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Il Papa ordina nuovi Vescovi

Ultimo Aggiornamento: 06/01/2013 11:14
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 Sorriso ordinazione di nuovi vescovi







SEGUE L'OMELIA DEL SANTO PADRE...

per ulteriori approfondimenti clicca qui:

Il Papa ai Vescovi: l'unità dei vescovi NON VIENE RAGGIUNTA




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Salutiamo con affetto e ci uniamo cordialmente alla gioia di questi cinque nostri Fratelli presbiteri che il Signore ha chiamato ad essere successori degli Apostoli: Mons. Gabriele Giordano Caccia, Mons. Franco Coppola, Mons. Pietro Parolin, Mons. Raffaello Martinelli e Mons. Giorgio Corbellini. Sono grato a ciascuno di essi per il fedele servizio che hanno reso alla Chiesa lavorando in Segreteria di Stato o nella Congregazione per la Dottrina della Fede o nel Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e sono certo che, con lo stesso amore per Cristo e con il medesimo zelo per le anime, svolgeranno nei nuovi campi di azione pastorale il ministero che oggi viene loro affidato con l’Ordinazione episcopale. Secondo la Tradizione apostolica, questo Sacramento viene conferito mediante l’imposizione delle mani e la preghiera. L’imposizione delle mani si svolge in silenzio.

La parola umana ammutolisce. L’anima si apre in silenzio per Dio, la cui mano s’allunga verso l’uomo, lo prende per sé e, al contempo, lo copre in modo da proteggerlo, affinché in seguito egli sia totalmente proprietà di Dio, gli appartenga del tutto e introduca gli uomini nelle mani di Dio. Ma, come secondo elemento fondamentale dell’atto di consacrazione, segue poi la preghiera. L’Ordinazione episcopale è un evento di preghiera. Nessun uomo può rendere un altro sacerdote o vescovo. È il Signore stesso che, attraverso la parola della preghiera e il gesto dell’imposizione delle mani, assume quell’uomo totalmente al suo servizio, lo attira nel suo stesso Sacerdozio. Egli stesso consacra gli eletti. Egli stesso, l’unico Sommo Sacerdote, che ha offerto l’unico sacrificio per tutti noi, gli concede la partecipazione al suo Sacerdozio, affinché la sua Parola e la sua opera siano presenti in tutti i tempi.

Per questa connessione tra la preghiera e l’agire di Cristo sull’uomo, la Chiesa nella sua Liturgia ha sviluppato un segno eloquente.

Durante la preghiera di Ordinazione si apre sul candidato l’Evangeliario, il Libro della Parola di Dio. Il Vangelo deve penetrare in lui, la Parola vivente di Dio deve, per così dire, pervaderlo. Il Vangelo, in fondo, non è solo parola – Cristo stesso è il Vangelo. Con la Parola, la stessa vita di Cristo deve pervadere quell’uomo, così che egli diventi interamente una cosa sola con Lui, che Cristo viva in lui e dia alla sua vita forma e contenuto. In questa maniera deve realizzarsi in lui ciò che nelle letture dell’odierna Liturgia appare come l’essenza del ministero sacerdotale di Cristo. Il consacrato deve essere colmato dello Spirito di Dio e vivere a partire da Lui. Deve portare ai poveri il lieto annunzio, la vera libertà e la speranza che fa vivere l’uomo e lo risana. Egli deve stabilire il Sacerdozio di Cristo in mezzo agli uomini, il Sacerdozio al modo di Melchisedek, cioè il regno della giustizia e della pace. Come i 72 discepoli mandati dal Signore, egli deve essere uno che porta guarigione, che aiuta a risanare la ferita interiore dell’uomo, la sua lontananza da Dio. Il primo ed essenziale bene di cui abbisogna l’uomo è la vicinanza di Dio stesso. Il regno di Dio, di cui si parla nel brano evangelico di oggi, non è qualcosa "accanto" a Dio, una qualche condizione del mondo: è semplicemente la presenza di Dio stesso, che è la forza veramente risanatrice.

Gesù ha riassunto tutti questi molteplici aspetti del suo Sacerdozio nell’unica frase: "Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10, 45). Servire e in ciò donare se stessi; essere non per se stessi, ma per gli altri, da parte di Dio e in vista di Dio: è questo il nucleo più profondo della missione di Gesù Cristo e, insieme, la vera essenza del suo Sacerdozio. Così, Egli ha reso il termine "servo" il suo più alto titolo d’onore. Con ciò ha compiuto un capovolgimento dei valori, ci ha donato una nuova immagine di Dio e dell’uomo. Gesù non viene come uno dei padroni di questo mondo, ma Lui, che è il vero Padrone, viene come servo. Il suo Sacerdozio non è dominio, ma servizio: è questo il nuovo Sacerdozio di Gesù Cristo al modo di Melchisedek.

San Paolo ha formulato l’essenza del ministero apostolico e sacerdotale in maniera molto chiara. Di fronte ai litigi, che c’erano nella Chiesa di Corinto tra correnti diverse che si riferivano ad Apostoli diversi, egli domanda: Ma cosa è mai un Apostolo? Cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Sono servitori; ciascuno come il Signore gli ha concesso (cfr 1 Cor 3, 5). "Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele" (1 Cor 4, 1s). A Gerusalemme, nell’ultima settimana della sua vita, Gesù stesso ha parlato in due parabole di quei servi ai quali il Signore affida i suoi beni nel tempo del mondo, e vi ha rilevato tre caratteristiche del servire nel modo giusto, nelle quali si concretizza l’immagine del ministero sacerdotale. Gettiamo infine ancora un breve sguardo su queste caratteristiche, per contemplare, con gli occhi di Gesù stesso, il compito che voi, cari amici, siete chiamati ad assumere in quest’ora.

La prima caratteristica, che il Signore richiede dal servo, è la fedeltà. Gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene. La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introduciamo nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità. La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati. Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità. Il Signore traccia con poche linee un’immagine del servo malvagio, il quale si mette a gozzovigliare e a percuotere i dipendenti, tradendo così l’essenza del suo incarico. In greco, la parola che indica "fedeltà" coincide con quella che indica "fede". La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa. Il padrone rimprovera il servo, che aveva nascosto sottoterra il bene consegnatogli per evitare ogni rischio. Con questa apparente fedeltà il servo ha in realtà accantonato il bene del padrone, per potersi dedicare esclusivamente ai propri affari. Fedeltà non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo. Il padrone loda il servo, che ha fatto fruttificare i suoi beni. La fede richiede di essere trasmessa: non ci è stata consegnata soltanto per noi stessi, per la personale salvezza della nostra anima, ma per gli altri, per questo mondo e per il nostro tempo. Dobbiamo collocarla in questo mondo, affinché diventi in esso una forza vivente; per far aumentare in esso la presenza di Dio.

La seconda caratteristica, che Gesù richiede dal servo, è la prudenza. Qui bisogna subito eliminare un malinteso. La prudenza è una cosa diversa dall’astuzia. Prudenza, secondo la tradizione filosofica greca, è la prima delle virtù cardinali; indica il primato della verità, che mediante la "prudenza" diventa criterio del nostro agire. La prudenza esige la ragione umile, disciplinata e vigilante, che non si lascia abbagliare da pregiudizi; non giudica secondo desideri e passioni, ma cerca la verità – anche la verità scomoda. Prudenza significa mettersi alla ricerca della verità ed agire in modo ad essa conforme. Il servo prudente è innanzitutto un uomo di verità e un uomo dalla ragione sincera. Dio, per mezzo di Gesù Cristo, ci ha spalancato la finestra della verità che, di fronte alle sole forze nostre, rimane spesso stretta e soltanto in parte trasparente. Egli ci mostra nella Sacra Scrittura e nella fede della Chiesa la verità essenziale sull’uomo, che imprime la direzione giusta al nostro agire. Così, la prima virtù cardinale del sacerdote ministro di Gesù Cristo consiste nel lasciarsi plasmare dalla verità che Cristo ci mostra. In questa maniera diventiamo uomini veramente ragionevoli, che giudicano in base all’insieme e non a partire da dettagli casuali. Non ci lasciamo guidare dalla piccola finestra della nostra personale astuzia, ma dalla grande finestra, che Cristo ci ha aperto sull’intera verità, guardiamo il mondo e gli uomini e riconosciamo così che cosa conta veramente nella vita.

