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Commento al Magnificat di Martin Lutero

Ultimo Aggiornamento: 07/10/2009 20:49
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07/10/2009 20:48
 
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Da: Soprannome MSNFilippesi_2_5Inviato: 31/01/2004 13.25

2. E lo spirito mio gioisce in Dio, mio Salvatore

Abbiamo detto che lo spirito afferra le cose incomprensibili mediante la fede. Perciò Maria chiama Dio suo Salvatore o sua beatitudine, per quanto non l'abbia né visto né percepito, ma, avendo ricevuto la fede per l'azione di Dio in lei, ha confidato pienamente che egli sarà il suo Salvatore e la sua beatitudine.

Invero, ella comincia ordinatamente a chiamare Dio suo Signore prima che suo Salvatore, e suo Salvatore prima di annoverare le sue opere. Ci insegna in tal modo che dobbiamo semplicemente amare e lodare Iddio come si conviene, senza cercare in lui il nostro interesse. Ma ama e loda Iddio semplicemente come si conviene, colui che lo ama soltanto perché è buono e considera soltanto la sua pura bontà, e in essa sola trova il suo piacere e la sua gioia. Questo è un elevato, puro, nobile modo di amare e di lodare che ben si addice ad uno spirito alto, nobile qual è questa vergine.

Coloro che amano con spirito impuro e pervertito, e come egoisti religiosi non cercano in Dio che il loro proprio interesse, non lodano ed amano unicamente la sua pura bontà, ma pensano a se stessi e considerano soltanto in che misura Dio sia buono verso di loro, cioè fino a che punto egli mostri loro sensibilmente la sua bontà e faccia loro del bene; e lo apprezzano, sono lieti, cantano a lui e lo lodano finché dura questa loro impressione. Ma quando Dio si nasconde e ritrae lo splendore della sua bontà, sì che essi rimangono nudi e miseri, allora svaniscono anche il loro amore e la loro lode, e non sanno più amare e lodare la pura, impercettibile bontà nascosta in Dio, per cui dimostrano che non era il loro spirito che esultava in Dio Salvatore, non avevano vero amore e vera lode per la pura bontà, ma si rallegravano più della salvezza che del Salvatore, più dei doni che del Donatore, più della creatura che di Dio. Infatti non sanno rimanere uguali nell'abbondanza e nella scarsità, nella ricchezza e nella povertà, come dice san Paolo: "Ho imparato ad essere nell'abbondanza e nella penuria". Di costoro, il Salmo XLVIII, 27 dice: "Essi ti lodano finché fai loro del bene", come se volesse dire: Essi considerano se stessi e non te; benché ricevano da te piaceri e beni, non s'interessano di te, come diceva anche Cristo in Giovanni VI, a coloro che lo cercavano: "In verità io vi dico che voi mi cercate non perché avete veduto dei segni, ma perché avete mangiato e siete stati saziati". Questi spiriti impuri e ipocriti contaminano ogni dono di Dio e gli impediscono di essere generoso con loro e di operare in loro la salvezza. Vogliamo illustrare ciò con un bell'esempio. Una pia donna ebbe una volta la visione di tre vergini sedute presso un altare; durante la messa, un bel fanciullo correndo dall'altare venne alla prima vergine, si rivolse cortesemente a lei, l'abbracciò e le sorrise con amore. Poi si rivolse alla seconda, ma non si comportò verso di lei con altrettanta gentilezza; neppure l'abbracciò, tuttavia sollevò il suo velo e le sorrise gentilmente. Per la terza non ebbe nessun gesto di cortesia, la percosse in viso, le strappò i capelli e le diede degli spintoni, si comportò con lei molto sgarbatamente, poi ritornò di corsa all'altare e sparì. La visione venne spiegata a quella donna così. La prima vergine rappresenta gli spiriti impuri, desiderosi di godimento, ai quali Dio deve fare molto bene compiendo la loro volontà più di quanto essi non facciano la sua, non vogliono privarsi di nulla, vogliono trovare sempre in Dio consolazione e gioia e non sono mai contenti della sua bontà. L'altra rappresenta gli spiriti che hanno cominciato a servire Dio e sopportano volentieri, ma non sempre, qualche privazione, che non sempre si comportano senza desiderio di godimento né senza egoismo. Egli deve qualche volta guardarli benevolmente e lasciar loro sentire la sua bontà, affinché imparino ad amare e lodare la sua pura bontà. Ma la terza, la povera cenerentola non conosce che privazione e avversità, non cerca interesse, è contenta che Dio sia buono, anche se non dovesse mai sperimentarlo (cosa questa impossibile!), rimane sempre la stessa in ambedue le circostanze, ama e loda la bontà di Dio, sia quando la sperimenta come quando non la sperimenta, non si attacca ai beni quando ci sono, non abbandona Dio quando essi vengono a mancare. Questa è la vera sposa che dice a Cristo: "Io non voglio i tuoi beni, ma voglio possedere te stesso, non mi sei più caro quando sto bene, né meno caro quando sto male".

