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Decalogo per leggere la Sacra Scrittura con profitto "LECTIO DIVINA"

Ultimo Aggiornamento: 18/03/2018 10:14
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21/08/2010 21:54
 
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LECTIO DIVINA: UN METODO MAI TRAMONTATO:
LECTIO-MEDITATIO-ORATIO


Il culto è di due specie: esteriore e interiore. Il culto esterno però è ordinato da quello interiore: infatti i sacramenti della Chiesa, le lodi esteriori e tutto l’apparato delle cerimonie sono ordinati a edificare le disposizioni interiori dell’anima. Perciò il compito principale della vita religiosa di tutti i cristiani deve tendere a venerare Dio con gli atti interiori; sebbene non si debbano trascurare neppure gli atti esterni, soprattutto quelli ai quali si è obbligati.

Ebbene, gli atti interni sono questi: leggere, pregare, meditare e contemplare, i quali appartengono all’intelletto; e mediante questi nascono la speranza, la carità, la devozione e tutti gli altri atti che appartengono alle facoltà affettive, in modo che l’uomo divenga perfetto nella conoscenza e nell’amore di Dio.

Poiché, dunque, l’intelletto precede l’affetto e d’altra parte non possiamo amare ciò che non conosciamo, colui che vuoi giungere all’amore di Dio, nel quale consiste il coronamento della vita spirituale, deve assiduamente esercitarsi, per quanto è possibile, negli atti interiori dell’intelletto.

Ecco perché Dio ci ha lasciato le Sacre Scritture, affinché raggiungendo con esse la conoscenza della sua bontà, eccitiamo il nostro affetto a quell’amore di Dio e del prossimo, senza il quale chiunque operi ogni altra cosa non conclude nulla.
Ora, chiunque desideri di avere la comprensione vera della Sacra Scrittura, per prima cosa deve leggerla e rendersela familiare; e, dopo averne compreso il senso fondamentale dell’autore, che si dice letterale, seguiti a investigare meditandone i sensi mistici, che si potranno ricavare con certezza dagli altri passi meno oscuri. Siccome, però, conoscere e non mettere in pratica non vale nulla, quando uno ha raggiunto questa conoscenza spirituale, preghi Dio perché mediante la sua grazia lo conduca ad amare e a operare. Così facendo ogni giorno, progredirà al punto da innalzarsi facilmente alla contemplazione.

Introduzione al primo commento denominato “Lettura”

Chi affronta la lettura delle Sacre Scritture senza la luce soprannaturale, finisce per imbrogliare ingannare se stesso, perché le leggerà senza intenderle il che è una perdita di tempo.

Infatti le scienze naturali possono essere capite mediante il lume naturale della ragione, che è presente in tutti; ma la scienza divinamente ispirata non si può apprendere se non con a luce di Dio. Ecco perché molti i quali leggono le Scritture senza comprenderle le disprezzano, e si avvera in essi quella profezia di Isaia: «Per voi le visioni di tutti (i profeti) saranno come le parole di un libro sigillato» (Is 29, 11); poiché un cieco non può giudicare dei colori. E volesse il cielo che almeno costoro rispondessero umilmente con le successive parole di Isaia: «Se lo presentano a uno che sappia leggere, dicendogli — Leggi questo! risponderà: — Non posso, perché è sigillato. E se lo presentano a uno che non sappia leggere dicendogli: — Leggi! risponderà: — Non so leggere» (Is 29, 11-12). Nessuno infatti, istruito o ignorante che sia, può in tender le Scritture senza quella luce dalla quale immediatamente derivano.
Perciò nessuno si avvicini ad esse senza essersi purificato; trattando infatti di cose altissime, richiedono una grande disponibilità della mente.