La terza caratteristica di cui Gesù parla nelle parabole del servo è la bontà: "Servo buono e fedele … prendi parte alla gioia del tuo padrone" (Mt 25, 21.23). Ciò che s’intende con la caratteristica della "bontà" può rendersi chiaro a noi, se pensiamo all’incontro di Gesù con il giovane ricco. Quest’uomo si era rivolto a Gesù chiamandolo "Maestro buono" e ricevette la risposta sorprendente: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo" (Mc 10, 17s). Buono in senso pieno è solo Dio. Egli è il Bene, il Buono per eccellenza, la Bontà in persona. In una creatura – nell’uomo – l’essere buono si basa pertanto necessariamente su un profondo orientamento interiore verso Dio. La bontà cresce con l’unirsi interiormente al Dio vivente. La bontà presuppone soprattutto una viva comunione con Dio, una crescente unione interiore con Lui. E di fatto: da chi altri si potrebbe imparare la vera bontà se non da Colui, che ci ha amato sino alla fine, sino all’estremo (cfr Gv 13, 1)? Diventiamo servi buoni mediante il nostro rapporto vivo con Gesù Cristo. Solo se la nostra vita si svolge nel dialogo con Lui, solo se il suo essere, le sue caratteristiche penetrano in noi e ci plasmano, possiamo diventare servi veramente buoni.

Nel calendario della Chiesa si ricorda oggi il Nome di Maria. In Lei che era ed è totalmente unita al Figlio, a Cristo, gli uomini nelle tenebre e nelle sofferenze di questo mondo hanno trovato il volto della Madre, che ci dà coraggio per andare avanti. Nella tradizione occidentale il nome "Maria" è stato tradotto con "Stella del Mare". In ciò si esprime proprio questa esperienza: quante volte la storia in cui viviamo appare come un mare buio che colpisce minacciosamente con le sue onde la navicella della nostra vita. Talvolta la notte sembra impenetrabile. Spesso può crearsi l’impressione che solo il male abbia potere e Dio sia infinitamente lontano. Spesso intravvediamo solo da lontano la grande Luce, Gesù Cristo che ha vinto la morte e il male. Ma allora vediamo molto vicina la luce che si accese, quando Maria disse: "Ecco, sono la serva del Signore". Vediamo la chiara luce della bontà che emana da Lei. Nella bontà con cui Ella ha accolto e sempre di nuovo viene incontro alle grandi e alle piccole aspirazioni di molti uomini, riconosciamo in maniera molto umana la bontà di Dio stesso. Con la sua bontà porta sempre nuovamente Gesù Cristo, e così la grande Luce di Dio, nel mondo. Egli ci ha dato la sua Madre come Madre nostra, affinché impariamo da Lei a pronunciare il "sì" che ci fa diventare buoni.

Cari amici, in questa ora preghiamo per voi la Madre del Signore, perché vi conduca sempre verso il suo Figlio, fonte di ogni bontà. E preghiamo perché diventiate servi fedeli, prudenti e buoni e così possiate un giorno sentire dal Signore della storia la parola: Servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone. Amen.




I VESCOVI ORDINANDI

Questi i Presbiteri ai quali il Santo Padre Benedetto XVI conferisce questa mattina l’Ordinazione episcopale:

1. Mons. Gabriele Giordano CACCIA, del clero dell’Arcidiocesi di Milano, nato il 24 febbraio 1958, ordinato Presbitero l’11 giugno 1983, eletto Arcivescovo titolare di Sepino e nominato Nunzio Apostolico in Libano il 16 luglio 2009.

2. Mons. Franco COPPOLA, del clero dell’Arcidiocesi di Otranto, nato il 31 marzo 1957, ordinato Presbitero il 12 settembre 1981, eletto Arcivescovo titolare di Vinda e nominato Nunzio Apostolico in Burundi il 16 luglio 2009.

3. Mons. Pietro PAROLIN, del clero della Diocesi di Vicenza, nato il 17 gennaio 1955, ordinato Presbitero il 27 aprile 1980, eletto Arcivescovo titolare di Acquapendente e nominato Nunzio Apostolico in Venezuela il 17 agosto 2009.

4. Mons. Raffaello MARTINELLI, del clero della Diocesi di Bergamo, nato il 21 giugno 1948, ordinato Presbitero l’8 aprile 1972, eletto Vescovo della Diocesi Suburbicaria di Frascati il 2 luglio 2009.

5. Mons. Giorgio CORBELLINI, del clero della Diocesi di Piacenza-Bobbio, nato il 20 aprile 1947, ordinato Presbitero il 10 luglio 1971, eletto Vescovo titolare di Abula e nominato Presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica il 3 luglio 2009.



[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740722]


Ci uniamo al coro festante di Tutta la Santa Chiesa unitamente ai Santi e agli Angeli, affidando all'amore materno di Maria il Ministero di questi nuovi Vescovi... [SM=g1740738]


Grazie Gesù!



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Un grazie di cuore a RaffaellaBlog per i collegamenti....


ORDINAZIONE EPISCOPALE: LA PROMESSA DEGLI ELETTI AL SANTO PADRE. TUTTI I VESCOVI SI RINFRESCHINO LA MEMORIA!


Dal libretto della celebrazione delle Ordinazioni Episcopali di sabato 12 settembre 2009 (ore 10) presiedute dal Santo Padre, Benedetto XVI, riportiamo la formula della promessa che i candidati vescovi pronunciano di fronte al Successore di Pietro.
Viene pubblicata la traduzione in italiano.
In rosso le parti "salienti".
E' il testo che TUTTI i vescovi hanno pronunciato, pronunciano e pronunceranno in futuro.
Troppo spesso i vescovi dimenticano tale promessa.
Questo post sara' inserito nella colonna sinistra del blog a perenne monito e memoria
.
R.









Promessa degli Eletti e implorazione per essi

Gli Eletti si recano davanti al Santo Padre che li interroga con queste parole:


Antiqua sanctorum Patrum institutio

præcipit, ut, qui Episcopus

ordinandus est, coram

populo interrogetur de proposito

fidei servandæ et muneris

exsequendi.


L’antica tradizione dei santi padri
richiede che l’ordinando Vescovo
sia interrogato in presenza
del popolo sul proposito di custodire
la fede e di esercitare il
proprio ministero.


Vultis ergo, fratres carissimi,

munus nobis ab Apostolis creditum

et vobis per impositionem

manuum nostrarum tradendum

cum gratia Spiritus Sancti usque

ad mortem explere?


Volete, fratelli carissimi, adempiere
fino alla morte il ministero
a noi affidato dagli Apostoli,
che noi ora trasmettiamo a voi
mediante l’imposizione delle
mani con la grazia dello Spirito
Santo?

C. Volo

C. Sì, lo voglio.

Vultis Evangelium Christi fideliter

et indesinenter prædicare?

C. Volo


Volete predicare, con fedeltà
e perseveranza, il Vangelo di
Cristo?

C. Sì, lo voglio.

Vultis depositum fidei, secundum

traditionem inde ab Apostolis

in Ecclesia semper et

ubique servatam, purum et integrum

custodire?

C. Volo


Volete custodire puro e integro il
deposito della fede, secondo la
tradizione conservata sempre e
dovunque nella Chiesa fin dai
tempi degli Apostoli?


C. Sì, lo voglio.

Vultis corpus Christi, Ecclesiam

eius, ædificare et in eius unitate

cum ordine Episcoporum, sub

auctoritate successoris beati Petri

apostoli, permanere?

C. Volo.


Volete edificare il corpo di Cristo,
che è la Chiesa, perseverando
nella sua unità, insieme
con tutto l’ordine dei Vescovi,
sotto l’autorità del successore
del beato apostolo Pietro
?

C. Sì, lo voglio.

Vultis beato Petro apostolo, cui a

Deo data est potestas ligandi

atque solvendi, mihi et successoribus

meis, Romanis Pontificibus,

fidem, subiectionem et

oboedientiam, secundum canonicam

auctoritatem, per omnia

exhibere?

C. Volo.


Volete prestare fedeltà, sottomissione,
obbedienza, secondo
le prescrizioni canoniche, al beato
apostolo Pietro, a cui Dio ha
dato il potere di legare e sciogliere,
e a me e ai miei successori,
i Romani Pontefici
?

