Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!

A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

S.Giovanni della Croce: LA NOTTE OSCURA

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2009 10:09
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 4.551
Sesso: Maschile
24/09/2009 10:47
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

 

Libro II


Ove si parla della purificazione più profonda che avviene nella notte dello spirito.


CAPITOLO 1


Ove si comincia a parlare della notte oscura dello spirito. Si indica, altresì, il momento in cui ha inizio.

1. Quando Dio vuol far progredire un’anima, non la pone nella notte dello spirito appena è uscita dalle aridità e dalle prove della prima purificazione o notte dei sensi. Di solito passa molto tempo, a volte anni, prima che l’anima, superato lo stato dei principianti, si eserciti in quello dei proficienti. Simile a colui che è uscito da un angusto carcere, l’anima avanza nelle cose di Dio con molta maggiore facilità e soddisfazione, insieme a una gioia più abbondante e intima, di quanto non avesse fatto agli inizi, prima di entrare nella notte dei sensi. Ormai la sua immaginazione e le sue facoltà non sono più condizionate, come prima, dal ragionamento e dalle preoccupazioni spirituali, perché con grande facilità trova subito in sé una contemplazione molto serena e piena d’amore, come pure un piacere spirituale senza alcun bisogno di ragionare. Tuttavia la purificazione dell’anima non è ancora compiuta, perché le manca la fase principale, che è quella dello spirito. Se questa non si verifica – tra l’una e l’altra c’è relazione di continuità, dato che avvengono nello stesso soggetto –, anche la purificazione dei sensi, per quanto profonda sia stata, risulta incompiuta e imperfetta. Così l’anima non mancherà, di tanto in tanto, di passare attraverso abbandoni, aridità, tenebre e angosce, a volte anche più intense che in passato. Sono come presagi e messaggeri della futura notte dello spirito. Non durano però quanto la notte che si aspetta, ragion per cui, trascorso un periodo o alcuni giorni di questa notte tempestosa, l’anima ritorna alla sua abituale serenità. In questo modo Dio purifica alcune anime che non devono arrivare all’alto grado d’amore come le altre; a volte, e a intervalli, le fa passare per questa notte di contemplazione e purificazione spirituale; spesso le fa passare dalle tenebre della notte alla luce del giorno. È in questo modo che si avvera quanto afferma Davide, che cioè Dio getta la sua grandine, ossia la sua contemplazione, come briciole (Sal 147,17), sebbene questi chicchi di oscura contemplazione non siano mai penetranti come quelli dell’orrenda notte della contemplazione – di cui sto per parlare – nella quale Dio introduce di proposito l’anima per elevarla all’unione con sé.

2. Il godimento intimo, che con abbondanza e facilità i proficienti provano e gustano nel loro spirito, viene loro comunicato più copiosamente che in passato, riversandosi nei sensi più di quanto non accadesse prima della purificazione dei sensi. Difatti, quanto più i sensi sono purificati, con tanta maggiore facilità possono gustare a modo loro le gioie dello spirito. In definitiva, poiché la parte sensitiva dell’anima è debole e inadeguata alle forti impressioni dello spirito, ne deriva che i proficienti, data l’espansione dello spirito sulla parte sensitiva, provano in questa numerose debolezze, sofferenze in genere, languore di stomaco e affanni spirituali. Ciò è quanto dice il Saggio in questi termini: Un corpo corruttibile appesantisce l’anima (Sap 9,15). Di conseguenza, le comunicazioni dello spirito non possono essere molto forti né troppo intense né molto spirituali, come invece devono essere quelle per l’unione con Dio, perché partecipano della debolezza e della corruzione dei sensi. Tutto questo spiega i rapimenti, le estasi, le slogature di ossa che si verificano ogni volta che le comunicazioni non sono soltanto spirituali, cioè fatte al solo spirito, come nel caso dei perfetti. Essendo già stati purificati nella seconda notte dello spirito, in loro non si verificano più estasi e tormenti del corpo. Ormai godono della libertà di spirito, senza che i loro sensi ne siano offuscati o strapazzati.

3. Per ben comprendere la necessità, in cui si trovano i proficienti, di entrare in questa notte dello spirito, annoterò qui sotto alcune imperfezioni e pericoli a cui sono esposti.

CAPITOLO 2

Ove si continua a parlare di alcune imperfezioni dei proficienti.

1. I proficienti cadono in due tipi di imperfezioni, alcune abituali, altre attuali. Quelle abituali sono gli affetti e le abitudini difettose, le cui radici sono ancora rimaste nello spirito, dove non può giungere la purificazione dei sensi. La differenza che intercorre tra le due purificazioni è simile a quella che esiste tra l’estirpare la radice di una pianta e il tagliarne un ramo; ovvero: togliere una macchia fresca oppure una secca e incrostata. Come ho detto, la purificazione dei sensi non è che la porta e il principio della contemplazione che conduce alla purificazione dello spirito. Ho pure detto che il suo scopo è più quello di adattare i sensi allo spirito che di unire lo spirito a Dio. Ma le macchie dell’uomo vecchio rimangono ancora nello spirito, anche se non se ne accorge e non le vede; se tali macchie non vengono tolte con il sapone e la lisciva forte della purificazione di questa notte, lo spirito non potrà pervenire alla purezza dell’unione divina.

2. I proficienti hanno ancora, come imperfezioni abituali, la hebetudo mentis, cioè l’ottusità della mente, e la rozzezza naturale che ogni uomo contrae con il peccato, e nel loro spirito sono distratti e superficiali. Per questo motivo occorre che siano illuminati, purificati e messi nel raccoglimento attraverso le sofferenze e le angustie della notte dello spirito. Tutti quelli che non sono ancora passati per lo stato di proficienti sono soggetti a queste imperfezioni abituali, che, come tali, sono incompatibili con lo stato perfetto dell’unione d’amore.

