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Libertatis Nuntius correzione alla errata Teologia della Liberazione

Ultimo Aggiornamento: 19/08/2015 16:26
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6 agosto 1984
Istruzione Libertatis Nuntius su alcuni aspetti della «teologia della liberazione»
Il Vangelo di Gesù Cristo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione. Questa verità essenziale è stata oggetto, negli ultimi anni, di riflessione da parte dei teologi, con rinnovata attenzione ricca in se stessa di promesse. La liberazione è innanzi tutto e principalmente liberazione dalla schiavitù radicale del peccato.



Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della Liberazione"

6 agosto 1984

Documento della S. Congregazione per la Dottrina della Fede




INTRODUZIONE

Il Vangelo di Gesù Cristo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione. Questa verità essenziale è stata oggetto, negli ultimi anni, di riflessione da parte dei teologi, con rinnovata attenzione ricca in se stessa di promesse.
La liberazione è innanzi tutto e principalmente liberazione dalla schiavitù radicale del peccato. Il suo scopo e il suo punto d'arrivo è la libertà dei figli di Dio, dono della grazia. Essa comporta, di logica conseguenza, la liberazione dalle molteplici schiavitù di ordine culturale, economico, sociale e politico, che in definitiva derivano tutte dal peccato, e costituiscono altrettanti ostacoli che impediscono agli uomini di vivere in conformità alla loro dignità. Quindi per una riflessione teologica sulla liberazione occorre, come condizione indispensabile, discernere chiaramente ciò che è fondamentale da ciò che appartiene alle conseguenze.

In realtà, di fronte all'urgenza dei problemi, alcuni sono tentati di porre l'accento in maniera unilaterale sulla liberazione dalle schiavitù di ordine terrestre e temporale, per cui sembrano far passare in secondo piano la liberazione dal peccato, e così non attribuirle più, praticamente, líimportanza primaria che invece ha. Ne consegue una presentazione confusa e ambigua dei problemi. Altri, nell'intenzione di formarsi una conoscenza più esatta delle cause delle schiavitù che vogliono eliminare, si servono senza sufficiente precauzione critica, di strumenti di pensiero che è difficile, per non dire impossibile, purificare da uníispirazione ideologica incompatibile con la fede cristiana e con le esigenze etiche che ne derivano.
Questa Congregazione per la Dottrina della Fede non intende qui affrontare nella sua completezza il vasto tema della libertà cristiana e della liberazione. Essa si ripropone di farlo in un documento successivo che ne metterà in evidenza, in maniera positiva, tutte le ricchezze sotto l'aspetto sia dottrinale che pratico.

La presente Istruzione ha uno scopo più preciso e limitato: essa intende attirare l'attenzione dei pastori, dei teologi e di tutti i fedeli, sulle deviazioni e sui rischi di deviazioni, pericolosi per la fede e per la vita cristiana, insiti in certe forme della teologia della liberazione, che ricorrono in maniera non sufficientemente critica a concetti mutuati da diverse correnti del pensiero marxista.

Questo richiamo non deve in alcun modo essere interpretato come una condanna di tutti coloro che vogliono rispondere con generosità e con autentico spirito evangelico alla "opzione preferenziale per i poveri". Essa non dovrebbe affatto servire da pretesto a tutti coloro che si trincerano in un atteggiamento di neutralità e di indifferenza di fronte ai tragici e pressanti problemi della miseria e dell'ingiustizia. Al contrario, essa è dettata dalla certezza che le gravi deviazioni ideologiche denunciate finiscono ineluttabilmente per tradire la causa dei poveri. Più che mai la Chiesa intende condannare gli abusi, le ingiustizie e gli attentati alla libertà, ovunque si riscontrino e chiunque ne siano gli autori, e lottare, con i mezzi che le sono propri, per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo, specialmente nella persona dei poveri.



I. Un' aspirazione



1. La forte, quasi irresistibile aspirazione dei popoli a una liberazione costituisce uno dei principali segni dei tempi che la Chiesa deve scrutare e interpretare alla luce del Vangelo. (1) Questo fenomeno rilevante del nostro tempo ha una dimensione universale, ma si manifesta sotto forme e gradi diversi a seconda dei popoli. È soprattutto tra i popoli che sperimentano il peso della miseria e in seno ai ceti diseredati che tale aspirazione si esprime con forza.



2. Tale aspirazione esprime la percezione autentica, per quanto oscura, della dignità dell'uomo, creato "ad immagine e somiglianza di Dio" (Gen 1, 26-27), schernita e disprezzata da molteplici forme di oppressione culturali, politiche, razziali, sociali ed economiche, spesso conglobate.



3. Annunciando la loro vocazione di figli di Dio, il Vangelo ha suscitato nel cuore degli uomini l'esigenza e la volontà positiva di una vita fraterna, giusta e pacifica, nella quale ciascuno troverà il rispetto e le condizioni del proprio sviluppo spirituale e materiale. Tale esigenza è indubbiamente alla sorgente dell'aspirazione suddetta.



4. Di conseguenza l'uomo non intende più subire passivamente il peso schiacciante della miseria con le sue conseguenze di morte, di malattie e di decadimento. Egli avverte questa miseria come un'intollerabile violazione della propria dignità originaria. Diversi fattori, tra i quali occorre annoverare il lievito evangelico, hanno contribuito al risveglio della coscienza degli oppressi.



5. Nessuno più ignora, neppure tra i ceti ancora analfabeti della popolazione, che grazie al prodigioso sviluppo della scienza e della tecnica, l'umanità pur in costante crescita demografica sarebbe in grado di assicurare a ciascun essere umano quel minimo di beni richiesti dalla sua dignità di persona.



6. Lo scandalo delle palesi disuguaglianze tra ricchi e poveri - si tratti di disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri oppure di disuguaglianze tra ceti sociali nell'ambito dello stesso territorio nazionale - non è più tollerato. Da una parte si è conseguita un'abbondanza, mai vista finora, che favorisce lo sperpero, dall'altra si vive ancora in uno stato di indigenza contrassegnato dalla privazione dei beni di stretta necessità, cosicché non si può più contare il numero delle vittime della denutrizione.



7. La mancanza di equità e di senso di solidarietà negli scambi internazionali torna a vantaggio dei paesi industrializzati, in tal modo la differenza tra ricchi e poveri non cessa di acuirsi. Ne conseguono il sentimento di frustrazione, nei popoli del terzo mondo, e l'accusa di sfruttamento e di colonialismo economico mossa ai paesi industrializzati.



8. Il ricordo dei misfatti di un certo colonialismo e delle sue conseguenze genera spesso ferite e traumi.



9. La Santa Sede, sulla linea del Concilio Vaticano II, come pure le Conferenze Episcopali non hanno mai cessato di denunciare lo scandalo costituito dalla gigantesca corsa agli armamenti che, a parte le minacce che ne derivano per la pace, accaparra somme ingenti, di cui una sola parte sarebbe sufficiente per rispondere alle necessità più urgenti delle popolazioni sprovviste del necessario.



II. Espressioni di questa aspirazione



1. L'aspirazione alla giustizia e al riconoscimento effettivo della dignità di ciascun essere umano richiede, come ogni aspirazione profonda, di essere chiarita e guidata.



2. In effetti, è necessario usare discernimento nei confronti delle espressioni, teoriche e pratiche, di questa aspirazione. Sono molti, infatti, i movimenti politici e sociali che si presentano come porta-parola autentici dell'aspirazione dei poveri, e come abilitati, perfino mediante il ricorso ai mezzi violenti, ad operare quei cambiamenti radicali che porranno fine all'oppressione e alla miseria del popolo.




III. La liberazione, tema cristiano



1. Considerata in sé stessa, líaspirazione alla liberazione non può non trovare una vasta e fraterna eco nel cuore e nello spirito dei cristiani.



2. Per questo, in consonanza con tale aspirazione è nato il movimento teologico e pastorale conosciuto sotto il nome di "teologia della liberazione", dapprima nei paesi dell'America Latina, contrassegnati dall'eredità religiosa e culturale del cristianesimo, e poi in altre regioni del terzo mondo, come pure in certi ambienti dei paesi industrializzati.



3. Líespressione "teologia della liberazione" designa innanzi tutto una preoccupazione privilegiata, generatrice di impegno per la giustizia, rivolta ai poveri e alle vittime dellíoppressione. Partendo da questo approccio, si possono distinguere parecchie maniere, spesso inconciliabili, di concepire il significato cristiano della povertà e il tipo d'impegno per la giustizia che esso comporta. Come ogni movimento di idee, "le teologie della liberazione" presentano posizioni teologiche diverse; le loro frontiere dottrinali non sono ben definite.



4. L'aspirazione alla liberazione, come suggerisce il termine stesso, si ricollega ad un tema fondamentale dell'Antico e del Nuovo Testamento. Così pure, presa in se stessa, l'espressione "teologia della liberazione" è un'espressione pienamente valida: essa designa una riflessione teologica incentrata sul tema biblico della liberazione e della libertà e sull'urgenza delle sue applicazioni pratiche. La confluenza dell'aspirazione alla liberazione e delle teologie della liberazione non è dunque fortuita. Il significato di questa confluenza non può essere rettamente compreso se non alla luce della specificità del messaggio della Rivelazione interpretato autenticamente dal Magistero della Chiesa (2).




IV. Fondamenti biblici



1. Una teologia della liberazione correttamente intesa costituisce, quindi un invito ai teologi ad approfondire certi temi biblici essenziali, con la sollecitudine richiesta dai gravi e urgenti problemi posti alla Chiesa dall'aspirazione contemporanea alla liberazione e dai movimenti di liberazione che ad essa fanno eco, più o meno fedelmente. Non è possibile dimenticare le situazioni drammatiche, dalle quali sgorga l'appello lanciato in questo senso ai teologi.



2. L'esperienza radicale della libertà cristiana (3) costituisce qui il primo punto di riferimento. Il Cristo, nostro Liberatore, ci ha liberati dal peccato, e dalla schiavitù della legge e della carne, che è il contrassegno della condizione dell'uomo peccatore. È dunque la nuova vita di grazia, frutto della giustificazione, che ci costituisce liberi. Ciò significa che la schiavitù più radicale è la schiavitù del peccato. Le altre forme di schiavitù trovano dunque la loro ultima radice nella schiavitù del peccato. Per questo la libertà nel senso cristiano più pieno, in quanto caratterizzata dalla vita nello Spirito, non deve mai essere confusa con la licenza di cedere ai desideri della carne. Essa è, infatti, vita nuova nella carità.



3. Le "teologie della liberazione" fanno largo uso del racconto dell'Esodo. Questo costituisce, in effetti, l'evento fondamentale nella formazione del popolo eletto. Esso è la liberazione dalla dominazione straniera e dalla schiavitù. Si dovrà sottolineare come il significato specifico dell'evento gli deriva dalla sua finalità, poiché questa liberazione è ordinata alla fondazione del popolo di Dio e al culto dell'Alleanza celebrato sul Monte Sinai (4). Per questo la liberazione dell'Esodo non può essere ridotta ad una liberazione di natura principalmente ed esclusivamente politica. D'altronde è significativo che il termine di liberazione sia talvolta sostituito nella Scrittura con quello, molto vicino, di redenzione.



4. L'episodio fondante dellíEsodo non sarà mai cancellato dalla memoria di Israele. Ad esso ci si rifà quando, dopo la rovina di Gerusalemme e l'esilio di Babilonia, si vive nella speranza di una nuova liberazione e, al di là di essa, nell'attesa di una liberazione definitiva. In questa esperienza Dio è riconosciuto come il Liberatore. Egli stringerà con il suo popolo una Nuova Alleanza, caratterizzata dal dono del suo Spirito e dalla conversione dei cuori. (5)



5. Le angosce e le molteplici tristezze sperimentate dall'uomo fedele al Dio dell'Alleanza costituiscono il tema di parecchi salmi: lamenti, invocazioni di aiuto, azioni di grazia fanno menzione della salvezza religiosa e della liberazione. In questo contesto, l'angoscia non è puramente e semplicemente identificata con una condizione sociale di miseria o con quella di colui che subisce l'oppressione politica. Essa comprende anche l'ostilità dei nemici, l'ingiustizia, la morte, la colpa. I salmi ci rimandano ad un'esperienza religiosa essenziale: solo da Dio ci si può aspettare la salvezza e l'aiuto. Dio, e non l'uomo, ha il potere di cambiare le situazioni di angoscia. Perciò i "poveri del Signore" vivono in una dipendenza totale e fiduciosa nella provvidenza amorosa di Dio. (6) E d'altra parte, durante tutto il cammino nel deserto, il Signore non ha cessato di provvedere alla liberazione e alla purificazione spirituale del suo popolo.



6. Nell'Antico Testamento, i profeti, dopo Amos, non cessano di richiamare, con singolare vigore, le esigenze della giustizia e della solidarietà e di esprimere un giudizio estremamente severo nei confronti dei ricchi che opprimono il povero. Essi prendono le difese della vedova e dell'orfano. Proferiscono minacce contro i potenti: l'accumularsi delle iniquità conduce necessariamente a terribili castighi. La fedeltà all'Alleanza non è concepibile senza la pratica della giustizia. La giustizia verso Dio e la giustizia verso gli uomini sono inseparabili. Dio è il difensore e il liberatore del povero.



7. Tali esigenze si ritrovano anche nel Nuovo Testamento. Esse vi sono anzi radicalizzate, come dimostra il discorso delle Beatitudini. La conversione e il rinnovamento devono operarsi nell'intimo del cuore.



8. Già annunziato nell'Antico Testamento, il comandamento dell'amore fraterno, esteso a tutti gli uomini, costituisce così la norma suprema della vita sociale. (7) Non vi sono discriminazioni o limiti che possano opporsi al riconoscimento di ogni uomo come il prossimo. (8)



9. La povertà per il Regno è magnificata. E nella figura del Povero, noi siamo portati a riconoscere l'immagine e come la presenza misteriosa del Figlio di Dio che si è fatto povero per amore nostro. (9) Questo è il fondamento delle parole inestinguibili di Gesù sul Giudizio in Mt 25, 31-46. Nostro Signore è solidale con ogni infelicità; ogni angoscia è segnata dalla sua presenza.



10. Allo stesso tempo, le esigenze della giustizia e della misericordia, già enunciate nell'Antico Testamento, sono approfondite al punto da rivestire, nel Nuovo Testamento, un nuovo significato. Coloro che soffrono o sono perseguitati vengono identificati col Cristo. (10) La perfezione che Gesù chiede ai suoi discepoli (Mt 5, 18) consiste nel dovere di essere misericordiosi "come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6, 36).



11. I ricchi sono severamente richiamati al loro dovere proprio alla luce della vocazione cristiana all'amore fraterno e alla misericordia. (11) Di fronte ai disordini della Chiesa di Corinto, S. Paolo sottolinea con forza il legame esistente tra la partecipazione al sacramento dell'amore e la condivisione con il fratello che si trova in necessità. (12)



12. La Rivelazione del Nuovo Testamento ci insegna che il peccato è il male più profondo, che lede l'uomo nell'intimo della sua personalità. La prima liberazione, alla quale tutte le altre devono riferirsi, è quella dal peccato.



13. Indubbiamente è proprio per sottolineare il carattere radicale della liberazione operata dal Cristo e offerta a tutti gli uomini - siano essi politicamente liberi o schiavi - che il Nuovo Testamento non esige innanzi tutto, come presupposto per l'accesso a questa libertà, un cambiamento di condizione politica e sociale. Tuttavia, la Lettera a Filemone dimostra che la nuova libertà, apportata dalla grazia di Cristo, deve avere necessariamente delle ripercussioni sul piano sociale.



14. Di conseguenza non si può restringere il campo del peccato, il cui primo effetto è quello di introdurre il disordine nella relazione tra l'uomo e Dio, al cosiddetto "peccato sociale". In realtà solo una retta dottrina sul peccato permette d'insistere sulla gravità dei suoi effetti sociali.



15. Neppure è possibile localizzare il male principalmente e unicamente nelle cattive "strutture" economiche, sociali o politiche, come se tutti gli altri mali trovassero in esse la loro causa, sicché la creazione di un "uomo nuovo" dipenderebbe dall'instaurazione di diverse strutture economiche e socio-politiche. Certamente esistono strutture ingiuste e generatrici di ingiustizia, che occorre avere il coraggio di cambiare. Frutto dell'azione dell'uomo, le strutture, buone o cattive, sono delle conseguenze prima di essere delle cause. La radice del male risiede dunque nelle persone libere e responsabili, che devono essere convertite dalla grazia di Gesù Cristo, per vivere e agire come creature nuove, nell'amore del prossimo, nella ricerca efficace della giustizia, nella padronanza di se stesse e nell'esercizio delle virtù. (13)

Ponendo come primo imperativo la rivoluzione radicale dei rapporti sociali e criticando, per questo, la ricerca della perfezione personale, ci si mette sulla via della negazione del significato della persona e della sua trascendenza, e si distrugge l'etica e il suo fondamento che è il carattere assoluto della distinzione tra il bene e il male. Per altro, poiché la carità è il principio della perfezione autentica, questa non può essere concepita senza l'apertura agli altri e senza lo spirito di servizio.



continua......




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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V. La voce del Magistero


1. A più riprese, per rispondere alla sfida lanciata alla nostra epoca dall'oppressione e dalla fame, il Magistero della Chiesa, desideroso di promuovere il risveglio delle coscienze cristiane al senso della giustizia, della responsabilità sociale e della solidarietà verso i poveri e gli oppressi, ha richiamato líattualità e líurgenza della dottrina e degli imperativi contenuti nella Rivelazione.

2. Limitiamoci qui a ricordare solo alcuni di questi interventi: gli atti pontifici più recenti, quali la Mater et Magistra e la Pacem in terris, la Populorum progressio e la Evangelii nuntiandi. Ricordiamo inoltre la lettera al Cardinal Roy, Octogesima adveniens.

3. Il Concilio Vaticano II, a sua volta, ha affrontato le questioni della giustizia e della libertà nella costituzione pastorale Gaudium et spes.

4. Il Santo Padre ha insistito più volte su questi temi, soprattutto nelle encicliche Redemptor hominis, Dives in misericordia e Laborem exercens. I numerosi interventi nei quali è richiamata la dottrina dei diritti dell'uomo toccano direttamente i problemi della liberazione della persona umana in riferimento ai diversi tipi di oppressione di cui essa è vittima. A questo proposito si deve menzionare specialmente il Discorso pronunciato davanti alla 36ª Assemblea generale dell'ONU, il 2 ottobre 1979. (14) Il 28 gennaio dello stesso anno, Giovanni Paolo II, aprendo la 3ª Conferenza del CELAM a Puebla, aveva ricordato che la verità completa sull'uomo è la base della vera liberazione. (15) Questo testo costituisce un documento di riferimento esplicito per la teologia della liberazione.

5. Per due volte, nel 1971 e nel 1974, il Sinodo dei Vescovi ha affrontato dei temi che toccano direttamente la concezione cristiana della liberazione: quello della giustizia nel mondo e quello del rapporto tra la liberazione dalle oppressioni e la liberazione integrale o la salvezza dell'uomo. I lavori dei Sinodi del 1971 e dei 1974 hanno consentito a Paolo VI di precisare nell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi i legami tra l'evangelizzazione e la liberazione o promozione umana. (16)

6. La preoccupazione della Chiesa per la liberazione e la promozione umana si è espressa inoltre nella costituzione della Commissione Pontificia Iustitia et Pax.

7. Anche numerosi episcopati, in accordo con la Santa Sede, hanno richiamato l'urgenza e le vie verso un'autentica liberazione umana. In questo contesto, è opportuno fare una menzione speciale dei documenti delle Conferenze generali dell'episcopato latino-americano a Medellin nel 1968 e a Puebla nel 1979. Paolo VI era presente all'apertura di Medellin, Giovanni Paolo II a quella di Puebla. Sia l'uno che l'altro vi hanno affrontato il tema della conversione e della liberazione.

8. Sulla linea di Paolo VI, che insisteva sulla specificità del messaggio evangelico, (17) specificità che deriva dalla sua origine divina, Giovanni Paolo II, nel discorso a Puebla ha ricordato quali sono i tre pilastri sui quali deve poggiare ogni autentica teologia della liberazione: verità su Gesù Cristo, verità sulla Chiesa, verità sull'uomo. (18)




VI. Una nuova interpretazione del cristianesimo



1. Non si può dimenticare la mole immensa di attività disinteressata svolta dai cristiani, pastori, sacerdoti, religiosi o laici, i quali spinti dall'amore verso i fratelli che vivono in condizioni disumane, si sforzano di portare aiuto e sollievo alle innumerevoli indigenze frutto della miseria. Alcuni di essi si preoccupano di trovare dei mezzi efficaci che permettano di porre fine al più presto ad una situazione intollerabile.



2. Lo zelo e la compassione che devono abitare nel cuore di tutti i pastori rischiano, tuttavia, di essere fuorviati e rivolti verso iniziative altrettanto rovinose per l'uomo e la sua dignità, quanto la miseria che si combatte, se non si è sufficientemente attenti di fronte a certe tentazioni.



3. Infatti il sentimento angoscioso dell'urgenza dei problemi non deve far perdere di vista ciò che è essenziale, né far dimenticare la risposta di Gesù al Tentatore (Mt 4, 4): "Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (cf. Dt 8, 3). Così alcuni, di fronte all'urgenza di condividere il pane, sono tentati di dimenticare e rinviare al domani l'evangelizzazione: prima il pane, e poi la Parola. È un errore fondamentale separare, anzi contrapporre le due cose. D'altra parte, il senso cristiano suggerisce spontaneamente a molti di fare l'una e l'altra. (19)



4. Ad alcuni sembra addirittura che la lotta necessaria per la giustizia e la libertà dell'uomo, intese nel loro senso economico e politico, costituisca l'aspetto essenziale ed esclusivo della salvezza. Per essi il Vangelo si riduce ad un vangelo puramente terrestre.



5. Le diverse teologie della liberazione si diversificano appunto, da una parte in base all'opzione preferenziale per i poveri riaffermata con forza e senza ambiguità, dopo Medellin, alla Conferenza di Puebla (20) e dall'altra parte in base alla tentazione di ridurre il Vangelo della salvezza ad un vangelo terrestre.



6. Ricordiamo tuttavia che l'opzione preferenziale definita a Puebla è duplice: per i poveri e per i giovani (21). È significativo che in generale l'opzione per la gioventù sia completamente passata sotto silenzio.



7. Abbiamo detto sopra (cf. IV, 3) che esiste un'autentica "teologia della liberazione", quella che è radicata nella Parola di Dio, debitamente interpretata.



8. Ma da un punto di vista descrittivo conviene parlare di teologie della liberazione, poiché l'espressione si applica a posizioni teologiche, e talvolta perfino ideologiche, non solo diverse, ma spesso anche incompatibili tra di loro.



9. Nel presente documento si tratterà soltanto di quelle espressioni di questa corrente di pensiero che, sotto il nome di "teologia della liberazione", propongono un'interpretazione innovatrice del contenuto della fede e dellíesistenza cristiana, che si discosta gravemente dalla fede della Chiesa, anzi, ne costituisce la negazione pratica.



10. Alla base della nuova interpretazione, che finisce per corrompere ciò che aveva di autentico l'iniziale impegno per i poveri, sta l'assunzione non critica di elementi dell'ideologia marxista e il ricorso alle tesi di un'ermeneutica biblica viziata di razionalismo.

VII. L'analisi marxista



1. L'impazienza e la volontà di essere efficaci hanno condotto alcuni cristiani, sfiduciati nei confronti di ogni altro metodo, a rivolgersi a quella che essi chiamano "líanalisi marxista".



