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Chiesa di massa o Chiesa di qualità (minoritaria)? Risponde Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2012 23:10
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25/09/2009 12:25
 
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[SM=g1740733] molto importante...

Domanda. Eminenza, molti anni fa Lei si espresse in termini profetici sulla Chiesa del futuro: la Chiesa, diceva allora, «si ridurrà di dimensioni, bisognerà ricominciare da capo. Ma da questa prova uscirà una Chiesa che avrà tratto una grande forza dal processo di semplificazione che avrà attraversato, dalla rinnovata capacità di guardare dentro di sé. Perché gli abitanti di un mondo rigorosamente pianificato si sentiranno indicibilmente soli... E riscopriranno la piccola comunità dei credenti come qualcosa di completamente nuovo. Come una speranza che li riguarda,come una risposta che hanno sempre segretamente cercato». Pare proprio che abbia avuto ragione. Ma qual è la prospettiva che ci attende in Europa?



Risposta. Per incominciare: la Chiesa si ridurrà numericamente? Quando ho fatto questa affermazione, mi sono piovuti da tutte le parti rimproveri di pessimismo. E oggi tutti i divieti paiono caduti in disuso, tranne quello riguardante ciò che viene chiamato pessimismo e che spesso non è altro che sano realismo. [SM=g1740733] Nel frattempo i più ammettono la diminuzione della percentuale di cristiani battezzati nell'Europa di oggi. In una città come Magdeburgo la percentuale dei cristiani è solo dell'8% della popolazione complessiva, comprendendo - si badi bene - tutte le confessioni cristiane. I dati statistici mostrano tendenze inconfutabili. In questo senso si riduce la possibilità di identificazione tra popolo e Chiesa in determinate aree culturali, ad esempio da noi. Dobbiamo semplicemente prenderne atto.



Domanda. Che cosa significa?

Risposta. La Chiesa di massa può essere qualcosa di molto bello, ma non è necessariamente l'unica modalità di essere della Chiesa. La Chiesa dei primi tre secoli era una Chiesa piccola senza per questo essere una comunità settaria. Al contrario, non era chiusa in sé stessa, ma sentiva di avere una responsabilità nei confronti dei poveri, dei malati, di tutti. Nel suo grembo trovavano posto tutti coloro che da una fede monoteista traevano alimento nella loro ricerca di una promessa.
Già le sinagoghe, le comunità ebraiche presenti nelle città dell'Impero Romano avevano costituito una cerchia di simpatizzanti esterni, i cosiddetti timorati di Dio, che si erano avvicinati alla fede ebraica e che ne testimoniavano la grande apertura all'esterno. Il catecumenato della Chiesa antica aveva una funzione simile. Persone che non si sentivano ancora pronte a un'identificazione totale con la Chiesa, potevano in un certa misura avvicinarvisi per poi valutare se compiere il passo definitivo. Questa consapevolezza di non essere un club chiuso ma di essere sempre aperti alla comunità nel suo complesso è sempre stata una componente ineliminabile nella Chiesa.
E anche al processo di riduzione numerica che stiamo vivendo oggi dovremo far fronte proprio esplorando nuove forme di apertura all'esterno, nuove modalità di coinvolgimento parziale di coloro che sono al di fuori della comunità dei credenti.
Non ho niente in contrario a che persone che durante l'anno non hanno mai messo piede in chiesa vadano alla Messa della notte di Natale o a San Silvestro o in occasione di altre festività perché anche questa è una forma di avvicinamento alla benedizione del sacro, alla sua luce. Ci devono quindi essere forme diverse di coinvolgimento e partecipazione, la Chiesa deve aprirsi interiormente a coloro che stanno ai margini delle sue comunità.

Domanda. Ma la Chiesa di massa non è la più alta conquista della civiltà religiosa? Non è forse la Chiesa davvero universale, accessibile a tutti, la Chiesa che con i suoi mille rami offre un tetto ad ogni uomo? La Chiesa può davvero rinunciare all' aspirazione a essere una Chiesa di massa e quindi la Chiesa della maggioranza? Questa è una conquista che è pur sempre costata immani sforzi e sacrifici.