3. Non tutti incorrono allo stesso modo nelle imperfezioni attuali. Alcuni accolgono i beni spirituali in modo così strano e conforme ai sensi, che cadono in inconvenienti e pericoli più grandi di quelli elencati all’inizio. Difatti ricevono molte comunicazioni e percezioni nei loro sensi e nel loro spirito; molto spesso hanno visioni immaginarie e spirituali. Del resto, in questo stato essi hanno di frequente anche sentimenti piacevoli. È allora che il demonio e la fantasia tendono inganni all’anima. Il maligno insinua e suggerisce simili percezioni e sensazioni con un incantesimo tale da ingannarla e sedurla molto facilmente, se essa non ha l’avvertenza di vivere nella rassegnazione alla volontà di Dio e di difendersi con forza nella fede, da tutte le visioni e immaginazioni. In questo stato il demonio spinge molte persone a credere in false visioni e in false profezie, insinuando in loro la presunzione che sia Dio o qualche santo a parlare, mentre il più delle volte non si tratta che della loro immaginazione. Il demonio è solito ancora riempirli di presunzione e di superbia, e queste persone, spinte dalla loro vanità e arroganza, amano farsi vedere in atteggiamenti da santi, come in estasi o in altri fenomeni straordinari. Tali persone si mostrano piene di audacia nei confronti di Dio, tanto da perderne il santo timore, chiave e salvaguardia di tutte le virtù. Alcune di esse moltiplicano a tale punto il numero delle loro falsità e degli inganni e s’induriscono così tanto da rendere molto incerto il loro ritorno al cammino puro della virtù e del vero spirito. Cadono in queste miserie perché agli inizi, quando cominciano a progredire nelle vie soprannaturali dello spirito, si affidano con troppa sicurezza alle conoscenze o sensazioni spirituali.

4. Ci sarebbe molto da dire su queste imperfezioni, ma poiché sono incurabili al punto tale che le si ritiene più spirituali delle prime, non voglio dirne nulla. Aggiungo soltanto, per confermare la necessità della notte dello spirito o della purificazione spirituale di colui che deve andare avanti, che nessuno dei proficienti, malgrado i suoi sforzi, è esente da questi affetti naturali e da queste abitudini imperfette, da cui è necessario purificarsi per passare all’unione divina.

5. Inoltre, come ho detto in precedenza, per quanto la parte inferiore possa avere comunicazioni di favori spirituali, questi non saranno mai così intensi, puri e forti come si richiede per l’unione divina. All’anima che deve arrivare all’unione conviene, perciò, entrare nella seconda notte, quella dello spirito. Qui i sensi e lo spirito vengono completamente spogliati di tutte le percezioni e i gusti sensibili. Ivi l’anima sarà obbligata a camminare nell’oscurità e nella purezza della fede, unico mezzo proprio e adeguato per l’unione con Dio, come afferma Osea: Ti farò mia sposa per sempre, cioè ti unirò a me nella fede (Os 2,21-22).

CAPITOLO 3

Osservazioni su quanto segue.

1. Le persone spirituali hanno fatto dei progressi, dunque, durante il tempo trascorso a nutrire i loro sensi di dolci comunicazioni. Così la parte sensitiva, attratta e invogliata dalle delizie della parte spirituale, si adegua e si unisce ad essa. L’una e l’altra si cibano, ognuna a suo modo, dello stesso alimento spirituale; lo prendono dalla stessa fonte e lo offrono a un solo e unico soggetto. Congiunti in qualche maniera, il senso e lo spirito sono insieme pronti a soffrire la dura e penosa purificazione dello spirito che li attende. È qui dove le due parti dell’anima, la spirituale e la sensitiva, devono essere purificate completamente, perché la purificazione dell’una non avviene mai senza che anche l’altra venga purificata, e quella del senso non è efficace se non è veramente cominciata quella dello spirito. Questo è il motivo per cui quella che si è chiamata notte dei sensi si può e si deve chiamare riforma e imbrigliamento degli appetiti piuttosto che purificazione. Questo perché tutte le imperfezioni e i disordini della parte sensitiva hanno la loro forza e la loro radice nello spirito, dove si formano tutte le abitudini buone e cattive; quindi, finché queste non vengono purificate, non potranno mai essere purificate completamente nemmeno le ribellioni e i vizi dei sensi.

2. Nella notte, di cui sto per parlare, la parte sensitiva e quella spirituale vengono purificate allo stesso tempo. Per questo motivo è stato conveniente che il senso passasse attraverso la riforma della prima notte, al fine di ricuperare la quiete che da essa deriva. Una volta unito allo spirito, si purificano in qualche modo insieme e sopportano con più forza le sofferenze. Per sostenere una purificazione così dolorosa e aspra, occorre una disposizione tale che, se la debolezza della parte inferiore non fosse stata prima riformata e non avesse acquistato forza in Dio, nel dolce e piacevole rapporto con lui, non avrebbe mai avuto la forza e la capacità di affrontare una sì grande sofferenza.

3. Ma il modo di comportarsi di questi proficienti con Dio è ancora molto grossolano e molto naturale. L’oro del loro spirito non è ancora purificato e lucidato. Per questo pensano di Dio come bambini e parlano di Dio come bambini e ragionano e sanno di Dio come bambini, come dice san Paolo (1Cor 13,11), perché non sono ancora pervenuti alla perfezione, cioè all’unione dell’anima con Dio. È in forza di quest’unione che essi diventano grandi. Una volta investiti dallo Spirito divino, essi compiono grandi opere, perché ormai le loro opere e le loro facoltà sono più divine che umane, come dirò in seguito. Dio vuole effettivamente spogliarli del vecchio uomo e rivestirli dell’uomo nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza a immagine del suo Creatore, come dice san Paolo (Col 3,10). Il Signore opera la spoliazione delle loro facoltà, dei loro affetti e sentimenti, sia spirituali che sensibili, sia esteriori che interiori. Lascia al buio l’intelletto, arida la volontà e vuota la memoria; getta gli affetti dell’anima nella più profonda afflizione, nell’amarezza e nell’angustia; priva l’anima del sentimento e del gusto che essa provava precedentemente nei beni spirituali. Tale privazione è una delle condizioni richieste perché s’introduca nell’anima e si unisca ad essa la forma spirituale dello spirito che è l’unione d’amore. Ciò è quanto il Signore opera in essa per mezzo della pura e oscura contemplazione, come lo dà a intendere la prima strofa. Anche se essa è stata già spiegata quando si è parlato della prima notte, quella dei sensi, l’anima deve comprenderla soprattutto attraverso questa seconda notte, quella dello spirito, che costituisce la parte principale della purificazione dell’anima. È per questo motivo che la ripropongo e la spiego un’altra volta.

