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Formazione ANCHE DEI FORMATORI che formeranno i sacerdoti...

Ultimo Aggiornamento: 05/06/2017 09:13
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12/08/2011 22:53
 
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Intervento di Sua Eccellenza Celso Morga al
XXII Corso internazionale per i Formatori dei Seminari


Istituto “Sacerdos”, Leggiuno

Lunedì 11 luglio 2011

Per cominciare, vorrei riferirmi all’intervento del Santo Padre ai seminaristi di Roma, nel marzo scorso.

Di per sé, la competenza della Congregazione sarebbe la formazione permanente e non quella nei seminari, ma il legame tra le due è logicamente evidente, oltre che conveniente dal punto di vista dell’esperienza.

In ogni caso, è molto importante che nella formazione si segua lo schema dell'Apostolo Paolo che nelle sue lettere ha sempre lo stesso metodo: presenta il contenuto della chiamata cristiana, il dogma, il contenuto affascinante, e dopo fa la parte parenetica, esortativa: “Vi esorto dunque”. Consapevole che quel mistero di Cristo in noi bisogna viverlo. Non c’è nulla di meccanico, non basta ascoltare il mistero ed essere battezzato, ma c’è un passaggio delicato: “vi esorto dunque”. Adesso dovete vivere così, e non è automatico.

Vale per la vocazione cristiana, ma anche per la formazione sacerdotale: avete una delle più grandi responsabilità davanti a Dio e alla Chiesa. Si deve seguire lo stesso schema: presentare ai candidati il mistero di Cristo con il suo fascino, la bellezza della buona teologia, e insieme esortare i seminaristi a vivere così. Anche a 80 anni, sentiremo questo “vi esorto dunque”, la lotta è continua per rispondere alla nostra vocazione.

Nel lavoro della Congregazione, nelle richieste di dispense, negli scrutini, nella documentazione ricevuta, si nota spesso questo errore grave da parte dei formatori di pensare che il sacramento possa supplire, che possa fare miracoli nei confronti di un candidato non adatto, o non pronto. Ma sappiamo che il sacramento esige una preparazione…

I giovani che vi sono affidati hanno ricevuto una chiamata da Dio: dobbiamo essere sempre coscienti che la vocazione non è iniziativa loro, né dei loro genitori, né dalla parrocchia o di un movimento: sono su questa strada perché Dio li ha chiamati. Perciò, noi non stiamo formando dei professionisti, ma dei chiamati; per esercitare un ministero specifico, e dobbiamo avere sempre in mente che tutto il lavoro della formazione serve ad assecondare questa chiamata di Dio, per verificare se è autentica. La vocazione è così importante che tutto è indirizzato a far sì che questa chiamata sia accolta e porti frutti.

È un lavoro esigente al massimo: occorre tutta la nostra disponibilità e attenzione per trattare con il più grande rispetto il mistero profondissimo di quel giovane.

Questa chiamata deve essere nutrita per condurre ogni giovane all’intimità con Colui che lo ha chiamato. E come posso mostrare una strada che io stesso non percorro? Innamorarsi di Cristo. Nulla preferire a Cristo, al suo amore. Il nostro cuore è fatto per amare. Se quel cuore non si riempie di amore per Cristo, si riempirà di altro. Ma, di fatto, nient’altro lo potrà riempire: né la comunità, né il lavoro sociale o pastorale… è per questo che implica un’esclusiva, e perciò tanto più profonda dovrà essere l’intimità con Lui nel Seminario, perché questo amore è conquista, avventura, lotta fino al “requiescat in pace”.

Purtroppo, è nei nostri processi di dispensa che ci accorgiamo dei ragazzi formati per la lotta per la giustizia, per il lavoro nella comunità a prescindere dal chiaro insegnamento che tutto ciò ha senso solo se è generato dall’amore a Cristo. La comunità e la lotta per la giustizia non sono sufficienti a rispondere alle esigenze infinite del nostro cuore.

Cristo chiama i suoi discepoli: “Seguimi”. è importante entrare in tutti i particolari, il Vangelo non è una cosa del passato, Cristo continua a passare lungo il lago e a chiamare questo ragazzo.

