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LE INDULGENZE

Ultimo Aggiornamento: 27/09/2009 18:00
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27/09/2009 18:00
 
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Da: Soprannome MSN7978Pergamena  (Messaggio originale)Inviato: 16/09/2003 12.39
Invito, prima di iniziare ad approfondire l'argomento, di tenere presente questo forum:
attraverso il quale potrete verificare voi stessi che Lutero NON negava le indulgenze, ma desiderava una RIFORMA della loro gestione effettivamente appesantita dalla corruzione dell'epoca.......
La storia delle indulgenze
La storia delle indulgenze può essere divisa in quattro periodi.

Nel primo, che va dall’età apostolica all’VIII sec., le indulgenze sono uno sconto della pena canonica prevista per ottenere l’assoluzione dei peccati e vengono concesse attraverso le suppliche dei martiri. Questi, in punto di morte trasmettevano degli scritti chiamati supplices belli Martyrum ai vescovi affinché venga rimessa la pena canonica di questo o quel penitente. L’indulgenza, in questa fase, poteva essere concessa a singole persone in virtù del sacrificio del martire.

In questo periodo il sacramento della confessione, per come veniva celebrato nei primissimi tempi della storia cristiana, rappresentava sotto certi aspetti un secondo battesimo. La differenza stava nel fatto che, mentre il battesimo rimetteva tutti i peccati e la pena subito e in modo completo, la confessione prevedeva un lungo e penoso cammino di penitenza pubblica, la quale doveva essere scontata prima dell’assoluzione dei peccati.

Con la modifica di questo cammino alcuni cristiani, nonostante avessero rinnegato la fede durante le persecuzioni e fossero stati sottoposti dal vescovo a severissime penitenze, si rivolsero ai confessori che, in prigione, attendevano il martirio. Ottenevano un biglietto di raccomandazione per il vescovo, chiamato libellum pacis, il quale induceva il vescovo stesso, per riguardo verso i martiri, ad abbreviare o condonare la penitenza.

Alcuni vescovi mitigavano la penitenza indipendentemente dai libellum pacis dei martiri. Nel 375 a Milano, molti seguaci dell’eresia Ariana si convertirono alla vera fede e furono sottoposti a lunga penitenza, ma il vescovo Ambrogio li dispensò quasi subito. Disse che non voleva una comunità composta per lo più da penitenti pubblici (Ambrogio, De poenitentia, PL, 16, coll. 531, 537. ).

Nel secondo periodo, che va dall’VIII sec. al XIV sec., si introduce l’usanza di dare l’indulgenza scambiando la pena canonica per i peccati confessati, di solito piuttosto gravosa, in un’opera più leggera. Ci sono indulgenze per le stazioni quaresimali, per le Crociate e per i pellegrinaggi. Nel 1300, con il primo Giubileo indetto da papa Bonifacio VIII, viene offerta l’indulgenza ai pellegrini che si recheranno a Roma e visiteranno le Basiliche.

Tra il VII e l’VIII sec. la penitenza pubblica scompare e le succede la penitenza privata e nascosta, decisa dal confessore. Questa deve essere eseguita dopo e non prima (come nella penitenza pubblica) aver ricevuto l’assoluzione dei peccati commessi.

"Papi e vescovi, fuori di confessione continuano a commutare queste penitenze in altre meno pesanti oppure più pesanti, ma meno lunghe. Si tratta, di solito, di preghiere, di elemosine ai poveri, di pellegrinaggi e anche di azioni un po’ strane per noi, come il dormire sulle ortiche o con un morto sullo stesso sepolcro" (Albino Luciani, Ritiro predicato alle Superiore religiose del Patriarcato di Venezia, maggio 1973). L’indulgenza propriamente detta appare nel secolo XI, quando Papi e vescovi non si limitano più a commutare penitenze già fissate, ma rimettono una parte della pena temporale indistintamente a tutti coloro che compivano una determinata azione; condizioni preliminari erano tuttavia, come sempre, il pentimento e la confessione dei peccati. A partire da questo periodo, l’indulgenza viene accordata come incoraggiamento e premio di un’opera di pietà (anche piccola), come la visita di una chiesa appena consacrata, un’elemosina ai poveri o a un monastero. Un’importanza particolare hanno in quest’epoca e nei secoli successivi le indulgenze della Crociata, concesse a chi andava a combattere contro i mori in Spagna, i saraceni in Sicilia e i turchi in Palestina. I Papi accordano la remissione non parziale ma totale della penitenza dovuta per i peccati.

