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L'Inno del Cherubico: versione orientale della Santa Messa di San Gregorio Magno

Ultimo Aggiornamento: 02/06/2011 23:35
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09/09/2009 16:28
 
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GLI ANGELI NELLE LITURGIE

UNA SCALA TRA CIELO E TERRA


di mons. Nicola Bux

Giacobbe ebbe in sogno una visione: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva
il cielo; ed ecco gli Angeli di Dio andavano e venivano attraverso essa (Genesi 28,12). Per alcuni
Padri della Chiesa quella scala prefigura l’incarnazione del Verbo, mediatore tra cielo e terra. Gesù
infatti preannunciava in Se stesso la realizzazione del sogno del Patriarca: “vedrete il cielo aperto e
gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo” (Giovanni 1,51). Altri, seguendo Filone di
Alessandria, hanno visto nella scala di Giacobbe 1’immagine della Provvidenza di Dio verso gli
uomini, per mezzo del ministero degli Angeli. Quindi la scala costituisce un’immagine efficace del
rapporto tra gli Angeli e le liturgie cristiane.

La discesa (katàbasis) del Verbo sulla terra, incarnato nel grembo della Vergine come Figlio
dell’uomo, Gesù, e la sua ascensione (anàbasis) al cielo, sono accompagnate dagli Angeli:
dall’Arcangelo Gabriele a Nazareth e la moltitudine dell’esercito celeste a Betlemme, agli Angeli
del- l’Ascensione sul monte degli Ulivi. E’ un duplice movimento che dalla storia sacra si è
impresso nella liturgia cristiana, etimologicamente “azione del popolo di Dio”, celebrata insieme
dagli Angeli e dagli uomini: quelli, creati per primi da Dio, Ne conoscono il mistero e Lo hanno per
primi acclamato Sanctus; questi, condotti a conoscere Dio in Gesù, Lo adorano e sono salvati.

In Oriente e in Occidente, nel cuore della Divina Liturgia, termine che designa la Messa dei Bizantini,
1’Aghios/Sanctus segna la fusione tra gli Angeli e gli uomini, proprio mediante l’inno rivelato nel
libro di Isaia (6,3): il profeta vide il Signore sul trono all’interno del tempio di Gerusalemme e i
Serafini con sei ali che coprivano volto e piedi, mentre in volo inneggiavano a cori alterni al
Signore delle schiere, tre volte Santo. Ma è 1’Apocalisse a descrivere per prima la sincronia tra
liturgia celeste e terrestre intorno all’Agnello immolato: Giovanni ode 1’inno di una moltitudine di
Angeli acclamanti a gran voce a cui risponde ogni creatura in cielo, in terra, sotto terra e sul mare
(5,11-13).

L’angelologia cristiana, erede di quella giudaica, rivela, dunque, nella liturgia, un
movimento di discesa-ascesa contemporaneo a quello del Verbo: lo accompagna nell’opera di
salvezza dell’uomo portandolo alla lode di Dio, che è la ragion d’essere del creato, fino a elevarlo
all’altezza di Dio, la deificazione (theòsis). Soprattutto gli Angeli cantano la gloria dell’Altissimo;
sono una folla immensa di adoratori che il profeta Daniele e 1’apostolo Giovanni contemplano
intorno al trono del Dio vivente: mille migliaia Lo servono, diecimila miriadi sono intorno a Lui
(Daniele 7,9-10; Apocalisse 5,11). Nel Vangelo apocrifo di Filippo sono simbolo degli eoni
superiori. Secondo sant’Ambrogio gli Angeli devono essere 99 volte più numerosi degli uomini e
due terzi superiori ai Demoni.