2. Il loro ragionamento è il seguente: una situazione intollerabile ed esplosiva esige un'azione efficace che non può più attendere. Ma tale azione efficace presuppone un'analisi scientifica delle cause strutturali della miseria. Ora il marxismo ha elaborato gli strumenti per una simile analisi. Basta dunque applicarli alla situazione del terzo mondo, e specialmente a quella dell'America Latina.



3. Che la conoscenza scientifica della situazione e delle possibili vie di trasformazione sociale sia il presupposto di un'azione capace di raggiungere gli scopi prefissi, è evidente. Si ha qui un segno della serietà dell'impegno.



4. Ma il termine "scientifico" esercita un fascino quasi mitico, e non tutto ciò che porta l'etichetta di scientifico è, per ciò stesso, realmente scientifico. Per questo l'adozione di un metodo di approccio alla realtà deve essere preceduto da un esame critico di natura epistemologica. Tale esame critico previo manca in più di una "teologia della liberazione".



5. Nelle scienze umane e sociali è necessario prima di tutto essere attenti alla pluralità dei metodi e dei punti di vista, ciascuno dei quali mette in evidenza solo un aspetto di una realtà che, per la sua complessità, sfugge ad una spiegazione unitaria ed univoca.



6. Nel caso del marxismo, quale all'occorrenza s'intenda utilizzare, la critica previa si impone, tanto più che il pensiero di Marx costituisce una concezione totalizzante del mondo, nella quale numerosi dati di osservazione e di analisi descrittiva sono integrati in una struttura filosofico-ideologica, che predeterminano il significato e l'importanza relativa che si riconosce loro. Gli a priori ideologici sono presupposti alla lettura della realtà sociale. Così la dissociazione degli elementi eterogenei che compongono questo amalgama epistemologicamente ibrido diventa impossibile, per cui mentre si crede di accettare solo ciò che si presenta come un'analisi, si è trascinati ad accettare nello stesso tempo l'ideologia. Per questo non di rado sono proprio gli aspetti ideologici che predominano negli elementi che numerosi "teologi della liberazione" mutuano da autori marxisti.



7. Il richiamo di Paolo VI resta pienamente attuale anche oggi: all'interno del marxismo, quale è concretamente vissuto, si possono distinguere diversi aspetti e diversi problemi che si pongono ai cristiani per la riflessione e per l'azione. Tuttavia "sarebbe illusorio e pericoloso giungere a dimenticare l'intimo legame che tali aspetti radicalmente unisce, accettare gli elementi dell'analisi marxista senza riconoscere i loro rapporti con l'ideologia, entrare nella prassi della lotta di classe e della sua interpretazione marxista trascurando di avvertire il tipo di società totalitaria e violenta alla quale questo processo conduce". (22)



8. È vero che il pensiero marxista fin dai suoi inizi, ma in maniera più accentuata in questi ultimi anni, si è diversificato per dare vita a varie correnti che divergono considerevolmente le une dalle altre. Nella misura in cui restano realmente marxiste, queste correnti continuano a ricollegarsi ad un certo numero di tesi fondamentali incompatibili con la concezione cristiana dell'uomo e della società.

In questo contesto certe formule non sono neutre, ma conservano il significato che hanno ricevuto nella dottrina marxista originale. Ciò vale anche per la "lotta di classe". Questa espressione risente ancora dell'interpretazione che le ha dato Marx, e pertanto non può essere considerata come l'equivalente, di portata empirica, dellíespressione "acuto conflitto sociale". Pertanto coloro che si servono di formule del genere, con la pretesa di conservare soltanto alcuni elementi dell'analisi marxista, che però sarebbe rifiutata nella sua globalità, quanto meno ingenerano una grave ambiguità nell'animo dei loro lettori.



9. Ricordiamo che l'ateismo e la negazione della persona umana, della sua libertà e dei suoi diritti, sono centrali nella concezione marxista. Questa contiene dunque degli errori che minacciano direttamente le verità di fede sul destino eterno delle persone. Inoltre, voler integrare alla teologia uní"analisi", i cui criteri di interpretazione dipendono da tale concezione atea, significa rinchiudersi in contraddizioni rovinose. Per di più, il disconoscimento della natura spirituale della persona porta a subordinare totalmente quest'ultima alla collettività e a negare, così, i principi di una vita sociale e politica conforme alla dignità umana.



10. L'esame critico dei metodi di analisi mutuati da altre discipline si impone in maniera del tutto particolare al teologo. È la luce della fede che fornisce alla teologia i suoi principi. Perciò l'utilizzazione da parte del teologo degli apporti della filosofia o delle scienze umane ha un valore "strumentale" e deve essere oggetto di un discernimento critico di natura teologica. In altre parole, il criterio ultimo e decisivo di verità non può essere, in ultima analisi, che un criterio esso stesso teologico. È alla luce della fede, e di ciò che essa ci insegna sulla verità dell'uomo e sul significato ultimo del suo destino, che si deve giudicare della validità o del grado di validità di ciò che le altre discipline propongono, spesso d'altronde in maniera congetturale, come verità sull'uomo, sulla sua storia e sul suo destino.



11. L'applicazione degli schemi d'interpretazione mutuati dalla corrente di pensiero marxista alla realtà economica, sociale e politica di oggi può presentare a prima vista una certa verosimiglianza, in quanto la situazione di certi paesi offre alcune analogie con quella descritta e interpretata da Marx nella metà del secolo scorso. Sulla base di queste analogie si fanno delle semplificazioni, che facendo astrazione dai fattori essenziali specifici, di fatto impediscono un'analisi veramente rigorosa delle cause della miseria, e ingenerano confusione.



12. In certe regioni dell'America Latina l'accaparramento della maggior parte delle ricchezze ad opera di una oligarchia di proprietari priva di coscienza sociale, la quasi assenza o le carenze dello Stato di diritto, le dittature militari sprezzanti dei diritti elementari dell'uomo, la corruzione di certi dirigenti al potere, le pratiche selvagge di un certo capitale di origine straniera, costituiscono altrettanti fattori che alimentano un violento sentimento di rivolta in coloro che si considerano così le vittime impotenti di un nuovo colonialismo di ordine tecnologico, finanziario, monetario o economico. La presa di coscienza delle ingiustizie si accompagna ad un pathos che spesso mutua dal marxismo il suo linguaggio, presentato abusivamente come se fosse un linguaggio "scientifico".



13. La prima condizione di un'analisi è la totale docilità nei confronti della realtà da descrivere. Per questo l'uso delle ipotesi di lavoro adottate deve essere accompagnato da una coscienza critica. Occorre sapere che queste corrispondono ad un particolare punto di vista, il che comporta la conseguenza inevitabile di sottolineare unilateralmente certi aspetti della realtà, mentre se ne lasciano altri nell'ombra. Questo limite, che deriva dalla natura stessa delle scienze sociali, è ignorato da coloro che, a mo' di ipotesi riconosciute come tali, ricorrono ad una concezione totalizzante quale è il pensiero di Marx.




VIII. Sovvertimento del senso della verità e della violenza



1. Questa concezione totalizzante impone anche la sua logica e trascina le "teologie della liberazione" ad accettare un insieme di posizioni incompatibili con la visione cristiana dell'uomo. In realtà, il nucleo ideologico, mutuato dal marxismo, al quale ci si riferisce, esercita la funzione di principio determinante. Questo ruolo gli è conferito grazie alla qualificazione di scientifico, cioè di necessariamente vero, che gli viene attribuito. In questo nucleo si possono distinguere diverse componenti.



2. Nella logica del pensiero marxista, "l'analisi" non è dissociabile dalla prassi e dalla concezione della storia cui questa prassi è legata. L'analisi è così uno strumento di critica e la critica stessa non è che un momento della lotta rivoluzionaria, cioè della lotta di classe del Proletariato investito della sua missione storica.



3. Di conseguenza solo chi partecipa a questa lotta può operare un'analisi corretta.



4. La coscienza vera è dunque una coscienza di parte. Come si vede, è qui chiamata in causa la stessa concezione della verità, la quale è inoltre completamente sovvertita: la verità - si pretende - si trova solo nella e mediante la prassi di parte.



5. La prassi, e la verità che ne deriva, sono prassi e verità partigiane, poiché la struttura fondamentale della storia è contrassegnata dalla lotta delle classi. Di qui la necessità di entrare nella lotta delle classi (che è il contrario dialettico del rapporto di sfruttamento che si denuncia). La verità è verità di classe, e la verità si trova soltanto nella lotta della classe rivoluzionaria.



6. La legge fondamentale della storia, che è poi la legge della lotta delle classi, implica che la società è fondata sulla violenza. Alla violenza che costituisce il rapporto di dominio dei ricchi sui poveri dovrà rispondere la contro-violenza rivoluzionaria con la quale questo rapporto sarà capovolto.



7. La lotta delle classi è dunque presentata come una legge oggettiva, necessaria. Entrando nel suo processo, dalla parte degli oppressi, si "fa" la verità, si agisce "scientificamente". Di conseguenza, la concezione della verità va di pari passo con l'affermazione della necessità della violenza, e quindi con quella dell'amoralismo politico. In questa prospettiva non ha più nessun senso il riferimento ad esigenze etiche che impongono riforme strutturali e istituzionali radicali e coraggiose.



8. La legge fondamentale della lotta delle classi ha un carattere di globalità e di universalità. Essa si riflette in tutti i campi dell'esistenza, religiosi, etici, culturali e istituzionali. Rispetto a questa legge nessuno di questi campi è autonomo. In ciascuno essa costituisce l'elemento determinante.



9. Proprio per il ricorso a queste tesi di origine marxista viene messa radicalmente in causa la natura stessa dell'etica. Infatti, nell'ottica della lotta di classe viene implicitamente negato il carattere trascendente della distinzione tra il bene e il male, principio della moralità.




IX. Interpretazione "teologica" di questo nucleo



1. Le posizioni, di cui qui si parla, si trovano talvolta chiaramente enunciate in certi scritti dei "teologi della liberazione". Presso altri esse derivano logicamente dalle loro premesse. Altrove esse sono presupposte in certe pratiche liturgiche, come ad esempio nell'"Eucarestia" trasformata in celebrazione del popolo in lotta, anche se coloro che partecipano a tali pratiche non ne sono pienamente coscienti. Viene, dunque, proposto un vero sistema, anche se taluni esitano a seguirne fino in fondo la logica. Come tale, questo sistema è una perversione del messaggio cristiano affidato da Dio alla sua Chiesa. Questo messaggio si trova perciò rimesso in causa nella sua globalità dalle "teologie della liberazione".



2. Ciò che è assunto come principio da queste "teologie della liberazione" non è il fatto delle stratificazioni sociali con le disuguaglianze e le ingiustizie che comporta, ma la teoria della lotta di classe come legge strutturale fondamentale della storia. Se ne trae la conclusione che la lotta di classe così intesa divide la Chiesa stessa e che è necessario giudicare le realtà ecclesiali in funzione di essa. Si pretende inoltre che l'affermazione secondo cui l'amore, nella sua universalità, può vincere ciò che costituisce la principale legge strutturale della società capitalista, significa nutrire, in mala fede, un'illusione fallace.



3. In questa concezione la lotta delle classi è il motore della storia. La storia diventa così una nozione centrale. Si arriva ad affermare che Dio si fa storia. E si aggiunge che vi è una sola storia, nella quale non si deve più distinguere tra storia della salvezza e storia profana. Mantenere la distinzione significherebbe cadere nel "dualismo". Simili affermazioni riflettono un immanentismo storicista. In questo modo si tende a identificare il Regno di Dio e il suo divenire con il movimento della liberazione umana e a fare della storia stessa il soggetto del suo proprio sviluppo come processo di auto-redenzione dell'uomo mediante la lotta di classe. Questa identificazione è in opposizione alla fede della Chiesa richiamata dal Concilio Vaticano II. (23)



4. In questa linea alcuni giungono perfino ad identificare, al limite, Dio stesso e la storia e a definire la fede come "fedeltà alla storia", il che significa fedeltà impegnata in una prassi politica conforme alla concezione del divenire dellíumanità inteso nel senso di un messianismo puramente temporale.



5. Di conseguenza, la fede, la speranza e la carità ricevono un nuovo contenuto: esse sono "fedeltà alla storia", "fiducia nel futuro", "opzione per i poveri". Ciò equivale ad una negazione della loro realtà teologale.



6. Da questa concezione deriva inevitabilmente una politicizzazione radicale delle affermazioni della fede e dei giudizi teologici. Non si tratta più soltanto di attirare l'attenzione sulle conseguenze e le incidenze politiche delle verità di fede, che sarebbero rispettate nel loro valore trascendente. Si tratta piuttosto di un subordinamento di ogni affermazione della fede o della teologia ad un criterio politico, esso stesso dipendente dalla teoria della lotta di classe, motore della storia.



7. Di conseguenza, si presenta l'inserimento nella lotta di classe come un'esigenza della carità stessa; si denuncia come un atteggiamento rinunciatario e contrario all'amore dei poveri la volontà di amare fin da questo momento ogni uomo, qualunque sia la sua appartenenza di classe, e di andargli incontro per le vie non violente del dialogo e della persuasione. Anche se non si afferma che deve essere oggetto di odio, si afferma tuttavia che a causa della sua appartenenza oggettiva al mondo dei ricchi, egli è per ciò stesso un nemico di classe che deve essere combattuto. Quindi, l'universalità dell'amore del prossimo e la fraternità diventano un principio escatologico, che vale soltanto per "l'uomo nuovo" che nascerà dalla rivoluzione vittoriosa.



8. Quanto alla Chiesa, si tende a considerarla una realtà interna alla storia, che obbedisce anch'essa alle leggi ritenute determinanti per il divenire storico nella sua immanenza. Tale riduzione svuota la realtà specifica della Chiesa, dono della grazia di Dio e mistero di fede. Inoltre, si nega che abbia un senso la partecipazione alla stessa mensa eucaristica di cristiani che pure appartengono a classi opposte.



9. Nel suo significato positivo la Chiesa dei poveri significa la preferenza, senza esclusivismi, data ai poveri intesi in tutte le forme della miseria umana, perché essi sono preferiti da Dio. L'espressione significa inoltre la presa di coscienza del nostro tempo delle esigenze della povertà evangelica, sia da parte della Chiesa come comunione e come istituzione, sia da parte dei suoi membri.



10. Ma le "teologie della liberazione", che pure hanno il merito di avere ridato importanza ai grandi testi dei profeti e del Vangelo sulla difesa dei poveri, procedono ad un pericoloso amalgama tra il povero della Scrittura e il proletariato di Marx. In questo modo il significato cristiano del povero è sovvertito e la lotta per i diritti dei poveri si trasforma in lotta di classe nella prospettiva ideologica della lotta delle classi. La Chiesa dei poveri significa allora una Chiesa di classe, che ha preso coscienza della necessità della lotta rivoluzionaria come tappa verso la liberazione e che celebra questa liberazione nella sua liturgia.



11. Un'analoga osservazione si deve fare a proposito dell'espressione Chiesa del popolo. Dal punto di vista pastorale, si possono intendere con essa i destinatari prioritari dell'evangelizzazione, coloro verso i quali, per la loro condizione, si rivolge innanzi tutto l'amore pastorale della Chiesa. Ci si può anche riferire alla Chiesa come "popolo di Dio", cioè come popolo della Nuova Alleanza stipulata nel Cristo. (24)



12. Ma le "teologie della liberazione", di cui stiamo parlando, per Chiesa del popolo intendono una Chiesa di classe, la Chiesa del popolo oppresso che occorre "coscientizzare" in vista della lotta liberatrice organizzata. Per alcuni il popolo così inteso diventa perfino oggetto della fede.



13. Da una simile concezione della Chiesa del popolo si sviluppa una critica delle stesse strutture della Chiesa. Non si tratta soltanto di una correzione fraterna nei confronti dei pastori della Chiesa, il cui comportamento non riflette lo spirito evangelico di servizio e si attiene a espressioni anacronistiche di autorità che scandalizzano i poveri. È anche messa in causa la struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa, quale l'ha voluta il Signore stesso. Nella gerarchia e nel Magistero si denunciano i rappresentanti effettivi della classe dominante che è necessario combattere. Dal punto di vista teologico, questa posizione sta a dire che il popolo è la sorgente dei ministeri e che esso può, dunque, scegliersi i propri ministri, in base alle necessità della sua storica missione rivoluzionaria.




X. Una nuova ermeneutica



1. La concezione di parte della verità che si manifesta nella prassi rivoluzionaria di classe rafforza questa posizione. I teologi che non condividono le tesi della "teologia della liberazione", la gerarchia e soprattutto il Magistero romano sono così screditati a priori, come appartenenti alla classe degli oppressori. La loro teologia è una teologia di classe. Le loro argomentazioni e i loro insegnamenti non devono perciò essere esaminati in se stessi, poiché non fanno che riflettere degli interessi di classe. Quindi la loro parola è dichiarata falsa per principio.



2. Qui si manifesta il carattere globale e totalizzante della "teologia della liberazione". Di conseguenza, essa deve essere criticata non per questa o per quella delle sue affermazioni, ma a livello del punto di vista di classe che essa adotta a priori e che funge in essa come principio ermeneutico determinante.



3. A causa di questo presupposto classista, risulta estremamente difficile, per non dire impossibile, ottenere da certi "teologi della liberazione" un vero dialogo, nel quale l'interlocutore sia ascoltato e i suoi argomenti vengano discussi con obiettività e attenzione. Infatti questi teologi, più o meno inconsciamente, partono dal presupposto che solo il punto di vista della classe oppressa e rivoluzionaria, che sarebbe il loro, costituisce il punto di vista della verità. Così i criteri teologici di verità si trovano relativizzati e subordinati agli imperativi della lotta di classe. In questa prospettiva, all'ortodossia come retta norma della fede si sostituisce l'ortoprassi come criteri di verità. A questo proposito non si dovrebbe confondere l'orientamento pratico, proprio anch'esso della teologia tradizionale e allo stesso titolo dell'orientamento speculativo, con il primato privilegiato riconosciuto ad un certo tipo di prassi. In realtà, quest'ultima è la prassi rivoluzionaria che diverrebbe così il criterio supremo della verità teologica. Una sana metodologia teologica tiene senz'altro conto della prassi della Chiesa e vi trova uno dei suoi fondamenti, ma perché essa deriva dalla fede e ne è l'espressione vissuta.



4. La dottrina sociale della Chiesa è respinta con disprezzo. Essa procede, si dice, dall'illusione di un possibile compromesso, propria delle classi medie che sono senza destino storico.



5. La nuova ermeneutica, caratteristica delle "teologie della liberazione", conduce ad una rilettura essenzialmente politica della Scrittura. Per questo viene accordata un'importanza particolare all'evento dell'Esodo, in quanto esso è liberazione dalla schiavitù politica. Si propone inoltre una lettura politica del Magnificat. Lo sbaglio non sta nel prestare attenzione ad una dimensione politica dei racconti biblici; sta nel fare di questa dimensione la dimensione principale ed esclusiva, che conduce ad una lettura riduttiva della Scrittura.



6. Inoltre ci si pone nella prospettiva di un messianismo temporale, che è una delle espressioni più radicali della secolarizzazione del Regno di Dio e del suo assorbimento nell'immanenza della storia umana.



7. Privilegiando in questa maniera la dimensione politica, si è portati a negare la radicale novità del Nuovo Testamento e, prima di tutto, a misconoscere la persona di Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, come pure il carattere specifico della liberazione che egli ci porta, che è soprattutto liberazione dal peccato, sorgente di tutti i mali.



8. Inoltre, mettendo da parte l'interpretazione autentica del Magistero, respinta come interpretazione di classe, ci si allontana anche dalla Tradizione. In questo modo ci si priva di un essenziale criterio teologico d'interpretazione e, nel vuoto che ne deriva, si accolgono le tesi più radicali dell'esegesi razionalista. Si riprende così, senza spirito critico, l'opposizione tra il "Gesù della storia" e il "Gesù della fede".



9. Certamente viene conservata la lettera delle formule della fede, e in particolare quella di Calcedonia, ma si attribuisce loro un nuovo significato, che equivale ad una negazione della fede della Chiesa. Da una parte si respinge la dottrina cristologica trasmessa dalla Tradizione, in nome del criterio di classe; dall'altra però si pretende di raggiungere il "Gesù della storia", partendo dall'esperienza rivoluzionaria della lotta dei poveri per la loro liberazione.



10. Si pretende inoltre di rivivere un'esperienza analoga a quella che sarebbe stata di Gesù. L'esperienza dei poveri in lotta per la loro liberazione, che sarebbe stata quella di Gesù, rivelerebbe quindi, e solo essa, la conoscenza del vero Dio e del Regno.



11. È evidente che in tal modo viene negata la fede nel Verbo incarnato, morto e risorto per tutti gli uomini, e "costituito da Dio Signore e Cristo". (25) Gli si sostituisce una "figura" di Gesù che è una specie di simbolo che riassume in sé le esigenze della lotta degli oppressi.



12. La morte di Cristo subisce così un'interpretazione esclusivamente politica. E pertanto si nega il suo valore salvifico e tutta l'economia della redenzione.



13. In conclusione la nuova interpretazione comprende l'insieme del mistero cristiano.



14. In generale, essa opera quella che si potrebbe chiamare un'inversione di simboli. Così, invece di vedere con S. Paolo nell'Esodo una figura del battesimo, (26) si sarà portati, al limite, a farne un simbolo della liberazione politica del popolo.



15. Poiché lo stesso criterio ermeneutico è applicato alla vita ecclesiale e alla costituzione gerarchica della Chiesa, i rapporti tra la gerarchia e la "base" diventano rapporti di dominio che obbediscono alla legge della lotta di classe. Viene semplicemente ignorata la sacramentalità che sta alla base dei ministeri ecclesiali e che fa della Chiesa una realtà spirituale irriducibile ad un'analisi puramente sociologica.



16. L'inversione dei simboli si constata anche nel campo dei sacramenti. Infatti l'Eucarestia non è più compresa nella sua verità di presenza sacramentale del sacrificio di riconciliazione e come il dono del Corpo e del Sangue di Cristo. Essa diventa celebrazione del popolo nella sua lotta. Di conseguenza è negata radicalmente l'unità della Chiesa. L'unità, la riconciliazione, la comunione nell'amore non sono più intesi come un dono che riceviamo da Cristo. (27) L'unità sarà costruita dalla classe storica dei poveri mediante la sua lotta. La lotta di classe è la via verso questa unità. E così l'Eucarestia diventa Eucarestia di classe. Nello stesso tempo viene negata la forza trionfante dell'amore di Dio che ci è donato.




XI. Orientamenti



1. Il richiamo contro le gravi deviazioni, di cui sono portatrici talune "teologie della liberazione", non deve assolutamente essere interpretato come un'approvazione, neppure indiretta, di coloro che contribuiscono al mantenimento della miseria dei popoli, di coloro che ne approfittano e di coloro che questa miseria lascia rassegnati o indifferenti. La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall'amore dell'uomo, ascolta il grido che invoca giustizia (28) e vuole rispondervi con tutte le sue forze.



2. Pertanto è rivolto alla Chiesa un appello quanto mai impegnativo. Con audacia e coraggio, con chiaroveggenza e prudenza, con zelo e forza d'animo, con un amore verso i poveri che si spinge fino al sacrificio, i pastori, come del resto già molti fanno, dovranno considerare come un compito prioritario la risposta a questo appello.



3. Tutti coloro che - sacerdoti, religiosi e laici - udendo il grido che invoca giustizia, vogliono lavorare per l'evangelizzazione e la promozione umana, dovranno farlo in comunione con i loro Vescovi e con la Chiesa, ciascuno secondo la propria specifica vocazione ecclesiale.



4. Coscienti del carattere ecclesiale della loro vocazione, i teologi collaboreranno, con lealtà e in spirito di dialogo, con il Magistero della Chiesa. Essi sapranno riconoscere nel Magistero un dono di Cristo alla sua Chiesa (29) e ne accoglieranno la parola e le direttive con rispetto filiale.



