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Celibato o non celibato, risponde il Vaticano

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2009 10:10
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Da: Soprannome MSN7978Pergamena  (Messaggio originale)Inviato: 21/06/2004 14.47

Inseriamo una lettera molto interessante di un prete sposato....e la seguente risposta della Chiesa......vi invito solo a diffidare delle imitazioni, cioè...di quelle lettere che non hanno uno spirito di approfondimento, ma sono cariche di PRETESE....E DI VELENO ANTICLERICALE.....

Questa che segue invece..è una lettera molto interessante, come interessante è la risposta che segue.... il celibato NON E' OBBLIGATORIO.....è l'uomo che entrando in seminario è CONSAPEVOLE perfettamente della scelta che dovrà compiere.....per diventare sacerdote questa è la prassi che nasce da un suggerimento di Gesù leggasi Mt.19,10 e lo stesso Paolo che sceglie il celibato e suggerisce a chi non  SA CONTENERSI di sposarsi....se dunque Paolo parla dopo di RUOLI SPECIFICI NELLA CHIESA.....non si può pretendere così di essere sacerdote e al tempo stesso sposato.....nè un laico pretenderebbe di fare il sacerdote ministeriale.....

Buona meditazione...

Goiânia 18 Dicembre 2002
ALLA CONGREGAZIONE DEL CLERO
Roma. Vaticano.
Sono un prete italiano, proveniente dalla diocesi di Arezzo, missionario in Brasile dall´anno 1972 nella Arcidiocesi di Goiânia, e da 16 anni sposato religiosamente e civilmente con una brasiliana, dopo aver ottenuto la dovuta dispensa.
Abito ancora in Goiânia dove lavoro con i mezzi di comunicazione (soprattutto Video) a servizio della Scuola, delle Associazioni, delle famiglie e della pastorale in generale.
Faccio parte della Commissione della Pastorale della Comunicazione (PASCOM) del Regionale Centro-Oeste della CNBB.
Il motivo di questa lettera è nato dal desiderio di chiarire la situazione dei preti sposati in Brasile e di aprire un canale di dialogo fraterno e costruttivo con la Congregazione Romana e con la Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB).
Come tanti altri preti sposati in Brasile, ho sempre cercato di vivere in comunione con la chiesa locale e di collaborare, rispettando le limitazioni della legge ecclesiastica, con il lavoro pastorale diocesano.
Faccio parte da molto tempo del Movimento dei Preti Sposati (MPC) e dell´Associazione dei preti sposati RUMOS, di cui sono anche Vice-Presidente nazionale. Abbiamo molto lavorato perché questa Associazione corrispondesse allo spirito della maggioranza assoluta dei preti sposati del Brasile e in questi ultimi anni c´è stata un notevole progresso, riavvivando nell´Associazione i tre principi collocati come base nella sua fondazione, e cioé: aiuto scambievole tra i preti sposati (anche economico), dialogo con la gerarchia, impegno sociale e pastorale. Questo progresso si può vedere chiaramente nei nostri congressi: nel 1996, quando facemmo il Congresso internazionale in Brasilia, non trovammo né un vescovo, né um sacerdote per celebrare per noi la Santa Messa di chiusura del Congresso. La spiegazione del Cardinale di Brasilia fu che agiva secondo ordini di Roma. Invece, nel nostro ultimo incontro nazionale nella cittá di S.Luís do Maranhão, luglio del 2002, é stato un vescovo che ha condotto le rifessioni della prima giornata su "Spiritualità e globalizzazione" (Dom Franco Masserdotti vescovo di Balsas), nell´inaugurazione hanno rivolto a noi la loro parola l´Arcivescovo di S.Luís (Dom Paulo Pontes) e Dom Francisco (delegato dell´Associazione del Clero) e il vescovo ausiliare di S.Luís (Dom Geraldo) è rimasto con noi, come osservatore silenzioso, dal primo all´ultimo momento dell´incontro, ha celebrato per noi la Santa Messa di chiusura dell´incontro e nell´omelia ci ha indicato il cammino che possiamo fare nella chiesa. (Nota: ci fa piacere constatare che un passo in avanti è stato fatto)
Non vogliamo rivendicare niente e neppure tentiamo modificare leggi o anticiparne la fine (lasciamo questo nelle mani di Dio e della sua Provvidenza), ma desideriamo avere "cittadinanza" nella chiesa che amiamo e di cui facciamo parte e non temo di dire che l´attuale atteggiamento di "completa chiusura" della gerarchia ostacola la buona volontà di moltissimi preti sposati e raffredda il desiderio della collaborazione pastorale con grave danno per la chiesa. Se abbiamo presentado e ottenuto la regolare "dispensa" per formare una famiglia, se cerchiamo di vivere in comunione con la chiesa, perché la gerarchia deve ignorare il fatto che siamo in una situazione speciale di vita, consacrati dal Sacramento dell´Ordine e del matrimonio? A volte ho l´impressione che la Chiesa non creda piú al carattere indelebile del Sacramento, spingendo i preti sposati a distruggerne anche il ricordo.(qui questo sacerdote NON rammenta forse che la Chiesa ha solo TOLTO IL MANDATO e non il sacramentoin sè stesso.....come uno che si battezza nella Chiesa e poi sceglie di uscire fuori...non viene tolto il Battesimo, ma è la persona che si ESCLUDE AUTOMATICAMENTE compiendo una scelta....la Chiesa è perciò legittimata in autorità  A TOGLIERE UN MANDATO A CHI SI ESCLUDE DA UNA PROMESSA FATTA......)
C´è nella Chiesa un tipo di pastorale per tutte le situazioni "speciali": divorziati, aidetici, deficienti fisici e mentali, prostitute etc... soltanto i preti sposati sono ufficialmente ignorati come realtà e come organizzazione. Nella chiesa "non esistono" i preti sposati.(Nota: è fuorviante dire questo perchè nella Chiesa esistono invece preti sposati solo che vivono in altre comunità di diverso rito.... è l'ostinazione a voler rimanere nella Chiesa di rito latino e al tempo steso pretendere di essere sposati che non funziona....) Sappiamo (io per primo) che in sede locale molti vescovi ci trattano con spirito di carità e fraternità, ma questo solo in maniera "individuale e quasi di nascosto", sempre timorosi delle regole imposte da Roma. Queste mie considerazioni possono essere considerate dure, ma giuro che sono dettate dall´amore per la chiesa e che non contengono nessun disprezzo per il celibato e per la vita del clero. Potrei raccontare vari casi in cui abbiamo aiutato amici sacerdoti a salvare la loro vacazione e i loro celibato.
In pratica, allora, che cosa vogliamo? Io non sono autorizzato a fare proposte in nome del M.P.C. o di RUMOS, e l´iniziativa di questa lettera é solo mia, individuale, anche se penso di manifestare un sentimento comune alla maggioranza dei preti sposati del Brasile, ma credo che più che stablire "regole" sai urgente creare uno spirito nuovo nelle relazioni tra chiesa gerarchica e preti sposati. (Nota: su questo CONCORDIAMO e ci auguriamo che presto si possano vedere anche i frutti di tante iniziative che esistono a riguardo, ma sono poco conosciute.....)
Tra le cose urgenti da fare, penso che la prima sarebbe una ricerca precisa e continuamente attualizzata, sul numero e sulla situazione in cui si trovano i preti sposati e questa ricerca potrebbe essere fatta qui in Brasile con la collaborazione tra la CNBB e la nostra Associazione. Sarebbe un primo passo, e un incoraggiante segno dello "spirito nuovo" che tanto desideriamo nella nuova evangelizzazione della Chiesa.