A partire dal XII sec. le concessioni delle indulgenze aumentarono considerevolmente. Non è da escludere che talvolta qualcuna possa essere stata suggerita da finalità meno buone, dato che il penitente suggerito dall’indulgenza era solito fare un’offerta volontaria in denaro. Si noti però che "i rescritti di esse, anteriori al sinodo Lateranense, raramente accennano ad obblighi di elemosine; né le cronache di quell’epoca registrano abusi di tal genere" (Righetti, op. cit. , vol. IV, pag. 219).Un’indulgenza plenaria analoga a quelle delle Crociate viene concessa nel 1300 da Bonifacio VIII a quanti, contriti e confessati, abbiano vistato le Basiliche di San Pietro e San Paolo (per 30 giorni se romano, per 15 giorni se pellegrini). Il Papa stabilisce anche che quest’indulgenza plenaria generale possa essere lucrata ad ogni fine secolo. Questa grande indulgenza riscosse moltissimi consensi da parte di tutti i fedeli cristiani. Successivamente papa Clemente VI nel 1343 fissò il Giubileo ogni 50 anni; Urbano VI nel 1378 ogni 33 anni, per commemorare gli anni di

Gesù Cristo, e Paolo III nel 1475 ogni 25 anni. Gregorio XIII nel 1575, al termine del Giubileo romano, estese per la prima volta alla Chiesa universale il perdono, per la durata di sei mesi, in favore di chi non aveva potuto recarsi a Roma. Nel 1925 Pio XI ampliò questo beneficio a un anno intero, concedendolo anche a chi aveva lucrato le indulgenze giubilari a Roma.

Nel terzo periodo, che va dal XIV al XVI sec., l’uso di concedere l’indulgenza si diffonde. Si introduce la possibilità di ottenerle con offerte in denaro, definite oblationes, che servono a sovvenzionare opere di apostolato.

(La verità è che da questo periodo il dare l'indulgenza non resta più circoscritto al Papa e ai vescovi abilitati, ma si estende anche ai sacerdoti, da qui iniziano gli abusi difficilmente controllabili dal momento che non esisteva una teconologia moderna come i nostri telefoni o televisiori i quali danno le notizie in giornata. Soldi come sempre ne circolavano pochi, e da qui la necessità di integrare LUCRANDO appunto una indulgenza, attraverso un compenso in danaro.)

Il popolo cominciò però a pensare che l’indulgenza non liberasse solo dalla pena temporale, ma anche dalla colpa, e che dunque bastasse lucrarla per ottenere anche la remissione dei peccati. Questa errata convinzione contribuì a moltiplicare gli abusi arrivando a ridurre l’elargizione delle indulgenze a un’operazione finanziaria. Questi abusi diedero a Martin Lutero il pretesto per la sua ribellione contro la Santa Sede. Con il Concilio di Trento (1545 – 1563) si correggeranno gli abusi stabilendo che il tesoro delle indulgenze sia offerto ai fedeli piamente, santamente e integralmente, "affinché tutti possano veramente comprendere che teli tesori celesti della Chiesa vengono dispensati non per trarne guadagno ma per devozione" ("ut tandem caeleste hos Eccesiae thesaurum non ad questum, sed ad pietatem exerceri omnes vere intelligant" Conc. Trid. Sess. XXI, De reform., 9).

