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Le bellissime catechesi su Maria di GPII

Ultimo Aggiornamento: 25/09/2009 15:20
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"MARIA SEMPRE VERGINE ("AEIPARTHENOS")"

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 28 agosto 1996

 

1. La Chiesa ha costantemente manifestato la propria fede nella perpetua verginità di Maria. I testi più antichi, quando si riferiscono al concepimento di Gesù, chiamano Maria semplicemente “Vergine”, lasciando tuttavia intendere che ritenevano tale qualità come un fatto permanente, riferito a tutta la sua vita.

I cristiani dei primi secoli espressero tale convinzione di fede mediante il termine greco aeiparthenos - “sempre-vergine” - creato per qualificare in modo unico ed efficace la persona di Maria, ed esprimere in una sola parola la fede della Chiesa nella sua verginità perpetua. Lo troviamo usato nel secondo simbolo di fede di sant’Epifanio, nell’anno 374, in relazione all’Incarnazione: il Figlio di Dio “si è incarnato, ossia è stato generato in modo perfetto da Santa Maria, la sempre vergine, tramite lo Spirito Santo” (Sant'Epifanio, Ancoratus, 119,5; DS 44).

L’espressione “sempre Vergine” è ripresa dal II Concilio di Costantinopoli (553), che afferma: il Verbo di Dio, “incarnatosi dalla santa gloriosa Madre di Dio e sempre Vergine Maria, è nato da essa” (DS 422). Questa dottrina viene confermata da altri due Concili Ecumenici, il Lateranense IV (1215) (DS 801) e il II Concilio di Lione (1274) (DS 852), e dal testo della definizione del dogma dell’Assunzione (1950) (DS 3903), in cui la verginità perpetua di Maria viene addotta tra i motivi della sua elevazione in corpo e anima alla gloria celeste.

2. Mediante una formula sintetica, la tradizione della Chiesa ha presentato Maria come “vergine prima del parto, nel parto, dopo il parto”, ribadendo, attraverso l’indicazione di questi tre momenti, che Ella non ha mai cessato di essere vergine.

Delle tre, l’affermazione della verginità “prima del parto” è, senza dubbio, la più importante, perché si riferisce al concepimento di Gesù e tocca direttamente il mistero stesso dell’Incarnazione. Sin dall’inizio essa è costantemente presente nella fede della Chiesa.

La verginità “nel parto” e “dopo il parto”, pur contenuta implicitamente nel titolo di vergine, attribuito a Maria già ai primordi della Chiesa, diventa oggetto di approfondimento dottrinale allorché taluni iniziano esplicitamente a metterla in dubbio. Il Papa Ormisda precisa che “il figlio di Dio è diventato Figlio dell’uomo, nato nel tempo nel modo di un uomo, aprendo alla nascita il seno della madre (cf. LcLumen Gentium, 57). Quanto alla verginità dopo il parto, si deve innanzitutto rilevare che non ci sono motivi per pensare che la volontà di rimanere vergine, manifestata da Maria al momento dell’Annunciazione (Lc 1, 34), sia successivamente mutata. Inoltre, il senso immediato delle parole: “Donna, ecco tuo figlio”, “Ecco la tua madre” (Gv 19, 26), che Gesù dalla croce rivolge a Maria ed al discepolo prediletto, fa supporre una situazione che esclude la presenza di altri figli nati da Maria. 2, 23) e, per potenza di Dio, non sciogliendo la verginità della madre” (DS 368). La dottrina è confermata dal Concilio Vaticano II, nel quale si afferma che il Figlio primogenito di Maria “non diminuì la sua verginale integrità, ma la consacrò” (

I negatori della verginità dopo il parto hanno pensato di trovare un argomento probante nel termine “primogenito”, attribuito a Gesù nel Vangelo (Lc 2, 7), quasi che tale locuzione lasciasse supporre che Maria abbia generato altri figli dopo Gesù. Ma la parola “primogenito” significa letteralmente “bambino non preceduto da un altro” e, di per sé, prescinde dall’esistenza di altri figli. Inoltre l’evangelista sottolinea questa caratteristica del Bambino, poiché alla nascita del primogenito erano legati alcuni importanti adempimenti propri della legge giudaica, indipendentemente dal fatto che la madre avesse partorito altri figli. Ogni figlio unico ricadeva, quindi, sotto tali prescrizioni, perché “generato per primo” (cf. Lc 2, 23).

3. Secondo alcuni, la verginità di Maria dopo il parto sarebbe negata da quei testi evangelici che ricordano l’esistenza di quattro “fratelli di Gesù”: Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda (Mt 13, 55-56; Mc 6, 3), e di diverse sue sorelle.

Occorre ricordare che, in ebraico come in aramaico, non esiste un vocabolo particolare per esprimere la parola “cugino” e che, quindi, i termini “fratello” e “sorella” avevano un significato molto ampio, che abbracciava diversi gradi di parentela. In realtà, col termine “fratelli di Gesù” vengono indicati “i figli” di una Maria discepola di Cristo (cf. Mt 27, 56), la quale è designata in modo significativo come "l’altra Maria" (Mt 28, 1).Si tratta di parenti prossimi di Gesù, secondo un’espressione non inusitata nell’Antico Testamento (CCC, n. 500).

Maria Santissima è dunque la “sempre Vergine”. Questa sua prerogativa è la conseguenza della divina maternità, che l’ha totalmente consacrata alla missione redentrice di Cristo.

 

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LA SERVA OBBEDIENTE DEL SIGNORE

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 4 settembre 1996

 

1. Le parole di Maria nell’Annunciazione: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38) evidenziano un atteggiamento caratteristico della religiosità ebraica. Mosè, agli inizi dell’Antica Alleanza, in risposta alla chiamata del Signore, si era proclamato suo servo (cf. Es 4, 10; 14, 31). All’avvento della Nuova Alleanza, anche Maria risponde a Dio con un atto di libera sottomissione e di consapevole abbandono alla sua volontà, manifestando piena disponibilità ad essere la “serva del Signore”.

La qualifica di “servo” di Dio accomuna nell’Antico Testamento tutti coloro che sono chiamati ad esercitare una missione in favore del popolo eletto: Abramo, (Gen 26, 24), Isacco (Gen 24, 14), Giacobbe (Es 32, 13; Ez 37, 25), Giosuè (Gs 24, 29), Davide (2 Sam 7, 8, ecc.). Sono servi anche i profeti e i sacerdoti, cui è affidato il compito di formare il popolo al fedele servizio del Signore. Il libro del profeta Isaia esalta nella docilità del “Servo sofferente” un modello di fedeltà a Dio nella speranza di riscatto per i peccati della moltitudine (cf. Is 42-53). Esempi di fedeltà offrono anche alcune donne, come la regina Ester, che, prima di intercedere per la salvezza degli Ebrei, rivolge una preghiera a Dio, chiamandosi più volte “la tua serva” (Es 4, 17).

2. Maria, la “piena di grazia”, proclamandosi “serva del Signore” intende impegnarsi a realizzare personalmente in modo perfetto il servizio che Dio attende da tutto il suo popolo. Le parole: “Eccomi, sono la serva del Signore” preannunciano Colui che dirà di se stesso: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45; cf. Mt 20, 28). Lo Spirito Santo realizza, così, tra la Madre e il Figlio un’armonia di intime disposizioni, che consentirà a Maria di assumere pienamente il suo ruolo materno presso Gesù, accompagnandolo nella sua missione di Servo.

Nella vita di Gesù la volontà di servire è costante e sorprendente: come Figlio di Dio, egli infatti avrebbe potuto con ragione farsi servire. Attribuendosi il titolo di “Figlio dell’uomo”, a proposito del quale il libro di Daniele afferma: “Tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano” (Dn 7, 14), avrebbe potuto pretendere di dominare sugli altri. Invece, combattendo la mentalità del tempo espressa dall’aspirazione dei discepoli per i primi posti (cf. Mc 9, 34) e dalla protesta di Pietro durante la lavanda dei piedi (cf. Gv 13, 6), Gesù non vuole essere servito, ma desidera servire fino a donare totalmente la propria vita nell’opera della redenzione.

3. Anche Maria, pur consapevole dell’altissima dignità conferitale, all’annuncio dell’angelo spontaneamente si dichiara “serva del Signore”. In questo impegno di servizio essa include anche il proposito di servire il prossimo, come dimostra il collegamento tra gli episodi dell’Annunciazione e della Visitazione: informata dall’angelo che Elisabetta attende la nascita di un figlio, Maria si mette in viaggio e raggiunge “in fretta” (Lc 1, 39) la Giudea per aiutare la sua parente nei preparativi della nascita del bambino con piena disponibilità. Essa offre così ai cristiani di tutti i tempi un sublime modello di servizio.

Le parole: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38) mostrano in Colei che si è dichiarata serva del Signore una totale obbedienza alla volontà di Dio. L’ottativo genoito, “avvenga”, usato da Luca, esprime non solo accettazione, ma convinta assunzione del progetto divino, fatto proprio con l’impegno di tutte le risorse personali.

4. Conformandosi al divino volere, Maria anticipa e fa proprio l’atteggiamento di Cristo che, secondo la Lettera agli Ebrei, entrando nel mondo, dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato . . . Allora ho detto: Ecco, io vengo . . . per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7; Sal 40[39], 7-9).

La docilità di Maria annuncia e prefigura, altresì, quella espressa da Gesù nel corso della sua vita pubblica fino al Calvario. Cristo dirà: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4, 34). In questa stessa linea Maria fa della volontà del Padre il principio ispiratore di tutta la propria esistenza, ricercando in essa la forza necessaria al compimento della missione affidatale.

Se al momento dell’Annunciazione Maria non conosce ancora il sacrificio che caratterizzerà la missione di Cristo, la profezia di Simeone le farà intravedere il tragico destino del Figlio (cf. Lc 2, 34-35). La Vergine vi si assocerà con intima partecipazione. Con la sua totale obbedienza alla volontà divina, Maria è pronta a vivere tutto ciò che l’amore divino progetta per la sua esistenza, fino alla “spada” che trafiggerà la sua anima.


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MARIA LA NUOVA EVA

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 18 settembre 1996

 

1. Commentando l’episodio dell’Annunciazione, il Concilio Vaticano II sottolinea in modo speciale il valore dell’assenso di Maria alle parole del messaggero divino. Diversamente da quanto avviene in analoghi racconti biblici, esso è espressamente atteso dall’angelo: “Volle il Padre delle misericordie, che l’accettazione di colei che era predestinata ad essere la madre precedesse l’Incarnazione, perché così, come una donna aveva contribuito a dare la morte, una donna contribuisse a dare la vita” (Lumen Gentium, 56).

La Lumen gentium ricorda il contrasto tra il comportamento di Eva e di Maria, illustrato così da sant’Ireneo: “Come quella - cioè Eva - era stata sedotta dal discorso di un angelo, in modo da sottrarsi a Dio trasgredendo la sua parola, così questa - cioè Maria - ricevette la buona novella da un discorso di un angelo, in modo da portare Dio, obbedendo alla sua parola; e come quella era stata sedotta in modo da disobbedire a Dio, questa si lasciò persuadere a obbedire a Dio, e perciò della vergine Eva la Vergine Maria divenne l’avvocata. E come il genere umano era stato assoggettato alla morte da una vergine, ne fu liberato da una Vergine; così la disobbedienza di una vergine è stata controbilanciata dall’obbedienza di una Vergine . . .” (Sant'Ireneo, Adv. Haer., 5,19.1).

2. Nel pronunciare il suo totale “sì” al progetto divino, Maria è pienamente libera davanti a Dio. Nello stesso tempo ella si sente personalmente responsabile nei confronti dell’umanità, il cui futuro è legato alla sua risposta.

Dio consegna nelle mani di una giovane donna il destino di tutti. Il “sì” di Maria pone la premessa perché si realizzi il disegno che, nel suo amore, Dio ha predisposto per la salvezza del mondo.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume in modo sintetico ed efficace il decisivo valore per l’intera umanità del libero consenso di Maria al piano divino della salvezza. “Maria Vergine ha cooperato alla salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza. Ha detto il suo “fiat” “loco totius humanae naturae - in nome di tutta l’umanità”: per la sua obbedienza, è diventata la nuova Eva, madre dei viventi” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 511).

3. Con il suo comportamento, Maria ricorda dunque a ciascuno di noi la grave responsabilità di accogliere il progetto divino sulla nostra vita. Obbedendo senza riserve alla volontà salvifica di Dio, manifestata nella parola dell’angelo, ella si pone come modello per coloro che il Signore proclama beati, perché “ascoltano la Parola di Dio e la osservano” (Lc 11, 28). Gesù, in risposta alla donna che, tra la folla, proclama beata sua madre, mostra il vero motivo della beatitudine di Maria: l’adesione alla volontà di Dio, che l’ha condotta all’accettazione della divina maternità.

Nell’Enciclica Redemptoris Mater ho rilevato che la nuova maternità spirituale, di cui parla Gesù, riguarda in primo luogo proprio lei. Infatti “non è forse Maria la prima tra “coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”? E dunque non riguarda soprattutto lei quella benedizione pronunciata da Gesù in risposta alle parole della donna anonima?” (Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, n. 20). Maria viene così in un certo senso proclamata la prima discepola del suo Figlio (cf. Ivi) e, con il suo esempio, invita tutti i credenti a rispondere generosamente alla grazia del Signore.

4. Il Concilio Vaticano II si sofferma ad illustrare la dedizione totale di Maria alla persona e all’opera di Cristo: “Si è offerta totalmente come la serva del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, mettendosi al servizio del mistero della redenzione sotto di lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente” (Lumen Gentium, 56).

La dedizione alla persona e all’opera di Gesù per Maria significa l’unione intima con il Figlio, l’impegno materno a promuovere la sua crescita umana e la cooperazione alla sua opera di salvezza.

Maria esercita quest’ultimo aspetto della sua dedizione a Gesù “sotto di Lui”, cioè in una condizione di subordinazione, che è frutto della grazia. Si tratta però di vera cooperazione, perché si realizza “con Lui” e comporta, a partire dall’Annunciazione, un’attiva partecipazione all’opera redentrice. “Giustamente quindi - osserva il Concilio Vaticano II - i santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nella mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede ed obbedienza. Infatti, come dice sant’Ireneo, ella “obbedendo divenne causa della salvezza per lei [Eva] e per tutto il genere umano (Sant'Ireneo, Adv. Haer., 3,22,4)”” (Ivi).

Maria, associata alla vittoria di Cristo sul peccato degli antichi Progenitori, appare come la vera “madre dei viventi” (Ivi). La sua maternità, liberamente accettata in obbedienza al disegno divino, diventa fonte di vita per l’intera umanità.

 

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NEL MISTERO DELLA VISITAZIONE IL PRELUDIO DELLA MISSIONE DEL SALVATORE

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 2 ottobre 1996

 

1. Nell’episodio della Visitazione san Luca mostra come la grazia dell’Incarnazione, dopo aver inondato Maria, rechi salvezza e gioia alla casa di Elisabetta. Il Salvatore degli uomini, racchiuso nel grembo di sua Madre, effonde lo Spirito Santo, manifestandosi fin dall’inizio della sua venuta nel mondo.

Descrivendo la partenza di Maria per la Giudea, l’evangelista usa il verbo “anístemi”, che significa “alzarsi”, “mettersi in movimento”. Considerando che tale verbo viene adoperato nei Vangeli per indicare la resurrezione di Gesù (Mc 8, 31; 9, 9.31; Lc 24, 7.46) o azioni materiali che comportano uno slancio spirituale (Lc 5, 27-28; 15, 18.20), possiamo supporre che Luca voglia sottolineare, con questa espressione, lo slancio vigoroso che conduce Maria, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, a donare al mondo il Salvatore.

2. Il testo evangelico riferisce, altresì, che Maria compie il viaggio “in fretta” (Lc 1, 39).Anche la notazione “verso la montagna” (Lc 1, 39), nel contesto lucano, appare molto di più che una semplice indicazione topografica, poiché fa pensare al messaggero della buona novella descritto nel Libro di Isaia: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: "Regna il tuo Dio"” (Is 52, 7).

Come fa san Paolo, che riconosce il compimento di tale testo profetico nella predicazione del Vangelo (Rm 10, 15), anche san Luca sembra invitare a vedere in Maria la prima “evangelista”, che diffonde la “buona notizia”, dando inizio ai viaggi missionari del divin Figlio.

Particolarmente significativa, infine, è la direzione del viaggio della Vergine Santissima: sarà dalla Galilea alla Giudea, come il cammino missionario di Gesù (cf. 9, 51).

Infatti, con la visita ad Elisabetta, Maria realizza il preludio della Missione di Gesù e, collaborando sin dall’inizio della sua maternità all’opera redentrice del Figlio, diventa il modello di coloro che nella Chiesa si pongono in cammino per recare la luce e la gioia di Cristo agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo.

3. L’incontro con Elisabetta riveste i caratteri di un gioioso evento salvifico che supera il sentimento spontaneo della simpatia familiare. Là dove l’imbarazzo dell’incredulità pare concretizzarsi nel mutismo di Zaccaria, Maria irrompe con la gioia della sua fede pronta e disponibile: “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta” (Lc 1, 40).

San Luca riferisce che “appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo” (Lc 1, 41). Il saluto di Maria suscita nel figlio di Elisabetta un sussulto di gioia: l’ingresso di Gesù nella casa di Elisabetta, ad opera della Madre, porta al nascituro profeta quella letizia che l’Antico Testamento annuncia come segno della presenza del Messia.

Al saluto di Maria, la gioia messianica investe anche Elisabetta che “fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!"” (Lc 1, 41-42).

In virtù di un’illuminazione superiore, ella comprende la grandezza di Maria che, più di Giaele e di Giuditta, sue prefigurazioni nell’Antico Testamento, è benedetta fra le donne, a causa del frutto del suo grembo, Gesù, il Messia.

4. L’esclamazione di Elisabetta, fatta “a gran voce”, manifesta un vero entusiasmo religioso, che la preghiera dell’Ave Maria continua a far risuonare sulle labbra dei credenti, quale cantico di lode della Chiesa per le grandi opere realizzate dall’Altissimo nella Madre del suo Figlio.

Proclamandola “benedetta fra le donne”, Elisabetta addita il motivo della beatitudine di Maria nella sua fede: “E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1, 45). La grandezza e la gioia di Maria hanno origine dal fatto che ella è colei che crede.

Di fronte all’eccellenza di Maria, Elisabetta comprende anche quale onore costituisca per lei la sua visita: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1, 43). Con l’espressione “mio Signore” Elisabetta riconosce la dignità regale, anzi messianica, del Figlio di Maria. Nell’Antico Testamento, infatti, questa espressione veniva usata per rivolgersi al re (cf. 1 Re 1, 13.20, 21 ecc.) e per parlare del Re-Messia (Sal 110, 1).Di Gesù, l’angelo aveva detto: “Il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre” (Lc 1, 32). “Piena di Spirito Santo”, Elisabetta ha la stessa intuizione. Più tardi, la glorificazione pasquale di Cristo rivelerà in che senso questo titolo sia da intendersi, in un senso, cioè, trascendente (cf. Gv 20, 28; At 2, 34-36).

Con la sua esclamazione ammirativa, Elisabetta ci invita ad apprezzare tutto ciò che la presenza della Vergine reca in dono alla vita di ogni credente.