Risposta. Dobbiamo prendere atto dell'assottigliarsi delle nostre fila, ma dobbiamo parimenti rimanere una Chiesa aperta. La Chiesa non può essere un gruppo chiuso, autosufficiente. Dobbiamo essere missionari innanzi tutto nel senso di riproporre alla società quei valori che dovrebbero informare di sé la sua coscienza, valori che sono le fondamenta della forma statuale che la società stessa si è data, e che sono alla base della possibilità di costituire una comunità sociale davvero umana.
In questo senso il dibattito su ciò che fu una volta la Chiesa di massa - e che in alcuni Paesi continuerà ad essere, e in altri ancora diventerà per la prima volta - proseguirà sicuramente. La Chiesa continuerà a esprimere il suo punto di visto nell'ambito del processo di produzione legislativa e a riproporre i grandi valori umani universali quali stelle polari nel processo di costruzione di un corpo sociale umano. Perché, se il diritto non ha più fondamenta morali condivise, decade anche in quanto diritto.
Da questo punto di vista la Chiesa ha una responsabilità universale. Responsabilità missionaria significa appunto, come dice il papa, tentare davvero una nuova evangelizzazione. Non possiamo accettare tranquillamente che il resto dell'umanità precipiti nel paganesimo di ritorno, dobbiamo trovare la strada per portare il Vangelo anche ai non credenti.
(..) La Chiesa deve ricorrere a tutta la sua creatività per far sì che non si spenga la forza viva del Vangelo. Per plasmare le masse, pervaderle del suo messaggio e agire in loro come il lievito. Proprio come disse Gesù allora a una comunità molto piccola, quella degli Apostoli: siate lievito e sale della terra. La definizione di «lievito» presuppone la dimensione molto piccola da un lato, ma anche l'universalità della responsabilità.




Tratto da: J. Ratzinger, “Dio e il mondo”, ed. Paoline, 2001, Pag. 403-406
lnx.theseuslibri.it/product.asp?Id=277


[SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La Chiesa “assediata” da Gesù

Comunione_degli_apostoli,_cella_35La Chiesa è sotto assedio? Sembrerebbe di sì, se si dovesse dar retta ad alcuni giornali di questi ultimi giorni. Vi si parla della Chiesa cattolica come di una istituzione colpita a morte dai peccati di alcuni suoi membri e di un successore di Pietro che dovrebbe pensare a dimettersi. In realtà, grazie a Dio, le cose non stanno così.
Certamente i peccati di noi cristiani costituiscono uno schermo tra l’opera di Cristo – che in questi giorni vediamo curvarsi di nuovo sull’uomo ferito, per guarirlo con la propria passione, morte e risurrezione – e l’umanità che l’attende gridando e sperando.
Quando poi il peccato è così grave da attentare l’innocenza e la salute dei piccoli, il crimine è particolarmente odioso e va perseguito. Ma nulla può spegnere l’opera di Cristo che è venuto proprio per guarirci dal nostro male.
Senza la sua vicinanza, senza la Chiesa, la tenebra nel mondo, lungi dal diminuire, aumenterebbe. La santità della Chiesa nasce dall’opera di Gesù che muore sulla Croce per cancellare i nostri peccati, vincendo ogni divisione e ridando all’uomo la speranza di poter risorgere sempre. La Chiesa non è santa per la bontà dei suoi membri.

Alla fine del IV secolo sant’Agostino, nella lotta contro il Donatismo, ha rivelato il vero volto della Chiesa. C’era chi voleva che i lapsi, che avevano abiurato la fede sotto la pressione delle persecuzioni imperiali, venissero ribattezzati. Agostino si oppose: «È Cristo che rende santa la sua Chiesa».
La Chiesa è assediata, sì, ma dall’amore del suo Signore che continuamente urge i suoi membri a conversione. Benedetto XVI poggia in questo la sua confidenza. Per questo è sereno, pur nel dramma dei peccati di tanti uomini. Da questa serenità attinge la forza per una riforma della Chiesa, per far pulizia, senza nascondere nulla ma anche senza nessun cedimento alla logica mondana di chi vuole negare alla Chiesa quella maternità che le viene dalla morte e resurrezione del suo Signore.

pubblicato su ilsussidiario.net

nell’immagine: Beato Angelico, Comunione degli apostoli


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Le ASSURDE PRETESE del cardinale di Vienna Schönborn bah


Leggiamo e poi commentiamo:

La parola al principe. Christoph von Schönborn, cardinale di Vienna, spiega al Foglio che la chiesa, dopo la tempesta dei preti pedofili, ha due nemici contro cui combattere: il libertinismo e il puritanesimo

