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Battesimo evangelico e santa cena

Ultimo Aggiornamento: 07/10/2009 21:20
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07/10/2009 20:56
 
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Da: lisaInviato: 19/08/2003 16.07
Inserisco questo studio sull'eucarestia, mi pare sia esaustivo e di facile comprensione,
buona lettura!!

"QUESTO E’ IL MIO CORPO; QUESTO E’ IL MIO SANGUE"

P. Gian Franco Scarpitta

 

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Parecchie volte nelle nostre catechesi (specialmente in preparazione alla Prima Comunione) si insiste molto sulla presenza reale di Gesù Cristo nelle specie consacrate durante la celebrazione dell’Eucarestia, ma non si può non riconoscere che, per quanti sono lontani dalla vita ecclesiale e ricevono tale Sacramento solo per una prassi consuetudinaria e tradizionale, accettare questo discorso risulta assai difficile, se non addirittura irrazionale.

E’ chiaro allora che non se ne potrà mai parlare se non partendo dal presupposto che in fondo è proprio in ciò che è lontano dalla ragione umana che Dio rivela la sua potenza e magnificenza; in altre parole, per dirla con San Paolo "Dio ha ridotto a pazzia la sapienza di questo mondo… Dio ha deciso di salvare quelli che credono mediante questo annunzio di salvezza che sembra una pazzia"(1Cor 1, 20-21 vers. LDC - ABU); e questo risulta a maggior ragione a proposito del mistero eucaristico, se è vero che esso richiede che si debba credere in un Dio-Uomo che si rende presente mediante le specie di un’Ostia e di un sorso di vino. Tuttavia è proprio così: come proclama il famosissimo canto del Tantum Ergo, non i sensi ma la fede proclama la verità della presenza reale di Gesù Cristo nel Sacramento dell’Eucarestia.

E non si può neppure pretendere di offrire una legittimazione razionale di questo mistero rivelatoci da Gesù; come nel caso di tutti gli altri articoli di fede, lo si può comprendere soltanto nella misura in cui lo stesso Gesù Cristo ce lo consente, ovvero interpellando le Scritture e realizzando una vera ermeneutica delle varie pericopi sull’argomento.

Tuttavia chi ha il privilegio divino di immedesimarsi in siffatto mistero non può non riscoprire la pienezza e la ricchezza di vita che esso comporta nonché il senso di gioia e di soddisfazione che si riscontra nel ricevere tale Sacramento.

Ed è per questo motivo che ci accingiamo immediatamente a parlare di esso proprio a partire dalle Scritture, e cominciando da un versetto che a prima vista sembra non avere parte alcuna con l’argomento che stiamo trattando: Gv 1, 14: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi"


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Il Verbo è la Parola di con cui Dio ha creato tutte le cose (Gv 1, 1-10) che è eterna a Dio e in se stessa è Dio


Ora, questo Verbo si è fatto carne (sarx) cioè ha assunto tutta la pienezza della peccaminosità umana. Per carne si intende infatti lo stato corruttibile e peccaminoso in cui versa l’uomo e la sua storia.



… "E venne ad abitare in mezzo a noi." Il verbo abitare (eskenosen) vuol dire letteralmente porre la propria tenda (skene). Ne deriva che in Gesù Cristo (il Verbo) Dio è venuto a vivere in mezzo agli uomini a tutti gli effetti e senza metafore di sorta, condividendo la natura umana in tutto, fuorché nel peccato.


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Forti di queste considerazioni preliminari, osserviamo adesso lo stesso vangelo di Giovanni cap. 6, 32-40. 47-58: Presteremo attenzione ai termini in colore nero e a quelli in colore rosso.


"Disse loro Gesù: ‘In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero. Il pane dal cielo è infatti colui che dal cielo discende e dà la vita al mondo’.