C. Sì, lo voglio.

Vultis plebem Dei sanctam,

cum comministris vestris Presbyteris

et Diaconis, ut pii patres,

fovere et in viam salutis

dirigere?

C. Volo


Volete prendervi cura, con amore
di padre, del popolo santo di
Dio e con i presbiteri e i diaconi,
vostri collaboratori nel ministero,
guidarlo sulla via della salvezza?

C. Sì, lo voglio.

Vultis pauperibus et peregrinis

omnibusque indigentibus propter

nomen Domini affabiles et

misericordes vos præbere?

C. Volo


Volete essere sempre accoglienti
e misericordiosi, nel nome del
Signore, verso i poveri e tutti i
bisognosi di conforto e di aiuto?

C. Sì, lo voglio.

Vultis oves errantes ut boni pastores

requirere et ovili dominico

aggregare?

C. Volo


Volete, come buon pastore, andare
in cerca delle pecore smarrite,
per riportarle all’ovile di
Cristo
?

C. Sì, lo voglio.

Vultis Deum omnipotentem pro

populo sancto indesinenter orare

et sine reprehensione summi

sacerdotii munus explere?

C. Volo, Deo auxiliante


Volete pregare, senza mai stancarvi,
Dio onnipotente, per il suo
popolo santo,
ed esercitare in
modo irreprensibile il ministero
del sommo sacerdozio
?

C. Sì, con l’aiuto di Dio, lo voglio.

Qui coepit in vobis opus bonum,

Deus, ipse perficiat


Dio che ha iniziato in voi la sua
opera, la porti a compimento.

Il Papa: "La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa...Fedeltà non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo"




(Omelia, postata sopra, di Benedetto XVI ai Vescovi)


                               Vescovi







Fraternamente CaterinaLD

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21/09/2009 20:42
 
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Pastori secondo il cuore di Dio.

di Nicola Bux e Salvatore Vitiello

Città del Vaticano - Grande eco ha suscitato
l’omelia pronunciata dal Santo Padre Benedetto XVI, sabato 12 settembre, nella papale Basilica di San Pietro, in occasione della Consacrazione episcopale di alcuni prelati.

Un’eco per certi versi ingiustificata, per altri plausibile. È sempre necessario tenere presente che, quando Pietro parla, si rivolge a tutta la Chiesa ed il suo magistero ha costantemente un carattere universale, legato alla responsabilità personale del Papa, ed è quindi improprio attribuire, a questo o quell’intervento, specifici riferimenti a situazioni o persone, o peggio, a realtà politiche mondane.
Purtroppo l’informazione pubblica tende, per ragioni di cronaca, ad effettuare tali passaggi, attribuendo, non di rado, intenzionalità diretta a discorsi generali.

Altro dato di un certo interesse è la reazione mediatica ad alcune affermazioni che il Santo Padre, in un’omelia ampia e di grandissimo spessore teologico, ha fatto, quasi fossero “rivelazioni straordinarie”, mai prima conosciute da alcuno.

Ha affermato Benedetto XVI: “La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati. Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità, per il bene comune. Il Signore traccia con poche linee un'immagine del servo malvagio, il quale si mette a gozzovigliare e a percuotere i dipendenti, tradendo così l'essenza del suo incarico. In greco, la parola che indica ‘fedeltà’ coincide con quella che indica fede”. La maggior parte dei giornali si è soffermata su tale periodo, trascurando il fatto che al primo posto è stata messa la “società civile”, dunque se richiamo c’è stato, esso è davvero da intendere come rivolto a tutti coloro che sono investiti di responsabilità in ogni ambito. Successivamente, due indicazioni riguardanti la Chiesa appaiono di un coraggio straordinario e profetico: “non di rado” e “molti”. Posto che l’aggettivo “molti” è riferibile sia alla società civile sia alla Chiesa, il “non di rado” è, senz’ombra di dubbio, un giudizio chiaro ed inequivocabile, una chiamata forte del Pastore della Chiesa universale alla conversione, per tutti coloro che sono stati investiti di responsabilità nella Chiesa, in particolare per i successori degli Apostoli.

È quanto di più naturale e fisiologico possa accadere che un Padre richiami i propri figli, è segno dell’amore e della carità misericordiosa verso di essi. Potrebbe stupire una certa ammissione di “imperfezione” all’interno della gerarchia cattolica, ed infatti ha fatto notizia, ma per un Pontefice che, in tempi non sospetti, ha pubblicamente denunciato la “sporcizia interna alla Chiesa” (“
Via Crucis” al Colosseo del 2005), non dovrebbe assolutamente stupire.

Il punto è che esercitare il ministero, ma anche qualunque responsabilità pubblica civile, servendosi degli altri invece che servendo i fratelli, rende infelice innanzitutto chi, di tale atteggiamento, è responsabile. Sia in termini psico-antropologici sia in termini evangelici, tutti ben sappiamo come l’egoismo ed il male soffochino progressivamente coloro che in essi vivono e, del resto, chi ha ancora bisogno di utilizzare il potere per affermare se stesso è perché non ha chiara l’esperienza di “essere affermato da Dio”, affermato ed afferrato da quel Mistero Buono che fa tutte le cose e che, solo, costituisce i Pastori. La vera preoccupazione, al limite, potrebbe essere quella di avere persone costituite in responsabilità ma, ancora, incerte dell’amore gratuito di Dio, tanto da dover cercare gratificazioni e appigli umani, forse troppo umani, credendo illusoriamente di trovarvi una risposta al proprio bisogno esistenziale.

La vera libertà, invece, non ha prezzo! Quella che nasce dalla gioiosa certezza di avere solo in Dio il proprio riferimento e la vera garanzia della propria piena realizzazione: nel compimento umile e fedele della Sua volontà, l’uomo trova se stesso e scopre un insperato equilibrio interiore, che diviene capacità di reale dono gratuito, superando, con l’aiuto della grazia, ogni umano egoismo.
Preghiamo, sempre, il padrone della messe, perché ci dia “pastori secondo il Suo cuore”, contemplativi della Divina misericordia e, perciò, di grande equilibrio interiore e pubblico.

 Agenzia Fides.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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09/10/2010 18:46
 
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l cardinale Bertone consacra quattro nuovi vescovi

Costa fatica
annunciare fedelmente il Vangelo


La missione fondamentale del vescovo è l'annuncio della Buona Novella:  un'esperienza ricca di gioia, ma anche molto faticosa, per chi si impegna a realizzarla in modo fedele e responsabile. Lo ha detto il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ai quattro nuovi presuli consacrati sabato pomeriggio, 9 ottobre, nella basilica di San Pietro.

Circondati dall'affetto di familiari, amici, concittadini e di molti confratelli, hanno ricevuto la pienezza del sacerdozio gli arcivescovi Giorgio Lingua e Joseph Tobin, e i vescovi Ignacio Carrasco de Paula e Enrico Dal Covolo:  il primo, piemontese, sarà rappresentante pontificio in Iraq e in Giordania, "a sostegno delle comunità cristiane sparse in quelle terre così tribolate, per le quali - gli ha detto il porporato - dovrai essere messaggero di pace e di speranza"; il secondo, redentorista statunitense, avrà "il delicato compito di collaborare nella curia romana", come segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica; il terzo, spagnolo della prelatura dell'Opus Dei, ha avuto l'incarico di presidente della Pontificia Accademia per la Vita, dove già operava; e infine il salesiano Enrico dal Covolo è chiamato a proseguire il suo "apprezzato servizio alla Chiesa" quale rettore della Pontificia Università Lateranense.

All'omelia il cardinale Bertone ha sottolineato come i compiti dei vescovi discendano da quelli affidati da Gesù agli apostoli, dei quali essi sono successori. Primo tra tutti "diffondere nel mondo il Vangelo, annunziare la redenzione operata da Cristo, condurre l'intera umanità sulla via della salvezza". Un annuncio - ha aggiunto - che va fatto "con forza e autorevolezza". Altri compiti del vescovo sono rendere presente Cristo nell'Eucaristia e nei sacramenti con i quali si edifica la Chiesa, la comunità dei credenti; e costruire la comunione, guidando la Chiesa con amore.