5. Solo partendo dalla missione evangelizzatrice intesa nella sua integralità si possono comprendere le esigenze di una promozione umana e di una liberazione autentica. Questa liberazione ha come pilastri indispensabili la verità su Gesù Cristo, il Salvatore, la verità sulla Chiesa, la verità sull'uomo e sulla sua dignità. (30) La Chiesa che vuole essere nel mondo intero la Chiesa dei poveri, intende servire la nobile lotta per la verità e per la giustizia, alla luce delle Beatitudini, e soprattutto della beatitudine dei poveri di spirito. Essa si rivolge a ciascun uomo e, per questa ragione, a tutti gli uomini. Essa è "la Chiesa universale. La Chiesa dell'incarnazione. Non è la Chiesa di una classe o di una casta soltanto. Essa parla in nome della verità stessa. Questa verità è realista". Essa insegna a tener conto "di ogni realtà umana, di ogni ingiustizia, di ogni tensione, di ogni lotta". (31)



6. Una difesa efficace della giustizia deve appoggiarsi sulla verità dell'uomo, creato ad immagine di Dio e chiamato alla grazia della filiazione divina. Il riconoscimento del vero rapporto dell'uomo con Dio costituisce il fondamento della giustizia, in quanto essa regola i rapporti tra gli uomini. Per questo motivo la lotta per i diritti dell'uomo, che la Chiesa continuamente richiama, costituisce l'autentica lotta per la giustizia.



7. La verità dell'uomo esige che questa lotta sia condotta con mezzi conformi alla dignità umana. Per questo deve essere condannato il ricordo sistematico e deliberato alla violenza cieca, da qualsiasi parte venga. (32) Affidarsi ai mezzi violenti nella speranza di instaurare una maggiore giustizia significa essere vittime di un'illusione mortale. La violenza genera violenza e degrada l'uomo. Essa ferisce la dignità dell'uomo nella persona delle vittime e avvilisce questa stessa dignità in coloro che la praticano.



8. L'urgenza di riforme radicali delle strutture che ingenerano la miseria e costituiscono in se stesse delle forme di violenza non deve far perdere di vista che la sorgente delle ingiustizie risiede nel cuore degli uomini. Quindi soltanto facendo appello alle capacità etiche della persona e alla continua necessità di conversione interiore si otterranno dei cambiamenti sociali che saranno veramente al servizio dell'uomo. (33) Infatti man mano che collaboreranno liberamente, di propria iniziativa e solidarmente, per questi cambiamenti necessari, gli uomini, risvegliati al senso della loro responsabilità si realizzeranno sempre più come uomini. Tale capovolgimento tra moralità e strutture è pregnante di una antropologia materialista incompatibile con la verità sull'uomo.



9. Quindi è un'illusione mortale anche credere che delle nuove strutture daranno vita, per se stesse, ad un "uomo nuovo", nel senso della verità dell'uomo. Il cristiano non può dimenticare che la sorgente di ogni vera novità è lo Spirito Santo, che ci è stato dato, e che il signore della storia è Dio.



10. Così pure, il rovesciamento delle strutture generatrici d'ingiustizia mediante la violenza rivoluzionaria non è ipso facto l'inizio dell'instaurazione di un regime giusto. Tutti coloro che vogliono sinceramente la vera liberazione dei loro fratelli devono riflettere su un fatto di grande rilevanza del nostro tempo. Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertàfondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell'uomo. Coloro che, forse per incoscienza, si rendono complici di simili asservimenti tradiscono i poveri che intendono servire.



11. La lotta di classe come via verso una società senza classi è un mito che blocca le riforme e aggrava la miseria e le ingiustizie. Coloro che si lasciano affascinare da questo mito dovrebbero riflettere sulle amare esperienze storiche alle quali esso ha condotto. Comprenderebbero allora che non si tratta di abbandonare un modo efficace di lotta in favore dei poveri per un ideale utopico. Si tratta, al contrario, di liberarsi di un miraggio per appoggiarsi sul Vangelo e sulla sua forza di trasformazione.



12. Una delle condizioni per il necessario ritorno alla retta teologia è la rivalutazione dell'insegnamento sociale della Chiesa. Questo insegnamento non è per niente chiuso, ma, al contrario, è aperto a tutti i nuovi problemi che non mancano di porsi nel corso del tempo. In questa prospettiva, è indispensabile oggi il contributo dei teologi e dei pensatori di tutte le parti del mondo alla riflessione della Chiesa.



13. Così pure, per la riflessione dottrinale e pastorale della Chiesa è necessaria l'esperienza di coloro che lavorano direttamente all'evangelizzazione e promozione dei poveri e degli oppressi. In questo senso occorre dire che si prende coscienza di alcuni aspetti della verità a partire dalla prassi, se per prassi si intendono una prassi pastorale e una prassi sociale che restano di ispirazione evangelica.



14. L'insegnamento della Chiesa in materia sociale fornisce i grandi orientamenti etici. Ma perché possa guidare direttamente l'azione, esso esige delle personalità competenti sia dal punto di vista scientifico e tecnico, che nel campo delle scienze umane e della politica. I pastori dovranno essere attenti alla formazione di tali personalità competenti, che vivano profondamente il Vangelo. I laici, il cui compito specifico è di costruire la società, vi sono coinvolti in maniera particolare.



15. Le tesi delle "teologie della liberazione" sono largamente diffuse, sotto forma ancora semplificata, in circoli di formazione o nei gruppi di base, che mancano di preparazione catechetica e teologica. Per questo sono accettate, senza la possibilità di un giudizio critico, da uomini e donne generosi.



16. Per questo i Pastori devono vigilare sulla qualità e sul contenuto della catechesi e della formazione, che deve sempre presentare la integralità del messaggio della salvezza e gli imperativi della vera liberazione dell'uomo nel quadro di questo messaggio integrale.



17. In questa presentazione integrale del mistero cristiano sarà opportuno mettere l'accento sugli aspetti essenziali che le "teologie della liberazione" tendono in particolar modo a misconoscere o a eliminare: trascendenza e gratuità della liberazione in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, sovranità della sua grazia, vera natura dei mezzi di salvezza, specialmente della Chiesa e dei sacramenti. Si dovranno richiamare il vero significato dell'etica, per la quale non può essere relativizzata la distinzione tra il bene e il male, il senso autentico del peccato, la necessità della conversione e líuniversalità della legge dell'amore fraterno. Si metterà in guardia contro una politicizzazione dell'esistenza, che misconoscendo tanto la specificità del Regno di Dio, quanto la trascendenza della persona, finisce per sacralizzare la politica e per sfruttare la religiosità del popolo in favore di iniziative rivoluzionarie.



18. I difensori della "ortodossia" sono talvolta rimproverati di passività, di indulgenza o di complicità colpevoli nei confronti delle intollerabili situazioni di ingiustizia e dei regimi politici che mantengono tali situazioni. Si richiede da parte di tutti, e specialmente da parte dei pastori e dei responsabili la conversione spirituale, líintensità dell'amore di Dio e del prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il senso evangelico dei poveri e della povertà. La preoccupazione della purezza della fede non deve essere disgiunta dalla preoccupazione di dare, mediante una vita teologale integrale, la risposta di un'efficace testimonianza di servizio del prossimo, e in modo tutto particolare del povero e dell'oppresso. Mediante la testimonianza della loro forza di amare, dinamica e costruttiva, i cristiani getteranno così le basi di quella "civiltà dell'amore", di cui ha parlato, dopo Paolo VI, la Conferenza di Puebla. (34) Del resto sono numerosi coloro che - sacerdoti, religiosi o laici - si consacrano in maniera veramente evangelica alla creazione di una società giusta.



Conclusione



Le parole di Paolo VI, nella Professione di fede del popolo di Dio, esprimono con piena chiarezza la fede della Chiesa, dalla quale non ci si può allontanare senza provocare, insieme ai danni spirituali, nuove miserie e nuove schiavitù.
"Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, "non è di questo mondo", "la cui figura passa"; e che la sua vera crescita non può essere confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere...


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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15/09/2009 12:16
 
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CAPITOLO DODICESIMO

RAPPORTO SULLA FEDE (il capolavoro di Messori nell'intervista a Ratzinger

UNA CERTA "LIBERAZIONE"

Una "Istruzione" da leggere


Nei giorni del colloquio con il card. Ratzinger a Bressanone, non era ancora pubblica (sarebbe stata presentata a settembre) la Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione che pure era già pronta, portando la data del 6 agosto 1984. Era però già stata pubblicata - con un'indiscrezione giornalistica - la riflessione in cui Ratzinger spiegava la sua posizione personale, di teologo, attorno all'argomento. Era poi già preannunciata la "convocazione a colloquio" di uno degli esponenti più noti di quella teologia.

Dunque, il tema "teologia della liberazione" aveva già invaso le pagine dei giornali; e le avrebbe occupate ancora più dopo la presentazione della Istruzione. E bisogna pur dire che sconcerta come molti dei commenti - anche i più ambiziosi, anche quelli pubblicati dalle testate più illustri - abbiano giudicato il documento della Congregazione senza averlo letto se non in qualche sintesi incompleta, magari sospetta di partito preso. Inoltre, quasi tutti i commenti si sono occupati solo delle implicazioni politiche del documento, ignorandone le motivazioni religiose.

Anche per questo, la Congregazione per la fede ha poi deciso di rifiutare ulteriori commenti, rinviando a un testo tanto dibattuto quanto misconosciuto. Leggere la Instructio: è quanto noi stessi siamo stati pregati di chiedere al lettore, quali che siano poi le sue conclusioni.

Ci è sembrato invece importante mettere qui a disposizione il testo che - pur pubblicato con quella che dicevamo una "indiscrezione giornalistica" -, è divenuto ormai di dominio pubblico, rispecchia fedelmente il pensiero di Joseph Ratzinger (in quanto teologo: non, dunque, in quanto Prefetto della Congregazione per la fede) e non è di facile reperimento per il lettore non specialista. Questo testo può servire a comprendere il pensiero personale del card. Ratzinger su un tema così spinoso e attuale. Qui più che mai, per il Prefetto, "difendere l'ortodossia significa davvero difendere i poveri ed evitare loro le illusioni e le sofferenze di chi non sa dare una prospettiva realistica di riscatto neppure materiale".

Segnaliamo inoltre quanto l'Instructio afferma sin dalla introduzione: "Questa Congregazione per la dottrina della fede non intende qui affrontare nella sua completezza il vasto terna della libertà cristiana e della liberazione. Essa si ripropone di farlo in un documento successivo che ne metterà in evidenza, in maniera positiva, tutte le ricchezze sotto l'aspetto sia dottrinale che pratico". Solo una prima parte, dunque, di un discorso che va completato.

Inoltre, "il richiamo" contenuto nella prima parte, quella "negativa", "non deve in alcun modo essere interpretato come una condanna di tutti coloro che vogliono rispondere con generosità e con autentico spirito evangelico alla " opzione preferenziale per i poveri ". La presente Istruzione non dovrebbe affatto servire da pretesto a tutti coloro che si trincerano in un atteggiamento di neutralità e di indifferenza di fronte ai tragici e pressanti problemi della miseria e dell'ingiustizia. Al contrario, essa è dettata dalla certezza che le gravi deviazioni ideologiche denunciate finiscono ineluttabilmente per tradire la causa dei poveri. Più che mai, è necessario che numerosi cristiani, di fede illuminata e risoluti a vivere la vita cristiana nella sua integralità, si impegnino nella lotta per la giustizia, la libertà e la dignità dell'uomo, per amore verso i loro fratelli diseredati, oppressi o perseguitati. Più che mai la Chiesa intende condannare gli abusi, le ingiustizie e gli attentati alla libertà, ovunque si riscontrino e chiunque ne siano gli autori e lottare, con i mezzi che le sono propri, per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo, specialmente nella persona dei poveri".

Il bisogno di redenzione

Prima di passare a riprodurre il documento "Privato" del teologo Ratzinger, diamo intanto conto sempre nel tentativo di situare la sua posizione su uno sfondo generale - di quanto è emerso nel nostro colloquio a proposito del termine "liberazione" E uno scenario di portata mondiale.

"Liberazione - dice infatti il Cardinale - sembra essere il programma, la bandiera di tutte le culture attuali, in tutti i continenti. Al seguito di queste culture, la volontà di cercare una "liberazione" passa attraverso il movimento teologico dei diversi ambiti culturali del mondo".

Continua: "Come ho già osservato parlando della crisi della morale, la "liberazione" è la tematica chiave anche della società dei ricchi, del Nord America e dell'Europa Occidentale: liberazione dall'etica religiosa e, con essa, dai limiti stessi dell'uomo. Ma si cerca " liberazione " anche in Africa e in Asia, dove lo sganciamento dalle tradizioni occidentali si presenta come un problema di liberazione dal retaggio coloniale, alla ricerca della propria identità. Ne parleremo in modo specifico più avanti. È " liberazione " infine in Sud America, dove la si intende soprattutto in senso sociale, economico, politico. Dunque, il problema soteriologico, cioè della salvezza, della redenzione (della liberazione, come appunto si preferisce dire) è divenuto il punto centrale del pensiero teologico".

Perché, chiedo, questa focalizzazione, che peraltro sembra corretta anche alla Congregazione (le prime parole della Istruzione del 6 agosto non sono forse: "Il Vangelo di Gesù Cristo è un messaggio di libertà e una forma di liberazione")?

"Questo è avvenuto e avviene - dice - perché la teologia tenta di rispondere così al problema più drammatico del mondo di oggi: il fatto cioè che malgrado tutti gli sforzi l'uomo non è affatto redento, non è per nulla libero, conosce anzi una crescente alienazione. E questo appare in tutte le forme di società attuale. L'esperienza fondamentale della nostra epoca è proprio quella della "alienazione", cioè lo stato che l'espressione cristiana tradizionale chiama: mancanza di redenzione. È l'esperienza di un'umanità che si è distaccata da Dio e in questo modo non ha trovato la libertà, ma solo schiavitù".

Parole dure, ancora una volta, osservo.

"Eppure così è a una visione realistica, che non si nasconda la situazione. E del resto al realismo che sono chiamati i cristiani: essere attenti ai segni del tempo significa anche questo, ritrovare il coraggio di guardare la realtà in faccia, nel suo positivo e nel suo negativo. Ora, giusto in questa linea di oggettività, vediamo che c'è un elemento in comune ai programmi di liberazione secolaristici: quella liberazione la vogliono cercare solo nell'immanenza, dunque nella storia, nell'aldiquà. Ma è proprio questa visione chiusa nella storia, senza sbocchi sulla trascendenza, che ha condotto l'uomo nella sua attuale situazione".

Resta comunque il fatto, dico, che questa esigenza di liberazione è una sfida che va accettata; non ha dunque ben fatto la teologia a raccoglierla per darle una risposta cristiana?

"Certo, purché quella risposta sia cristiana veramente. Il bisogno di salvezza oggi così avvertito esprime la percezione autentica, per quanto oscura, della dignità dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Ma il pericolo di certe teologie è che si lascino suggerire il punto di vista immanentistico, solo terrestre, dai programmi di liberazione secolaristici. I quali non vedono, né possono vedere che la " liberazione " è innanzitutto e principalmente liberazione da quella schiavitù radicale che il "mondo" non scorge, che anzi nega: la schiavitù radicale del peccato".

Un testo da "teologo privato"

Da questo quadro generale, torniamo a quel "fenomeno straordinariamente complesso" che è la teologia della liberazione che, pur tendendo a diffondersi un po' ovunque nel Terzo Mondo, ha tuttavia "il suo centro di gravità in America Latina".

Torniamo dunque a quel testo "privato" di Ratzinger teologo, che ha preceduto l'Instructio dell'autunno 1984. Le pagine seguenti (in corsivo) lo riproducono per intero. Data l'origine e la destinazione strettamente teologica, il linguaggio non è sempre il più divulgativo possibile. Crediamo comunque che valga la pena di superare qualche passaggio forse complesso per il lettore non specialista: al di là, ripetiamo, delle valutazioni di ciascuno, questo testo aiuta a situare il fenomeno " teologia della liberazione " nel più ampio scenario della teologia mondiale. E chiarisce i motivi dell'intervento della Congregazione in una strategia già avviata e che prevede altre "tappe".

ALCUNE OSSERVAZIONI PRELIMINARI

1) La teologia della liberazione è un fenomeno straordinariamente complesso: essa va dalle posizioni più radicalmente marxiste fino a quelle che pongono il luogo appropriato della necessaria responsabilità del cristiano verso i poveri e gli oppressi nel contesto di una corretta teologia ecclesiale, come hanno fatto i documenti del Celam (la Conferenza Episcopale Latino-Americana), da Medellín a Puebla. In questo nostro testo si utilizza il concetto "teologia della liberazione " in una accezione più ristretta: una accezione che comprende solo quei teologi che in qualche maniera hanno fatto propria l'opzione fondamentale marxista. Anche qui esistono nei particolari molte differenze nelle quali è impossibile addentrarsi in questa riflessione generale. In questo contesto posso solo tentare di mettere in evidenza alcune linee fondamentali che, senza disconoscere le diverse matrici, sono molto diffuse ed esercitano una certa influenza anche laddove non esiste una teologia della liberazione in senso stretto.

2) Con l'analisi del fenomeno della teologia della liberazione diventa manifesto un pericolo fondamentale per la fede della Chiesa. Indubbiamente bisogna tener presente che un errore non può esistere se non contiene un nucleo di verità. Di fatto un errore è tanto più pericoloso quanto maggiore è la proporzione del nucleo di verità recepita. Inoltre l'errore non potrebbe appropriarsi di quella parte di verità se questa verità fosse sufficientemente vissuta e testimoniata lì dove è il suo posto, cioè nella fede della Chiesa. Perciò, accanto alla dimostrazione dell'errore e del pericolo della teologia della liberazione bisogna sempre affiancare la domanda: quale verità si nasconde nell'errore e come recuperarla pienamente?

3) La teologia della liberazione è un fenomeno universale sotto tre punti di vista:

a) questa teologia non intende affatto costituire un nuovo trattato teologico a fianco degli altri già esistenti, come per esempio elaborare nuovi aspetti dell'etica sociale della Chiesa. Essa si concepisce piuttosto come una nuova ermeneutica della fede cristiana, vale a dire come una nuova forma di comprensione e di realizzazione del cristianesimo nella sua totalità. Perciò cambia tutte le forme della vita ecclesiale: la costituzione ecclesiastica, la liturgia, la catechesi, le opzioni morali.

b) la teologia della liberazione ha sicuramente il suo centro di gravità in America Latina, però non è affatto un fenomeno esclusivamente latinoamericano. Non è pensabile senza l'influenza determinante di teologi europei ed anche nordamericani. Ma esiste anche in India, nello Sri Lanka, nelle Filippine, a Taiwan e in Africa, sebbene qui sia in primo piano la ricerca di una "teologia africana " L'Unione dei teologi del Terzo Mondo è fortemente caratterizzata dall'attenzione prestata ai temi della teologia della liberazione.

c) la teologia della liberazione supera i confini confessionali: essa cerca di creare, fin dalle sue premesse, una nuova universalità per la quale le separazioni classiche delle chiese debbono perdere la loro importanza.

I. Il concetto della teologia della liberazione e i presupposti della sua genesi

Queste osservazioni preliminari ci hanno frattanto già introdotto nel nucleo del tema. Hanno però lasciato aperta la questione principale: che cos'è propriamente la teologia della liberazione?

In un primo tentativo di risposta possiamo dire: la teologia della liberazione pretende dare una nuova interpretazione globale del cristianesimo; spiega il cristianesimo come una prassi di liberazione e pretende di porsi essa stessa come una guida a tale prassi. Ma siccome secondo questa teologia ogni realtà è politica, anche la liberazione è un concetto politico e la guida alla liberazione deve essere una guida all'azione politica.

"Nulla resta fuori dall'impegno politico. Tutto esiste con una colorazione politica", scrive testualmente uno dei suoi più noti esponenti sudamericani. Una teologia che non sia "pratica " ' vale a dire essenzialmente politica, è considerata "idealistica" e condannata come irreale o come veicolo di conservazione degli oppressori al potere.

Per un teologo che abbia imparato la sua teologi . a nella tradizione classica e che abbia accettato la sua vocazione spirituale, è difficile immaginare che si possa seriamente svuotare la realtà globale del cristianesimo i . n uno schema di prassi socio-politica di liberazione. La cosa è tuttavia possibile, in quanto molti teologi della liberazione continuano ad usare gran parte del linguaggio ascetico e dogmatico della Chiesa in chiave nuova, in maniera tale che chi legge e chi ascolta partendo da un altro retroterra, può ricevere l'impressione di ritrovare il patrimonio antico con l'aggiunta solamente di qualche affermazione un poco "strana ", che però, unita a tanta religiosità, non potrebbe essere così pericolosa.

Proprio la radicalità della teologia della liberazione fa sì che ne venga spesso sottovalutata la gravità, perché non entra in alcuno schema esistente fino ad oggi di eresia; la sua impostazione di partenza si trova al di fuori di ciò che può venir colto dai tradizionali schemi di discussione.

Per questo vorrei tentare di accostarmi all'indirizzo fondamentale della teologia della liberazione in due tappe: prima occorrerà dire qualche cosa sui presupposti' che l'hanno resa possibile; successivamente vorrei esplorare alcuni dei concetti basilari che permettono di conoscere qualcosa della sua struttura

Come si è arrivati a quell'orientamento completamente nuovo del pensiero teologico che trova espressione nella teologia della liberazione? Vedo principalmente tre fattori che l'hanno resa possibile.

1) Dopo il Concilio si produsse una situazione teologica nuova:

a) si creò l'opinione che la tradizione teologica esistente fino ad allora non fosse più accettabile e che di conseguenza si dovesse cercare, a partire dalla Scrittura e dai segni dei tempi, orientamenti teologici e spirituali totalmente nuovi;

b) l'idea dì apertura al mondo e di impegno nel mondo si trasformò spesso in una fede ingenua nelle scienze; una fede che accolse le scienze umane come un nuovo vangelo, senza volerne riconoscere i limiti ed i problemi propri. La psicologia, la sociologia e l'interpretazione marxista della storia furono considerate come scientificamente sicure e quindi come istanze non più contestabili del pensiero cristiano;

c) la critica della tradizione da parte della esegesi evangelica moderna, specialmente di Rudolf Bultmann e della sua scuola, divenne una istanza teologica inamovibile che sbarrò la strada alle forme fino ad allora valide della teologia, incoraggiando così anche nuove costruzioni.

2) La situazione teologica così mutata coincise con una situazione della storia spirituale anch'essa modificata. Alla fine della fase di ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, fase che coincise all'incirca con il termine del Concilio, si produsse nel mondo occidentale un sensibile vuoto di significato al quale la filosofia esistenzialista ancora in voga non era in grado di dare alcuna risposta. In questa situazione le differenti forme del neomarxismo si trasformarono in un impulso morale e allo stesso tempo in una promessa di significato che appariva quasi irresistibile alla gioventù universitaria. Il marxismo, con gli accenti religiosi di Bloch e le filosofie provviste di rigore "scientifico" di Adorno, Horkheimer, Habermas e Marcuse, offrirono modelli di azione con i quali si credette di poter rispondere alla sfida della miseria nel mondo e, allo stesso tempo, di poter attualizzare il senso corretto del messaggio biblico.

3) La sfida morale della povertà e dell'oppressione non si poteva più ignorare nel momento in cui l'Europa e l'America del Nord avevano raggiunto un'opulenza fino ad allora sconosciuta. Questa sfida esigeva evidentemente nuove risposte che non si potevano trovare nella tradizione esistente sino a quel momento. La situazione teologica e filosofica mutata invitava espressamente a cercare la risposta in un cristianesimo che si lasciasse guidare dai modelli di speranza, in apparenza fondati "scientificamente", delle filosofie marxiste.