CAPITOLO 4

Ove si riporta la prima strofa e la sua spiegazione.

Prima strofa

In una notte oscura,

con ansie, dal mio amor tutta infiammata,

oh, sorte fortunata!,

uscii, né fui notata,

stando la mia casa al sonno abbandonata.

Spiegazione

1. Applicando ora questa strofa alla purificazione, alla contemplazione, allo spogliamento o povertà di spirito, realtà tutte che significano quasi la stessa cosa, posso spiegare nel modo seguente ciò che dice l’anima. In povertà, abbandono e distacco da tutte le percezioni della mia anima, cioè nell’oscurità del mio intelletto, nell’aridità della mia volontà, nell’afflizione angosciosa della memoria, uscii da me stessa. Ciecamente abbandonata alla fede pura, che è notte oscura per le facoltà naturali, con la volontà colpita da dolore, da afflizione e da spasimi d’amore per Dio, uscii da me stessa, cioè dal mio modo umano di comprendere Dio, dalla mia debole volontà di amarlo, nonché dalla mia scarsa e povera maniera di goderlo, senza che la sensualità o il demonio abbiano potuto impedirmelo.

2. Questa fu per me una sorte fortunata, perché mentre finivano di annientarsi e acquietarsi le facoltà, le passioni, gli appetiti e gli affetti della mia anima, con cui percepivo e gustavo Dio imperfettamente, abbandonai il mio comportamento umano per assumere quello di Dio. Ciò vuol dire che il mio intelletto è uscito da se stesso, trasformandosi da umano e naturale in divino. Difatti, unendosi per mezzo di questa purificazione a Dio, non comprende più in virtù delle sue forze naturali, ma in virtù della Sapienza divina, alla quale si è unito. Anche la mia volontà è uscita da se stessa, diventando divina, perché, unita all’amore divino, non ama più umanamente con la sua forza naturale, ma con la forza e la purezza dello Spirito Santo. Ciò spiega perché essa non agisce più in modo umano nei confronti di Dio. La stessa cosa si può dire della memoria, i cui ricordi si sono trasformati in pensieri eterni di gloria. Infine tutte le forze e gli affetti dell’anima, per mezzo di questa notte e purificazione del vecchio uomo, si sono rinnovati completamente nelle perfezioni e nelle delizie della divinità. Si commenta il verso: In una notte oscura.

CAPITOLO 5

Ove si comincia a spiegare come questa contemplazione oscura non solo è notte per l’anima, ma anche pena e tormento.

1. Questa notte oscura è l’azione che Dio esercita sull’anima per purificarla dalle sue ignoranze e imperfezioni abituali, naturali e spirituali. I contemplativi la chiamano contemplazione infusa o teologia mistica. Qui Dio istruisce segretamente l’anima e le insegna a perfezionarsi nell’amore, senza che essa faccia nulla o sappia come avvenga. La contemplazione infusa, in quanto sapienza piena d’amore per Dio, produce due effetti principali nell’anima: la dispone all’unione d’amore con Dio purificandola e illuminandola. Quella sapienza, piena d’amore, che purifica i beati in cielo illuminandoli, è la stessa che qui sulla terra purifica e illumina l’anima.

2. Ma a questo punto può sorgere un dubbio: perché la sapienza eterna, che è luce divina e che, come si diceva, illumina e purifica l’anima dalle sue ignoranze, è qui chiamata notte oscura? A tale interrogativo rispondo così: la divina sapienza non solo è notte e tenebre per l’anima, ma anche sua pena e tormento per due motivi. Il primo è l’elevatezza della sapienza divina, che supera le capacità dell’anima, alla quale proprio per questa ragione si presenta piena di oscurità. Il secondo è la bassezza e l’impurità dell’anima. Questi due limiti fanno sì che la luce divina sia per l’anima penosa, dolorosa e anche oscura.

3. A sostegno del primo motivo è opportuno ricordare qui la dottrina del Filosofo, il quale afferma con certezza che quanto maggiormente le verità divine sono in sé chiare e palesi, tanto più sono per loro natura oscure e occulte all’anima. La stessa cosa accade riguardo alla luce; quanto più è forte, tanto più acceca e oscura la pupilla della civetta; così il sole: quanto più è fissato direttamente, tanto più abbaglia la potenza visiva e la priva della luce, perché è troppo superiore alla debolezza dell’occhio. Pertanto, quando questa luce divina della contemplazione investe l’anima non ancora totalmente illuminata, le provoca tenebre spirituali, perché non solo la supera, ma la priva altresì della sua intelligenza naturale e ne oscura l’atto. Per questo motivo san Dionigi e altri teologi mistici chiamano questa contemplazione infusa raggio di tenebra, cioè tenebre per l’anima non ancora illuminata e purificata, perché la grande luce soprannaturale di detta contemplazione paralizza la forza naturale dell’intelletto. Per questo Davide dice che nubi e tenebre avvolgono il Signore (Sal 96,2), non perché egli sia tale in se stesso, ma a causa dei nostri sensi deboli che di fronte a una luce così immensa si oscurano e rimangono offuscati, non essendone all’altezza. Lo stesso Davide per maggior chiarezza aggiunge: Davanti al tuo fulgore si interposero le nuvole (Sal 17,13 Volg.), cioè tra Dio e il nostro intelletto. Questo spiega perché, quando Dio immette nell’anima non ancora trasformata qualche raggio splendente della sua sapienza segreta, produce nell’intelletto dense tenebre.

