A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Cattolici ed Ortodossi per parlare del Primato Petrino

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2012 18:47
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
16/10/2009 21:15
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Riunita a Cipro la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico

Cattolici e ortodossi a confronto
sul ruolo del vescovo di Roma


 Nicosia, 16. La Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa riparte oggi da Cipro, con la sua xi sessione plenaria, per studiare in modo più approfondito la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio. Si riparte, cioè, dalla conclusione del Documento di Ravenna (13 ottobre 2007), là dove, al punto 45, si chiede di rispondere a "interrogativi cruciali per il nostro dialogo e per le nostre speranze di ristabilire la piena comunione tra di noi".

Le domande alle quali i partecipanti al vertice di Cipro dovranno rispondere sono essenzialmente queste:  qual è la funzione specifica del vescovo della "prima sede" in un'ecclesiologia di koinonía, in riferimento alla conciliarità e all'autorità; e in che modo l'insegnamento sul primato universale dei concili Vaticano I e Vaticano II può essere compreso e vissuto alla luce della pratica ecclesiale del primo millennio.


CiproSe a Ravenna, in occasione della X sessione plenaria, la Commissione mista aveva riflettuto sulle conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa (comunione ecclesiale, conciliarità e autorità), a Cipro cercherà di trovare un accordo sul ruolo del vescovo di Roma nella vita della Chiesa nel primo millennio, prima cioè del grande scisma del 1054. E inoltre su come il contenuto del primato del successore di Pietro si sia evoluto nel secondo millennio, dopo la divisione tra le due confessioni, e dopo i concili Vaticano I e Vaticano II.
Due anni fa erano già stati individuati dei punti fermi. "Entrambe le parti - si legge al n. 41 del Documento di Ravenna - concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che "presiede nella carità", secondo l'espressione di sant'Ignazio d'Antiochia (Ai Romani, Prologo), occupava il primo posto nella taxis", ovvero nell'ordine canonico testimoniato dalla Chiesa antica. Il vescovo di Roma "è pertanto il protos (primo) tra i patriarchi". Ma, a Ravenna, cattolici e ortodossi non trovarono l'accordo "sull'interpretazione delle testimonianze storiche di quest'epoca per ciò che riguarda le prerogative del vescovo di Roma in quanto protos", tema tradotto in modi diversi già nel primo millennio.

All'XI sessione plenaria, che si concluderà venerdì 23, verrà esaminato il progetto di documento elaborato dal Comitato di coordinamento riunitosi a Creta dal 27 settembre al 4 ottobre 2008. In quell'occasione - spiega monsignor Francesco Eleuterio Fortino, co-segretario della Commissione mista nonché sotto-segretario del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani - "il Comitato ha dato avvio a una lettura comune dei fatti storici, a un inizio di ermeneutica dei dati scritturistici e di esame delle varie opzioni teologiche". La questione del primato del vescovo di Roma - sottolinea Fortino - ha depositati in sé "giudizi e pregiudizi storici che vanno esaminati con rigore e serenità, e con apertura all'avvenire".

Un risultato, a Cipro, è già stato comunque raggiunto:  all'incontro è prevista la partecipazione di una delegazione della Chiesa ortodossa russa che, due anni fa a Ravenna, aveva abbandonato i lavori per la presenza al tavolo di dialogo dei membri della Chiesa di Estonia, la cui autonomia è riconosciuta dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ma non dal Patriarcato di Mosca.

Dirigono la riunione il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, e il metropolita di Pergamo, Ioannis (Zizioulas), del Patriarcato ecumenico.


(©L'Osservatore Romano - 17 ottobre 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
26/10/2009 19:13
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

La Commissione mista internazionale dopo Cipro si riunirà nel 2010 a Vienna

Sulla via giusta il dialogo teologico
fra cattolici e ortodossi


di Eleuterio F. Fortino

A Cipro, nella storica città di Paphos, dove ha predicato san Paolo, si è tenuta l'xi sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. La nuova fase iniziata con la ix sessione di Belgrado (2006) procede a passo lento su una via irta all'interno della decisiva tematica di questa fase su "Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa:  cattolicità e autorità nella Chiesa".