Ringrazio molto per l´attenzione.
Sergio Bernardoni
Cx.P. 12049
74.641-970 Goiânia. GO. Brasil

RISPONDE LA CHIESA

C O N G R E G A T I O
P R O C L E R I C I S

____
Dal Vaticano, 24 febbraio 2003.

Prot.N.20030284
Egregio Signore,
È qui parvenuta la Sua lettera del 18 dicembre 2002, com alcune riflessioni circa la situazione canonica di quei sacerdoti che, in seguito ad una regolare dispensa canonica dagli obblighi decorrenti dalla sacra ordinazione, si sono sposati canonicamente.
Come la Signoria Vostra ben sa, la Chiesa cosidera il celibato ecclesiastico non soltanto come una legge, essendo essa una conseguenza, ma, soprattutto, come un carisma ecclelente ed una esigenza irrinunciabile per i sacerdoti di rito latino. Tuttavia, ponderate tutte le circostanze, come Madre ne concede la dispensa a quei chierici che, in vista della loro peculiare storia personale, si trovano - talvolta dolorosamente - nelle condizioni di non essere più capaci di osservarlo correttamente. Alla dispensa è connessa necessariamente la perdita dello stato clericale e il ritorno - legittimo perché autorizzato - allo stato di fedeli laici. Si tratta, evidentemente, di una situazione canonica ed esterna, giacché il carattere dell´ordinazione sacra è indelebile. Per questa ragione, la stessa legisazione ecclesiastica, al can. 976 CIC, contempla la possibilità della valida assoluzione dei peccati in periculo mortis, anche in presenza di un sacerdote autorizzato, unica eccezione di azione sacramentale riconosciuta ai chierici che, legittimamente, hanno fatto ritorno allo stato canonico laicale.
Ad essi la Chiesa non può né deve negare - e non avrebbe alcuna ragione per farlo - quell´attenzione pastorale che va rivolta a tutto il Popolo di Dio e conta effettivamente su di essi e sulla loro effettiva e sincera partecipazione nel campo dell`apostolato e della testimonianza di vita cristiana propria dei fedeli laici, elemento importante della nuova evangelizzazione alla quale l´intera Chiesa è chiamata, in ogni sua componente.
La questione appare diversa se tali persone, una volta ottenuta la regolare dispensa ed accettate le condizioni giuridiche ad essa legate, pretendessero costituire uno " stato canonico" specifico e proprio, con ruoli istituzionali da esse definiti e tali da oscurare sia la struttura ecclesiale e ministeriale così come voluta dal divino Fondatore (Nota: che NON si è sposato ed ha consigliato il celibato Mt.19,10), sia la peculiarità propria dello stato laicale.
Lo stesso si dica di associazioni ed aggregazioni che, mantenutesi nei campi dell´iniziativa privata in vista di un aiuto vicendevole e di una crescita nella santità e nell´attuazione propria della vita e della missione laicale, nulla hanno di riprovevole e possono addirittura costituirsi como valido contributo alla vita della Chiesa. Ma se tali organismi dovessero diventare, di fatto, organi di pressione per un cambiamento dell´inseganamento e della disciplina ecclesiale, o, peggio ancora, esercitassero formalmente un´attività che risulti causa di confusione dottrinale o pastorae dei fedeli, allora non si potrebbe certo pretendere che i legittimi Pastori e, primo tra essi, il Pastore universale, possano tacere innanzi all´illegittimità di una tale azione e di tali organismi.
La posizione del Santo Padre - che crediamo essere assistito dallo Spirito Santo per governare la Chiesa, in continuità con i Suoi predecessori ed in sintonia com la veneranda tradizione della Chiesa - è chiara e non lascia margine ad alcun dubbio. Il celibato ecclesiastico va conservato nella Chiesa come dono prezioso e, nella Chiesa latina, come condizione "sine qua non" per l´accesso e l´esercizio del sacerdozio ministeriale. Questa Congregazione, in spirito di fede e conscia che la sua ragione di essere sta nel costituire un organo di collaborazione al ministero pietrino, com forte motivazione, non potrebbe non ribadire che intende rafforzare la sincera e coerente applicazione di quanto insegnato al proposito nell´Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis.
Nell´augurare che Ella, insieme ad altri che si trovano nella stessa situazione, possa vivere la scelta fatta della vita laicale, in pienezza e in tutta la ricchezza di questa vocazione specifica, profitto della circostanza per confermarmi,
della Signoria Vostra,
dev.mo nel Signore
Mons.Mauro Piacenza
Sotto-Segretario