Perciò, chiunque voglia trarre frutto dalla lettura delle Scritture, dopo di essersi purificato dai peccati e distaccato dalle sollecitudini di questo mondo, stando solo nella propria camera, intraprenda la lettura con fede e con umiltà, premettendo la preghiera; affinché, illuminato dalla luce divina mediante l’efficacia dell’orazione, possa giungere alla loro perfetta comprensione, e a sentire in se stesso ciò che legge, ossia a scrutarne i segreti con le opere buone che compie. In modo che la sua comprensione derivi non tanto dalle spiegazioni, quanto piuttosto dalla luce a lui concessa da Dio.
Inoltre, non legga velocemente, ma consideri con diligenza ogni parola, e creda fermamente che tutto ciò che legge è verissimo, in quanto proviene da colui che non può errare.
Le parole dunque del Pater noster vanno lette con reverenza e timore, affinché possiamo aspirare alla loro vera comprensione, per concessione di Colui che ha composto tale preghiera.


Introduzione al secondo commento denominato meditazione

Autore della Sacra Scrittura è Dio; perciò non c’è dubbio che le sue parole sono di tanto peso che nessun uomo può giungere alla loro perfetta comprensione. Perciò, se esaminiamo con tanto impegno le parole degli uomini più eccellenti per giungere al loro pensiero genuino, quanto più non dobbiamo ponderare le parole di Dio la cui sapienza è senza limiti? Quindi, dopo aver raggiunto una qualche intelligenza mediante la lettura delle sue santissime parole, dobbiamo anche meditarle; come gli apostoli dobbiamo raccogliere le spighe, (cfr. Mt 12, 1) affinché, depurate dalla paglia, ne ricaviamo il grano. Inoltre dobbiamo macinare il grano con i denti, per ricavarne la farina, e farne del buon pane. Chi infatti medita spesso le Scritture con fede, con umiltà e con sincerità di cuore, progredisce mirabilmente nella conoscenza e nell’amore, e mai se ne distacca senza frutto. Anzi, talora Dio offre della stessa frase nuovi sensi, quando spesso noi vi ritorniamo con la mente.

Introduzione al terzo commento che si denomina orazione

Alfine di mostrare la strada ai meno perfetti, perché imparino a meditare e a pregare mediante le parole…., aggiungeremo qui brevemente un modello di orazione, parafrasando il Pater parola per parola, affinché mediante questa formula si possa aprire la via ad altre innumerevoli formule, che lo Spirito Santo insegnerà a coloro che hanno il cuore ben purificato. Perciò, colui che intende di pregare, per prima cosa cerchi un luogo segregato, e chiudendo tutti i suoi sensi e scacciando ogni fantasia, concentri tutto il suo spirito, e renda a se stesso presente Dio; quindi con il cuore, oppure accompagnandosi anche con la voce dica:

PREGHIERA [SM=g1740752]

Padre nostro — Ecco, o mio Dio, che io chiamo Padre te, che «sei l’unico e beato sovrano, re dei re e Signore dei signori, l’unico che possiede l’immortalità, che abiti una luce inaccessibile, e che nessuno degli uomini ha mai visto, né può vedere» (1 Tm 6, l5ss.); ti chiamo Padre, perché tu hai creato tutte le cose, sia quelle visibili, sia quelle invisibili, non perché tu ne avessi bisogno, ma per comunicare ad esse la tua bontà.
Tu sei infatti perfettamente beato in te stesso e di te stesso, e la tua beatitudine non può essere né accresciuta né diminuita dalle cose esterne. Tu, o Padre, sei onnipotente, avendo tu fatto dal nulla tutte le cose, ed esse ricadrebbero nel nulla, se la tua mano non le sostenesse tutte.
Tu sei così sapiente che nessuna creatura sfugge al tuo sguardo: «Infatti tutte le cose sono nude e aperte ai tuoi occhi» (Eb 4, 13). E siccome il bene tende a diffondere se stesso, tu che sei tanto buono, pur restando tutto in te stesso, volendo essere per la grandezza della tua bontà in qualche modo fuori di te stesso, ti estendi così in tutte le cose, da essere tutto intero in tutto l’universo, e tutto in ogni sua parte.
Tu sei «il Dio grande che vince la nostra scienza» (Gb 36, 26), e non c’è Dio fuori di te Signore, Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo: tre persone, non però tre essenze; non tre Signori; alle altre sale, quindi alle parti principali di essa, come il tetto e le fondamenta; e da ultimo pensiamo alle pietre e al legname, che però sono le prime cose in ordine di esecuzione.
Così pure nei vari gradini della vita spirituale: la prima cosa in ordine d’intenzione è la santificazione, o glorificazione del nome del Signore; segue il suo regno e quindi le altre cose ricordate sopra parlando delle domande del Pater noster. Invece in ordine di esecuzione bisogna cominciare dall’ultima domanda, e quindi gradatamente salire a quelle precedenti.