4. D’altronde appare evidente come questa contemplazione oscura agli inizi sia dolorosa per l’anima. Difatti, se da una parte tale contemplazione divina infusa racchiude in sé molti beni d’una superiorità estrema, dall’altra l’anima che li riceve, non essendo ancora purificata, presenta in sé molte e persino gravi miserie. Perciò, non potendo due contrari coesistere nell’unico soggetto che è l’anima, necessariamente essa deve penare e soffrire come campo di combattimento in cui si confrontano due opposti che lottano l’uno contro l’altro, dal momento che la contemplazione va purificando l’anima dalle sue imperfezioni. Lo proverò per induzione nel modo seguente.

5. Anzitutto, poiché la luce o sapienza di questa contemplazione è molto luminosa e chiara, mentre l’anima – che ne è investita – è oscura e impura, quando la riceve soffre molto. Succede un po’ come quando gli occhi sono ammalati e sofferenti per umori cattivi e soffrono se colpiti da viva luce. Ora, la sofferenza dell’anima, dovuta alla sua impurità, è realmente immensa quando viene investita dalla luce divina. Quando, infatti, l’anima è investita da questa purissima luce al fine di essere liberata dalle sue impurità, si sente talmente impura e miserabile da avere la sensazione che Dio le sia contro e che essa stessa sia diventata nemica di Dio. Pensando che Dio l’abbia scacciata, avverte tanta pena e sofferenza da sperimentare una delle prove più dure alle quali fu sottoposto Giobbe in situazione simile. Per questo egli gridava al Signore: Perché mi hai preso a bersaglio e sono diventato un peso a me stesso? (Gb 7,20 Volg.). In questo stato, infatti, l’anima, anche se nelle tenebre, vede chiaramente, illuminata com’è da questa luce divina, la sua impurità; riconosce chiaramente di non essere degna di Dio né di qualsiasi creatura. Ciò che la fa soffrire di più è il pensiero che non ne sarà mai degna e che ormai non vi potrà essere più felicità per lei. Tutto questo perché la sua mente è profondamente immersa nella conoscenza e nel sentimento dei suoi mali e delle sue miserie. A questo punto essa li scopre tutti alla luce di questa divina e oscura luce; comprende, del resto, con evidenza che potrà avere in sorte, per quello che è, solo malizie. Tale è il senso che si può dare alla seguente affermazione di Davide: Per l’iniquità tu punisci l’uomo e fai consumare la sua anima, come il ragno che produce la tela spingendo fuori il suo interno (Sal 38,12 Volg.).

6. Il secondo motivo per cui l’anima soffre è la debolezza morale e spirituale della sua natura. Poiché questa divina contemplazione investe l’anima con una certa violenza per fortificarla e disciplinarla, essa soffre nella sua fragilità, e quasi viene meno, soprattutto quando è investita con maggiore intensità. Allora i sensi e lo spirito sono, per così dire, oppressi da un peso immenso e invisibile. Soffrono e vengono sottoposti a un’agonia tale che considerano la morte un sollievo. Giobbe aveva sperimentato un simile stato e per questo esclamava: Non vorrei che (Dio) trattasse con me con la sua grande potenza e mi schiacciasse sotto il peso della sua grandezza (Gb 23,6 Volg.).

7. In mezzo a questa oppressione e sotto questo peso l’anima non si sente assolutamente favorita e le sembra che anche quello in cui era solita trovare un certo appoggio sia svanito con il resto e che nessuno provi compassione per lei. A questo riguardo dice ancora Giobbe: Pietà, pietà di me, almeno voi amici miei, perché la mano di Dio mi ha percosso (Gb 19,21). È cosa strana e degna di compassione che la debolezza e l’impurità dell’anima facciano sentire pesante e avversa la mano di Dio, che per natura è così lieve e dolce. Dio non fa mai pesare la sua mano sull’anima, ma la tocca solamente e con tanta misericordia, perché suo unico scopo è quello di concederle grazie, non di castigarla.

CAPITOLO 6

1. Il terzo motivo delle sofferenze e delle pene che l’anima subisce in questa notte proviene dai due estremi, il divino e l’umano, che qui operano congiuntamente. Il divino è la contemplazione purificatrice e l’umano è l’anima quale soggetto di questa contemplazione. L’elemento divino investe l’anima per purificarla, rinnovarla e renderla divina, spogliandola degli affetti abituali e delle caratteristiche dell’uomo vecchio, al quale è molto unita, assimilata e conformata. Immergendola in una profonda e densa tenebra, sconnette e scompone la sua sostanza spirituale, in modo tale che l’anima si sente annientare e struggere alla vista delle sue miserie, come se sperimentasse una dura morte spirituale. Le sembra di essere come inghiottita nel ventre tenebroso d’una balena, ove si sente digerita, mentre soffre le stesse angosce di Giona (2,1) nel ventre del cetaceo. Ma le conviene passare per questa tomba di oscura morte per arrivare alla risurrezione spirituale che l’attende.