L’occupazione principale degli Angeli, indipendentemente da i cori
di appartenenza, è la partecipazione al culto divino, come Cherubini sull’Arca dell’Alleanza e i
Serafini intorno al trono Dio, oltre a essere messaggeri, secondo 1’etimologia greca del nome
“Angelo”. La liturgia ebraica, in particolare il Midrash del Libro di Enoch etiopico (Genesi Rabba
1,4) usato nella lettura sinagogale della Torah, ricorda i quattro Angeli della Presenza (Shekinah),
che stanno cioè davanti al trono di Dio: Gabriele, Michele, Raffaele, Fanuele. Un compito che
richiede un’energia eccezionale e quindi un nutrimento; il medesimo che costituisce il centro della
liturgia il Panis angelicum, nutrimento metafisico degli Angeli che assunto dall’uomo lo rende
immortale e capace di vedere Dio. E l’Eucaristia che unisce il cosmo e la storia, gli uomini e gli
Angeli. Riempiendo con la loro spirituale presenza tutto lo svolgimento della storia salvifica dal
Paradiso della Genesi a quello dell’Apocalisse, gli esseri celesti compiono, si potrebbe dire,
un’eterna “angelurgia”; in quanto Angeli, 1’aspetto essenziale del loro ministero è cantare la gloria
di Dio; anche la Chiesa lo percepisce come sua missione primordiale. Per essere protetta tra le
difficoltà del mondo nel portarla a compimento si rivolge a questi messaggeri del Signore, che
fanno conoscere i Suoi disegni e portano i Sui ordini, come già a Giacobbe e a Giuseppe, il padre
adottivo di Gesù. Perciò la Chiesa nella liturgia onora in particolare Gabriele che fu inviato a Maria
per inaugurare la “pienezza del tempo”, Michele che conduce “la battaglia nel cielo contro il
Dragone”.

La Lettera agli Ebrei, grandiosa riflessione teologica sullo sfondo della liturgia cristiana appena nata
dal culto giudaico, osserva a proposito della superiorità del Figlio di Dio sugli Angeli: “Non sono
essi invece tutti spiriti al servizio di Dio, inviati per esercitare un ufficio in favore di coloro che
devono ereditare la salvezza?” (1,14).

Origene, seguendo sant’Ireneo, scrive “Come fra gli uomini Gesù fu conosciuto come uomo, così
tra gli angeli fu conosciuto come ange lo”(Patrologia orientale, 7,1031-43; Patrologia graeca,
12,695 e 778). Un linguaggio pre-niceno che si ritrova comunemente negli apocrifi giudeo-cristiani,
che richiama 1’Angelo dell’Alleanza di Malachia, (3,1), lettura introdotta nella liturgia romana
della Presentazio ne del Signore al tempio di Gerusalemme, il 2 Febbraio; forse retaggi di una
dottrina che considerava 1’Angelo – 1’Angelo del Gran Consiglio – come ipostasi del Verbo. Ma la
liturgia cristiana celebra e attua la salvezza a causa della discesa del Verbo nella carne umana; in
merito, ancora Origene immagina che gli Angeli conversino tra loro: “Essi si dissero: Se egli è
disceso in un corpo, se ha rivestito una carne mortale, cosa restiamo noi qui a fare ? Piuttosto
discendiamo tutti dal Cielo” (Omelia su Ezechiele 1,7).

Gli Angeli che appaiono a Betlemme gioiscono, quello del Getsemani soffre, esprimendo la
partecipazione cosmica alla Redenzione del Figlio di Dio; il movimento degli Angeli di Dio intorno
al Figlio dell’uomo sulla terra dimostra che la comunicazione tra cielo e terra, la “scala” sognata da
Giacobbe, e ormai aperta per sempre. Questo evento è permanente e la liturgia eucaristica lo
celebra; cioè fa si che in esso venga coinvolto 1’uomo. Poichè gli Angeli conoscono 1’economia
salvifica di Dio verso 1’uomo, si rallegrano ogniqualvolta sulla terra si riproduce quanto avviene e
si vuole in cielo; in qualche modo poi, gli Angeli rendono gli uomini simili a se stessi, ossia
messaggeri della Buona Notizia, come accadde ai pastori di Betlemme.