Il desiderio di avere delle indulgenze e l’ambizione di poterne offrire di più delle altre chiese, indusse persone ignoranti o di poca coscienza ad inventare scritti vescovili o papali con i quali venivano concesse. Gli abusi che vengono rinfacciati contro l’uso cattolico delle indulgenze in quel periodo storico riguardano due elementi: l’idea (errata) che la remissione delle pena temporale sciogliesse anche dalla colpa sostituendo la confessione sacramentale, e le collette di denaro applicate alle indulgenze. La Chiesa ribadì sempre la distinzione tra remissione della pena temporale tramite l’indulgenza e la previa e necessaria confessione sacramentale (Paulus, Geschichte des Ablasses, II, 137). Nel 1450, al Concilio di Magdeburgo, il Legato pontificio, cardinale Nicolò de Cusa, condannò espressamente coloro che predicavano che l’indulgenza esentava il fedele dalla confessione.

Per quanto riguarda l’altro abuso, quello delle collette in denaro, esso fu legato alle bramosie di principi, re, e vescovi, i quali pretesero il diritto di prelevare quote notevoli dalle somme raccolte dai quaestores, coloro che erano incaricati di notificare le indulgenze e di raccogliere le elemosine, visto che erano state racimolate nei loro territori. Il sacerdote invitava i fedeli all’acquisto dell’indulgenza, il quaestor riscuoteva il denaro pretendendo a volte offerte esagerate anche da coloro che ne erano esentati e spesso enunciava falsi principi. Contro tutto ciò si levò non solo la protesta di Martin Lutero, ma anche e soprattutto la denuncia di tante persone sante e autorevoli. Nel Concilio di Trento per mettere fine a questi disordini furono proibite le questue e aboliti i quaestores di indulgenze. La pubblicazione di queste ultime era riservata al vescovo e i due membri del Capitolo, da lui incaricati di ricevere le offerte spontanee dei fedeli, non potevano prelevare nessuna quota, anche minima, per loro.

Il doveroso, se pur breve ricordo dei periodi in cui fiorirono commerci illeciti e abusi – dovuti alla errata applicazione delle indulgenze – non deve farci dimenticare che dalle offerte indulgenziali ricevettero aiuto e sussistenza opere di pubblica utilità come ospedali, ricoveri, scuole, ospizi di pellegrini; grazie a queste collette furono costruiti anche argini, ponti e strade.

Nel quarto periodo, che va dal XVI sec. ai nostri giorni, i Papi hanno regolato la concessione delle indulgenze, stabilendone il numero e l’autenticità. L’ultima riforma è di Paolo VI, che ha semplificato le indulgenze abolendo, per quelle parziali, la determinazione temporale.

Passata l’epoca degli abusi nelle indulgenze ritorna essenziale l’aspetto del pentimento e della conversione del fedele. Oggi la Chiesa precisa che non esiste automatismo alcuno che permetta di ottenere l’indulgenza senza una vera conversione, un sincero distacco dal peccato e un vero pentimento dei peccati commessi e confessati. "Il perdono concesso gratuitamente da Dio, implica come conseguenza un reale cambiamento di vita, una progressiva eliminazione del male interiore, un rinnovamento della propria esistenza" ( Giovanni Paolo II, Incarnationis mysterium, 1998). L’indulgenza plenaria "esige il totale ripudio di ogni affetto al peccato, anche semplicemente veniale: è quindi incitamento ad impegnarsi nel modo migliore per fuggire il peccato. Essa esige inoltre l’uso fruttuoso della Penitenza e della Santissima Eucarestia" ( Luigi De Magistris, " Il dono dell’indulgenza", in "L’Osservatore Romano", 24 febbraio 1999).



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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 16/09/2003 13.04
Dopo aver fatto un quadro della situazione, approfondiamo:
La pena temporale

Esistono due conseguenze al peccato, la prima consiste nel distacco da Dio ed è la pena eterna (vale a dire l’inferno). Questa è cancellata durante la confessione, quando il peccatore è rimesso allo stato di grazia e alla comunione con Dio. Tuttavia ogni peccato necessita una purificazione che si ottiene con una pena temporale, alla quale il peccatore può essere obbligato nonostante il perdono successivo alla confessione.