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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 21/06/2004 15.25
....e poichè alcuni siti evangelici citano gli Ortodossi che possono sposarsi...probabilmente essi non sanno che:
Nelle Chiese ortodosse, dunque, un uomo sposato può diventare prete, ma un prete, ordinato da celibe, non può più sposarsi dopo l’ordinazione. ..........come vedete è la stessa cosa...DEL PRETE CATTOLICO CELIBE CHE DECIDE DI FARSI PRETE......anche per la Chiesa Ortodossa DOPO L'ORDINAZIONE non può sposarsi.....
Abbiamo notato che altrove si sta usando lo stesso sito che ha un vasto repoertorio di testi contro il celibato, ma taluni copiano solo i testi SCANDALISTICI....quelle lettere che a prima lettura sconvolgono...ma quando si tratta di testi che approfondicscono il tema LI CENSURANO....questo fanno gli evangelici...
leggetevi ora questa interessante intervista che pur non condividendo in pienezza, è comunque interessante per molti altri aspetti......
Buona meditazione
Non in tutta la Chiesa cattolica essere prete sposato significa contravvenire alle leggi ecclesiastiche come nella Chiesa di Roma, che più esattamente andrebbe definita "latina" o "di rito latino". Nelle Chiese cattoliche orientali (v. scheda nella notizia successiva) è lecito e legittimo (Nota: ma se ci si fa preti da celibi NON ci si può più sposare se non perdendo il mandato).
 Una differenza canonica, questa, che solleva non pochi interrogativi e sulla quale ha voluto indagare, nella sua tesi in giurisprudenza (Università di Siena), Stefano Sodaro, redattore di "Mosaico di pace", il mensile promosso da Pax Christi. La tesi, discussa nell’ottobre scorso (relatore Giovanni Minnucci), è diventata un libro, "Keshi. Preti sposati nel diritto canonico orientale" (con prefazione di p. Dimitri Salachas, docente di diritto canonico presso il Pontificio Istituto Orientale e consultore della Congregazione vaticana per le Chiese orientali), edito da FPE - Franco Puzzo Editore di Trieste. Trieste è la città dove Sodaro vive, impegnato nel Consiglio pastorale diocesano e nella Commissione diocesana Giustizia e Pace. Gli abbiamo rivolto alcune domande. Di seguito l’intervista.

Come mai ha scelto di laurearsi con una tesi in diritto canonico sui preti sposati nelle Chiese Cattoliche d’Oriente?
Ho sempre coltivato un interesse molto vivo verso questa realtà così poco conosciuta, eppure presente e vitale all’interno proprio della Chiesa cattolica che sembra poter disporre, ma è appunto mera apparenza, di un clero esclusivamente celibe. I preti sposati cattolici delle Chiese orientali invece ci sono e meritano, secondo me, una considerazione nuova.
Le Chiese cattoliche d’Oriente non sono però numericamente così consistenti.
A parte il fatto che non sono d’accordo su un’impostazione di tipo "quantitativo" nei confronti di un problema, che non è semplicemente di natura pastorale, ma anche, e direi soprattutto, di natura ecclesiologica, vi è poi un dato che soltanto ora sembra venire alla luce nella sua pienezza seppure con mille avvertenze e prudenze.
 
Vale a dire?
Anche qui vorrei permettermi una duplice riflessione: intanto la vitalità delle Chiese orientali cattoliche è davvero stupefacente agli occhi di un osservatore non distratto, basti pensare ai formidabili interventi al Vaticano II del Patriarca cattolico melkita Massimo IV e poi nella stessa Chiesa latina, la Chiesa cattolica occidentale cioè che più ci è familiare, già da circa trent’anni esistono i diaconi permanenti, che sono spesso persone sposate. La vocazione al diaconato appare l’unica in costante e forte crescita. D’altra parte, dopo i fermenti del Concilio, l’identità dei diaconi è stata poco approfondita sul piano teologico - parlo da un punto di vista generale - e, dal punto di vista pastorale, la figura dei diaconi ha conosciuto una considerazione ambigua: nella peggiore delle ipotesi, i diaconi sono diventati una specie di "chierichetti adulti", e, nella migliore, dei semplici "supplenti" dei preti, bloccando in questo modo una riflessione approfondita sulla loro specificità di persone che hanno ricevuto un’ordinazione sacramentale. Dal punto di vista del diritto canonico le cose poi sono ancora più sfumate, ed anche se alcuni studiosi, come ad esempio il padre Beyer, rifiutano l’attribuzione di una natura sacramentale al diaconato, vi è il consenso dello stesso magistero sulla configurazione del diaconato conferito anche ad uomini sposati quale sacramento. Dunque l’Ordine Sacro accessibile anche a persone sposate è una realtà, non un’ipotesi o semplicemente - e riduttivamente - un problema controverso. Di ciò bisognerebbe cominciare a tener conto.
 
Però i diaconi non sono preti
.
Sì, questo è vero, ma la condizione di coniugati dei diaconi ci permette di cominciare almeno a parlare della compresenza in un’unica persona delle due identità, ministro ordinato e coniuge. Certo, anche a mio parere, il "non-essere-preti" dei diaconi crea una situazione difficile da comprendere, poiché se è vero che una definizione "per via negativa" del diacono non è accettabile, nemmeno mi sembra chiara una sua delineazione "per via positiva".
 