La liturgia è cosmica, dirà nel VI secolo da Oriente san Massimo il Confessore. Risponde da
Occidente l’inno liturgico romano Jesu redemptor omnium, a ricordare che la Creazione intera
partecipa alla Redenzione e si rallegra. L’Apocalisse ha paragonato le stelle agli Angeli: sette stelle
su sette candelabri, simbolo delle sette chiese (1,20); gli Angeli sono tutelari delle città e degli
individui, in un contesto liturgico cosmico-storico nato dalla tradizione giudaico-cristiana che
ricorreva spesso al simbolo della scala cosmica; per questo anche i vescovi che, etimologicamente,
“vegliano sulle chiese”, sono accostati agli Angeli.

San Giovanni Crisostomo, descrivendo 1’apertura del velo che occulta il santuario sulla porta
dell’iconostasi bizantina, dice: “La Chiesa è il luogo degli angeli, il luogo degli arcangeli, il regno
di Dio, il cielo stesso (...) E tu dunque ancor prima del tempo venera, stupisci e levati, prima di
vedere aperti i veli, e precedendo il coro degli angeli, sali verso il cielo” (Epistula ad 1 Corinthios
homilia, 36,5; Patrologia graeca, 61,313). I1 velo della porta regale, secondo 1’anafora greca di san Giacomo, e simbolo della carne del Cristo che avvolgeva la Sua divinità, nascondendola agli occhi umani.

Ma è stato Teodoro di Mopsuestia, nella XV catechesi sul rito solennissimo dell’ingresso dei doni
per l’Eucaristia, a presentare una tipologia teologica che si ritroverà poi in molti autori e riti
orientali e occidentali. Egli, partendo dal suddetto passo della Lettera agli Ebrei, ricorda che,
durante la Passione, le potenze invisibili servivano il Signore; servizio che nella liturgia e compiuto
dai diaconi: “Secondo le Scritture, v’erano degli Angeli al lato del sepolcro, seduti sulla pietra, che
rivelarono alle donne la risurrezione e, tutto il tempo che Cristo giacque nella morte, rimasero là ad
onorare colui che era morto, finchè non videro la risurrezione; non ci si sbaglia quindi oggi [afferma
il grande catecheta] a riprodurre per immagini quella liturgia angelica. A ricordo di quegli angeli,
che durante la passione e la morte del Signore, venivano continuamente e si anteponevano, ecco che i diaconi lo circondano e agitano ventagli” (Tonneau e Devreesse, p. 503 sgg.).

Gesù stesso aveva manifestato la Sua libertà sovrana andando incontro alla Passione, quando, al
momento dell’arresto, ammonì che avrebbe potuto pregare il Padre per ricevere 1’aiuto di dodici
legioni di Angeli (Matteo 26,53). La partecipazione angelica vi fu, non per evitare ma per alleviare
la sofferenza e annunciare la vittoria. I diaconi dunque, con i ventagli (le ali) rappresentano gli
Angeli al sepolcro del Signore.

La rappresentazione angelica nelle liturgie orientali verrà continuamente riproposta dal VI al XIV
secolo da autori siriaci e greci come Narsai, Massimo il Confessore, Germano di Costantinopoli,
Abraham Bar Lipheh, pseudo Giorgio di Arbela, Nicola Cabasilas. Ma nessuno più di Dionigi
1’Areopagita, pseudonimo di un autore vissuto tra il V e il VI secolo che ha scritto in greco, non
senza attingere alle concezioni giudaiche apocalittiche, ha elaborato nelle opere De coelesti
Hierarchia e De ecclesiastica Hierarchia, la teoria del rapporto tra la gerarchia celeste e quella
ecclesiastica, come si manifesta massimamente nella liturgia.

Egli, nel tentativo di spiegare l’unione dell’uomo con Dio, è il primo a dire che imitando gli Angeli
il percorso verso Dio e possibile. Essi sono tali in quanto “1’illuminazione tearchica e
primieramente in essi e tramite loro ci vengono comunicate le manifestazioni superiori a noi” (De
coelesti Hierarchia, IV, 2, 180B). Dio ha comunicato i suoi voleri mediante gli Angeli, così vi ha
obbedito anche Gesù. La liturgia che celebra la massima obbedienza del Figlio al Padre con la
croce, non può non considerare gli Angeli quali ministri operanti. Anzi, poiché il Figlio ha
comunicato agli uomini tutto quello che aveva udito dal Padre, è 1’Angelo del Gran Consiglio (De
coelesti Hierarchia, IV, 4, 181C).