Nella Visitazione la Vergine porta alla madre del Battista il Cristo, che effonde lo Spirito Santo. Tale ruolo di mediatrice viene ben evidenziato dalle parole stesse di Elisabetta: “Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1, 44). L’intervento di Maria produce, con il dono dello Spirito Santo, quasi un preludio della Pentecoste, confermando una cooperazione che, iniziata con l’Incarnazione, è destinata ad esprimersi in tutta l’opera della divina salvezza.

 

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NEL MAGNIFICAT MARIA CELEBRA L’OPERA MIRABILE DI DIO

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 6 novembre 1996

 

1. Ispirandosi alla tradizione veterotestamentaria, col cantico del Magnificat Maria celebra le meraviglie compiute in lei da Dio. Il cantico è la risposta della Vergine al mistero dell’Annunciazione: l’angelo l’aveva invitata alla gioia, ora Maria esprime l’esultanza del suo spirito in Dio salvatore. La sua gioia nasce dall’aver fatto l’esperienza personale dello sguardo benevolo rivolto da Dio a lei, creatura povera e senza influsso nella storia.

Con l’espressione Magnificat, versione latina di un vocabolo greco dello stesso significato, viene celebrata la grandezza di Dio, che con l’annuncio dell’angelo rivela la sua onnipotenza, superando attese e speranze del popolo dell’Alleanza e anche i più nobili desideri dell’anima umana.

Di fronte al Signore, potente e misericordioso, Maria esprime il sentimento della propria piccolezza: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1, 47-48). Il termine greco “tapéinosis” è probabilmente mutuato dal cantico di Anna, madre di Samuele. In esso sono indicate l’“umiliazione” e la “miseria” di una donna sterile (cf. 1 Sam 1, 11), che affida la sua pena al Signore. Con simile espressione Maria rende nota la sua situazione di povertà e la consapevolezza di essere piccola davanti a Dio che, con decisione gratuita, ha posato lo sguardo su di Lei, umile ragazza di Nazaret, chiamandola a divenire la Madre del Messia.

2. Le parole “d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1, 48) prendono avvio dal fatto che Elisabetta per prima abbia proclamato Maria “beata” (Lc 1, 45). Non senza audacia, il cantico predice che la stessa proclamazione si andrà estendendo ed ampliando con un dinamismo inarrestabile. Allo stesso tempo, esso testimonia la speciale venerazione per la Madre di Gesù, presente nella Comunità cristiana sin dal primo secolo. Il Magnificat costituisce la primizia delle varie espressioni di culto, trasmesse da una generazione all’altra, con cui la Chiesa manifesta il suo amore alla Vergine di Nazaret.

3. “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono” (Lc 1, 49-50).

Che cosa sono le “grandi cose” operate in Maria dall’Onnipotente? L’espressione ricorre nell’Antico Testamento per indicare la liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto o da Babilonia. Nel Magnificat essa si riferisce all’evento misterioso del concepimento verginale di Gesù, avvenuto a Nazaret dopo l’annuncio dell’angelo.

Nel Magnificat, cantico veramente teologico perché rivela l’esperienza del volto di Dio compiuta da Maria, Dio non è soltanto l’Onnipotente al quale nulla è impossibile, come aveva dichiarato Gabriele (cf. LcMisericordioso, capace di tenerezza e fedeltà verso ogni essere umano. 1, 37), ma anche il

4. “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1, 51-53).

Con la sua lettura sapienziale della storia, Maria ci introduce a scoprire i criteri del misterioso agire di Dio. Egli, capovolgendo i giudizi del mondo, viene in soccorso dei poveri e dei piccoli, a scapito dei ricchi e dei potenti e, in modo sorprendente, colma di beni gli umili, che gli affidano la loro esistenza (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, 37).

Queste parole del cantico, mentre ci mostrano in Maria un concreto e sublime modello, ci fanno capire che è soprattutto l’umiltà del cuore ad attrarre la benevolenza di Dio.

5. Infine, il cantico esalta il compimento delle promesse e la fedeltà di Dio verso il popolo eletto: “Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre” (Lc 1, 54-55).

Colmata di doni divini, Maria non ferma il suo sguardo al suo caso personale, ma capisce come questi doni siano una manifestazione della misericordia di Dio per tutto il suo popolo. In lei Dio compie le sue promesse con una fedeltà e generosità sovrabbondante.

Ispirato all’Antico Testamento ed alla spiritualità della figlia di Sion, il Magnificat supera i testi profetici che sono alla sua origine, rivelando nella “piena di grazia” l’inizio di un intervento divino che va ben oltre le speranze messianiche d’Israele: il mistero santo dell’Incarnazione del Verbo.

 

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MARIA NELLA NASCITA DI GESU'

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 20 novembre 1996

 

1. Nel racconto della nascita di Gesù l’evangelista Luca riporta alcuni dati, che aiutano a meglio comprendere il significato dell’evento.

Ricorda, anzitutto, il censimento ordinato da Cesare Augusto, che obbliga Giuseppe, “della casa e della famiglia di Davide”, e Maria sua sposa a recarsi “alla città di Davide chiamata Betlemme” (Lc 2, 4).

Informandoci sulle circostanze in cui si realizzano il viaggio e il parto, l’evangelista ci presenta una situazione di disagio e di povertà, che lascia intravedere alcune fondamentali caratteristiche del regno messianico: un regno senza onori e poteri terreni, che appartiene a Colui che, nella sua vita pubblica, dirà di se stesso: “Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9, 58).

2. Il racconto di Luca presenta alcune annotazioni, apparentemente non molto rilevanti, con l’intento di stimolare nel lettore una migliore comprensione del mistero della Natività e dei sentimenti di Colei che genera il Figlio di Dio.

La descrizione dell’evento del parto, narrato in forma semplice, presenta Maria intensamente partecipe a ciò che si compie in lei: “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia . . .” (Lc 2, 7). L’azione della Vergine è il risultato della sua piena disponibilità a cooperare al disegno di Dio, già manifestata nell’Annunciazione con il suo “avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38).

Maria vive l’esperienza del parto in una condizione di estrema povertà: non può dare al figlio di Dio nemmeno ciò che sogliono offrire le madri ad un neonato; ma deve, invece, deporlo “in una mangiatoia”, una culla improvvisata che contrasta con la dignità del “Figlio dell’Altissimo”.

3. Il Vangelo annota che “non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2, 7). Si tratta di un’affermazione che, ricordando il testo del prologo di Giovanni: “I suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11), quasi preannuncia i numerosi rifiuti che Gesù subirà nella sua vita terrena. L’espressione “per loro” accomuna in tale rifiuto il Figlio e la Madre e mostra come Maria sia già associata al destino di sofferenza del Figlio e resa partecipe della sua missione redentrice.

Ricusato dai “suoi”, Gesù è accolto dai pastori, uomini rozzi e malfamati, ma scelti da Dio per essere i primi destinatari della buona notizia della nascita del Salvatore. Il messaggio, che l’angelo rivolge loro, è un invito a gioire: “Ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo” (Lc 2, 10), seguito da una sollecitazione a superare ogni paura: “non temete”.

Infatti, come per Maria al momento dell’Annunciazione, così anche per loro la notizia della nascita di Gesù rappresenta il grande segno della benevolenza divina verso gli uomini.

Nel divin Redentore, contemplato nella povertà della grotta di Betlemme, si può scorgere un invito ad accostarsi con fiducia a Colui che è la speranza dell’umanità.

Il cantico degli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama”, che può essere tradotto anche con “gli uomini della benevolenza” (Lc 2, 14), rivela ai pastori quanto Maria aveva espresso nel suo Magnificat: la nascita di Gesù è il segno dell’amore misericordioso di Dio, che si manifesta specialmente verso gli umili e i poveri.

4. All’invito dell’angelo i pastori rispondono con entusiasmo e sollecitudine: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (Lc 2, 15).

La loro ricerca non risulta infruttuosa: “Trovarono Maria e Giuseppe e il bambino” (Lc 2, 16). Ad essi, come ci ricorda il Concilio, “la Madre di Dio mostrò lieta . . . il Figlio suo primogenito” (Lumen gentium, 57). È l’evento determinante per la loro vita.

Il desiderio spontaneo dei pastori di riferire “ciò che del bambino era stato detto loro” (Lc 2, 17), dopo la mirabile esperienza dell’incontro con la Madre ed il Figlio, suggerisce agli evangelizzatori di tutti i tempi l’importanza e, più ancora, la necessità di un profondo rapporto spirituale con Maria, onde meglio conoscere Gesù e diventare gioiosi annunciatori del suo Vangelo di salvezza.

Di fronte a questi eventi straordinari, Luca ci dice che Maria “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19). Mentre i pastori passano dallo spavento all’ammirazione e alla lode, la Vergine, grazie alla sua fede, mantiene vivo il ricordo degli eventi riguardanti il Figlio e li approfondisce con il metodo del confronto nel suo cuore, ossia nel nucleo più intimo della sua persona. In tal modo Ella suggerisce ad un’altra madre, la Chiesa, di privilegiare il dono e l’impegno della contemplazione e della riflessione teologica, per poter accogliere il mistero della salvezza, comprenderlo maggiormente ed annunciarlo con rinnovato slancio agli uomini di ogni tempo.

 

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IL TITOLO DI MARIA MADRE DI DIO

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 27 novembre 1996

 

1. La contemplazione del mistero della nascita del Salvatore ha condotto il popolo cristiano non solo a rivolgersi alla Vergine Santa come alla Madre di Gesù, ma anche a riconoscerla Madre di Dio. Tale verità fu approfondita e percepita come appartenente al patrimonio della fede della Chiesa già dai primi secoli dell’era cristiana, fino ad essere solennemente proclamata dal Concilio di Efeso nell’anno 431.

Nella prima comunità cristiana, mentre cresce tra i discepoli la consapevolezza che Gesù è il Figlio di Dio, risulta sempre più chiaro che Maria è la Theotokos, la Madre di Dio. Si tratta di un titolo che non appare esplicitamente nei testi evangelici, sebbene in essi sia ricordata “la Madre di Gesù” e venga affermato che Egli è Dio (Gv 20, 28; cf.5, 18; 10, 30.33). Maria viene comunque presentata come Madre dell’Emmanuele, che significa Dio con noi (cf. Mt 1, 22-23).

Già nel III secolo, come si deduce da un’antica testimonianza scritta, i cristiani dell’Egitto si rivolgevano a Maria con questa preghiera: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta” (Dalla Liturgia delle Ore). In questa antica testimonianza, per la prima volta, l’espressione Theotokos, “Madre di Dio”, appare in forma esplicita.

2. Nella mitologia pagana, succedeva spesso che qualche dea fosse presentata come madre di qualche dio. Zeus, ad esempio, dio supremo, aveva per madre la dea Rea. Tale contesto ha forse facilitato, da parte dei cristiani, l’uso del titolo “Theotokos”, “Madre di Dio”, per la madre di Gesù. Bisogna tuttavia notare che questo titolo non esisteva, ma fu creato dai cristiani per esprimere una fede che non aveva niente a che vedere con la mitologia pagana, la fede nel concepimento verginale, nel seno di Maria, di Colui che era da sempre il Verbo eterno di Dio.

Con il IV secolo, il termine Theotokos è ormai di uso frequente in Oriente e in Occidente. La pietà e la teologia fanno riferimento sempre più frequentemente a tale termine, ormai entrato nel patrimonio di fede della Chiesa.
Si comprende perciò il grande movimento di protesta, che si sollevò nel V secolo, quando Nestorio mise in dubbio la legittimità del titolo “Madre di Dio”. Egli, infatti, essendo propenso a ritenere Maria soltanto madre dell’uomo Gesù, sosteneva che fosse dottrinalmente corretta solo l’espressione “Madre di Cristo”. A tale errore Nestorio era indotto dalla sua difficoltà ad ammettere l’unità della persona di Cristo e dall’interpretazione erronea della distinzione fra le due nature - divina e umana -, presenti in Lui.
Il Concilio di Efeso, nell’anno 431, condannò le sue tesi e, affermando la sussistenza della natura divina e della natura umana nell’unica persona del Figlio, proclamò Maria Madre di Dio.

3. Le difficoltà e le obiezioni mosse da Nestorio ci offrono ora l’occasione per alcune riflessioni utili per comprendere e interpretare correttamente tale titolo. L’espressione Theotokos, che letteralmente significa “colei che ha generato Dio”, a prima vista può risultare sorprendente; suscita, infatti, la domanda su come sia possibile che una creatura umana generi Dio. La risposta della fede della Chiesa è chiara: la divina maternità di Maria si riferisce solo alla generazione umana del Figlio di Dio e non invece alla sua generazione divina. Il Figlio di Dio è stato da sempre generato da Dio Padre e gli è consustanziale. In questa generazione eterna Maria non ha evidentemente nessun ruolo. Il Figlio di Dio, però, duemila anni fa, ha assunto la nostra natura umana ed è stato allora concepito e partorito da Maria.

Proclamando Maria “Madre di Dio” la Chiesa intende, quindi, affermare che Ella è la “Madre del Verbo incarnato, che è Dio”. La sua maternità non riguarda, pertanto, tutta la Trinità, ma unicamente la seconda Persona, il Figlio che, incarnandosi, ha assunto da lei la natura umana.

La maternità è relazione tra persona e persona: una madre non è madre soltanto del corpo o della creatura fisica uscita dal suo grembo, ma della persona che genera. Maria, dunque, avendo generato secondo la natura umana la persona di Gesù, che è persona divina, è Madre di Dio.

4. Proclamando Maria “Madre di Dio”, la Chiesa professa con un’unica espressione la sua fede circa il Figlio e la Madre. Questa unione emerge già nel Concilio di Efeso; con la definizione della divina maternità di Maria i Padri intendevano evidenziare la loro fede nella divinità di Cristo. Nonostante le obiezioni, antiche e recenti, circa l’opportunità di riconoscere a Maria questo titolo, i cristiani di tutti i tempi, interpretando correttamente il significato di tale maternità, ne hanno fatto un’espressione privilegiata della loro fede nella divinità di Cristo e del loro amore per la Vergine.

Nella Theotokos la Chiesa, da una parte, ravvisa la garanzia della realtà dell’Incarnazione, perché - come afferma sant’Agostino - “se la Madre fosse fittizia, sarebbe fittizia anche la carne . . . fittizie le cicatrici della risurrezione” (S. Agostino, Tract. in Ev. Ioannis, 8,6-7). E, dall’altra, essa contempla con stupore e celebra con venerazione l’immensa grandezza conferita a Maria da Colui che ha voluto essere suo figlio. L’espressione “Madre di Dio” indirizza al Verbo di Dio, che nell’Incarnazione ha assunto l’umiltà della condizione umana per elevare l’uomo alla figliolanza divina. Ma tale titolo, alla luce della sublime dignità conferita alla Vergine di Nazaret, proclama, pure, la nobiltà della donna e la sua altissima vocazione. Dio infatti tratta Maria come persona libera e responsabile e non realizza l’Incarnazione di suo Figlio se non dopo aver ottenuto il suo consenso.

Seguendo l’esempio degli antichi cristiani dell’Egitto, i fedeli si affidano a Colei che, essendo Madre di Dio, può ottenere dal divin Figlio le grazie della liberazione dai pericoli e dell’eterna salvezza.

 

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EDUCATRICE DEL FIGLIO DI DIO

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 4 dicembre 1996

 

Educatrice del Figlio di Dio

1. Pur essendo avvenuta per opera dello Spirito Santo e di una Madre Vergine, la generazione di Gesù, come quella di tutti gli uomini, ha conosciuto le fasi del concepimento, della gestazione e del parto. Inoltre la maternità di Maria non si è limitata soltanto al processo biologico del generare, ma, al pari di quanto avviene per ogni altra madre, ha donato anche un contributo essenziale alla crescita e allo sviluppo del figlio.

Madre è non solo la donna che dà alla luce un bambino, ma colei che lo alleva e lo educa; anzi, possiamo ben dire che il compito educativo è, secondo il piano divino, il prolungamento naturale della procreazione.

Maria è Theotokos non solo perché ha generato e partorito il Figlio di Dio, ma anche perché lo ha accompagnato nella sua crescita umana.

2. Si potrebbe pensare che Gesù, possedendo in sé la pienezza della divinità, non abbia avuto bisogno di educatori. Ma il mistero dell’Incarnazione ci rivela che il Figlio di Dio è venuto nel mondo in una condizione umana del tutto simile alla nostra, eccetto il peccato (cf. Eb 4,15). Come avviene per ogni essere umano, la crescita di Gesù, dall’infanzia fino all’età adulta (cf. Lc 2,40), ha avuto bisogno dell’azione educativa dei genitori.

Il Vangelo di Luca, particolarmente attento al periodo dell’infanzia, narra che Gesù a Nazaret era sottomesso a Giuseppe e a Maria (cf. Lc 2,51). Tale dipendenza ci mostra Gesù nella disposizione a ricevere, aperto all’opera educativa di sua madre e di Giuseppe, che esercitavano il loro compito anche in virtù della docilità da lui costantemente manifestata.

3. I doni speciali, di cui Dio aveva ricolmato Maria, la rendevano particolarmente idonea a svolgere il compito di madre ed educatrice. Nelle concrete circostanze di ogni giorno, Gesù poteva trovare in lei un modello da seguire e da imitare, e un esempio di amore perfetto verso Dio e i fratelli.

Accanto alla presenza materna di Maria, Gesù poteva contare sulla figura paterna di Giuseppe, uomo giusto (cf. Mt 1,19), che assicurava il necessario equilibrio dell’azione educativa. Esercitando la funzione di padre, Giuseppe ha cooperato con la sua sposa a rendere la casa di Nazaret un ambiente favorevole alla crescita ed alla maturazione personale del Salvatore dell’umanità. Iniziandolo, poi, al duro lavoro di carpentiere, Giuseppe ha permesso a Gesù di inserirsi nel mondo del lavoro e nella vita sociale.

4. I pochi elementi, che il Vangelo offre, non ci consentono di conoscere e valutare completamente le modalità dell’azione pedagogica di Maria nei confronti del suo divin Figlio. Di certo è stata lei, insieme con Giuseppe, ad introdurre Gesù nei riti e prescrizioni di Mosè, nella preghiera al Dio dell’Alleanza mediante l’uso dei Salmi, nella storia del popolo d’Israele centrata sull’esodo dall’Egitto. Da lei e da Giuseppe Gesù ha imparato a frequentare la sinagoga ed a compiere l’annuale pellegrinaggio a Gerusalemme per la Pasqua.

Guardando ai risultati, possiamo certamente dedurre che l’opera educativa di Maria è stata molto incisiva e profonda e ha trovato nella psicologia umana di Gesù un terreno molto fertile.

5. Il compito educativo di Maria, rivolto ad un figlio così singolare, presenta alcune particolari caratteristiche rispetto al ruolo delle altre mamme. Ella ha garantito soltanto le condizioni favorevoli perché potessero realizzarsi i dinamismi ed i valori essenziali di una crescita, già presenti nel figlio. Ad esempio, l’assenza in Gesù di ogni forma di peccato esigeva da Maria un orientamento sempre positivo, con l’esclusione di interventi correttivi nei confronti di lui. Inoltre, se è stata la madre ad introdurre Gesù nella cultura e nelle tradizioni del popolo d’Israele, sarà Lui a rivelare fin dall’episodio del ritrovamento nel tempio la piena consapevolezza di essere il Figlio di Dio, inviato ad irradiare la verità nel mondo seguendo esclusivamente la volontà del Padre. Da “maestra” del suo figlio, Maria diviene così l’umile discepola del divino Maestro da lei generato.