di Paolo Rodari

L’annus horribilis per la chiesa cattolica, il 2010 segnato dalle accuse alla chiesa e al Papa di aver insabbiato i peccati carnali del clero commessi sui bambini, è passato. Le ferite sono ancora aperte. Una parte di mondo ha cercato di entrare nella pelle e nel cuore della chiesa per cambiarla, mutarla, rinnovarla dall’esterno.
Come se, messa davanti al proprio peccato, la chiesa dovesse prendere una rotta per essa inedita: l’abbraccio incondizionato della contemporaneità e dei suoi criteri radicalmente secolarizzati di esistenza.
La chiesa ha risposto con Benedetto XVI e le sue parole ai vescovi irlandesi: penitenza. Che significa sì espiazione, ma anche profonda “révision de vie”. Un suo tradizionale modo di essere, ma una svolta rispetto a un lungo ciclo storico degli ultimi trent’anni. Sono stati ventisei anni e mezzo del beato Giovanni Paolo II al soglio di Pietro, un pontificato trionfale ed evangelicamente invadente, politicamente e spiritualmente forte, anche nella sua lenta e sofferente fase finale.
Anni di battaglia culturale e dottrinale, segnati dalla guida ratzingeriana della congregazione per la Dottrina della fede, culminati negli esordi decisi di Benedetto XVI con le grandi omelie e i discorsi alla vigilia dell’elezione diretti contro il relativismo etico e la sua dittatura, con il discorso di ermeneutica conciliare tenuto dal nuovo Papa alla curia romana nel 2005 con il monito a fuggire quello spirito di rottura che dopo il Concilio Vaticano II ha tradito la tradizione autentica; infine la lectio magistralis di Ratisbona, con il richiamo alle religioni affinché agiscano secondo ragione e non si pieghino all’odio e alla violenza nel nome di Dio, e le grandi encicliche sull’amore, sulla speranza e sulla carità nella verità. Anni e interventi di grande vitalità identitaria, di proiezione della chiesa verso il mondo, e cioè di riconquista e di evangelizzazione.
Oggi qualcosa è cambiato. Lo stato d’animo è quello dell’allerta, si nota un linguaggio più mite e introverso, che appare ad alcuni come un abbassamento della soglia della combattività culturale e teologica.
Il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, domenicano, è a Roma per l’ordinaria riunione della congregazione per la Dottrina della fede della quale è membro. “Ci riuniamo sempre nella feria quarta, ovvero il mercoledì, come un tempo faceva l’Inquisizione”, spiega sorridendo. Schönborn ha accettato di parlare con il Foglio di questa nuova fase, spiegandola e interpretandola.

Dice: “La chiesa manca oggi di offensiva? E’ vero. Ma ciò accade perché la purificazione è necessaria. Se la chiesa vuole essere una guida spirituale per la società, se la chiesa vuole avere come è giusto e legittimo che sia questo ruolo, deve confrontarsi con i suoi peccati. Perché non si può richiamare il mondo alla verità se la verità non si ha il coraggio di farla propria. Sembra di essere al tempo dei profeti dell’Antico Testamento. Le loro parole erano per il popolo come uno specchio. Il loro era un invito a guardarsi, a guardare i propri peccati e il proprio tradimento. Era Dio che attraverso i profeti chiamava la chiesa alla purificazione, alla metànoia che significa sempre un radicale e vissuto cambiamento del modo di pensare e di agire.
Nella chiesa cattolica vengono commessi gravi peccati come accadeva ai tempi in cui Paolo era a Corinto, una città divenuta ormai romana, profondamente pagana negli orientamenti di vita. Paolo predicò la purificazione per la piccola comunità cattolica della città. Il cambiamento di rotta fu notato e la città a suo modo non rimase indifferente. La stessa cosa la chiesa deve fare oggi. La stessa cosa abbiamo deciso di fare a Vienna. Abbiamo pubblicato le nostre linee guida sulla pedofilia nel clero e le abbiamo chiamate ‘La verità vi farà liberi’.

Per me, per la chiesa austriaca, è stato un anno molto difficile. Siamo stati nella tempesta. Abbiamo deciso di rispondere, in linea con una tendenza che in modo ineludibile il Papa ha voluto mostrare, puntando sulla penitenza e sulla verità.
Cercare la verità è un’operazione che può essere penosa ma indispensabile. E’ l’unica condizione per avere misericordia da Dio. Viviamo in un periodo nel quale tutti fuggono dalla verità. La chiesa non può permettersi di fare questo”.
Schönborn è il secondogenito di una antica famiglia dell’alta nobilità dell’Europa centrale. Una famiglia “poco praticante – dice Schönborn – ma che respirava della grande tradizione cattolica austriaca, una chiesa che fu chiesa di stato ma anche anima dell’impero e del popolo. Una chiesa che fu di stampo costantiniano, dove i vescovi erano dei signori con un loro potere da esercitare, avevano una corte, proteggevano gli artisti, e i Papi aspiravano a una pompa uguale a quella dei Cesari. E’ questo modello di chiesa che il post Concilio ha fortemente messo in discussione”.

Scrisse il teologo domenicano Yves-Marie-Joseph Congar che è “la menzogna della donazione di Costantino” che “impedisce l’apertura a un compito pienamente evangelico e profetico” della chiesa.
L’accusa, vivissima soprattutto nell’era di Karol Wojtyla regnante, quando la grande battaglia evangelica si concentrò sulla riconquista spirituale e politica dell’Europa alla libertà religiosa e alle sue radici cristiane, è sempre la medesima: la religione dell’antico patto costantiniano tra chiesa e impero falsifica la fede riducendola a religione civile, contigua alle potenze del mondo.
Dice Schönborn: “Non voglio negare che il metodo che Dio ha scelto per manifestarsi è quello dell’incarnazione. Che significa che Dio si è fatto uomo dentro la storia e dunque accettando l’istituzione come prolungamento della sua stessa incarnazione. Questo mistero divino-umano è un invito al mondo a fare propria la fede come dimensione spirituale ma anche ad assumere il Vangelo come cammino di vita. Questo cammino implica un cambiamento visibile della società e delle sue strutture, è inevitabile. Perché una vera umanizzazione possa avvenire la società deve cambiare anche a livello strutturale. E’ per questo motivo che i cristiani hanno da sempre cercato di trasformare la società in cui vivono. Hanno inventato gli ospedali, le università. L’incarnazione in questo senso è sempre stata un qualcosa di visibile, di concreto. Questa scelta che possiamo in qualche modo definire ‘costantiniana’ è necessaria e inevitabile”.