Commentando le letture, il celebrante ha poi sottolineato il motivo per cui l'annuncio viene comunque al primo posto:  perché - ha detto citando san Paolo - "la parola di Dio non è incatenata". Del resto, la Sacra Scrittura possiede "una libertà e una forza" che "le vicende, favorevoli o sfavorevoli, che accadono a noi personalmente e al mondo che ci circonda, non riescono a soffocare". E lo stesso brano evangelico proclamato poco prima - tratto da san Luca - mostra la potenza della Parola. Si tratta dell'episodio della guarigione miracolosa di dieci lebbrosi, che sfocia però in un insegnamento sulla salvezza dell'uomo. Infatti - ha commentato il cardinale - "la guarigione inizia quando si comincia a obbedire alla Parola di Dio, non più a sé stessi e alle proprie abitudini. In tal senso il cammino spirituale dei credenti porta la guarigione del cuore nella misura in cui è scandito dall'ascolto del Vangelo".

Il segretario di Stato ha poi illustrato il significato dei gesti che caratterizzano il rito dell'ordinazione episcopale. Anche in questo caso il libro del Vangelo posto sul capo dei nuovi vescovi richiama la loro "fondamentale missione":  recare la Buona Novella. Ecco allora l'augurio che il cardinale Bertone ha rivolto ai quattro, affinché possano "essere sempre fedeli e gioiosi portatori del Vangelo, mostrando l'universale respiro della missione della Chiesa". Quindi ha consegnato loro, a nome di Benedetto XVI, l'anello episcopale, che - ha detto - "vi ricorderà ogni giorno il dovere di fedeltà alla Chiesa, Sposa di Cristo". Infine ha ricordato che per imitare il Buon Pastore sono richiesti coraggio e amore, cioè la capacità di donarsi totalmente.

Da qui la consegna conclusiva, con l'invito a saper "riconoscere le molteplici miserie che affliggono l'umanità:  peccati, malattie, errori, dubbi, ansie, disgregazione delle famiglie, solitudine, disordine sociale, ingiustizia, povertà, emarginazione. Entrate sempre più in intimità di vita con Cristo - li ha esortati - perché Egli possa amare con il vostro cuore, guardare con i vostri occhi, parlare con la vostra bocca, operare con le vostre mani".


(©L'Osservatore Romano - 10 ottobre 2010)

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Messa per l'Ordinazione episcopale di cinque sacerdoti.
5.2.2011

                       Monsignor Savio Hon Tai-Fai, (R), a 60-year-old Salesian prelate from Hong Kong receives the ordination from Pope Benedict XVI (L) during the holy mass and rite of Episcopal ordination celebrated by in St. Peter's basilica at the Vatican on February 5, 2011. Monsignor Savio Hon Tai-Fai was one of the five bishops ordained today by Pope Benedict XVI.

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Saluto con affetto questi cinque Fratelli Presbiteri che tra poco riceveranno l’Ordinazione Episcopale: Mons. Savio Hon Tai-Fai, Mons. Marcello Bartolucci, Mons. Celso Morga Iruzubieta, Mons. Antonio Guido Filipazzi e Mons. Edgar Peña Parra. Desidero esprimere loro la gratitudine mia e della Chiesa per il servizio svolto fino ad ora con generosità e dedizione e formulare l’invito ad accompagnarli con la preghiera nel ministero a cui sono chiamati nella Curia Romana e nelle Rappresentanze Pontificie come Successori degli Apostoli, perché siano sempre illuminati e guidati dallo Spirito Santo nella messe del Signore.

“La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!” (Lc 10,2). Questa parola dal Vangelo della Messa di oggi ci tocca particolarmente da vicino in quest’ora. È l’ora della missione: il Signore manda voi, cari amici, nella sua messe. Dovete cooperare in quell’incarico di cui parla il profeta Isaia nella prima lettura: “Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati” (Is 61,1). È questo il lavoro per la messe nel campo di Dio, nel campo della storia umana: portare agli uomini la luce della verità, liberarli dalla povertà di verità, che è la vera tristezza e la vera povertà dell’uomo. Portare loro il lieto annuncio che non è soltanto parola, ma evento: Dio, Lui stesso, è venuto, da noi. Egli ci prende per mano, ci trae verso l’alto, verso se stesso, e così il cuore spezzato viene risanato. Ringraziamo il Signore perché manda operai nella messe della storia del mondo. Ringraziamo perché manda voi, perché avete detto di sì e perché in quest’ora pronuncerete nuovamente il vostro “sì” all’essere operai del Signore per gli uomini.

“La messe è abbondante” – anche oggi, proprio oggi. Anche se può sembrare che grandi parti del mondo moderno, degli uomini di oggi, volgano le spalle a Dio e ritengano la fede una cosa del passato – esiste tuttavia l’anelito che finalmente vengano stabiliti la giustizia, l’amore, la pace, che povertà e sofferenza vengano superate, che gli uomini trovino la gioia. Tutto questo anelito è presente nel mondo di oggi, l’anelito verso ciò che è grande, verso ciò che è buono. È la nostalgia del Redentore, di Dio stesso, anche lì dove Egli viene negato. Proprio in quest’ora il lavoro nel campo di Dio è particolarmente urgente e proprio in quest’ora sentiamo in modo particolarmente doloroso la verità della parola di Gesù: “Sono pochi gli operai”.

Al tempo stesso il Signore ci lascia capire che non possiamo essere semplicemente noi da soli a mandare operai nella sua messe; che non è una questione di management, della nostra propria capacità organizzativa. Gli operai per il campo della sua messe li può mandare solo Dio stesso. Ma Egli li vuole mandare attraverso la porta della nostra preghiera. Noi possiamo cooperare per la venuta degli operai, ma possiamo farlo solo cooperando con Dio. Così quest’ora del ringraziamento per il realizzarsi di un invio in missione è, in modo particolare, anche l’ora della preghiera: Signore, manda operai nella tua messe! Apri i cuori alla tua chiamata! Non permettere che la nostra supplica sia vana!

La liturgia della giornata odierna ci dà quindi due definizioni della vostra missione di Vescovi, di sacerdoti di Gesù Cristo: essere operai nella messe della storia del mondo con il compito di risanare aprendo le porte del mondo alla signoria di Dio, affinché la volontà di Dio sia fatta sulla terra come in cielo. E poi il nostro ministero viene descritto quale cooperazione alla missione di Gesù Cristo, quale partecipazione al dono dello Spirito Santo, dato a Lui in quanto Messia, il Figlio unto da Dio. La Lettera agli Ebrei – la seconda lettura – completa ancora questo a partire dall’immagine del sommo sacerdote Melchìsedek, che è un rinvio misterioso a Cristo, il vero Sommo Sacerdote, il Re di pace e di giustizia.

Ma vorrei anche dire qualcosa su come questo grande compito sia da svolgere nella pratica – su che cosa esiga concretamente da noi. Per la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, le Comunità cristiane di Gerusalemme avevano scelto quest’anno le parole degli Atti degli Apostoli, in cui san Luca vuole illustrare in modo normativo quali sono gli elementi fondamentali dell’esistenza cristiana nella comunione della Chiesa di Gesù Cristo. Si esprime così: “Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42). In questi quattro elementi portanti dell’essere Chiesa è descritto al contempo anche il compito essenziale dei suoi Pastori. Tutti e quattro gli elementi sono tenuti insieme mediante l’espressione “erano perseveranti” – “erant perseverantes”: la Bibbia latina traduce così l’espressione greca προσκαρτερέω: la perseveranza, l’assiduità, appartiene all’essenza dell’essere cristiani ed è fondamentale per il compito dei Pastori, degli operai nella messe del Signore.

Il Pastore non deve essere una canna di palude che si piega secondo il soffio del vento, un servo dello spirito del tempo. L’essere intrepido, il coraggio di opporsi alle correnti del momento appartiene in modo essenziale al compito del Pastore. Non deve essere una canna di palude, bensì – secondo l’immagine del Salmo primo – deve essere come un albero che ha radici profonde nelle quali sta saldo e ben fondato. Ciò non ha niente a che fare con la rigidità o l’inflessibilità. Solo dove c’è stabilità c’è anche crescita.

Il cardinale Newman, il cui cammino fu marcato da tre conversioni, dice che vivere è trasformarsi. Ma le sue tre conversioni e le trasformazioni in esse avvenute sono tuttavia un unico cammino coerente: il cammino dell’obbedienza verso la verità, verso Dio; il cammino della vera continuità che proprio così fa progredire.