In base a una sua interpretazione della Sacra Scrittura, lo pseudo Dionigi ha enumerato nove ordini
di Angeli, raggruppati a loro volta in tre schiere o disposizioni gerarchiche illuminate da Dio, la
prima direttamente, la seconda attraverso la prima, la terza mediante le prime due: la prima schiera, più vicina a Dio, è formata da Serafini, Cherubini e Troni; la seconda da Dominazioni, Virtù e Potestà; la terza di Principati, Arcangeli e Angeli (De coelesti Hierarchia, VI, 2, 200D).
La prima schiera è la più sublime perché vicina al trono di Dio: i Serafini, etimologicamente, che
ardono e riscaldano, possono librarsi verso l’alto per sconfiggere le tenebre. I Cherubini sono
protesi a conoscere e contemplare Dio dal quale ricevono la sapienza, che a loro volta effondono
incommensurabilmente all’ordine inferiore. I Troni sono tali perchè distaccati da ogni attrazione
terrestre.

E tesi verso l’alto, soprattutto portano Dio in trono, appunto, avendone ricevuto la visita in modo
perfettamente inalterabile e immateriale.

La seconda schiera manifesta le proprietà imitatrici di Dio perennemente conformi a Lui: le
Dominazioni indicano 1’assoluta libertà che si muove intorno a Dio. Le Virtù, le operazioni piene
di forza che si conformano a Lui. Le Potestà indicano il dominio sui nemici e la possibilità di
ricevere la grazia di Dio.

L’ultima schiera, dice Dionigi, è adornata dai Principati e dagli Arcangeli, che hanno il compito di
guida, e dagli Angeli che portano le rivelazioni e gli ordini di Dio agli esseri umani. In realtà
1’appellativo di Angelo si attribuisce anche alle schiere superiori, quando svolgono un annunzio,
come ricorderà san Gregorio Magno (Omelia, 34, 8-9; Patrologia latina, 76, 1250-1251).
L’angelologia di Dionigi, con i nomi dei diversi cori, è ancora presente nella liturgia romana; il
Prefazio che introduce la grande preghiera eucaristica li menziona spesso, per gruppi, quasi a
indicare il loro concorso al momento solenne della Divina Liturgia, che è la discesa del Verbo in
mezzo agli uomini, come mediante una scala per la quale salgono e scendono.

Tuttavia, quanto alla conoscenza di Dio sulla terra, gli uomini la ricevono attraverso i simboli, mentre gli Angeli vedono Dio direttamente. Dagli spiriti più vicini a Dio, infatti, procede una iniziazione nei confronti di quelli più lontani. Infine l’Areopagita afferma che la Sapienza di Dio si è manifestata proprio nell’aver creato esseri sapienti come gli uomini e gli Angeli. Non solo, anche la Potenza è distribuita gerarchicamente a partire dagli Angeli (De Divinis nominibus, VI, 3, 857B). Certamente le liturgie orientali, con l’intento di “portare” il cielo sulla terra, hanno tradotto più da vicino la teoria dionisiana: gli Angeli e le Virtù sono parte di questo compito di comunione.
L’universo simbolico della liturgia bizantina, testi, inni, icone, ridonda massimamente della
presenza e del ministero angelico.

La preghiera della “Piccola Entrata”, la processione
dell’Evangelario nella prima parte della Messa bizantina, menziona gli Angeli che celebrano nel
cielo la liturgia eterna e che si uniscono ora ai fedeli per la Divina Liturgia: “Maestro e Signore
nostro Dio, che hai stabilito nei cieli gli ordini e gli eserciti degli angeli e degli arcangeli per
celebrarvi la liturgia della tua gloria, fa che con la nostra entrata abbia luogo 1’entrata dei santi
angeli che, con noi, celebrano e glorificano il tuo amore, perchè a te conviene ogni gloria e ogni
adorazione”.