II. La struttura fondamentale della teologia della liberazione

Quella risposta si presenta del tutto diversa nelle forme particolari di teologia della liberazione, teologia della rivoluzione, teologia politica, eccetera- Non può quindi essere rappresentata globalmente. Esistono tuttavia alcuni concetti fondamentali che si ripetono continuamente nelle diverse variazioni ed esprimono intenzioni di fondo comuni.

Prima di passare ai concetti fondamentali del contenuto, è necessario fare un'osservazione sugli elementi strutturali portanti della teologia della liberazione. Possiamo riallacciarci, a questo fine, a ciò che abbiamo già detto circa la situazione teologica mutata dopo il Concilio.

Come già detto, si è letta l'esegesi di Bultmann e della sua scuola come un'enunciazione della "scienza" su Gesù, scienza che doveva ovviamente essere ritenuta valida. Il "Gesù storico" di Bultmann si presenta tuttavia separato da un abisso (Bultmann stesso parla di Graben, fossato) dal Cristo della fede. Secondo Bultmann, Gesù appartiene solo ai presupposti del Nuovo Testamento, permanendo però racchiuso nel mondo del giudaismo.

Il risultato finale di questa esegesi consisteva nel fatto che veniva scossa la credibilità storica dei Vangeli: il Cristo della tradizione ecclesiale e il Gesù storico presentato dalla scienza appartengono a due mondi differenti. La figura di Gesù fu sradicata dal suo collocamento nella tradizione per mezzo della "scienza", considerata come istanza suprema, in questa maniera A un lato la tradizione si librava come qualcosa di irreale nel vuoto, dall'altro si dovevano cercare per la figura di Gesù una nuova interpretazione e un nuovo significato.

Bultmann quindi assunse importanza non tanto per le sue affermazioni positive, quanto per il risultato negativo della sua critica: il nucleo della fede, la cristologia, rimase aperto a nuove interpretazioni perché quelli che erano stati sino ad allora i suoi enunciati originali erano scomparsi, in quanto dichiarati storicamente insostenibili. Nello stesso tempo veniva sconfessato il Magistero della Chiesa perché considerato legato ad una teoria "scientificamente " insostenibile e quindi privo di valore come istanza conoscitiva su Gesù. I suoi enunciati potevano essere considerati solo come "definizioni frustrate di una posizione scientificamente superata".

Inoltre Bultmann fu importante per lo sviluppo ulteriore di una seconda parola chiave. Egli riportò in auge l'antico concetto di ermeneutica, conferendogli una dinamica nuova. Nella parola "ermeneutica " trova espressione l'idea che una comprensione reale dei testi storici non si dà attraverso una mera interpretazione storica; ma ogni interpretazione storica include certe decisioni preliminari. L'ermeneutica ha il compito di "attualizzare " la Scrittura in connessione con i dati che la storia, sempre mutevole, ci presenta: una "fusione degli orizzonti" tra "'l'allora" e "l'oggi". Essa pone di conseguenza la domanda: cosa significa "l'allora" al giorno d'oggi? Bultmann rispose a questa domanda servendosi della filosofia di Heidegger e interpretò quindi la Bibbia in senso esistenzialista. Questa risposta non riveste più alcun interesse; in questo senso Bultmann è superato dall'esegesi attuale. Però è rimasta la separazione tra la figura di Gesù della tradizione classica e l'idea che si possa e si debba trasferire questa figura nel presente attraverso una nuova ermeneutica.

A questo punto sorge il secondo elemento, già menzionato, della nostra situazione: il nuovo clima filosofico degli anni Sessanta. L'analisi marxista della storia e della società fu considerata come l'unica a carattere "scientifico". Ciò significa che il mondo viene interpretato alla luce dello schema della lotta di classe e che l'unica scelta possibile è quella tra capitalismo e marxismo. Significa, inoltre, che tutta la realtà è politica e che deve essere giudicata politicamente. Il concetto biblico del "povero" offre il punto di partenza per la confusione tra l'immagine biblica della storia e la dialettica marxista; questo concetto viene interpretato con l'idea di proletariato in senso marxista e giustifica altresì il marxismo come ermeneutica legittima per la comprensione della Bibbia.

Secondo questa comprensione, poi, esistono e possono esistere solo due opzioni; perciò, contraddire questa interpretazione della Bibbia non è che l'espressione dello sforzo della classe dominante per conservare il proprio potere. Un teologo della liberazione afferma: "La lotta di classe è un dato di fatto e la neutralità su questo punto è assolutamente impossibile".

Da questo punto si rende impossibile anche l'intervento del Magistero ecclesiale: nel caso in cui esso si opponesse a tale interpretazione del cristianesimo dimostrerebbe solamente di essere dalla parte dei ricchi e dei dominatori e contro i poveri e i sofferenti, vale a dire contro Gesù stesso, e, nella dialettica della storia, si schiererebbe dalla parte negativa.

Questa decisione, apparentemente "scientifica" e "ermeneuticamente" ineluttabile, determina da sé la strada dell'interpretazione ulteriore del cristianesimo, sia per quanto riguarda le istanze interpretative che per i contenuti interpretati.

Per quanto riguarda le istanze interpretative i concetti decisivi sono: popolo, comunità, esperienza, storia. Se fino ad ora la Chiesa - cioè la Chiesa cattolica nella sua totalità che, trascendendo tempo e spazio, abbraccia i laici (sensus fidei) e la gerarchia (magistero) - era stata l'istanza ermeneutica fondamentale, oggi lo è diventata la "comunità". Il vissuto e le esperienze della comunità determinano la comprensione e l'interpretazione della Scrittura.

Di nuovo si può dire, apparentemente in modo rigorosamente "scientifico", che la figura di Gesù, presentata nei Vangeli, costituisce una sintesi di avvenimenti e interpretazioni dell'esperienza di comunità particolari, dove tuttavia l'interpretazione è molto più importante dell'avvenimento, che in sé non è più determinabile. Questa sintesi originaria di avvenimento e interpretazione può essere sciolta e ricostruita sempre di nuovo: la comunità "interpreta" con la sua "esperienza "gli avvenimenti e trova così la sua "prassi " '

Questa idea la si incontra modificata in modo alquanto diverso nel concetto di "popolo", con il quale si' trasformò l'accentuazione conciliare dell'idea di "popolo di Dio" in un mito marxista. Le esperienze del "popolo" spiegano la Scrittura. "Popolo" diventa così un concetto opposto a quello di "gerarchia" e in antitesi a tutte le istituzioni indicate come forze dell'oppressione. Infine è "popolo" chi partecipa alla "lotta di classe",- la "Iglesia popular" si pone in opposizione alla Chiesa gerarchica.

Da ultimo il concetto di "storia" diviene istanza ermeneutica decisiva. L'opinione, considerata scientificamente sicura e irrefutabile, che la Bibbia ragioni in termini esclusivamente di storia della salvezza (e quindi in modo antimetafisico) permette la fusione dell'orizzonte biblico con l'idea marxista della storia che procede dialetticamente come portatrice di salvezza; la storia è l'autentica rivelazione e pertanto la vera istanza ermeneutica della interpretazione biblica. Tale dialettica viene appoggiata, talvolta, dalla pneumatologia, cioè dalla concezione dell'azione dello Spirito Santo.

In ogni caso anch'essa vede nel Magistero che insiste su verità permanenti una istanza nemica del progresso, dato che pensa " metafisicamente " e contraddice così la "storia " Si può dire che il concetto di storia assorbe il concetto di Dio e di rivelazione. La "storicità" della Bibbia deve giustificare il suo ruolo assolutamente predominante e quindi deve legittimare allo stesso tempo il passaggio alla filosofia materialista-marxista, nella quale la storia ha assunto il ruolo di Dio.

III. Concetti fondamentali della teologia della liberazione

Con ciò siamo giunti ai concetti fondamentali del contenuto della nuova interpretazione del cristianesimo. Poiché i contesti nei quali appaiono i diversi concetti sono diversi, vorrei, senza pretese di sistematicità, citarne alcuni.

Cominciamo dalla nuova interpretazione di fede, speranza e carità.

Rispetto alla fede, ad esempio, un teologo sudamericano afferma: "L'esperienza che Gesù ha di Dio è radicalmente storica. La sua fede si converte in fedeltà". Si sostituisce perciò fondamentalmente la fede con la "fedeltà alla storia". Qui si produce quella fusione tra Dio e storia che dà la possibilità di conservare per Gesù la formula di Calcedonia, anche se con un significato completamente mutato: si vede come i criteri classici della ortodossia non siano applicabili all'analisi di questa teologia. Si afferma dunque che "Gesù è Dio", aggiungendo però immediatamente che "il Dio vero è solo quello che si rivela storicamente e scandalosamente in Gesù e nei poveri che continuano la sua presenza Solo chi mantiene unite queste due affermazioni è ortodosso...".

La speranza viene interpretata come "fiducia nel futuro" e come lavoro per il futuro; con ciò la si subordina di nuovo al predominio della storia delle classi.

La carità consiste nella "opzione per i poveri", cioè. coincide con l'opzione per la lotta di classe. I teologi della liberazione sottolineano con forza, di fronte al "falso universalismo", la parzialità ed il carattere di parte dell'opzione cristiana; prendere partito è, secondo loro, requisito fondamentale di una corretta ermeneutica delle testimonianze bibliche. A mio avviso qui si può riconoscere molto chiaramente la mescolanza tra una verità fondamentale del cristianesimo e una opzione fondamentale non cristiana, che rende l'insieme tanto seducente: il discorso della montagna sarebbe in realtà la scelta da parte di Dio a favore dei poveri.

Il concetto fondamentale della predicazione di Gesù è davvero il "regno di Dio". Questo concetto si ritrova anche al centro delle teologie della liberazione, letto però sullo sfondo dell'ermeneutica marxista. Secondo uno di questi teologi, il " regno " non deve essere inteso spiritualmente, né universalisticamente nel senso di una escatologia astratta. Deve essere inteso in forma partitica e volto alla prassi. Solo a partire dalla prassi di Gesù, e non teoricamente, è possibile definire cosa significa il "regno", lavorare nella realtà storica che ci circonda per trasformarla nel "regno di Dio".

Qui occorre menzionare anche una idea fondamentale di certa teologia postconciliare che ha spinto in questa direzione. £ stato sostenuto che secondo il Concilio si dovrebbe superare ogni forma di dualismo: il dualismo di corpo e anima, di naturale e soprannaturale, di immanenza e trascendenza, di presente e futuro. Dopo lo smantellamento di questi presunti "dualismi " ' resta solo la possibilità di lavorare per un regno che si realizzi in questa storia e nella sua realtà politico-economica.

Ma proprio così si è cessato di lavorare per l'uomo di oggi e si è cominciato a distruggere il presente in favore di un futuro ipotetico: così si è prodotto immediatamente il vero dualismo.

In questo contesto vorrei menzionare anche l'interpretazione del tutto deviante della morte e della risurrezione che dà uno dei leader delle teologie della liberazione. Egli stabilisce innanzitutto, contro le concezioni "universaliste", che la risurrezione è, in primo luogo, una speranza per coloro che sono crocifissi, i quali costituiscono la maggioranza degli uomini: tutti quei milioni ai quali l'ingiustizia strutturale si impone come una lenta crocifissione. Il credente partecipa tuttavia anche alla signoria di Gesù sulla storia attraverso l'edificazione del regno, cioè nella lotta per la giustizia e per la liberazione integrale, nella trasformazione delle strutture ingiuste in strutture più umane. Questa signoria sulla storia viene esercitata ripetendo nella storia il gesto di Dio che risuscita Gesù, cioè ridando vita ai crocefissi della storia. L'uomo ha assunto così il potere di Dio e qui la trasformazione totale del messaggio biblico si manifesta in modo quasi tragico, se si pensa a come questo tentativo di imitazione di Dio si è esplicato ed ancora si esplica.

Vorrei solo citare qualche altra interpretazione "nuova" di concetti biblici: l'esodo si trasforma in una immagine centrale della "storia della salvezza" il mistero pasquale viene inteso come un simbolo rivoluzionario e quindi l'eucaristia viene interpretata come una festa di liberazione nel senso di una speranza politico-messianica e della sua prassi. La parola redenzione viene sostituita generalmente con liberazione, la quale a sua volta viene intesa, sullo sfondo della storia e della lotta di classe, come processo di liberazione che avanza. Infine è fondamentale anche l'accento che viene posto sulla prassi: la verità non deve essere intesa in senso metafisico; si tratterebbe di "idealismo ". La verità si realizza nel la storia e nella prassi. L'azione è la verità. Di conseguenza anche le idee che si usano per l'azione sono, in ultima istanza, intercambiabili. L'unica cosa decisiva è la prassi. L'ortoprassi diventa così la sola, vera ortodossia.

Viene così anche giustificato un enorme allontanamento dai testi biblici: la critica storica libera dalla interpretazione tradizionale che appare come "non scientifica " Rispetto alla tradizione si attribuisce importanza al "massimo rigore scientifico" nella linea di Bultmann. Ma i contenuti della Bibbia determinati storicamente non possono a loro volta essere vincolanti in modo assoluto. Lo strumento per l'interpretazione non è, in ultima analisi, la ricerca storica, bensì l'ermeneutica della storia sperimentata nella comunità, cioè nei gruppi politici. Se si cerca di trarre un giudizio globale, bisogna dire che quando uno cerca di comprendere le opzioni fondamentali della teologia della liberazione, non può negare che l'insieme contenga una logica quasi inoppugnabile. Con le premesse della critica biblica e della ermeneutica fondata sull'esperienza da un lato, e dell'analisi marxista della storia dall'altro, si è riusciti a creare una visione d'insieme del cristianesimo che sembra rispondere pienamente tanto alle esigenze della scienza quanto alle sfide morali dei nostri tempi. E pertanto si impone agli uomini in forma immediata il compito di fare del cristianesimo uno strumento della trasformazione concreta del mondo, il che sembrerebbe unirlo a tutte le forze progressiste della nostra epoca. Si può quindi comprendere come questa nuova interpretazione del cristianesimo attragga sempre più teologi, sacerdoti e religiosi, specialmente sullo sfondo dei problemi del terzo mondo.

Sottrarsi ad essa deve necessariamente apparire ai loro occhi come un'evasione dalla realtà, come una rinuncia alla ragione e alla morale. Però d'altro canto, se si pensa quanto sia radicale l'interpretazione del cristianesimo che ne deriva, diviene tanto più urgente il problema di che cosa si possa e si debba fare di fronte ad essa. Solo se noi riusciremo a rendere visibile la logica della fede in una maniera altrettanto cogente e a presentarla nell'esperienza vissuta come logica della realtà, cioè come forza reale di una risposta migliore, noi supereremo questa crisi. Proprio perché le cose stanno in questo modo (cioè proprio perché pensiero ed esperienza, riflessione ed azione sono in egual misura sollecitati), tutta la Chiesa è qui interpellata. La sola teologia non basta, il solo magistero non basta: poiché il fenomeno "teologia della liberazione "segnala una carenza di conversione nella Chiesa, una carenza in essa di radicalità della fede, soltanto un di più in conversione e in fede renderanno possibili e risveglieranno quelle intuizioni teologiche e quelle decisioni dei pastori, che corrispondono alla gravità del problema.

Tra marxismo e capitalismo

Questo che abbiamo riportato è dunque il quadro delle riflessioni e delle constatazioni sul cui sfondo, secondo il teologo Joseph Ratzinger, va vista l'ormai celebre "Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione".

Aggiungiamo, che, durante il nostro colloquio, il Cardinale è più volte tornato su un aspetto dimenticato in molti commenti: "La teologia della liberazione, nelle sue forme che si rifanno al marxismo, non è affatto un prodotto autoctono, indigeno, dell'America Latina o di altre zone sottosviluppate, dove sarebbe nata e sarebbe cresciuta quasi spontaneamente, per opera del popolo. Si tratta in realtà, almeno all'origine, di una creazione di intellettuali; e di intellettuali nati o formati nell'Occidente opulento: europei sono i teologi che l'hanno iniziata, europei - o allevati nelle università europee - sono i teologi che la fanno crescere in Sud America. Dietro lo spagnolo o il portoghese di quella predicazione si intravvede in realtà il tedesco, il francese, l'anglo-americano".

Dunque, per lui anche la teologia della liberazione farebbe parte "della esportazione verso il Terzo Mondo di miti e utopie elaborate nell'Occidente sviluppato. Quasi un tentativo di esperimentare in concreto ideologie pensate in laboratorio da teorici europei. Per qualche aspetto, pertanto, è ancora una forma di imperialismo culturale, seppur presentato come la creazione spontanea delle masse diseredate. È poi tutto da verificare che influsso reale abbiano davvero sul " popolo " i teologi che dicono di rappresentarlo, di dargli voce".

Osserva, continuando su questa linea: "In Occidente il mito marxista ha perso fascino tra i giovani e tra gli stessi lavoratori; si tenta allora di esportarlo nel Terzo Mondo da parte di intellettuali che vivono però al di fuori dei Paesi dominati dal Il socialismo reale ". Infatti, solo dove il marxismo leninismo non è al potere c'è ancora qualcuno che prende sul serio le sue illusorie " verità scientifiche "".

Segnala ancora che "paradossalmente - ma non troppo - la fede sembra essere più al sicuro all'Est, dove è ufficialmente perseguitata. Sul piano dottrinale non abbiamo quasi alcun problema con il cattolicesimo di quelle zone. Il fatto è che, là, per i cristiani non c'è certo il pericolo di convertirsi alle posizioni di una ideologia imposta con la forza: la gente sconta ogni giorno sulla sua pelle la tragedia di una società che ha tentato sì una liberazione, ma da Dio. Anzi, in alcuni Paesi dell'Est, sembra emergere l'idea di una " teologia della liberazione", ma come liberazione dal marxismo. Il che non significa certo che guardino con simpatia alle ideologie e al costume prevalenti in Occidente".

Mi ricorda che "il cardinale primate di Polonia, Stefan Wyszynski, metteva in guardia dall'edonismo e dal permissivismo occidentali non meno che dall'oppressione marxista. Alfred Bengsch, cardinale di Berlino, mi diceva un giorno di vedere un pericolo più grave per la fede nel consumismo occidentale e in una teologia contaminata da questo atteggiamento che non nel comunismo marxista".

Ratzinger non teme di riconoscere "il marchio del satanico nel mondo con cui in Occidente si sfrutta il mercato della pornografia e della droga". "Sì - dice - c'è qualcosa di diabolico nella freddezza perversa con cui, in nome del denaro, si corrompe l'uomo approfittando della sua debolezza, della sua possibilità di essere tentato e vinto. È infernale la cultura dell'Occidente, quando persuade la gente che il solo scopo della vita sono il piacere e l'interesse privato".

Eppure, se gli si chiede quale - a livello di elaborazione teorica - gli sembri il più insidioso tra i molti ateismi del nostro tempo, è ancora al marxismo che ritorna: "Mi sembra che il marxismo, nella sua filosofia e nelle sue intenzioni morali, sia una tentazione più profonda che non certi ateismi pratici, dunque intellettualmente superficiali. È che nell'ideologia marxista si approfitta anche della tradizione giudeo-cristiana, rovesciata però in un profetismo senza Dio; si strumentalizzano per fini politici le energie religiose dell'uomo, indirizzandole verso una speranza solo terrena che è il capovolgimento della tensione cristiana verso la vita eterna. È questa perversione della tradizione biblica che trae in inganno molti credenti, convinti in buona fede che la causa di Cristo sia la stessa di quella proposta dagli annunciatori della rivoluzione politica".

Il dialogo impossibile

E qui - con aria che mi è sembrata più sofferente che " inquisitoria " - mi ha di nuovo ricordato quel "dramma del Magistero" che gli avvenimenti susseguenti alla pubblicazione dell'Istruzione sulla teologia della liberazione avrebbero riconfermato: "C'è questa dolorosa impossibilità di dialogare con i teologi che accettano quel mito illusorio, che blocca le riforme e aggrava la miseria e le ingiustizie, e che è la lotta di classe come strumento per creare una società senza classi". Continua: "Se, Bibbia e Tradizione alla mano, fraternamente, si cerca di denunciare le deviazioni, subito si è etichettati come " servi ", "lacchè " delle classi dominanti che vogliono conservare il potere appoggiandosi anche alla Chiesa. D'altronde, le più recenti esperienze mostrano che rappresentanti significativi della teologia della liberazione si differenziano felicemente (per la loro disponibilità alla comunità ecclesiale e al servizio reale dell'uomo) dall'intransigenza di una parte dei mass-media e di numerosi gruppi di loro sostenitori, prevalentemente europei. Da parte di questi ultimi ogni nostro intervento, anche il più pensato e rispettoso, viene respinto a priori, perché si schiererebbe dalla parte dei "padroni". Mentre la causa degli ultimi è tradita proprio da queste ideologie, che si sono rivelate fonte di sofferenza per il popolo stesso".

Mi ha poi parlato dello sgomento provocatogli dalla lettura di molti dei teologi della liberazione: "C'è un ritornello ripetuto senza tregua: " bisogna liberare l'uomo dalle catene dell'oppressione politico-economica; per liberarlo le riforme non bastano, anzi sono devianti; quel che ci vuole è la rivoluzione; ma il solo modo per fare la rivoluzione è bandire la lotta di classe ". Eppure, coloro che ripetono tutto questo non sembrano porsi alcun problema concreto, pratico, sul come organizzare una società dopo la rivoluzione. Ci si limita a ripetere che bisogna farla".

Dice ancora: "Ciò che è inaccettabile teologicamente e pericoloso socialmente, è questo miscuglio tra Bibbia, cristologia, politica, sociologia, economia. Non si può abusare della Scrittura e della teologia per assolutizzare, sacralizzare una teoria sull'ordinamento socio-politico. Questo, per sua natura, è sempre relativo. Se invece si sacralizza la rivoluzione mescolando Dio, Cristo, ideologie si crea un fanatismo entusiastico che può portare alle ingiustizie e alle oppressioni peggiori, rovesciando nei fatti ciò che in teoria ci si proponeva". Continua: "Colpisce dolorosamente poi - in sacerdoti, in teologi! - questa illusione così poco cristiana di potere creare un uomo e un mondo nuovi, non col chiamare ciascuno a conversione, ma agendo solo sulle strutture sociali ed economiche. È il peccato personale che è in realtà alla base anche delle strutture sociali ingiuste. E sulla radice, non sul tronco e i rami dell'albero dell'ingiustizia che bisognerebbe lavorare se si vuole davvero una società più umana. Sono verità cristiane fondamentali, eppure respinte con disprezzo come " alienanti spiritualiste ".
 
Da:
RAPPORTO SULLA FEDE (il capolavoro di Messori nell'intervista a Ratzinger

Suggeriamo altresì:

FILANTROPIA DI CRISTO E IMPEGNO SOCIALE DELLA CHIESA (ottimo)





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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07/12/2009 09:12
 
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Ricevendo i Vescovi del Brasile, Benedetto XVI ribadisce il NO alla Teologia della Liberazione.....

Si invitano i Sacerdoti e i Vescovi e tutti i fedeli, ad accogliere con docilità i moniti del Pontefice....[SM=g1740733]

qui il testo integrale:

La Chiesa in Brasile

 a seguire la parte finale dell'allocuzione che il Papa ha tenuto ieri ai vescovi del sud del Brasile, in visita ad limina.