Incarnare la fede cristiana nel mondo di oggi è impresa non facile. La chiesa vive nel mondo ma non è del mondo. Su questo crinale si combatte ogni giorno un’aspra battaglia nella quale a cadere sono in tanti, non soltanto i preti che peccano e abusano dei giovani. “L’anno scorso – dice – dalla vicina Germania sono arrivate notizie di casi tremendi di pedofilia che ci hanno segnato ma anche molto interrogato. Nel collegio gesuita di Berlino, il Canisius, uno dei migliori collegi cattolici tedeschi, si è saputo che negli anni Settanta e Ottanta si è abusato di diversi giovani. La stessa cosa è avvenuta nella prestigiosa Odenwaldschule di Heppenheim, nei pressi di Francoforte, la scuola dove viene formato il meglio dell’intellighenzia laica del paese – qui studiavano l’ex presidente della confindustria tedesca, Tyll Necker, il figlio dello scrittore Thomas Mann, Klaus, il deputato europeo dei Verdi Daniel Cohn-Bendit, e un figlio dell’ex presidente della Repubblica tedesca Richard von Weizsäcker. Dunque due casi analoghi per due scuole profondamente diverse. Questi fatti devono aiutarci a riflettere. E a riconoscere che tutti oggi viviamo in una società che manca di virtù, che manca di una gestione sana della propria sessualità, che manca di educazione e di equilibrio. Tutti ne siamo condizionati, tutti corriamo il rischio di farci condizionare. Ma alla società non bisogna contrapporre né una forte attitudine rigorista e puritana né il permissivismo assoluto come era nel dopo Sessantotto. In questo senso la battaglia della chiesa è la stessa battaglia alla quale è chiamata la società più sana, e cioè il superamento delle logiche puritane e libertine per tornare ad abbracciare ciò che siamo, le virtù conosciute bene dalla grande tradizione ebraico-cristiana e insieme anche classico-pagana. Quelle virtù senza le quali il mondo altro non è che una truppa di briganti. Questo è il defensor civitatis, e cioè colui che sa incoraggiare le virtù più elementari della vita comune: la giustizia, il rispetto, la disponibilità, l’amicizia. L’Europa non deve perdere questa sua importante eredità che, come detto, non affonda le sue radici soltanto nella cultura cristiana ed ebraica ma anche in quello precristiana e pagana”.
Non cedere al puritanesimo e nemmeno al libertinismo, dunque, nonostante la norma etica si stia abbassando sempre più vertiginosamente? “Che la norma etica si stia abbassando è evidente. L’uso della pillola abortiva, l’aborto, la destrutturazione della famiglia sono fenomeni oggi ordinari. Ma la rete sociale e umana non può essere ricreata semplicemente con decreti e richiami forti sulle norme. Di certo le norme servono ma queste devono nascere da un qualcosa che già si vive, da delle virtù che già si riconoscono come importanti a prescindere dalla propria appartenenza religiosa. Per me, comunque, la grande urgenza dell’Europa oggi resta la famiglia. Perché è nella famiglia che s’impararano certi valori”.

Oggi la famiglia è un concetto non facilmente circoscrivibile. La famiglia tradizionale biparentale è in forte difficoltà. Ci sono le famiglie gay, le famiglie allargate, formate da persone separate… “E’ vero. Anche in Austria è così. Le patchwork families sono una realtà ben radicata. Moltissimi matrimoni si sciolgono in divorzio. La chiesa credo debba incoraggiare, con l’esempio anzitutto. Ma deve anche riconoscere che molte virtù sono presenti nelle persone che vivono in queste situazioni. La chiesa non deve demonizzare ma osservare e valorizzare ciò che si può valorizzare. Torno a san Paolo, nella sua Corinto. Quando Paolo ha fondato la piccola comunità di Corinto ha trovato innanzi a sé un mondo pagano e frammentato. Non ha detto a questo mondo: ‘Dovete fare così e così’. Ma ha creato una comunità cristiana che con la sua carità e la sua gioia di condividere ha attratto a sé tanta gente. Questa è la nostra sfida oggi. Mostrare al mondo il fascino della nostra fede”.
Il fascino della fede ha segnato la strada di Schönborn verso il sacerdozio. Il cardinale racconta: “A undici anni avevo come insegnante di religione un prete bravissimo che mi fece scoprire l’amore per Gesù. Verso i diciotto anni questo amore era ancora intatto e anzi più vivo. Così mi convinsi e scelsi per il sacerdozio. La scelta dei domenicani la presi quando conobbi padre Paulus. Era un intellettuale domenicano amante del rosario. Fu questo contrasto tra una pietà popolare e un’alta intelligenza formata alla scuola tomista a conquistarmi.