2. Davide descrive questo genere di tortura e di tormento, anche se trascende ogni comprensione, nei seguenti termini: Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano torrenti impetuosi… nel mio affanno invocai il Signore (Sal 17,5-7). Ma in questo stato l’anima soffre soprattutto perché le sembra chiaro che Dio l’abbia abbandonata e, aborrendola, l’abbia gettata nelle tenebre. La convinzione di essere respinta da Dio costituisce per l’anima una pena insopportabile, che le merita compassione. È per aver provato intensamente questa sofferenza che Davide esclama: È tra i morti il mio giaciglio, sono come gli uccisi stesi nel sepolcro, dei quali tu non conservi il ricordo e che la tua mano ha abbandonato. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell’ombra di morte. Pesa su di me il tuo sdegno e con tutti i tuoi flutti mi sommergi (Sal 87,6-8). In realtà, quando questa contemplazione purificatrice prende il sopravvento, l’anima sente molto vivamente l’ombra e i gemiti della morte nonché i tormenti dell’inferno. Questo stato consiste nel sentirsi privata di Dio, punita e da lui respinta, oggetto della sua indignazione e della sua collera. Tutto quello che prova in questo stato è tanto più intenso in quanto pensa che sia per sempre.

3. L’anima, inoltre, si sente oggetto del medesimo abbandono e disprezzo anche da parte delle creature, soprattutto da parte degli amici. Per questo Davide prosegue dicendo: Hai allontanato da me i miei compagni, mi hai reso per loro un orrore (Sal 87,9). Anche Giona testimonia molto bene tutti questi tormenti, perché li ha sperimentati, corporalmente e spiritualmente, nel ventre della balena: Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare, e le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passate sopra di me. Io dicevo: sono scacciato lontano dai tuoi occhi; eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio (dice così perché Dio in questo stato purifica l’anima affinché torni a vederlo); le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l’abisso mi ha avvolto, le alghe si sono attorcigliate al mio capo. Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le spranghe dietro a me per sempre (Gio 2,4-7). In questo caso le spranghe rappresentano le imperfezioni dell’anima, che la tengono prigioniera in modo che non goda della contemplazione gustosa.

4. Il quarto motivo di sofferenza è causato dalla contemplazione oscura, la cui eccessiva sublimità le fa sentire l’altro estremo, quello della sua povertà e miseria; questa è una delle sofferenze maggiori che sperimenta durante la purificazione. Difatti avverte in sé un profondo vuoto e la mancanza di tre forme di beni destinati a compiacerla: beni temporali, naturali e spirituali. Inoltre si vede immersa in tre mali opposti, che sono la miseria delle sue imperfezioni, l’aridità o il vuoto delle sue facoltà e l’abbandono spirituale in mezzo alle tenebre. In verità, poiché Dio a questo punto purifica le facoltà sensitive e spirituali dell’anima, come pure le sue potenze interiori ed esteriori, l’anima dev’essere posta nel vuoto, nella povertà e nell’abbandono di tutte queste parti, lasciata arida, vuota e nelle tenebre. La parte sensitiva, infatti, si purifica nell’aridità e le facoltà nel vuoto delle loro percezioni e lo spirito nella profondità delle tenebre.

5. Dio produce tutti questi effetti per mezzo della contemplazione oscura. L’anima, allora, soffre non solo per il vuoto e la mancanza di appoggi naturali e di conoscenze – il che è già una sofferenza piena d’angoscia, come se uno fosse tenuto sospeso in aria senza che possa respirare –, ma soffre altresì perché Dio la purifica, come fa il fuoco con la ruggine sul metallo. Egli annienta, svuota e consuma in lei tutti gli affetti e le abitudini manchevoli contratte nel corso della vita. Ora, poiché questi difetti sono profondamente radicati nella sostanza dell’anima, essa soffre inquietudini e tormenti interiori, che si aggiungono all’indigenza e alla miseria naturale e spirituale. In questo modo sembra che si verifichi l’affermazione di Ezechiele: Ammassa la legna, fa’ divampare il fuoco, fa’ consumare la carne, riducila in poltiglia e le ossa siano riarse (Ez 24,10). Questo spiega la sofferenza che l’anima prova nel vuoto e nella povertà della sua sostanza sensitiva e spirituale. A questo proposito lo stesso profeta subito dopo aggiunge: Metti la pentola vuota sulla brace, perché si riscaldi e il rame si arroventi; si distrugga la sozzura che c’è dentro e si consumi la sua ruggine (Ez 24,11). Queste parole ci fanno capire l’indicibile tormento che l’anima affronta quando viene purificata dal fuoco di questa contemplazione. Difatti il profeta dice che, per purificarsi e liberarsi dalla ruggine degli affetti che ha dentro di sé, occorre che l’anima in certo modo si annichili e si distrugga, tanto si è assimilata alle passioni e imperfezioni.

6. Pertanto questa fucina purifica l’anima come l’oro nel crogiolo (Sap 3,6), come dice il Saggio. L’anima avverte questo profondo liquefarsi fin nella sua stessa sostanza, e raggiunge il colmo della sua indigenza, tanto da sembrare un’agonizzante. Davide, rivolgendosi a Dio, esprime tutto questo con le seguenti parole: Salvami, o Dio, l’acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango e non ho sostegno; sono caduto in acque profonde e l’onda mi travolge; sono sfinito dal gridare, riarse sono le mie fauci; i miei occhi si consumano nell’attesa del mio Dio (Sal 68,2.4). In questo stato Dio umilia profondamente l’anima ma per poi esaltarla. Se egli non disponesse che quelle acute pene si calmassero presto, l’anima non vivrebbe che pochissimi giorni. A intervalli essa sente quanto è profonda la sua indegnità. A volte il suo tormento è così vivo che ha l’impressione di vedere l’inferno spalancato e sentirsi sicuramente perduta. Queste sono, in verità, le anime che discendono vive all’inferno (Sal 54,16), perché in questa condizione si purificano come avverrebbe laggiù, se la cosa fosse possibile. Pertanto l’anima che passa per questa prova, o non va in purgatorio o vi resterà molto poco, perché un’ora sola di queste sofferenze quaggiù basta a purificarla assai più che molto tempo in purgatorio.