Fondandosi sul documento che su questo tema era stato pubblicato a Ravenna nella x sessione plenaria (2007), e su mandato di questa, l'attuale sessione plenaria (Paphos, 16-23 ottobre) ha cominciato ad affrontare il tema de "Il vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio". La Commissione si è avviata così a discutere la questione centrale del contenzioso storico fra Oriente e Occidente. Nel momento attuale si cerca di individuare un'oggettiva identificazione della problematica coinvolta nell'argomento per poter tentare una comune ermeneutica che aiuti a far raggiungere una sostanziale convergenza sulle conseguenze dottrinali.

La Commissione a Cipro ha lavorato su un progetto elaborato dopo la sessione di Ravenna seguendo il metodo di preparazione concordato all'inizio delle attività di questa Commissione (Patmos-Rodi, 1980). Nella prima parte del 2008 hanno lavorato due sottocommissioni miste con il compito di raccogliere gli elementi storici più attinenti al periodo in esame.

Quindi si è incontrato il Comitato misto di coordinamento (Elounda, Creta, 27 settembre-4 ottobre 2008) che ne ha elaborato la sintesi organica come progetto di discussione sottoposto alla sessione plenaria di Cipro. Tanto la ricerca delle sottocommissioni quanto la sintesi del Comitato di coordinamento hanno avuto presente l'orientamento concordato a Ravenna il quale rilevava che "conciliarità e autorità sono interdipendenti" e che tanto a livello diocesano, quanto regionale, quanto a livello universale vi è un pròtos, primus (vescovo, metropolita o patriarca, vescovo di Roma). Il documento, entrando più direttamente nella problematica del pròtos a livello universale, afferma che "entrambe le parti (cattolici e ortodossi) concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che presiede nella carità, occupava il primo posto nella tàxis e che il vescovo di Roma era pertanto il pròtos tra i patriarchi" (Ravenna, n. 41).
Alla conclusione di quel documento si sottolinea l'importanza di questo risultato raggiunto e i membri della Commissione si dicono convinti che la dichiarazione citata "fornisce una solida base per la discussione futura sulla questione del primato a livello universale" (Ravenna, n. 46).

L'xi sessione sul tema "Il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio" si è concentrata sull'esame di alcune significative testimonianze storiche sul ruolo avuto dal vescovo di Roma in quell'epoca. In realtà questi elementi sono alla base della dichiarazione del documento di Ravenna e toccano varie tematiche come:  la Chiesa di Roma nella comunione delle Chiese, il rapporto del vescovo di Roma con san Pietro, il ruolo esercitato dal vescovo di Roma in tempi di crisi (arianesimo, monofisismo, monotelismo, iconoclasmo), ma anche alcune decisioni dei concili ecumenici tanto nei confronti di Roma quanto del Patriarcato di Costantinopoli. Si dovranno anche affrontare i fattori non teologici che hanno influito sulla mentalità e sulle strutture ecclesiali come l'idea dell'impero romano, il trasferimento della capitale a Costantinopoli e il declino dell'impero in Occidente, le difficoltà di comunicazione create dall'islam fra est e ovest, la creazione dell'impero di Carlo Magno, la progressiva reciproca ignoranza, il mutuo allontanamento pratico e alcuni atteggiamenti polemici.

L'esame della materia implicata richiederà uno studio prolungato. Per il momento la Commissione ha affrontato gli elementi iniziali partendo dalla predicazione di Pietro e Paolo a Roma, del loro martirio e delle loro tombe e proseguendo attraverso i padri apostolici:  testimonianze importanti sono la Lettera della Chiesa di Roma ai cristiani di Corinto, lettera attribuita a Papa Clemente per la riconciliazione dei fedeli di Corinto con i loro presbiteri, la Lettera di sant'Ignazio di Antiochia che indica Roma come la Chiesa che "presiede nella carità" (prokathemène tès agàpes), l'affermazione di sant'Ireneo secondo cui ogni Chiesa deve concordare (convenire) con essa, a causa della sua origine e della sua grande autorità (propter potentiorem principalitatem), così come la vertenza sulla data di Pasqua tra Aniceto e Policarpo, Victor e i vescovi dell'Asia, il pensiero di Cipriano e così via.