Questi spiriti adempiono ciò che sta scritto: "Non dovete allontanarvi dalla diritta via del Signore né a sinistra né a destra", il che significa che devono amare e lodare Iddio nella verità e non già cercare se stessi e il proprio interesse. Da questo spirito era animato Davide, quando fu cacciato da Gerusalemme da suo figlio Absalom, allorché corse il rischio di non essere mai più re, di non conoscere più il favore di Dio e di essere perduto per l'eternità. Allora egli disse: "Se Dio mi vuole, mi ricondurrà; ma se egli dice di non volermi, sono ugualmente pronto". Quale spirito puro è stato egli, che non ha tralasciato di amare, lodare e seguire la bontà di Dio neppure nella più profonda afflizione!

Uno spirito simile mostra qui la madre di Dio, Maria, perché in mezzo alla sovrabbondanza di beni non si attacca ad essi, non vi cerca il proprio interesse, ma conserva il suo spirito puro nell'amore e nella lode della sola bontà di Dio, pronta a sottomettersi se Dio volesse toglierle tutto ciò e lasciarle uno spirito povero, nudo, bisognoso.

Ora è tanto più difficile moderarsi nella ricchezza, nei grandi onori o nella potenza che nella povertà, nella ignominia e debolezza, perché ricchezza, onore e potenza esercitano una forte seduzione al male. Dunque tanto più qui va celebrato lo spirito di Maria meravigliosamente puro, che mentre le viene fatto un onore sì grande non si lascia indurre in tentazione, ma come se non vedesse rimane sulla giusta via, si afferra soltanto alla bontà divina, che ella non vede e non sente, lascia tutti i beni che sente, non fonda in essi la sua gioia, non cerca il suo interesse, per cui può veramente e a ragione cantate: "Lo spirito mio gioisce in Dio, mio Salvatore". Si tratta veramente di uno spirito che esulta soltanto nella fede, non per i beni di Dio percepiti con i sensi, ma ella gioisce soltanto per Dio come suo Salvatore, che non percepisce con i sensi, ma conosce soltanto per fede. Questi sono gli spiriti giusti, umili, liberi, affamati, pii dei quali parleremo in seguito.

In base a tali considerazioni possiamo riconoscere e giudicare come il mondo sia oggi pieno di falsi predicatori e di falsi santi che al povero popolo parlano sempre delle buone opere. E sebbene siano pochi quelli che predicano come le opere buone si debbano compiere - i più predicano dottrine e opere umane, che essi stessi hanno inventate -, in verità i migliori tra loro sono purtroppo ancora tanto lontani dalla retta via, che spingono il popolo sempre a destra insegnandogli a compiere opere buone e a condurre una vita onesta non per puro amore della bontà di Dio, ma per proprio interesse. Infatti se non vi fosse né cielo né inferno, tanto da non potersi ripromettere nessun vantaggio dalla bontà di Dio, lascerebbero stare la sua bontà senza amore e senza lode. Non sono che sfruttatori e mercenari, servi e non figli, stranieri e non eredi; si fanno idoli di se stessi e Dio dovrebbe amarli e lodarli, rendere a loro ciò che essi dovrebbero rendere a lui; non hanno spirito; Dio non è il loro Salvatore, ma il loro Salvatore sono i beni con i quali Dio deve servirli come uno schiavo. Questi sono i figli d'Israele che nel deserto non si accontentavano del pane disceso dal cielo, ma volevano anche della carne, delle cipolle, dell'aglio.

Purtroppo ora tutto il mondo, tutti i monasteri, tutte le chiese sono pieni di simile gente che vive e agisce secondo questo spirito ipocrita, pervertito e ingannevole, esaltando a tal punto le buone opere da presumere di guadagnare con esse il cielo; mentre si dovrebbe predicare e riconoscere, innanzi tutto, la pura bontà di Dio e si dovrebbe sapere che siccome Iddio ci salva soltanto per la sua bontà senza alcun merito d'opere, anche noi dovremmo ricercare le opere senza attendere alcun premio né utilità, ma il puro amore della bontà di Dio, non desiderando che il suo compiacimento, senza preoccuparci del premio che verrà bene da sé senza che noi la cerchiamo. Infatti, se da un lato, non è possibile che quando operiamo bene con uno spirito puro e retto e senza aspirare ad una ricompensa e ad un utile non segua un premio, dall'altro, Dio non concederà mai un premio ad uno spirito impuro e bramoso di godimenti. Un figlio, quale erede, serve suo padre volenterosamente, soltanto perché ama suo padre; ma se un figlio serve il padre soltanto in vista dell'eredità e dei beni, evidentemente egli è un cattivo figlio degno di essere respinto dal padre.