Questo suo modo di vivere divenne per me, e lo è tutt’ora, un ideale: una vita intellettuale esigente unita a una pietà semplice, popolare. In una mano san Tommaso e nell’altra il rosario. Nel 1964 cominciai i miei studi. Ricordo che intorno a noi tutto crollava. L’anno fatidico del cambiamento, infatti, non fu il 1968 ma il 1964, l’anno dell’apparizione di voci che volevano fare del Concilio Vaticano II ciò che Henri de Lubac chiamava il ‘paraconcilio’. E’ stato l’anno nel quale il teologo domenicano olandese Edward Schillebeeckx lascia il tomismo e si butta nell’ermeneutica e nell’esegesi moderna. Io arrivai allo studio della filosofia e della teologia proprio quando crollò la scolastica classica, la formazione tomista classica e quando ancora non si era imposto un nuovo ordine disciplinare. Inizialmente ero affascinato dalle scienze umane, dalla psicologia in particolare, ma di nuovo un incontro importante fece mutare il mio indirizzo. Incontrai un monaco ortodosso, André Scrima, che mi aprì la strada verso i Padri della chiesa d’oriente. Direi che fu grazie a Scrima, che al Concilio era il teologo personale del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Atenagora I, che sono sopravvissuto in questo ambiente dove il metodo di studio teologico era profondamente mutato. Scrima parlò al mio gruppo di Jacques Derrida, allora una figura mitica del panorama filosofico. Ci fece conoscere Massimo il confessore che divenne il protagonista dei miei studi. Con Scrima frequentammo i Padri della chiesa come un pensiero caldo e autentico sganciato da una prospettiva meramente storico-critica. La visione dei Padri era fortemente cristologica, il divino nell’umano. In questa prospettiva mi fermai molto sul grande filosofo e cardinale del Quattrocento Nicola Cusano, che parla di Cristo come il maximum concretum. E’ il Dio concreto, reale, uomo e Dio insieme.

E’ il paradosso che studiai in Vladimir Soloviev, Dio come persona umano-divina, reale, storica, con la concretezza della carne, quella figura che oggi studiamo in Benedetto XVI che nei suoi libri invita a superare l’approccio storico-critico per cogliere il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale”.
E’ tempo per Schönborn di rientrare nell’ex Sant’Uffizio, per i lavori della feria quarta. Poi il pernottamento, come sempre, alla basilica dei Quattro Coronati. Qui ha sede la Comunità dell’Agnello della quale Schönborn è il responsabile. Eretta il 6 febbraio 1983 da monsignor Jean Chabbert, arcivescovo di Perpignan, vive in povertà e austerità: “Seguendo Gesù povero e crocifisso, sulle orme dei nostri padri san Domenico e san Francesco, i piccoli fratelli dell’Agnello, alla ricerca della pecora smarrita, pregano senza sosta il nome di Gesù, vanno di porta in porta a chiedere l’elemosina del pane quotidiano”. Si capisce molto di Schönborn, chiamato al sacerdozio grazie all’incontro con un domenicano “intellettuale e insieme amante del rosario”, guardando questa piccola comunità. I componenti dormono su letti di legno, con un materasso molto sottile. “Io – dice von Schönborn con delicata autoironia – dormo su un letto normale”.

Pubblicato sul Foglio sabato 4 giugno 2011

e pubblicato dal Blog di Raffaella nel quale vi suggerisco ad accedere per leggere i commenti


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la mia riflessione è la seguente:


Cara Raffella.... il cardinale Schönborn parla più come se avesse dei SENSI DI COLPA che non quale pastore che VIGILA SUL GREGGE CHE GLI E' AFFIDATO....
accusa, ingiustamente, l'epoca costantiniana, salvo poi ESERCITARE un potere ancora più subdolo che è quello SULLE COSCIENZE che dovrebbero rispondere AL SUO MODO DI VEDERE LA CHIESA...
non dimentichiamo che più volte ha affermato (obbligato poi a smentirsi dalla Santa Sede) la sua vicinanza ai preti sposati....
non dimentichiamo che è un Pastore che non sa neppure cosa fare dal momento che appena Kiko fischia, lui, PECORA, corre al suo monte santo pendendo dalle sue parole...
che razza di insegnamento potrebbe mai darmi un Vescovo del genere: INCERTO, INSICURO, CON I SENSI DI COLPA?

Molti Vescovi oggi usano il proprio potere per NARCOTIZZARE certe coscienze... e questo con Constantino non c'azzecca nulla...

leggo da Schönborn che:
i Papi aspiravano a una pompa uguale a quella dei Cesari. E’ questo modello di chiesa che il post Concilio ha fortemente messo in discussione..

***
ma questa è MENZOGNA!!! basti vedere a san Pio V a Papa Sisto, al beato Pio IX, a Leone XIII a san Pio X, a Papa Lambertini, a Benedetto XV a Pio XII....e il Concilio NON HA MAI MESSO IN DISCUSSIONE IL MODELLO DI CHIESA PASSATO...giust'appunto si parla di POST-CONCILIO quello che Benedetto XVI invece sta mettendo continuamente in discussione per le errate interpretazioni e per LA ROTTURA CON LA CHIESA DEL PASSATO...