Eppure, anche se lei afferma che l’identità diaconale è ancora piuttosto sfumata, non manca occasione ormai in cui non venga ribadito che il diacono è il segno del servizio, della "diaconia" di Cristo e della Chiesa.
Ma questo che cosa significa? La domanda su che cosa i diaconi possano o non possano fare viene quasi sempre liquidata sostenendo che in tal modo si contribuisce a mantenere una concezione di Chiesa basata sul "potere sacro" piuttosto che sulla comunione, sulla corresponsabilità, sulla partecipazione. Posso anche essere d’accordo, ma è proprio l’insegnamento della Chiesa cattolica ad avvertirci che solo il prete è il ministro dei sacramenti in cui il fedele ha un contatto personale, immediato e frequente con il Signore, tra cui l’Eucarestia e la Riconciliazione. Senza Eucarestia non può vivere una comunità, ma d’altra parte senza il prete - dice la Chiesa cattolica - non è assicurata la presenza eucaristica. Allora dal dilemma non si esce ed è per questo che alcuni hanno messo in discussione la valorizzazione puramente pastorale del diaconato, senza implicazioni dogmatiche, ed è anche per questo che ho preferito, nella mia tesi, dedicarmi alla figura del prete sposato orientale, piuttosto che a quella del diacono permanente occidentale. Il fatto che il prete orientale sia sposato crea indubbiamente un forte problema di comprensione nella Chiesa Latina, ma il fatto che sia prete rende la sua identità di ministro sacro immediatamente comprensibile: se è prete, capiamo tutti quale sia il suo ruolo nella comunità.
 
Sembra che così venga riproposto il tema del celibato dei preti
.
Non vorrei apparire un diplomatico che evita il nocciolo dei problemi, ma desidererei rispondere che, tutto sommato, il celibato appare un aspetto secondario anche alla luce dei miei studi. Intendiamoci, non mi sottraggo ad un’analisi critica del dato storico in base al quale, ad un certo punto della sua storia, la Chiesa d’Occidente ha unito indissolubilmente sacerdozio e celibato, ma la mia formazione è giuridica, non teologica, per cui, da parte mia, posso - e devo - soltanto registrare che gli sviluppi disciplinari sono stati diversi in Oriente ed in Occidente. Non me la sento di dire, in una maniera che sarebbe francamente troppo semplicistica, che in Oriente le cose sono andate meglio. Un carissimo amico vescovo armeno mi diceva qualche giorno fa che, pur avendo la Chiesa armena cattolica recentemente ripristinato l’antica disciplina sulla possibilità di ordinare preti gli uomini sposati, non per questo c’è la fila di candidati fuori del suo seminario.
 
Basta però un approccio giuridico a questi temi?
Certo che non basta e sono pienamente convinto di questo. Credo però, d’altra parte, che alla riflessione giuridica all’interno della Chiesa gioverebbe un confronto con il pensiero giuridico laico.
 
Che intende dire?
La Chiesa Latina dovrebbe finalmente avere coscienza di essere soltanto "una" delle tante Chiese cattoliche. Il suo diritto non è il "diritto universale" della Chiesa che in quanto tale possa affermarsi su ogni altra tradizione canonica. Questo era il vecchio concetto della praestantia iuris latini, ma esso è stato completamente abbandonato dal Concilio ed ormai anche la prassi concreta della vita ecclesiale dovrebbe recepire l’acquisizione conciliare così importante. Bisogna, a mio parere, avere chiaro - ed in questo può essere d’aiuto la metodologia del diritto civile moderno - che i canoni della Chiesa latina configurano un ordinamento ecclesiastico all’interno della Chiesa cattolica, uno soltanto: accanto ad esso possono coesistere altri ordinamenti, diversi eppure appartenenti alla medesima comunione ecclesiale. La comunione non è primariamente un dato giuridico, bensì può essere il substrato che permette la vita di diversi ordinamenti canonici.
 
Pare un’opinione un po’ ardita. Chi garantirebbe i requisiti minimi perché questi diversi ordinamenti possano essere considerati tutti appartenenti alla medesima Chiesa cattolica? Già la diversità sul celibato sembra altamente problematica.
In effetti siamo abituati a concepire il diritto canonico, ed a volte, purtroppo, la stessa vita della Chiesa, come un monolite immobile, come una realtà statica, mentre almeno l’orizzonte ecumenico dovrebbe indirizzarci verso acquisizioni nuove. Il Vaticano II - ed anche il Codice dei Canoni delle Chiese orientali - parla chiaramente dell’adozione del criterio della hierarchia veritatum, della "gerarchia delle verità di fede", che consentirebbe di aprire davvero in senso cattolico, cioè universale, l’abbraccio della Chiesa, che è una come uno solo è il Signore, a Chiese, quali le Chiese ortodosse, che condividono sostanzialmente tutte le verità dogmatiche considerate fondamentali dai cattolici, come la presenza eucaristica, la dottrina del sacerdozio ordinato, l’episcopato.
 
Ma gli ortodossi, come i protestanti, hanno pastori e preti sposati.
Non dovrebbe essere questo mai un motivo di raffreddamento dei rapporti ecumenici. Si tratta di una questione disciplinare, giuridica appunto. E, secondo me, bisognerebbe imparare a comprendere bene. Per le Chiese riformate il ministero del pastore non è un sacramento in senso cattolico. Per gli ortodossi sì. Nelle Chiese ortodosse, dunque, un uomo sposato può diventare prete, ma un prete, ordinato da celibe, non può più sposarsi dopo l’ordinazione. Nelle Chiese della Riforma ciò è possibile, a mio parere, proprio per la diversa concezione del ministero ordinato.
 
Non si rischia in questo modo di accentuare differenze piuttosto secondarie, invece che favorire la comprensione? Mi permetta, la sua stessa tesi di laurea si occupa delle Chiese orientali cattoliche: non teme che qualcuno possa reputarla un fautore dell’Uniatismo che tanti problemi crea con il mondo ortodosso?
Vorrei ribadire ancora che non sono un teologo, ma un semplice laureato in giurisprudenza e pertanto il mio approccio al tema è strettamente giuridico ed il diritto impone una severità d’approccio che, se risulta utile in ambito civile, mi pare francamente da tenere sotto controllo in ambito ecclesiale. Desidererei cioè che, a partire da una constatazione giuridica, senza la quale peraltro non si capisce neppure di che cosa stiamo parlando, si possa sviluppare una gamma molto più vasta di approfondimenti multidisciplinari su questo nodo irrisolto: preti sposati nella Chiesa cattolica ci sono e sono i preti di rito orientale. Come ci comportiamo di fronte a questa realtà? La ignoriamo? La confiniamo in un angolo? La nascondiamo? Oppure la affrontiamo a viso aperto e ne parliamo, senza pregiudizi e senza diatribe? Il mio approccio canonistico è partito proprio dalle Chiese cattoliche d’Oriente non per additarle come esempio a discapito delle altre Chiese, ma per mettere la presenza dei loro sacerdoti legittimamente sposati al centro della discussione all’interno stesso della Chiesa cattolica.