Rimane la grandezza del compito della Vergine Madre: dall’infanzia all’età adulta, ella ha aiutato il figlio Gesù a crescere “in sapienza, età e grazia” (Lc 2,52) e a formarsi alla sua missione.

Maria e Giuseppe emergono perciò come modelli di tutti gli educatori. Essi li sostengono nelle grandi difficoltà che oggi incontra la famiglia e mostrano loro il cammino per giungere ad una formazione incisiva ed efficace dei figli.

La loro esperienza educatrice costituisce un punto di riferimento sicuro per i genitori cristiani, chiamati, in condizioni sempre più complesse e difficili, a porsi al servizio dello sviluppo integrale della persona dei loro figli, perché vivano un’esistenza degna dell’uomo e corrispondente al progetto di Dio.

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LA PRESENTAZIONE DI GESU' AL TEMPIO

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 11 dicembre 1996

 

La presentazione di Gesù al Tempio

1. Nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio, san Luca sottolinea il destino messianico di Gesù. Scopo immediato del viaggio della Santa Famiglia da Betlemme a Gerusalemme è, secondo il testo lucano, l’adempimento della Legge: “Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore” (Lc 2,22-24).

Con questo gesto, Maria e Giuseppe manifestano il proposito di obbedire fedelmente al volere di Dio, rifiutando ogni forma di privilegio. Il loro convenire nel tempio di Gerusalemme assume il significato di una consacrazione a Dio, nel luogo della sua presenza.

Indotta dalla sua povertà ad offrire tortore o colombi, Maria dona in realtà il vero Agnello che dovrà redimere l’umanità, anticipando con il suo gesto quanto era prefigurato nelle offerte rituali dell’Antica Legge.

2. Mentre la Legge richiedeva soltanto alla madre la purificazione dopo il parto, Luca parla del “tempo della loro purificazione” (Lc 2,22), intendendo, forse, indicare insieme le prescrizioni riguardanti la madre e il Figlio primogenito.

L’espressione “purificazione” ci può sorprendere, perché viene riferita ad una Madre che aveva ottenuto, per grazia singolare, di essere immacolata fin dal primo istante della sua esistenza, e ad un Bambino totalmente santo. Bisogna, però, ricordarsi che non si trattava di purificarsi la coscienza da qualche macchia di peccato, ma soltanto di riacquistare la purità rituale, la quale, secondo le idee del tempo, era intaccata dal semplice fatto del parto, senza che ci fosse alcuna forma di colpa.

L’evangelista approfitta dell’occasione per sottolineare il legame speciale che esiste tra Gesù, in quanto “primogenito” (Lc 2,7.23) e la santità di Dio, nonché per indicare lo spirito di umile offerta che animava Maria e Giuseppe (cf. Lc 2,24). Infatti, la “coppia di tortore o di giovani colombi” era l’offerta dei poveri (Lv 12,8).

3. Nel Tempio Giuseppe e Maria incontrano Simeone, “uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele” (Lc 2,25).

La narrazione lucana non dice nulla del suo passato e del servizio che svolge nel tempio; racconta di un uomo profondamente religioso che coltiva nel cuore desideri grandi e aspetta il Messia, consolatore d’Israele. Infatti “lo Spirito Santo... era sopra di lui” e “gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore” (Lc 2,26). Simeone ci invita a guardare all’azione misericordiosa di Dio, il quale effonde lo Spirito sui suoi fedeli per portare a compimento il suo misterioso progetto d’amore.

Simeone, modello dell’uomo che si apre all’azione di Dio, “mosso dallo Spirito” (Lc 2,27), si reca al Tempio dove incontra Gesù, Giuseppe e Maria. Prendendo il Bambino tra le braccia, benedice Dio: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola” (Lc 2,29).

Espressione dell’Antico Testamento, Simeone sperimenta la gioia dell’incontro con il Messia e sente di aver raggiunto lo scopo della sua esistenza; può quindi domandare all’Altissimo di raggiungere la pace dell’aldilà.

Nell’episodio della Presentazione si può scorgere l’incontro della speranza d’Israele con il Messia. Si può anche vedervi un segno profetico dell’incontro dell’uomo con Cristo. Lo Spirito Santo lo rende possibile, suscitando nel cuore umano il desiderio di tale incontro salvifico e favorendone la realizzazione.

Né possiamo trascurare il ruolo di Maria, che consegna il Bambino al santo vecchio Simeone. Per volere divino, è la Madre che dona Gesù agli uomini.

4. Nello svelare il futuro del Salvatore, Simeone fa riferimento alla profezia del “Servo”, inviato al Popolo eletto e alle nazioni. A Lui il Signore dice: “Ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni” (Is 42,6). E ancora: “È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (Is 49,6).

Nel suo cantico Simeone capovolge la prospettiva, ponendo l’accento sull’universalismo della missione di Gesù: “I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2,30-32).

Come non meravigliarsi di fronte a tali parole? “Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui” (Lc 2,33). Ma Giuseppe e Maria, con questa esperienza, comprendono più chiaramente l’importanza del loro gesto di offerta: nel tempio di Gerusalemme presentano Colui che, essendo la gloria del suo popolo, è anche la salvezza di tutta l’umanità.

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LA PROFEZIA DI SIMEONE ASSOCIA MARIA AL DESTINO DOLOROSO DEL FIGLIO

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 18 dicembre 1996

 

La profezia di Simeone associa Maria
al destino doloroso del Figlio

1. Dopo aver riconosciuto in Gesù la “luce per illuminare le genti” (Lc 2,32), Simeone annunzia a Maria la grande prova cui è chiamato il Messia e le svela la sua partecipazione a tale destino doloroso. Il riferimento al sacrificio redentore, assente nell’Annunciazione, ha fatto vedere nell’oracolo di Simeone quasi un “secondo annunzio” (Redemptoris Mater, 16), che porterà la Vergine ad una più profonda comprensione del mistero di suo Figlio.

Simeone che, fino a quel momento, si era rivolto a tutti i presenti, benedicendo in particolare Giuseppe e Maria, ora predice soltanto alla Vergine che avrà parte alla sorte del Figlio. Ispirato dallo Spirito Santo, le annuncia: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione - e anche a te una spada trafiggerà l’anima - perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35).

2. Queste parole predicono un futuro di sofferenza per il Messia. È Lui, infatti, “il segno che viene contraddetto”, destinato a trovare una dura opposizione da parte dei suoi contemporanei. Ma Simeone affianca alla sofferenza di Cristo la visione dell’anima di Maria trafitta dalla spada, accomunando, in tal modo, la Madre al doloroso destino del Figlio.

Così il santo vegliardo, mentre pone in luce la crescente ostilità a cui va incontro il Messia, sottolinea la ripercussione di essa sul cuore della Madre. Tale sofferenza materna raggiungerà il culmine nella passione quando si unirà al Figlio nel sacrificio redentore.

Venendo dopo un accenno ai primi canti del Servo del Signore (cf. Is 42,6; 49,6), citati in Lc 2,32, le parole di Simeone ci fanno pensare alla profezia del Servo sofferente (Is 52,13-53,12), il quale, “trafitto per i nostri delitti” (Is 53,5), offre “se stesso in espiazione” (Is 53,10) mediante un sacrificio personale e spirituale, che supera di gran lunga gli antichi sacrifici rituali.

Possiamo notare qui come la profezia di Simeone lasci intravedere nella futura sofferenza di Maria una singolare somiglianza con l’avvenire doloroso del “Servo”.

3. Maria e Giuseppe manifestano non poco stupore quando Simeone proclama Gesù “luce per illuminare le genti e gloria d’Israele” (Lc 2,32). Maria invece, in riferimento alla profezia della spada che le trafiggerà l’anima, non dice nulla. Accoglie in silenzio, insieme con Giuseppe, quelle parole misteriose che lasciano presagire una prova molto dolorosa e collocano nel suo significato più autentico la presentazione di Gesù al Tempio.

Infatti, secondo il disegno divino, il sacrificio offerto allora di “una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge” (Lc 2,24) era un preludio al sacrificio di Gesù, “mite e umile di cuore” (Mt 11,29); in esso sarebbe stata fatta la vera “presentazione” (cf. Lc 2,22), che avrebbe visto la Madre associata al Figlio nell’opera della redenzione.

4. Alla profezia di Simeone fa seguito l’incontro con la profetessa Anna: “Si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,38). La fede e la sapienza profetica dell’anziana donna che, “servendo Dio notte e giorno” (Lc 2,37), tiene viva con digiuni e preghiere l’attesa del Messia, offrono alla Santa Famiglia un ulteriore impulso a porre nel Dio d’Israele la sua speranza. In un momento così particolare, il comportamento di Anna sarà apparso a Maria e Giuseppe come un segno del Signore, un messaggio di illuminata fede e di perseverante servizio.

A partire dalla profezia di Simeone, Maria unisce in modo intenso e misterioso la sua vita alla missione dolorosa di Cristo: ella diventerà la fedele cooperatrice del Figlio per la salvezza del genere umano.

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NELLA PRESENTAZIONE DI GESÙ AL TEMPIO VIENE RIVELATA LA COOPERAZIONE DELLA "DONNA" ALLA REDENZIONE
GIOVANNI PAOLO II 

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 8 gennaio 1997

      

Nella Presentazione di Gesù al Tempio viene rivelata
la cooperazione della «donna» alla Redenzione

1. Le parole del vecchio Simeone, annunziando a Maria la sua partecipazione alla missione salvifica del Messia, pongono in luce il ruolo della donna nel mistero della redenzione.

Maria, infatti, non è solo una persona individuale, ma è anche la “figlia di Sion”, la donna nuova posta accanto al Redentore per condividerne la passione e generare nello Spirito i figli di Dio. Tale realtà è espressa dalla rappresentazione popolare delle “sette spade” che trapassano il cuore di Maria: la raffigurazione evidenzia il profondo legame tra la madre, che s’identifica con la figlia di Sion e con la Chiesa, e il destino di dolore del Verbo incarnato.

Restituendo il Figlio, appena ricevuto da Dio, per consacrarlo alla sua missione di salvezza, Maria consegna anche se stessa a tale missione. Si tratta di un gesto di interiore condivisione che non è solo frutto del naturale affetto materno, ma esprime soprattutto il consenso della donna nuova all’opera redentrice di Cristo.

2. Nel suo intervento Simeone indica la finalità del sacrificio di Gesù e della sofferenza di Maria: questi avverranno “perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2, 35).

Gesù “segno di contraddizione” (Lc 2, 34), che coinvolge la madre nella sua sofferenza, condurrà gli uomini a prendere posizione nei suoi confronti, invitandoli ad una decisione fondamentale. Egli, infatti, “è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele” (Lc 2, 34).

Maria è dunque unita al suo divin Figlio nella “contraddizione”, in vista dell’opera della salvezza. Esiste sicuramente il rischio di rovina per chi rifiuta il Cristo, ma effetto meraviglioso della redenzione è la risurrezione di molti. Questo solo annunzio accende una grande speranza nei cuori ai quali già testimonia il frutto del sacrificio.

Ponendo sotto lo sguardo della Vergine queste prospettive della salvezza prima dell’offerta rituale, Simeone sembra suggerire a Maria di compiere quel gesto per contribuire al riscatto dell’umanità. Di fatto egli non parla con Giuseppe né di Giuseppe: il suo discorso è rivolto a Maria, che egli associa al destino del Figlio.

3. La priorità cronologica del gesto di Maria non offusca il primato di Gesù. Il Concilio Vaticano II, definendo il ruolo di Maria nell’economia della salvezza, ricorda che Ella “consacrò se stessa . . . alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui” (Lumen Gentium, 56).

Nella presentazione al tempio di Gesù, Maria serve al mistero della redenzione sotto Cristo e con Cristo: è Lui infatti il protagonista della salvezza, che deve essere riscattato con l’offerta rituale. Maria è unita al sacrificio del Figlio dalla spada che Le trafiggerà l’anima.

Il primato di Cristo non annulla, ma sostiene ed esige il ruolo proprio e insostituibile della donna. Coinvolgendo la madre nel proprio sacrificio, Cristo intende rivelare le profonde radici umane di esso e mostrare un’anticipazione dell’offerta sacerdotale della croce.

L’intenzione divina di sollecitare l’impegno specifico della donna nell’opera redentrice risulta dal fatto che la profezia di Simeone è rivolta solo a Maria, nonostante che anche Giuseppe sia partecipe del rito dell’offerta.

4. La conclusione dell’episodio della presentazione di Gesù al tempio sembra confermare il significato e il valore della presenza femminile nell’economia della salvezza. L’incontro con una donna, Anna, conclude questi momenti singolari, in cui l’Antico Testamento quasi si consegna al Nuovo.

Come Simeone, questa donna non è una persona socialmente importante nel popolo eletto, ma la sua vita sembra possedere un alto valore agli occhi di Dio. San Luca la chiama “profetessa”, probabilmente perché consultata da molti a motivo del suo dono di discernimento e per la santa vita condotta sotto l’ispirazione dello Spirito del Signore.

Anna è avanzata in età, avendo ottantaquattro anni ed è vedova da molto tempo. Totalmente consacrata a Dio, “non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere” (Lc 2, 37). Ella rappresenta quanti, avendo vissuto intensamente l’attesa del Messia, sono in grado di accogliere il compimento della Promessa con gioiosa esultanza. L’Evangelista riferisce che, “sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio” (Lc 2, 38).

Dimorando abitualmente nel Tempio, Ella ha potuto, forse con maggior facilità di Simeone, incontrare Gesù al tramonto di una esistenza dedicata al Signore e impreziosita dall’ascolto della Parola e dall’orazione.

Agli albori della Redenzione, possiamo scorgere nella profetessa Anna tutte le donne che, con la santità della vita e in orante attesa, sono pronte ad accogliere la presenza di Cristo e a lodare ogni giorno Dio per le meraviglie operate dalla sua eterna misericordia.

5. Prescelti per l’incontro con il Bambino, Simeone ed Anna vivono intensamente tale dono divino, condividono con Maria e Giuseppe la gioia della presenza di Gesù e la diffondono nel loro ambiente. Anna specialmente dimostra uno zelo magnifico nel parlare di Gesù, testimoniando in tal modo la sua fede semplice e generosa. Fede che prepara gli altri ad accogliere il Messia nella loro esistenza.

L’espressione di Luca: “Parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2, 38), sembra accreditarla come simbolo delle donne che, dedicandosi alla diffusione del Vangelo, suscitano ed alimentano speranze di salvezza.

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GESU' PERDUTO E RITROVATO NEL TEMPIO

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 15 gennaio 1997

   

Gesù perduto e ritrovato nel Tempio

1. Come ultima pagina dei racconti dell’infanzia, prima dell’inizio della predicazione di Giovanni il Battista, l’evangelista Luca pone l’episodio del pellegrinaggio di Gesù adolescente al Tempio di Gerusalemme. Si tratta di una singolare circostanza che getta luce sui lunghi anni della vita nascosta di Nazaret.

In tale occasione Gesù rivela con la sua forte personalità, la coscienza della sua missione, conferendo a questo secondo “ingresso” nella “casa del Padre” il significato di una completa donazione a Dio, che già aveva caratterizzato la sua presentazione al Tempio.

Questa pericope sembra porsi in contrasto con l’annotazione di Luca, che presenta Gesù sottomesso a Giuseppe e a Maria (cfr Lc 2, 51). Ma, a ben guardare, Egli pare mettersi, qui, in una cosciente e quasi voluta antitesi con la sua normale condizione di figlio, facendo emergere all’improvviso una decisa separazione da Maria e Giuseppe. Gesù dichiara di assumere, come norma del suo comportamento, solo la sua appartenenza al Padre e non i legami familiari terreni.

2. Attraverso questo episodio, Gesù prepara sua madre al mistero della Redenzione. Maria, insieme con Giuseppe, vive nei tre drammatici giorni in cui il Figlio si sottrae loro per rimanere nel Tempio, l’anticipazione del triduo della sua passione, morte e risurrezione.

Lasciando partire sua Madre e Giuseppe per la Galilea, senza accennare loro dell’intenzione di rimanere a Gerusalemme, Gesù li introduce nel mistero di quella sofferenza che porta alla gioia, anticipando quanto avrebbe compiuto in seguito con i discepoli mediante l’annunzio della sua Pasqua.

Secondo il racconto di Luca, nel viaggio di ritorno verso Nazaret Maria e Giuseppe, dopo una giornata di viaggio, preoccupati ed angosciati per la sorte del fanciullo Gesù, lo cercano invano tra parenti e conoscenti. Rientrati a Gerusalemme e ritrovatolo nel Tempio, restano stupiti, perché lo vedono “seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava” (Lc 2, 46). La sua condotta si presenta molto diversa dal solito. E sicuramente il suo ritrovamento nel terzo giorno costituisce per i genitori la scoperta di un altro aspetto relativo alla sua persona e alla sua missione.

Egli assume il ruolo di maestro, come farà più tardi nella vita pubblica, pronunciando parole che destano ammirazione: “Tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte” (Lc 2, 47). Rivelando una sapienza che stupisce gli uditori, inizia a praticare l’arte del dialogo, che sarà una caratteristica della sua missione salvifica.

La Madre chiede a Gesù: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2, 48). Si potrebbe cogliere qui l’eco dei “perché” di tante madri di fronte alle sofferenze procurate loro dai figli, come pure degli interrogativi che sorgono nel cuore d’ogni uomo nei momenti di prova.

3. Densa di significato è la risposta di Gesù in forma interrogativa: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49).

Con tale espressione Egli, in modo inatteso ed imprevisto, schiude a Maria e Giuseppe il mistero della sua Persona, invitandoli a oltrepassare le apparenze ed aprendo loro prospettive nuove sul suo futuro.

Nella risposta alla Madre angosciata, il Figlio rivela subito il motivo del suo comportamento. Maria aveva detto: “Tuo padre”, designando Giuseppe; Gesù risponde: “Mio Padre”, intendendo il Padre celeste.

Riferendosi alla sua discendenza divina, Egli vuole affermare non tanto che il Tempio, casa del Padre suo, è il “luogo” naturale della sua presenza, quanto piuttosto che Egli deve interessarsi di tutto ciò che riguarda il Padre e il suo disegno. Egli intende ribadire che soltanto la volontà del Padre è per lui norma che vincola la sua obbedienza.

Questo riferimento alla totale dedizione al progetto di Dio è evidenziato nel testo evangelico dall’espressione verbale “è necessario”, che apparirà, poi, nell’annunzio della Passione (cfr Mc 8, 31).

Ai suoi genitori, dunque, è chiesto di lasciarlo andare per compiere la sua missione là dove lo conduce la volontà del Padre celeste.

4. L’Evangelista commenta: “Ma essi non compresero le sue parole” (Lc 2, 50).

Maria e Giuseppe non percepiscono il contenuto della sua risposta, né il modo, che sembra avere l’apparenza di un rifiuto, con cui Egli reagisce alla loro preoccupazione di genitori. Con questo atteggiamento Gesù intende rivelare gli aspetti misteriosi della sua intimità con il Padre, aspetti che Maria intuisce senza saperli però collegare con la prova che stava attraversando.

Le parole di Luca ci permettono di conoscere come Maria viva nel suo essere profondo questo episodio davvero singolare: Ella “serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2, 51). La Madre di Gesù collega gli eventi al mistero del Figlio, rivelatole nell’Annunciazione, e li approfondisce nel silenzio della contemplazione, offrendo la sua collaborazione nello spirito di un rinnovato “fiat”.

Inizia così il primo anello di una catena di eventi che porterà Maria a superare progressivamente il ruolo naturale, che Le deriva dalla maternità, per porsi al servizio della missione del suo divin Figlio.