Per questo vorrei soffermarmi sui capitoli 14-17 di Giovanni, dove Gesù spiega a tu per tu ai discepoli come devono fare: “senza di me non potete fare nulla”. E finisce con il discorso sacerdotale e il tema dell’unità: sono capitoli fatti per noi, possono fare tanto e tanto bene.

Infine vorrei sottolineare 4 caratteristiche che questi giovani dovranno avere:

1. L’umiltà. Saranno strumenti. Servitori. Tutta l’attività sacerdotale è servizio. L’umiltà è cristologica, ricordiamo Fil 2. L’umiltà di Cristo non è timidezza. Ma niente protagonismo: “la gente viene a me perché sono bravo, perché so parlare, ecc.” Se mettiamo noi stessi al centro, Cristo non può passare.

2. La dolcezza, l’amabilità. Certi seminari hanno insegnato che ci vuole la durezza per gestire bene le parrocchie, ma così l’autorevolezza diventa autoritarismo. Il lavoro pastorale si può svolgere benissimo senza quella durezza che spesso scambiamo per fortezza. Invece, ci sono già tante cose che fanno soffrire le persone, perciò bisogna saperle amare, trattarle con dolcezza… e se ci fa male la testa o lo stomaco, a volte è meglio rimanere a casa con l’aspirina piuttosto che, in balia del nostro stato d’animo, maltrattare gli altri.

3. La magnanimità: cuore grande, essere veri uomini, essere sinceri, vedere le cose con ampiezza, non lamentarci “qui nessuno mi capisce, mi apprezza”. La vera curiosità, l’affabilità, il modo di presentarci, la cura di noi stessi. La gente ha bisogno di avere davanti un uomo, come san Giuseppe, che seppe affrontare la vita senza paura.

4. L’amore pastorale sia quello di un padre e di una madre.

Infine, ricordare a noi stessi per primi e quindi testimoniare ai ragazzi, che la chiamata è ecclesiale, che ci include in un corpo, con tanta diversità di persone; occorre preparare il giovane a non idealizzare le condizioni nelle quali si svolgerà il ministero: si potrà trovare con un parroco già stanco, una comunità che non è tutto amorosa e accogliente… dove si è mandati si può trovare di tutto, ma questo ci deve fermare. Siamo santi e peccatori nella Chiesa. Ci confessiamo frequentemente perché lo sappiamo.

La Chiesa non è una comunità ideale: non tutti ammireranno il sacerdote, non tutti gli diranno “come stai oggi”…. Educare ad essere saldi, ad essere un uomo in questo contesto. Vedere la Chiesa con gli occhi della fede.



Domande libere:

1. Grazie Eccellenza. Vorrei che ci ricordiate i diritti e i doveri del sacerdote diocesano.

R.: Fare così l’elenco dei testi del diritto canonico non è facile! Cominciamo dai doveri, la parte più importante: il dovere primordiale dell’attenzione pastorale, affinché la comunità affidata abbia tutti i mezzi possibili di sacramenti, predicazione e governo pastorale per santificarsi.

Questo ci obbliga alla residenza abituale, ad un orario in cui la gente possa trovarci, a non negare i sacramenti ragionevolmente chiesti. Offrire la possibilità della messa quotidiana, della confessione frequente, portare la comunione e visitare gli ammalati, non dimenticare coloro che si sono allontanati, non negarsi a quelli che ci cercano… sapere fare ecumenismo in comunione con le norme della Chiesa.

Poi i doveri del parroco, e poi i diritti: avere anche noi i mezzi che ci aiutino a custodire la propria vocazione. Ad esempio le associazioni sacerdotali e i movimenti offrono una formazione permanente (che comunque, prima di tutto, è compito della Diocesi) e costituiscono una compagnia che aiuta a perseverare nella vocazione.