“Perseverare nell’insegnamento degli Apostoli” – la fede ha un contenuto concreto. Non è una spiritualità indeterminata, una sensazione indefinibile per la trascendenza. Dio ha agito e proprio Lui ha parlato. Ha realmente fatto qualcosa e ha realmente detto qualcosa. Certamente, la fede è, in primo luogo, un affidarsi a Dio, un rapporto vivo con Lui. Ma il Dio al quale ci affidiamo ha un volto e ci ha donato la sua Parola. Possiamo contare sulla stabilità della sua Parola. La Chiesa antica ha riassunto il nucleo essenziale dell’insegnamento degli Apostoli nella cosiddetta Regula fidei, che, in sostanza, è identica alle Professioni di Fede. È questo il fondamento attendibile, sul quale noi cristiani ci basiamo anche oggi. È la base sicura sulla quale possiamo costruire la casa della nostra fede e della nostra vita (cfr Mt 7,24ss). E di nuovo, la stabilità e la definitività di ciò che crediamo non significano rigidità. Giovanni della Croce ha paragonato il mondo della fede ad una miniera in cui scopriamo sempre nuovi tesori – tesori nei quali si sviluppa l’unica fede, la professione del Dio che si manifesta in Cristo. Come Pastori della Chiesa viviamo di questa fede e così possiamo anche annunciarla come il lieto messaggio che ci rende sicuri dell’amore di Dio e dell’essere noi amati da Lui.

Il secondo pilastro dell’esistenza ecclesiale, san Luca lo chiama κοινωνία – communio. Dopo il Concilio Vaticano II, questo termine è diventato una parola centrale della teologia e dell’annuncio, perché in esso, di fatto, si esprimono tutte le dimensioni dell’essere cristiani e della vita ecclesiale.

Che cosa Luca voglia precisamente esprimere con tale parola, non lo sappiamo. Possiamo quindi tranquillamente comprenderla in base al contesto globale del Nuovo Testamento e della Tradizione apostolica. Una prima grande definizione di communio l’ha data san Giovanni all’inizio della sua Prima Lettera: Quello che abbiamo veduto e udito, quello che le nostre mani hanno toccato, noi lo annunciamo a voi, perché anche voi abbiate communio con noi. E la nostra communio è comunione con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo (cfr 1Gv 1,1-4). Dio si è reso per noi visibile e toccabile e così ha creato una reale comunione con Lui stesso. Entriamo in tale comunione attraverso il credere e il vivere insieme con coloro che Lo hanno toccato. Con loro e tramite loro, noi stessi in certo qual modo Lo vediamo, e tocchiamo il Dio fattosi vicino. Così la dimensione orizzontale e quella verticale sono qui inscindibilmente intrecciate l’una con l’altra. Con lo stare in comunione con gli Apostoli, con lo stare nella loro fede, noi stessi stiamo in contatto con il Dio vivente. Cari amici, a tale scopo serve il ministero dei Vescovi: che questa catena della comunione non si interrompa.

È questa l’essenza della Successione apostolica: conservare la comunione con coloro che hanno incontrato il Signore in modo visibile e tangibile e così tenere aperto il Cielo, la presenza di Dio in mezzo a noi. Solo mediante la comunione con i Successori degli Apostoli siamo anche in contatto con il Dio incarnato. Ma vale anche l’inverso: solo grazie alla comunione con Dio, solo grazie alla comunione con Gesù Cristo questa catena dei testimoni rimane unita. Vescovi non si è mai da soli, ci dice il Vaticano II, ma sempre soltanto nel collegio dei Vescovi. Questo, poi, non può rinchiudersi nel tempo della propria generazione.

Alla collegialità appartiene l’intreccio di tutte le generazioni, la Chiesa vivente di tutti i tempi. Voi, cari Confratelli, avete la missione di conservare questa comunione cattolica. Sapete che il Signore ha incaricato san Pietro e i suoi successori di essere il centro di tale comunione, i garanti dello stare nella totalità della comunione apostolica e della sua fede. Offrite il vostro aiuto perché rimanga viva la gioia per la grande unità della Chiesa, per la comunione di tutti i luoghi e i tempi, per la comunione della fede che abbraccia il cielo e la terra. Vivete la communio, e vivete con il cuore, giorno per giorno, il suo centro più profondo in quel momento sacro, in cui il Signore stesso si dona nella santa Comunione.

Con ciò siamo già giunti al successivo elemento fondamentale dell’esistenza ecclesiale, menzionato da san Luca: lo spezzare il pane. Lo sguardo dell’Evangelista, a questo punto, torna indietro ai discepoli di Emmaus, che riconobbero il Signore dal gesto dello spezzare il pane. E da lì, lo sguardo torna ancora più indietro all’ora dell’Ultima Cena, in cui Gesù, nello spezzare il pane, distribuì se stesso, si fece pane per noi ed anticipò la sua morte e la sua risurrezione. Spezzare il pane – la santa Eucaristia è il centro della Chiesa e deve essere il centro del nostro essere cristiani e della nostra vita sacerdotale. Il Signore si dona a noi. Il Risorto entra nel mio intimo e vuole trasformarmi per farmi entrare in una profonda comunione con Lui. Così mi apre anche a tutti gli altri: noi, i molti, siamo un solo pane e un solo corpo, dice san Paolo (cfr 1Cor 10,17). Cerchiamo di celebrare l’Eucaristia con una dedizione, un fervore sempre più profondo, cerchiamo di impostare i nostri giorni secondo la sua misura, cerchiamo di lasciarci plasmare da essa. Spezzare il pane – con ciò è espresso insieme anche il condividere, il trasmettere il nostro amore agli altri. La dimensione sociale, il condividere non è un’appendice morale che s’aggiunge all’Eucaristia, ma è parte di essa. Ciò risulta chiaramente proprio dal versetto che negli Atti degli Apostoli segue a quello citato poc’anzi: “Tutti i credenti … avevano ogni cosa in comune”, dice Luca (2,44). Stiamo attenti che la fede si esprima sempre nell’amore e nella giustizia degli uni verso gli altri e che la nostra prassi sociale sia ispirata dalla fede; che la fede sia vissuta nell’amore.

Come ultimo pilastro dell’esistenza ecclesiale, Luca menziona “le preghiere”. Egli parla al plurale: preghiere. Che cosa vuol dire con questo? Probabilmente pensa alla partecipazione della prima Comunità di Gerusalemme alle preghiere nel tempio, agli ordinamenti comuni della preghiera. Così si mette in luce una cosa importante. La preghiera, da una parte, deve essere molto personale, un unirmi nel più profondo a Dio. Deve essere la mia lotta con Lui, la mia ricerca di Lui, il mio ringraziamento per Lui e la mia gioia in Lui.

Tuttavia, non è mai soltanto una cosa privata del mio “io” individuale, che non riguarda gli altri. Pregare è essenzialmente anche sempre un pregare nel “noi” dei figli di Dio. Solo in questo “noi” siamo figli del nostro Padre, che il Signore ci ha insegnato a pregare. Solo questo “noi” ci apre l’accesso al Padre. Da una parte, la nostra preghiera deve diventare sempre più personale, toccare e penetrare sempre più profondamente il nucleo del nostro “io”. Dall’altra, deve sempre nutrirsi della comunione degli oranti, dell’unità del Corpo di Cristo, per plasmarmi veramente a partire dall’amore di Dio.

Così il pregare, in ultima analisi, non è un’attività tra le altre, un certo angolo del mio tempo. Pregare è la risposta all’imperativo che sta all’inizio del Canone nella Celebrazione eucaristica: Sursum corda – in alto i cuori!

È l’ascendere della mia esistenza verso l’altezza di Dio. In san Gregorio Magno si trova una bella parola al riguardo. Egli ricorda che Gesù chiama Giovanni Battista una “lampada che arde e risplende” (Gv 5,35) e continua: “ardente per il desiderio celeste, risplendente per la parola. Quindi, affinché sia conservata la veridicità dell’annuncio, deve essere conservata l’altezza della vita” (Hom. in Ez. 1,11,7 CCL 142, 134). L’altezza, la misura alta della vita, che proprio oggi è così essenziale per la testimonianza in favore di Gesù Cristo, la possiamo trovare solo se nella preghiera ci lasciamo continuamente tirare da Lui verso la sua altezza.