[..]
In questo senso, cari fratelli, vale la pena ricordare che lo scorso agosto, ricorrevano 25 anni dall'istruzione Libertatis Nuntius della Congregazione per la Dottrina della Fede, su alcuni aspetti della teologia della liberazione, dove si sottolineava il pericolo comportato dall'adozione acritica, da parte di alcuni teologi, di opinioni e metodologie derivanti dal marxismo.
Le cui conseguenze, più o meno visibili, fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia, si fanno ancora sentire, creando nelle vostre comunità diocesane grande sofferenza e grave perdita di forze vive. Chiedo a tutti coloro che in qualche modo sono stati attratti, coinvolti ed interessati nel loro intimo da alcuni principi ingannevoli della teologia della liberazione, di confrontarsi di nuovo con la dichiarazione di cui sopra, accogliendo la luce benigna che essa offre a mano tesa; a tutti ricordo che "la regola suprema della fede [della Chiesa] proviene effettivamente dall'unità che lo Spirito ha creato tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, in una reciprocità tale che i tre non possono sopravvivere in modo indipendente"
(Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Fides et Ratio, 55).
Preghiamo affinché, nell'ambito degli organismi e comunità ecclesiali, il perdono offerto ed accettato in nome e per amore della Trinità, che adoriamo nei nostri cuori, ponga fine alle tribolazioni della amata Chiesa che che cammina in pellegrinaggio nella Terra di Santa Cruz.

Venerati Fratelli nell'Episcopato, nell'unione con Cristo ci precede e ci guida la Vergine Maria, tanto amata e venerata nelle vostre diocesi e in tutto il Brasile. In Lei troviamo, pura e non deformata, la vera essenza della Chiesa e così, attraverso di Lei si impara a conoscere e ad amare il mistero della Chiesa che vive nella storia, ci sentiamo profondamente una parte di essa, diventiamo a nostra volta "anime ecclesiali", imparando a resistere a quella "secolarizzazione interna" che insidia la Chiesa e i suoi insegnamenti.

Mentre chiedo al Signore di versare molta luce su tutto il mondo brasiliano della scuola, confido i suoi protagonisti alla protezione della Beata Vergine e imparto a voi, ai vostri sacerdoti, ai religiosi e religiose, ai laici impegnati, e a tutti i fedeli delle vostre diocesi, paterna Benedizione Apostolica.



[SM=g1740717] [SM=g1740720]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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29/01/2010 14:40
 
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La Teologia della Liberazione è una risposta alle ingiustizie sociali? NO!



[SM=g1740733]




Una persona chiedesse come mai non si parla più di “Teologia della Liberazione”... o se tale TdL possa aver portato dei benefici, occorre con tutta carità rispondere come il Papa:


Il 7 dicembre 2009, Benedetto XVI ha ricevuto i Vescovi del Sud Brasile in visita “ad limina” ed ha lanciato un accorato appello a superare le divisioni suscitate nella Chiesa dalla Teologia della Liberazione che si ispirava al marxismo.

Il Pontefice ha affermato che le comunità ecclesiali in Brasile devono sperimentare l'esperienza del perdono perché le ferite delle polemiche possano finalmente cicatrizzare.

Nell'agosto scorso (2009) – ha ricordato Benedetto XVI - sono stati commemorati i 25 anni dell'Istruzione Libertatis nuntius della Congregazione per la Dottrina della Fede, su alcuni aspetti della Teologia della Liberazione.

In essa – ha spiegato il Papa – “si sottolineava il pericolo che comportava l'accettazione acritica da parte di alcuni teologi di tesi e metodologie provenienti dal marxismo”.

In realtà, come affermava nel 1984 il Cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella Teologia della Liberazione ci sono molte correnti, perché la liberazione è uno dei messaggi centrali della Rivelazione, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento.

Una di queste correnti, soprattutto negli ultimi tre decenni del XX secolo, ha preso come elemento di interpretazione sociale ed economica l'analisi marxista – il materialismo storico – per cercare di comprendere la complessa e ingiusta, a volte scandalosa, realtà sociale che si vive in America Latina.

Questa corrente è stata chiamata Teologia della Liberazione (di analisi marxista). Secondo quanto ha spiegato Benedetto XVI ai Vescovi brasiliani, “le sue conseguenze più o meno visibili, fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia, si fanno ancora sentire, creando nelle vostre comunità diocesane grande sofferenza e una grave perdita di forze vive”.

Per questo, ha supplicato, “quanti in qualche modo si sono sentiti attratti, coinvolti e toccati nel proprio intimo da certi principi ingannatori della teologia della liberazione, di confrontarsi nuovamente con la suddetta Istruzione, accogliendo la luce benigna che essa offre a mani tese”.

Citando Giovanni Paolo II, ha dichiarato che la “regola suprema” della fede della Chiesa non deriva dall'analisi marxista, ma “dall'unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente”.

Per questo motivo, Papa Benedetto si è rivolto a quanti vedono ancora una risposta nella Teologia della Liberazione ai problemi sociali, auspicando che “il perdono offerto e accolto in nome e per amore della Santissima Trinità, che adoriamo nei nostri cuori, ponga fine alla sofferenza dell'amata Chiesa che peregrina nelle terre della Santa Croce”, cioè il Brasile.



[SM=g1740733]

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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09/12/2011 18:44
 
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[SM=g1740733]ATTENZIONE, vi ricordiamo, dello stesso spessore e di due anni dopo questo Documento, quello sulla LIBERTA' DEL CRISTIANO E IL CONCETTO DI LIBERAZIONE che trovate cliccando qui


Congregazione per la Dottrina della Fede

 

Istruzione
sulla libertà cristiana e la liberazione

"La verità ci rende liberi"

 

 

Introduzione

Aspirazioni alla liberazione

1. La coscienza della libertà e della dignità dell'uomo, congiunta con l'affermazione dei diritti inalienabili della persona e dei popoli, è una delle caratteristiche salienti del nostro tempo. Ora, la libertà esige determinate condizioni di ordine economico, sociale, politico e culturale, che ne rendano possibile il pieno esercizio. La viva percezione degli ostacoli, che le impediscono di realizzarsi ed offendono la dignità umana, è all'origine delle potenti aspirazioni alla liberazione che travagliano il nostro mondo.

La Chiesa di Cristo fa sue tali aspirazioni, esercitando il proprio discernimento alla luce del Vangelo, che per sua stessa natura è messaggio di libertà e di liberazione. In effetti, quelle aspirazioni assumono a volte, sul piano teorico e pratico, espressioni che non sempre sono conformi alla verità dell'uomo, quale si manifesta alla luce della sua creazione e redenzione. È questo il motivo per cui la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto necessario attirare l'attenzione su alcune "deviazioni o rischi di deviazione, pericolosi per la fede e per la vita cristiana". (1) Lungi dall'essere sorpassati, tali richiami appaiono ogni giorno più opportuni e pertinenti.

Fine dell'Istruzione

2. L'Istruzione "Libertatis Nuntius" su alcuni aspetti della teologia della liberazione annunciava l'intenzione della Congregazione di pubblicare un secondo documento, che avrebbe messo in evidenza i principali elementi della dottrina cristiana sulla libertà e sulla liberazione. La presente Istruzione risponde a tale intenzione. Tra i due documenti esiste un rapporto organico: essi devono essere letti l'uno alla luce dell'altro.

Su questo tema, che si trova al centro stesso del messaggio evangelico, il magistero della Chiesa si è pronunciato in numerose occasioni. (2) Il presente documento si limita a indicarne i principali aspetti teorici e pratici. Quanto alle applicazioni concernenti le diverse situazioni locali, spetta alle Chiese particolari, in comunione tra loro e con la Sede di Pietro, di provvedervi direttamente. (3)

Il tema della libertà e della liberazione ha un'evidente portata ecumenica. In effetti, esso appartiene al patrimonio tradizionale delle Chiese e comunità ecclesiali. Perciò, questo documento può confortare la testimonianza e l'azione di tutti i discepoli di Cristo, chiamati a rispondere alle grandi sfide del nostro tempo.

La verità che ci libera

3. La parola di Gesù: "La verità vi farà liberi" (Gv 8, 32) deve illuminare e guidare in questo campo ogni riflessione teologica e ogni decisione pastorale.

Questa verità, che viene da Dio, ha il proprio centro in Gesù Cristo, Salvatore del mondo. (4) Da lui, che è "la Via, la Verità e la Vita" (Gv 14, 6), la Chiesa riceve ciò che offre agli uomini. Dal mistero del Verbo incarnato e redentore del mondo essa attinge la verità sul Padre e sul suo amore per noi, come anche la verità sull'uomo e sulla sua libertà.

Mediante la sua croce e la sua risurrezione, Cristo ha operato la nostra redenzione che è liberazione nel senso più forte, in quanto ci ha liberati dal male più radicale, cioè dal peccato e dal potere della morte. Quando la Chiesa, ammaestrata dal suo Signore, fa salire la propria preghiera verso il Padre: "Liberaci dal male", essa implora che il mistero della salvezza agisca con potenza nella nostra esistenza quotidiana. Essa sa che la croce redentrice è veramente la fonte della luce e della vita e il centro della storia. La verità, che le arde in cuore, la spinge a proclamare la buona novella e a distribuirne i frutti di vita mediante i sacramenti. Da Cristo redentore prendono avvio il suo pensiero e la sua azione quando, davanti ai drammi che dilaniano il mondo, essa riflette sul significato e sulle vie della liberazione e della vera libertà.

La verità, a cominciare dalla verità sulla redenzione, che sta al cuore del mistero della fede, è così la radice e la regola della libertà, il fondamento e la misura di ogni azione liberatrice.

La verità, condizione di libertà

4. L'apertura alla pienezza della verità s'impone alla coscienza morale dell'uomo, egli deve cercarla ed esser pronto ad accoglierla, quando essa a lui si presenta.

Secondo l'ordine di Cristo Signore, (5) la verità evangelica deve essere presentata a tutti gli uomini, e questi hanno diritto a che essa sia loro proposta. Il suo annuncio, nella forza dello Spirito, comporta il pieno rispetto della libertà di ciascuno e l'esclusione di qualsiasi forma di costrizione e di pressione. (6)

Lo Spirito Santo introduce la Chiesa e i discepoli di Cristo Gesù "alla verità tutta intera" (Gv 16, 13). Egli dirige il corso dei tempi e "rinnova la faccia della terra" (Sal 104, 30). È lui che è presente nella maturazione d'una coscienza più rispettosa della dignità della persona umana. (7) Lo Spirito Santo è all'origine del coraggio, dell'audacia e dell'eroismo: "Dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà" (2 Cor 3, 17).

 

il resto, QUI ...

 

[SM=g1740771] 

 


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19/04/2012 17:50
 
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[SM=g1740733] 05/12/2009 22:33:29: La scuola cattolica è a servizio della società, ha detto il Papa nel discorso ai vescovi brasiliani delle regioni Sul 3 e 4, ricevuti oggi al termine della loro visita Ad limina.

Parlando della formazione dei giovani, Benedetto XVI ha notato che la scuola cattolica è un servizio alla società e si integra con le altre agenzie educative e dunque lo stato deve porsi il problema della parità giuridica ed economica.

Inoltre la formazione integrale a cui la scuola cattolica punta, diventa particolarmente importante negli anni dell’università. Al termine del discorso, Benedetto XVI ha ricordato i 25 anni dall’Istruzione dottrinale Libertatis Nuntius che metteva in guardia dalle derivazioni ideologiche della teologia della liberazione ed ha invitato i vescovi ad attualizzare questo documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, valido ancora oggi.

ripetiamo le parole del Papa: questo Documento E' VALIDO ANCORA OGGI....
www.gloria.tv/?media=41301





[SM=g1740733]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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03/07/2012 20:25
 
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[SM=g1740733]uno strano e indefinibile commento di Tornielli sulla TdL  ci impone una risposta secca e senza tentennamenti:

La Santa Sede condanna solo quella che adotta l’analisi marxista. I passi dimenticati del documento che contribuì a creare il cliché di Ratzinger «panzerkardinal»

Andrea Tornielli
Città del Vaticano 3.7.2012


In occasione della nomina del nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il vescovo tedesco Gerhard Ludwig Müller è stato ricordato il suo legame con Gustavo Gutierrez, uno dei padri della Teologia della Liberazione. Si è diffusa l’idea che Giovanni Paolo II e l’allora cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, abbiano condannato senza appello questa teologia e dunque il rapporto tra un vescovo e un teologo liberazionista (peraltro mai condannato o sanzionato da Roma) sarebbe un elemento «sospetto».



In realtà l’istruzione Libertatis nuntio, pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede il 6 agosto 1984 metteva in guardia dai rischi e dalla deviazioni di quella Teologia della liberazione che adottava l’analisi marxista della realtà. Erano anni in cui nel «Continente della speranza» c’erano dittature e una parte della Chiesa era schierata con movimenti di liberazione di stampo marxista, anche se con il viaggio di Papa Wojtyla a Puebla, nel 1979, per la riunione dei vescovi del Celam aveva segnato una svolta. Erano gli anni di Reagan, e gli Stati Uniti stanno combattendo con tutti i mezzi «l’impero del male» sovietico: una battaglia cruciale avveniva proprio in America Latina. Nel mirino della Congregazione non c’era però tutta la Teologia della liberazione, nata nei Paesi dell’America Latina negli anni del post-concilio, né tanto meno la sua «opzione preferenziale per i poveri». Ma soltanto l’analisi marxista che alcuni dei teologi utilizzavano.

Il documento parlava infatti della «tentazione di ridurre il Vangelo della salvezza ad un vangelo terrestre», del rischio di «dimenticare e rinviare a domani l’evangelizzazione». Contestava gli «a priori ideologici» che venivano usati come presupposti per la lettura della realtà sociale da parte di certa teologia, che presentava la lotta delle classi come «una legge oggettiva, necessaria» e faceva credere che «entrando nel suo processo, dalla parte degli oppressi si “fa” la verità, si agisce “scientificamente”. Di conseguenza, la concezione della verità va di pari passo con l’affermazione della necessità della violenza». L’eucarestia si trasformava in «celebrazione del popolo in lotta», il «Regno di Dio e il suo divenire si tende ad identificarlo con il movimento della liberazione umana».



È proprio con la pubblicazione di Libertatis nuntio che il cardinale Joseph Ratzinger, arrivato due anni prima alla guida del dicastero dottrinale della Santa Sede, comincia ad essere indicato come il «nemico» dei teologi più aperti, l’«affossatore» delle speranze che il Concilio aveva suscitato nei Paesi poveri. E quello che arriva dalla Chiesa cattolica wojtyliana viene fatto passare come un segnale di appoggio ai regimi anticomunisti che governano diversi stati dell’area latinoamericana.

Eppure, a leggere integralmente quel primo documento sulla Teologia della liberazione, si scoprono passaggi che dimostrano il contrario. «Questo richiamo - scrive la Congregazione nell’introduzione del documento - non deve in alcun modo essere interpretato come una condanna di tutti coloro che vogliono rispondere con generosità e con autentico spirito evangelico alla “opzione preferenziale per i poveri”».

«Essa (la presente Istruzione, ndr) non dovrebbe affatto servire da pretesto a tutti coloro che si trincerano in un atteggiamento di neutralità e di indifferenza di fronte ai tragici e pressanti problemi della miseria e dell’ingiustizia. Al contrario, essa è dettata dalla certezza che le gravi deviazioni ideologiche denunciate finiscono ineluttabilmente per tradire la causa dei poveri».



«Più che mai - continua il documento - la Chiesa intende condannare gli abusi, le ingiustizie e gli attentati alla libertà, ovunque si riscontrino e chiunque ne siano gli autori, e lottare con i mezzi che le sono propri, per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo, specialmente nella persona dei poveri».

L’istruzione sostiene inoltre che «lo scandalo delle palesi disuguaglianze tra ricchi e poveri... non è più tollerato». E che «il richiamo contro le gravi deviazioni, di cui sono portatrici talune “teologie della liberazione”, non deve assolutamente essere interpretato come un’approvazione, neppure indiretta, di coloro che contribuiscono al mantenimento della miseria dei popoli, di coloro che ne approfittano e di coloro che questa miseria lascia rassegnati o indifferenti. La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall’amore dell’uomo, ascolta il grido che invoca giustizia e vuole rispondervi con tutte le forze».



Non manca, nel finale del documento, un riferimento al ruolo dei vescovi, particolarmente significativo per quegli esponenti della gerarchia cattolica considerati troppo «morbidi» con il potere se non «organici» ad esso. «I difensori della “ortodossia” sono talvolta rimproverati di passività, di indulgenza o di complicità colpevoli nei confronti delle intollerabili situazioni di ingiustizia e dei regimi politici che mantengono tali situazioni. Si richiede da parte di tutti, e specialmente da parte dei pastori e dei responsabili la conversione spirituale, l’intensità dell’amore di Dio e del prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il senso evangelico dei poveri e della povertà. La preoccupazione della purezza della fede non deve essere disgiunta dalla preoccupazione di dare, mediante una vita teologale integrale, la risposta di un’efficace testimonianza di servizio del prossimo, e in modo tutto particolare del povero e dell’oppresso».

********************************

[SM=g1740729] Non so a quale gioco stia giocando Tornielli, dal suo articolo sembra volersi farsi amico della TdL, ma di certo è che la TdL è stata condannata eccome, Tornielli ha la memoria corta:

Benedetto XVI, «principî ingannatori della teologia della liberazione», ai Vescovi del Brasile, 5-12-2009.
le sue parole:

" vale la pena ricordare che, lo scorso agosto, ha compiuto venticinque anni l’Istruzione Libertatis nuntius della Congregazione per la Dottrina della Fede, su alcuni aspetti della teologia della liberazione; in essa si sottolineava il pericolo che comportava l’accettazione acritica da parte di alcuni teologi di tesi e metodologie provenienti dal marxismo. Le sue conseguenze più o meno visibili fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia, si fanno ancora sentire, creando nelle vostre comunità diocesane grande sofferenza e una grave perdita di forze vive. Supplico quanti in qualche modo si sono sentiti attratti, coinvolti e toccati nel proprio intimo da certi principi ingannatori della teologia della liberazione, di confrontarsi nuovamente con la suddetta Istruzione, accogliendo la luce benigna che essa offre a mani tese; a tutti ricordo che “la “regola suprema della propria fede” (della Chiesa) … proviene dall’unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente” (Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 55). 

[SM=g1740733] se questa non è una condanna! Vogliamo cominciare a parlare papale papale?

il testo integrale:



DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE
(REGIONI SUL 3 E SUL 4)
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sala del Concistoro
Sabato, 5 dicembre 2009

 

Venerati fratelli nell’episcopato,

Do il benvenuto e saluto tutti e ciascuno di voi, nel ricevervi collegialmente nell’ambito della vostra visita ad limina. Ringrazio monsignor Murilo Krieger per le parole di devota stima che mi ha rivolto a nome di tutti voi e del popolo affidato alle vostre cure pastorali nelle regioni ecclesiastiche Sul 3 e 4, esponendo anche le vostre sfide e le vostre speranze. Nell’ascoltare queste cose, sento levarsi dal mio cuore azioni di rendimento di grazie al Signore per il dono della fede misericordiosamente concesso alle vostre comunità ecclesiali e da esse zelantemente conservato e coraggiosamente trasmesso, in obbedienza al mandato che Gesù ci ha lasciato di portare la sua Buona Novella a ogni creatura, cercando di pervadere di umanesimo cristiano la cultura attuale.

Riguardo alla cultura, il pensiero si volge a due ambiti classici in cui essa si forma e comunica – l’università e la scuola -, fissando l’attenzione principalmente sulle comunità accademiche che sono nate all’ombra dell’umanesimo cristiano e che s’ispirano a esso, onorandosi del nome di “cattoliche”. Ora “è proprio nel riferimento esplicito e condiviso da tutti i membri della comunità scolastica – sia pure in grado diverso – alla visione cristiana, che la scuola è “cattolica”, poiché i principi evangelici diventano in essa norme educative, motivazioni interiori e insieme mete finali” (Congregazione per l’Educazione Cattolica, La scuola cattolica, n. 34).

Possa essa, in una convinta sinergia con le famiglie e con la comunità ecclesiale, promuovere quella unità fra fede, cultura e vita che costituisce l’obiettivo fondamentale dell’educazione cristiana.

Anche le scuole statali, secondo diverse forme e modi, possono essere aiutate nel loro compito educativo dalla presenza di professori credenti – in primo luogo, ma non esclusivamente, i professori di religione cattolica – e di alunni formati cristianamente, come pure dalla collaborazione delle famiglie e della stessa comunità cristiana. In effetti, una sana laicità della scuola non implica la negazione della trascendenza, e neppure una mera neutralità dinanzi a quei requisiti e valori morali che si trovano alla base di un’autentica formazione della persona, includendo l’educazione religiosa.

La scuola cattolica non può essere pensata né vivere separata dalle altre istituzioni educative. Essa è al servizio della società: svolge una funzione pubblica e un servizio di pubblica utilità, non riservato solo ai cattolici, ma aperto a tutti coloro che desiderano usufruire di una proposta educativa qualificata. Il problema della sua equiparazione giuridica ed economica alla scuola statale potrà essere correttamente impostato solo se partiamo dal riconoscimento del ruolo primario delle famiglie e da quello sussidiario delle altre istituzioni educative. Nell’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo si legge: “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”. L’impegno plurisecolare della scuola cattolica va in questa direzione, spinto da una forza ancora più radicale, ossia dalla forza che fa di Cristo il centro del processo educativo.

Questo processo, che ha inizio nelle scuole primaria e secondaria, si realizza in modo più alto e specializzato nelle università. La Chiesa è stata sempre solidale con l’università e con la sua vocazione di condurre l’uomo ai più alti livelli della conoscenza della verità e del dominio del mondo in tutti i suoi aspetti. Mi compiaccio di esprimere la mia viva gratitudine ecclesiale alle diverse congregazioni religiose che fra di voi hanno fondato e sostenuto rinomate università, ricordando loro tuttavia che queste non sono proprietà di chi le ha fondate o di chi le frequenta, ma espressione della Chiesa e del suo patrimonio di fede.

In tal senso, amati fratelli, vale la pena ricordare che, lo scorso agosto, ha compiuto venticinque anni l’Istruzione Libertatis nuntius della Congregazione per la Dottrina della Fede, su alcuni aspetti della teologia della liberazione; in essa si sottolineava il pericolo che comportava l’accettazione acritica da parte di alcuni teologi di tesi e metodologie provenienti dal marxismo. Le sue conseguenze più o meno visibili fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia, si fanno ancora sentire, creando nelle vostre comunità diocesane grande sofferenza e una grave perdita di forze vive. Supplico quanti in qualche modo si sono sentiti attratti, coinvolti e toccati nel proprio intimo da certi principi ingannatori della teologia della liberazione, di confrontarsi nuovamente con la suddetta Istruzione, accogliendo la luce benigna che essa offre a mani tese; a tutti ricordo che “la “regola suprema della propria fede” (della Chiesa) … proviene dall’unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente” (Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 55). Che, nell’ambito degli organismi e comunità ecclesiali, il perdono offerto e accolto in nome e per amore della Santissima Trinità, che adoriamo nei nostri cuori, ponga fine alla sofferenza dell’amata Chiesa che peregrina nelle terre della Santa Croce.

Venerati fratelli nell’episcopato, nell’unione con Cristo ci precede e ci guida la Vergine Maria, tanto amata e venerata nelle vostre diocesi e in tutto il Brasile. In Lei troviamo, pura e non deformata, la vera essenza della Chiesa e così, attraverso di Lei, impariamo a conoscere e ad amare il mistero della Chiesa che vive nella storia, ci sentiamo profondamente parte di essa, diveniamo a nostra volta “anime ecclesiali”, imparando a resistere a quella “secolarizzazione interna” che minaccia la Chiesa e i suoi insegnamenti.

Mentre chiedo al Signore di effondere l’abbondanza della sua luce su tutto il mondo brasiliano della scuola, affido i suoi protagonisti alla protezione della Vergine Santissima e imparto a voi, ai vostri sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai laici impegnati, e a tutti i fedeli delle vostre diocesi, una paterna benedizione apostolica.