Abbiamo anche il diritto di vivere del proprio lavoro, di avere una vita decorosa e, al bisogno, poter sostenere coloro che ci sono a carico: la signora che gestisce la casa, i genitori… ho l’esperienza che quando un sacerdote è veramente sacerdote, non gli manca mai il necessario. Cristo da il cento per uno, ma noi dobbiamo dare l’uno, cioè tutto di noi.

E, infine, non siamo macchine, abbiamo anche bisogno di riposo…


2. In Congregazione c’è una cartella per ogni sacerdote o solo quando arriva un caso?

R. Certamente la Congregazione non prende l’iniziativa di schedare tutti! Riguardo alla grande maggioranza dei sacerdoti, non ci sono pratiche. Tanto più che ci occupiamo solo dei sacerdoti di diritto comune: non orientali, non religiosi… La Congregazione ha competenza universale solo per le richieste di dispensa dagli obblighi connessi con il ministero. Problematiche complesse vengono anche trattate in collaborazione con altri Dicasteri, che vengono coinvolti ognuno per la propria competenza specifica.


3. Che succede se il parere dei formatori è contrario all’ordinazione, mentre il Vescovo la vuole?

R. Nel trattare le richieste di dispensa, si vede bene che tante volte i formatori avevano ragione di sconsigliare l’ordinazione del candidato; per il Vescovo è molto rischioso non seguire il loro parere, perché in genere i formatori hanno più elementi per giudicare l’idoneità del candidato. Un Vescovo prudente non si lascia persuadere facilmente dall’insistenza del candidato o della sua famiglia; specialmente se il ragazzo è stato espulso da un altro seminario, è obbligatorio chiedere le motivazioni, e sono necessari elementi veramente consistenti e decisivi per stabilire diversamente.


4. Che succede se il candidato cambia paese? E per le dispense, quale può essere la ragione?

R. 4.1 Il primo caso è un po’ simile a ciò che si è detto prima; non ci sono motivazioni di per sé contrarie allo scambio dei ministri, che anzi può arricchire la Chiesa, la quale è universale: siamo ordinati innanzitutto per la Chiesa universale. Il Codice dopo il Concilio ha voluto diminuire l’importanza dell’incardinazione: ci vuole ordine, non vogliamo chierici girovaghi, ma l’ordinazione è per tutta la Chiesa. Negli scambi bisognerà tener conto che possono insorgere problemi per differenti mentalità, ma anche quelli si risolvono. Il Vescovo ad quem deve essere attento al parere del vescovo a quo, la situazione giuridica deve essere chiara; è giusto che vi sia un periodo di prova, ma non troppo lungo.

4.2. Purtroppo succede che alcuni sacerdoti, avendo abbandonato il ministero, non chiedono la dispensa per pura pigrizia, per non intraprendere la procedura; altri perché aspirano a cambiare la Chiesa, anche se ormai pochissimi con questa mentalità. Il Santo Padre desidera che specialmente i casi antichi vengano risolti quanto prima.


5. Una domanda circa i delitti gravi: proviamo rabbia, scandalo, riconosciamo le nostre debolezze, il Papa e le Congregazioni hanno reagito, ma vorrei chiedere se effettivamente vi rendete conto che i seminari sono più seri, che queste cose non si ripeteranno mai.

R. La mia impressione personale e che sono state prese le misure necessarie riguardo alla formazione in genere, per far fronte a questi problemi; ma c’è una difficoltà di tipo morale, perciò non si può dire che non ci sarà più in tale data; la proporzione numerica dei casi denunciati è scesa molto; il fenomeno sembra che si sta risolvendo. Ma l’attenzione deve essere costante, perché la natura umana è sempre capace di ricadere.

La mia impressione è che il fenomeno viene da un clima generale di pansessualismo. La società ha puntato il dito contro la Chiesa che deve essere il sale della terra e la luce del mondo, ed è giusto. Ma è anche ipocrita ridurre così il problema, perché nella società tutto spinge a godere del sesso in tutti i modi, e tutto sembra lecito, e ciò accade in tutti gli ambiti.


6. Discorso del Cardinale sulla castità a Torino: purificazione della memoria…

R.: Si, magnifica conferenza, che consiglio di leggere e meditare.