Duc in altum (Lc 5,4) – Prendi il largo e gettate le reti per la pesca. Questo disse Gesù a Pietro e ai suoi compagni quando li chiamò a diventare “pescatori di uomini”. Duc in altum – Papa Giovanni Paolo II, nei suoi ultimi anni, ha ripreso con forza questa parola e l’ha proclamata a voce alta ai discepoli del Signore di oggi. Duc in altum – dice il Signore in quest’ora a voi, cari amici. Siete stati chiamati per incarichi che riguardano la Chiesa universale. Siete chiamati a gettare la rete del Vangelo nel mare agitato di questo tempo per ottenere l’adesione degli uomini a Cristo; per tirarli fuori, per così dire, dalle acque saline della morte e dal buio nel quale la luce del cielo non penetra. Dovete portarli sulla terra della vita, nella comunione con Gesù Cristo.

In un passo del primo libro della sua opera sulla Santissima Trinità, sant’Ilario di Poitiers prorompe improvvisamente in una preghiera: Per questo prego “affinché Tu gonfi le vele dispiegate della nostra fede e della nostra professione con il soffio del Tuo Spirito e mi spinga avanti nella traversata del mio annuncio” (I 37 CCL 62, 35s). Sì, per questo preghiamo in quest’ora per voi, cari amici. Dispiegate quindi le vele delle vostre anime, le vele della fede, della speranza, dell’amore, affinché lo Spirito Santo possa gonfiarle e concedervi un viaggio benedetto come pescatori di uomini nell’oceano del nostro tempo. Amen.

                   
Pope Benedict XVI (C) celebrates, surrounded by new bishops, the holy mass and rite of Episcopal ordination in St. Peter's basilica at the Vatican on February 5, 2011.

Pope Benedict XVI celebrates the holy mass and rite of Episcopal ordination in St. Peter's basilica at the Vatican on February 5, 2011.Pope Benedict XVI attends a ceremony in which he ordained five new bishops at the Vatican February 5, 2011.

Pope Benedict XVI celebrates the holy mass and rite of Episcopal ordination in St. Peter's basilica at the Vatican on February 5, 2011.Pope Benedict XVI prays as he celebrates the holy mass and rite of Episcopal ordination in St. Peter's basilica at the Vatican on February 5, 2011.

Pope Benedict XVI blesses the faithful as he leaves after a ceremony in which he ordained five new bishops at the Vatican February 5, 2011.

Pope Benedict XVI kneels in a prayer as he celebrates the holy mass and rite of Episcopal ordination in St. Peter's basilica at the Vatican on February 5, 2011.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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06/01/2012 14:11
 
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CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DELLA EPIFANIA DEL SIGNORE, CON IL RITO DI ORDINAZIONE EPISCOPALE, 06.01.2012

Alle ore 9.30 di oggi, Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Benedetto XVI celebra nella Basilica Vaticana la Santa Messa nel corso della quale conferisce l’Ordinazione episcopale ai presbiteri: Mons. Charles John Brown, eletto Arcivescovo titolare di Aquileia e nominato Nunzio Apostolico in Irlanda e Mons. Marek Solczyński, eletto Arcivescovo titolare di Cesarea di Mauritania e nominato Nunzio Apostolico in Georgia e Armenia.
Concelebrano con il Santo Padre i Vescovi co-ordinanti: il Card. Tarcisio Bertone, S.D.B., e il Card. William Joseph Levada, e i due Vescovi eletti.
Il rito di Ordinazione ha luogo dopo la proclamazione del Santo Vangelo e l’annunzio del giorno della Pasqua, che quest’anno si celebra l’8 aprile.

Il Papa ha indossato la pianeta mentre la mitria ci appare nuova e per la prima volta anche i vescovi ordinati indossavano la pianeta (anche per la prima Messa dell'anno tutti i cardinali indossavano la pianeta)



Nel corso della Santa Messa, il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

L’Epifania è una festa della luce.

“Àlzati, [Gerusalemme,] rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1). Con queste parole del profeta Isaia, la Chiesa descrive il contenuto della festa. Sì, è venuto nel mondo Colui che è la vera Luce, Colui che rende gli uomini luce. Egli dona loro il potere di diventare figli di Dio (cfr Gv 1,9.12). Il cammino dei Magi d’Oriente è per la liturgia soltanto l’inizio di una grande processione che continua lungo tutta la storia. Con questi uomini comincia il pellegrinaggio dell’umanità verso Gesù Cristo – verso quel Dio che è nato in una stalla; che è morto sulla croce e che, da Risorto, rimane con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20). La Chiesa legge il racconto del Vangelo di Matteo insieme con la visione del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura: il cammino di questi uomini è solo un inizio. Prima erano venuti i pastori – le anime semplici che dimoravano più vicino al Dio fattosi bambino e che più facilmente potevano “andare di là” (cfr Lc 2,15) verso di Lui e riconoscerLo come Signore. Ora, però, vengono anche i sapienti di questo mondo. Vengono grandi e piccoli, re e servi, uomini di tutte le culture e di tutti i popoli.

Gli uomini d’Oriente sono i primi, ai quali tanti, lungo tutti i secoli, vengono dietro. Dopo la grande visione di Isaia, la lettura tratta dalla Lettera agli Efesini esprime la stessa cosa in modo molto sobrio e semplice: le genti condividono la stessa eredità (cfr Ef 3,6). Il Salmo 2 l’aveva formulato così: “Ti darò in eredità le genti e in tuo dominio le terre più lontane” (Sal 2,8).

I Magi d’Oriente precedono. Inaugurano il cammino dei popoli verso Cristo. Durante questa santa Messa conferirò a due sacerdoti l’Ordinazione episcopale, li consacrerò Pastori del popolo di Dio. Secondo le parole di Gesù, precedere il gregge fa parte del compito del Pastore (cfr Gv 10,4).

Quindi, in quei personaggi che come primi pagani trovarono la via verso Cristo, possiamo forse cercare – nonostante tutte le differenze nelle vocazioni e nei compiti – indicazioni per il compito dei Vescovi. Che tipo di uomini erano costoro? Gli esperti ci dicono che essi appartenevano alla grande tradizione astronomica che, attraverso i secoli, si era sviluppata nella Mesopotamia e ancora vi fioriva. Ma questa informazione da sola non basta. C’erano forse molti astronomi nell’antica Babilonia, ma solo questi pochi si sono incamminati e hanno seguito la stella che avevano riconosciuto quale stella della promessa, quale indicatore della strada verso il vero Re e Salvatore. Essi erano, possiamo dire, uomini di scienza, ma non soltanto nel senso che volevano sapere molte cose: volevano di più. Volevano capire che cosa conta nell’essere uomini. Probabilmente avevano sentito dire della profezia del profeta pagano Balaam: “Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Nm 24,17). Essi approfondirono quella promessa. Erano persone dal cuore inquieto, che non si accontentavano di ciò che appare ed è consueto.

Erano uomini alla ricerca della promessa, alla ricerca di Dio. Ed erano uomini vigilanti, capaci di percepire i segni di Dio, il suo linguaggio sommesso ed insistente. Ma erano anche uomini coraggiosi e insieme umili: possiamo immaginare che dovettero sopportare qualche derisione, perché si incamminarono verso il Re dei Giudei, affrontando per questo molta fatica. Per essi non era decisivo ciò che pensava e diceva di loro questo o quello, anche persone influenti ed intelligenti. Per loro contava la verità stessa, non l’opinione degli uomini. Per questo affrontarono le rinunce e le fatiche di un percorso lungo ed incerto. Fu il loro coraggio umile a consentire ad essi di potersi chinare davanti al bambino di gente povera e di riconoscere in Lui il Re promesso, la cui ricerca e il cui riconoscimento era stato lo scopo del loro cammino esteriore ed interiore.

Cari amici, come non vedere in tutto ciò alcuni tratti essenziali del ministero episcopale?