Avviene un’irruzione del celeste nel terrestre, gli Angeli celebrano nel cielo la liturgia
eterna e partecipano a quella degli uomini, che è un inserirsi nel tempo dell’adorazione perpetua,
condizione normale di ogni creatura. E’ il tema iconografico Divina Liturgia che raffigura il Cristo
all’altare, in vesti pontificali, circondato da Angeli celebranti vestiti da preti e diaconi.
Il tempo dell’adorazione è segnato dal Trisagion recitato sacerdote e ripreso dal coro: ”Dio Santo,
Dio Forte, Dio Immortale abbi pietà di noi”; indica ancora una volta la sinergia tra le schiere
angeliche: “Dio Santo, che abiti nel santo dei santi, che sei lodato dai serafini al canto dell’inno tre
volte santo; che sei glorificato dai cherubini e adorato da tutte le potenze celesti (...)”. Se la liturgia
è pontificale, il vescovo avanza durante il canto tenendo nella mano sinistra il dikèrion (candelabro
a due ceri incrociati, simbolo delle due nature del Cristo) e nella mano destra il trikèrion
(candelabro a tre ceri, simbolo della Trinità) e benedice il popolo incrociando due immagini,
cristologica e trinitaria.

“Noi, che misticamente rappresentiamo i cherubini e cantiamo alla vivificante Trinità l’inno tre
volte santo, deponiamo ogni sollecitudine mondana per ricevere il Re dell’universo, invisibilmente
scortato dagli eserciti angelici. Alleluia, alleluia, alleluia”. E’ l’inno cherubico intonato dal diacono
all’inizio della “Grande Entrata, la processione del pane e del vino, cioè i doni per 1’Eucaristia;
nell’ attesa di questo evento 1’anima deve accordarsi con il canto delle potenze celesti. Questa
processione di offertorio, che è una rappresentazione liturgica dell’arrivo del Cristo a Gerusalemme,
condotto al sacrificio, rifulge ancora di più in un altro canto per 1’ingresso dei doni, forse più
antico, nella liturgia greca di san Giacomo, cantato dai Bizantini il Sabato Santo: “si avanza per
essere sacrificato e per essere dato in nutrimento ai suoi fedeli. Egli è preceduto dal coro degli
angeli, con tutti i principati e le dominazioni, i cherubini dai molti occhi e i serafini dalle sei ali, che
si velano la faccia e cantano 1’inno Alleluia”.

Nel rito armeno un’antifona, che nel rito caldeo si ritrova come “antifona dei misteri”, o hagiologia,
è cantata dal diacono: “La moltitudine degli angeli e delle schiere celesti discesero dal cielo con
1’Unigenito re, cantando e dicendo: ’Ecco il Figlio di Dio!’
Tutti noi diciamo: ’Giubilate cieli ed esultate fondamenta del mondo, perchè il Dio eterno è apparso
sulla terra ed ha conversato con gli uomini, per dare la vita alle nostre anime (...) Venite, popoli,
cantiamo le lodi insieme agli angeli, dicendo: Santo (...)’”.

La visione dei Serafini nel libro di Isaia
è richiamata nel rito caldeo, così pure nella liturgia siro-antiochena e in quella maronita.
Alla comunione il diacono apre,in silenzio, la porta regale, simbolo della pietra del sepolcro rotolata
dall’Angelo Gariele: come il Cristo risorto,appare il prete con il calice.

Prima dell’elaborazione tipologica del “Grande Ingresso” in Teodoro di Mopsuestia, si era delineata
in alcuni Padri, per esempio lo pseudo Crisostomo (Patrologia greca, 62,722-4), una riflessione
teologica sulla discesa del Cristo agli Inferi, celebrata come fase del mistero pasquale nei riti
orientali. Nella santa e grande Parasceve, infatti, il Cristo è preceduto dalle Virtù – un coro non
menzionato dallo pseudo Dionigi – che acclamano: “Aprite le porte” e queste vengono infrante
(Salmi 23). Il diacono nel rito bizantino ha proprio la funzione di riprodurre, tra la navata e il
santuario, la funzione dell’Angelo, messaggero di quanto si va preparando a celebrare e guida della
preghiera.