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Da: Soprannome MSNFilippesi_2_5Inviato: 31/01/2004 13.27

3. Poiché Egli ha riguardato alla bassezza della sua ancella.

Per cui tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Alcuni hanno reso qui la parola humilitas con "umiltà", quasi che la vergine Maria avesse rivestita la sua umiltà e se ne fosse vantata; per questa ragione anche dei prelati si chiamano humiles, sebbene ciò non sia assolutamente vero. E ciò perché davanti a Dio nessuno può vantarsi di una buona qualità senza che vi sia peccato e corruzione. Dinanzi a lui non ci si può vantare che della sua sola bontà e grazia verso di noi esseri indegni, in modo che noi vi sia orgoglio, ma soltanto l'amore e la lode di Dio, e in noi sia lo spirito della parola che Salomone insegna nei Proverbi, XXV: "Non ti vantare in presenza del re e non ti porre avanti ai grandi signori; è meglio che si dica: Siediti qui su, piuttosto che essere abbassato dinanzi al principe". Come si può attribuire simile presunzione e orgoglio a questa vergine pura e onesta da far sì che si vanti dinanzi a Dio della propria umiltà, che è virtù suprema, tanto che nessuno si considera o si vanta di essere umile, se non chi sia smisuratamente orgoglioso? Dio solo conosce l'umiltà, egli solo la giudica e la manifesta, per cui l'uomo non sa mai tanto poco dell'umiltà come quando è veramente umile.

Nell'uso della Scrittura humiliare significa "abbassare" e "annientare"; perciò in vari passi della Scrittura i cristiani sono chiamati pauperes, afflicti, humiliati, gente povera, da nulla, disprezzata, come nel Salmo CXV: "Io ero quasi annientato", o "abbassato". Humilitas non significa dunque altro che una condizione spregevole; meschina, bassa è la condizione dei poveri, degli infermi, degli affamati, degli assetati, dei prigionieri, dei sofferenti e dei moribondi; come Giobbe nella tentazione in cui venne a trovarsi, come Davide quando fu cacciato dal regno, come Cristo e tutti i cristiani nelle loro afflizioni.

Queste sono le profondità, a proposito delle quali sopra è detto che gli occhi di Dio vedono soltanto i luoghi profondi mentre gli occhi dell'uomo vedono soltanto le cose alte, cioè soltanto ciò che è onorato, appariscente e magnifico. Perciò, nella Scrittura, Gerusalemme è detta un luogo sotto lo sguardo di Dio, stando a significare che la cristianità giace nei luoghi profondi ed è misera al cospetto del mondo, e perciò Dio riguarda a lei ed ha costantemente il suo sguardo su lei, come è detto nel Salmo XXXI: "Io avrò costantemente gli occhi su te". Anche san Paolo, in 1° Corinzi, 1, dice: "Dio sceglie le cose pazze del mondo per svergognare i savi secondo il mondo; e sceglie le cose deboli e insufficienti del mondo per svergognare le forti e potenti; egli sceglie ciò che è nulla secondo il mondo per ridurre al niente le cose che per il mondo sono qualcosa"; e così manifesta la pazzia del mondo con tutta la sua sapienza e potenza, e dona un'altra sapienza e potenza.

Siccome Egli suole considerare nei luoghi profondi quanto v'è di meschino, ho tradotto la parola humilitas con "bassezza" o "cosa meschina", poiché questo è il pensiero di Maria: Dio ha riguardato a me ancella povera, disprezzata, meschina, mentre avrebbe ben trovato regine ricche, nobili, potenti, figlie di prìncipi e di grandi signori. Avrebbe potuto trovare la figlia di Hanna o di Caiafa che erano i principali nel paese, invece ha posato su me il suo sguardo di pura bontà e si è servito di una povera, disprezzata fanciulla, affinché nessuno nel suo cospetto si vantasse di essere stato o di essere degno di tale onore, e io pure devo confessare che sono stata scelta per un atto di pura grazia e bontà e non mai per mio merito o dignità.

Come già abbiamo avuto modo di dire precedentemente, la dolce vergine di umile condizione che è giunta a questo onore in modo del tutto inaspettato semplicemente perché Dio gli ha riservato tanta grazia, non si vanta della sua dignità né della sua indegnità, ma soltanto della considerazione divina piena di bontà e di grazia che ha voluto riguardare a sì piccola ancella e in modo tanto onorevole.

Perciò le fanno torto quanti affermano che ella si sia vantata non della sua verginità, ma della sua umiltà. Ella non si è vantata né della sua verginità né della sua umiltà, ma soltanto dello sguardo divino pieno di grazia. Perciò l'accento non viene posto sulla parola humilitatem, ma sulla parola respexit. Infatti non va lodata la sua bassezza, ma lo sguardo di Dio; come quando un principe porge la mano ad un povero mendicante, non va lodata la bassezza del mendicante, ma la grazia e la bontà del principe.
Al fine di evitare simile erronea illusione e di riconoscere la vera umiltà accanto alla falsa, vogliamo soffermarci un po' a parlare dell'umiltà; poiché molti sbagliano al riguardo.