CAPITOLO 7

Ove si prosegue sullo stesso argomento parlando di altre afflizioni e sofferenze della volontà.

1. Le sofferenze e le afflizioni della volontà in questo stato sono indicibili. Alcune volte trafiggono l’anima con il ricordo improvviso dei mali in cui si trova immersa e con l’incertezza di trovarvi un rimedio. A ciò si aggiunge il ricordo della prosperità passata, perché, di solito, le anime prima di entrare in questa notte hanno ricevuto da Dio molte consolazioni e gli hanno reso molta gloria. Tutto questo accresce il loro dolore, perché si vedono private di quei favori e pensano di non poterli più riavere. Ciò è quanto Giobbe, che ne aveva fatto esperienza, esprime molto bene in questi termini: Me ne stavo tranquillo ed egli mi ha rovinato, mi ha afferrato per il collo e mi ha stritolato; ha fatto di me il suo bersaglio. I suoi arcieri mi circondano; mi trafigge i fianchi senza pietà, versa a terra il mio fiele, mi apre ferita su ferita, si avventa contro di me come un guerriero. Ho cucito un sacco sulla mia pelle e ho prostrato la fronte nella polvere. La mia faccia è rossa per il pianto e sulle mie palpebre c’è una fitta oscurità (Gb 16, 12-16).

2. Sono tante e così terribili le sofferenze di questa notte e così numerose le affermazioni della Scrittura che si potrebbero citare a questo riguardo, che non basterebbero il tempo e la forza per descrivere tutto. Del resto, tutto ciò che si può dire è sempre insufficiente. Dai testi citati possiamo averne un’idea. Tuttavia, prima di terminare la spiegazione di questi versi e allo scopo di far meglio comprendere ciò che l’anima prova in questa notte, riporterò i sentimenti di Geremia. La sua sofferenza è tale che scoppia in lacrime e si esprime in questi termini: Io sono l’uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Solo contro di me egli ha volto e rivolto la sua mano tutto il giorno. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha rotto le mie ossa. Ha costruito sopra di me, mi ha circondato di veleno e d’affanno. Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo. Mi ha costruito un muro tutt’intorno, perché non potessi più uscire; ha reso pesanti le mie catene. Anche se grido e invoco aiuto, egli soffoca la mia preghiera. Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha ostruito i miei sentieri. Egli era per me un orso in agguato, un leone in luoghi nascosti. Seminando di spine la mia via, mi ha lacerato, mi ha reso desolato. Ha teso l’arco, mi ha posto come bersaglio alle sue saette. Ha conficcato nei miei fianchi le frecce della sua faretra. Sono diventato lo scherno di tutti i popoli, la loro canzone d’ogni giorno. Mi ha saziato con erbe amare, mi ha dissetato con assenzio. Mi ha spezzato con la sabbia i denti, mi ha steso nella polvere. Son rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere e dico: «È sparita la mia gloria, la speranza che mi veniva dal Signore». Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno. Ben se ne ricorda e si accascia dentro di me la mia anima (Lam 3,1-20).

3. Sono questi i lamenti di Geremia che vuole dipingere al vivo le sofferenze della sua anima in questa purificazione o notte dello spirito. Per questo motivo occorre nutrire una grande compassione per l’anima che Dio introduce in questa notte tempestosa e terribile. Senza dubbio, sarà una sorte beata per l’anima ricuperare i beni incomparabili che le procurerà questa notte; ciò si verifica, come dice Giobbe, quando Dio strappa dalle tenebre i segreti e porta alla luce le cose oscure (Gb 12,22), ragion per cui, come dice Davide, nemmeno le tenebre per te sono oscure (Sal 138,12). Ciò nonostante, l’anima sperimenta una sofferenza immensa ed è nella più grande incertezza circa la sua guarigione, perché crede, come dice lo stesso profeta, che il suo male non finirà, sembrandole, come afferma ancora Davide, che Dio mi ha relegato nelle tenebre come i morti da gran tempo; in me languisce il mio spirito, si agghiaccia il mio cuore (Sal 142,3-4). Per questo motivo è degna di grande pietà e commiserazione. Oltre alle sofferenze che le vengono dalla solitudine e dall’abbandono che prova in questa oscura notte, l’anima soffre anche per il fatto di non trovare consolazione in solide letture né sostegno in maestri spirituali. Per quanto le si facciano notare i motivi di consolazione che le vengono dai beni racchiusi in simili sofferenze, essa non può credervi. Difatti è completamente presa e immersa nel sentimento di quei mali in cui vede così chiaramente le sue miserie; le sembra che i suoi direttori le dicano così perché non vedono quello che essa sente e non la capiscano. Anziché consolazione riceve nuovo dolore, pensando che non è quello il rimedio del suo male, ed è proprio così. Finché il Signore non avrà finito di purificarla come a lui piace, nessun mezzo o rimedio serve o aiuta a sollevarla dal suo dolore. Tanto più che l’anima, in questo stato, può fare molto poco; è come un prigioniero rinchiuso in una cella oscura con le mani e i piedi legati. Non può muoversi né vedere né ricevere alcun favore dall’alto o dal basso. Questa situazione dura finché lo spirito non si umilia, non si addolcisce e non si purifica, diventando talmente sottile, semplice e puro da poter costituire un tutt’uno con quello di Dio, secondo il grado di unione d’amore che egli nella sua misericordia vorrà concedergli. In vista di questo grado da raggiungere, la purificazione è più o meno intensa e dura più o meno a lungo.