Anche il Vescovo deve essere un uomo dal cuore inquieto che non si accontenta delle cose abituali di questo mondo, ma segue l’inquietudine del cuore che lo spinge ad avvicinarsi interiormente sempre di più a Dio, a cercare il suo Volto, a conoscerLo sempre di più, per poterLo amare sempre di più. Anche il Vescovo deve essere un uomo dal cuore vigilante che percepisce il linguaggio sommesso di Dio e sa discernere il vero dall’apparente. Anche il Vescovo deve essere ricolmo del coraggio dell’umiltà, che non si interroga su che cosa dica di lui l’opinione dominante, bensì trae il suo criterio di misura dalla verità di Dio e per essa s’impegna: “opportune – importune”. Deve essere capace di precedere e di indicare la strada. Deve precedere seguendo Colui che ha preceduto tutti noi, perché è il vero Pastore, la vera stella della promessa: Gesù Cristo. E deve avere l’umiltà di chinarsi davanti a quel Dio che si è reso così concreto e così semplice da contraddire il nostro stolto orgoglio, che non vuole vedere Dio così vicino e così piccolo. Deve vivere l’adorazione del Figlio di Dio fattosi uomo, quell’adorazione che sempre di nuovo gli indica la strada.

La liturgia dell’Ordinazione episcopale interpreta l’essenziale di questo ministero in otto domande rivolte ai Consacrandi, che iniziano sempre con la parola: “Vultis? – volete?”. Le domande orientano la volontà e le indicano la strada da prendere. Vorrei qui brevemente menzionare soltanto alcune delle parole-chiave di tale orientamento, nelle quali si concretizza ciò su cui poc’anzi abbiamo riflettuto a partire dai Magi dell’odierna festa. Compito dei Vescovi è il “praedicare Evangelium Christi”, il “custodire” e “dirigere”, il “pauperibus se misericordes praebere”, l’“indesinenter orare”. L’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, il precedere e dirigere, il custodire il sacro patrimonio della nostra fede, la misericordia e la carità verso i bisognosi e i poveri, in cui si rispecchia l’amore misericordioso di Dio per noi e, infine, la preghiera continua sono caratteristiche fondamentali del ministero episcopale. La preghiera continua che significa: non perdere mai il contatto con Dio; lasciarsi sempre toccare da Lui nell’intimo del nostro cuore ed essere così pervasi dalla sua luce. Solo chi conosce personalmente Dio può guidare gli altri verso Dio. Solo chi guida gli uomini verso Dio, li guida sulla strada della vita.

Il cuore inquieto, di cui abbiamo parlato rifacendoci a sant’Agostino, è il cuore che, in fin dei conti, non si accontenta di niente che sia meno di Dio e, proprio così, diventa un cuore che ama. Il nostro cuore è inquieto in relazione a Dio e rimane tale, anche se oggi, con “narcotici” molto efficaci, si cerca di liberare l’uomo da questa inquietudine. Ma non soltanto noi esseri umani siamo inquieti in relazione a Dio. Il cuore di Dio è inquieto in relazione all’uomo. Dio attende noi. È in ricerca di noi. Anche Lui non è tranquillo, finché non ci abbia trovato. Il cuore di Dio è inquieto, e per questo si è incamminato verso di noi – verso Betlemme, verso il Calvario, da Gerusalemme alla Galilea e fino ai confini del mondo. Dio è inquieto verso di noi, è in ricerca di persone che si lasciano contagiare dalla sua inquietudine, dalla sua passione per noi.

Persone che portano in sé la ricerca che è nel loro cuore e, al contempo, si lasciano toccare nel cuore dalla ricerca di Dio verso noi. Cari amici, questo era il compito degli Apostoli: accogliere l’inquietudine di Dio verso l’uomo e portare Dio stesso agli uomini. E questo è il vostro compito sulle orme degli Apostoli: lasciatevi colpire dall’inquietudine di Dio, affinché il desiderio di Dio verso l’uomo possa essere soddisfatto.

I Magi hanno seguito la stella. Attraverso il linguaggio della creazione hanno trovato il Dio della storia. Certo, il linguaggio della creazione da solo non basta. Solo la Parola di Dio che incontriamo nella Sacra Scrittura poteva indicare loro definitivamente la strada. Creazione e Scrittura, ragione e fede devono stare insieme per condurci al Dio vivente. Si è molto discusso su che genere di stella fosse quella che guidò i Magi. Si pensa ad una congiunzione di pianeti, ad una Super nova, cioè ad una di quelle stelle inizialmente molto deboli in cui un’esplosione interna sprigiona per un certo tempo un immenso splendore, ad una cometa, e così via. Continuino pure gli scienziati questa discussione.

La grande stella, la vera Super nova che ci guida è Cristo stesso. Egli è, per così dire, l’esplosione dell’amore di Dio, che fa splendere sul mondo il grande fulgore del suo cuore. E possiamo aggiungere: i Magi d’Oriente di cui parla il Vangelo di oggi, così come generalmente i Santi, sono diventati a poco a poco loro stessi costellazioni di Dio, che ci indicano la strada. In tutte queste persone il contatto con la Parola di Dio ha, per così dire, provocato un’esplosione di luce, mediante la quale lo splendore di Dio illumina questo nostro mondo e ci indica la strada.

I Santi sono stelle di Dio, dalle quali ci lasciamo guidare verso Colui al quale anela il nostro essere. Cari amici, voi avete seguito la stella Gesù Cristo, quando avete detto il vostro “sì” al sacerdozio e al ministero episcopale. E certamente hanno brillato per voi anche stelle minori, aiutandovi a non perdere la strada. Nelle Litanie dei Santi invochiamo tutte queste stelle di Dio, affinché brillino sempre di nuovo per voi e vi indichino la strada. Venendo ordinati Vescovi, siete chiamati ad essere voi stessi stelle di Dio per gli uomini, a guidarli sulla strada verso la vera Luce, verso Cristo. Preghiamo dunque in quest’ora tutti i Santi, affinché voi possiate sempre rispondere a questo vostro compito e mostrare agli uomini la luce di Dio.
Amen.





























PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, nella solennità dell’Epifania del Signore, ho ordinato, nella Basilica di San Pietro, due nuovi Vescovi, e così perdonate il ritardo.

Questa festa dell’Epifania è una festa molto antica, che ha la sua origine nell’Oriente cristiano e mette in risalto il mistero della manifestazione di Gesù Cristo a tutte le genti, rappresentate dai Magi che vennero ad adorare il Re dei Giudei appena nato a Betlemme, come narra il Vangelo di san Matteo (cfr 2,1-12).
Quella "luce nuova" che si è accesa nella notte di Natale (cfr Prefazio di Natale I), oggi incomincia a risplendere sul mondo, come suggerisce l’immagine della stella, un segno celeste che attirò l’attenzione dei Magi e li guidò nel loro viaggio verso la Giudea.

Tutto il periodo del Natale e dell’Epifania è caratterizzato dal tema della luce, legato anche al fatto che, nell’emisfero nord, dopo il solstizio d’inverno il giorno riprende ad allungarsi rispetto alla notte. Ma, al di là della loro posizione geografica, per tutti i popoli vale la parola di Cristo: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv 8,12).

Gesù è il sole apparso all’orizzonte dell’umanità per illuminare l’esistenza personale di ognuno di noi e per guidarci tutti insieme verso la meta del nostro pellegrinaggio, verso la terra della libertà e della pace, in cui vivremo per sempre in piena comunione con Dio e tra di noi.

L’annuncio di questo mistero di salvezza è stato affidato da Cristo alla sua Chiesa. "Esso – scrive san Paolo – è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo" (Ef 3,5-6). L’invito che il profeta Isaia rivolgeva alla città santa Gerusalemme, si può applicare alla Chiesa: "Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te" (Is 60,1-2). E’ così, come dice il Profeta: il mondo, con tutte le sue risorse, non è in grado di dare all’umanità la luce per orientare il suo cammino. Lo riscontriamo anche ai nostri giorni: la civiltà occidentale sembra avere smarrito l’orientamento, naviga a vista. Ma la Chiesa, grazie alla Parola di Dio, vede attraverso queste nebbie. Non possiede soluzioni tecniche, ma tiene lo sguardo rivolto alla meta, e offre la luce del Vangelo a tutti gli uomini di buona volontà, di qualunque nazione e cultura.