Gli dissero allora: ‘Signore, dacci sempre questo pane’. Gesù disse loro: ‘Io sono il pane di vita. Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. Ma io ve l’ho già detto: mi Avete visto e ancora non credete. Tutto ciò che mi dà il Padre verrà a me e chi viene a me non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato. Ora, questa è la volontà di Colui che mi ha mandato: che nulla vada perduto di ciò che mi ha dato ma che lo resusciti nell’ultimo giorno. Questa è infatti la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna e io lo risusciti nell’ultimo giorno…

In verità in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato nel deserto la manna e sono morti. Questo è il pane disceso dal cielo, perché chi lo
mangia non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se qualcuno mangia di questo pane vivrà in eterno. E il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.’

I giudei allora discutevano fra di loro dicendo: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’

Disse loro Gesù: ‘In verità in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò nell’ultimo giorno. La mia carne infatti è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come mi ha mandato il Padre che è il vivente e io vivo grazie al Padre, così colui che si ciba di me, anch’egli vivrà grazie a me. Questo è il pane disceso dal cielo; non come quello che mangiarono i padri e sono morti. Chi mangia di questo pane vivrà per sempre.’"


In questo brano evangelico, collocato in seguito all’episodio della moltiplicazione dei pani per poterne spiegare il messaggio salvifico, si rilevano alcuni aspetti che vanno presi in considerazione assieme al primo dei testi citati:

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Colui che mi ha mandato = il Padre; 2) la carne; 3) Il pane

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Anche adesso infatti Gesù sottolinea in protagonismo nel Padre in questa vicenda salvifica e con il medesimo Padre Egli rivendica la propria unione eterna. Gesù si qualifica insomma come il Verbo fatto carne venuto ad abitare in mezzo agli uomini per dare la vita al mondo e adesso spiega come intende dare la vita a tutti gli uomini per dare loro la salvezza definitiva e risuscitarli nell’ultimo giorno. Vale a dire: invitandoli a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue. La parola carne = sarx rievoca il "Verbo fatto carne" di cui al verso 1,14 e rafforza l’idea che Gesù sia il Dio fatto uomo che adesso si fa mangiare…

Ma mangiare in che senso?

Ebbene, al verso 50 il verbo mangiare (da noi scritto in nero) si può anche intendere in senso traslato o metaforico (= assumere la sua vita, immedesimarsi in lui); ma ai versi 53-56 (in rosso) si adopera un termine… crudo: (trago) che vuol dire espressamente masticare, dilaniare, stritolare, mordere… e qui si intende pertanto che Gesù voglia dire che chi non lo mangia materialmente non potrà avere la vita.

Aprendo una parentesi potremo osservare che quando abbiamo incontrato il termine carne in Giovanni 1, 14 avevamo visto che esso attestava alla caducità e alla corruttibilità umana; ebbene, tale dimensione aveva assunto Gesù, tuttavia non nel senso che anche lui si fosse corrotto della miseria peccaminosa dell’uomo: la sua carne è pur sempre pura ed incontaminata e per questo la offre come cibo adesso ai suoi, così come nei Suoi disegni il Padre l’aveva offerta nel mistero dell’Incarnazione.

Nel mangiare la carne di Cristo si ha infatti la garanzia duplice della vita eterna fin dal momento presente e di rinascere a nuova vita; tale nutrimento è sostanziale per la vita del mondo e dei singoli credenti e il fatto che Gesù si renda cibo per l’umanità evoca l’universalità della salvezza e la volontà di portare tutti al Padre.