Nel Tempio di Gerusalemme, in questo preludio della sua missione salvifica, Gesù associa a sé sua Madre; Ella non sarà più soltanto Colei che lo ha generato, ma la Donna che, con la propria obbedienza al Disegno del Padre, potrà collaborare al mistero della Redenzione.

E così Maria, conservando nel suo cuore un evento così carico di significato, giunge ad una nuova dimensione della sua cooperazione alla salvezza.

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MARIA NELLA VITA NASCOSTA DI GESU'

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 29 gennaio 1997

   

Maria nella vita nascosta di Gesù

1. I Vangeli offrono poche e scarne notizie sugli anni trascorsi dalla Santa Famiglia a Nazaret. San Matteo narra della decisione presa da Giuseppe, dopo il ritorno dall'Egitto, di fissare la dimora della Santa Famiglia a Nazaret (cfr Mt 2, 22-23), ma non dà poi nessun'altra informazione, eccetto che Giuseppe era carpentiere (cfr Mt 13, 55). Dal canto suo, san Luca riferisce due volte del ritorno della Santa Famiglia a Nazaret (cfr Lc 2, 39.51) e fornisce due brevi indicazioni sugli anni della fanciullezza di Gesù, prima e dopo l'episodio del pellegrinaggio a Gerusalemme: "Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui" (Lc 2, 40), e "Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2, 52).

Nel riportare queste brevi notazioni sulla vita di Gesù, Luca riferisce probabilmente i ricordi di Maria, relativi ad un periodo di profonda intimità con il Figlio. L'unione tra Gesù e la "piena di grazia" supera di gran lunga quella che normalmente esiste tra madre e figlio, perché è radicata in una particolare condizione soprannaturale ed è rafforzata dalla speciale conformità di entrambi alla divina volontà.

Si può dunque concludere che il clima di serenità e di pace, presente nella casa di Nazaret, ed il costante orientamento verso il compimento del progetto divino, conferivano all'unione tra madre e figlio una straordinaria e irrepetibile profondità.

2. In Maria la coscienza di assolvere ad un compito affidatole da Dio attribuiva un significato più alto alla sua vita quotidiana. I semplici ed umili lavori di ogni giorno assumevano, ai suoi occhi, un singolare valore, in quanto venivano vissuti da Lei come servizio alla missione di Cristo.

L'esempio di Maria illumina ed incoraggia l'esperienza di tante donne che svolgono il loro quotidiano lavoro esclusivamente tra le pareti domestiche. Si tratta di un impegno umile, nascosto, ripetitivo e, spesso, non sufficientemente apprezzato. Tuttavia i lunghi anni, trascorsi da Maria nella casa di Nazaret, ne rivelano le enormi potenzialità di amore autentico e quindi di salvezza. Infatti, la semplicità della vita di tante casalinghe, sentita come missione di servizio e di amore, racchiude un valore straordinario agli occhi del Signore.

E si può ben dire che la vita di Nazaret per Maria non era dominata dalla monotonia. A contatto con Gesù che cresceva, Ella si sforzava di penetrare il mistero di suo Figlio, contemplando e adorando. Dice san Luca: "Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2, 19; cfr 2, 51).

"Tutte queste cose": sono gli eventi di cui Ella è stata, insieme, protagonista e spettatrice, a cominciare dall'Annunciazione; ma, soprattutto, è la vita del Bambino. Ogni giorno d'intimità con Lui costituisce un invito a conoscerlo meglio, a scoprire più profondamente il significato della sua presenza e il mistero della sua persona.

3. Qualcuno potrebbe pensare che per Maria era facile credere, vivendo Ella quotidianamente a contatto con Gesù. In proposito, però, occorre ricordare che gli aspetti singolari della personalità del Figlio rimanevano abitualmente celati; anche se il suo modo di agire era esemplare, Egli viveva una vita simile a quella di tanti suoi coetanei.

Durante i trent'anni della permanenza a Nazaret, Gesù non svela le sue qualità soprannaturali e non compie gesti prodigiosi. Alle prime straordinarie manifestazioni della sua personalità, collegate con l'avvio della predicazione, i suoi familiari (detti nel Vangelo "fratelli") si assumono - secondo un'interpretazione - la responsabilità di ricondurlo a casa, perché ritengono che il suo modo di comportarsi non sia normale (cfr Mc 3, 21).

Nella dignitosa e laboriosa atmosfera di Nazaret, Maria si sforzava di comprendere la trama provvidenziale della missione del Figlio. Oggetto di particolare riflessione, a questo riguardo, fu sicuramente per la Madre la frase che Gesù pronunciò nel Tempio di Gerusalemme all'età di dodici anni: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49). Meditandoci sopra, Maria poteva capire meglio il senso della figliolanza divina di Gesù e quello della sua maternità, impegnandosi a scorgere, nel comportamento del Figlio, i tratti rivelatori della sua somiglianza con Colui che Egli chiamava "mio Padre".

4. La comunione di vita con Gesù, nella casa di Nazaret, portò Maria non solo ad avanzare "nella peregrinazione della fede" (Lumen Gentium, 58), ma anche nella speranza. Tale virtù, alimentata e sostenuta dal ricordo dell'Annunciazione e delle parole di Simeone, abbraccia tutto l'arco della sua esistenza terrena, ma si esercita particolarmente nei trent'anni di silenzio e nascondimento trascorsi a Nazaret.

Tra le pareti domestiche la Vergine vive la speranza in forma eccelsa; sa di non rimanere delusa, anche se non conosce i tempi e i modi con cui Dio realizzerà la sua promessa. Nell'oscurità della fede e in assenza di segni straordinari, che annuncino l'inizio del compito messianico del Figlio, Ella spera, oltre ogni evidenza, attendendo da Dio il compimento della promessa.

Ambiente di crescita della fede e della speranza, la casa di Nazaret diventa un luogo di alta testimonianza della carità. L'amore che Cristo desiderava effondere nel mondo s'accende ed arde prima di tutto nel cuore della Madre: è proprio nel focolare domestico che si prepara l'annuncio del Vangelo della carità divina.

Guardando a Nazaret, contemplando il mistero della vita nascosta di Gesù e della Vergine, siamo invitati a ripensare al mistero della nostra stessa esistenza che - ricorda san Paolo - "è nascosta con Cristo in Dio" (Col 3, 3).

Si tratta, spesso, di un'esistenza umile ed oscura agli occhi del mondo; esistenza però che, alla scuola di Maria, può svelare inattese potenzialità di salvezza, irradiando l'amore e la pace di Cristo.

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MARIA ALLE NOZZE DI CANA
GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 26 febbraio 1997

    

1. Nell'episodio delle nozze di Cana, san Giovanni presenta il primo intervento di Maria nella vita pubblica di Gesù e pone in risalto la sua cooperazione alla missione del Figlio.

Fin dall'inizio del racconto l'evangelista avverte che "c'era la madre di Gesù" (Gv 2, 1) e, quasi a voler suggerire che tale presenza sia all'origine dell'invito rivolto dagli sposi allo stesso Gesù ed ai suoi discepoli (cfr Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, 21), aggiunge: "Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli" (Gv 2, 2). Con tali notazioni Giovanni sembra indicare che a Cana, come nell'evento fondamentale dell'Incarnazione, Maria è colei che introduce il Salvatore.

Il significato ed il ruolo che assume la presenza della Vergine si manifesta quando viene a mancare il vino. Ella, da esperta ed avveduta donna di casa, se ne rende conto immediatamente ed interviene perché non venga meno la gioia di tutti e, in primo luogo, per soccorrere gli sposi in difficoltà.

Rivolgendosi a Gesù con le parole: "Non hanno più vino" (Gv 2, 3), Maria gli esprime la sua preoccupazione per tale situazione, attendendone un intervento risolutore. Più precisamente, secondo alcuni esegeti, la Madre aspetta un segno straordinario, dal momento che Gesù non aveva del vino a disposizione.

2. La scelta di Maria, che avrebbe potuto forse procurare altrove il vino necessario, manifesta il coraggio della sua fede perché, fino a quel momento, Gesù non aveva operato alcun miracolo, né a Nazaret, né nella vita pubblica.

A Cana la Vergine mostra ancora una volta la sua totale disponibilità a Dio. Ella che nell'Annunciazione, credendo a Gesù prima di vederlo, aveva contribuito al prodigio del concepimento verginale, qui, fidando nel potere non ancora svelato di Gesù, provoca il suo "primo segno", la prodigiosa trasformazione dell'acqua in vino.

In tal modo Ella precede nella fede i discepoli che, come riferisce Giovanni, crederanno dopo il miracolo: Gesù "manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (Gv 2, 11). Anzi, ottenendo il segno prodigioso, Maria offre un sostegno alla loro fede.

3. La risposta di Gesù alle parole di Maria: "Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora" (Gv 2, 4), esprime un apparente rifiuto, quasi mettendo alla prova la fede della Madre.

Secondo un'interpretazione, Gesù dal momento in cui inizia la sua missione, sembra porre in discussione il naturale rapporto di figlio, chiamato in causa dalla madre. La frase, nella lingua parlata dell'ambiente, intende, infatti, sottolineare una distanza fra le persone, con l'esclusione della comunione di vita. Questa lontananza non elimina rispetto e stima; il termine "donna", con cui Egli si rivolge alla madre, è usato in un'accezione che ritornerà nei dialoghi con la Cananea (cfr Mt 15, 28), con la Samaritana (cfr Gv 4, 21), con l'adultera (cfr Gv 8, 10) e con Maria Maddalena (cfr Gv 20, 13), in contesti che manifestano un rapporto positivo di Gesù con le sue interlocutrici.

Con l'espressione: "Che ho da fare con te, o donna?", Gesù intende porre la cooperazione di Maria sul piano della salvezza che, impegnando la sua fede e la sua speranza, chiede il superamento del suo ruolo naturale di madre.

4. Di maggiore rilievo appare la motivazione formulata da Gesù: "Non è ancora giunta la mia ora" (Gv 2, 4).

Alcuni studiosi del testo sacro, seguendo l'interpretazione di sant'Agostino, identificano tale "ora" con l'evento della Passione. Per altri, invece, essa si riferisce al primo miracolo in cui si sarebbe rivelato il potere messianico del profeta di Nazaret. Altri ancora ritengono che la frase sia interrogativa e prolunghi la domanda precedente: "Che ho da fare con te, donna? Non è ancora giunta l'ora mia?". Gesù fa intendere a Maria che ormai egli non è più dipendente da lei, ma deve prendere l'iniziativa per fare l'opera del Padre. Maria, allora, si astiene docilmente dall'insistere presso di lui e si rivolge invece ai servi per invitarli a essergli obbedienti.

In ogni caso la sua fiducia nel Figlio viene premiata. Gesù, al quale Ella ha lasciato totalmente l'iniziativa, opera il miracolo, riconoscendo il coraggio e la docilità della Madre: "Gesù disse loro: 'Riempite d'acqua le giare'; e le riempirono fino all'orlo" (Gv 2, 7). Anche la loro obbedienza, pertanto, contribuisce a procurare vino in abbondanza.

La richiesta di Maria: "Fate quello che vi dirà", conserva un suo valore sempre attuale per i cristiani di ogni epoca, ed è destinata a rinnovare il suo effetto meraviglioso nella vita d'ognuno. Essa esorta ad una fiducia senza esitazione, soprattutto quando non si comprendono il senso e l'utilità di quanto il Cristo domanda.

Come nel racconto della Cananea (Mt 15, 24-26), l'apparente rifiuto di Gesù esalta la fede della donna, così le parole del Figlio: "Non è ancora giunta la mia ora", insieme al compimento del primo miracolo, manifestano la grandezza della fede della Madre e la forza della sua preghiera.

L'episodio delle nozze di Cana ci esorta ad essere coraggiosi nella fede e a sperimentare nella nostra esistenza la verità della parola evangelica: "Chiedete e vi sarà dato" (Mt 7, 7; Lc 11, 9).

[Modificato da (Gino61) 29/08/2009 10:51]
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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 5 marzo 1997

     

A Cana Maria induce Gesù a compiere il primo miracolo

1. Nel narrare la presenza di Maria nella vita pubblica di Gesù, il Concilio Vaticano II ne ricorda la partecipazione a Cana in occasione del primo miracolo: "Alle nozze in Cana di Galilea, mossa a compassione, indusse con la sua intercessione Gesù Messia a dare inizio ai miracoli (cfr Gv 2, 1-11)" (Lumen Gentium, 58).

Sulla scia dell'evangelista Giovanni, il Concilio fa notare il ruolo discreto e, al tempo stesso efficace della Madre, che con la sua parola induce il Figlio al "primo segno". Ella, pur esercitando un influsso discreto e materno, con la sua presenza risulta, alla fine, determinante.

L'iniziativa della Vergine appare ancora più sorprendente, se si considera la condizione d'inferiorità della donna nella società giudaica. A Cana, infatti, Gesù non solo riconosce la dignità ed il ruolo del genio femminile, ma, accogliendo l'intervento di sua Madre, le offre la possibilità di essere partecipe all'opera messianica. Non contrasta con questa intenzione di Gesù l'appellativo "Donna", col quale Egli si rivolge a Maria (cfr Gv 2, 4). Esso, infatti, non contiene in sé alcuna connotazione negativa e sarà nuovamente usato da Gesù nei confronti della Madre ai piedi della Croce (cfr Gv 19, 26). Secondo alcuni interpreti, questo titolo "Donna" presenta Maria come la nuova Eva, madre nella fede di tutti i credenti.

Il Concilio, nel testo citato, usa l'espressione: "mossa a compassione", lasciando intendere che Maria era ispirata dal suo cuore misericordioso. Avendo intravisto l'eventualità del disappunto degli sposi e degli invitati per la mancanza di vino, la Vergine compassionevole suggerisce a Gesù di intervenire col suo potere messianico.

A taluni la domanda di Maria appare sproporzionata, perché subordina ad un atto di pietà l'inizio dei miracoli del Messia. Alla difficoltà ha risposto Gesù stesso che, con il suo assenso alla sollecitazione materna, mostra la sovrabbondanza con cui il Signore risponde alle umane attese, manifestando anche quanto possa l'amore di una madre.

2. L'espressione "dare inizio ai miracoli", che il Concilio ha ripreso dal testo di Giovanni, attira la nostra attenzione. Il termine greco archè, tradotto con inizio, principio, è usato da Giovanni nel Prologo del suo Vangelo: "In principio era il Verbo" (Gv 1, 1). Questa significativa coincidenza induce a stabilire un parallelo tra la prima origine della gloria di Cristo nell'eternità e la prima manifestazione della stessa gloria nella sua missione terrena.

Sottolineando l'iniziativa di Maria nel primo miracolo e ricordando poi la sua presenza sul Calvario, ai piedi della Croce, l'evangelista aiuta a comprendere come la cooperazione di Maria si estenda a tutta l'opera di Cristo. La richiesta della Vergine si colloca all'interno del disegno divino di salvezza.

Nel primo segno operato da Gesù i Padri della Chiesa hanno intravisto una forte dimensione simbolica, cogliendo, nella trasformazione dell'acqua in vino, l'annunzio del passaggio dall'antica alla nuova Alleanza. A Cana, proprio l'acqua delle giare, destinata alla purificazione dei Giudei e all'adempimento delle prescrizioni legali (cfr Mc 7, 1-15), diventa il vino nuovo del banchetto nuziale, simbolo dell'unione definitiva fra Dio e l'umanità.

3. Il contesto di un banchetto di nozze, scelto da Gesù per il suo primo miracolo, rimanda al simbolismo matrimoniale, frequente nell'Antico Testamento per indicare l'Alleanza tra Dio e il suo popolo (cfr Os 2, 21; Ger 2, 1-8; Sal 44; ecc.) e nel Nuovo Testamento per significare l'unione di Cristo con la Chiesa (cfr Gv 3, 28-30; Ef 5, 25-32; Ap 21, 1-2; ecc.).

La presenza di Gesù a Cana manifesta inoltre il progetto salvifico di Dio riguardo al matrimonio. In tale prospettiva, la carenza di vino può essere interpretata come allusiva alla mancanza d'amore, che purtroppo non raramente minaccia l'unione sponsale. Maria chiede a Gesù d'intervenire in favore di tutti gli sposi, che solo un amore fondato in Dio può liberare dai pericoli dell'infedeltà, dell'incomprensione e delle divisioni. La grazia del Sacramento offre agli sposi questa forza superiore d'amore, che può corroborare l'impegno della fedeltà anche nelle circostanze difficili.

Secondo l'interpretazione degli autori cristiani, il miracolo di Cana racchiude, inoltre, un profondo significato eucaristico. Compiendolo in prossimità della solennità della Pasqua giudaica (cfr Gv 2, 13), Gesù manifesta, come nella moltiplicazione dei pani (cfr Gv 6, 4), l'intenzione di preparare il vero banchetto pasquale, l'Eucaristia. Tale desiderio, alle nozze di Cana, sembra sottolineato ulteriormente dalla presenza del vino, che allude al sangue della Nuova Alleanza, e dal contesto di un banchetto.

In tal modo Maria, dopo essere stata all'origine della presenza di Gesù alla festa, ottiene il miracolo del vino nuovo, che prefigura l'Eucaristia, segno supremo della presenza del suo Figlio risorto tra i discepoli.

4. Alla fine del racconto del primo miracolo di Gesù, reso possibile dalla fede salda della Madre del Signore nel suo divin Figlio, l'evangelista Giovanni conclude: "I suoi discepoli credettero in Lui" (Gv 2, 11). A Cana Maria inizia il cammino della fede della Chiesa, precedendo i discepoli ed orientando a Cristo l'attenzione dei servi.

La sua perseverante intercessione incoraggia, altresì, coloro che vengono talora a trovarsi dinanzi all'esperienza del "silenzio di Dio". Essi sono invitati a sperare oltre ogni speranza, confidando sempre nella bontà del Signore.

[Modificato da (Gino61) 29/08/2009 10:53]
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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì 12 marzo 1997

 

La partecipazione di Maria alla vita pubblica del Figlio (Lettura: Mc 3, 32-35)

1. Il Concilio Vaticano II, dopo aver ricordato l'intervento di Maria alle nozze di Cana, sottolinea la sua partecipazione alla vita pubblica di Gesù: "Durante la predicazione di Lui raccolse le parole, con le quali il Figlio, esaltando il Regno al di sopra dei rapporti e dei vincoli della carne e del sangue, proclamò beati quelli che ascoltano e custodiscono la Parola di Dio (cfr Mc 3, 35 par.; Lc 11, 27-28) come essa fedelmente faceva (cfr Lc 2, 19 e 51)" (Lumen Gentium, 58).

L'inizio della missione di Gesù ha segnato anche il suo distacco dalla Madre, la quale non sempre ha seguito il Figlio durante il suo peregrinare per le strade della Palestina. Gesù ha scelto deliberatamente la separazione dalla Madre e dagli affetti familiari, come si evince dalle condizioni che pone ai suoi discepoli per seguirlo e per dedicarsi all'annunzio del Regno di Dio.

Ciò nonostante, Maria ha ascoltato talvolta la predicazione del Figlio. Si può supporre che essa fosse presente nella Sinagoga di Nazaret, quando Gesù, dopo aver letto la profezia d'Isaia, ne commentò il testo, applicando a se stesso il contenuto (cfr Lc 4, 18-30). Quanto deve aver sofferto in tale occasione, dopo aver condiviso lo stupore generale per le "parole di grazia che uscivano dalla sua bocca" (Lc 4, 22), nel constatare la dura ostilità dei concittadini che cacciarono Gesù dalla Sinagoga e tentarono perfino di ucciderlo! Dalle parole dell'evangelista Luca emerge la drammaticità di quel momento: "Si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma Egli, passando in mezzo a loro, se ne andò" (Lc 4, 29-30).