"Se io, ad esempio, offendo uno e poi voglio riconciliarmi con lui, gli devo dare una soddisfazione. Ciò comporta un mio abbassamento e una qualche mia pena (pena temporale). Succede così tra noi uomini, succede così anche con Dio e noi cattolici temiamo che, rimesso il peccato, Dio non rimetta tutta la pena dovuta, nel caso il pentimento del peccatore sia stato imperfetto, perchè sentiamo nel cuore la necessità di rendere giustizia al fratello offeso anche se Dio ci ha perdonato. Questo ci concede di pensare ai nostri peccati commessi e di averne un vero rimorso, come dice il Salmo - Il mio peccato mi sta sempre dinnanzi, contro di te, contro te solo ho peccato e quello che è male ai tuoi occhi io l'ho fatto. Per questo sei giusto quando parli e retto nel tuo giudizio...- Il Signore ci perdona sempre, ma occorre che noi abbiamo sempre più consapevolezza di che cosa ci ha fatto allontare da Dio per non ricaderci più o quanto meno, evitare fin dove noi possiamo." (Albino Luciani, Ritiro predicato alle Superiore religiose del Patriarcato di Venezia, maggio 1973).

La seconda conseguenza del peccato, che consiste nella pena temporale, può essere scontata sulla terra con preghiere e penitenze, con opere di carità e con l’accettazione delle sofferenze della vita. Viceversa può essere scontata nell’aldilà, nel Purgatorio.

Per estinguere il debito della pena temporale la Chiesa permette al fedele battezzato di accedere alle indulgenze.

L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi per quanto riguarda la colpa (per i quali cioè si è già ottenuta l’assoluzione confessandosi). L'indulgenza è una remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministro della Redenzione, con la sua autorità, dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi.

"La fede e le opere" tratto dalla Lettera di Gc.2,14 aiuta a comprendere come la fede nell'essere salvati non è sufficiente senza le opere. La Chiesa sin da subito ha concesso a coloro che si convertivano, una specie di forma indulgenziale nel momento in cui essi donavano qualcosa ai poveri, o mettevano a disposizione della Comunità i propri beni perchè sentivano, appunto, il senso della rinascita in Cristo (Atti 2,42) Nella Lettera di Gc.2,15 ben evidenzia il concetto dell'importanza delle opere quale conferma della conversione: inutile diventa la Fede senza delle opere che confermino il nostro cambiamento interiore. Esplicito al v.20 che dice: "Ma vuoi conoscere, sciocco che non sei altro, che la fede senza le opere è inerte?" Non è di poco conto a che l'Apostolo usa come esempio il sacrificio di Abramo che per dimostrare la sua fede, non disdegna di offrire il proprio unico figlio Isacco.

La Chiesa ha avvertito sin da subito che opera più importante per la nostra conferma di una conversione e quindi di una remissione dei peccati, è la rinuncia a qualcosa di prezioso per un bene più ampio e comune: come Abramo dimostrò a Dio la sua forza nella fede donando il figlio Isacco, così anche ognuno di noi può essere in grado di dare una testimonianza con delle opere che attestino la potenza della nostra conversione....

Così come sempre l'Apostolo Gc.2, 25, narra come esempio di Raab, una prostituta che fu giustificata non solo per la sua fede, ma perchè aveva ospitato gli inviati....

"L’indulgenza è parziale o plenaria a seconda che liberi in parte, o in tutto, dalla pena temporale dovuta ai peccati" ( Paolo VI, Costituzione Apostolica Indulgentiarum doctrina, 1967).

La Chiesa dispensa le indulgenze in forza del suo unico tesoro: i meriti di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi. Lo fa in merito al potere di legare e sciogliere, che Gesù dette a Pietro: "Ti darò le chiavi del Regno dei Cieli; tutto ciò che avrai legato sulla terra resterà legato nei cieli e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra resterà sciolto nei cieli" ( Mt, 16, 19).

"La Chiesa, avendo ricevuto da Cristo il potere di perdonare in suo nome, è nel mondo la presenza viva dell’amore di Dio che si china su ogni umana debolezza per accoglierla nell’abbraccio della sua misericordia. È precisamente attraverso il ministero della sua Chiesa che Dio espande nel mondo la sua misericordia mediante quel prezioso dono che, con nome antichissimo, è chiamato indulgenza" ( Giovanni Paolo II, Incarnationis mysterium, Bolla di indizione dell’Anno Santo, 1998).