In più, egli è presente nel suo Corpo Mistico di una presenza effettiva e reale che è la medesima di quando camminava per la Giudea e la Galilea e pertanto in questo farsi cibo ha voluto riscontrare una modalità di essere presente fra gli uomini che si protraesse nel tempo, fino alla consumazione della storia. In situazioni di intenso appetito, di fronte al pane non si fanno elucubrazioni mentali e/o considerazioni scientifiche, ma lo si mangia come alimento provvidenziale per saziarci (Mons. Cipriani). Allo stesso modo, di fronte a Gesù che ci si dona con la stessa gratuità e con disinvoltura ci si pone nello spirito dell’accettazione e della sequela con rinnovata fiducia nella sua parola e nelle sue aspettative riguardo ai criteri etici e comportamentali. Mangiare la sua carne e bere il suo sangue ha quindi innanzitutto un significato spirituale e benefico per la vita dell’uomo, in quanto che vuol dire "assimilare" Cristo in profondità e nell’intimità per poterlo attestare nella vita. Tuttavia, vi è anche un modo, molto più nobile e significativo con il quale Cristo ci chiede di essere "consumato"; e questo lo andremo a riscoprire immediatamente.



MANGIARLO DOVE, QUANDO?

 

Appurato dunque che Gesù intende farsi mangiare materialmente, rimane adesso da stabilire in quali circostanze Egli intenda che lo si consumi.

Già lo stesso brano di Giovanni, mentre sottolinea la necessità di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, qualifica Gesù come il "pane vivo disceso dal cielo", contrapposto al pane che mangiarono gli Israeliti nel deserto; da notarsi che questi ultimi pur avendo usufruito dell’assistenza divina e aver mangiato la manna nel deserto ad un certo punto morirono. Inoltre essi definirono il loro pane manna in quanto che non riuscivano nelle prime a comprenderne l’entità (manna= man-hu= che cos’è?) e in quella circostanza Dio aveva loro promesso come cibo piovuto dal cielo la carne al mattino e il pane la sera, da consumarsi giorno per giorno (Esodo 16). Adesso invece Gesù presenta se stesso con maggiore categoricità e chiarezza, affermandosi come pane vivo = carne che soddisfa non la fame di un solo giorno ma quella eterna e definitiva di cui parla fra l’altro Amos 8, 11 ed è garante di vita sempiterna e di salvezza.

Onde poter osservare dove in concreto si possa mangiare questo pane vivo disceso dal cielo che corrisponde alla carne del Signore, occorre che ci spostiamo verso un altro brano evangelico che Giovanni non riporta perché il suo scopo non era quello di raccontare tutti i fatti (Gv 20, 30-31); si tratta di Luca 22, 19-20 seguito da Matteo 26, 26-30 e da Marco 14, 22-24. Ad esso affiancheremo un altro passo di Paolo (1Cor 11, 23-25)

Lc 22, 19-20

"Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: ‘Questo è il mio corpo che è dato per voi. Fate questo in memoria di me.’ Allo stesso modo, alla fine della cena, prese il calice dicendo: ‘Questo calice è a nuova alleanza nel mio sangue che è sparso per voi.’


Mt 26, 26-30

"Mentre mangiavano, Gesù prese il pane, fece la preghiera di benedizione, poi spezzò il pane, lo diede ai discepoli e disse: ‘Prendete e mangiate, questo è il mio corpo.’ Poi prese il calice, fece la preghiera di ringraziamento, la diede ai discepoli e disse: ‘Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, offerto per tutti gli uomini in riscatto dei peccati. Con questo sangue, Dio conferma la sua alleanza.’’


Mc 14, 22-24

"Mentre stavano mangiando, Gesù prese il pane, fece la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai discepoli e disse: ‘Prendete questo è il mio corpo’. Poi, preso il calice, rese grazie, lo diede ai discepoli e tutti ne bevvero. Gesù disse: questo è il mio sangue offerto per tutti gli uomini. Con questo sangue, Dio conferma la sua alleanza.’"



Il brano paolino non è poi differente:


"Io infatti ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio corpo che è per voi, fate questo in memoria di me.’ Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice dicendo: ‘Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me


Sempre da san Paolo, leggiamo anche la sezione rimanente dello stesso brano (1 Cor 11, 26 e ss):

" Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finchè egli venga. Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno pertanto esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna."