[SM=g1740763]



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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740733]ricapitoliamo l'errore commesso nell'articolo di Tornielli



RATZINGER E LA CONDANNA ALLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE. QUELLO CHE TORNIELLI SEMBRA NON AVER CAPITO

Pontifex.Roma(In foto il vaticanista Andrea Tornielli) In un recente articolo del 3 cm Andrea Tornielli ha scritto un articolo per mitigare (forse) del  neo eletto a Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (CdF) il cardinale Muller (nonché amico di vecchia data del santo Padre Benedetto XVI), la sua simpatia o solidarietà verso Gustavo Gutierrez uno dei padri fondatori della Teologia della Liberazione (TdL).L'articolo è qui (CLICCA PER LEGGERLO). Diciamo subito che non c'era affatto alcun bisogno di un articolo che gettasse maggiore ambiguità e confusione su di una teologia nettamente condannata sia da Giovanni Paolo II quanto dall'attuale Pontefice Benedetto XVI, ma se Tornielli l'ha scritto è evidente che l'unico intento è quello di alleggerire i giudizi negativi su Muller che molti fedeli hanno nutrito in tutti questi anni a causa di alcuni suoi interventi non proprio ortodossi. Per esempio, Muller avrebbe negato la Verginità di Maria con questo frasario ...

... che a molti suona ambiguo se non prossimo all'eresia:

"Nel suo lavoro da 900 pagine "Katholische Dogmatik. Für Studium und Praxis der Theologie" (Freiburg. 5th Edition, 2003), Müller nega il dogma della Perpetua Verginità della Vergine Maria sostenendo che la dottrina "non riguarda tanto specifiche proprietà fisiologiche del processo naturale della nascita (come il fatto che il canale del parto non si sia aperto, che l'imene non sia stato rotto, o l'assenza di doglie), ma con l'influenza guaritrice e salvatrice della grazia del Salvatore sulla natura umana."  qui la fonte anche per dimostrare che non siamo i soli a sollevare queste inquietanti situazioni di forte disagio: http://fidesetforma.blogspot.it/

Ammesso e non concesso che Muller si è addentrato un po' troppo sfacciatamente all'interno del Corpo della Vergine Maria facendo affermazioni in sé persino accettabili dal momento che il dogma della Verginità non è una diagnosi ginecologica, né vi era richiesta una tale visita, va da se però che tale Verginità dogmatica ricopre anche la questione fisica della Santa Madre di Dio...

Insomma, Muller è stato chiamato a fare il ginecologo o è stato chiamato per proteggere, vivere, testimoniare ed insegnare ciò che la Chiesa definisce quale dottrina e dogma?

Tornando alla tela del titolo, Tornielli scrive un pezzo in cui, mitigando la pericolosità della TdL, cerca di sollevare Muller dall'influsso di certe amicizie e per farlo "promuove" la TdL scrivendo che: "Si è diffusa l’idea che Giovanni Paolo II e l’allora cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, abbiano condannato senza appello questa teologia e dunque il rapporto tra un vescovo e un teologo liberazionista (peraltro mai condannato o sanzionato da Roma) sarebbe un elemento «sospetto». In realtà l’istruzione Libertatis nuntio, pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede il 6 agosto 1984  metteva in guardia dai rischi e dalla deviazioni di quella Teologia della liberazione che adottava l’analisi marxista della realtà. (..) Nel mirino della Congregazione non c’era però tutta la Teologia della liberazione, nata nei Paesi dell’America Latina negli anni del post-concilio, né tanto meno la sua «opzione preferenziale per i poveri». Ma soltanto l’analisi marxista che alcuni dei teologi utilizzavano. ..."

Confesso subito serenamente che non sono preoccupata per questa nomina, la strategia di Razinger non è cambiata, lui ha sempre lavorato con persone che non condividevano tutto con l'ortodossia della fede ma li ha sempre attirati alla Verità e Muller ce la può fare ANCHE CON LE NOSTRE PREGHIERE!

Ciò che mi preoccupa invece è il solito giornalismo vaticanista SCHIERATO... l'articolo di Tornielli citato, che tende a minimizzare la condanna della TdL è semplicemente VERGOGNOSO!!! Quando il Papa nel 2009 ha SUPPLICATO i vescovi del Brasile di stare alla larga da questa teologia e di applicare la Libertatis Nuntius.

Benedetto XVI, «principî ingannatori della teologia della liberazione», ai Vescovi del Brasile, 5-12-2009, le sue parole:

"vale la pena ricordare che, lo scorso agosto, ha compiuto venticinque anni l’Istruzione Libertatis nuntius della Congregazione per la Dottrina della Fede, su alcuni aspetti della teologia della liberazione; in essa si sottolineava il pericolo che comportava l’accettazione acritica da parte di alcuni teologi di tesi e metodologie provenienti dal marxismo. Le sue conseguenze più o meno visibili fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia, si fanno ancora sentire, creando nelle vostre comunità diocesane grande sofferenza e una grave perdita di forze vive. Supplico quanti in qualche modo si sono sentiti attratti, coinvolti e toccati nel proprio intimo da certi principi ingannatori della teologia della liberazione, di confrontarsi nuovamente con la suddetta Istruzione, accogliendo la luce benigna che essa offre a mani tese; a tutti ricordo che “la “regola suprema della propria fede” (della Chiesa) … proviene dall’unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente” (Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 55)".

Ora, ammesso pure che va da se che tale condanna ad una teologia moderna non è mai assoluta nella Chiesa (a meno che non riguardi una dottrina o un dogma già insegnate dalla Chiesa per le quali non c'è discussione che tenga) in virtù di quel monito paolino "trattenete ciò che è buono", occorre dire che Ratzinger è sempre stato negativo sulla TdL e lo stesso Giovanni Paolo II fu molto severo verso i... missionari che la usavano anche "a fin di bene"....

Se il nostro parlare deve essere si, si-no, no, il cattolico NON ha nulla da imparare da questa falsa teologia perché, come spiega nella Deus Caritas est e nella Spe Salvi, la sorgente propria del comunismo, le sue radici, non sono affatto buone e che la Chiesa aveva già da duemila anni predicato ed operato per i poveri, verso i poveri dando origine alle opere di bene, ma anche alle strutture sociali come scuole, ospedali, ricoveri per anziani e bisognosi. ...

Se il Papa è giunto a SUPPLICARE i vescovi di non lasciarsi ingannare da questa TdL un motivo c'è, queste le parole del Papa, ripetiamole: "Supplico quanti in qualche modo si sono sentiti attratti, coinvolti e toccati nel proprio intimo da certi principi ingannatori della teologia della liberazione, di confrontarsi nuovamente con la suddetta Istruzione, accogliendo la luce benigna che essa offre a mani tese; a tutti ricordo che “la “regola suprema della propria fede” (della Chiesa) … proviene dall’unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente”.

Certo, queste parole non fanno della TdL una eresia dal momento che essa non tocca direttamente i dogmi, ma attenzione, agendo sull'UMANESIMO attraverso una teologia moderna e di stampo comunista, si finisce per andare a toccare i dogmi che riguardano poi tutta la struttura sociale dell'uomo stesso.

Ma proprio per questo è fondamentale leggere  le due encicliche nelle quali il Papa spiega quale siano quelle "alcune analisi" fondamentali alla condanna alla TdL e non per mitigarla, ma per condannarla. Inoltre  si deve considerare che è proprio su queste "alcune analisi" che si fonda la TdL sposata dai cattolici in quei paesi... Non sottovalutiamo il termine usato da Benedetto XVI: SUPPLICO, SUPPLICO dice il Papa - quanti in qualche modo si sono sentiti attratti, coinvolti e toccati nel proprio intimo da certi principi ingannatori della teologia della liberazione - l'altro termine imponente del Papa è "PRINCIPI INGANNATORI" della TdL, ergo stiamo parlando di principi ingannatori, il Papa che ben la conosce parla proprio di questa nuova teologia come INGANNATRICE NEI SUOI PRINCIPI  e rimanda per l'appunto al testo con il quale, anche nel libro intervista luce del mondo, egli ricondanna la TdL COME INGANNATRICE DEI PRINCIPI CRISTIANI... quello che possiamo condividere è già nostro, è già cattolico, lo comprende Tornielli? E' nostro da 2000 anni e ce lo ha dato Cristo non marx!

Scrive infatti l'allora Ratzinger nel Documento Libertatis Nuntius:

13. Indubbiamente è proprio per sottolineare il carattere radicale della liberazione operata dal Cristo e offerta a tutti gli uomini - siano essi politicamente liberi o schiavi - che il Nuovo Testamento non esige innanzi tutto, come presupposto per l'accesso a questa libertà, un cambiamento di condizione politica e sociale. Tuttavia, la Lettera a Filemone dimostra che la nuova libertà, apportata dalla grazia di Cristo, deve avere necessariamente delle ripercussioni sul piano sociale.

14. Di conseguenza non si può restringere il campo del peccato, il cui primo effetto è quello di introdurre il disordine nella relazione tra l'uomo e Dio, al cosiddetto "peccato sociale". In realtà solo una retta dottrina sul peccato permette d'insistere sulla gravità dei suoi effetti sociali. (..)

Anche numerosi episcopati, in accordo con la Santa Sede, hanno richiamato l'urgenza e le vie verso "un'autentica liberazione umana...".

Quindi è ragionevole sostenere che la TdL è una falsa liberazione umana....

Quando la Chiesa partorisce documenti del genere, non è per discuterli o mitigare l'errore, ma per mettere a tacere l'errore e aiutare gli erranti ad una corretta interpretazione, in questo caso, dell'autentico umanesimo portato dalla dottrina sociale della Chiesa che non è affatto d'accordo sulla TdL, scrive infatti Ratzinger nella Libertalis: "Lo zelo e la compassione che devono abitare nel cuore di tutti i pastori rischiano, tuttavia, di essere fuorviati e rivolti verso iniziative altrettanto rovinose per l'uomo e la sua dignità, quanto la miseria che si combatte, se non si è sufficientemente attenti di fronte a certe tentazioni...".

La TdL è una TENTAZIONE verso una soluzione NON cristiana dei problemi sociali!

Probabilmente Tornielli si rifà a questi punti del Documento:

7. Abbiamo detto sopra (cf. IV, 3) che esiste un'autentica "teologia della liberazione", quella che è radicata nella Parola di Dio, debitamente interpretata.

8. Ma da un punto di vista descrittivo conviene parlare di teologie della liberazione, poiché l'espressione si applica a posizioni teologiche, e talvolta perfino ideologiche, non solo diverse, ma spesso anche incompatibili tra di loro.

9. Nel presente documento si tratterà soltanto di quelle espressioni di questa corrente di pensiero che, sotto il nome di "teologia della liberazione", propongono un'interpretazione innovatrice del contenuto della fede e dell'esistenza cristiana, che si discosta gravemente dalla fede della Chiesa, anzi, ne costituisce la negazione pratica.

10. Alla base della nuova interpretazione, che finisce per corrompere ciò che aveva di autentico l'iniziale impegno per i poveri, sta l'assunzione non critica di elementi dell'ideologia marxista e il ricorso alle tesi di un'ermeneutica biblica viziata di razionalismo...

***

Il punto 7 lo troviamo spiegato nelle due Encicliche Deus Caritas est e la Spe Salvi, quella autentica teologia per l'uomo debitamente interpretata... ma non vi è affatto una promozione alla TdL in quanto tale, il Documento infatti conclude con queste parole che sono un monito e vincolano i Cattolici di tutto il mondo:

"Tutti coloro che - sacerdoti, religiosi e laici - udendo il grido che invoca giustizia, vogliono lavorare per l'evangelizzazione e la promozione umana, dovranno farlo in comunione con i loro Vescovi e con la Chiesa, ciascuno secondo la propria specifica vocazione ecclesiale.

Coscienti del carattere ecclesiale della loro vocazione, i teologi collaboreranno, con lealtà e in spirito di dialogo, con il Magistero della Chiesa. Essi sapranno riconoscere nel Magistero un dono di Cristo alla sua Chiesa (29) e ne accoglieranno la parola e le direttive con rispetto filiale.

(..) Le tesi delle "teologie della liberazione" sono largamente diffuse, sotto forma ancora semplificata, in circoli di formazione o nei gruppi di base, che mancano di preparazione catechetica e teologica. Per questo sono accettate, senza la possibilità di un giudizio critico, da uomini e donne generosi.

Per questo i Pastori devono vigilare sulla qualità e sul contenuto della catechesi e della formazione, che deve sempre presentare la integralità del messaggio della salvezza e gli imperativi della vera liberazione dell'uomo nel quadro di questo messaggio integrale...(..) Le parole di Paolo VI, nella Professione di fede del popolo di Dio, esprimono con piena chiarezza la fede della Chiesa, dalla quale non ci si può allontanare senza provocare, insieme ai danni spirituali, nuove miserie e nuove schiavitù.

"Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, "non è di questo mondo", "la cui figura passa"; e che la sua vera crescita non può essere confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere..."

Nel famoso libro intervista Rapporto sulla fede all'allora cardinale Ratzinger, Messori fa questa domanda sul capitolo dedicato alla TdL:

Resta comunque il fatto, dico, che questa esigenza di liberazione è una sfida che va accettata; non ha dunque ben fatto la teologia a raccoglierla per darle una risposta cristiana?

Risponde il futuro papa:

"Certo, purché quella risposta sia cristiana veramente. Il bisogno di salvezza oggi così avvertito esprime la percezione autentica, per quanto oscura, della dignità dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Ma il pericolo di certe teologie è che si lascino suggerire il punto di vista immanentistico, solo terrestre, dai programmi di liberazione secolaristici. I quali non vedono, né possono vedere che la " liberazione " è innanzitutto e principalmente liberazione da quella schiavitù radicale che il "mondo" non scorge, che anzi nega: la schiavitù radicale del peccato".

Nell'insegnamento di Ratzinger, diventato Pontefice, la verità sulla TdL è la seguente:

"La teologia della liberazione è un fenomeno straordinariamente complesso: essa va dalle posizioni più radicalmente marxiste fino a quelle che pongono il luogo appropriato della necessaria responsabilità del cristiano verso i poveri e gli oppressi nel contesto di una corretta teologia ecclesiale, (..) Con l'analisi del fenomeno della teologia della liberazione diventa manifesto un pericolo fondamentale per la fede della Chiesa. Indubbiamente bisogna tener presente che un errore non può esistere se non contiene un nucleo di verità. Di fatto un errore è tanto più pericoloso quanto maggiore è la proporzione del nucleo di verità recepita. Inoltre l'errore non potrebbe appropriarsi di quella parte di verità se questa verità fosse sufficientemente vissuta e testimoniata lì dove è il suo posto, cioè nella fede della Chiesa. Perciò, accanto alla dimostrazione dell'errore e del pericolo della teologia della liberazione bisogna sempre affiancare la domanda: quale verità si nasconde nell'errore e come recuperarla pienamente?...".

La verità è quella che Benedetto XVI riporta ampiamente nelle due encicliche Deus Caritas est e la Spe Salvi, queste sono le autentiche "teologie della liberazione" perché toccano l'uomo nel suo essere partendo da quella liberazione autentica che sconfigge il peccato che abita dentro l'uomo rendendolo "uomo nuovo" capace allora di avanzare nel sociale alla luce di Colui che l'ha redento e che è l'unico vero liberatore: Gesù Cristo non solo uomo, ma Dio e nostro Signore che non combatte con le dottrine degli uomini, ma con la legge divina e i Dieci Comandamenti, tutti e dieci, nessuno escluso.

Nel momento in cui la Legge di Dio, i Dieci Comandamenti vengono separati, uno solo offuscato, siamo alle TdL umane e comuniste. Queste e non altre sono le autentiche considerazioni da fare.

LDCaterina63

***********************

onestà per onestà, ottima invece questa intervista..... [SM=g1740733]

Don Nicola Bux analizza le contestazioni rivolte al nuovo Prefetto: «Se si estrapola dal contesto, è facile condannare chiunque»
ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

La nomina del vescovo di Ratisbona Gerhard Müller a nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede è stata preceduta e seguita dalla diffusione – prima attraverso anonime email e quindi in articoli sul web, compreso nel sito italiano della Fraternità San Pio X – di piccole estrapolazioni dai suoi scritti che riporterebbero posizioni discutibili in materia di fede. Le cose stanno davvero così? Vatican Insider ha intervistato su questo il teologo Nicola Bux, consultore della Congregazione per la dottrina della fede.

Nel suo libro di dogmatica, Müller scrive che la dottrina sulla verginità di Maria «non riguarda tanto specifiche proprietà fisiologiche del processo naturale della nascita…».

«Il Catechismo della Chiesa Cattolica precisa che l’aspetto corporeo della verginità è tutta nel fatto che Gesù sia stato concepito senza seme umano, ma per opera dello Spirito Santo. Essa è un’opera divina che supera ogni comprensione e possibilità umana. La Chiesa confessa la verginità reale e perpetua di Maria ma non si addentra in particolari fisici; né pare che i concili e i padri abbiano detto diversamente.

In questa linea, mi sembra, vada inteso quanto ha scritto Müller, il quale non sostiene una “dottrina” che neghi il dogma della perpetua verginità di Maria, ma mette in guardia da un certo, per dir così, “cafarnaismo”, cioè quella maniera di ragionare “secondo la carne” e non “secondo lo spirito”, già emersa a Cafarnao tra i giudei al termine del discorso di Gesù sul pane della vita».

(apro una parentesi per riconfermare quanto avevo desso sopra su questo appunto:

Ammesso e non concesso che Muller si è addentrato un po' troppo sfacciatamente all'interno del Corpo della Vergine Maria facendo affermazioni in sé persino accettabili dal momento che il dogma della Verginità non è una diagnosi ginecologica, né vi era richiesta una tale visita, va da se però che tale Verginità dogmatica ricopre anche la questione fisica della Santa Madre di Dio...

Insomma, Muller è stato chiamato a fare il ginecologo o è stato chiamato per proteggere, vivere, testimoniare ed insegnare ciò che la Chiesa definisce quale dottrina e dogma? [SM=g1740733] )



Nel 2002 Müller, nel libro «Die Messe - Quelle des christlichen Lebens», parlando del sacramento eucaristico scrive che «il corpo e il sangue di Cristo non indicano componenti materiali della persona umana di Gesù nel corso della sua vita o della sua corporeità trasfigurata. Qui, corpo e sangue significano la presenza di Cristo nei segni del medium costituito da pane e vino».

«Proprio a Cafarnao i termini usati da Gesù, carne e sangue, furono fraintesi in modo antropomorfico e il Signore dovette ribadire il loro senso spirituale che non vuol dire che la sua presenza sia meno reale, vera e sostanziale. Si veda in proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica. Sant’Ambrogio dice che non si tratta dell’elemento formato dalla natura, ma della sostanza prodotta dalla formula di consacrazione: la stessa natura viene trasformata, perciò corpo e sangue sono l’essere di Gesù. Il concilio Tridentino dice che nell’eucaristia è presente “sostanzialmente” nostro Signore, vero Dio e vero uomo. È presente sacramentalmente con la sua sostanza, un modo di essere misterioso, ammissibile per fede e possibile da parte di Dio.

San Tommaso aveva detto che il modo della “sostanza” e non quello della “quantità”, caratterizza la presenza di Cristo nel sacramento dell’eucaristia. Il pane e il vino in quanto specie o apparenze, mediano il nostro accesso alla “sostanza”, cosa che accade soprattutto nella comunione. Comunque il concilio Tridentino non vede contraddizione tra il modo naturale della presenza di Cristo in cielo e quello sacramentale di essere in molti altri luoghi. Tutto ciò è stato ribadito da Paolo VI nella sua purtroppo dimenticata enciclica Mysterium Fidei. Non bastano i sensi ma ci vuole la fede. È mistero della fede».

Sul protestantesimo e l’unicità salvifica di Gesù, Müller nell’ottobre 2011 ha dichiarato: «Il battesimo è il segno fondamentale che ci unisce sacramentalmente in Cristo, e che ci presenta come una Chiesa dinanzi al mondo. Perciò, noi come cattolici e cristiani evangelici siamo già uniti persino in ciò che chiamiamo la Chiesa visibile».

«Sant’Agostino ha difeso contro i donatisti, la verità che il battesimo è un vincolo indistruttibile, che non abolisce la fraternità tra i cristiani, anche quando sono scismatici o eretici. Purtroppo oggi nella Chiesa si teme il dibattito, ma si procede per tesi e ostracismi di chi la pensa diversamente. Mi riferisco alla teologia, certo, che può essere opinabile.

Tuttavia anche lo sviluppo dottrinale trae giovamento dal dibattito: chi più ha argomenti, convince. Nelle accuse a monsignor Müller si estrapola dal contesto: così è facile condannare chiunque. Un vero cattolico deve fidarsi dell’autorità del Papa, sempre. In particolare, credo che Benedetto XVI sappia quel che fa. E vorrei rinnovare alla Fraternità Sacerdotale San Pio X proprio l’invito a fidarsi del Papa».

È stato detto che il nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede non sarebbe stato finora molto favorevole al Motu proprio Summorum Pontificum…

«Io sono certo che comprenda le ragioni che hanno indotto il Papa a promulgarlo e che opererà secondo lo spirito e la lettera del Motu proprio. Quanto alle estrapolazioni di cui abbiamo parlato, le cose scritte da monsignor Müller appartengono alla sua stagione di teologo e un teologo non produce dottrina, almeno immediatamente. Da vescovo deve invece difendere e diffondere la dottrina non sua, ma della Chiesa e credo che l’abbia fatto. Da Prefetto continuerà a farlo, sotto la guida del Papa».

[SM=g1740722]


[SM=g1740733]

[Modificato da Caterina63 05/07/2012 21:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740758]Il Papa, la teologia della liberazione, il marxismo (Prima parte)
Liberare la Chiesa da qualsiasi interpretazione ideologica

Roma, 20 Aprile 2013 (Zenit.org) Maurizio Moscone | da Zenit.org

1. “Il Signore liberi la Chiesa da qualsiasi interpretazione ideologica”

Papa Francesco suscita entusiasmo e ammirazione tra la gente semplice per l’autenticità della sua persona, che si rivela in tutti i suoi comportamenti e atteggiamenti e per l’amore evangelico che manifesta soprattutto verso gli ultimi (ha commosso la celebrazione del Giovedì Santo nel carcere minorile di Casal del Marmo).

Il Papa, vivendo e annunciando con semplicità il Vangelo, dà speranza a tanti uomini e donne che hanno perso il senso e la gioia di vivere e infonde fiducia e ottimismo nelle persone che lo vedono e lo ascoltano.

L’ intellighenzia che legge tutta la realtà, qualunque essa sia, in chiave ideologica, non ha visto nell’elezione del nuovo Pontefice il soffio dello Spirito Santo: giornalisti e opinionisti sono già scesi in campo definendo il Papa o un conservatore o un progressista.

Secondo il Pastore valdese Alessandro Esposito, il Pontefice è un conservatore.

Scrive:

“In effetti il nuovo pontefice, sotto il profilo etico e dogmatico, non lascia intravedere alcuna possibilità per il rinnovamento in seno al cattolicesimo romano e può essere considerato in tutto e per tutto un fedele prosecutore del conservatorismo osservato in merito nell’arco dei due ultimi pontificati (sotto i quali, non va dimenticato, è avvenuta la quasi totalitàdelle nomine cardinalizie che compongono l’attuale conclave): basti, a tale proposito, dare una rapida scorsa ai commenti di Bergoglio relativi a tematiche quali l’aborto e l’eutanasia, che riprendono, radicalizzandole, le tesi elencate nel documento approvato dai vescovi latinoamericani e ratificato da papa Benedetto XVI nel corso della «V Conferenza Generale dell’episcopato dell’America Latina e dei Caraibi» tenutasi ad Aparecida, Brasile, dal 13 al 31 maggio del 2007. Ancora più eloquenti le dichiarazioni rilasciate dal primo papa gesuita della storia in seguito alla decisione presa dal governo argentino il 9 luglio del 2010 di riconoscere il matrimonio di persone dello stesso sesso, da lui definito, senza mezzi termini, una «mossa del diavolo» contro cui mobilitare una a suo avviso ineccepibile e improcrastinabile «guerra di Dio»”[1].