Dopo quell'evento, Maria, intuendo che ci sarebbero state altre prove, confermò ed approfondì la sua totale adesione alla Volontà del Padre, offrendo a Lui la sua sofferenza di madre e la sua solitudine.

2. Stando ai Vangeli, Maria ha avuto modo di ascoltare suo Figlio anche in altre circostanze. Anzitutto a Cafarnao, dove Gesù si reca, dopo le nozze di Cana, "insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli" (Gv 2, 12). Inoltre, è probabile che lo abbia potuto seguire anche a Gerusalemme, in occasione della Pasqua, nel Tempio, che Gesù qualifica come casa del Padre suo, per la quale Egli arde di zelo (cfr Gv 2, 16-17). Ella, poi, si trova tra la folla, allorché non riuscendo ad avvicinarsi a Gesù, lo sente rispondere a chi gli annunzia la presenza sua e dei parenti: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc 8, 21).

Con tale espressione il Cristo, pur relativizzando i legami familiari, rivolge un grande elogio alla Madre, affermando un vincolo ben più alto con Lei. Maria, infatti, ponendosi in ascolto del Figlio, accoglie tutte le sue parole e le mette fedelmente in pratica.

Si può pensare che Maria, pur non seguendo Gesù nel suo cammino missionario, si sia informata sullo svolgimento dell'attività apostolica del Figlio, raccogliendo con amore e trepidazione le notizie sulla sua predicazione dalla bocca di coloro che lo avevano incontrato.

La separazione non significava lontananza del cuore, come pure non impediva alla madre di seguire spiritualmente il Figlio, conservando e meditando il suo insegnamento, come già aveva fatto nella vita nascosta di Nazaret. La sua fede, infatti, le permetteva di cogliere il significato delle parole di Gesù prima e meglio dei suoi discepoli, che spesso non comprendevano i suoi insegnamenti e specialmente i riferimenti alla futura Passione (cfr Mt 16, 21-23; Mc 9, 32; Lc 9, 45).

3. Maria, seguendo da lontano le vicende del Figlio, partecipa al suo dramma di sentirsi rifiutato da una parte del popolo eletto. Manifestatosi sin dalla sua visita a Nazaret, tale rifiuto diventa sempre più visibile nelle parole e negli atteggiamenti dei capi del popolo.

In questo modo, la Vergine sarà spesso venuta a conoscenza di critiche, insulti e minacce rivolte a Gesù. Anche a Nazaret, sarà stata più volte ferita dall'incredulità di parenti e conoscenti, che tenteranno di strumentalizzare Gesù (cfr Gv 7, 2-5) o di interromperne la missione (cfr Mc 3, 21).

Attraverso queste sofferenze sopportate con grande dignità e nel nascondimento, Maria condivide l'itinerario di suo Figlio "verso Gerusalemme" (Lc 9, 51) e, sempre più unita a Lui nella fede, nella speranza e nell'amore, coopera alla salvezza.

4. La Vergine diviene così un esempio per coloro che accolgono la parola di Cristo. Credendo sin dall'Annunciazione al messaggio divino e aderendo pienamente alla Persona del Figlio, Ella ci insegna a metterci in fiducioso ascolto del Salvatore, per scoprire in Lui la Parola divina che trasforma e rinnova la nostra vita. La sua esperienza ci incoraggia, altresì, ad accettare le prove e le sofferenze derivanti dalla fedeltà a Cristo, tenendo lo sguardo fisso alla beatitudine promessa da Gesù a coloro che ascoltano e custodiscono la sua Parola.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 2 aprile 1997

 

Presso la Croce, Maria è partecipe del dramma della Redenzione (Gv 19, 17-28.25).

1. Regina caeli laetare, alleluia!

Così canta la Chiesa in questo tempo di Pasqua, invitando i fedeli ed unirsi al gaudio spirituale di Maria, Madre del Risorto. La gioia della Vergine per la risurrezione di Cristo è ancor più grande se si considera l'intima sua partecipazione all'intera vita di Gesù.

Maria, accettando con piena disponibilità la parola dell'angelo Gabriele, che le annunciava che sarebbe diventata la Madre del Messia, iniziava la sua partecipazione al dramma della redenzione. Il suo coinvolgimento nel sacrificio del Figlio, svelato da Simeone nel corso della presentazione al Tempio, continua non solo nell'episodio dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù dodicenne, ma anche durante tutta la sua vita pubblica.

Tuttavia, l'associazione della Vergine alla missione di Cristo raggiunge il culmine in Gerusalemme, al momento della passione e morte del Redentore. Come attesta il quarto Vangelo, Ella in quei giorni si trova nella Città Santa, probabilmente per la celebrazione della Pasqua ebraica.

2. Il Concilio sottolinea la dimensione profonda della presenza della Vergine sul Calvario, ricordando che Ella "serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce" (Lumen gentium, 58), e fa presente che tale unione "nell'opera della redenzione si manifesta dal momento della concezione verginale di Cristo fino alla morte di Lui" (Ivi, 57).

Con lo sguardo illuminato dal fulgore della risurrezione, ci soffermiamo a considerare l'adesione della Madre alla passione redentrice del Figlio, che si compie nella partecipazione al suo dolore. Torniamo nuovamente, ma nella prospettiva ormai della risurrezione, ai piedi della croce, dove la Madre "soffrì profondamente col suo Unigenito e si associò con animo materno al sacrificio di Lui, amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da Lei generata" (Ivi, 58).

Con queste parole il Concilio ci ricorda la "compassione di Maria", nel cui cuore si ripercuote tutto ciò che Gesù patisce nell'anima e nel corpo, sottolineandone la volontà di partecipare al sacrificio redentore e di unire la propria sofferenza materna all'offerta sacerdotale del Figlio.

Nel testo conciliare si pone, altresì, in evidenza che il consenso da Lei dato all'immolazione di Gesù non costituisce una passiva accettazione, ma un autentico atto di amore, col quale Ella offre suo Figlio come "vittima" di espiazione per i peccati dell'intera umanità.

La Lumen gentium pone, infine, la Vergine in relazione a Cristo, protagonista dell'evento redentore, specificando che nell'associarsi "al sacrificio di Lui", Ella rimane subordinata al suo divin Figlio.

3. Nel quarto Vangelo san Giovanni riferisce che "stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala" (Gv 19, 25). Con il verbo "stare", che letteralmente significa "stare in piedi", "stare ritta", l'Evangelista intende forse presentare la dignità e la fortezza manifestate nel dolore da Maria e dalle altre donne.

In particolare, lo "stare ritta" della Vergine presso la croce ne ricorda l'incrollabile fermezza e lo straordinario coraggio nell'affrontare i patimenti. Nel dramma del Calvario Maria è sostenta dalla fede, rafforzatasi nel corso degli eventi della sua esistenza e, soprattutto, durante la vita pubblica di Gesù. Il Concilio ricorda che "la Beata Vergine avanzò nel cammino della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce" (Lumen gentium, 58).

Ai tracotanti insulti diretti al Messia crocifisso, Ella, condividendo le intime disposizioni di Lui, oppone l'indulgenza ed il perdono, associandosi alla supplica al Padre: "Perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23, 34). Partecipe del sentimento di abbandono alla volontà del Padre, espresso dalle ultime parole di Gesù in croce: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (ivi, 23,46), Ella offre in tal modo, come osserva il Concilio, un consenso d'amore "all'immolazione della vittima da Lei generata" (Lumen gentium, 58).

4. In questo supremo "sì" di Maria risplende la fiduciosa speranza nel misterioso futuro, iniziato con la morte del Figlio crocifisso. Le espressioni con le quali Gesù, nel cammino verso Gerusalemme, insegnava ai discepoli "che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare" (Mc 8, 31), le risuonano in cuore nell'ora drammatica del Calvario, suscitando l'attesa e l'anelito della risurrezione,

La speranza di Maria ai piedi della croce racchiude una luce più forte dell'oscurità che regna in molti cuori: di fronte al Sacrificio redentore, nasce in Maria la speranza della Chiesa e dell'umanità.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 9 aprile 1997

     

Maria singolare cooperatrice della Redenzione (Gv 19, 25-26).

1. Nel corso dei secoli la Chiesa ha riflettuto sulla cooperazione di Maria all'opera della salvezza, approfondendo l'analisi della sua associazione al sacrificio redentore di Cristo. Già sant'Agostino attribuisce alla Vergine la qualifica di "cooperatrice" della Redenzione (cfr Sant'Agostino, De Sancta Virginitate, 6; PL 40, 399), titolo che sottolinea l'azione congiunta e subordinata di Maria a Cristo Redentore.

In questo senso s'è sviluppata la riflessione, soprattutto a partire dal XV secolo. Qualcuno ha temuto che si volesse porre Maria sullo stesso piano di Cristo. In realtà l'insegnamento della Chiesa sottolinea con chiarezza la differenza tra la Madre e il Figlio nell'opera della salvezza, illustrando la subordinazione della Vergine, in quanto cooperatrice, all'unico Redentore.

Del resto, l'apostolo Paolo, quando afferma: "Siamo collaboratori di Dio" (1 Cor 3, 9), sostiene l'effettiva possibilità per l'uomo di cooperare con Dio. La collaborazione dei credenti, che, ovviamente, esclude ogni uguaglianza con Lui, s'esprime nell'annuncio del Vangelo e nell'apporto personale al suo radicamento nel cuore degli esseri umani.

2. Applicato a Maria, il termine "cooperatrice" assume, però, un significato specifico. La collaborazione dei cristiani alla salvezza si attua dopo l'evento del Calvario, del quale essi si impegnano a diffondere i frutti mediante la preghiera e il sacrificio. Il concorso di Maria, invece, si è attuato durante l'evento stesso e a titolo di madre; si estende quindi alla totalità dell'opera salvifica di Cristo. Solamente Lei è stata associata in questo modo all'offerta redentrice che ha meritato la salvezza di tutti gli uomini. In unione con Cristo e sottomessa a Lui, Ella ha collaborato per ottenere la grazia della salvezza all'intera umanità.

Il particolare ruolo di cooperatrice svolto dalla Vergine ha come fondamento la sua divina maternità. Partorendo Colui che era destinato a realizzare la redenzione dell'uomo, nutrendolo, presentandolo al tempio, soffrendo con Lui morente in Croce "cooperò in modo tutto speciale all'opera del Salvatore" (Lumen Gentium, 61). Anche se la chiamata di Dio a collaborare all'opera della salvezza riguarda ogni essere umano, la partecipazione della Madre del Salvatore alla Redenzione dell'umanità rappresenta un fatto unico e irrepetibile.

Nonostante la singolarità di tale condizione, Maria è destinataria anch'essa della salvezza. Ella è la prima redenta, riscattata da Cristo "nella maniera più sublime" nel suo immacolato concepimento (cfr Pio IX, Bolla "Ineffabilis Deus", in Pio IX, Acta 1, 605) e colmata della grazia dello Spirito Santo.

3. Questa affermazione ci conduce ora a domandarci: qual è il significato di questa singolare cooperazione di Maria al piano della salvezza? Esso va cercato in una particolare intenzione di Dio nei confronti della Madre del Redentore, che in due occasioni solenni, cioè a Cana e sotto la Croce, Gesù chiama col titolo di "Donna" (cfr Gv 2, 4; 19, 26). Maria è associata in quanto donna all'opera salvifica. Avendo creato l'uomo "maschio e femmina" (cfr Gn 1, 27), il Signore vuole affiancare, anche nella Redenzione, al Nuovo Adamo la Nuova Eva. La coppia dei progenitori aveva intrapreso la via del peccato; una nuova coppia, il Figlio di Dio con la collaborazione della Madre, avrebbe ristabilito il genere umano nella sua dignità originaria.

Maria, Nuova Eva, diviene così icona perfetta della Chiesa. Essa, nel disegno divino, rappresenta sotto la Croce l'umanità redenta che, bisognosa di salvezza, è resa capace di offrire un contributo allo sviluppo dell'opera salvifica.

4. Il Concilio ha ben presente questa dottrina e la fa propria, sottolineando il contributo della Vergine Santissima non soltanto alla nascita del Redentore, ma anche alla vita del suo Corpo mistico lungo il corso dei secoli e fino all'"eschaton": nella Chiesa Maria "ha cooperato" (cfr Lumen Gentium, 53) e "coopera" (cfr Lumen Gentium, 63) all'opera della salvezza. Nell'illustrare il mistero dell'Annunciazione, il Concilio dichiara che la Vergine di Nazaret, "abbracciando la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente" (Lumen Gentium, 56).

Il Vaticano II, inoltre, presenta Maria non soltanto come la "madre del Redentore", ma quale "compagna generosa del tutto eccezionale", che coopera "in modo tutto speciale all'opera del Salvatore, con l'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità". Ricorda, altresì, che frutto sublime di questa cooperazione è la maternità universale: "Per questo diventò per noi madre nell'ordine della grazia" (Lumen Gentium, 61).

Alla Vergine Santa possiamo dunque rivolgerci con fiducia, implorandone l'aiuto nella consapevolezza del ruolo singolare a Lei affidato da Dio, il ruolo di cooperatrice della Redenzione, da Lei esercitato in tutta la vita e, in particolar modo, ai piedi della Croce.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 23 aprile 1997

   

Donna, ecco il tuo Figlio! (Gv 19, 26-27a)

1. Dopo aver ricordato la presenza di Maria e delle altre donne presso la croce del Signore, san Giovanni riferisce: "Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: 'Donna, ecco il tuo figlio!'. Poi disse al discepolo: 'Ecco la tua madre!'" (Gv 19, 26-27).

Queste parole, particolarmente commoventi, costituiscono una "scena di rivelazione": rivelano i profondi sentimenti del Cristo morente e racchiudono una grande ricchezza di significati per la fede e la spiritualità cristiana. Infatti, volgendosi, alla fine della sua vita terrena, alla Madre e al discepolo che amava, il Messia crocifisso stabilisce relazioni nuove di amore tra Maria e i cristiani.

Interpretate talora unicamente come manifestazione della pietà filiale di Gesù verso la Madre, affidata per il futuro al discepolo prediletto, tali espressioni vanno molto al di là della necessità contingente di risolvere un problema familiare. Infatti, la considerazione attenta del testo, confermata dall'interpretazione di molti Padri e dal comune sentire ecclesiale, ci pone dinanzi, nella duplice consegna di Gesù, ad uno dei fatti più rilevanti per comprendere il ruolo della Vergine nell'economia della salvezza.

Le parole di Gesù morente, in realtà, rivelano che il suo primario intento non è quello di affidare la Madre a Giovanni, ma di consegnare il discepolo a Maria, assegnandole una nuova missione materna. L'appellativo "donna", inoltre, usato da Gesù anche nelle nozze di Cana per condurre Maria ad una nuova dimensione del suo essere Madre, mostra quanto le parole del Salvatore non siano frutto di un semplice sentimento di affetto filiale, ma intendano porsi su un piano più alto.

2. La morte di Gesù, pur causando la massima sofferenza a Maria, non cambia di per sé le sue abituali condizioni di vita: infatti, abbandonando Nazaret per iniziare la sua vita pubblica, Gesù aveva già lasciato sola la Madre. Inoltre, la presenza presso la croce della sua parente, Maria di Cleofa, permette di supporre che la Vergine fosse in buoni rapporti con la famiglia e il parentado, presso cui avrebbe potuto trovare accoglienza dopo la morte del Figlio.

Le parole di Gesù, invece, assumono il loro più autentico significato all'interno della sua missione salvifica. Pronunciate al momento del sacrificio redentore, esse attingono proprio da questa sublime circostanza il loro valore più alto. L'Evangelista, infatti, dopo le espressioni di Gesù alla Madre, riporta un inciso significativo: "Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta . . ." (Gv 19, 28), quasi a voler sottolineare che Egli ha portato a termine il suo sacrificio con l'affidare la Madre a Giovanni e, in lui, a tutti gli uomini, dei quali ella diventa Madre nell'opera di salvezza.

3. La realtà messa in atto dalle parole di Gesù, cioè la nuova maternità di Maria nei confronti del Discepolo, costituisce un ulteriore segno del grande amore che ha condotto Gesù ad offrire la vita per tutti gli uomini. Sul Calvario tale amore si manifesta nel donare una madre, la sua, che diventa così anche nostra madre.

Occorre ricordare che, secondo la tradizione, Giovanni è colui che, di fatto, la Vergine ha riconosciuto come suo figlio; ma tale privilegio è stato interpretato dal popolo cristiano, sin dall'inizio, come segno di una generazione spirituale riguardante l'intera umanità.

La maternità universale di Maria, la "Donna" delle nozze di Cana e del Calvario, ricorda Eva, "madre di tutti i viventi" (Gn 3, 20). Tuttavia, mentre costei aveva contribuito all'entrata del peccato nel mondo, la nuova Eva, Maria, coopera all'evento salvifico della Redenzione. Così nella Vergine, la figura della "donna" viene riabilitata e la maternità assume il compito di diffondere tra gli uomini la vita nuova in Cristo.

In vista di tale missione, alla Madre è chiesto il sacrificio, per Lei molto doloroso, di accettare la morte del suo Unigenito. L'espressione di Gesù: "Donna, ecco il tuo figlio", permette a Maria di intuire il nuovo rapporto materno che avrebbe prolungato ed ampliato il precedente. Il suo "sì" a tale progetto costituisce, quindi, un assenso al sacrificio di Cristo, che Ella generosamente accetta nell'adesione alla divina volontà. Anche se nel disegno di Dio la maternità di Maria era destinata fin dall'inizio ad estendersi a tutta l'umanità, soltanto sul Calvario, in virtù del sacrificio di Cristo, essa si manifesta nella sua dimensione universale.

Le parole di Gesù: "Ecco il tuo figlio", realizzano ciò che esprimono, costituendo Maria madre di Giovanni e di tutti i discepoli destinati a ricevere il dono della Grazia divina.

4. Gesù sulla Croce non ha proclamato formalmente la maternità universale di Maria, ma ha instaurato un concreto rapporto materno tra Lei e il discepolo prediletto. In questa scelta del Signore si può scorgere la preoccupazione che tale maternità non venga interpretata in senso vago, ma indichi l'intenso e personale rapporto di Maria con i singoli cristiani.

Possa ciascuno di noi, proprio per questa concretezza della maternità universale di Maria, riconoscere pienamente in Lei la propria Madre, affidandosi con fiducia al suo amore materno.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 7 maggio 1997

   

Ecco la tua Madre (Gv 19, 25-27)

1. Dopo aver affidato Giovanni a Maria con le parole: "Donna, ecco il tuo figlio!", Gesù, dall'alto della croce, si rivolge al discepolo prediletto, dicendogli: "Ecco la tua madre!" (Gv 19, 26-27). Con questa espressione, Egli rivela a Maria il vertice della sua maternità: in quanto madre del Salvatore, Ella è la madre anche dei redenti, di tutte le membra del Corpo Mistico del Figlio.

La Vergine accoglie nel silenzio l'elevazione a questo massimo grado della sua maternità di grazia, avendo già dato una risposta di fede con il suo "sì" nell'Annunciazione.

Gesù non soltanto raccomanda a Giovanni di prendersi cura di Maria con particolare amore, ma gliela affida perché la riconosca come la propria madre.