Perciò se in quell’ultima richiesta Liberaci dal male, per male (o maligno) intendiamo il diavolo come alcuni interpretano non senza ragione, diremo che il primo grado della vita spirituale sta nell’evadere dal potere del demonio con la vera contrizione, con la confessione e con la soddisfazione.
Il secondo grado sta nel persistere nei buoni propositi, al punto di voler piuttosto sopportare ogni altro male, che ritornare al vomito. Ecco perché, per evitare le occasioni di peccato, preghiamo: «E non ci indurre in tentazione».
Nessuno però può vivere senza peccato, e «se diciamo di non avere peccato, inganniamo noi stessi» (1 Gv 1, 8), ecco perché il terzo grado sta nel condonare ai nostri nemici i loro debiti, nel pentirci dei peccati mortali commessi, e nel confessarci spesso dei peccati veniali di ogni giorno, impegnandoci a purificare la coscienza da ogni macchia o ruga, per quanto è possibile, ripetendo ogni giorno: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Il quarto grado poi consiste nel reprimere tutte le nostre brame terrene e nell’abbracciare la semplicità dei santi Padri nel vitto e nelle vesti; poiché, come dice l’Apostolo, «niente abbiamo portato in questo mondo; e non c’è dubbio che non ne potremo portar via nulla; avendo perciò di che nutrirci e di che coprirci, accontentiamoci» (1 Tm 6, 7 s.).

In questo modo noi veniamo liberati dalle preoccupazioni di questo mondo e possiamo dedicarci allo studio delle Sacre Scritture, e godere di tutti gli altri esercizi di pietà, ricevendo con frequenza il sacramento dell’Eucaristia, dedicandoci totalmente al culto di Dio, e dire: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ma poiché il ben vivere consiste nel fare del bene e nel sopportare il male, perseverando così fino alla morte, saliamo al quinto gradino; conformiamo, cioè, la nostra volontà alla volontà di Dio in tutte le sofferenze che ci capitano in modo da sopportare non solo con pazienza, ma anche volentieri ogni cosa per suo amore al punto di saper dire: Sia fatta la tua volontà...».

Siccome però i mali che qui ci minacciano ci spingono ad affrettarci verso Dio, dopo tutto questo saliamo al sesto grado, intrattenendoci sempre nei cieli e desiderando con grandissimo desiderio di raggiungere il regno dei beati, e dicendo così, non solo a parole, ma dal profondo del cuore: Venga il tuo regno. E finalmente, diventati perfetti nell’amore divino, raggiungiamo il settimo grado, cosicché dimentichi del tutto di noi stessi, ma protesi verso Dio e il suo onore, diciamo:
Sia santificato il tuo nome. A questo punto l’anima infiammata da un amore impetuoso viene rapita verso l’alto, e, illuminata dalla luce divina, contempla in modo mirabile con uno sguardo acutissimo la bontà di Dio e le gerarchie celesti, dicendo: Padre nostro che sei nei cieli. Dammi un’anima che ami e desideri Dio; dammi un uomo perfetto e comprenderò quello che sto dicendo. Gli altri possono guardare e desiderare da lontano, ma non possono sentire. Sebbene, quindi, le cose che i santi intuiscono e gustano nella contemplazione non si possano né dire né scrivere, tuttavia affinché quanti non le hanno sperimentate vi possano tendere in qualche modo, non tanto per il desiderio di sapere, quanto piuttosto di sperimenta- re, esporremo qualche cosa circa la contemplazione del Pater noster mostrando quale sia, e non quanta sia, la dolcezza di cui i santi sono colmati nelle loro contemplazioni; le quali però variano nei vari soggetti, e persino nello stesso individuo in molte maniere. Noi pertanto mostreremo quale contemplazione un uomo perfetto potrebbe avere talvolta circa la preghiera suddetta. Tuttavia bisogna notare che essa è una parte così piccola della sua contemplazione, che si può paragonare a una goccia d’acqua estratta da un grande fiume.