Noi chiamiamo umiltà ciò che san Paolo intende in greco con tapinophrosyne, in latino affectus vilitatis seu sensus humilium rerum, cioè volontà e senso di cose misere, disprezzate. Ora vi sono molti a questo riguardo che portano acqua alla fonte. Alcuni si presentano con vesti, persone, atteggiamenti, discorsi e in ambienti miseri, e di queste cose si occupano pure nei loro pensieri, in quanto sperano, così facendo, di apparire umili agli occhi dei grandi, dei ricchi, dei dotti, dei santi e anche di Dio. Ora, se sapessero che tale atteggiamento non viene tenuto in nessuna considerazione, certamente, lo abbandonerebbero. Questa è una finta umiltà. Infatti il loro occhio astuto vede soltanto il premio e l'effetto dell'umiltà e non già la condizione misera senza ricompensa e senza effetto. Perciò, se manca l'attrazione della premio e dell'effetto, viene meno anche l'umiltà. Costoro non si possono chiamare affectos vilitate (di volontà e di animo inclini alla condizione misera), così appaiono col pensiero, la bocca, la mano, l'abito e l'atteggiamento, ma l'animo mira a cose alte e grandi e pensa di giungervi con quel suo fare umile; e costoro si stimano gente umile e santa. I veramente umili non mirano all'effetto dell'umiltà, ma con animo semplice si rivolgono alle cose di infima condizione, se ne occupano volentieri e non si accorgono mai di essere umili. Allora l'acqua sgorga dalla sorgente, ne consegue da sé che essi abbiano atteggiamenti, parole e vesti modeste, ed evitino, se possibile, le aspirazioni alte e grandi. A questo riguardo Davide dice nel Salmo CXXX: "Signore, il mio cuore non è gonfio di superbia, e i miei occhi non sono alteri..."; e Giobbe, XXII: "Chi si abbassa sarà onorato, e chi ha gli occhi a terra sarà salvato". Perciò succede anche che costoro vengono sempre onorati nel modo più inaspettato, venendo innalzati senza che vi abbiano pensato. Con semplicità di cuore erano contenti nella loro bassa condizione e non avevano mai aspirato a salire in alto. Mentre i falsi umili si meravigliano quando il loro onore e la loro elevazione tardano ad arrivare, in quanto il loro orgoglio nascosto non si accontenta della bassa condizione, ma segretamente aspira a salire sempre più in alto.

Perciò, come ho detto, la vera umiltà non sa mai di essere umile; poiché se lo sapesse diverrebbe orgogliosa della stima della bella virtù; ma essa si attacca con il cuore, con la mente e con tutte le facoltà alle cose di bassa condizione che tiene sempre dinanzi a sé e sono l'oggetto delle sue occupazioni; e poiché le ha sempre dinanzi agli occhi, non può vedere sé stessa, né essere consapevole di sé e, tanto meno, orientare il pensiero alle cose elevate. Perciò inaspettatamente è onorata e innalzata, mentre i suoi pensieri sono del tutto lontani dall'onore e dall'elevazione. Dunque Luca, al capo 1, dice che il saluto angelico sembrò strano a Maria e si domandava che cosa volesse dire un tal saluto che essa non si era mai aspettato. Se il saluto fosse stato rivolto alla figlia di Caiafa, essa non si sarebbe domandata che cosa volesse dire un tal saluto, ma l'avrebbe senz'altro accettato pensando: "Oh, è veramente buono e giustificato". D'altra parte la falsa umiltà non sa mai d'essere orgoglio, perché se lo sapesse diverrebbe subito umile considerando l'orribile difetto; ma essa è attaccata col cuore, con la mente e ogni facoltà alle cose grandi, tanto che le tiene continuamente dinanzi agli occhi, si occupa sempre di esse, per cui non può vedere se stessa né prendere coscienza di sé.

Perciò l'onore non la può sorprendere né può essere per lei inaspettato, anzi nutre pensieri del genere; ma il disonore e l'umiliazione le giungono inaspettati, mentre essa nutriva ben altri pensieri. Perciò non ha senso che s'insegni l'umiltà tenendo presenti cose povere e disprezzate; d'altra parte nessuno diverrà orgoglioso perché gli si pongono dinanzi delle cose grandi. Non le immagini, ma il modo di considerarle dev'essere trasformato. Quaggiù noi dobbiamo vivere tra immagini superbe e umili, ma, come dice Cristo, l'occhio dev'essere cavato (Mt. 18:9). In Genesi, III, Mosè non dice che Adamo ed Eva dopo la caduta abbiano veduto cose diverse da quelle di prima, ma dice che i loro occhi furono aperti e si videro nudi; per quanto anche prima fossero stati nudi, ma non ne avevano avuto coscienza. La regina Ester portava una ricca corona sul suo capo, eppure diceva che agli occhi suoi essa era come un panno impuro (Ester, 3:11). Allora non furono tolte da lei le immagini superbe, anzi le furono poste dinanzi come ad una regina potente, e nessuna immagine umile le era presente; ma il modo di guardarle era umile, il cuore e l'animo non ricercavano cose grandi; perciò Dio fece miracoli per suo mezzo. Dunque non le cose, ma noi dobbiamo essere mutati nell'animo e nel modo di sentire, poi verrà da sé il disprezzo e l'abbandono delle cose superbe e la considerazione e la ricerca delle umili. Allora l'umiltà sarà ottimale e costante in ogni senso, pur non essendo mai consapevole di sé. Tutto si farà con gioia e il cuore rimarrà sempre uguale, comunque vadano le cose, in modo superbo o misero, in modo grande o modesto.