Nel corso dell'ultima Cena, "il discepolo che Gesù amava" ha ascoltato il comandamento del Maestro: "Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Gv 15, 12) e, posando il capo sul petto del Signore, ha ricevuto da Lui un segno singolare di amore. Tali esperienze l'hanno preparato a meglio percepire nelle parole di Gesù l'invito ad accogliere Colei che gli è donata come madre e ad amarla come Lui con trasporto filiale.

Possano tutti scoprire nelle parole di Gesù: "Ecco la tua madre!", l'invito ad accettare Maria come madre, rispondendo da veri figli al suo materno amore.

2. Alla luce di tale consegna al discepolo prediletto, si può comprendere il senso autentico del culto mariano nella comunità ecclesiale. Esso, infatti, pone i cristiani nella relazione filiale di Gesù verso sua madre, mettendoli nella condizione di crescere nell'intimità con entrambi.

Il culto che la Chiesa rende alla Vergine non è solo frutto di una spontanea iniziativa dei credenti dinanzi al valore eccezionale della sua persona e l'importanza del suo ruolo nell'opera della salvezza, ma si fonda sulla volontà di Cristo.

Le parole "Ecco la tua madre!" esprimono l'intenzione di Gesù di suscitare nei discepoli un atteggiamento di amore e fiducia verso Maria, conducendoli a riconoscere in Lei la loro madre, la madre di ogni credente.

Alla scuola della Vergine i discepoli imparano, come Giovanni, a conoscere profondamente il Signore e a realizzare un intimo e perseverante rapporto d'amore con Lui. Scoprono, altresì, la gioia di affidarsi all'amore materno della Madre, vivendo come figli affettuosi e docili.

La storia della pietà cristiana insegna che Maria è la via che conduce a Cristo e che la devozione filiale verso di Lei non toglie nulla all'intimità con Gesù, anzi, l'accresce e la conduce ad altissimi livelli di perfezione.

Gli innumerevoli santuari mariani, sparsi nel mondo, stanno a testimoniare le meraviglie operate dalla Grazia per intercessione di Maria, madre del Signore e madre nostra.

Ricorrendo a Lei, attratti dalla sua tenerezza, anche gli uomini e le donne del nostro tempo incontrano Gesù, Salvatore e Signore della loro vita.

Soprattutto i poveri, provati nell'intimo, negli affetti e nei beni, trovando presso la Madre di Dio rifugio e pace, riscoprono che la vera ricchezza consiste per tutti nella grazia della conversione e della sequela di Cristo.

3. Il testo evangelico, secondo l'originale greco, prosegue: "Da quell'ora il discepolo l'accolse tra i suoi beni" (Gv 19, 27), sottolineando, così, la pronta e generosa adesione di Giovanni alle parole di Gesù e informandoci circa il comportamento, da lui tenuto per tutta la vita, quale fedele custode e docile figlio della Vergine.

L'ora dell'accoglienza è quella del compimento dell'opera di salvezza. Proprio in tale contesto, ha inizio la maternità spirituale di Maria e la prima manifestazione del nuovo legame tra lei ed i discepoli del Signore.

Giovanni accolse la Madre "tra i suoi beni". Questa espressione piuttosto generica sembra evidenziare la sua iniziativa, piena di rispetto e di amore, non solo di ospitare Maria, nella sua casa, ma soprattutto di vivere la vita spirituale in comunione con Lei.

Infatti, l'espressione greca letteralmente tradotta "tra i suoi beni" non indica tanto i beni materiali poiché Giovanni - come osserva sant'Agostino (In Ioan. Evang. tract. 119,3) - "non possedeva nulla di proprio", quanto piuttosto i beni spirituali o doni ricevuti da Cristo: la grazia (Gv 1, 16), la Parola (Gv 12, 48; 17, 8), lo Spirito (Gv 7, 39; 14, 17), l'Eucaristia (Gv 6, 32-58) . . . Tra questi doni, che gli derivano dal fatto di essere amato da Gesù, il discepolo accoglie Maria come madre, stabilendo con lei una profonda comunione di vita (cfr RM 45, nota 130).

Possa ogni cristiano, sull'esempio dal discepolo prediletto, "prendere Maria nella sua casa", farle spazio nella propria esistenza quotidiana, riconoscendone il ruolo provvidenziale nel cammino della salvezza.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 21 maggio 1997

    

Maria e la risurrezione di Cristo (1 Cor 15, 3-6a).

1. Dopo la deposizione di Gesù nel sepolcro, Maria "rimane sola a tener viva la fiamma della fede, preparandosi ad accogliere l'annuncio gioioso e sorprendente della resurrezione" (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 3 aprile 1996, p. 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 1 (1996) 912). L'attesa vissuta il Sabato Santo costituisce uno dei momenti più alti della fede della Madre del Signore: nell'oscurità che avvolge l'universo, Ella si affida pienamente al Dio della vita e, riandando alle parole del Figlio, spera nella realizzazione piena delle divine promesse.

I Vangeli riportano diverse apparizioni del Risorto, ma non l'incontro di Gesù con sua Madre. Questo silenzio non deve portare a concludere che dopo la Resurrezione Cristo non sia apparso a Maria; ci invita invece a ricercare i motivi di una tale scelta da parte degli evangelisti.

Ipotizzando una "omissione", essa potrebbe essere attribuita al fatto che quanto è necessario per la nostra conoscenza salvifica è affidato alla parola di "testimoni prescelti da Dio" (At 10, 41), cioè agli Apostoli, i quali "con grande forza" hanno reso testimonianza della risurrezione del Signore Gesù (cfr At 4, 33). Prima che a loro, il Risorto è apparso ad alcune donne fedeli a motivo della loro funzione ecclesiale: "Andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno" (Mt 28, 10).

Se gli autori del Nuovo Testamento non parlano dell'incontro della Madre con il Figlio risorto, ciò è, forse, attribuibile al fatto che una simile testimonianza avrebbe potuto essere considerata, da parte di coloro che negavano la resurrezione del Signore, troppo interessata, e quindi non degna di fede.

2. I Vangeli, inoltre, riferiscono un piccolo numero di apparizioni di Gesù risorto, e non certo il resoconto completo di quanto accadde nei quaranta giorni dopo la Pasqua. San Paolo ricorda un'apparizione "a più di cinquecento fratelli in una sola volta"(1 Cor 15, 6). Come giustificare che un fatto noto a molti non sia riferito dagli Evangelisti, nonostante la sua eccezionalità? E' segno evidente che altre apparizioni del Risorto, pur essendo nel novero dei fatti avvenuti e notori, non sono state riportate.

La Vergine, presente nella prima comunità dei discepoli (cfr At 1, 14), come potrebbe essere stata esclusa dal numero di coloro che hanno incontrato il suo divin Figlio risuscitato dai morti?

3. E' anzi legittimo pensare che verosimilmente la Madre sia stata la prima persona a cui Gesù risorto è apparso. L'assenza di Maria dal gruppo delle donne che all'alba si reca al sepolcro (cfr Mc 16, 1; Mt 28, 1), non potrebbe forse costituire un indizio del fatto che Ella aveva già incontrato Gesù? Questa deduzione troverebbe conferma anche nel dato che le prime testimoni della resurrezione, per volere di Gesù, sono state le donne, le quali erano rimaste fedeli ai piedi della Croce, e quindi più salde nella fede.

Ad una di loro, Maria Maddalena, infatti, il Risorto affida il messaggio da trasmettere agli Apostoli (cfr Gv 20, 17-18). Anche questo elemento consente forse di pensare a Gesù che si mostra prima a sua Madre, Colei che è rimasta la più fedele e nella prova ha conservato integra la fede.

Infine, il carattere unico e speciale della presenza della Vergine sul Calvario e la sua perfetta unione con il Figlio nella sofferenza della Croce, sembrano postulare una sua particolarissima partecipazione al mistero della risurrezione.

Un autore del secolo quinto, Sedulio, sostiene che Cristo si è mostrato nello splendore della vita risorta innanzitutto alla propria Madre. Infatti, Colei che nell'Annunciazione era stata la via del suo ingresso nel mondo era chiamata a diffondere la meravigliosa notizia della risurrezione, per farsi annunziatrice della sua gloriosa venuta. Inondata così dalla gloria del risorto, Ella anticipa lo "sfolgorio" della Chiesa (cfr Sedulio, Carmen Pascale, 5,357-364, CSEL 10, 140s).

4. Essendo immagine e modello della Chiesa, che attende il Risorto e che nel gruppo dei discepoli lo incontra durante la apparizioni pasquali, sembra ragionevole pensare che Maria abbia avuto un contatto personale col Figlio risorto, per godere anche lei della pienezza della gioia pasquale.

Presente sul Calvario durante il Venerdì Santo (cfr Gv 19, 25) e nel Cenacolo a Pentecoste (cfr At 1, 14), la Vergine Santissima è probabilmente stata testimone privilegiata anche della risurrezione di Cristo, completando in tal modo la sua partecipazione a tutti i momenti essenziali del Mistero pasquale. Accogliendo Gesù risorto, Maria è inoltre segno ed anticipazione dell'umanità, che spera nel raggiungimento della sua piena realizzazione mediante la risurrezione dai morti.

Nel tempo pasquale la comunità cristiana, rivolgendosi alla Madre del Signore, la invita a gioire: "Regina Coeli, laetare. Alleluja!", "Regina del cielo, rallegrati. Alleluja!". Ricorda così la gioia di Maria per la risurrezione di Gesù, prolungando nel tempo il "rallegrati" rivoltole dall'Angelo nell'annunciazione, perché divenisse "causa di gioia" per l'intera umanità.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 28 maggio 1997

   

Maria e il dono dello Spirito (At 1, 12-13a.14)

1. Percorrendo l'itinerario della vita della Vergine Maria, il Concilio Vaticano II ne ricorda la presenza nella comunità che attende la Pentecoste: "Essendo piaciuto a Dio di non manifestare solennemente il mistero della salvezza umana prima di avere effuso lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli Apostoli prima del giorno della Pentecoste 'perseveranti d'un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria madre di Gesù e i fratelli di Lui' (At 1, 14), e anche Maria implorante con le sue preghiere il dono dello Spirito, che l'aveva già adombrata nell'Annunciazione" (Lumen Gentium, 59).

La prima comunità costituisce il preludio alla nascita della Chiesa; la presenza della Vergine contribuisce a delinearne il volto definitivo, frutto del dono della Pentecoste.

2. Nel clima di attesa, predominante nel Cenacolo dopo l'Ascensione, qual è la posizione di Maria in rapporto alla discesa dello Spirito Santo?

Il Concilio sottolinea espressamente la sua presenza orante in vista dell'effusione del Paraclito: Ella implora "con le sue preghiere il dono dello Spirito". Questa notazione risulta particolarmente significativa dal momento che nell'Annunciazione lo Spirito Santo era già sceso su di lei, ricoprendola della "sua ombra" e dando origine all'Incarnazione del Verbo.

Avendo già fatto un'esperienza del tutto singolare circa l'efficacia di tale dono, la Vergine Santissima era nella condizione di poterlo apprezzare più di chiunque altro; all'intervento misterioso dello Spirito, infatti, Ella doveva la sua maternità, che faceva di lei la via d'ingresso del Salvatore nel mondo.

A differenza di coloro che erano presenti nel Cenacolo in trepida attesa, Ella, pienamente consapevole dell'importanza della promessa di suo Figlio ai discepoli (cfr Gv 14, 16), aiutava la comunità a ben disporsi alla venuta del "Paraclito".

La sua singolare esperienza, quindi, mentre le faceva desiderare ardentemente la venuta dello Spirito, la impegnava anche a predisporre menti e cuori di coloro che le stavano accanto.

3. Durante quella preghiera nel Cenacolo, in atteggiamento di comunione profonda con gli Apostoli, con alcune donne e con i "fratelli" di Gesù, la Madre del Signore invoca il dono dello Spirito per se stessa e per la Comunità.

Era opportuno che la prima effusione dello Spirito su di lei, avvenuta in vista della divina maternità, fosse rinnovata e rafforzata. Infatti, ai piedi della croce, Maria era stata investita di una nuova maternità, quella nei confronti dei discepoli di Gesù. Proprio questa missione esigeva un rinnovato dono dello Spirito. La Vergine lo desiderava, quindi, in vista della fecondità della sua maternità spirituale.

Mentre nell'ora dell'Incarnazione lo Spirito Santo era sceso su di lei, come persona chiamata a partecipare degnamente al grande mistero, ora tutto si compie in funzione della Chiesa, della quale Maria è chiamata ad essere tipo, modello e madre.

Nella Chiesa e per la Chiesa Ella, memore della promessa di Gesù, attende la Pentecoste ed implora per tutti una molteplicità di doni, secondo la personalità e la missione di ciascuno.

4. Nella comunità cristiana la preghiera di Maria riveste un peculiare significato: favorisce l'avvento dello Spirito, sollecitandone l'azione nel cuore dei discepoli e nel mondo. Come nell'Incarnazione lo Spirito aveva formato nel suo grembo verginale il corpo fisico di Cristo, così ora nel Cenacolo lo stesso Spirito scende ad animarne il Corpo Mistico.

La Pentecoste, quindi, è frutto anche dell'incessante preghiera della Vergine, che il Paraclito accoglie con favore singolare, perché espressione del materno amore di lei verso i discepoli del Signore.

Contemplando la potente intercessione di Maria che attende lo Spirito Santo, i cristiani di tutti i tempi, nel lungo e faticoso cammino verso la salvezza, ricorrono spesso alla sua intercessione per ricevere con maggior abbondanza i doni del Paraclito.

5. Rispondendo alla preghiera della Vergine e della comunità raccolta nel Cenacolo il giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo ricolma la Vergine ed i presenti della pienezza dei suoi doni, operando in loro una profonda trasformazione in vista della diffusione della Buona Novella. Alla Madre di Cristo e ai discepoli sono concessi nuova forza e nuovo dinamismo apostolico per la crescita della Chiesa. In particolare, l'effusione dello Spirito conduce Maria ad esercitare la sua maternità spirituale in modo singolare, attraverso la sua presenza intessuta di carità e la sua testimonianza di fede.

Nella Chiesa nascente Ella consegna ai discepoli, quale inestimabile tesoro, i suoi ricordi sull'Incarnazione, sull'infanzia, sulla vita nascosta e sulla missione del divin Figlio, contribuendo a farlo conoscere e a rafforzare la fede dei credenti.

Non possediamo alcuna informazione sull'attività di Maria nella Chiesa primitiva, ma è lecito supporre che, anche dopo la Pentecoste, Ella abbia continuato a vivere un'esistenza nascosta e discreta, vigile ed efficace. Illuminata e condotta dallo Spirito, ha esercitato un influsso profondo sulla comunità dei discepoli del Signore.


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GIOVANNI PAOLO II

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Mercoledì, 25 giugno 1997

   

La dormizione della Madre di Dio (Fil 1, 20b-21)

1. Circa la conclusione della vita terrena di Maria, il Concilio riprende i termini della Bolla di definizione del dogma dell'Assunzione ed afferma: "L'Immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in corpo e anima" (Lumen Gentium, 59). Con questa formula la Costituzione dogmatica Lumen gentium, seguendo il mio Venerato Predecessore Pio XII, non si pronuncia sulla questione della morte di Maria. Pio XII tuttavia non intese negare il fatto della morte, ma soltanto non giudicò opportuno affermare solennemente, come verità che doveva essere ammessa da tutti i credenti, la morte della Madre di Dio.

Alcuni teologi, in verità, hanno sostenuto l'esenzione della Vergine dalla morte e il suo passaggio diretto dalla vita terrena alla gloria celeste. Tuttavia questa opinione è sconosciuta fino al XVII secolo, mentre in realtà esiste una tradizione comune che vede nella morte di Maria la sua introduzione alla gloria celeste.

2. E' possibile che Maria di Nazaret abbia sperimentato nella sua carne il dramma della morte? Riflettendo sul destino di Maria e sul suo rapporto con il divin Figlio, sembra legittimo rispondere affermativamente: dal momento che Cristo è morto, sarebbe difficile sostenere il contrario per la Madre.

In questo senso hanno ragionato i Padri della Chiesa, che non hanno avuto dubbi al riguardo. Basti citare san Giacomo di Sarug (+ 521), secondo il quale "il coro dei dodici Apostoli" quando per Maria giunse "il tempo di camminare sulla via di tutte le generazioni", la via cioè della morte, si raccolse per seppellire "il corpo virgineo della Benedetta" (Discorso sulla sepoltura della Santa Genitrice di Dio, 87-99 in C. VONA, Lateranum 19 [1953], 188). San Modesto di Gerusalemme (+ 634), dopo aver ampiamente parlato della "beatissima dormizione della gloriosissima Genitrice di Dio", conclude il suo "encomio" esaltando l'intervento prodigioso di Cristo che "la risuscitò dal sepolcro" per assumerla con sé nella gloria (San Modesto di Gerusalemme, Enc. in dormitionem Deiparae semperque Virginis Mariae, nn. 7 e 14: PG 86 bis, 3293; 3311). San Giovanni Damasceno (+ 704), per parte sua, si chiede: "Come mai colei che nel parto passò sopra tutti i limiti della natura, ora si piega alle sue leggi e il suo corpo immacolato viene sottoposto alla morte?". E risponde: "Bisognava certo che la parte mortale venisse deposta per rivestirsi di immortalità, poiché anche il padrone della natura non ha rifiutato l'esperienza della morte. Egli, infatti, muore secondo la carne e con la morte distrugge la morte, alla corruzione elargisce l'incorruttibilità e il morire lo fa sorgente di risurrezione". (San Giovanni Damasceno, Panegirico sulla Dormizione della Madre di Dio, 10: SC 80,107).

3. E' vero che nella Rivelazione la morte è presentata come castigo del peccato. Tuttavia il fatto che la Chiesa proclami Maria liberata dal peccato originale per singolare privilegio divino non porta a concludere che Ella abbia ricevuto anche l'immortalità corporale. La Madre non è superiore al Figlio, che ha assunto la morte, dandole nuovo significato e trasformandola in strumento di salvezza.

Coinvolta nell'opera redentrice e associata all'offerta salvatrice di Cristo, Maria ha potuto condividere la sofferenza e la morte in vista della redenzione dell'umanità. Anche per Lei vale quanto Severo d'Antiochia afferma a proposito di Cristo: "Senza una morte preliminare, come potrebbe aver luogo la risurrezione?" (Severo d'Antiochia, Antiiulianistica, Beirut 1931, 194s). Per essere partecipe della risurrezione di Cristo, Maria doveva condividerne anzitutto la morte.

4. Il Nuovo Testamento non fornisce alcuna notizia sulle circostanze della morte di Maria. Questo silenzio induce a supporre che essa sia avvenuta normalmente, senza alcun particolare degno di menzione. Se così non fosse stato, come avrebbe potuto la notizia restare nascosta ai contemporanei e non giungere, in qualche modo, fino a noi?

Quanto alle cause della morte di Maria, non sembrano fondate le opinioni che vorrebbero escludere per Lei cause naturali. Più importante è la ricerca dell'atteggiamento spirituale della Vergine al momento della sua dipartita da questo mondo. A tale proposito, san Francesco di Sales ritiene che la morte di Maria sia avvenuta come effetto di un trasporto d'amore. Egli parla di un morire "nell'amore, a causa dell'amore e per amore", giungendo perciò ad affermare che la Madre di Dio morì d'amore per suo figlio Gesù (San Francesco di Sales, Traité de l'Amour de Dieu, Lib. 7, c. XIII-XIV).