Dai testi appena citati è abbastanza evidente che l’occasione in cui ci si nutre del corpo (carne) di Cristo è il Sacramento dell’Eucarestia. Tuttavia occorre fare delle analisi ancora più dettagliate:

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Porgere la coppa del vino e rendere grazie era consuetudine in uso presso la celebrazione della Pasqua ebraica, allorchè il capo-famiglia distribuiva a tutti i partecipanti il vino rendendo grazie a Dio.

Paolo e Luca seguono una tradizione simile, differente da quella di Matteo e Marco. Il dato più importante ci è dato da Paolo che scrive questo passo per rimproverare la comunità di Corinto a motivo del disordine generale con cui venivano consumati i pasti: i Corinzi infatti mangiavano il pane e bevevano il vino consumando un pranzo ordinario nei luoghi stessi in cui celebravano l’Eucarestia al punto da non distinguere più il normalissimo pane/vino dal Corpo e Sangue di Cristo (vv 17-22). E’ questa l’occasione in cui l’Apostolo afferma di aver ricevuto da fonte certa una rivelazione per la quale ricorda a tutti che al momento dell’atto liturgico la presenza del Corpo e del Sangue nelle specie del pane e del vino è reale. Del resto nei sinottici il termine è (il mio corpo) è tradotto dal greco estin (è) che toglie ogni dubbio sul fatto che esso sia realmente il Corpo e il Sangue. E sempre Paolo in 1Cor 10, 14-21 afferma: "Il calice della benedizione che noi benediciamo non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo?" Mangiare il pane e bere l calice significa infatti entrare in comunione con il Corpo e il Sangue di Cristo (Da qui il termine Prima Comunione) e deve essere per forza evidente che, perchè si realizzi questa Comunione tale pane e tale vino siano realmente il Corpo e Sangue di Gesù Cristo.

Il fatto che i Sinottici e Paolo affermano che il Sangue è sparso per i discepoli per la remissione dei peccati indica che l’Eucarestia è un sacrificio: Gesù infatti dona se stesso in riscatto dell’umanità spargendo il proprio sangue sulla croce per la salvezza, così come lo qualificherà poi la Lettera agli Ebrei 9 Egli è il Sacerdote dell’eterna Alleanza che non ha bisogno di entrare nei santuari costruiti da mani umane per realizzare sacrifici, né di immolare vittime in quanto dà come elemento di espiazione per le colpe del popolo il proprio sangue una volta per tutte.

Il valore salvifico dell’Eucarestia non si limita a quella sola occasione dell’Ultima Cena. San Paolo parla di "Annunciare la sua morte e proclamare la sua resurrezione finchè egli venga" e i vangeli affermano "Fate questo in memoria di me" Fino al momento del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi, Gesù vuole quindi che si renda presente continuamente codesto sacrificio consumato una volta per tutte sulla croce e che si perpetui la sua presenza reale nel Sacramento. Unico sacerdote è Cristo, ma Egli dà tuttavia il potere e la facoltà a terzi di perpetuare nel tempo un tale sacrificio. Nella celebrazione dell’Eucarestia avviene allora oltre che una reale presenza del Corpo e Sangue sull’altare, anche un Memoriale del sacrificio di Cristo e una ripresentazione di esso. Certo, il sacrificio è stato realizzato una sola volta per tutte sulla croce ed è unico ed irripetibile, tuttavia nell’altare si ripresenta sotto forma di mistero alla presenza dei fedeli.



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E COSA SUCCEDE ALLE OSTIE CONSACRATE?

 

Come abbiamo detto all’inizio, l’Eucarestia rimane un "mistero della fede" inesplicabile agli occhi dei sensi e dell’umana razionalità. Ma nell’ottica della fede la presenza di Cristo è reale.