Se codesto cardinale ha DEI SENSI DI COLPA PER NON AVER VIGILATO PRIMA sui peccati di pedofilia, questo è un problema SUO, di PASTORE....ma non li può riversare SULLA CHIESA GENERALIZZANDO L'ACCUSA, spiegazione per altro data da Benedetto XVI nell'Anno Sacerdotale!

Questo cardinale ti usa la pedofilia che ha colpito lo 0,01% dei preti PER ACCUSARE LA CHIESA PRIMA DEL CONCILIO, per denunciare una grave APOSTASIA nella Chiesa che non ha nulla a che vedere con questo ma che anzi, ne è l'apice... ma che siamo impazziti?

Si curasse i suoi SENSI DI COLPA perchè le sue parole sono autentico PURITANESIMO, il classico RIFORMATORE PROTESTANTE...che identifica solo ciò che LUI vuol vedere, definendo COLPEVOLE TUTTO IL RESTO...
Poveri fedeli austriaci!!!
è comprensibile il loro crollo nella fede!

P.S.
il cardinale Schönborn fu anche colui che NON RIMPROVERO' una Messa assurda e ridicola per il raduno non ricordo di cosa...ma gira il video nel quale si vede, durante la Messa all'alperto, gente SEDUTA FRA I TAVOLI CHE BEVE BIRRA E FUMA...E MANGIA PANINI....MENTRE IL PRETE STA CELEBRANDO...

In uno dei richiami del pastore Kiko presso il suo monte santo, Schönborn lasciò la sua Chiesa e stranamente in quei giorni si piazzò NEL DUOMO DI SUA SPETTANTE VIGILANZA il quadro osceno dell'orgia omosessuale dell'ULTIMA CENA....e che definì ARTE!!! salvo poi toglierla dopo l'ennesimo richiamo da Roma...

E' uno dei pochi Vescovi RICHIAMATI A ROMA a causa delle sue USCITE poco ortodosse...quando Schönborn parla in pubblico, finisce sempre con il fare qualche danno...
mi chiedo perchè il Papa non interviene definitivamente, anche se lo fa, interviene con lui, ricordandolo QUALE ALLIEVO e quindi un figlio un pò turbolento da tenere sotto controllo...
la pazienza di Dio è sconfinata, ma quella dei fedeli no....

Schönborn ha fatto UN IMPACCO che è confuso, subdolo, ambiguo e che non può ricondursi al suo concetto di libertinismo e puritanesimo...la Chiesa NON E' MORALISTA...non è un Soviet...MA PORTA AVANTI DEI "NO" che gli sono stati affidati e comandati da DIO...

Il peccato PIU' GRAVE nella Chiesa non è affatto la pedofilia...questo è un peccato PERSONALE CHE NON PUO' RICADERE MAI SU TUTTO IL CORPO DI CRISTO...semmai questo gli produce FERITE E PIAGHE, ma a pagare sono i colpevoli  E CHI LI HA COPERTI...non tutta la Chiesa...

Nel 2005 Ratzinger nel Venerdì Santo PARLAVA DI UNA SPORCIZIA GENERALE E NON PARTICOLARE...
parlava di disobbedienza al Papa, di contestazione, DI LITURGIA DEL FAI DA TE...di dottrine CONTRARIE ALL'ETICA E ALLA MORALE CATTOLICA...
è assurdo rinchiudere ora queste carenze nel solo peccato della pedofilia... moltissimi preti, CELEBRANO IN MODO INDEGNO L'EUCARISTIA...
ci sono state Messe probabilmente anche non valide fatte con le pagnotte di pane che Schönborn dovrebbe ben conoscere...
parlare solo di PEDOFILIA e non invece di APOSTASIA DOTTRINALE, fa del problema un vero SENSO DI COLPA  di cui ne facciamo a meno...

La pedofilia la si combatte CON UN POPOLO SANTO, FEDELE, CHE CREDE E VIVE DI ORTODOSSIA CATTOLICA....certi sermoni, reverdo Padre Schönborn, li rivolga a se stesso senza generalizzare e senza metterci in mezzo i Papi SANTI del passato con la trita e ritrita accusa PROTESTANTE della falsa donazione di Costantino ...assurdo che un cardinale si santa Romana Chiesa usi gli stessi mezzi dei PROTESTANTI per cercare di RATTOPPARE gli strappi che vede nella Chiesa...