Qualunque sia stato il fatto organico e biologico che causò, sotto l'aspetto fisico, la cessazione della vita del corpo, si può dire che il passaggio da questa all'altra vita fu per Maria una maturazione della grazia nella gloria, così che mai come in quel caso la morte poté essere concepita come una "dormizione".

5. In alcuni Padri della Chiesa troviamo la descrizione di Gesù stesso che viene a prendere sua madre nel momento della morte, per introdurla nella gloria celeste. Essi presentano, così, la morte di Maria come un evento d'amore che l'ha condotta a raggiungere il suo divin Figlio per condividerne la vita immortale. Alla fine della sua esistenza terrena, Ella avrà sperimentato, come Paolo e più di lui, il desiderio di essere sciolta dal corpo per essere con Cristo per sempre (cfr Fil 1, 23).

L'esperienza della morte ha arricchito la persona della Vergine: passando per la comune sorte degli uomini, Ella è in grado di esercitare con più efficacia la sua maternità spirituale verso coloro che giungono all'ora suprema della vita.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 2 luglio 1997

   

L'Assunzione di Maria, verità di fede (Lc 1, 46-49).

1. Sulla scia della Bolla Munificentissimus Deus, del mio venerato predecessore Pio XII, il Concilio Vaticano II afferma che l'Immacolata Vergine, "finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo" (Lumen Gentium, 59).

I Padri conciliari hanno voluto ribadire che Maria, a differenza degli altri cristiani che muoiono in grazia di Dio, è stata assunta alla gloria del Paradiso anche con il suo corpo. Si tratta di una millenaria credenza espressa pure in una lunga tradizione iconografica, che rappresenta Maria mentre "entra" con il suo corpo in cielo.

Il dogma dell'Assunzione afferma che il corpo di Maria è stato glorificato dopo la morte. Infatti, mentre per gli altri uomini la risurrezione dei corpi avverrà alla fine del mondo, per Maria la glorificazione del suo corpo è stata anticipata per singolare privilegio.

2. Il 1° novembre 1950, nel definire il dogma dell'Assunzione, Pio XII, evitò di usare il termine "risurrezione" e di prendere posizione in merito alla questione della morte della Vergine come verità di fede. La Bolla Munificentissimus Deus si limita ad affermare l'elevazione del corpo di Maria alla gloria celeste, dichiarando tale verità "dogma divinamente rivelato".

Come non notare qui che l'Assunzione della Vergine fa parte da sempre della fede del popolo cristiano il quale, affermando l'ingresso di Maria nella gloria celeste, ha inteso proclamare la glorificazione del suo corpo?

La prima traccia della fede nell'Assunzione della Vergine, è presente nei racconti apocrifi, intitolati "Transitus Mariae", il cui nucleo originario risale al II-III secolo. Si tratta di rappresentazioni popolari e talora romanzate, che però in questo caso recepiscono un'intuizione di fede del popolo di Dio.

In seguito, si è andata sviluppando una lunga riflessione in merito alla sorte di Maria nell'aldilà. Questo, a poco a poco, ha condotto i credenti alla fede nella elevazione gloriosa della Madre di Gesù, in anima e corpo, e all'istituzione in Oriente delle feste liturgiche della Dormizione e dell'Assunzione di Maria.

La fede nel destino glorioso dell'anima e del corpo della Madre del Signore, dopo la sua morte, dall'Oriente si diffonde in Occidente con grande rapidità e, a partire dal secolo XIV, si generalizza. Nel nostro secolo, alla vigilia della definizione del dogma, essa costituisce una verità quasi universalmente accolta e professata dalla comunità cristiana in ogni angolo del mondo.

3. Fu così che nel maggio del 1946 con l'Enciclica Deiparae Virginis Mariae Pio XII promosse un'ampia consultazione, interpellando i Vescovi e, tramite loro, il clero e il popolo di Dio, sulla possibilità e l'opportunità di definire l'assunzione corporea di Maria come dogma di fede. Il riscontro fu ampiamente positivo: solo sei risposte su 1181 manifestavano qualche riserva sul carattere rivelato di tale verità.

Citando questo dato, la Bolla Munificentissimus Deus afferma: "Il consenso universale del Magistero ordinario della Chiesa fornisce un argomento certo e solido per provare che l'assunzione corporea della Beata Vergine Maria in cielo . . . è una verità rivelata da Dio, e deve dunque essere creduta fermamente e fedelmente da tutti i figli della Chiesa" (AAS 42 [1950], 757).

La definizione del dogma, sulla scia della fede universale del popolo di Dio, esclude definitivamente ogni dubbio e postula l'espressa adesione di tutti i cristiani.

Dopo aver sottolineato la fede attuale della Chiesa nell'Assunzione, la Bolla richiama la base scritturistica di tale verità.

Il Nuovo Testamento, pur non affermando esplicitamente l'Assunzione di Maria, ne offre il fondamento perché pone ben in evidenza l'unione perfetta della Santa Vergine con il destino di Gesù. Questa unione, che si manifesta sin dal prodigioso concepimento del Salvatore, nella partecipazione della Madre alla Missione del Figlio e, soprattutto, nell'associazione al sacrificio redentore, non può non esigere una continuazione dopo la morte. Perfettamente unita alla vita e all'opera salvifica di Gesù, Maria ne condivide il destino celeste nell'anima e nel corpo.

4. La citata Bolla Munificentissimus Deus, facendo riferimento alla partecipazione della donna del Protovangelo alla lotta contro il serpente e riconoscendo in Maria la nuova Eva, presenta l'Assunzione come conseguenza dell'unione di Maria all'opera redentrice di Cristo. Afferma in proposito: "Di conseguenza, come la gloriosa risurrezione di Cristo fu parte essenziale e ultimo trofeo di questa vittoria, così bisognava che il combattimento operato dalla Santa Vergine, unita a suo Figlio, terminasse con la glorificazione del suo corpo verginale . . ." (AAS 42 [1950], 768).

L'Assunzione è pertanto il punto d'arrivo della lotta che ha impegnato l'amore generoso di Maria nella redenzione dell'umanità ed è frutto della sua partecipazione unica alla vittoria della Croce.


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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 9 luglio 1997

    

L'Assunzione di Maria nella tradizione della Chiesa (Lc 1, 41b-42.45).

1. La perenne e corale tradizione della Chiesa evidenzia come l'Assunzione di Maria rientri nel disegno divino e sia radicata nella singolare partecipazione di Maria alla missione del Figlio. Già nel primo millennio gli autori sacri si esprimono in questo senso.

Testimonianze, in verità appena abbozzate, si trovano in sant'Ambrogio, sant'Epifanio, Timoteo di Gerusalemme. San Germano di Costantinopoli (+733) pone sulla bocca di Gesù, che si appresta a condurre sua madre in cielo, queste parole: "Bisogna che dove sono io, anche tu vi sia, madre inseparabile dal tuo Figlio . . ." (San Germano di Costantinopoli, Homil. 3 in Dormitionem, PG 98,360).

La medesima tradizione ecclesiale, inoltre, vede nella maternità divina la ragione fondamentale dell'Assunzione.

Di tale convinzione troviamo una traccia interessante in un racconto apocrifo del V secolo, attribuito allo Pseudo-Melitone. L'autore immagina Cristo che interroga Pietro e gli Apostoli sulla sorte meritata da Maria e da essi ottiene questa risposta: "Signore, hai scelto questa tua serva perché divenga per te una residenza immacolata . . . E' sembrato dunque giusto a noi tuoi servi che, come dopo aver vinto la morte, tu regni nella gloria, tu risusciti il corpo di tua madre e la conduca con te, gioiosa, nel cielo" (Pseudo-Melitone, De transitu Virginis Mariae, 16, PG 5,1238). Si può pertanto affermare che la divina maternità, che ha reso il corpo di Maria la residenza immacolata del Signore, ne fonda il destino glorioso.

2. San Germano sostiene in un testo ricco di poesia che è l'affetto di Gesù per sua Madre ad esigere il ricongiungimento in cielo di Maria con il divin Figlio: "Come un bambino cerca e desidera la presenza di sua madre, e come una madre ama vivere in compagnia di suo figlio, anche per te, il cui amore materno per tuo Figlio e Dio non lascia dubbi, era conveniente che tu ritornassi verso di lui. E non era conveniente che, in ogni modo, questo Dio che provava per te un amore veramente filiale, ti prendesse in sua compagnia?" (Hom. 1 in Dormitionem, PH 98, 347). In un altro testo, il venerando autore integra l'aspetto privato del rapporto tra Cristo e Maria, con la dimensione salvifica della maternità, sostenendo che: "Bisognava che la madre della Vita condividesse l'abitazione della Vita" (Ibid., PG 98, 348).

3. Secondo alcuni Padri della Chiesa, un altro argomento che fonda il privilegio dell'Assunzione è desunto dalla partecipazione di Maria all'opera della redenzione. San Giovanni Damasceno sottolinea il rapporto fra la partecipazione alla Passione e la sorte gloriosa: "Bisognava che colei che aveva visto suo Figlio sulla croce e ricevuto in pieno cuore la spada del dolore . . . contemplasse questo Figlio assiso alla destra del Padre" (Hom. 2, PG 96, 741). Alla luce del Mistero pasquale, appare in modo particolarmente chiaro l'opportunità che, insieme col Figlio, anche la Madre fosse glorificata dopo la morte.

Il Concilio Vaticano II, ricordando nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa il mistero dell'Assunzione, attira l'attenzione sul privilegio dell'Immacolata Concezione: proprio perché "preservata immune da ogni macchia di colpa originale" (Lumen Gentium, 59), Maria non poteva rimanere come gli altri uomini nello stato di morte sino alla fine del mondo. L'assenza del peccato originale e la santità, perfetta sin dal primo momento dell'esistenza, esigevano per la Madre di Dio la piena glorificazione della sua anima e del suo corpo.

4. Guardando al mistero dell'Assunzione della Vergine è possibile comprendere il piano della Provvidenza divina relativa all'umanità: dopo Cristo, Verbo incarnato, Maria è la creatura umana che realizza per prima l'ideale escatologico, anticipando la pienezza della felicità, promessa agli eletti mediante la risurrezione dei corpi.

Nell'Assunzione della Vergine, possiamo vedere anche la volontà divina di promuovere la donna.

In analogia a quanto era avvenuto all'origine del genere umano e della storia della salvezza, nel progetto di Dio l'ideale escatologico doveva rivelarsi non in un individuo, ma in una coppia. Perciò nella gloria celeste, accanto a Cristo risorto, c'è una donna risuscitata, Maria: il nuovo Adamo e la nuova Eva, primizie della risurrezione generale dei corpi dell'intera umanità.

La condizione escatologica di Cristo e quella di Maria non vanno certo poste sullo stesso piano. Maria, nuova Eva, ha ricevuto da Cristo, nuovo Adamo, la pienezza di grazia e di gloria celeste, essendo stata risuscitata mediante lo Spirito Santo dal potere sovrano del Figlio.

5. Quantunque succinte, queste note ci permettono di porre in luce che l'Assunzione di Maria rivela la nobiltà e la dignità del corpo umano.

Di fronte alle profanazioni e all'avvilimento cui la moderna società sottopone non di rado, in particolare, il corpo femminile, il mistero dell'Assunzione proclama il destino soprannaturale e la dignità di ogni corpo umano, chiamato dal Signore a diventare strumento di santità e a partecipare alla sua gloria.

Maria è entrata nella gloria perché ha accolto nel suo seno verginale e nel suo cuore il Figlio di Dio. Guardando a Lei, il cristiano impara a scoprire il valore del proprio corpo e a custodirlo come tempio di Dio, nell'attesa della risurrezione.

L'Assunzione, privilegio concesso alla Madre di Dio, costituisce così un immenso valore per la vita e il destino dell'umanità.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 23 luglio 1997

   

La Regina dell'universo (Ap 12, 1)

1. La devozione popolare invoca Maria come Regina. Il Concilio, dopo aver ricordato l'assunzione della Vergine "alla celeste gloria in anima e corpo", spiega che Ella fu "dal Signore esaltata quale Regina dell'universo, perché fosse più pienamente conformata col Figlio suo, Signore dei dominanti (cfr Ap 19, 16), e vincitore del peccato e della morte" (Lumen Gentium, 59).

In effetti, a partire dal secolo V, quasi nello stesso periodo in cui il Concilio di Efeso la proclama "Madre di Dio", si inizia ad attribuire a Maria il titolo di Regina. Il popolo cristiano, con tale ulteriore riconoscimento della sua eccelsa dignità, vuole porla al di sopra di tutte le creature, esaltandone il ruolo e l'importanza nella vita di ogni singola persona e del mondo intero.

Ma già in un frammento di omelia, attribuito a Origene, compare questo commento alle parole pronunciate da Elisabetta nella Visitazione: "Sono io che avrei dovuto venire a te, perché sei benedetta al di sopra di tutte le donne, tu la madre del mio Signore, tu mia Signora" (Origene, Fragmenta, PG 13,1902 D). In questo testo, spontaneamente si passa dall'espressione "la madre del mio Signore", all'appellativo "mia Signora", anticipando quanto dichiarerà più tardi san Giovanni Damasceno, che attribuisce a Maria il titolo di "Sovrana": "Quando è diventata madre del Creatore, è diventata veramente la sovrana di tutte le creature" (San Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 4,14, PG 94,1157).

2. Il mio Venerato Predecessore Pio XII, nell'Enciclica Ad coeli Reginam, cui fa riferimento il testo della Costituzione Lumen gentium, indica quale fondamento della regalità di Maria, oltre alla maternità, la cooperazione all'opera della redenzione. L'Enciclica ricorda il testo liturgico: "Stava Santa Maria, Regina del cielo e Sovrana del mondo, nel dolore, presso la Croce del Signore nostro Gesù Cristo" (AAS 46 [1954] 634). Essa stabilisce poi un'analogia tra Maria e Cristo, che ci aiuta a comprendere il significato della regalità della Vergine. Cristo è re non solo perché Figlio di Dio, ma anche perché Redentore; Maria è regina non solo perché Madre di Dio, ma anche perché, associata come nuova Eva al nuovo Adamo, cooperò all'opera della redenzione del genere umano (AAS 46 [1954] 635).

Nel Vangelo di Marco leggiamo che nel giorno dell'Ascensione il Signore Gesù "fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio" (Mc 16, 19). Nel linguaggio biblico "sedere alla destra di Dio" significa condividerne il potere sovrano. Sedendo "alla destra del Padre", Egli instaura il suo regno, il Regno di Dio. Assunta in Cielo, Maria viene associata al potere di suo Figlio e si dedica all'estensione del Regno, partecipando alla diffusione della grazia divina nel mondo.

Guardando all'analogia fra l'Ascensione di Cristo e l'Assunzione di Maria, possiamo concludere che, in dipendenza da Cristo, Maria è la regina che possiede ed esercita sull'universo una sovranità donatale dallo stesso suo Figlio.

3. Il titolo di Regina non sostituisce certo quello di Madre: la sua regalità rimane un corollario della sua peculiare missione materna, ed esprime semplicemente il potere che le è stato conferito per svolgere tale missione.

Citando la Bolla Ineffabilis Deus di Pio IX, il Sommo Pontefice Pio XII pone in evidenza questa dimensione materna della regalità della Vergine: "Avendo per noi un affetto materno e assumendo gli interessi della nostra salvezza, Ella estende a tutto il genere umano la sua sollecitudine. Stabilita dal Signore Regina del cielo e della terra, elevata al di sopra di tutti i cori degli Angeli e di tutta la gerarchia celeste dei Santi, sedendo alla destra del suo unico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, Ella ottiene con grande certezza quello che chiede con le sue materne preghiere; quello che cerca lo trova e non le può mancare" (AAS 46 [1954] 636-637).

4. I cristiani guardano dunque con fiducia a Maria Regina e questo non soltanto non diminuisce, bensì esalta il loro abbandono filiale in colei che è madre nell'ordine della grazia.

Anzi, la sollecitudine di Maria Regina per gli uomini può essere pienamente efficace proprio in virtù dello stato glorioso conseguente all'Assunzione. Ben lo mette in luce san Germano di Costantinopoli, il quale pensa che tale stato assicura l'intima relazione di Maria con suo Figlio e rende possibile la sua intercessione a nostro favore. Egli aggiunge, rivolgendosi a Maria: Cristo ha voluto, "avere, per così dire, la prossimità delle tua labbra e del tuo cuore; così egli acconsente a tutti i desideri che gli esprimi, quando soffri per i tuoi figli, ed egli esegue, con la sua potenza divina, tutto quello che gli chiedi" (San Germano di Costantinopoli, Hom. 1, PG 98, 348).

5. Si può concludere che l'Assunzione favorisce la piena comunione di Maria non solo con Cristo, ma con ciascuno di noi: Ella è accanto a noi, perché il suo stato glorioso le permette di seguirci nel nostro quotidiano itinerario terreno. Come leggiamo ancora in san Germano: "Tu abiti spiritualmente con noi e la grandezza della tua vigilanza su di noi fa risaltare la tua comunità di vita con noi" (Hom. 1, PG 98, 344).

Lungi pertanto dal creare distanza tra noi e Lei, lo stato glorioso di Maria suscita una vicinanza continua e premurosa. Ella conosce tutto ciò che accade nella nostra esistenza e ci sostiene con amore materno nelle prove della vita.

Assunta alla gloria celeste, Maria si dedica totalmente all'opera della salvezza per comunicare ad ogni vivente la felicità che le è stata concessa. E' una Regina che dà tutto ciò che possiede, partecipando soprattutto la vita e l'amore di Cristo.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 6 agosto 1997

 

Maria tipo e modello della Chiesa (Lc 1, 46-48)

Il pensiero va, oggi, innanzitutto al mio venerato predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, nel diciannovesimo anniversario della pia morte avvenuta a Castel Gandolfo il 6 agosto 1978, Festa della Trasfigurazione del Signore.

Lo ricordiamo con affetto e con immutata ammirazione, considerando quanto provvidenziale sia stata la missione pastorale da lui svolta negli anni della celebrazione del Concilio Vaticano II e della sua prima applicazione. Egli visse totalmente dedito al servizio della Chiesa, che amò con tutto il suo vigore e per la quale operò senza sosta sino al termine della terrena esistenza.

Questa mattina, celebrando per lui la Santa Messa nella cappella del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, ho domandato al Signore che l'esempio di un così fedele servitore di Cristo e della Chiesa sia di incoraggiamento e di stimolo per tutti noi, chiamati dalla Provvidenza divina a testimoniare il Vangelo alla soglia del nuovo millennio.

Interceda per noi Maria, Madre della Chiesa, di cui continuiamo a parlare nell'odierna catechesi.

1. La Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II, dopo aver presentato Maria come "sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa", la dichiara "sua immagine ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità" (Lumen Gentium, 53).

I Padri conciliari attribuiscono a Maria la funzione di "tipo", cioè di figura, "della Chiesa", mutuando il termine da sant'Ambrogio, il quale si esprime così nel commento all'Annunciazione: "Sì, ella (Maria) è fidanzata, ma vergine, perché è tipo della Chiesa, che è immacolata, ma è sposa: vergine ci concepì dallo Spirito, vergine ci partorì senza dolore" (Sant'Ambrogio, In Ev. sec. Luc., II,7, CCL 14, 33, 102-106). Maria è, dunque, figura della Chiesa per la santità immacolata, la verginità, le sponsalità e la maternità.