Ora, se ci limitiamo a dire che nell’Eucarestia Cristo è realmente presente non diciamo nulla di nuovo: infatti anche la presenza di Gesù nella preghiera liturgica è reale poiché in essa Cristo prega con i fedeli. E anche quando si è riuniti nel Suo nome Lui è presente in modo reale. A proposito dell’Eucarestia occorre esplicitare che Gesù è reale in modo effettivo cioè nel suo corpo, anima e divinità E per spiegare questo dobbiamo porci una domanda: come fa Cristo ad essere realmente presente nelle specie eucaristiche se anche dopo la consacrazione il pane ha la stessa forma e sapore di pane e il vino ha lo stesso sapore di vino, ed entrambi gli elementi sono soggetti alla deteriorazione e all’invecchiamento?

Per rispondere, occorre fare un ragionamento abbastanza sottile:

ogni oggetto che esiste su questo mondo è un ente fisico; esso è composto di sostanza + accidenti; la sostanza determina il quid dello stesso oggetto, ossia il che cos’è di esso, il fatto che esso sia una cosa e non un’altra; mentre gli accidenti sono determinazioni o prerogative della sostanza.

Per fare un esempio: quando si dice: "questo è un tavolo" si afferma che la sostanza di questa cosa che abbiamo davanti è quella del tavolo e non quella di una casa. La sostanza insomma è ciò per cui il tavolo è tavolo e non è neient’altro. Il fatto poi che sia marrone, alto, in legno pregiato, bello, rotto ecc.. questi sono tutti accidenti della sostanza (del tavolo in quanto tavolo). Ora, durante la celebrazione eucaristica non avviene altro che la mutazione della sostanza del pane/vino a quella del corpo/sangue di Gesù. Quello che in essi muta insomma è solo la sostanza, restando invariati tutti gli accidenti. Non che il corpo di Cristo si sposti da un luogo all’altro, ma restando sempre se stesso si rende presente in questi elementi. Col risultato che, a motivo degli accidenti rimasti invariati dopo la consacrazione il Corpo di Cristo sembra pane ma non è più tale e il Sangue sembra vino ma non è più tale. Questo fenomeno comprensibile sempre secondo le prerogative della fede viene chiamato Transustanziazione.


Abbiamo compreso quindi come il Figlio di Dio nell’Eucarestia si renda nostro cibo per essere nostro nutrimento vitale e per ciò stesso la partecipazione alla funzione liturgica domenicale non può né deve risultare per noi un atto da prendersi secondo forma di coazione, vale a dire nel timore della pena del peccato. Già presso gli Atti degli Apostoli, come anche nella Tradizione dei Padri della Chiesa abbiamo testimonianze qualificanti di come, per questo motivo, la Cena del Signore e lo "spezzare il pane" siano momenti che tutti i primi cristiani valorizzavano come necessari e ai quali si prendeva parte con entusiasmo e spirito di fraternità Nutrire la convinzione che Dio entra in noi sotto forma di cibo significa dover vivere la Messa con entusiasmo. Facendo una parentesi, la parola Messa non è effettivamente significativa per quello che vuole rappresentare. Essa deriva dal latino Missa che vuol dire congedo. Secondo alcuni essa deriva dal fatto che al termine dell’azione liturgica l’assemblea viene congedata; secondo altri dal fatto che nella chiesa delle origini prima ancora della celebrazione si solevano congedare i catecumeni. Ma il fatto che la celebrazione dell’Eucarestia sia anche un’occasione di incontro di comunione oltre che con Cristo anche fra di noi, questo è assodato. Infatti nella celebrazione domenicale vi è il centro della vita cristiana, vale a dire la riunione dei battezzati fra di loro e attorno alla Parola e al pane spezzato e non può non qualificarsi come evento di condivisione fraterna.