Si nasconde un grande orgoglio sotto le povere vesti, le parole e gli atteggiamenti di tanti che oggi riempiono il mondo e che disprezzano se stessi, ma non vogliono essere disprezzati da alcuno, fuggono l'onore, ma vogliono venire da esso ricercati, evitano le grandezze, ma pure vogliono che ci si curi di loro, li si lodi e non li si tenga in poca considerazione! Ma qui la vergine non mostra che la sua bassezza, nella quale volentieri è vissuta ed ha dimorato, senza mai pensare ad onori o grandezze, né accorgendosi mai neppure di essere umile. L'umiltà è cosa delicata e preziosa, tanto che non può sopportare neppure di dover considerare se stessa, ma la sua immagine è riservata soltanto allo sguardo divino, come dice il Salmo CXII: "Egli riguarda agli umili in cielo e sulla terra". Infatti, chi potesse vedere la propria umiltà, potrebbe giudicare della propria salvezza e il giudizio di Dio sarebbe già fatto, poiché sappiamo con certezza che Dio salva gli umili.

Perciò Dio deve riservare a se stesso il riconoscimento e la considerazione della nostra umiltà e occultarla al nostro sguardo, lasciandoci in modeste condizioni ed esercitandoci in esse, affinché dimentichiamo la considerazione di noi stessi. Per questo risultato servono molti dolori, la morte e ogni specie di guai sulla terra; in questo modo noi possiamo togliere l'occhio offuscato e sopportare molte fatiche e tribolazioni.

Ora comprendiamo chiaramente per mezzo di questa parola humilitas che la vergine Maria è stata una fanciulla disprezzata, povera, di umile condizione, che ha servito il Signore senza rendersi conto che la sua umile condizione era tenuta in tanta considerazione da Lui. In tal modo troviamo la nostra consolazione nel fatto che, per quanto abbassati e disprezzati, non ci scoraggiamo come se Dio fosse irato contro di noi, ma piuttosto speriamo nella sua grazia; temiamo soltanto di non vivere abbastanza volonterosamente e con gioia in questo abbassamento, temiamo che l'occhio ipocrita non sia troppo aperto e ci inganni cercando segretamente cose alte e il compiacimento di noi stessi, distruggendo in tal modo l'umiltà.

Che giova infatti ai dannati di essere scesi al livello più basso, se non vi si trovano con gioia e di propria volontà? E nuoce forse agli angeli la loro elevazione eccelsa, se non ne godono con spirito ipocrita? In poche parole, questo versetto ci insegna a conoscere Dio in modo giusto, mostrando come Dio riguardi agli umili e ai disprezzati. E chi sa che Dio volge lo sguardo agli umili, conosce bene Iddio, come si è detto di sopra, e da questa conoscenza deriva poi amore per Dio e fiducia in lui, tanto che l'uomo volenterosamente gli si abbandona e lo segue. Lo dice Geremia al capo IX: "Nessuno si glori della sua forza né della sua ricchezza né della sua sapienza, ma chi si vuole gloriare, si glori del fatto che mi conosce"; come insegna anche san Paolo in 2° Corinzi, X: Chi si gloria, si glori di Dio ".

Successivamente, la madre di Dio - dopo aver lodato con spirito semplice e puro il suo Dio e Salvatore senza diventare presuntuosa a causa dei suoi beni, ma cantando la bontà di colui come si conviene - passa, secondo un giusto ordine, a lodare le sue opere e i suoi beni. Poiché, come si è detto, non ci si deve attaccare ai beni di Dio né li si devono pretendere per sé, ma per mezzo di essi si deve risalire a lui, rimanere uniti a lui, apprezzando soltanto e molto la sua bontà per celebrarlo in seguito anche nelle opere, nelle quali ci ha insegnato ad amare tale bontà, a confidare in essa e a celebrarla, in modo che le opere non siano altro che un ulteriore motivo per amare e celebrare la sua pura bontà che ci governa. Ella però parte dalla considerazione della propria persona e canta ciò che Egli ha fatto per lei. Così ci insegna due cose. La prima è che ognuno deve tener conto di ciò che Dio opera in lui prima che a tutte le opere che compie negli altri. Infatti, non avrai salvezza alcuna per ciò che egli compie negli altri e non in te. Così nell'ultimo capitolo di Giovanni, quando Pietro disse di Giovanni: "E lui che farà?", Gesù gli rispose e disse: "Che t'importa! Tu, seguimi!". Come se volesse dire: le opere di Giovanni non ti gioveranno; tu stesso devi operare e attendere ciò ch'io farò con te. Oggi impera nel mondo un tremendo abuso nella distribuzione e nella vendita delle buone opere, tanto che alcuni spiriti presuntuosi vogliono aiutare altre persone, specialmente quelle che vivono o muoiono senza proprie opere pie, pretendendo di poterlo fare avendone loro a sufficienza, mentre san Paolo parla chiaramente in 1° Corinzi, III: "Ciascuno riceverà la mercede secondo il proprio lavoro", e quindi non secondo il lavoro di un altro. Sarebbe tollerabile se pregassero per gli altri o presentassero a Dio le loro opere come un'intercessione. Ma poiché le considerano un dono, il loro proposito è vergognoso. E il peggio è che essi concedono le loro opere a persone delle quali non sanno in che rapporto stanno con Dio; perché Dio non riguarda alle opere, ma al cuore e alla fede, per mezzo della quale egli opera pure in noi; di ciò essi non tengono alcun conto, ma soltanto delle opere esteriori, ingannando in tal modo se stessi e gli altri; e ciò fino al punto di convincere la gente a rivestire tonache monacali sul punto di morte, dando ad intendere che chi muore in simile veste santa consegue l'indulgenza da tutti i peccati e si salva; cominciano a salvare la gente non soltanto con opere altrui, ma anche con vesti d'altri. Io penso che se non si fa attenzione, lo spirito maligno li spingerà tanto oltre da pretendere di condurre la gente in cielo mediante cibo, abitazione e sepoltura monacale.