 

Infine:
Schönborn ha scoperto un nuovo vangelo, il suo!
e scrive:

Oggi la famiglia è un concetto non facilmente circoscrivibile. La famiglia tradizionale biparentale è in forte difficoltà. Ci sono le famiglie gay, le famiglie allargate, formate da persone separate… “E’ vero. Anche in Austria è così. Le patchwork families sono una realtà ben radicata. Moltissimi matrimoni si sciolgono in divorzio. La chiesa credo debba incoraggiare, con l’esempio anzitutto. Ma deve anche riconoscere che molte virtù sono presenti nelle persone che vivono in queste situazioni. La chiesa non deve demonizzare ma osservare e valorizzare ciò che si può valorizzare. Torno a san Paolo, nella sua Corinto. Quando Paolo ha fondato la piccola comunità di Corinto ha trovato innanzi a sé un mondo pagano e frammentato. Non ha detto a questo mondo: ‘Dovete fare così e così’. Ma ha creato una comunità cristiana che con la sua carità e la sua gioia di condividere ha attratto a sé tanta gente. Questa è la nostra sfida oggi. Mostrare al mondo il fascino della nostra fede”.
 
************* 
mi risulta che san Paolo andò assai pesante contro le coppie omosessuali, depravati e pervertiti..ubriaconi...consegnò a Satana un recidivo della sua comunità....e meno male che "non disse nulla" di ciò che andava fatto, secondo il cardinale di Santa Romana Chiesa!! san Paolo parla di anatemi e di BUTTARE FUORI DALLE COMUNITA' CHI NON PREDICA IL MEDESIMO VANGELO, i recidivi del peccato.... 
peccato che il cardinale non spiega quali virtù possiamo trovare NELLE COPPIE OMOSESSUALI perchè, non facciamo i furbi.... un conto sono le SINGOLE PERSONE, da amare e rispettare nelle loro debolezze, altra cosa è FILTRARE con compiacenza LE FAMIGLIE GAY!!! FAMIGLIE? il Papa ha condannato l'uso di questo termine per parlare delle coppie omosessuali...ma Schönborn ha scoperto un nuovo vangelo, il suo!



Diceva il grande Totò:
ma mi faccia il piacere!!


per la questione costantiniana vi rimandiamo qui

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il Papa all'Accademia Ecclesiastica: Cari amici vi incoraggio a vivere il legame personale con il Vicario di Cristo come parte della vostra spiritualità. Si tratta, certamente, di un elemento proprio di ogni cattolico, ancor più di ogni sacerdote.
Tuttavia, per quanti operano presso la Santa Sede esso assume un carattere particolare, dal momento che essi pongono al servizio del Successore di Pietro buona parte delle proprie energie, del proprio tempo e del proprio ministero quotidiano. Si tratta di una grave responsabilità, ma anche di un dono speciale, che con il passare del tempo va sviluppando un legame affettivo con il Papa, di interiore confidenza, un naturale idem sentire, che è ben espresso proprio dalla parola «fedeltà»




CORVI E VELENI. L'ARRESTO DELL'AIUTANTE DI CAMERA DEL SANTO PADRE. ARTICOLI, NOTIZIE E COMMENTI


Vedi anche:

Il Papa: grato per l'aiuto di molti collaboratori e per il sostegno dei fedeli. La lealtà al Pontefice non sia cieca ma vera. I nunzi apostolici mi aiutino a conoscere le virtù delle chiese (Izzo)

Il coraggio della fedeltà. Una grave responsabilità unisce al Papa i suoi collaboratori (O.R.)

Il Papa: la fedeltà alla Santa Sede di base sulla fede e un idem sentire (Ambrogetti)

Il Papa: la fedeltà verso il Vicario di Cristo, dovere di ogni cattolico, grave responsabilità per chi lavora nella Curia romana e nelle nunziature (AsiaNews)


Benedetto XVI all’Accademia ecclesiastica: la fedeltà al Papa non è cieca, ma illuminata dalla fede nel Signore (R.V.)

Il Papa: La virtù della fedeltà “bene esprime il legame tutto particolare che si stabilisce tra il Papa e i suoi diretti collaboratori, tanto nella Curia Romana come nelle Rappresentanze pontificie” (Bandini)



UDIENZA ALLA COMUNITÀ DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA, 11.06.2012

Alle 11.10 di questa mattina, nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Superiori e gli Alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Venerato Fratello nell’Episcopato,
Cari Sacerdoti,

ringrazio anzitutto Mons. Beniamino Stella per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti i presenti, come pure per il prezioso servizio che svolge. Saluto con grande affetto l’intera comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Sono lieto di accogliervi anche quest’anno, nel momento in cui si concludono i corsi di studi e, per alcuni di voi, si avvicina il giorno della partenza per il servizio nelle Rappresentanze Pontificie sparse in tutto il mondo. Il Papa conta anche su di voi, per essere assistito nello svolgimento del suo universale ministero. Vi invito a non avere timore, preparandovi con diligenza e impegno alla missione che vi attende, confidando nella fedeltà di Colui che da sempre vi conosce e vi ha chiamato alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo (cfr 1 Cor 1,9).