4. Ma se tale purificazione dev’essere qualcosa di serio, per quanto sia profonda, dura alcuni anni. Tuttavia essa presenta delle pause di sollievo, durante le quali, per disposizione divina, questa contemplazione oscura non investe più l’anima per purificarla, bensì per illuminarla e accordarle tanto amore. L’anima, allora, sembra uscire dal carcere e dalle catene. Libera e distesa spiritualmente, sente e gusta soavità di pace, amabilità e familiarità piena d’amore con Dio, inoltre riceve le comunicazioni spirituali con molta facilità. Per l’anima tutto ciò è indizio della salvezza che la suddetta purificazione va operando nel suo intimo nonché preludio dell’abbondanza dei beni che l’aspetta. Inoltre la sua gioia è, a volte, così profonda, da sembrarle che siano finite le sue prove. Tale è, in realtà, la natura delle cose spirituali, soprattutto quando si tratta di cose molto elevate. Infatti, quando si riaffacciano le sofferenze, all’anima sembra di non uscirne più e aver perduto tutti i beni, come si è visto nelle citazioni riportate sopra. Quando, al contrario, le vengono accordati beni spirituali, l’anima ha la sensazione che siano finiti i suoi mali e che non le mancheranno più i beni, come confessò Davide quando si trovò in una situazione simile: Nella prosperità ho detto: nulla mi farà vacillare! (Sal 29,7).

5. Questo accade perché due contrari non possono stare allo stesso tempo nel medesimo soggetto: l’uno scaccia naturalmente l’altro e il sentimento dell’uno esclude quello dell’altro. La stessa cosa avviene nella parte sensitiva dell’anima, perché la sua capacità di percezione è debole. Ma poiché lo spirito in questo stato non è ancora ben purificato e libero dagli affetti contratti dalla sua parte inferiore, anche se come spirito non può vacillare, tuttavia in quanto unito alla parte inferiore può essere soggetto alla sofferenza. Ciò è quanto constatiamo in Davide che vacillò quando fu sottoposto a grandi sofferenze, sebbene al tempo della sua prosperità avesse detto: Nulla mi farà vacillare! (Sal 29,7). Anche l’anima, quando si vede fornita di abbondanti beni spirituali e non riesce a scorgere la radice delle imperfezioni e impurità che le restano ancora, pensa che le sue sofferenze siano finite.

6. Ma sono rare le volte in cui le viene in mente questo pensiero, perché, fin quando non è ultimata la purificazione spirituale, molto raramente la comunicazione soave sarà così abbondante da coprire la radice dei mali che restano nell’anima. Essa avverte, allora, nel più profondo del suo essere, che qualcosa manca o resta da compiere, e ciò non le permette di godere appieno di quei favori. Sente interiormente come un nemico che, anche se sopito e addormentato, fa temere di risvegliarsi per compiere qualcuna delle sue imprese. Ed è così. Quando l’anima si sente più sicura ed è meno all’erta, questo nemico torna per farla cadere in uno stato peggiore del primo, più duro, più oscuro e doloroso, la cui durata si protrae per un lungo periodo di tempo, forse più lungo del precedente. E l’anima crede ancora una volta che tutti i beni siano ormai perduti per sempre. Non le basta più l’esperienza del bene passato, goduto dopo il primo periodo di sofferenza, quando pensava di non avere più da penare. Pensa che in questo secondo periodo di sofferenza tutto il bene sia finito per sempre e che non le succederà come la volta precedente. Infatti, ripeto, questa sorta di certezza è talmente radicata nell’anima dall’attuale convinzione dello spirito, da annientare ogni pensiero che le è contrario.

7. Questo è il motivo per cui coloro che si trovano in purgatorio soffrono per il dubbio fortissimo che non ne usciranno mai e che le loro pene non avranno fine. Sebbene possiedano abitualmente le tre virtù teologali, cioè la fede, la speranza e la carità, attualmente hanno la sensazione delle loro sofferenze e della privazione di Dio. Per il momento non possono godere del bene e della consolazione derivante da quelle virtù. Benché sappiano con certezza di amare Dio, ciò non li conforta, perché hanno l’impressione di non essere amati da Dio nella loro indegnità. Anzi, vedendosi privati di lui e immersi nelle loro miserie, pensano di avere in sé motivi più che sufficienti per essere aborriti e rifiutati da Dio, giustamente e per sempre. Similmente, l’anima che attraversa questo stato di purificazione è consapevole di amare Dio. È altresì disposta a dare mille vite per lui, ed è veramente così, perché davvero ama Dio in mezzo alle sofferenze; tuttavia non solo non trova in tutto questo alcun sollievo, ma ne riceve una pena maggiore. Essa ama tanto Dio da non preoccuparsi di null’altro che di lui, ma si vede tanto misera da non poter credere che Dio la ami, perché non ha e non avrà mai motivi per farlo. Scopre in sé motivi per essere sempre detestata da Dio e da ogni creatura. Il suo tormento consiste nel constatare in sé le ragioni per cui merita di venire respinta da chi essa ama tanto e desidera con tutto il cuore.

CAPITOLO 8

Ove si parla di altre sofferenze che affliggono l’anima in questo stato.

1. C’è un’altra cosa che rattrista e tormenta molto l’anima in questo stato. Poiché le sue potenze e i suoi affetti sono bloccati in questa notte di contemplazione, l’anima non può, come prima, elevare i suoi affetti e la sua mente a Dio né può pregarlo. Come accadde a Geremia, le sembra che Dio si sia avvolto in una nube che impedisce alla supplica di giungere fino a lui (Lam 3,44). Questa espressione spiega la citazione già riportata: Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra (Lam 3,9). Se poi qualche volta prega, lo fa senza convinzione e devozione, perché le sembra che Dio non l’ascolti e non le badi, come fa capire lo stesso profeta quando dice: Anche se grido e invoco aiuto, egli soffoca la mia preghiera (Lam 3,8). In verità questo non è il momento di parlare con Dio, ma di mettere, come dice Geremia, nella polvere la bocca: forse c’è ancora speranza (Lam 3,29), sopportando con pazienza la prova di questa purificazione. Poiché Dio sta purificando l’anima passivamente, essa non può far nulla: non può pregare né assistere con attenzione alla liturgia né tanto meno attendere alle cose di questo mondo. Oltre a ciò, molte volte le accade di essere talmente distratta e avere delle dimenticanze così gravi da passare molto tempo senza sapere cosa ha fatto o ha detto, né ciò che fa o farà e, anche volendolo, non può prestare attenzione a nulla.