Secondo don Paolo Farinella, autore di Habemus Papam, il Papa è un rivoluzionario.

Così inizia un suo articolo apparso su “Micromega”:

“Si è avverata la profezia del mio romanzo Habemus papam, Francesco, riedito nel 2012 da Gabrielli Editori con il titolo «Habemus papam. La leggenda del papa che abolì il Vaticano». Il nome c’è già. Ora aspettiamo che abolisca il Vaticano, se non lo fanno fuori prima. Le premesse ci sono, la primavera anche e Bertone e i suoi complici facciano le valigie”[2].

Così termina il suo articolo:

“Infine, un papa latinoamericano, è una svolta nella storia della Chiesa: finisce la Chiesa italiana, eurocentrica e comincia la Chiesa universale, la Chiesa della periferia, la Chiesa dei poveri, nella speranza che inizi anche l’era di una Chiesa povera.Il papato di Ratzinger è stato solo una parentesi quadra che ha fatto perdere otto anni di tempo. Ora, in attesa che lo facciano fuori, speriamo che abbia la forza di fare piazza pulita, cominciando a dare un segno, chiamando in Vaticano, magari facendolo segretario di Stato, mons. Carlo Maria Viganò […]”[3].

Il Papa parla della Chiesa dei poveri e della Chiesa della periferia, ma non in senso pauperistico. Il cardinale Ortega Y Alamino ha diffuso il testo che l’allora Cardinale Bergoglio aveva presentato alle Congregazioni generali prima della sua elezione al soglio pontificio. E’ scritto nel testo:

“Pensando al prossimo Papa: un uomo che, dalla contemplazione di Gesù Cristo e dall’ adorazione a Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti ad essere madre feconda che vive la dolce e confortante gioia dell’evangelizzazione”.

E’ questa la Chiesa che desidera il Papa ed è questa la Chiesa descritta negli Atti degli Apostoli: la Chiesa che annuncia il Kerigma e rialza chi è caduto, che soccorre l’orfano e la vedova e predica l’amore al nemico.

Non è la chiesa auspicata dalla teologia della liberazione che confonde la redenzione dal peccato, quindi dalla morte ontologica, con la liberazione dalle strutture economiche e sociali ingiuste presenti nel mondo, intese come “strutture di peccato”.

Secondo la teologia della liberazione, “la redenzione - scrive Ratzinger – diventava un processo politico, al quale la filosofia marxista forniva gli orientamenti di fondo. La fede da “teoria” si trasformava in prassi, in un’azione concreta e liberatrice”[4].

Il Papa non “realizza” affatto la teologia della liberazione, come è stato scritto da un’autorevole personalità ecclesiastica, perché è pienamente consapevole dei pericoli in cui va incontro la Chiesa quando la lettura del Vangelo è inquinata dall’ideologia.

Infatti il Pontefice, durante l’omelia tenuta durante la Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta (19 aprile 2013), ha affermato:

“Quando entra l’ideologia, nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza del Vangelo, non si capisce nulla” e ha concluso l’omelia dicendo: “Preghiamo oggi il Signore per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra Madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, che porta l’amore ed è tanto bello! E anche ci fa belli, a noi, con la bellezza della santità. Preghiamo oggi per la Chiesa!”.

“Che il Signore liberi la Chiesa da qualsiasi interpretazione ideologica”, e in particolare da quella marxista, che è l’anima della teologia della liberazione, e ha prodotto e produce tanti mali nel mondo.

(La seconda parte verrà pubblicata sabato 27 aprile)

*

NOTE

[1] A. Esposito, Bergoglio, non facciamone un santo, Blog di Micromega, 14 marzo 2013.

[2] P. Farinella, Francesco I, il nome è un programma. Abolirà anche il Vaticano?, Blog di Micromega, 14 marzo 2013.

[3] Ibidem.

[4] J. Ratzinger, La fede e la teologia ai giorni nostri, in Aa. Vv., Cristianesimo e marxismo, Mondadori, Milano 1969, p. 22.

[SM=g1740771]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] Il Papa, la teologia della liberazione, il marxismo (Seconda parte)

Secondo alcuni teologi, i cristiani possono accettare il marxismo come strumento scientifico utile per realizzare il cambiamento sociale

Roma, 27 Aprile 2013 (Zenit.org) Maurizio Moscone |

2. Il marxismo secondo il magistero dei Papi

2.1 Da Pio IX a Leone XIII


Papa Francesco non soltanto non condivise mai le tesi della teologia della liberazione, ma, anzi, le condannò pubblicamente nel 1979 a Puebla, durante la sua partecipazione al Consiglio Episcopale Latinoamericano [1].

Non poteva condividere questa interpretazione della fede intesa come prassi liberatrice, secondo la quale «di fronte a un mondo che non corrisponde alla bontà di Dio», i teologi della liberazione si battevano (e si battono) per il superamento di questa situazione tramite, scrive Ratzinger, «un mutamento radicale delle strutture del mondo, le strutture del peccato» [2].

Il magistero sociale della Chiesa, al quale Papa Bergoglio ha sempre pienamente aderito, insegna che l’origine dei mali esistenti nel mondo va ricercata non nelle strutture economiche e sociali ingiuste, ma nel “cuore” dell’uomo, che può essere risanato soltanto da Gesù Cristo, vivente nella Chiesa. E’ scritto nel Vangelo: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo» [3].

Alcuni teologi sostengono che il marxismo, anche nella sua versione leninista, può essere accettato dai cristiani come uno strumento scientifico utile per realizzare il cambiamento sociale, prescindendo dalla sua visione atea e materialistica della realtà. Afferma Carmona:

Il marxismo leninismo non può essere accettato dal cristiano come una filosofia integrale, poiché egli possiede una sua concezione del mondo e dell’uomo che è trascendente e umanista, però può utilizzare il marxismo leninismo come un mezzo utile per il cambiamento sociale dato che si è dimostrato un mezzo efficiente e umano. Non per questo il marxismo leninismo sarà accettato nella sua totalità, ma piuttosto nei suoi elementi scientifici storicamente provati che configurano una Praxis di costruzione umanista di nuova società [4].

Secondo Popper il marxismo non è scientifico perché non è confutabile [5]. Esso consiste in una visione totalizzante del mondo, il cui centro è rappresentato dal potere economico.

Scrive in proposito il filosofo: «Marx scoprì l’importanza del potere economico, ed è comprensibile che ne abbia esagerato la portata. Egli e i marxisti vedono il potere economico dappertutto» [6].

Secondo Popper la teoria di Marx è “olistica”, cioè fornisce un’interpretazione totalizzante dell’uomo e della società [7]. Questa interpretazione totalizzante è atea e materialistica ed è il fondamento teorico-pratico del comunismo e del socialismo, entrambi concordemente condannati da tutti i papi[8].

Il primo Papa che si pronunciò con un’enciclica contro “le tenebrose insidie” del comunismo fu Pio IX nel 1846, quando ancora non era stato pubblicato il Manifesto del Partito Comunista (1848). Nell’enciclica Qui Pluribus (1846) viene sottolineato che il comunismo non rispetta il diritto naturale, sconvolge l’ordine sociale, è violento e perseguita ogni religione. E’ scritto:

A questo punta la nefanda dottrina del Comunismo, come dicono, massimamente avversa al diritto naturale; una volta che essa sia ammessa, i diritti di tutti, le cose, le proprietà, anzi la stessa società umana si sconvolgerebbero dal fondo. A questo aspirano le tenebrose insidie di coloro che, in vesti di agnelli, ma con animo di lupi, s’insinuano con mentite apparenze di più pura pietà e di più severa virtù e disciplina: dolcemente sorprendono, mollemente stringono, occultamente uccidono; distolgono gli uomini dalla osservanza di ogni religione, e fanno scempio del gregge del Signore [9].

Nel 1849 Pio IX scrisse un’altra enciclica, Nostis et nobiscum, nella quale affermò che il comunismo e il socialismo, appellandosi falsamente agli ideali di libertà e di uguaglianza, violano tutti i diritti umani e divini, istigano gli operai alla violenza e li utilizzano per rovesciare governi legittimamente costituiti, per depredare le proprietà altrui e, in particolare i beni della Chiesa. E’ scritto:

E per ciò che riguarda questi corrotti sistemi e dottrine, è già noto a tutti che essi, abusando dei nomi di libertà e di uguaglianza, cercano di insinuare nel volgo gli esiziali principi del Socialismo e del Comunismo.

È evidente poi che gli stessi maestri del Comunismo e del Socialismo, sebbene agiscano per via e con metodi diversi, hanno infine quel comune proposito di far sì che gli operai […] si agitino in continue turbolenze e a poco a poco si addestrino a più gravi delitti; intendono poi valersi dell’opera loro al fine di abbattere il governo di qualunque superiore autorità, di rubare, saccheggiare, invadere dapprima le proprietà della Chiesa e poi quelle di tutti gli altri; di violare infine tutti i diritti divini e umani, distruggendo il culto divino e sovvertendo l’intera struttura della società civile[10].

Leone XIII nel 1891 scrisse l’enciclica Rerum Novarum[11], nella quale viene affrontata la “questione sociale” ed è condannato sia il liberalismo selvaggio che il socialismo, perché il primo non rispetta la dignità della persona considerandola non come il fine, ma come lo strumento dello sviluppo economico, e il secondo, nato come reazione alle condizioni di sfruttamento dei lavoratori presenti nei sistemi capitalistici, incita gli operai alla lotta di classe e quindi all’odio verso i padroni, proponendo la trasformazione della proprietà da privata a collettiva e danneggiando così non soltanto i legittimi proprietari, ma anche gli stessi operai. E’ scritto:

A rimedio di questi disordini, i socialisti, attizzando nei poveri l’odio ai ricchi, pretendono si debba abolire la proprietà, e far di tutti i particolari patrimoni un patrimonio comune, da amministrarsi per mezzo del municipio e dello Stato. Con questa trasformazione della proprietà da personale in collettiva, e con uguale distribuzione degli utili e degli agi tra i cittadini, credono che il male sia radicalmente riparato. Ma questa via, invece che risolvere le contese, non fa che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi, giacché manomette i diritti dei legittimi proprietari, altera le competenze dello Stato, e scompiglia tutto l’ordine sociale.

Con l’accumulare pertanto ogni proprietà particolare, i socialisti, togliendo all’operaio la libertà di investire le proprie mercedi, gli rapiscono il diritto e la speranza di trarre vantaggio domestico e di migliorare il proprio stato, e ne rendono perciò infelice la condizione[12].

(La prima parte è stata pubblicata sabato 20 aprile. La terza parte verrà pubblicata il prossimo sabato 4 maggio 2013)

*

NOTE

[1] Cfr. G. Santambrogio, Quando Bergoglio condannò la teologia della liberazione, in “Il Sole 24 Ore”, 14 marzo 2013.

[2] J. Ratzinger, La fede e la teologia ai giorni nostri, cit., p. 22.

[3] Mc 7, 20-23

[4] E. Carmona, Dal messaggio originario dell’evangelo al confronto con la rivoluzione marxista, in Aa. Vv., Cristianesimo e marxismo, Mondadori, Milano 1969, p. 52.

[5] Cfr. K. R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma 1996, p. 225 e segg.

[6]Ibidem, p. 149.

[7] Cfr. ibidem, pp. 156-157.

[8] L’ultima parte dell’articolo è tratta dal mio libro : M. Moscone, I cattolici e le forze politiche dal Risorgimento a oggi, Prefazione di A. Gaspari, IF Press, Morolo (Fr) 2011.

[9] Pio IX, Qui pluribus, 9 novembre 1946.

[10] Idem, Nostis et nobiscum, 8 dicembre 1849.

[11] La Rerum Novarum è il fondamento della dottrina sociale della Chiesa, le encicliche sociali successive sono: Quadragesimo Anno di Pio XI, Mater et Magistra di Giovanni XXIII, Octogesima adveniens di Paolo VI, Centesimus Annus di Giovanni Paolo II.

[12] Leone XIII, Rerum Novarum,15 maggio 1891, n. 4.


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] Il Papa, la teologia della liberazione, il marxismo (Terza e ultima parte)

Roma, 04 Maggio 2013 (Zenit.org) Maurizio Moscone |

2.2. Da Pio XI ad oggi


Pio XI, nell’enciclica Quadragesimo Anno (1931), riconobbe che nel socialismo sono presenti anche delle verità, ma affermò che un cattolico non può essere socialista perché il cristianesimo e il socialismo propongono ideali di società tra di loro contraddittori. E’ dichiarato nell’enciclica: «Se il socialismo, come tutti gli errori, ammette pure qualche parte di vero (il che del resto non fu mai negato dai Sommi Pontefici), esso tuttavia si fonda su una dottrina della società umana, tutta sua propria e discordante dal vero cristianesimo. Socialismo religioso e socialismo cristiano sono dunque termini contraddittori: nessuno può essere buon cattolico ad un tempo e vero socialista»1

Pio XI, nell’enciclica Divini Redemptoris del 1937, condannò «il comunismo bolscevico e ateo minaccia tremenda per la civiltà umana»2 e evidenziò come il comunismo fosse un grave pericolo per l’intera umanità, perché esso «mira a capovolgere l'ordinamento sociale e a scalzare gli stessi fondamenti della civiltà»3.

Il Papa in questa enciclica denunciò, come si evince dai titoli dei paragrafi sotto riportati, le falsità intrinsecamente connesse all’ideologia comunista, i rischi che l’affermazione di tale ideologia comporta per la salvaguardia dei diritti dell’individuo e della famiglia, il disprezzo per la libertà personale e l’odio antireligioso manifestato dai comunisti, le persecuzioni da essi perpetrate contro i cristiani e le “violenze furibonde” commesse in nazioni di tradizione cattolica:

- La dottrina del comunismo ha un falso ideale di giustizia, di eguaglianza e di fraternità.

- L'uomo viene spogliato della vera libertà e della sua dignità.

- Distruzione dei valori fondamentali del matrimonio e della famiglia.

- Persecuzione anticristiana del comunismo in Russia e in Messico

- Orrori del comunismo in Spagna

- Il comunismo è antireligioso per natura e lotta contro tutto ciò che è divino

- Il comunismo ha imposto la schiavitù a milioni di uomini.

Pio XI rilevò che nei confronti dei crimini commessi dal comunismo si era manifestata la «congiura del silenzio nella stampa mondiale»4 e affermò che non era «ammessa alcuna collaborazione con il comunismo»5 perché esso è “intrinsecamente perverso”. Il Papa si appellò quindi ai vescovi perché mettessero in guardia i fedeli da non farsi ingannare e li invitassero a non collaborare con i “senza Dio”. E’ scritto:

Procurate, Venerabili Fratelli, che i fedeli non si lascino ingannare! Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con lui da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana. E se taluni indotti in errore cooperassero alla vittoria del comunismo nel loro paese, cadranno per i primi come vittime del loro errore e quanto più le regioni dove il comunismo riesce a penetrare si distinguono per l'antichità e la grandezza della loro civiltà cristiana, tanto più devastatore vi si manifesterà l'odio dei “senza Dio”6.

Il comunismo fu condannato da Pio XII perché “materialistico e anticristiano” e, per questo motivo, decretò nel 1949 la scomunica per i cattolici che sostengono e diffondono il comunismo. E’scritto nel decreto: «Il comunismo […] è materialistico e anticristiano; i capi dei comunisti infatti, anche se a parole talvolta professano di non combattere la Religione, nella realtà tuttavia, sia nella dottrina che nell’azione, si mostrano contro Dio e contro la vera Religione e la Chiesa di Cristo»7.

Giovanni XXIII nel 1959, in continuità con Pio XII, estese la scomunica a «quanti danno il voto ai candidati che, anche se assumono il nome cristiano, nella pratica si associano ai comunisti e ne favoriscono l’azione»8. Quindi la scomunica riguarda tutti gli elettori cattolici che votavano per candidati i quali, pur dichiarandosi cristiani, collaboravano con i comunisti.

Paolo VI riaffermò il magistero dei suoi predecessori, sostenendo, nell’enciclica Octogesima adveniens del 1971, che «il cristiano deve perseguire i valori della solidarietà e del servizio», ma «rifiutando l’adesione all’ideologia marxista»9.

Giovanni Paolo II espresse una condanna totale nei confronti del marxismo, considerandolo una ideologia antiteista e antiumana. Il Papa scrisse nell’enciclica Centesimus Annus del 1991: «Il marxismo aveva promesso di sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell'uomo, ma i risultati hanno dimostrato che non è possibile riuscirci senza sconvolgere il cuore»10.

Nell’enciclica Veritatis Splendor del 1993, Giovanni Paolo II affermò che il marxismo fa parte delle ideologie «che legavano la politica ad una concezione totalitaria del mondo»11.

Benedetto XVI, durante un incontro con il clero romano svoltosi nel 2006, disse che il XX secolo è stato caratterizzato da «due ideologie distruttive: fascismo-nazismo e comunismo» e sottolineò che «proprio in questo secolo, che si è opposto alla fede della Chiesa, il Signore ci ha dato una catena di grandi Papi, e così un'eredità spirituale che ha confermato, direi, storicamente, la verità del Primato del Successore di Pietro»12.

Giovanni Paolo II fa parte sicuramente di questa “catena di grandi Papi” e, avendo sperimentato personalmente la brutalità delle dittature naziste e comuniste, ha conosciuto le “ideologie del male” che hanno ispirato i due regimi totalitari. Queste ideologie del male «sono profondamente radicate ― scrive il Papa in Memoria e identità ― nella storia del pensiero europeo»13 e, «mentre il Signore ha concesso al nazismo dodici anni di esistenza e dopo dodici anni il sistema è crollato»14, il comunismo anche se «è caduto a motivo dell’insufficienza socio-economica del suo sistema, […] ciò non vuol dire che sia realmente respinto come ideologia e come filosofia»15.

(La seconda parte è stata pubblicata sabato 27 aprile)

*

NOTE

1 Pio XI, Quadragesimo Anno, 15 maggio 1931, n. 120. La seconda e la terza parte dell’articolo è tratta dal mio libro: M. Moscone, I cattolici e le forze politiche dal Risorgimento a oggi, Prefazione di A. Gaspari, IF Press, Roma 2011.

2 Id., Divini Redemptoris, 19 marzo 1937, n. 1.

3 Ivi, n. 3.

4 Riguardo al rapporto esistente tra la diffusione del comunismo e il silenzio della stampa mondiale, Pio XI afferma:

Un potente aiuto al diffondersi del comunismo è una vera congiura del silenzio in una grande parte della stampa mondiale non cattolica. Diciamo congiura, perché non si può altrimenti spiegare che una stampa così avida di mettere in rilievo anche i piccoli incidenti quotidiani, abbia potuto per tanto tempo tacere degli orrori commessi in Russia, nel Messico e anche in gran parte della Spagna, e parli relativamente così poco d'una sì vasta organizzazione mondiale quale è il comunismo di Mosca. Questo silenzio è dovuto in parte a ragioni di una politica meno previdente, ed è favorito da varie forze occulte le quali da tempo cercano di distruggere l'ordine sociale cristiano (ivi, n. 18).

5 Ivi, n. 58.

6 Ibid.

7 Decreto Congregazione del Santo Uffizio, 1 luglio 1949.

8 Decreto Congregazione del Santo Uffizio, 25 marzo 1959.

9 Paolo VI, Octogesima adveniens,14 maggio 1971, n. 15.

10 Giovanni Paolo II, Centesimus Annus,1 maggio 1991,n. 24.

11 Id., Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, n. 101.

12 Benedetto XVI, Incontro con il clero della Diocesi di Roma, 2 marzo 2006.

13 Giovanni Paolo II, Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, Rizzoli, Milano 2005, p. 18.

14 Ivi, p. 26.

15 Ivi, p. 63.

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Il fratello di Leonardo Boff: «dovevamo ascoltare Ratzinger!»

Leonardo BoffLa Teologia della Liberazione è stata una delle peggiori sciagure abbattutesi sulla Chiesa, i cui autori sono il teologo Gustavo Gutierrez, domenicano e Leonardo Boff, francescano. Nata dopo il Concilio Vaticano II, aveva lo scopo di essere una sua interpretazione calata nel contesto drammatico della povertà di massa dell’America Latina.

Eppure ha finito per mischiare la teologia con l’analisi marxista, legittimando la lotta di classe, armata e quindi inevitabilmente violenta. Per questo l’episcopato dell’America Latina ha condannato questa Teologia comunista nel 1979 e lo stesso ha fatto il card. Joseph Ratzinger, su invito di Giovanni Paolo II, dopo averla studiata dal punto di vista dell’ortodossia e della dottrina sociale della chiesa. In entrambi i documenti, “Libertatis Nuntius” (1984) e “Libertatis Conscientia” (1986) è stata denunciata la sudditanza della Teologia della Liberazione all’analisi marxista della società e quindi la sua incompatibilità con il messaggio evangelico. Un’analisi accurata è stata fatta poco tempo fa dal prof. Marco Fasol sul nostro sito web.

Leonardo Boff (oggi collaboratore del “Fatto Quotidiano”) non ha mai perdonato questo intervento di Ratzinger sulla “sua” creatura. Se n’è andato dalla Chiesa e ha iniziato a marciarvi contro con la sua attività nelle sedicenti “Comunità di base” brasiliane. Una sorta di Don Gallo carioca. Recentemente ha esaltato la figura di Papa Francesco, anche se poco prima del Conclave ai quotidiani brasiliani diceva che Bergoglio non doveva esservi nemmeno ammesso. Questo perché, lui non lo dice ma è il vero motivo, il card. Bergoglio ha vissuto in Argentina l’esperienza della Teologia marxista, rigettandone le tesi e arrivando anche a condannare i suoi confratelli gesuiti che si lasciavano attrarre.Teologia della liberazione

Interessante a questo proposito l’intervista realizzata dal quotidiano “Folha de São Paulo” al fratello di Leonardo Boff, Clodoveo. Il quale ha affermato, smentendo suo fratello Leonardo: «Nei due articoli pubblicati dal card. Ratzinger egli ha difeso il progetto essenziale della teologia della liberazione: l’impegno per i poveri a causa della fede. Allo stesso tempo, ha criticato l’influenza marxista. La Chiesa non può avviare negoziati per quanto riguarda l’essenza della fede: non è come la società civile dove la gente può dire quello che vuole. Siamo legati ad una fede e se qualcuno professa una fede diversa si autoesclude dalla Chiesa. Fin dall’inizio ha avuto chiara l’importanza di mettere Cristo come il fondamento di tutta la teologia. Nel discorso egemonico della teologia della liberazione, tuttavia, ho avvertito che la fede in Cristo appariva solo in background. Il “cristianesimo anonimo” di Karl Rahner era una grande scusa per trascurare Cristo, la preghiera, i sacramenti e la missione, concentrandosi sulla trasformazione delle strutture sociali».

Clodoveo Boff, fratello di Leonardo, ha quindi proseguito: «Negli anni ’70 il card. Eugenio Sales mi ha ritirato la certificazione per l’insegnamento della teologia presso l’Università Cattolica di Rio. Sales mi ha affabilmente spiegato: “Clodoveo, penso che ti sbagli. Fare del bene non basta per essere cristiani, l’essenziale è confessare la fede..”. Aveva ragione, infatti la Chiesa è diventata irrilevante. E non solo essa, ma Cristo stesso».