San Paolo si serve del vocabolo "tipo", per indicare la figura sensibile di una realtà spirituale. Egli intravede, infatti, nel passaggio del popolo d'Israele attraverso il Mar Rosso un "tipo" o immagine del battesimo cristiano e, nella manna e nell'acqua che sgorga dalla roccia, un "tipo" o immagine del cibo e della bevanda eucaristica (cfr 1 Cor 10, 1-11).

Definendo Maria tipo della Chiesa, il Concilio ci invita a riconoscere in lei la figura visibile della realtà spirituale della Chiesa e, nella sua maternità incontaminata, l'annuncio della maternità verginale della Chiesa.

2. Occorre poi precisare che, a differenza delle immagini o dei tipi dell'Antico Testamento, che sono soltanto prefigurazioni di realtà future, in Maria la realtà spirituale significata è già presente, ed in modo eminente.

Il passaggio attraverso il Mar Rosso, di cui leggiamo nel libro dell'Esodo, è un evento salvifico di liberazione, ma non era certo un battesimo capace di rimettere i peccati e di donare la vita nuova. Ugualmente la manna, dono prezioso di Jahvè al suo popolo pellegrinante nel deserto, non conteneva nulla della realtà futura dell'Eucaristia, Corpo del Signore, né l'acqua che scaturiva dalla roccia, aveva già in sé il Sangue di Cristo, versato per la moltitudine.

L'Esodo è la grande opera compiuta da Jahvè a favore del suo popolo, ma non costituisce la redenzione spirituale e definitiva, che sarà attuata da Cristo nel Mistero pasquale.

Del resto, riferendosi al culto giudaico, Paolo ricorda: "Tutte queste cose sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo" (Col 2, 17). Gli fa eco la Lettera agli Ebrei, che, sviluppando sistematicamente questa interpretazione, presenta il culto dell'antica alleanza come "una figura e un'ombra delle realtà celesti" (Eb 8, 5).

3. Affermando che Maria è figura della Chiesa, il Concilio non intende pertanto equipararla alle figure o tipi dell'Antico Testamento, vuole bensì affermare che in lei si compie in modo plenario la realtà spirituale annunciata e rappresentata.

Infatti, la Vergine è figura della Chiesa, non in quanto prefigurazione imperfetta, ma come pienezza spirituale che si ritroverà in vario modo nella vita della Chiesa. Il particolare rapporto che esiste qui tra immagine e realtà rappresentata, trova il suo fondamento nel disegno divino, che stabilisce uno stretto legame fra Maria e la Chiesa. Il piano di salvezza che ordina le prefigurazioni dell'Antico Testamento al compimento nella Nuova Alleanza, determina altresì che Maria viva in modo perfetto quanto successivamente si realizzerà nella Chiesa.

La perfezione che Dio ha conferito a Maria acquista, pertanto, il suo significato più autentico se letta come preludio della vita divina nella Chiesa.

4. Dopo aver affermato che Maria è "tipo della Chiesa", il Concilio aggiunge che Ella è "eccellentissimo modello" di essa, esempio di perfezione da seguire ed imitare. Maria, infatti, è un "eccellentissimo modello", poiché la sua perfezione supera quella di tutti gli altri membri della Chiesa.

Significativamente, il Concilio aggiunge che Ella realizza tale funzione "nella fede e nella carità". Senza dimenticare che Cristo è il primo modello, il Concilio suggerisce in tal modo che ci sono delle disposizioni interiori proprie del modello compiuto in Maria, che aiutano il cristiano a stabilire una relazione autentica con Cristo. Infatti, guardando a Maria, il credente impara a vivere in più profonda comunione con Cristo, ad aderire a Lui con fede viva, a riporre in Lui la sua fiducia e la sua speranza, amandolo con la totalità del suo essere.

Le funzioni di "tipo e modello della Chiesa" fanno riferimento in particolare alla maternità verginale di Maria, e ne pongono in luce la peculiare posizione nell'opera della salvezza. Questa fondamentale struttura dell'essere di Maria si rispecchia nella maternità e verginità della Chiesa.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 13 agosto 1997

   

Maria, Modello della maternità della Chiesa (Gv 19, 25-27).

1. E' proprio nella maternità divina che il Concilio scorge il fondamento del particolare rapporto che associa Maria alla Chiesa. Leggiamo nella Costituzione dogmatica Lumen gentium che "la Beata Vergine, per il dono e l'ufficio della divina maternità che la unisce col Figlio redentore, e per le sue grazie e funzioni singolari, è pure intimamente unita alla Chiesa" (Lumen Gentium, n. 63). A questo medesimo presupposto fa sempre riferimento la citata

Costituzione dogmatica sulla Chiesa per illustrare le prerogative di "tipo" e "modello", che la Vergine esercita nei confronti del Corpo Mistico di Cristo: "Infatti, nel mistero della Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre e vergine, la beata Vergine Maria è andata innanzi, presentandosi in modo eminente e singolare quale vergine e quale madre" (Ibid.).

La maternità di Maria è definita "eminente e singolare", poiché costituisce un fatto unico e irrepetibile: Maria, infatti, prima di esercitare la sua funzione materna verso gli uomini, è la Madre dell'unigenito Figlio di Dio fatto uomo. La Chiesa, invece, è madre in quanto genera spiritualmente Cristo nei fedeli, ed esercita quindi la sua maternità nei confronti delle membra del Corpo Mistico.

La Vergine costituisce così per la Chiesa un modello superiore, a motivo proprio dell'unicità della sua prerogativa di Madre di Dio.

2. La Lumen Gentium, nell'approfondire la maternità di Maria, ricorda che essa si è realizzata anche con disposizioni eminenti dell'anima: "Per la sua fede e la sua obbedienza Ella generò sulla terra lo stesso Figlio del Padre, senza conoscere uomo, ma sotto l'ombra dello Spirito Santo, come una Eva novella credendo non all'antico serpente, ma al messaggero di Dio, con una fede che non era alterata da nessun dubbio" (Lumen Gentium, 63).

Da queste parole emerge con chiarezza che la fede e l'obbedienza di Maria nell'Annunciazione costituiscono per la Chiesa virtù da imitare e, in certo senso, danno inizio al suo itinerario materno nel servizio agli uomini chiamati alla salvezza.

La maternità divina non può essere isolata dalla dimensione universale, attribuitale dal piano salvifico di Dio, che il Concilio non dubita di riconoscere: "Ella ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto il primogenito di una moltitudine di fratelli (cfr Rm 8, 29), cioè dei fedeli, e alla cui nascita e formazione ella coopera con amore di madre" (Lumen Gentium, 63).

3. La Chiesa diventa madre, prendendo a modello Maria. A questo proposito il Concilio afferma: "La Chiesa, contemplando l'arcana santità di Maria, imitandone la carità e adempiendo fedelmente la volontà del Padre, per mezzo della Parola di Dio accolta con fedeltà, diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio" (Ibidem, 64).

Analizzando questa descrizione dell'opera materna della Chiesa, possiamo notare come la nascita del cristiano viene qui legata in un certo modo alla nascita di Gesù, quasi un riflesso di essa: i cristiani sono "concepiti ad opera dello Spirito Santo" e la loro generazione, frutto della predicazione e del battesimo, assomiglia così a quella del Salvatore.

Inoltre la Chiesa, contemplando Maria, ne imita la carità, la fedele accoglienza della Parola di Dio e la docilità nell'adempimento della volontà del Padre. Realizza, seguendo l'esempio della Vergine, una feconda maternità spirituale.

4. La maternità della Chiesa non rende però superflua quella di Maria che, continuando ad esercitare il suo influsso sulla vita dei cristiani, contribuisce a dare alla Chiesa un volto materno. Alla luce di Maria, la maternità della Comunità ecclesiale, che potrebbe apparire alquanto generale, è chiamata a manifestarsi in modo più concreto e personale verso ogni uomo redento da Cristo.

Mostrandosi Madre di tutti i credenti, Maria suscita in loro rapporti di autentica fraternità spirituale e di dialogo incessante.

L'esperienza quotidiana di fede, in ogni epoca e in ogni luogo, pone in luce il bisogno che molti sentono di affidare a Maria le necessità della vita di ogni giorno e aprono fiduciosi il loro cuore per domandare la sua materna intercessione ed ottenere la sua rassicurante protezione.

Le preghiere rivolte a Maria dagli uomini di tutti i tempi, le numerose forme e manifestazioni del culto mariano, i pellegrinaggi ai Santuari ed ai luoghi che ricordano le meraviglie operate da Dio Padre mediante la Madre del suo Figlio, stanno a dimostrare lo straordinario influsso esercitato da Maria sulla vita della Chiesa. L'amore del Popolo di Dio per la Vergine avverte l'esigenza di stringere relazioni personali con la Madre celeste. Al tempo stesso la maternità spirituale di Maria sostiene ed incrementa l'esercizio concreto della maternità della Chiesa.

5. Le due madri: la Chiesa e Maria, sono ambedue essenziali alla vita cristiana. Si potrebbe dire che l'una esercita una maternità più oggettiva, l'altra più interiore.

La Chiesa si rende madre nella predicazione della Parola di Dio, nell'amministrazione dei sacramenti, ed in particolare nel battesimo, nella celebrazione dell'Eucaristia e nel perdono dei peccati.

La maternità di Maria si esprime in tutti i campi della diffusione della grazia, particolarmente nel quadro delle relazioni personali.

Si tratta di due maternità inseparabili: ambedue infatti fanno riconoscere lo stesso amore divino che desidera comunicarsi agli uomini.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 20 agosto 1997

 

Maria, modello della verginità della Chiesa (Mt 1, 22-25).

1. La Chiesa è Madre e Vergine. Il Concilio, dopo aver affermato che essa è madre sul modello di Maria, le attribuisce il titolo di vergine, spiegandone il significato: "Essa pure è la vergine che custodisce integra e pura la fede data allo Sposo, e ad imitazione della madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito santo, conserva verginalmente integra la fede, solida la speranza, sincera la carità" (Lumen Gentium, 64).

Maria è dunque modello anche della verginità della Chiesa. A questo proposito occorre precisare che la verginità non appartiene alla Chiesa in senso stretto, poiché non rappresenta lo stato di vita della grande maggioranza dei fedeli. Infatti, in virtù del provvidenziale disegno divino, è la via del matrimonio la condizione più diffusa, e potremmo dire, comune di quanti sono chiamati alla fede. Il dono della verginità è riservato a un numero limitato di fedeli, chiamati ad una particolare missione all'interno della Comunità ecclesiale.

Tuttavia, riferendo la dottrina di sant'Agostino, il Concilio sostiene che la Chiesa è vergine in senso spirituale di integrità nella fede, nella speranza e nella carità. Pertanto, la Chiesa non è vergine nel corpo di tutti i suoi membri, ma possiede la verginità dello spirito ("virginitas mentis"), cioè "l'integra fede, la solida speranza, la sincera carità" (Sant'Agostino, In Io. Tr., 13,12: PL 35,1499).

2. La Costituzione Lumen Gentium si premura quindi di ricordare che la verginità di Maria, modello di quella della Chiesa, comporta pure la dimensione fisica, per cui Ella concepì verginalmente Gesù per opera dello Spirito Santo, senza intervento d'uomo.

Maria è Vergine nel corpo e Vergine nel cuore, come appare dall'intenzione di vivere in profonda intimità con il Signore, decisamente manifestata al momento dell'Annunciazione. Pertanto, Colei che è invocata "Vergine fra le vergini", costituisce senza dubbio per tutti un altissimo esempio di purezza e di dono totale al Signore. Ma in modo speciale si ispirano a Lei le vergini cristiane e quanti si dedicano in modo radicale ed esclusivo al Signore nelle varie forme della vita consacrata.

Così, dopo avere svolto un ruolo importante nell'opera di salvezza, la verginità di Maria continua ad influire beneficamente sulla vita della Chiesa.

3. Non dimentichiamo che il primo ed eccelso esemplare di ogni vita casta è sicuramente Cristo. Maria tuttavia costituisce lo speciale modello della castità vissuta per amore di Gesù Signore.

Ella incoraggia tutti i cristiani a vivere con particolare impegno la castità secondo il proprio stato, e ad affidarsi al Signore nelle svariate circostanze dell'esistenza. Colei che è per eccellenza Santuario dello Spirito Santo, aiuta i credenti a riscoprire il proprio corpo come tempio di Dio (cfr 1 Cor 6, 19) ed a rispettarne la nobiltà e la santità.

Alla Vergine guardano i giovani in ricerca di un amore autentico ed invocano il suo materno aiuto per perseverare nella purezza.

Maria ricorda ai coniugi i valori fondamentali del matrimonio, aiutandoli a superare la tentazione dello scoraggiamento e a dominare le passioni che tentano di assoggettare il loro cuore. La sua totale dedizione a Dio costituisce per loro un forte stimolo a vivere nella reciproca fedeltà, per non cedere mai alle difficoltà che insidiano la comunione coniugale.

4. Il Concilio esorta i fedeli a guardare a Maria, perché ne imitino la fede "verginalmente integra", la speranza e la carità.

Custodire l'integrità della fede rappresenta un compito impegnativo per la Chiesa, chiamata ad una vigilanza costante, anche a costo di sacrifici e di lotte. Infatti, la fede della Chiesa è minacciata, non solo da coloro che respingono il messaggio del Vangelo, ma soprattutto da quanti, accogliendo soltanto una parte della verità rivelata, rifiutano di condividere in modo pieno l'intero patrimonio di fede della Sposa di Cristo.

Tale tentazione, che troviamo sin dalle origini della Chiesa, continua purtroppo ad essere presente nella sua vita, spingendola ad accettare solo in parte la Rivelazione o a dare alla Parola di Dio un'interpretazione ristretta e personale, conforme alla mentalità dominante e ai desideri individuali. Avendo pienamente aderito alla Parola del Signore, Maria costituisce per la Chiesa un insuperabile modello di fede "verginalmente integra", che accoglie con docilità e perseveranza tutta intera la Verità rivelata. E con la sua costante intercessione, ottiene alla Chiesa la luce della speranza e la fiamma della carità, virtù delle quali, nella sua vita terrena, è stata per tutti esempio ineguagliabile.

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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 3 Settembre 1997

   

Maria, modello della santità della Chiesa (Lc 1, 49-50)

1. Nella Lettera agli Efesini san Paolo illustra il rapporto sponsale tra Cristo e la Chiesa con le seguenti parole: "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ef 5, 25-27).

Il Concilio Vaticano II riprende le affermazioni dell'Apostolo e ricorda che "la Chiesa ha già raggiunto nella Beatissima Vergine la perfezione", mentre "i fedeli si sforzano ancora di crescere nella santità debellando il peccato" (Lumen Gentium, 65).

Viene ad essere così sottolineata la differenza che esiste tra i fedeli e Maria, pur appartenendo gli uni e l'altra alla santa Chiesa, resa da Cristo "senza macchia e senza ruga". Infatti, mentre i fedeli ricevono la santità per mezzo del battesimo, Maria è stata preservata da ogni macchia di peccato originale ed anticipatamente redenta da Cristo. I fedeli, inoltre, pur liberati "dalla legge del peccato" (cfr Rm 8, 2), possono ancora cedere alla tentazione e la fragilità umana continua a manifestarsi nella loro vita. "Tutti quanti manchiamo in molte cose", afferma la Lettera di Giacomo (Giac 3, 2). Per questo il Concilio di Trento insegna: "Nessuno può evitare, nella sua vita intera, ogni peccato anche veniale"(DS 1573). A questa regola, tuttavia, fa eccezione per divino privilegio la Vergine Immacolata, come lo stesso Concilio di Trento ricorda (Ibid.).

2. Nonostante i peccati dei suoi membri, la Chiesa è innanzitutto la comunità di coloro che sono chiamati alla santità e si impegnano ogni giorno a raggiungerla.

In questo arduo cammino verso la perfezione essi si sentono incoraggiati da Colei che è "modello di virtù". Il Concilio osserva che "la Chiesa, pensando a Lei piamente e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, penetra con venerazione e più profondamente nell'altissimo mistero dell'incarnazione e si va ognor più conformando col suo Sposo" (Lumen Gentium, 65).

La Chiesa, quindi, guarda a Maria. Non solo contempla il dono meraviglioso della sua pienezza di grazia, ma si sforza di imitare la perfezione che in Lei è frutto della piena adesione al precetto di Cristo: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5, 48). Maria è la tutta santa. Ella rappresenta per la comunità dei credenti il paradigma dell'autentica santità che si realizza nell'unione con Cristo. La vita terrena della Madre di Dio è infatti caratterizzata dalla perfetta sintonia con la persona del Figlio e dalla totale dedizione all'opera redentrice da Lui compiuta.

Volgendo lo sguardo alla materna intimità sviluppatasi nel silenzio della vita di Nazaret e perfezionatasi nell'ora del sacrificio, la Chiesa si impegna ad imitarla nel suo quotidiano cammino. In tal modo, essa si conforma sempre più col suo Sposo. Unita come Maria alla croce del Redentore, la Chiesa, attraverso le difficoltà, le contraddizioni e le persecuzioni che rinnovano nella sua vita il mistero della Passione del suo Signore, si pone nella costante ricerca della piena configurazione con Lui.

3. La Chiesa vive di fede, riconoscendo in "colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1, 45), la prima e perfetta espressione della sua fede. Su quest'itinerario di fiducioso abbandono verso il Signore, la Vergine precede i discepoli, aderendo alla Parola divina in un continuo crescendo, che investe tutte le tappe della sua vita e si dilata nella stessa missione della Chiesa.

Il suo esempio incoraggia il Popolo di Dio a praticare la sua fede e ad approfondirne e svilupparne il contenuto, conservando e meditando nel cuore gli avvenimenti della salvezza.

Maria diviene per la Chiesa anche modello di speranza. Ascoltando il messaggio dell'angelo, la Vergine orienta per prima la sua speranza verso il Regno senza fine, che Gesù era mandato a stabilire.

Ella rimane salda presso la croce del Figlio, nell'attesa della realizzazione della divina promessa. Dopo la Pentecoste la Madre di Gesù sostiene la speranza della Chiesa, minacciata dalle persecuzioni. Ella è dunque per la Comunità dei credenti e per i singoli cristiani la Madre della speranza, che incoraggia e guida i suoi figli nell'attesa del Regno, sostenendoli nelle prove quotidiane e in mezzo alle vicende, anche tragiche, della storia.

In Maria, infine, la Chiesa riconosce il modello della sua carità. Guardando alla situazione della prima comunità cristiana, scopriamo che l'unanimità dei cuori, manifestata in attesa della Pentecoste, è associata alla presenza della Vergine Santa (cfr At 1, 14). E grazie proprio alla carità irradiante di Maria è possibile conservare in ogni tempo all'interno della Chiesa la concordia e l'amore fraterno.

4. Il Concilio sottolinea espressamente il ruolo d'esemplarità, svolto da Maria nei confronti della Chiesa nella sua missione apostolica, con le seguenti annotazioni: "Nella sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda a Colei che generò Cristo, il quale fu concepito da Spirito Santo e nacque dalla Vergine, per poter poi nascere e crescere per mezzo della Chiesa anche nel cuore dei fedeli. La Vergine infatti nella sua vita fu il modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini" (Lumen Gentium, 65).

Dopo aver cooperato all'opera di salvezza con la maternità, con l'associazione al sacrificio di Cristo e con l'aiuto materno alla Chiesa nascente, Maria continua a sostenere la comunità cristiana e tutti i credenti nel generoso impegno per l'annuncio del Vangelo.

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