E per saperne qualcosa bisogna dunque richiedere una copia della sua tesi?
A Trieste, la città dove vivo e dove abbiamo ben due Chiese ortodosse di rito bizantino, una serba che è anche cattedrale, risedendovi il Metropolita Jovan, e l’altra greca, un giovane editore ha creduto che si potesse pensare alla pubblicazione della tesi, che è imminente. La casa editrice è la FPE - Franco Puzzo Editore ed il volume si intitolerà "Keshi. Preti sposati nel diritto canonico orientale". Abbiamo chiesto a padre Dimitri Salachas, che è uno studioso di fama mondiale del diritto delle Chiese orientali cattoliche, di scrivere l’introduzione. Il volume sarà disponibile nelle librerie religiose, oppure mi si può contattare direttamente: dr. Stefano Sodaro - Via Rossetti 77, 34141 Trieste, tel. 040944105, fax 040948737, e-mail: drsodaro@twin.it.
 
Che significa la parola "Keshi" che compare nel titolo?
La mia fidanzata, che è eritrea, mi ha spiegato che in lingua tigrina, la lingua proprio dell’Eritrea - un Paese africano di antichissima tradizione cristiana proprio seguendo il modello canonistico e liturgico orientale -, il "Keshi" è il sacerdote sposato, mentre l’"Abba" è il prete celibe. Il "Keshi" è primariamente il ministro dei sacramenti, colui di cui c’è bisogno perché la comunità abbia l’Eucarestia, mentre l’"Abba" è il prete monaco, quasi sempre membro di qualche comunità che vive fuori delle città, in luoghi di ritiro, eppure anche la sua ordinazione è - se mi posso esprimere così - "funzionale" alla vita sacramentale della comunità dove vive. In Oriente difficilmente c’è spazio per una concezione "privatistica" del sacerdozio.
 
In Italia ci sono preti cattolici orientali legittimamente coniugati?
Nelle due eparchie - le "diocesi" del diritto latino, per intenderci - di Lungro in Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia mi risulta che ci siano presbiteri sposati.
 
Ma non potrebbe allora qualcuno pensare di farsi orientale e da sposato chiedere l’ordinazione?
Mi consenta di risponderle che la domanda è molto meno ingenua o banale di quanto potrebbe sembrare. La materia del passaggio di rito è uno dei temi cui mi sono dedicato con maggior attenzione, ritenendo proprio che possano configurarsi casi come quello indicato da lei. Bisogna allora dire che sì, è possibile ad un fedele latino sposato, in casi ben determinati e circoscritti, passare ad una delle Chiese orientali, ma l’ordinazione sembra essere problematica (NOTA: è problematica perchè anche nella Chiesa Ortodossa se uno si fa prete da celibe NON può dopo sposarsi....perciò il problema non si risolve, o si sposa prima o accetta il ritiro del mandato! ).
 
Vogliamo parlarne un po’?
I casi nei quali è consentita, a norma del Codice di Diritto Canonico, l’ascrizione ad una Chiesa rituale di diritto proprio - come vengono indicate "tecnicamente" le Chiese cattoliche orientali - sono sostanzialmente due: il matrimonio con una donna di rito orientale, anche ortodossa e dunque non cattolica (di rito latino), e l’appartenenza ad una diocesi latina che abbia la medesima estensione territoriale di una diocesi orientale, fatto frequentissimo in Medio Oriente soprattutto, ma anche nell’Europa dell’Est. A questi casi dobbiamo aggiungere l’eventualità di una domanda direttamente alla Santa Sede.
 
Perché l’ordinazione sarebbe problematica in caso di passaggio di rito?
Le difficoltà sono di duplice natura. Intanto è necessario considerare che il Codice orientale non a caso si intitola "Codice dei Canoni", quasi una specie di "legge quadro", dunque, che lascia poi ai diritti particolari delle singole Chiese la disciplina specifica di molti aspetti canonici quale proprio l’ordinazione sacerdotale degli uomini sposati. Sotto questo profilo, presso alcune Chiese orientali cattoliche l’antica tradizione di ordinare sacerdoti uomini sposati era quasi del tutto sparita ed è appena adesso riscoperta sulla scia del magistero conciliare, mentre presso altre Chiese non è stata mai abbandonata. Ora, non tutte le Chiese cattoliche orientali consentono che un fedele latino passato al rito orientale possa essere ordinato presbitero, considerando questa una specie di elusione della legge latina sul celibato. Vi è poi il caso in cui un fedele latino chieda direttamente alla Santa Sede l’indulto per passare ad un rito orientale: in tal caso, mi risulta che venga apposta la specifica clausola exceptis ordinibus, cioè il soggetto in questione può transitare al rito orientale, ma non può ricevere l’ordinazione.(NOTA: questo è stato un accordo raggiunto congiuntamente con le Chiese Ortodosse)
 
Allora non c’è, diciamo così, "via d’uscita"?
Il passaggio di rito non può e non deve assolutamente essere considerato una specie di stratagemma per vanificare la legge ecclesiastica latina. Nella rigorosità d’approccio che il sapere giuridico richiede, vi è anche la necessità di prendere molto sul serio quanto il dato normativo presenta (anche se, certo, la legge non salva…). Detto questo, rimango però molto perplesso sul voler attribuire rilevanza giuridica al modo con cui può essere definita l’appartenenza ad una Chiesa orientale: che essa sia conseguente al battesimo, od invece al matrimonio, o ad una diversa circostanza che merita però di essere considerata per la sua particolarità, che differenza fa? Dal punto di vista strettamente giuridico, mi pare nessuna. Ed infatti ho stentato, anzi non sono proprio riuscito ad individuare quale sia il fondamento normativo della clausola exceptis ordinibus. Evidentemente si tratta piuttosto di una preoccupazione pastorale, ma non potrebbe la pastorale delle nostre Chiese cominciare a confrontarsi serenamente con la realtà dei ministri ordinati coniugati?
 