Che Dio ci aiuti! Per me è tenebra palpabile il far credere che la tonaca di un monaco ci possa fare pii e salvi. A che serve allora la fede? Diventiamo tutti monaci o moriamo tutti in tonaca! Così il panno dovrebbe essere usato a fabbricare soltanto tonache monacali. Guardati dai lupi in queste vesti da pecora, ti sbranano e ti trascinano via. Considera, dunque, come fa la vergine Maria, che Dio opera anche nei tuoi confronti e che, di conseguenza, devi fondare la tua salvezza soltanto sulle opere che Dio compie in te e non su quelle che compie negli altri. Ma se tu vuoi essere aiutato dalla intercessione di altri, va bene, noi tutti dobbiamo pregare e operare l'un per l'altro, ma nessuno deve confidare in opere d'altri senza che Dio agisca in lui; anzi, ognuno deve porre la massima attenzione alle opere sue e di Dio, e non ad altro, come se ci fosse soltanto lui e Dio in cielo e sulla terra e Dio non avesse da operare con altri che con lui; soltanto in seguito potrà considerare anche le opere degli altri. Qui Maria ci dà un altro insegnamento. Ognuno deve essere il primo a voler lodare Iddio e a mettere in evidenza le opere che egli ha compiute in lui e poi deve lodare Dio anche nelle opere che ha compiute in altri. Così leggiamo che Paolo e Barnaba annunziarono agli apostoli le opere che Dio aveva fatte per mezzo di loro e gli apostoli, a loro volta, quelle che avevano fatte loro. Secondo l'ultimo capitolo di Luca, essi fecero lo stesso dopo la resurrezione di Cristo riguardo alla sua apparizione. In quel momento si manifestò una comune gioia e lode a Dio, perché ognuno celebrava la grazia ricevuta dall'altro, ma innanzi tutto quella che egli stesso aveva conosciuta, anche se minore, perché essi non desideravano essere i primi nei beni, ma nella lode e nell'amore di Dio. Essi erano soddisfatti di Dio e della sua bontà, anche se il dono era piccolo, in quanto il loro cuore era semplice. Ma gli interessati ed egoisti guardano di traverso, quando si accorgono di non essere i più privilegiati nei beni, mormorano invece di lodare quando vengono considerati uguali o inferiori ad altri; come nel Vangelo di Matteo al capo XX quelli che mormoravano contro il padrone di casa, non perché egli avesse fatto loro un torto, ma perché li aveva trattati alla stregua di altri nella mercede. Così oggi ci sono molti che non lodano la bontà di Dio, perché considerano di non di avere ricevuto quanto ha ricevuto san Pietro o un altro santo o come questo o quel mortale; pensano che se anche essi avessero tanto, lo loderebbero e amerebbero; ritengono poca cosa l'essere ricoperti di quei doni di Dio dei quali non tengono conto, come il corpo, la vita, la ragione, le sostanze, gli onori, gli amici, il calore e la luce del sole e tutte le altre creature. Costoro, anche se avessero tutti i beni di Maria, non riconoscerebbero in essi Dio e non lo loderebbero; come Cristo dice in Luca, XVI: "Chi è fedele nelle piccole cose, lo è anche nelle grandi, e chi è infedele nel poco, lo è anche nel molto". Non meritano il molto e il grande, perché disprezzano il piccolo e il poco. Ma se lodassero Iddio nelle piccole cose, verrebbero loro date le cose grandi in sovrabbondanza. Ciò deriva dal fatto che guardano al di sopra di se stessi e non al di sotto; se guardassero sotto di sé, troverebbero molti che forse non hanno neppure la metà dei loro beni eppure sono contenti di Dio e lo lodano. Un uccello canta ed è lieto per quello che può, e non si lamenta perché non può parlare. Un cane salta lieto ed è contento, per quanto non abbia una ragione. Tutti gli animali si accontentano di ciò che possiedono e servono Dio con amore e lode; soltanto l'occhio astuto ed egoista dell'uomo è insaziabile e per di più mal destro, tanto che vorrebbe saziarsi attraverso la sua stessa ingratitudine e il suo orgoglio, vorrebbe stare sopra tutti ed essere il migliore, non onorare Dio, ma essere da lui onorato.