7. Tre situazioni. 1: un monaco chiamato dalla sua comunità, quella di D. Barsotti: sposato, matrimonio riconosciuto nullo, un figlio a carico; secondo me, questo semplice fatto dovrebbe fare riflettere. La comunità, in vista di un futuro servizio alla diocesi, lo ha indirizzato verso il sacerdozio; personalmente ritengo che ha una vocazione monacale, collaudata, ha fatto i voti, ma non mi sembra avere una vocazione di sacerdote diocesano.

R.: Circa il figlio, paragoniamo con i sacerdoti che chiedono a noi la riabilitazione: 25-30 casi all’anno, e noi nelle norme chiediamo che il matrimonio civile sia sciolto, che sia stato dichiarato nullo se era canonico, e se ci sono figli, che siano autonomi economicamente, per guadagnarsi la vita; si tratta di un diritto naturale del figlio: anche se sta con la madre ha diritto alla presenza del padre, alla sua disponibilità; dunque non si ordina finché il figlio sia totalmente autonomo, e consenziente anche lui, possibilmente.

Poi bisogna che la vocazione sia sua: non è la sua comunità che lo indirizza, è lui che deve chiedere l’ordinazione o meno, e sottoporre al giudizio della Chiesa la vocazione che percepisce.

Se come monaco o come prete diocesano, il Vescovo e la comunità possono aiutare a discernere; l’importante è non forzare, per non perdere una vera vocazione solo perché non si adatta bene al tipo di vita: bisogna pensare al bene maggiore di avere un sacerdote per la Chiesa.

7.2 Il Vescovo ha costituito una commissione per i scrutini composta anche da laici; giustifica perché la commissione si può pronunciare sul caso dopo aver sentito tanti; poi perché il Vescovo deve sentire la Chiesa, composta anche di laici, per chiamare agli ordini. Dunque i formatori che vivono quotidianamente col candidato sono equiparati per il voto a laici che non conoscono…

R. è una novità, non c’è nessun canone in materia, può avere la sua giustificazione, ma ciò che è previsto sono gli “scrutini”, pareri scritti da chi conosce il candidato: parroco, laici della parrocchia, ecc., valutati poi dalla commissione. Io insisterei sul fatto che mettere laici con pari responsabilità nella commissione di valutazione, è una novità assoluta, che almeno il Vescovo ne sia conscio.

7.3. Se la Congregazione conosce il caso?

R. Potete informare la Congregazione per l’Educazione Cattolica. Anche i laici sono Chiesa, possono essere sentiti, niente lo impedisce, ma non è previsto dalla Chiesa… è meglio avvertire.

7.4 Nel seminario noi abbiamo accolto 3 membri di una comunità di diritto diocesano. Hanno chiesto che fosse presente anche un loro educatore, diventato vice rettore. Di fatto, sono diventati un corpo “a sé”, continuano a seguire la loro vocazione, il venerdì se ne vanno con il loro formatore. I seminaristi si chiedono: sono con noi o no? Sono diocesani o no? Il seminario è un hotel? Che convivenza?

R. Il seminario deve avere un regolamento, uno statuto, che regola la vita ordinaria; se il Vescovo permette loro di vivere dentro, perché no, ma è un po’ come se fossero direttamente sottomessi al Vescovo. Non sono comunque del seminario. Anche questo è una novità. L’importante è la libertà del foro interno, la convivenza, la preghiera in comune, per non fare l’hotel. Più di questo non posso dire, non conoscendo queste persone, né l’associazione alla quale appartengono.


8. Sopra il caso che l’équipe dice al Vescovo che non si può ordinare, e il Vescovo lo vuole fare lo stesso; a chi si devono rivolgere i formatori? E sul processo breve di coloro che hanno lasciato il ministero ma vogliono vivere in comunione.

R. Si, si può informare di tutto la Santa Sede, è l’istanza superiore; la Congregazione competente è quella per l’Educazione Cattolica. Comunque, qualora si ritenesse opportuno comunicare, è bene inviare il proprio giudizio per iscritto.