Questa realtà, mi pare di capire dalla lettura della sua tesi, ha altri risvolti, di ordine piuttosto culturale.
Ho impostato il mio lavoro sull’analisi della diversa concezione esistenziale in Occidente ed in Oriente: noi siamo abituati ad assumere categorie escludenti, l’aut aut informa, plasma tutta la nostra cultura, l’Oriente invece, secondo me, ha come proprio paradigma di riferimento l’et et che, come afferma il teologo Paolo Suess, non esclude, ma combina assieme. Questa diversa concezione orientale permette, a mio modo di vedere, un’inedita possibilità di dialogo con i fermenti del pensiero post-moderno, certo più rilevanti a livello filosofico che giuridico, in cui il "frammento" acquista una centralità di considerazione tale per cui vi è il rischio di una dispersione, di una parcellizzazione incontrollabile. La teologia orientale può ricondurre ad armonia il molteplice senza omologarlo. Del resto, non è forse in qualche modo di questa natura l’ecclesiologia del "sobornost", che nemmeno si riesce a tradurre nella nostra lingua e che il termine di "sinodalità" riesce a rendere molto parzialmente?
 
In conclusione, che cosa pensa del celibato nella Chiesa d’Occidente?
Guardi, le risponderò con estrema franchezza: considero il celibato abbracciato come scelta volontaria un grande dono di Dio. Dilatare il proprio cuore fino a considerare ciascuno come propria carne, come proprio sposo, propria sposa, è una dimensione di sconvolgente bellezza. E questo fa il monachesimo cristiano di tutti i tempi e di tutte le latitudini, secondo il quale, come afferma Evagrio Pontico, "il monaco è separato da tutti ed unito a tutti". Se anche il celibato sacerdotale è vissuto così, non vedo quale sia il problema, anzi, ripeto, si tratta secondo me di una immensa ricchezza. Se però il celibato è soltanto obbedienza di tipo giuridico ad una norma canonica, allora esso inevitabilmente manifesterà i segni di una menomazione esistenziale che avrà terribili ricadute di ordine psicologico, sociologico e pastorale. Riconsegniamo allora il celibato alla sua matrice monastica, che è, a mio parere, la sua matrice più pura e consideriamo, proprio in quest’ottica, che le Chiese orientali ci presentano una duplice figura di presbitero: lo "ieromonaco", cioè il prete monaco, il prete celibe, che, in quanto celibe, ha compiuto appunto un’opzione monastica, ed il prete sposato, che ha intrapreso un’altra strada. Per quanto mi risulta non c’è polemica, in Oriente, sulla compresenza di queste figure sacerdotali. E poi, se posso permettermi, mi piacerebbe che si riscoprisse quanto insegna il Vaticano II, al n. 16 del Decreto Presbyterorum Ordinis: il celibato, sebbene risulti particolarmente confacente alla vita presbiterale di dedizione alla causa del Regno dei cieli - che è una causa rivoluzionaria, come ci insegnano i teologi del Sud del mondo -, "non è richiesto dalla natura stessa del sacerdozio, come dimostra la prassi della Chiesa primitiva e la tradizione delle Chiese orientali, presso le quali, accanto ai vescovi che sono tutti celibi, esistono eccellenti presbiteri coniugati". Questo è il Vaticano II, non il pamphlet di qualche polemista. Ma forse il Concilio conosce un periodo di indebita sottovalutazione: è compito di noi tutti ricollocarlo al centro della vita ecclesiale. Senza il Vaticano II, quale Chiesa avremmo oggi?

Lunedì, 14 aprile 2003

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12/10/2009 10:10
 
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Da: Soprannome MSNIyvan5Inviato: 21/06/2004 15.28
Non capisco perchè si debba sempre pretendere la botte piena e la moglie ubriaca.
C'è una scelta da fare e questa scelta avviene in piena libertà e consapevolezza.
Se poi qualcuno si dovesse accorgere di aver fatto una scelta superiore alle proprie forze non ha che da ritornare sui propri passi e nessuno lo impedisce, sarà solo lui a doverne rispondere alla propria coscienza.
Ora, se la nostra tradizione cattolica pretende che il celibato per i preti, sta a chi vuole affrontare questo ministero accettare o meno, diversamente Dio può essere servito in mille altri modi, quindi non vedo la necessità di questa continua e pressante campagna per abolire lo stato di celibato dei sacerdoti.
Non te la senti? Servi Dio in altro modo, magari facendo il missionario laico.
Ti accorgi di non farcela? Togliti la veste .... Molto meglio che sfogare i propri istinti in modo ipocrita ... e Dio, ne sono certo, non potrà che essertene grato.
Fare il sacerdote non è un mestiere ma una vocazione, e se non sei in grado di mantenerla puoi sempre darti da fare come tutti, senza che per questo nessuno debba giudicarti, però non pretendere di essere mantenuto a vita, visto che i contributi non li hai mai versati.
Fraternamente
iyvan

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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 21/06/2004 15.51
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Da: quovadisInviato: 21/06/2004 16.39

Una cosa non mi è chiara , un Sacerdote riceve dispensa dal Mandato il Sacramento dell'Ordine resta indelebile ,quindi si sposa ovvero contrae un Matrimonio Sacramentale ( non sapevo che era possibile....) , mettiamo che si penta e vuole tornare al Mandato  che fa ? ha una dispensa dal mandato matrimoniale ? la Chiesa chiede alla moglie se è daccordo e magari pure ai figli ? Il Matrimonio vale meno dell'Ordine sacro ?

Ciao Q.


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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 21/06/2004 17.31
Bentrovato Yivan.....scusate rimetto il testo eliminando gli inutili op><......e poi rispondo a quovadis.......