Così leggiamo che al tempo del concilio di Costanza, due cardinali, cavalcando attraverso i campi, videro un pastore che se ne stava piangendo; e un cardinale, uomo di cuore, non volle cavalcare oltre, ma consolare l'uomo, e si avvicinò a lui per sapere che avesse. Il pastore piangeva forte senza dirne il motivo, tanto che il cardinale si afflisse; infine il pastore si mosse e mostrò un rospo e disse: "Piango perché, benché Dio mi abbia fatto di me una creatura perfetta, non deforme come il verme, io non l'ho mai riconosciuto, ringraziato e lodato". Il cardinale fu colpito da queste parole e ne rimase talmente spaventato che cadde dal mulo e lo si dovette ricoverare, e gridò: "Oh, sant'Agostino, come hai parlato giustamente dicendo che gli ignoranti si elevano verso il cielo al nostro posto, mentre noi con la nostra sapienza camminiamo secondo la carne". Penso che il pastore non fosse ricco, bello e potente, eppure, ciò nonostante, ha avuto la capacità di discernere nella profondità del suo essere i beni di Dio più numerosi di quanto potesse contarne, ringraziandolo per essi.

Maria confessa che la prima opera di Dio in lei è lo sguardo divino che si è posato su lei, ed è anche l'opera maggiore, dalla quale tutte le altre dipendono e dalla quale tutte scaturiscono. Infatti, ogni qual volta Dio rivolge il suo sguardo verso qualcuno, da Lui discende la grazia e la salvezza, da cui si originano tutti i doni e tutte le opere. Così leggiamo in Genesi IV, che Egli considerò Abele e la sua offerta, ma non altrettanto fece con Caino. Ecco perché nel Salterio ricorre spesso la preghiera che Dio volga verso di noi il suo volto, che non lo nasconda, che lo faccia risplendere su di noi e altre simili espressioni. La stessa Maria stessa dimostra di ritenere che sia questo il dono più grande, quando dice: "Ecco, per questo sguardo tutte le generazioni mi chiameranno beata".

Si badi alle parole: essa non dice che si parlerà molto bene di lei, che si celebrerà la sua virtù, si esalterà la sua verginità o umiltà, o che si canterà un inno all'opera sua, ma si dirà soltanto che Dio ha riguardato a lei, per cui essa è beata. Ciò significa onorare Dio con tanta purezza, che non sarebbe possibile di più. Per questa ragione essa accenna allo sguardo e dice: "Ecce enim, ex hoc". " Ecco, d'ora innanzi mi chiameranno beata... ", cioè da questo momento in cui Dio ha riguardato alla mia bassezza, io vengo chiamata beata.

Non viene lodata lei, ma la grazia di Dio scesa sulla sua persona; anzi viene disprezzata e disprezza se stessa, dicendo che la sua bassezza è stata riguardata da Dio. Perciò celebra anche la sua beatitudine prima di narrare le opere che Dio le ha fatto e tutto attribuisce allo sguardo divino posatosi sulla sua bassezza.

In tal modo possiamo imparare quale sia il vero onore che le si deve tributare e mediante il quale la si deve servire. Con quali parole ci si potrà rivolgere a lei? Le sue stesse parole ci inducono a dire: O beata Vergine e Madre di Dio, nonostante tu fossi misera e disprezzata, Dio ha rivolto il suo sguardo su di te e con la ricchezza della sua grazia ha operato in te grandi cose; tu non eri degna di alcuna di esse, tuttavia la grazia di Dio è stata ricca e sovrabbondante superando ogni tuo merito . Oh salve! Da ora in eterno beata sei tu che hai conosciuto un tale Dio! Non devi pensare che le dispiaccia quando la si chiama indegna di tale grazia, poiché senza dubbio essa non ha mentito confessando la propria indegnità e bassezza; Dio ha rivolto il suo sguardo su di lei, non perché lei ne avesse merito, ma per pura grazia. I vani ciarlatani non tengono conto delle sue parole, ma per mezzo della loro capacità oratoria o letteraria, predicano e scrivono molto del suo merito, non rendendosi conto che così facendo alterano il senso del Magnificat, rendono bugiarda la Madre di Dio e diminuiscono la grandezza della grazia di Dio.

Invero, quanto più è il merito che le si attribuisce, tanto più si sottrae alla grazia divina e si riduce la verità del Magnificat.

Anche l'angelo la saluta soltanto con l'annunzio della grazia di Dio, aggiungendo che il Signore era con lei, sì che avrebbe dovuto essere benedetta fra tutte le donne. Perciò tutti coloro che tanto la lodano e l'onorano, non sono molto lontani dal farne un idolo; come se si trattasse di onorarla e di aspettarsi da lei del bene, mentre essa vuol distogliere l'attenzione dalla sua persona, affinché in lei Dio sia lodato e per lei ognuno giunga a confidare nella grazia di Dio.