E’ questa anche la missione dei Rappresentanti Pontifici presso gli Stati e le Organizzazioni internazionali. Proprio stamani, come ho già detto, ho avuto la gioia di conferire l’Ordinazione episcopale a due nuovi Nunzi Apostolici. Affidiamo alla Vergine Maria il loro servizio e l’opera evangelizzatrice di tutta la Chiesa.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di rivolgere i più cordiali auguri alle Chiese Orientali che, secondo il calendario giuliano, domani celebreranno il Santo Natale. Ogni famiglia ed ogni comunità sia colma della luce e della pace di Cristo Salvatore!

Ricordo inoltre che l’Epifania è anche la Giornata Missionaria dei Bambini, promossa dalla Pontificia Opera della Santa Infanzia. Bambini di tutto il mondo, riuniti in gruppi, si formano ad una sensibilità missionaria e sostengono tanti progetti di solidarietà per i loro coetanei. Cari bambini e ragazzi! Il vostro cuore sia aperto al mondo, come il cuore di Gesù, ma siate anche attenti a chi vive accanto a voi, sempre pronti a dare una mano.

(...)

E saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare quanti danno vita al corteo storico-folcloristico, dedicato quest’anno alla città di Pomezia e ai territori del Litorale e dell’Agro Pontino. A tutti auguro una buona festa dell’Epifania! Buona festa a tutti voi!

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SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

 

Formula da usarsi per il giuramento di fedeltà

 

Io..., nominato... vescovo… sarò sempre fedele e obbediente alla Chiesa santa apostolica romana e al Sommo Pontefice, Successore del beato Pietro Apostolo nel primato e Vicario di Cristo, e ai suoi legittimi Successori. E non soltanto li tratterò con sommo onore ma anche, per quanto mi sarà possibile, farò sì che ad essi sia riservato il dovuto rispetto e da essi sia tenuta lontana qualunque offesa.

Sarà mia preoccupazione promuovere e difendere i diritti e l’autorità dei Romani Pontefici; come pure le prerogative dei loro legati e procuratori. Riferirò al romano pontefice con sincerità qualunque cosa che potesse costituire un attentato ai medesimi da parte di chiunque.

Mi sforzerò di adempiere con ogni cura secondo lo spirito e la lettera dei sacri canoni gli incarichi apostolici a me dati di insegnare, santificare e governare, in comunione gerarchica col Vicario di Cristo e con i membri del Collegio episcopale.

Metterò diligente attenzione nel conservare puro e integro il deposito della fede e nel trasmetterlo in modo autentico, accoglierò poi fraternamente quanti errano nella fede e mi adopererò con ogni mezzo affinché essi ritornino alla pienezza della verità cattolica.

Prometto che parteciperò o risponderò, salvo impedimento, se chiamato a Concili e ad altre attività collegiali dei Vescovi.

Amministrerò diligentemente, secondo le norme dei sacri canoni, i beni temporali di proprietà della Chiesa a me affidata, vigilando attentamente perché non vadano in nessun modo perduti o danneggiati.

Farò mie le disposizioni del Concilio Vaticano II e gli altri decreti canonici che riguardano l’istituzione e l’ambito di azione delle Conferenze episcopali, come pure dei consigli presbiterali e pastorali, e promuoverò di buon grado un uso ordinato dei loro compiti.

Infine, nei tempi stabiliti, compirò personalmente o tramite altri, secondo quanto stabilito dal diritto, la visita ad limina apostolorum, renderò conto del mio ufficio pastorale e riferirò fedelmente circa la situazione del clero e del popolo a me affidato; inoltre accoglierò rispettosamente quanto mi verrà ordinato e lo metterò in pratica col massimo impegno.

Così mi aiuti Dio e questi santi Vangeli di Dio.

 


[SM=g1740733]



(Formula qua iusiurandum fidelitatis ab iis dandum erit qui episcopi dioecesani nominati sunt), 1972 EV S1, 450-453; REspDCan 32 (1976) 379  dall'originale in latino:

Formula qua iusiurandum fidelitatis ab iis dandum erit qui episcopi dioecesani nominati sunt

 

Ego…, nominatus… episcopus… sanctae apostolicae romanae Ecclesiae et Summo Pontifici, beati Petri apostoli in primatu Successori et Christi Vicario, eiusque legitimis Successoribus semper fidelis ero atque oboediens. Quos non tantum summo prosequar honore, sed faciam etiam, quantum in me erit, ut debitus iisdem tribuatur honor et omnis iniuria ab ipsis arceatur.

Iura et auctoritatem Romanorum Pontificum, mihi curae erit promovere ac defendere; itidem praerogativas eorum legatorum vel procuratorum. Quidquid autem contra eadem a quopiam contigerit attentari, ipsi Summo Pontifici sincero animo aperiam.

Apostolica munera mihi commissa docendi, sanctificandi et regendi, in hierarchica communione cum Christi Vicario et Collegii episcopalis membris, omni cura ad mentem et litteram sacrorum canonum absolvere satagam.

In depositum fidei purum et integrum servandum atque authentica ratione tradendum studiose incumbam, errantibus vero in fide paternum animum pandam iidemque ut ad plenitudinem catholicae veritatis redeant omni ope annitar.

Ad Concilia aliasque actiones collegiales episcopales vocatus, nisi impediar, me promitto esse venturum vel responsurum.

Bona vero temporalia ad Ecclesiam mihi concreditam pertinentia iuxta sacrorum canonum normas diligenter administra bo, sedulo invigilans ne eadem quoquo modo pereant aut detrimentum capiant.

Concilii Vaticani II aliaque canonica decreta quae institutionem et ambitum actionis conferentiarum episcopalium respiciunt, necnon consiliorum presbyteralium et pastoralium, amplectar eorumque munerum ordinatum usum libenter promovebo.

Statis denique temporibus apostolorum limina vel ego ipse vel per alios ad normam iuris invisam, rationem de pastorali meo officio reddam ac de clero etpopulo mihi commissis fideliter referam: mandata simul obsequenter accipiam maximoque studio perficiam.

Sic me Deus adiuvet et haec sancta Dei Evangelia.

[SM=g1740720] 

 



[Modificato da Caterina63 02/04/2012 22:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Quanto segue lo riprendo da un volume d'epoca, Movimento Cattolico Bollettino Italiano Anno IX  Bologna 1888 - riporta tutti gli eventi della Chiesa e in particolare tutti i testi di Papa Leone XIII fino al 1889, un anno, l'Anno del suo Giubileo Sacerdotale....

E c'è una simpatica curiosità...... a pag 74....

Berretta


Nel giorno 3 febbraio 1888, Papa Leone XIII firma un "Breve Pontificio" per autorizzare i Vescovi all'uso della "berretta color violaceo".....
Leggiamo il passo:

(..) Noi, perchè resti perenne la memoria di questo fausto avvenimento (l'Anno del Giubileo sacerdotale del Pontefice), e per dare ai Venerabili Fratelli un pubblico segno della Nostra benevolenza, abbiamo giudicato di adornare i Vescovi di tutto il mondo con qualche esterna insegna onorifica.
Però con questa Lettera, usando della Nostra Autorità Apostolica, concediamo in perpetuo, che tutti i Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi possano adesso ed in avvenire liberamente e lecitamente usare della berretta di colore violaceo.
Vogliamo che ciò sia loro riservato così, che altri, il quale non sia insignito della Episcopal dignità, non possa assolutamente adoperare tale ornamento.
Non ostanti le Costituzioni e sanzioni Apostoliche e tutte le altre cose in contrario, quali si sieno, anche se degne di speciale e individuale menzione e deroga.
Dato a Roma presso San Pietro sotto l'Anello del Pescatore, il dì 3 febbraio 1888, Anno Decimo del Nostro Pontificato
Leone XIII

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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6 Domenica
Santa Messa nella Solennità dell'Epifania del Signore
Basilica Vaticana, ore 9.00
CAPPELLA PAPALE





OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle!

Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia. Per questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72, che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme.

Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui.

La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l'apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4).

Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle Chiese particolari.

Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente. Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più concreta.
In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.
Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica.
Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.


Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo?
Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini.
Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo.
Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi.

Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce.
“Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae. L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo.
È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita.
La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore.
In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore. Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio.
Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega.
Deve vivere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.

Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.

Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri.

Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti.

Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!


In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo.

E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.


I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).

Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e ricevano in dono la sua gioia.

Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo (Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui.

Amen.


AUGURI MONS GEORG!!

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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