Per tutti gli elementi che si riferiscono al tema e che si prendono in esame va concordata l'esatta identificazione e una desiderabile e possibile comune interpretazione. Lo studio pertanto è esigente e delicato e sarà continuato nella prossima sessione plenaria del prossimo anno. La discussione avuta nella sessione di Cipro dovrebbe facilitare un percorso più spedito nel prossimo stadio.

Erano presenti venti delegati da parte cattolica con alcune assenze a causa di impegni nel Sinodo dei vescovi per l'Africa o per ragioni di salute. Ventiquattro delegati ortodossi rappresentavano tutte le Chiese ortodosse ad eccezione del Patriarcato di Bulgaria. Il comunicato rilasciato alla conclusione della riunione presenta l'elenco secondo la taxis delle Chiese ortodosse:  Patriarcato Ecumenico, quindi i Patriarcati di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Mosca, Serbia, Romania, Georgia, le Chiese autocefale di Cipro, Grecia, Polonia, Albania, e delle Terre di Cechia e di Slovacchia. Veniva ricomposta sostanzialmente la completezza della rappresentanza ortodossa con la partecipazione del Patriarcato di Mosca che a Ravenna aveva abbandonato la sessione a causa della presenza dei rappresentanti della Chiesa di Estonia, invitata dal Patriarcato ecumenico in quanto Chiesa autonoma, non però riconosciuta dal Patriarcato di Mosca.

La vertenza è stata risolta nell'incontro dei primati delle Chiese ortodosse che, su invito del Patriarca ecumenico Bartolomeo, ha avuto luogo al Fanar (12 ottobre 2008), in cui si è concordato di invitare solo e tutte le Chiese autocefale.

I lavori della Commissione mista sono stati diretti dai due co-presidenti, il cardinale Walter Kasper da parte cattolica e il metropolita di Pergamo, Ioannis Zizoulas, da parte ortodossa.

Sabato 17 la delegazione cattolica ha concelebrato la messa nella chiesa cattolica della Santa Croce a Nicosia. Vi ha preso parte anche il parroco e il segretario della nunziatura apostolica di Cipro, reverendo Paolo Borgia. Come al solito vi presenziava l'intera delegazione ortodossa. La concelebrazione era presieduta dal cardinale Walter Kasper che ha tenuto l'omelia sulla pericope evangelica del giorno. Ha aggiunto un fervido ringraziamento alla Chiesa ortodossa di Cipro per l'ospitalità offerta alla Commissione e ha chiesto la preghiera per i lavori della Commissione accennando al tema in discussione in questi termini:  "Nell'ultimo documento pubblicato dalla nostra Commissione due anni fa, abbiamo affermato che vi può essere un primo, un pròtos come si dice in greco, o come diciamo noi in latino primas, in ogni livello della vita della Chiesa. Pertanto il primato non è cosa proibita o impropria nella vita della Chiesa. In questo incontro noi ci chiederemo cosa ciò significhi per il vescovo di Roma".

La chiesa della Santa Croce è al limite tra la parte greca dell'isola e la parte occupata dai turchi (37 per cento del territorio complessivo dell'isola). L'esigenza di porre rimedio alla divisione dell'isola è stata più volte ribadita dalle autorità della Chiesa ortodossa, e in modo forte dallo stesso arcivescovo Chrysostomos.