2. Quando l’anima è in questo stato non solo l’intelletto viene purificato del suo lume e la volontà dei suoi affetti, ma anche la memoria si spoglia dei suoi discorsi e delle sue conoscenze; è, quindi, necessario che quest’ultima sia come annientata nei confronti di tali conoscenze, perché in questa purificazione si verifichi ciò che Davide dice di sé: Io ero stolto e non capivo (Sal 72,22). Questo non capire si riferisce alle amnesie e dimenticanze della memoria, provocate dal raccoglimento interiore in cui l’anima è immersa durante questa contemplazione. Difatti, perché l’anima sia disposta e preparata alle realtà divine con tutte le sue facoltà e giunga all’unione d’amore con Dio, è opportuno che venga prima assorbita con tutte le sue potenze da questa divina e oscura luce della contemplazione; in seguito occorre che venga distolta da tutti i suoi affetti e conoscenze delle creature. Tutto questo lavoro dura più o meno a lungo in ciascuna persona e corrisponde al grado d’intensità della luce. Questo è il motivo per cui, quanto più semplice e pura è questa luce divina che investe l’anima, tanto più la getta nelle tenebre, la spoglia dei suoi affetti particolari e la priva delle sue conoscenze spirituali e temporali. Similmente, quanto meno semplice e pura è questa luce, tanto meno spoglia l’anima e la oscura. Sembra incredibile che la luce soprannaturale e divina tanto più getti l’anima nelle tenebre quanto più è chiara e pura, e tanto meno l’ottenebri quanto meno è pura! Ora tutto questo si comprende bene se ricordiamo l’affermazione del Filosofo, che ho già provato, secondo cui le realtà soprannaturali sono tanto più oscure per la nostra intelligenza quanto più chiare ed evidenti sono in se stesse.

3. Per far meglio comprendere questa dottrina prendo a paragone la luce naturale e comune. Il raggio di sole che entra da una finestra, quanto più è limpido e privo di pulviscolo, tanto meno chiaramente lo si vede; al contrario, quanto più l’aria è polverosa e irrespirabile, tanto più il raggio si fa visibile agli occhi. Questo perché la luce non è visibile per se stessa, ma è il mezzo con cui si vedono gli oggetti che essa investe; e solo allora può essere vista, cioè solo per il riflesso che si determina sugli oggetti, altrimenti non si vedrebbe nulla. Allo stesso modo, se un raggio di sole entrasse attraverso la finestra di una stanza e uscisse dall’altra e non s’imbattesse in nulla, né vi fossero nell’aria particelle su cui possa riflettersi, non vi sarebbe più luce di prima nella stanza, né il raggio potrebbe essere visto. Al contrario, se si osserva bene, c’è più oscurità proprio dove passa il raggio, perché esso oscura e diminuisce alquanto ogni altra luce; esso poi non si vede perché, come ho detto, non ci sono oggetti visibili su cui possa riflettersi.

4. In modo simile si comporta nell’anima il raggio della contemplazione. Investendola con la sua luce divina, trascende le forze naturali dell’anima e la introduce nelle tenebre. La priva, poi, di tutte le conoscenze e gli affetti naturali che prima sperimentava mediante la luce naturale. In questo modo non solo la lascia nelle tenebre, ma spoglia altresì le sue facoltà e le sue tendenze sia spirituali che naturali. Svuotandola e lasciandola nell’oscurità, la purifica e la illumina con la sua luce divina, senza che l’anima si accorga di possederla; anzi, crede di essere sempre nelle tenebre. Ciò è quanto si è detto del raggio del sole che, pur trovandosi nella stanza, resta invisibile a noi se è puro e non s’imbatte in qualche oggetto che lo rifletta. Ma quando questa luce spirituale, da cui l’anima è investita, incontra qualche oggetto che la riflette, cioè quando le si presenta qualche problema spirituale di perfezione o d’imperfezione, per quanto di poco conto, oppure un giudizio di ciò che è vero o falso, subito essa lo vede e lo comprende molto più chiaramente di prima, quando non era ancora immersa in queste tenebre. Inoltre sa di possedere anche la luce spirituale per conoscere con facilità l’imperfezione che le si presenta. È come il raggio di cui si è detto, il quale resta oscuro nella stanza e invisibile per se stesso, ma appena una mano o un oggetto s’interpone, subito si fa visibile la mano e si conosce che lì c’è la luce del sole.

5. Questa luce spirituale è molto semplice, pura, di carattere generale, e per questo motivo non è condizionata né specificata da nessun particolare oggetto intelligibile, né divino né umano, perché conserva spoglie e vuote di tutte queste conoscenze le potenze dell’anima. Ne segue che l’anima conosce e penetra con grande facilità ed estensione qualsiasi fatto divino e umano che le si presenta. Ciò è quanto l’Apostolo ha detto: Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio (1Cor 2,10). Possiamo attribuire a questa sapienza generale e semplice ciò che, per bocca del Saggio, dice lo Spirito Santo: Per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa (Sap 7,24), perché non è legata a nessun intelligibile particolare né ad alcun affetto. Questa è la proprietà dello spirito purificato da tutti gli affetti e le conoscenze particolari. E poiché non vuole gustare né intendere nulla in particolare, rimanendo nel suo vuoto e nella sua tenebra, possiede una grande disposizione a penetrare tutto, così che si verifica in lui quanto afferma san Paolo: Nihil habentes et omnia possidentes: Gente che non ha nulla, mentre possediamo tutto (2Cor 6,10). Tale beatitudine è riservata ai poveri di spirito.

Amministra Discussione: | Riapri | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 23:38. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com