La dispensa dal celibato sacerdotale

SACRA CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, I. Litterae circulares Per litteras ad universos omnibus locorum ordinariis et moderatoribus generalibus religionum clericalium de modo procedendi in examine et resolutione petitionum quae dispensationem a caelibatu respiciunt, Prot. N. 128161s, 14 octobris 1980: AAS 72(1980) 1132‑1135.

 

I. LETTERA CIRCOLARE

1. Nella lettera rivolta a tutti i sacerdoti della chiesa il giovedì santo 1979, il sommo pontefice Giovanni Paolo II, riferendosi ‑ come egli stesso diceva ‑ alla dottrina esposta dal Concilio Vaticano II, successivamente da Paolo VI nell'enciclica Sacerdotalis caelibatus e poi dal sinodo dei vescovi del 1971, ha nuovamente illustrato con chiarezza la grande stima che si deve avere del celibato sacerdotale nella chiesa latina.

Il santo padre ricorda che si tratta di cosa di grande importanza che è particolarmente connessa con la dottrina del vangelo. Dietro l'esempio di Cristo Signore e in conformità con la dottrina apostolica e la sua propria tradizione, la chiesa latina ha voluto e vuole tuttora che tutti coloro che ricevono il sacramento dell'ordine abbraccino anche questa rinuncia, non solo come un segno escatologico, ma anche come “segno d'una libertà che è a sua volta ordinata al ministero”.

Osserva infatti il sommo pontefice: “Ogni cristiano che riceve il sacramento dell'ordine s'impegna al celibato con piena coscienza e ­libertà, dopo una preparazione pluriennale, una profonda riflessione e una assidua preghiera. Egli prende la decisione per la vita nel celibato solo dopo essere giunto alla ferma convinzione che Cristo gli concede questo dono per il bene della chiesa e per il servizio degli altri... E' ovvio che una tale decisione obbliga non soltanto in virtù della legge stabilita dalla chiesa, ma anche in virtù della responsabilità personale. Si tratta qui di mantenere la parola data a Cristo e alla chiesa”. Del resto, i cristiani uniti nel matrimonio hanno il diritto ‑ aggiunge il santo padre ‑ di aspettarsi dai sacerdoti “il buon esempio e la testimonianza della fedeltà alla vocazione fino. alla morte”.

2. Tuttavia; le difficoltà che, specialmente nel corso di questi ultimi anni, i sacerdoti hanno sperimentato, sono state la causa per cui un non piccolo numero di essi ha chiesto la dispensa dagli obblighi derivanti dalla loro ordinazione sacerdotale, in special modo la dispensa dal celibato. A causa della vasta diffusione di questo fatto - cosa che ha inferto una dolorosa ferita alla chiesa, colpita in questo modo nella fonte della sua vita e che provoca un continuo dolore ai pastori e a tutta la comunità cristiana ‑ il sommo pontefice Giovanni Paolo II, fin dall'inizio del suo supremo ministero apostolico, si è convinto della necessità di stabilire una ricerca sulla situazione sulle cause e i rimedi da prendere.

3. in realtà si deve evitare che, in un problema tanto grave, la dispensa dal celibato, sia considerata come un diritto che la chiesa debba riconoscere in modo indiscriminato per tutti i suoi sacerdoti. Al contrario, vero diritto dev'essere ritenuto quello che il sacerdote con l'offerta di se stesso ha conferito a Cristo e a tutto il popolo di Dio, il quale quindi attende da lui che sia fedele alla sua promessa, nonostante le gravi difficoltà che può incontrare nella sua vita. Inoltre, si deve evitare anche che la dispensa dal celibato venga considerata, con il passare del tempo, come un effetto quasi automatico di un processo sommario amministrativo (cfr. Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti di tutta la chiesa in occasione del giovedì santo, n. 9). Beni troppo preziosi qui sono messi in causa: anzitutto, quello del sacerdote che chiede la dispensa, convinto che questa sia l'unica soluzione del suo problema esistenziale e di non riuscire più a portarne il  peso; poi il bene generale della chiesa che non può sopportare che un poco alla volta venga dissolto l'organico dei sacerdoti che è assolutamente necessario per l'adempimento della sua missione; infine anche il bene particolare delle chiese locali, ossia dei vescovi con il loro presbiterio, che si preoccupano di conservare, per quanto è possibile, le necessarie forze apostoliche, e contemporaneamente anche il bene di tutte le categorie di fedeli, per il servizio dei quali il ministero sacerdotale dev'essere ritenuto un diritto e una necessità. Perciò occorre fare attenzione ai molteplici aspetti che vanno raccordati tra loro, salvaguardando la giustizia e la carità: nessuno di essi può essere trascurato o peggio ancora rifiutato

4. Pertanto, consapevole dei molti e complessi aspetti di questo problema, che comportano tristi situazioni personali, e insieme tenendo conto della necessità di considerare ogni cosa nello spirito di Cristo, il santo padre ‑ al quale molti vescovi hanno dato informazioni e consigli ‑ ha deciso di prendersi un sufficiente spazio di tempo per poter arrivare, con l'aiuto dei suoi collaboratori, ad una decisione prudente e fondata su argomenti sicuri, circa l'accettazione, l'esame e la soluzione delle domande riguardanti la dispensa dal celibato. Il frutto di questa matura riflessione sono le decisioni che ora vengono brevemente esposte. L'accurata preoccupazione, di prendere in esame tutti gli aspetti che entrano in gioco ha suggerito e ispirato le norme. secondo le quali d'ora in poi dovrà essere impostato l'esame delle domande che verranno rivolte alla sede apostolica. Come è evidente, è assolutamente necessario che queste norme non siano separate dallo spirito pastorale da cui sono animate.

5. Nell'esame delle domande rivolte alla sede apostolica, oltre i casi dei sacerdoti che, avendo abbandonato già da molto tempo la vita sacerdotale, desiderano sanare una situazione dalla quale non possono ritirarsi, la Congregazione per la dottrina della fede prenderà in considerazione il caso di coloro che non avrebbero dovuto ricevere l'ordinazione sacerdotale, perché è mancata la necessaria attenzione o alla libertà o alla responsabilità, oppure perché i superiori competenti al momento opportuno, non sono stati in grado di valutare prudentemente e sufficientemente se il candidato fosse realmente idoneo a condurre perpetuamente la vita nel celibato consacrato a Dio.