Nella Comunione dei Santi, "tra i fedeli che già hanno raggiunto la Patria Celeste o che stanno espiando le loro colpe in Purgatorio, o che ancora sono pellegrini sulla terra, esiste certamente un vincolo perenne di carità e un abbondante scambio di tutti i beni" ( Paolo Indulgentiarum doctrina, 1967). Ricorrere alla Comunione dei Santi permette al peccatore di essere purificato rapidamente e con più efficacia dalle pene del peccato.


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Consiglia  Messaggio 3 di 4 nella discussione 
Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 16/09/2003 13.13
L’indulgenza plenaria e l’indulgenza parziale

In precedenza abbiamo parlato della differenza tra indulgenza plenaria e parziale, senza però spiegarla. La prima consente la remissione di tutta la pena temporale dei peccati già perdonati in confessione. Può essere ottenuta più volte durante l’anno giubilare, ma non più di una volta al giorno, salvo il caso di pericolo di morte.

Con l’indulgenza parziale, invece si ottiene la remissione di una parte della pena temporale. Questo genere d’indulgenza un tempo veniva quantificata: ce n’erano di cento, trecento giorni, uno o più anni. Molti fedeli, però, pensavano erroneamente che questi fossero giorni o anni di Purgatorio in meno da scontare, quindi Paolo VI decise di non indicare più la determinazione del periodo dell’indulgenza parziale. Questa si misura non più in mesi o anni, ma con l’azione del fedele: un’azione buona tanto più vale quanto più costa sacrificio e quanto più è fervida di amore verso Dio. L’indulgenza parziale può essere ottenuta anche ripetutamente nel corso di una stessa giornata.

Entrambi i tipi d’indulgenza possono essere ottenuti anche fuori dall’anno giubilare, come durante le benedizioni papali Urbi et orbi, quando il Cardinale Diacono ricorda che "il Santo Padre concede l’indulgenza plenaria" secondo le norme stabilite dalla Chiesa ai presenti e a quanti seguono la cerimonia per mezzo della radio e della televisione.

L’indulgenza parziale è concessa ai cristiani che abbiano sacrificato se stessi o i loro averi al servizio dei fratelli. "Si concede l’indulgenza parziale al cristiano che abbia spontaneamente reso aperta testimonianza di fede di fronte ad altri in particolari circostanze della vita quotidiana" (Enchiridion indulgentiarum, Libreria Editrice Vaticana, 1999).

Cos’è necessario per ricevere l’indulgenza

Per ottenere le indulgenze il fedele deve essere:

  • battezzato, poiché l’atto di giurisdizione delle indulgenze può essere esercitato solo su chi appartiene al Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, At.1,42 parla appunto di coloro che vivendo una vite in comune con e nella Chiesa, ad essa affidavano le loro opere;
  • non scomunicato, in quanto se lo fosse non potrebbe partecipare né alle indulgenze né alle pubbliche preghiere della Chiesa, per poter usufruire dell'indulgenza, deve prima ritornare in seno alla Chiesa, ottenere il perdono e quindi lucrare l'indulgenza;
  • in stato di grazia, perché il debito della pena temporale si può cancellare dopo la cancellazione della colpa e della pena eterna per mezzo della confessione sacramentale, infatti ogni indulgenza richiede esplicitamente la confessione dei peccati, la partecipazione alla Messa con la meditazione del Credo e quindi l'Eucarestia fulcro di comunione con tutta la Chiesa sia in terra che in cielo;
  • intenzionato ad ottenere l’indulgenza, poiché il beneficio non può essere concesso a chi non lo vuole. Non vige alcun obbligo, tuttavia chi vuole ricevere una indulgenza deve accettare le regole che la Chiesa ha tratto dalla Bibbia.