Domenica 18 ha avuto luogo la concelebrazione dei membri ortodossi della delegazione. La divina liturgia, nella chiesa di Phaneromèni, sempre a Nicosia, è stata presieduta dall'arcivescovo Chrysostomos, primate della Chiesa di Cipro. Era presente al completo la delegazione cattolica della Commissione. L'arcivescovo, riferendosi "con senso di responsabilità verso il mondo cristiano" al fatto che "la Chiesa di Cipro, la più antica d'Europa", ospitava quest'anno il dialogo tra ortodossi e cattolici, affermava:  "Questo dialogo teologico è il più importante nel contesto dei dialoghi teologici ufficiali tra la Chiesa ortodossa e gli altri cristiani, che sono coordinati dal Patriarcato ecumenico". Ha ricordato l'importanza della preghiera per il dialogo e, rivolgendosi direttamente, contestava "quel piccolo segmento di ortodossi" che, mal fondandosi su canoni letti fuori contesto, rifiutano la preghiera comune. Ha invocato lo Spirito santo sui lavori della Commissione. La sessione è stata chiusa con i vespri della festa di san Giacomo apostolo nella cattedrale di Paphos dallo stesso arcivescovo.

La Commissione è stata ospitata con grande generosità e spirito di calorosa fraternità dalla Chiesa ortodossa di Cipro. È stata ricevuta nel palazzo arcivescovile, dove Chrysostomos ha offerto un pranzo. La Commissione ha visitato il museo arcivescovile ricco di straordinarie icone. Una delegazione ha fatto visita al presidente della Repubblica. Tutti i membri sono stati accompagnati a visitare alcuni monasteri con antiche icone e affreschi bizantini.

È stato pure registrato un piccolo episodio di segno contrario.

Un limitato gruppo di una decina di persone, il primo giorno dell'incontro, si è appostato davanti all'albergo con striscioni di protesta contro il dialogo considerato come rischio di tradimento da parte dei membri ortodossi e di cedimento alle pretese dei cattolici. Le autorità ortodosse, l'arcivescovo di Cipro e il metropolita di Paphos, hanno duramente condannato l'evento e minacciato di sanzioni canoniche i chierici che vi hanno preso parte.

Il comunicato della sessione rilasciato a conclusione dell'incontro riporta che i membri ortodossi nel loro incontro del primo giorno "hanno discusso tra l'altro le reazioni negative al dialogo da alcune frange ortodosse, e unanimemente le hanno considerate totalmente infondate e inaccettabili, dando false e ingannevoli informazioni. Tutti i membri ortodossi della Commissione riaffermano che il dialogo continua con la decisione di tutte le Chiese ortodosse e sarà continuato con fedeltà alla verità e alla Tradizione della Chiesa".

Quasi contemporaneamente la Chiesa di Grecia prendeva posizione contro le frange critiche all'ecumenismo. L'assemblea della gerarchia, nella riunione del 16 ottobre 2009, dichiarava:  "Il dialogo bisogna che sia continuato, però nell'ambito della normativa ecclesiologica e canonica ortodossa, sempre poi in accordo con il Patriarcato ecumenico, come con decisione pan-ortodossa è stato stabilito. I rappresentanti della nostra Chiesa in questo dialogo hanno chiara conoscenza della teologia ortodossa, dell'ecclesiologia e della Tradizione ecclesiastica".

La discussione sulla bozza preparata dal Comitato misto di coordinamento sarà continuata nella prossima sessione plenaria del prossimo anno. È stato deciso che la sessione avrà luogo dal 20 al 27 settembre 2010 a Vienna, ospitata dall'arcivescovo, il cardinale Christoph Schönborn.

Così questo importante dialogo procede a passo lento, ma sempre orientato alla meta della piena comunione come concordato nel documento preparatorio per l'avvio del dialogo fra cattolici e ortodossi.