Per questa ragione, chi vuole onorarla non la deve porre soltanto dinanzi a sé, ma dinanzi a Dio e molto sotto Dio e spogliarla d'ogni gloria e considerare (come si è detto) la sua bassezza; e in conseguenza si stupisca della sovrabbondante grazia di Dio che con tanta benignità si rivolge ad una creatura così piccola e meschina, abbracciandola e e benedicendola; in tal modo, spinto ad amare Dio e a lodarlo per tali grazie, sei portato ad attendere ogni bene da Lui - che con tanta benignità rivolge il suo sguardo verso gli uomini piccoli, disprezzati e meschini - tanto che il tuo cuore ne risulta fortificato nella fede, nella carità e nella speranza in Dio. Non pensi forse che sia più facile incontrarla quando vieni a Dio per mezzo di lei e quando impari da lei a confidare e a sperare in Lui, anche se vieni disprezzato e annientato in vita o in morte? Essa non vuole che tu venga a lei, ma per mezzo di lei tu vada a Dio.

D'altra parte è bene che tu impari a temere quegli atteggiamento di particolare contemplazione della sua persona, adottati da tanti uomini, considerando che Dio stesso non fu attirato, né considerò l'aspetto esteriore di sua madre. Quando gli artisti dipingono e rappresentano la beata vergine in modo che in lei non si possa scorgere nulla di disdicevole, ma soltanto grandi e splendide qualità, essi non fanno altro che rappresentare la Madre di Dio, senza porla dinanzi a Dio, rendendoci in tal modo timorosi e scoraggiati e nascondendoci la consolante immagine della Grazia, come si fa con i quadri durante la Quaresima. In questo modo, venendo elevata ad di sopra di tutto, ci troviamo privati di un esempio in grado di consolarci. Lei dovrebbe e vorrebbe, invece, rappresentare il più illustre esempio della grazia di Dio, capace di spingerci tutti verso la fede, l'amore e la lode, a tal punto che tutti i cuori per mezzo di lei possano giungere a tale pensiero di Dio da poter dire con piena fiducia: Oh, Vergine beata e Madre di Dio, quale grande consolazione Dio ci ha mostrato in te, per aver con tanta grazia rivolto il suo sguardo alla tua indegnità e umiltà, ricordandoci in tal modo che, d'ora innanzi, così come ha fatto con te, non disprezzerà più, ma guarderà benignamente noi uomini, poveri e meschini.

Non è forse vero che - così come Davide, san Pietro, san Paolo, santa Maria Maddalena e altri che, per mezzo della grande grazia loro indegnamente concessa a consolazione di tutti gli uomini, costituiscono dei punti di riferimento per fortificare la fede e la fiducia in Dio - anche la beata Madre di Dio rappresenta un uguale esempio per tutti? Certo, lei non può essere tale per i superflui esaltatori ed inutili parlatori che non mostrano come in lei, in base a questo versetto, si sono incontrate la sua povertà profonda e la sovrabbondante ricchezza di Dio, la gloria divina e la sua bassezza, la divina dignità e la sua spregevolezza, la divina grandezza e la sua piccolezza, la divina bontà e il suo demerito, la grazia divina e la sua indegnità. Questo impedisce il sorgere della fede, del desiderio di Dio e del suo amore, per il cui rafforzamento vengono, invece, descritte la vita e le opere di lei e di tutti i santi. Nonostante ciò, sono molti quelli che cercano in lei, come se fosse Dio, aiuto e consolazione, tanto che temo che oggi vi sia nel mondo più idolatria di quanta ve ne sia mai stata. Su questo punto per il momento non vi è altro da aggiungere.

L'espressione latina omnes generationes l'ho tradotta in tedesco "i posteri", sebbene significhi "tutte le generazioni". Ma questa espressione è tanto oscura che alcuni si sono affaticati per vedere come sia possibile che tutte le generazioni la chiamino beata mentre giudei, pagani e molti cattivi cristiani la bestemmiano o comunque non vogliono saperne di chiamarla beata. Si imbattono in queste difficoltà per il fatto che per "generazione" intendono la totalità degli uomini; mentre qui il termine indica piuttosto la successione per nascita naturale, del padre, del figlio, del nipote e così via. Ogni successione costituisce una generazione. La Vergine Maria, perciò, non intende altro se non che la sua lode durerà da una generazione all'altra, di modo tale che non vi sarà epoca in cui non sarà celebrata. Ed essa accenna a questo fatto dicendo: "Ecco, d'ora innanzi tutte le generazioni", cioè la lode ha inizio ora e si ripeterà per tutte le generazioni.

Anche la parola makariusi ha un significato più ampio che "chiamare beato" , e vuol dire "beatifìcare" o "rendere beato", non soltanto con discorsi o parole, o con genuflessioni, inchini, riverenze, col dipingere immagini, costruire chiese, cose queste che sanno fare anche i malvagi, ma con tutte le forze e con profonda sincerità. Ciò avviene, come si è detto sopra, quando il cuore, consapevole della sua bassezza e della grazia di Dio, giunge per mezzo di lei a gioire in Dio e dice o pensa con tutto il cuore: "O beata Vergine Maria!".

E questo modo di chiamarla beata rappresenta per lei, come si è detto, un vero onore.
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