La fedeltà di Dio è la chiave e la sorgente della nostra fedeltà. Oggi vorrei richiamare la vostra attenzione proprio su questa virtù, che bene esprime il legame tutto particolare che si stabilisce tra il Papa e i suoi diretti collaboratori, tanto nella Curia Romana come nelle Rappresentanze Pontificie: un legame che per molti si radica nel carattere sacerdotale del quale sono investititi, e si specifica poi nella peculiare missione affidata a ciascuno a servizio del Successore di Pietro.

Nel contesto biblico la fedeltà è anzitutto un attributo divino: Dio si fa conoscere come colui che è fedele per sempre all’alleanza che ha stretto con il suo popolo, nonostante l’infedeltà di questo. In quanto fedele, Dio garantisce di condurre a termine il suo disegno di amore, e per questo Egli è anche degno di fede e veritiero. È questo atteggiamento divino a creare nell’uomo la possibilità di essere, a sua volta, fedele. Applicata all’uomo, la virtù della fedeltà è profondamente legata al dono soprannaturale della fede, divenendo espressione di quella solidità propria di chi ha fondato in Dio tutta la vita. Nella fede troviamo infatti l’unica garanzia della nostra stabilità (cfr Is 7,9b), e solo a partire da essa possiamo a nostra volta essere veramente fedeli: anzitutto a Dio, quindi alla sua famiglia, la Chiesa che è madre e maestra, e in essa alla nostra vocazione, alla storia in cui il Signore ci ha inseriti.

Cari amici, in questa ottica vi incoraggio a vivere il legame personale con il Vicario di Cristo come parte della vostra spiritualità. Si tratta, certamente, di un elemento proprio di ogni cattolico, ancor più di ogni sacerdote. Tuttavia, per quanti operano presso la Santa Sede esso assume un carattere particolare, dal momento che essi pongono al servizio del Successore di Pietro buona parte delle proprie energie, del proprio tempo e del proprio ministero quotidiano. Si tratta di una grave responsabilità, ma anche di un dono speciale, che con il passare del tempo va sviluppando un legame affettivo con il Papa, di interiore confidenza, un naturale idem sentire, che è ben espresso proprio dalla parola «fedeltà».

E dalla fedeltà a Pietro, che vi invia, deriva anche una particolare fedeltà verso coloro ai quali siete inviati: si richiede infatti ai Rappresentanti del Romano Pontefice, e ai loro collaboratori, di farsi interpreti della sua sollecitudine per tutte le Chiese, come anche della partecipazione e dell’affetto con cui egli segue il cammino di ogni popolo. Dovrete pertanto alimentare un rapporto di profonda stima e benevolenza, direi di vera amicizia, verso le Chiese e le comunità alle quali sarete inviati. Anche rispetto ad esse avete un dovere di fedeltà, che si concretizza nell’assidua dedizione al lavoro quotidiano, nella presenza in mezzo ad esse nei momenti lieti e tristi, talora persino drammatici della loro storia, nell’acquisizione di una conoscenza approfondita della loro cultura, del cammino ecclesiale, nel saper apprezzare quanto la grazia divina è andata operando in ogni popolo e nazione.

Si tratta di un prezioso aiuto per il ministero petrino, a riguardo del quale così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI: «Con l’affidare al suo Vicario la potestà delle chiavi e con il costituirlo pietra e fondamento della sua Chiesa, il Pastore eterno gli attribuì pure il mandato di "confermare i propri fratelli": ciò si avvera non solo col guidarli e tenerli uniti nel suo nome, ma anche col sostenerli e confortarli, certamente con la sua parola, ma in qualche modo anche con la sua presenza» (Lett. ap. Sollicitudo omnium ecclesiarum, 24 giugno 1969: AAS 61 (1969) 473-474).

In questo modo incoraggerete e stimolerete anche le Chiese particolari a crescere nella fedeltà al Romano Pontefice, e a trovare nel principio di comunione con la Chiesa universale un sicuro orientamento per il proprio pellegrinaggio nella storia. E, non da ultimo, aiuterete lo stesso Successore di Pietro ad essere fedele alla missione ricevuta da Cristo, consentendogli di conoscere più da vicino il gregge a lui affidato e di raggiungerlo più efficacemente con la sua parola, la sua vicinanza, il suo affetto. Penso in questo momento con gratitudine all’aiuto che ricevo quotidianamente dai molti collaboratori della Curia romana e delle Rappresentanze Pontificie, come anche al sostegno che mi viene dalla preghiera di innumerevoli fratelli e sorelle di tutto il mondo.

Cari amici, nella misura in cui sarete fedeli, sarete anche degni di fede. Sappiamo del resto che la fedeltà che si vive nella Chiesa e nella Santa Sede non è una lealtà «cieca», poiché essa è illuminata dalla fede in Colui che ha detto: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Impegnamoci tutti in questo cammino affinché possiamo sentirci rivolgere, un giorno, le parole della parabola evangelica: «Servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone» (cfr Mt 25,21).

Con questi sentimenti, rinnovo a Mons. Presidente, ai suoi Collaboratori, alle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino e alla comunità tutta della Pontificia Accademia Ecclesiastica il mio saluto, mentre di cuore vi benedico.

[SM=g1740722]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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