L’Angelo della pace, fedele conduttore e custode delle anime e dei corpi, viene invocato da Dio
nella litania dopo l’ingresso dei doni: è la dimensione pasquale applicata all’escatologia individuale.
Nel rito siro-caldeo, è invece l’Angelo della misericordia e della guarigione per i malati e per quanti
cadono in tentazione.

Una commemorazione speciale delle potenze celesti e angeliche, che fanno parte integrante del
cielo, è introdotta nel ciclo settimanale bizantino all’ufficio di preghiera del lunedì; i loro cori
acclamano continuamente: “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore” (Salmi 118,26). E’
un’acclamazione che nell’Eucaristia romana e bizantina è stata aggiunta al Sanctus, mutando la
formula conclusiva della benedizione (berakah) degli Angeli nella liturgia della sinagoga:
“Benedetta sia la Gloria di Jahweh dal luogo della sua dimora” (Ezechiele 3,12). Si potrebbe risalire
così, nella liturgia di Gerusalemme, al rito della azkarah-epiclesi allo Spirito Santo, al quale
assistono gli Angeli.

Secondo san Paolo, Essi, sempre presenti durante la liturgia, devono incutere
rispetto nelle donne che vi partecipano (1 Corinzi 11,10). Nell’iconografia romana e bizantina, gli
Angeli sono spesso simbolo del cielo o dei vari cieli. In alcune scene della Creazione, affiancano in
numero di sette il Creatore, rappresentando ciascuno i sette giorni. Le loro principali insegne sono
le ali; tutti gli spiriti angelici hanno due ali, i Serafini e i Cherubini ne hanno sei; talvolta le hanno
anche Gesù, quale “Angelo del Gran Consiglio”, Giovanni “il Precursore” ed Elia “il profeta
immortale”. Gli Angeli, in quanto messaggeri, recano anche una verga lunga e sottile, fiorita spesso
in un fiordaliso.

Quando hanno le mani velate, è in segno di rispetto per le cose sacre che portano. Il
loro rapporto con la liturgia è indicato dalla pròsfora (il pane dell’offerta eucaristica) tonda, con una
linea ondulata a indicare la lievitazione del pane; è spesso tenuta innanzi al petto da Michele,
circondato da altri Angeli.

Nella liturgia romana, che si distingue dalle altre per la sobrietà dei riti, gli Angeli sono tra i
testimoni del confiteor, il riconoscimento delle colpe nell’atto penitenziale. Sono menzionati per
gruppi, spesso insieme ai Santi, nella conclusione del Prefatio, la proclamazione introduttiva della
preghiera eucaristica: “E noi uniti agli Angeli e alla moltitudine dei cori celesti, cantiamo con gioia
1’inno della tua lode”; oppure: “uniti agli Angeli e agli Arcangeli, ai Troni e alle Dominazioni e alla
moltitudine dei cori celesti. A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini, uniti in eterna
esultanza”.O altre espressioni come: “Per questo mistero si allietano gli Angeli”; “1’assemblea
degli Angeli e dei Santi (...) nell’eternità adorano la gloria del tuo volto”. “Per mezzo di lui tutti gli
Angeli proclamano la tua gloria. Al loro canto concedi o Signore che si uniscano le nostre umili
voci”.

L’Angelo, dunque, indica l’unità della liturgia terrena e di quella celeste. Riprendendo
sant’Ambrogio (De Sacramentis, 4,6,26) il Canone Romano Lo menziona nella formula di epiclesi
per la transustanziazione, in cui non è invocato lo Spirito Santo: “Ti supplichiamo, Dio onnipotente:
fa’ che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull’altare del cielo davanti alla
tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo
mistero del corpo e sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del
cielo”.