CONTEMPLAZIONE

L’uomo perfetto, illuminato dalla luce suprema, nel percepire questa parola viene talmente rapito verso le cose divine, da non poter gustare niente con maggiore dolcezza che l’intuizione della bontà divina, la quale è così benevola con lui e con tutti gli uomini, da volerli suoi figli non solo per creazione, ma anche per adozione; infatti contempla pure il Figlio di Dio, Dio vero da Dio vero, concepito dalla Vergine per opera dello Spirito Santo, nato da lei, «nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, e perché noi ricevessimo l’adozione di figli» (GaI 4, 4 s.). Ecco perché il Cristo non si vergogna di chiamarci fratelli, quando dice: «Ricorderò il tuo nome ai miei fratelli» (Sai 21, 23). E rivolgendosi a Maria Maddalena le disse: «Va’ dai miei fratelli e dì loro:

Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20, 17). Perciò il Figlio di Dio e noi siamo fratelli, figli dello stesso Padre: egli però, come dice l’Apostolo, «è il primogenito di molti fratelli» (Rm 8, 29). Che cosa, io mi domando, si può pensare di più dolce? Ecco perché i santi nel pensare a questo si sentono trasportati da un mirabile amore, mentre contemplano, vedendosi mediante la sua grazia, fratelli del Figlio di Dio, figli del Padre Onnipotente mediante la sua misericordia, e templi dello Spirito Santo mediante i suoi doni. E a questa gioia e dolcezza ineffabile segue pure un certo giubilo della mente, nel contemplare queste parole: Padre nostro, perché i santi percepiscono di avere per fratelli non solo gli uomini, ma anche tutte le potenze dei cieli. E da ciò arguiscono quanto sia grande la bontà di Dio verso l’uomo per il fatto che mediante la sua grazia, in virtù della passione di Cristo, ha costituito questo essere così vile fratello degli angeli e degli spiriti più sublimi.

E i motivi di gioia crescono nel dire quelle altre parole:
Che sei nei cieli — perché in questa frase scorgono quanto è buono Dio, il quale si mostra tanto familiare e affabile ai beati esistenti nei cieli, nei quali egli si trova con la sua gloria, al punto da essere una cosa sola con lui, e da essere tra loro, in Dio, un cuor solo e un’anima sola. Similmente dimora nei giusti ancora viventi in questo corpc mortale, mostrandosi loro così benigno e familiare mediante la grazia, che spesso vengono rapiti da uno stupore irresistibile, ammirati del modo in cui essi, polvere e cenere, osano parlare con fiducia a colui la cui grandezza è senza limiti, e conversare così dolcemente con colui che le potenze più sublimi adorano con tremore.

Ecco perché il giusto, posto in una luce così eccellente, non più meditando le cose che abbiamo detto, bensì percependole tutte insieme in maniera mirabile, ne prova una gioia così intensa da stimare un nulla quanto c’è di gioia, o quanto potrebbe essercene in questo mondo; e da ciò segue la profusione di una grazia così grande, da crescere assai di più secondo i gradi di cui sopra abbiamo parlato, a cominciare dai più alti per discendere a quelli inferiori; di quanto non progredisse prima quando dai gradi inferiori era salito a quelli superiori.


G. SAVONAROLA


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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