La redazione






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«Ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia». Il Papa ricorda i venticinque anni dalla condanna della «teologia della liberazione»

di Massimo Introvigne

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Il regnante Pontefice ha un’attenzione tutta particolare agli anniversari, di cui fa continua occasione di una pedagogia attenta alla continuità della Chiesa e del Magistero nella storia.

Il 5 dicembre 2009 Benedetto XVI ha ricordato il venticinquesimo anniversario dell’istruzione Libertatis nuntius da lui firmata nel 1984 come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede in cui condannava la teologia della liberazione e l’«assunzione acritica fatta da alcuni teologi di tesi e metodologie provenienti dal marxismo.

Le sue conseguenze più o meno visibili fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia si fanno sentire ancora oggi creando […] grande sofferenza» (Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale del Brasile (Regione SUL 3 e SUL 4) in visita «ad Limina Apostolorum», del 5-12-2009).
Parlando – e la circostanza non è poco significativa – a vescovi del Paese in cui più danni ha fatto la teologia della liberazione, il Brasile, il Papa ha aggiunto: «Supplico quanti in qualunque modo si sentissero attratti, coinvolti o raggiunti nel loro intimo da certi principi ingannatori della teologia della liberazione perché si confrontino nuovamente con la citata Istruzione, accogliendo la luce benigna che essa offre con la mano tesa; a tutti ricordo che “la ‘regola suprema della propria fede’ (cattolica) proviene dall'unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente” ([Giovanni Paolo II, 1978-2005,] Fides et Ratio [1998], 55)».

La Chiesa – come ricordava Papa Pio XI (1922-1939) nell’enciclica Divini Redemptoris del 1937 (n. 4) – ha condannato il comunismo già prima che fosse pubblicato, nel 1848, il Manifesto del Partito Comunista, precisamente nel 1846 con l’enciclica Qui pluribus del Beato Pio IX (1846-1878). La stessa Divini Redemptoris – pubblicata cinque giorni dopo l’enciclica sul nazional-socialismo Mit brennender Sorgeper evitare l’uso propagandistico della condanna dell’avversario da parte dell’uno come dell’altro regime – costituisce la più articolata analisi del fenomeno comunista da parte della Chiesa. Ma i documenti sono letteralmente centinaia, e l’istruzione Libertatis nuntius, del 6 agosto 1984, è particolarmente importante.

Questo documento infatti aiuta a rispondere alla domanda fondamentale: perché la Chiesa ha condannato il comunismo? Le risposte «perché insegna e diffonde l’ateismo» e «perché perseguita la Chiesa» non sono di per sé sbagliate, ma sono inadeguate e incomplete. Dall’istruzione Libertatis nuntius – letta, come si deve sempre fare, in tutto il contesto del Magistero sul comunismo – emergono quattro punti che vale la pena di ricordare e di meditare.

(1) Il comunismo è un sistema intrinsecamente perverso, per sua natura anti-religioso e contro l’uomo.

Va sicuramente di moda oggi – a fronte, è vero, di un involgarimento delle dottrine politiche – riconoscere al comunismo almeno una certa coerenza interna ed eleganza di sistema. È un giudizio che si sente enunciare anche da cattolici e da uomini di Chiesa. Non tutto è falso in questo riconoscimento. Ma c’è il rischio che faccia dimenticare l’essenziale: il comunismo è «intrinsecamente perverso» (Divini Redemptoris, n. 58), e non lo è per caso, per circostanze storiche, per malvagità individuale di qualcuno. Le atrocità del comunismo non sono «un fenomeno transitorio solito ad accompagnarsi a qualunque grande rivoluzione, isolati eccessi di esasperazione comuni ad ogni guerra; no, sono frutti naturali del sistema» (ibid., n. 21).

Due elementi tra loro strettamente collegati, «l’ateismo e la negazione della persona umana, della sua libertà e dei suoi diritti, sono centrali nella concezione marxista» (Libertatis nuntius, n. 9). «Il disconoscimento della natura spirituale della persona porta a subordinare totalmente quest’ultima alla collettività e a negare, così, i principi di una vita sociale e politica conforme alla dignità umana» (ibidem). Né varrebbe obiettare che esistono diversi marxismi, che il marxismo di questo o quel partito o pensatore è diverso e più «moderato». «È vero che il pensiero marxista fin dai suoi inizi, ma in maniera più accentuata in questi ultimi anni, si è diversificato per dare vita a varie correnti che divergono considerevolmente le une dalle altre. Nella misura in cui restano realmente marxiste, queste correnti continuano a ricollegarsi ad un certo numero di tesi fondamentali incompatibili con la concezione cristiana dell’uomo e della società» (ibid., n. 8).

(2) Il comunismo è un blocco: non si può separare il materialismo storico dal materialismo dialettico

Benché uno dei fondatori della «teologia della liberazione», padre Clodovis Boff O.S.M., in un articolo autocritico del 2007 che ha fatto molto rumore («Teologia da Libertação e volta ao fundamento», Revista Eclesiástica Brasileira, vol. 67, n. 268, ottobre 2007, pp. 1001-1022), abbia sostenuto che questa teologia ha portato lentamente ma inesorabilmente i suoi più conseguenti promotori verso l’ateismo, la maggioranza dei simpatizzanti cattolici del marxismo non si dichiara atea. Afferma di rifiutare nel marxismo il materialismo dialettico – cioè la filosofia atea – e di accettare il materialismo storico, cioè l’analisi economica e sociale. Sostiene non solo che questa analisi è utile ma che, una volta separato dal materialismo dialettico, il materialismo storico potrebbe dare frutti positivi e sfuggire a quelle conseguenze negative che si sono manifestate nei regimi comunisti, le quali dipenderebbero dagli elementi filosofici e non dalla teoria economica e sociale. Ma in realtà, come insegna Papa Paolo VI (1897-1978) nella lettera apostolica del 1971 Octogesima adveniens (n. 34), non è possibile separare materialismo storico e materialismo dialettico, analisi e ideologia: «sarebbe illusorio e pericoloso giungere a dimenticare l’intimo legame che tali aspetti radicalmente unisce, accettare gli elementi dell’analisi marxista senza riconoscere i loro rapporti con l’ideologia».

Spiega la Libertatis nuntius, nel linguaggio filosofico rigoroso che è tipico del cardinale Ratzinger: «il pensiero di [Karl] Marx [1818-1883] costituisce una concezione totalizzante del mondo nella quale numerosi dati di osservazione e di analisi descrittiva sono integrati in una struttura filosofico-ideologica, che predetermina il significato e l’importanza relativa che si riconosce loro. Gli a priori ideologici sono presupposti alla lettura della realtà sociale. Così la dissociazione degli elementi eterogenei che compongono questo amalgama epistemologicamente ibrido diventa impossibile, per cui mentre si crede di accettare solo ciò che si presenta come un’analisi, si è trascinati ad accettare la stessa filosofia o ideologia» (Libertatis nuntius, n. 6).

(3) Anche il materialismo storico, ipoteticamente separato dal materialismo dialettico, è intrinsecamente perverso, è una ricetta non per la giustizia ma per l’oppressione e la vergogna

La risposta alla domanda «è possibile separare il materialismo storico dal materialismo dialettico?» è negativa. Ma immaginiamo per un momento una realtà parallela in cui questa separazione fosse possibile. Il giudizio del Magistero sul materialismo storico – accompagnato da una filosofia non atea, anzi eventualmente favorevole alla religione o anche dichiaratamente cristiana – sarebbe per questo positivo? Niente affatto. La Chiesa Cattolica non difende solo la religione contro l’ateismo. Insegna pure una dottrina sociale, che è parte integrante del suo Magistero, in base alla quale il comunismo – anche se fosse possibile esaminarlo prescindendo dall’ateismo – è, nei suoi aspetti economici e sociali, una ricetta per l’oppressione e per la miseria.

Quello che è successo nei Paesi comunisti non è – insegna Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi del 2007 – il risultato di una cattiva interpretazione di Marx. Al contrario, rivela «l'errore fondamentale di Marx», il quale «supponeva semplicemente che con l'espropriazione della classe dominante, con la caduta del potere politico e con la socializzazione dei mezzi di produzione si sarebbe realizzata la Nuova Gerusalemme. Allora, infatti, sarebbero state annullate tutte le contraddizioni, l'uomo e il mondo avrebbero visto finalmente chiaro in se stessi. Allora tutto avrebbe potuto procedere da sé sulla retta via, perché tutto sarebbe appartenuto a tutti e tutti avrebbero voluto il meglio l'uno per l'altro. Così, dopo la rivoluzione riuscita, [Vladimir Il’ic] Lenin [1870-1924] dovette accorgersi che negli scritti del maestro non si trovava nessun'indicazione sul come procedere. Sì, egli aveva parlato della fase intermedia della dittatura del proletariato come di una necessità che, però, in un secondo tempo da sé si sarebbe dimostrata caduca. Questa “fase intermedia” la conosciamo benissimo e sappiamo anche come si sia poi sviluppata, non portando alla luce il mondo sano, ma lasciando dietro di sé una distruzione desolante» (Spe salvi, n. 21).

Distruzione, dunque, e vergogna. Scrive la Libertatis nuntius: «Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell’uomo. Coloro che, forse per incoscienza, si rendono complici di simili asservimenti tradiscono i poveri che intendono servire» (Libertatis nuntius, n. 10).

 (4) Il comunismo non nasce da una nobile lotta contro l’ingiustizia, ma da un vizio morale e ideologico

Si sente spesso dire che almeno nel comunismo sarebbe positivo il momento esigenziale di lotta per la giustizia di fronte alla miseria e allo sfruttamento. Come si è visto, il Magistero fa notare che il comunismo ha provato storicamente di non risolvere il problema della miseria ma di aggravarlo. Il momento esigenziale esiste sicuramente in alcuni militanti e simpatizzanti ingenui. Non è però alle origini dell’ideologia, che nasce da un vizio di carattere morale: con le premesse del marxismo «viene messa radicalmente in causa la natura stessa dell’etica. Infatti, nell’ottica della lotta di classe viene implicitamente negato il carattere trascendente della distinzione tra il bene e il male, principio della moralità» (ibid., n. 9). Dove viene meno la moralità s’instaura il vizio. E il vizio non nasce dai problemi reali dei poveri, li sfrutta. Sul punto si era già espresso correttamente lo storico comunista, poi ex-comunista, Arthur Rosenberg (1889-1943): «Marx non si rifece […] dal proletariato, dai suoi bisogni e dalle sue sofferenze, dalla necessità di liberarnelo, per trovare poi, come unica via della salvezza del proletariato, la Rivoluzione. Al contrario, egli camminò proprio all'inverso […]. Nel cercare la possibilità della Rivoluzione, Marx trova il proletariato» (Storia del Bolscevismo, trad. it., Sansoni, Firenze 1969, p. 3).

I teologi della liberazione cattolici – che, come afferma il Papa nel 2009, continuano a fare danni oggi – partono dunque da giudizi completamente sbagliati sul comunismo. Le conseguenze della loro azione nella Chiesa sono state e sono «ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia». Tra le righe si legge anche una critica di tanti vescovi ibero-americani (e non solo), colpevoli – per dire il meno – di omessa vigilanza. E il Papa conclude con una impressionante «supplica» a quanti sono ancora coinvolti nei «principi ingannatori» della teologia della liberazione perché si ravvedano, smettano di proporre idee che hanno avuto e hanno conseguenze distruttive per la Chiesa e per la società, e tornino ad accogliere in modo ubbidiente e fedele il Magistero. La storia recente induce purtroppo a dubitare dell’accoglienza che i sostenitori della teologia della liberazione sapranno fare alla mano che tende loro il Papa. Ma la speranza cristiana è più forte anche della «vergogna del nostro tempo».

 

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  Padre Juan Carlos Scannone, 82 anni, massimo teologo argentino vivente, lavorerà con gli scrittori della rivista dei gesuiti

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO - 19.2.2014

 

 

Padre Juan Carlos Scannone, gesuita ottantadunenne, già docente in diversi atenei, tra i quali la Pontificia università Gregoriana, considerato il massimo teologo argentino vivente, torna a Roma. Si stabilirà presso la Civiltà Cattolica, terrà lezioni in vari paesi europei e collaborerà con la rivista scrivendo articoli. Lo conferma a Vatican Insider il direttore della rivista, padre Antonio Spadaro.

 

Scannone è stato professore di greco e letteratura del giovane Jorge Mario Bergoglio, dopo il suo ingresso nel noviziato dei gesuiti. Allievo di Karl Rahner è un esponente di quella corrente di pensiero molto legata al contesto argentino, chiamata «teologia del popolo» e considerata una delle declinazioni della Teologia della Liberazione. «Io stesso l'ho sostenuto in un articolo scritto nel 1982», ha raccontato Scannone. Quell'articolo venne ripreso dall'allora arcivescovo di Buenos Aires, Antonio Quarracino, il quale nel 1984 spiegò che l'Istruzione della Congregazione per la dottrina della fede firmata dal cardinale Joseph Ratzinger parlava al plurale di «"teologie" della liberazione» e criticava soltanto quelle che usavano l'analisi marxista della società e della storia.

 

La «teologia del popolo» argentina, spiegava Scannone, «non usa l'analisi sociale marxista ma un'analisi storico-culturale, senza trascurare quella socio-strutturale». Anche la «teologia del popolo» assume, come tutte le altre Teologie della Liberazione assumono l'opzione preferenziale per i poveri espressa nelle conferenze dell'episcopato latinoamericano di Medellín e Puebla, ribadita da Benedetto XVI nel discorso inaugurale di Aparecida e dalla stessa conferenza tenutasi in Brasile nel 2007.

 

Si può dire che proprio Aparecida, e il suo documento finale, nella redazione del quale l'allora cardinale Bergoglio ha avuto un ruolo importante, pone l'accento sul tema della evangelizzazione delle culture, dell'inculturazione del Vangelo e sull'importanza della pietà e spiritualità popolare, considerando, spiega Scannone «che in America Latina questa — quando è autentica — è la incarnazione della fede "nella" e "nelle" culture latinoamericane e dunque ha un potenziale evangelizzatore».

Non c'è dunque nulla di ideologico. C'è invece una grande attenzione alla fede del popolo.

 

Una valorizzazione che trova echi anche nelle posizioni dello stesso Ratzinger. «Non so­no i dotti a determinare ciò che è vero del­la fede battesimale – diceva in un’omelia pronunciata a Monaco nel dicembre 1979, prima ancora di diventare Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede – bensì è la fede battesimale che determina ciò che c’è di valido nelle interpretazioni dotte. Non sono gli intellettuali a misurare i semplici, bensì i semplici misurano gli intellettuali. Non sono le spiegazioni intellettuali la misura della professione di fede battesimale, bensì la professione di fede battesimale, nella sua ingenua letteralità, è misura di tutta la teologia. Il battezzato, colui che sta nella fede del battesimo, non ha bisogno di essere ammaestrato. Egli ha ricevuto la verità decisiva e la porta con sé con la fede stessa...».

 

«La chiamata di padre Scannone, che già ha pubblicato un articolo sulla "Filosofia della liberazione", è stata una nostra richiesta - spiega Spadaro - Vogliamo aiutare i nostri lettori a comprendere dal di dentro il pontificato di Papa Francesco grazie all'aiuto di chi lo conosce bene».

 

L'arrivo del teologo gesuita si inserisce nel progetto più ampio di internazionalizzare «La Civiltà Cattolica» portato avanti dal suo attuale direttore: «Arriverà - conclude Spadaro - anche il francese padre Pierre de Charentenay, già direttore di Etudes e attualmente nelle Filippine».





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09/04/2015 20:44
 
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  Ratzinger e la Teologia della liberazione: "Fu falsificazione della fede"

 
Matteo Matzuzzi su Il Foglio di ieri.

Le parole di Benedetto XVI apriranno il nuovo libro su Papa Wojtyla. 
Saranno le parole di Benedetto XVI ad aprire il libro "Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici & i collaboratori raccontano" (Ares) curato dal vaticanista Wlodzimierz Redzioch di cui il Corriere della Sera offre ampi stralci.
Ratzinger ha risposto per iscritto e ha personalmente voluto verificare la traduzione in italiano delle sue parole. Alla domanda su quali siano state "le sfide dottrinali" affrontate insieme a Karol Wojtyla durante il mandato alla guida della congregazione per la Dottrina della Fede, Benedetto XVI risponde così:

"La prima grande sfida che affrontammo fu la Teologia della liberazione che si stava diffondendo in America latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa che si doveva approvare senz'altro. Ma era un errore. La povertà e i poveri erano senza dubbio posti a tema dalla Teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva molto specifica. (…)
Non era questione di aiuti e di riforme, si diceva, ma del grande rivolgimento dal quale doveva scaturire un mondo nuovo. La fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico. (…)
Naturalmente, queste idee si presentavano con diverse varianti e non sempre si affacciavano con assoluta nettezza, ma, nel complesso, questa era la direzione. A una simile falsificazione della fede cristiana bisognava opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro". (…)
Giovanni Paolo II "ci guidò da un lato a smascherare una falsa idea di liberazione, dall'altro a esporre l'autentica vocazione della chiesa alla liberazione dell'uomo".







IL LIBRO

Teologia della Liberazione
 

Un volume di Jorge Loredo appena uscito propone un approfondimento decisivo sui fondamenti della teologia che ha fortemente influenzato l'America Latina e continua a produrre conseguenze negative anche qui da noi. E soprattutto è al centro di un processo di decristianizzazione.

di Ettore Gotti Tedeschi


Come cattolico e come economista non accademico, ho sempre pensato e riconosciuto che la miseria morale andasse debellata per prima, al fine di debellare quella materiale.  Pensavo, ricordando gli insegnamenti dei miei maestri di dottrina (gesuiti) che l’origine del male, della miseria, era da trovarsi nel peccato che genera avidità, egoismo, indifferenza e così via.   Leggendo il libro-documento di Jorge Loredo,Teologia della Liberazione - Un salvagente di piombo per i poveri(Cantagalli 2014) - che propone una ricostruzione critica di questa corrente - apprendo invece che la cosiddetta Teologia della Liberazione afferma praticamente il contrario, cioè che debellando la miseria materiale si vince persino la miseria morale.

Non solo, apprendo che l’inequità nella ripartizione delle risorse è origine di tutti i mali, direi persino del peccato stesso. Ohimè. Questo libro va letto e discusso, proprio in questo momento storico, ma alla fine della lettura mi sono domandato se si trattasse “solo” di una analisi della Teologia della Liberazione, o invece di uno studio analitico del processo di decristianizzazione sviluppatosi e trasformatosi nei tempi e nella storia.

La materia di questo libro è  soprattutto “teologica e apologetica”. Si rifletta: il capitalismo (come sistema economico) è segno di contraddizione poiché produce benessere materiale per molti, ma confonde chi non ha maturato capacità di discernimento del senso della vita e delle azioni e non considera l’economia solo un mezzo, per ben altri fini. Il socialismo marxista-progressista (sempre come sistema economico) invece non è segno di contraddizione: esso produce malessere materiale e morale. Non confonde, illude. Sentirlo difendere da teologi, fa soffrire. 

L’autore propone riflessioni estremamente didattiche su queste “illusioni “, ne cito una riferita alle grandi rivoluzioni della storia dell’Occidente : «…I ( teologi) progressisti (nell’800) vedevano la storia moderna come un susseguirsi di “liberazioni”: l’Umanesimo avrebbe liberato lo spirito umano dal pensiero scolastico; il Protestantesimo avrebbe liberato l’umanità dall’assolutismo papale ; l’illuminismo avrebbe liberato la ragione dalla tirannia della fede ;la Rivoluzione Francese avrebbe liberato i cittadini dal dispotismo dei re; e adesso il socialismo sarebbe in procinto di liberare i proletari dall’oppressione dei padroni».

Ma i teologi progressisti, invece di  andarsi subito a confessare e fare esercizi spirituali, vedevano in questo “movimento sociale“ la “riconciliazione della Chiesa col mondo moderno, la democrazia col Papato” (1893-Abbè Felix Klein in L’Eglise et la démocratie). I Pontefici invece, quando valutavano queste “teorie”, cercavano  di intendere quanto fossero coerenti e corrispondenti con l’ordine naturale. Così i Papi condannavano il socialismo e il modernismo e , pur rigettandone gli abusi, approvavano alcuni presupposti dell’economia di mercato. Ma i teologi “progressisti", no.

Sarà per questo che tanti “teologi democratici-cristiani” (come Romolo Murri) invitavano a “liberare la religione cattolica da vecchie sovrastrutture”, inneggiando naturalmente al modernismo quale nuovo cattolicesimo del domani. Il cattolicesimo liberale modernista (che afferma la sovranità della coscienza individuale emancipando la persona dall’ordine soprannaturale e  morale) generava intanto la cosiddetta “Nouvelle Theologie” - come la definì, condannandola, Pio XII - dalla quale nasce (spiega l’autore) la nostra Teologia della Liberazione.

L’autore in proposito fa un interessantissimo parallelismo con la corrente filosofica del momento: l’Esistenzialismo. Questa moda filosofica affermava che non è l’essenza a dar significato alla esistenza, bensì il contrario. Come dire (o come forse direbbe il card. Kasper) che non è la dottrina a dare significato alla prassi, bensì la prassi a dar significato alla dottrina. Potenza delle idee  che prendono significato dal comportamento, anziché esser loro a determinarlo….

Ma torniamo  alle considerazioni dell’autore sulla Teologia della Liberazione. Con molta eleganza, oltre che competenza evidente, la liquida fin dall’inizio definendola non propriamente una teologia, essendo teologia lo studio di Dio. Invece detta teologia si occupa di studiare «movimenti socio-politici per la liberazione da società ritenute oppressive»  riuscendo a trasformare la Rivelazione in evoluzionismo della verità. Ma forse anche peggio visto che il  suo teologo più famoso, Leonardo Boff, la caratterizza così: «Ciò che proponiamo non è teologia nel marxismo, ma marxismo, materialismo storico, nella teologia». 

Andando avanti scopriamo poi che i teologi della liberazione hanno rivoluzionato anche le Sacre Scritture scrivendo il Novissimo Testamento. Mi ha  incuriosito non poco leggendo che, per costoro, la Bibbia è storia della lotta della sovversione dei poveri: «L’Antico Testamento fu scritto da un popolo oppresso, il NuovoTestamento dalla vita stessa di Gesù, povero di Nazareth. E che noi poveri di oggi stiamo scrivendo ilNovissimo Testamento con la nostra vita». Ho smesso di esser incuriosito e mi son preoccupato scoprendo che, per detta teologia, la  virtù consiste nell’operare in attività rivoluzionarie (non a seguire i Comandamenti) e il santo non è chi lotta contro il peccato, ma chi lotta (di fatto) contro il capitalismo, così come convertirsi significa impegnarsi a liberare i poveri e gli sfruttati.  

A me tutto ciò basterebbe, se non fosse che l’ambientalismo, come religione universale, trova le sue fondamenta anche nella Teologia della Liberazione (la Rivelazione ecologica). Pertanto non sottovaluterei questa teologia come qualcosa di latinoamericano lontano da noi, anzi è molto importante approfondirla seriamente leggendo questo saggio di Julio Loredo. 





[Modificato da Caterina63 22/04/2015 23:09]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/08/2015 16:26
 
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 Fede o ideologia? La libertà al bivio. Il caso della teologia della liberazione.  



Abbiamo trascritto gli interventi di mons. Livi, del prof. Vignelli e del prof. Loredo della conferenza (in video postato dentro) «Fede o ideologia? La libertà al bivio. Il caso della teologia della liberazione. Presentazione del libro di Julio Loredo “Teologia della liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri”», svoltasi il 15 giugno 2015 a Genova.
Buona lettura oltre che buon ascolto.



 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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