Qual è infatti la circostanza più comune nella quale oggi (specialmente presso le famiglie odierne) ci si incontra e si condivide se non quella del pranzo? Ebbene Gesù ci offre nel banchetto eucaristico la possibilità di incontro dialogico e comunionale fra di noi e come dice Sant’Ignazio di Antiochia Gesù Eucaristia ci si presenta anche come "farmaco d’immortalità" per vivere in eterno la vita piena. Nell’Eucarestia si ha la forza e il vigore necessari per sostenere anche le difficoltà e le prove della vita, poiché a lungo andare il Sacramento, se ricevuto con predisposizione e convinzione senza ritrosia e con consapevolezza piena è in grado anche di trasformare la nostra vita secondo modalità di gioia e serenità durature. Per questo al centro della vita cristiana e delle attività ecclesiali di qualsiasi tipo non può non esservi che l’Eucarestia , alla quale tutte le opere e le iniziative non possono non convergere e non trovare in essa la motivazione di partenza. Inoltre intorno all’Eucarestia si ritrova anche la Chiesa, mandataria di un ufficio di evangelizzazione scaturente dal Suo Signore: non sipuò non ammettere che il Sacramento costituisca il principio e la motivazione fondamentale di ogni opera ecclesiale che da Essa promana e da Essa trae slancio e vigore. Tutto nella Chiesa fa’ riferimento all’Eucarestia. In essa noi riscontriamo fondati i nostri rapporti in seno alla comunità ecclesiale e le relazioni interpersonali con il nostro Pastore locale e/o diocesano.

Ed è anche per questo che sarebbe congeniale anche una pedagogia al Sacramento che si sviluppi già a partire dai primi anni dell’infanzia e che nelle famiglie sia incoraggiata dai genitori. Non di rado avviene che nelle nostre parrocchie si esiga la ricezione del Sacramento della Prima Comunione senza troppi preamboli e a volte senza voler sottostare alle normative della Curia locale quanto all’età del candidato e alla durata del corso di catechesi…

Ma, considerato quanto detto adesso sul Sacramento, non ci si dovrebbe piuttosto convincere individualmente che la preparazione a questo Sacramento in fin dei conti ha ancora modalità e tempi insufficienti?

Da ultimo, non vanno omesse le situazioni di difficoltà in cui ci si trova alcune volte nel riconoscere la presenza sostanziale di Cristo nel Sacramento dell’Eucarestia. In altre parole, ammettere che Cristo sia presente nelle sembianze del pane/vino non sempre è facile e alcune volte ci si pone degli interrogativi del tipo: "E’ mai possibile?" Così dubitò un monaco a Lanciano (Ch) mentre celebrava l’Eucarestia e in quell’occasione lo stesso Signore gli diede una risposta. Il pane e il vino che aveva fra le mani e stava per consacrare si trasformarono il primo in una reale fettina di carne umana, l’altro in alcune gocce di sangue. Tuttora sono esposti alla venerazione dei fedeli. Tuttavia la soluzione più conveniente a questo interrogativo, risiede nel fatto che l’Eucarestia è un mistero che va’ riconosciuto nell’ordine della fede; questo è quanto proclama il sacerdote dopo aver consacrato le specie eucaristiche: "Mistero della fede!" La fede non è qualcosa che ognuno di noi possa raccogliere e mettere in tasca fra tante cose sparse, né qualcosa che si acquista col denaro o altro simile: è semplicemente un dono di Dio, e lo si ottiene attraverso la disposizione e l’apertura del cuore.

Sicchè l’Eucarestia è un fatto di fede e credervi è dono speciale di Dio per la nostra edificazione e salvezza.

Ma che il Sacramento sia in sé un Mistero della fede forse è necessario: è meglio assumerlo considerandolo come tale per accettare la gratuità del dono di Dio in Gesù Cristo come quando si riceve un pacco regalo e lo si accoglie ringraziando e senza domandarsi sul contenuto…


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Consiglia Elimina    Messaggio 19 di 114 nella discussione 
Da: lisaInviato: 19/08/2003 16.12
Scusatemi per la lunghezza dello studio precedente, volevo dirvi visto che bisogna citare le fonti che è tratto dal sito"qumran2" materiale pastorale
lisa.
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