fine mi sono dovuto arrendere all’irrazionale”; questa cavalleresca resa è di Luciano Mencaraglia che è ha incontrato il Dio tanto cercato e desiderato alle tre del mattino di venerdì 24 Agosto, dedicato all’Apostolo San Bartolomeo; il segno della Croce sulla fronte, dopo quella del Sacerdote con l’Olio degli Infermi per l’Estrema Unzione, Luciano Mencaraglia l’ha ricevuto dalla moglie e dai giovani Templari presenti che per affetto lo chiamavano “zio” e che egli aveva adottato come nipoti; e con l’Estrema Unzione l’assoluzione da tutti i peccati e l’Indulgenza Plenaria in “articulo mortis”; come in un romanzo di Bruce Marshall.

La straordinaria intesa tra un comunista ortodosso e i cattolici tradizionalisti (scandalosa anche oggi per alcuni comunisti e per i cattolici monoconciliari) era nata il 4 Ottobre 1984 per la prima visita di Luciano Mencaraglia alla Magione: i festeggiamenti per i miei primi 25 anni di Capo Scout prevedevano, tra le tante iniziative, anche una mostra delle incisioni e degli smalti su rame di Leopoldo Ferruzzi, anche lui comunista DOC pesantemente contestato dai suoi per la decisione di accogliere l’invito della mostra da noi; del resto era presente anche il Sindaco, Marcello Gentilini, e il concerto per il mio giubileo l’avrebbe tenuto la pianista Myriam Omodeo Donadoni; era intervenuto un altro grande della recente storia senese, Mons. Mario Jsmaele Castellano, che aveva portato il telegramma del Papa per fare da pendent a quello del Re Umberto II; grandi feste, grandi uomini.

In quel tardo pomeriggio di San Francesco arrivò anche il Professor Mencaraglia, allora solo Presidente dell’Ente provinciale per il Turismo, ma con la fama intatta di uomo di spicco del comunismo internazionale; l’attesa era stata lunga e i giovani, Cavalieri e Scouts, avevano cominciato energicamente a tirar di pallone.

Il Presidente scese dall’auto, notò la contesa sportiva e rimase in attesa di una pallonata che lo avrebbe fatto ruzzolare lungo la ripida discesa che porta alla Chiesa; invece, il pallone fu prontamente bloccato e l’ospite venne salutato da un corale “buonasera”; l’”amichevole” riprese solo dopo che l’ospite aveva conquistato una postazione più sicura; Luciano Mencaraglia esclamò “Questo è un altro mondo!”: era cominciato il feeling.

Con le iniziative culturali con le quali l’Ente del Turismo lanciò nel mondo lo splendido complesso monumentale della Magione, le quali raggiunsero l’apice nel Convegno del Maggio 1987 sulla storia e il mito dei Templari, Luciano Mencaraglia cominciò a frequentare sempre più spesso la fiorente comunità templare con il gusto del gregoriano, del latino e delle cose fatte bene, fino al passaggio, legittimato dall’Indulto papale e dalla condiscendenza arcivescovile, al rito antico, quello tridentino. Credo che se la vecchia liturgia aveva fin da subito conquistato il cuore, la mente e l’anima di tutti alla Magione – dai più piccoli ai più grandi anche non scolarizzati nel latino – per il Professor Mencaraglia fu la riscoperta del fascino di una trascendenza e di una spiritualità che forse solo il rito antico riesce a comunicare, con quel senso del mistero di una celebrazione che rimane inspiegabile; avevamo notato i suoi segni di Croce durante la Messa e le risposte al latino rotondo e semplice della Chiesa; d’altra parte un Senatore del suo partito, venuto a conoscenza della frequentazione dei Cavalieri della Magione, lo aveva avvertito: “Sono pericolosi”.

Era iniziato un cammino punteggiato da incontri e colloqui, discussioni e approfondimenti, episodi e avvenimenti: la sua casa di Carpineto ci ha ricevuti con l’Arcivescovo Castellano o con Suor Chiara Elisabetta, monaca di clausura di passaggio da noi al termine di una esperienza di eremitaggio, o con Don Michele Simoulin, Superiore per l’Italia della Fraternità Sacerdotale “San Pio X” (l’istituzione di Mons. Lefebvre) o, fuori, con il Vescovo di Prato Gastone Simoni; tutte le volte l’ospite – al corrente della sua posizione politica – usciva dall’incontro scosso dalla sua fede inconscia e dalla sua profonda cultura religiosa innestata in una vastissima cultura umanistica.

Venivamo apostrofati con “Cattolici, non vi siete dimenticati di qualcosa?” se osavamo sederci a tavola senza aver pregato; o toglieva il saluto al “nipote” adottivo che aveva osato irridere il Vangelo citando il “Vangelo secondo Giobbe”, libercolo di qualche anno fa.