Anche nella liturgia della festa dei santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, il 29
settembre, nel calendario romano, si ricorda che gli Angeli e gli uomini sono chiamati a cooperare
al disegno della Salvezza divina (orazione colletta); 1’orazione sulle offerte dichiara: “Per le mani
dei tuoi angeli sia portata davanti a te”; infine, nella preghiera dopo la comunione si auspica che
“sostenuti dagli angeli avanziamo nella via della salvezza”. La memoria degli Angeli custodi (2
ottobre) Li invoca come segno della Provvidenza, inviati a custodia e protezione dell’uomo; si
esprime con ciò la speranza di essere sempre sorretti dal loro aiuto e di raggiungere la gioia eterna
insieme a Loro.

Nella liturgia bizantina, la “sinassi dei principi degli angeli Michele, Gabriele e delle altre potenze
incorporee” si celebra, invece, 1’8 novembre, data della dedicazione di una chiesa a Costantinopoli.
Esisteva anche una festa minore, il 6 settembre, in relazione a un miracolo attribuito all’
“arcistratega” Michele a Colossi; è una prova dell’esistenza del culto degli Angeli nel IV secolo. A
Roma, è accaduto analogamente, nel VI secolo, per il 29 settembre, data della dedicazione a san
Michele della chiesa romana. Il titolo Dedicatio è conservato anche per 1’8 maggio, festa del
santuario sul Gargano, che coincide con 1’Apparitio san Michaelis Archangeli, nel calendario
romano precedente la riforma del 1970. Le feste degli Arcangeli Gabriele e Raffaele furono
introdotte nel calendario romano da Benedetto XV nel 1921; sono state unificate nel 1970 con
quella di Michele al 29 settembre.

Quanto agli Angeli custodi una festa propria appare nel XVI secolo in Spagna e in Francia, ma la
Santa Sede, pur avendo concesso alla diocesi di Valenza la festa nel 1582, non 1’aveva inserita nel
breviario del 1568. Clemente XI nel 1667, fissandola alla prima domenica di settembre, su richiesta
di Ferdinando II, la estese alle chiese del regno; nel calendario romano rimane ancora al 2 ottobre,
dove fu spostata da Clemente X. Questa memoria evidenzia un’altra missione degli Angeli: Essi
svolgono un’assistenza fraterna presso ogni essere umano: “con misteriosa provvidenza Dio manda i suoi angeli a nostra custodia”.

Le Scritture del Vecchio Testamento ricordano spesso l’intervento degli Angeli per guidare i
Patriarchi nel loro esodo o per proteggere il popolo di Israele nell’ingresso alla terra di Canaan; i
Salmi lo documentano ampiamente. Tra le innumerevoli menzioni degli Angeli si veda il Salmo 90
dove si afferma: “Il Signore manda i suoi angeli sul nostro cammino. Sulle loro mani ti porteranno,
affinché non inciampi il tuo piede”. Anche Gesù parla della premura degli Angeli per gli uomini,
ricordando in specie la dignità dei fanciulli: “I loro angeli nel cielo vedono continuamente il volto
del Padre mio” (Matteo 18,10).

La scala tra cielo e terra “approntata” nelle liturgie è dunque custodita e presidiata dagli Angeli, in
particolare da Michele, il condottiero degli eserciti celesti, la guida delle anime e il vincitore di
Satana nel grande combattimento alla fine dei tempi. A questo convincimento si è alimentata la
pietà popolare espressasi peraltro in alcune preghiere; la prima fa parte del Catechismo di san Pio
X: “Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui
affidato dalla pietà celeste. Amen”.

Nota è anche quella che papa Leone XIII ordinò di recitare a
conclusione della Messa: “san Michele Arcangelo, difendici nella lotta; sii tu il nostro aiuto contro
la malizia e le insidie del demonio. Dio lo domini. Te ne preghiamo supplici: e tu, principe della
milizia celeste, ricaccia nell’inferno, col divino potere, Satana e gli altri spiriti maligni, che si
aggirano per il mondo a rovina delle anime. Amen”.

Infine, un’invocazione che accomuna i tre
Arcangeli o arcistrateghi, come li chiamano i Latini e i Bizantini: “Sancte Gabriel cum Maria,
sancte Raphael cum Tobia, sancte Michael cum omni coelesti hierarchia, adsitis nobis in viam”.



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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