In questa materia dev'essere evitata ogni leggerezza che diminuendo il significato del sacerdozio, il carattere sacro dell'ordinazione e la gravità degli obblighi precedentemente assunti, può certamente provocare un gravissimo danno e costituirà certamente anche una triste sorpresa e uno scandalo per molti fedeli. Perciò la causa della dispensa va dimostrata con argomenti efficaci per numero e solidità. Affinché le cose procedano con serietà e sia tutelato il bene dei fedeli, la stessa attenzione suggerirà che non vengano prese in considerazione quelle domande che si presentassero con sentimenti diversi dall'umiltà.

6. Nell'adempimento di questo gravoso compito che le è affidato dal romano pontefice, la Congregazione per la dottrina della fede è ben convinta di poter contare sulla piena e fiduciosa collaborazione di tutti gli ordinari interessati. Per quanto la riguarda, essa è pronta a offrire tutti quegli aiuti di cui avessero bisogno. Confida similmente che essi osserveranno  prudentemente le norme proposte, perché essa ben conosce la loro preoccupazione pastorale di realizzare in questo campo condizioni necessarie per servire il bene della chiesa e del sacerdozio, e per provvedere alla vita spirituale dei presbiteri e delle comunità dei fedeli. Infine questo dicastero sa che essi non possono dimenticare i doveri della loro paternità spirituale verso tutti i loro, sacerdoti, special­mente verso quanti si trovano in gravi difficoltà spirituali, senza offrire loro un saldissimo e necessario aiuto, affinché più facilmente e con più gioia possano adempiere i doveri assunti nel giorno dell'ordinazione verso il Signore Gesù Cristo e la sua santa chiesa, senza far tutto il possibile nel Signore per riportare il fratello vacillante alla tranquillità dello spirito, alla fiducia, alla penitenza e a riprendere il primitivo fervore, offrendo aiuto, secondo i casi, con i confratelli, gli amici, i parenti, i medici e gli psicologi (cfr. Lett. enc. Sacerdotalis caeIibatus, n. 87 e 91).

7. A questa lettera vengono allegate le norme procedurali, che si devono osservare nella preparazione della documentazione riguardante la domanda di dispensa dal celibato.

Mentre, come di dovere, comunichiamo queste cose, esprimiamo volentieri ì sentimenti profondi del nostro ossequio e ci professiamo affezionatissimi nel Signore

Roma, dal Palazzo della Congregazione per la dottrina della fede, 14 ottobre 1980.

FRANJO card. SEPER, prefetto

Fr. Jérome HAMER, O.P., arciv. Tit. di Lorium, segretario.<o:p></o:p>

<o:p> </o:p>

Nota: Le Normae procedurales Ordinarius competens de dispensatione a sacerdotali caelibatu, Prot. N. 128/61 del 14 ottobre 1980 [cfr. AAS 72(1980) 1136‑1137] sono sub secreto.



Quovadis chiedeva:

Una cosa non mi è chiara , un Sacerdote riceve dispensa dal Mandato il Sacramento dell'Ordine resta indelebile ,quindi si sposa ovvero contrae un Matrimonio Sacramentale ( non sapevo che era possibile....) , mettiamo che si penta e vuole tornare al Mandato  che fa ? ha una dispensa dal mandato matrimoniale ? la Chiesa chiede alla moglie se è daccordo e magari pure ai figli ? Il Matrimonio vale meno dell'Ordine sacro ?.....

....

Si quovadis....un sacerdote resta sacerdote in eterno a meno che non si venga dimostrato appunto che quel sacerdote è stato coercizzato... ecco perchè questo Documento è importante dal momento che chiarisce subito che NON E' UN DIRITTO DI CHI HA SCELTO LIBERAMENTE DI ESSERE PRETE....DI AVERE UNA DISPENSA FACILE......qui si parla soprattutto di chi, avendo abbandonato o allentato da tempo la sua posizione di ministro...desideri sanare la sua posizione (5) nei confronti di Dio e della Chiesa.....Ovvio che un sacerdote che ha lasciato per sposarsi e che ha ottenuto la dispensa...INDIETRO NON TORNA....non esiste una dispensa, appunto nel "mandato matrimoniale"...... Infine chiedi:

Il Matrimonio vale meno dell'Ordine sacro ?.............sono DUE SACRAMENTI...che fanno parte di quei 7 per cui non è una questione che uno sia più o meno dell'altro..sono due vocazioni DIVERSE, MA ENTRAMBI PIENE DI VALORE...tuttavia il sacerdozio ECCELLE PER GRAZIA proprio in virtù della TOTALITA' dell'offerta dell'individuo....(Marta scelse la parte migliore che nessuno le avrebbe potuto più togliere), esiste dunque UNA PARTE MIGLIORE.....ma che non sta a noi ponderare tale miglioria vuol dire anche più croce....

Fraternamente Caterina


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Consiglia Elimina    Messaggio 7 di 8 nella discussione 
Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 21/06/2004 17.43
In queste pagine:
http://www.paginecattoliche.it/phplinks/index.php?PID=45 ......una serie di link utili all'argomento....

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Consiglia Elimina    Messaggio 8 di 8 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 22/06/2004 22.36

Lu 18,29 Ed egli rispose: «In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio...



La scelta del celibato per il regno dei cieli è un atto libero, di chi ha scelto di farsi eunuco per il regno di Dio, ovvero di lasciare (il che equivale a non prendere )  per esso, casa, MOGLIE,.... FIGLI...secondo il carattere preferenziale dato da Cristo stesso a tale scelta.

La Chiesa, a sua volta, nell'affidare il ministero, avendo premura di procurare per il popolo di Dio, pastori dal cuore indiviso, dedito a Dio e ai fratelli, sceglie tra chi ha scelto il celibato per il Regno.

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