E’ del 1995 l’esegesi linguistica della frase del Pater Noster “et ne nos inducas in tentationem sed libera nos a malo” dandone l’interpretazione contro i dubbi di una cattiva traduzione.

Mancava l’ultimo anello che avrebbe chiuso il cerchio di questa ricerca di Dio, quell’anello che i Cavalieri Templari considerano la loro prima arma, la spada più tagliente: la recita del Rosario.

Luciano Mencaraglia negli ultimi tempi lo recitava regolarmente insieme alla moglie, annullando, anzi, sublimando in questa preghiera, disprezzata dai cosiddetti intellettuali laici ed ecclesiastici, il suo straordinario “cursus” culturale, iniziato con la laurea a 17 anni in lettere antiche alla Scuola Normale Superiore di Pisa, allievo di Concetto Marchesi (dalla Normale inviato, quindi, a Colonia sul Reno per specializzarsi in filologia su un testo attribuito ad Ippocrate) e la carriera politica che lo ha visto Senatore del PCI, Sindaco di Siena, Presidente dell’Amministrazione Provinciale ma sopratutto Segretario del Movimento internazionale per la pace; quest’ultimo impegno lo porterà in tutto il mondo ed in particolare nelle zone calde come il Vietnam e la Cambogia incontrando, tra gli altri, Ho Chi Min e a lavorare per lo stesso scopo con Giorgio La Pira.

Arrendendosi con i suoi 87 anni Luciano Mencaraglia pare fare suo il salmo della Messa “Ad Deum qui laetificat juventutem meam”.


– per telefax –

Mercoledì 22 Novembre 1995, ore 14,13

Marcello,

il quesito che mi hai posto è proprio bizantino. Messi bene i piedi per terra sono arrivato a questa opinione:

  1. Non è facile arrivare dall’aramaico, attraversando l’ebraico, il greco e il latino, a responsabilizzare la dizione italiana.
  2. E’ una vecchia storia: già il buon Eusebio da Cesarea, citando una fonte più vecchia di lui, parlando del testo di Matteo, ci dice che già Matteo li aveva “tradotti dall’aramaico in ebraico, e poi ciascuno li interpretò come ne fu capace”. Autorizzando così anche il povero me a dire la mia opinione.
  3. il nostro NE, come il suo prevedibile riscontro greco può avere un significato meramente augurale, come UT. Solo che UT e UTINAM vogliono augurarsi che una cosa non succeda. Quindi: fa in modo di non mettermi davanti alla tentazione.
  4. Però, in più c’è il SED, che è un bel MA INVECE, in quanto segue una frase o appello negativo: quindi “Fa che io non incorra mai nella tentazione, e INVECE liberami dal MALE o dal MALIGNO, comunque strettamente contrapposto alla TENTAZIONE.
  5. Quindi in italiano di tutti i giorni: “liberaci dal male in modo che non si pensi nemmeno che si possa essere indotti in tentazione”.

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Allora mi dirai: perchè lo ha messo DOPO? E io credo: per enfatizzare (lo è anche nel canto) la conclusione del Pater Noster.

L’ammissione di tentabilità del pover uomo precede la conclusione della preghiera al Padre. E questo qualunque sia il bizantino disposto a duellare per stabilire se il NE è augurale, finale, o consecutivo.

P.S. E poi mi viene in mente anche un’altra pezza d’appoggio:

Nel latino latino, quello dei cosiddetti “classici” c’è questo uso CAESAR FECIT PONTEM (= Cesare fece costruire un ponte). Hai visto mai che “Ne nos inducas”, nell’orecchio di un latino vivo, non ancora entrato nei libri e nell’inferno delle grammatiche, avrebbe proprio significato: “Non farmi tentare, ma dai una bella legnata al maligno?

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Perdona la grafia, che è quella che la vista ormai mi permette: E se ti rispondo per FAX, perchè il discorso era lungo. Comunque

FAX TIBI

Luciano

*Il Conte dom Marcello A. Cristofani della Magione è il Gran Maestro dell’Ordine della Milizia del Tempio che ha sede nel Castello della Magione di Poggibonsi, diocesi di Siena. I Poveri Cavalieri di Cristo, quasi 150 in tutto il mondo, sono a oggi l’unica realtà cavalleresca liberamente ispiratasi ai Templari che non rivendica alcuna rifondazione dell’antico Ordine di stampo neo-templarista, ed anche per questo è canonicamente riconosciuta dalle LL. Ecc.ze  gli Arcivescovi di Siena e gode delle Sacre Indulgenze della Santa Sede. www.ordo-militiae-templi.org