Per ottenere la dispensa dagli obblighi connessi con il ministero, il sacerdote deve scrivere al Santo Padre, spiegando il motivo: ho perso la fede, ecc. L’Istruttore nominato dall’Ordinario farà delle domande in parte prestabilite, circa l’idoneità e l’irreversibilità, che sono le due causali fondamentali: non idoneo, o situazione irreversibile a motivo della presenza dei figli, dell’età, ecc. Bisogna anche ascoltare come testimoni (3-5 al massimo) su questi argomenti, altre persone informate, come ad esempio i compagni di seminario; poi aggiungere gli scrutini, il voto del Vescovo con la dichiarazione che non si deve temere lo scandalo, e il voto dell’Istruttore.

Si presenta alla Congregazione per il Clero l’intera documentazione, che verrà esaminata da 3 commissari, i quali si riuniranno poi presso il Dicastero e discuteranno i loro pareri; infine, se emergono delle valide motivazioni, si presenta il caso al Santo Padre per domandare la grazia.

La regola dei 40 anni minimi di età non è assoluta con Papa Benedetto XVI: in questo caso, la richiesta viene studiata da 5 commissari e se non c’è qualcosa di particolare, di grave (come l’omosessualità, l’alcolismo), si aspetta comunque.

Il Santo Padre incoraggia i Vescovi a cercare di sanare le situazioni di coloro che hanno abbandonato il ministero, sollecitandoli a chiedere la dispensa, e se il sacerdote si rifiuta, il Santo Padre ha dato alla Congregazione le facoltà di procedere “in poena”. Soprattutto dopo lo scandalo della pedofilia, spesso quei sacerdoti non si riescono a rintracciare, mentre nei paesi anglosassoni la diocesi è considerata responsabile dei misfatti dei sacerdoti, anche economicamente. Dunque, per chi ha abbandonato il ministero illegittimamente da più di 5 anni, si può procedere. Se si rifiuta di chiedere la dispensa, se si sa che ha figli, che convive, si dimette “in poena”.


9. Domanda più assiomatica: come si bilancia un processo di laicizzazione. Da un lato dobbiamo preservare il Popolo da un sacerdote indegno, e dall’altro dobbiamo lasciare la possibilità di conversione…

R. Lei ha detto molto bene di questo equilibrio: la Chiesa è madre, non possiamo fare il pendolo passando da un estremo all’atro, dal non fare niente davanti ai delitti, alla rigidità estrema nella quale, alla prima denuncia, alla prima voce che arriva, si castiga.

San Paolo ha dato una norma: aspettare almeno due testimonianze, verificare che il delitto sia commesso.  Comunque la Chiesa rimane Madre anche se il delitto c’è stato. Dobbiamo ricuperare l’equilibrio. Un mio formatore mi ha appena scritto: non dimenticare che i sacerdoti hanno bisogno di giustizia ma anche di misericordia. c’è il pericolo oggi di affrettare il castigo, la sospensione o la dimissione, ma bisogna tener conto del fatto che molti sacerdoti hanno sofferto da innocenti. Ad esempio, negli USA i casi comprovati in sede giudiziale sono relativamente pochi, dal 1950 fino ad oggi. Molti sacerdoti stanno soffrendo attualmente per questa ingiustizia, anche per colpa dei confratelli: dunque ci vuole molto equilibrio.

Giustizia per le vittime, ma non soltanto per le vittime: anche i sacerdoti, e anche quelli criminali, hanno diritto al rispetto. Tanto più che si tratta più di ammalati che di delinquenti, in questo campo. Se la legge prevede il carcere, ci vadano pure, ma non perdano la dignità.

10. Quando un sacerdote si dedica solo al proprio movimento?

R. Tu sei sacerdote per la Chiesa universale, non puoi ridurti ad una parrocchia, o a un gruppo; se sei ordinato per questa diocesi, per questo movimento, evidentemente avrai un ministero prioritario per questo movimento, questa diocesi, ma senza esclusiva. Se ti dedichi bene, ti si allarga il cuore per servire meglio anche gli altri; il ministero sacerdotale dilata il cuore.


 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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