Come si ottiene un’indulgenza

Come prima cosa deve effettuarsi il totale distacco dal peccato, anche quello veniale; se manca questa fondamentale condizione di distacco totale dal peccato e del sincero pentimento, l’indulgenza non sarà plenaria, bensì parziale. In secondo luogo è necessario confessarsi, fare la comunione, pregare secondo le intenzioni del Papa e compiere l’atto a cui la Chiesa annette l’indulgenza, come per esempio, la visita alle Basiliche durante il Giubileo; opere di carità; di misericordia; anche di perdono verso chi ci ha offesi.


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Consiglia  Messaggio 4 di 4 nella discussione 
Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 16/09/2003 13.35
Abbiamo inziato citando le LE 95 TESI DI LUTERO
Sostanzialmente come finì Lutero per contraddirsi?

Che cosa affermò Lutero?

Come prima conseguenza di questa protesta contro le indulgenze, Lutero arrivò ad affermare che le opere, le azioni, i meriti personali non sono sufficienti per salvarsi: la mancanza di fede in Dio, o di coscienza personale del proprio limite, non può essere sostituita dall'attivismo con cui si vuole dimostrare a tutti i costi d'essere santi, buoni e perfetti. Ecco perché -dice Lutero- le indulgenze, così come i pellegrinaggi, i digiuni, i voti di santità povertà obbedienza, non servono a giustificare. Per salvarsi occorrono due cose: la volontà di Dio e la fede dell'uomo. L'uomo si giustifica per fede e per grazia. Può fare delle "buone azioni", ma a titolo personale e non perché obbligato da qualche legge o consuetudine.

La seconda conseguenza del ragionamento di Lutero è che se le opere non servono a niente in quanto basta la fede nella grazia di Dio, allora per conoscere questa grazia è sufficiente leggersi la Bibbia (da lui tutta tradotta in tedesco e nasce così la dottrina errata della Sola Scriptura). I sacramenti, la tradizione della chiesa, il magistero non hanno un valore salvifico, ma solo simbolico (i sacramenti), orientativo (la tradizione), pratico (il magistero). Non c'è nulla che possa avere un potere vincolante per la coscienza del credente. Il credente è solo davanti a Dio, incerto sul suo destino. Se si salverà è perché era predestinato.

Questa considerazione di Lutero è del tutto priva di buon senso Evangelico dal momento che Gesù sostiene che Lui è venuto per salvare i peccatori, quindi non distingue affatto una fascia di PREDISTINATI, dalla cui falsa dottrina di Lutero nasceranno i T. di G. che punteranno la loro dottrina sulla predistanazione "degli eletti". Se Lutero avesse ragione sul concetto della predistinazione sarebbe inutile il concetto della conversione e del libero arbitrio, in quanto l'uomo avrebbe già in sè, dal momento del suo concepimento, o la dannazione o la salvezza decisa da Dio.

Un altra contraddizione Lutero la da quando dice:

Per salvarsi occorrono due cose: la volontà di Dio e la fede dell'uomo.

Se Dio, come leggiamo nella Bibbia "non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e creda", è messo fuori discussione che Dio non abbia in sè la volontà di salvarci. Lo stesso Vangelo e Paolo contraddice Lutero quando dice: " Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio Unigenito, perchè chi creda in Lui abbia la vita eterna". La volontà di Dio è chiara e NON HA FAVORITISMI, ogni uomo è in grado di salvarsi e diventare un santo, la fede gioca un aspetto principale che però Lutero, ha dissociato all'insegnamento di Gc. 2,14 che non contraddice Paolo, ma lo completa.

In definitiva Lutero non usò altri argomenti, tuttavia non chiarì mai le sue posizioni e non esistono infatti documenti atti a provare un dialogo di Lutero per chiarire certe questioni, di fatto Lutero alla fine IMPOSE LE SUE DOTTRINE legittimandole dietro la fondazione di una Chiesa posta fuori dalla Chiesa Cattolica, senza concedere a nessuno di confrontarle, nessun Sinodo di Lutero si riunì per decretare quanto affermava, il primo che si conosce risale a poco meno da 50 anni dalla sua morte.


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