(©L'Osservatore Romano - 26-27 ottobre 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
27/10/2009 18:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Il metropolita Ioannis di Pergamo sulla questione del primato nella Chiesa

Il dialogo tra cattolici e ortodossi
deve andare avanti


Roma, 27. "La questione del primato è un problema ecclesiologico", come lo è ogni cosa riguardante la struttura canonica e l'amministrazione della Chiesa. E poiché l'ecclesiologia fa parte della dogmatica, essa è "una questione di fede". Quando "esaminiamo oggi" un tale argomento nel contesto del dialogo, "studiamo di conseguenza una differenza dogmatica". Nessuna intenzione di "affrontare altre questioni, come ad esempio il filioque", disputa che fu tra le ragioni del grande scisma d'oriente.

In un'intervista all'Apa-Apm (agenzia di stampa ateniese e macedone), il metropolita di Pergamo, Ioannis Zizioulas, parla del tema che è stato al centro dell'undicesima sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, svoltasi dal 16 al 23 ottobre a Pafos, nell'isola di Cipro. "Il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio", e la connessa questione del primato del Papa, sono dunque visti da Ioannis, delegato dal Patriarcato ecumenico a co-presidente della Commissione mista, come soggetti fondamentali dell'ecclesiologia, sui quali è doveroso cercare e trovare un accordo.

"Altre nostre esperienze di dialogo teologico, con i precalcedonesi o i vetero-cattolici ad esempio, ci mostrano - spiega il metropolita - che un'intesa su altre questioni dogmatiche non serve a niente se non c'è una concordanza sui fondamenti dell'ecclesiologia". Per ciò che riguarda le relazioni fra ortodossi e cattolici, "è la questione del primato che ha giocato il più tragico dei ruoli e che ha creato i problemi maggiori (crociate, uniatismo). Come si può credere che tale, serio problema sia secondario?". Secondo Zizioulas, "la conciliarità è una condizione preliminare del primato" e tale posizione è stata quella sostenuta dagli ortodossi due anni fa a Ravenna, in occasione della decima sessione plenaria della Commissione mista.

Nell'intervista, il metropolita di Pergamo respinge con fermezza le accuse, venute da alcuni ambienti ortodossi, di "cedimento" nei confronti della Chiesa cattolica per il semplice fatto di dialogare con essa. Accuse formulate anche dalla comunità del Monte Athos e legate, in particolare, al tema emerso a Ravenna e affrontato a Cipro, ovvero la questione del primato. Ioannis sottolinea che è "ingiusto e sbagliato" prendersela con il Patriarcato ecumenico e con la sua persona, poiché "il dialogo si svolge con la decisione unanime di tutte le Chiese ortodosse".

Anche la questione del primato "è stata decisa a livello panortodosso" ed esiste, al riguardo, "l'accordo scritto di tutte le Chiese ortodosse". Il dialogo teologico tra l'ortodossia e il cattolicesimo - sottolinea Zizioulas - è il più importante di tutti i dialoghi intrapresi ufficialmente dalla Chiesa ortodossa con gli eterodossi "ma, allo stesso tempo, per certe situazioni, il più tormentato". Ma non sussiste alcuna concessione, alcun tradimento:  "Tutti noi che partecipiamo a questi dialoghi - afferma - rendiamo testimonianza dell'ortodossia, parlando con franchezza e molti sforzi", con la consapevolezza della difficoltà del compito.

Il metropolita difende il testo di Ravenna perché stabilisce che "il primato non può essere concepito al di fuori del quadro della conciliarità a tutti i livelli della sua pratica", che è poi ciò che la Chiesa ortodossa "sostiene e attua con il 34° canone degli apostoli" (i primati ortodossi non hanno l'autorità di decidere senza il sinodo né il sinodo senza i primati).

Inoltre, nel documento, "il primato di Roma è legato alla sua posizione nella pentarchia dei patriarchi. Era il caso del primo millennio - spiega Ioannis - e così dovrebbe restare anche se dovessero ripresentarsi le altre condizioni esistenti durante il primo millennio, come la fede comune".

Il testo di Ravenna, quindi, "non cede in nulla rispetto a ciò che era in vigore nel primo millennio". Al contrario, "adotta i principi fondamentali dell'ecclesiologia di tale periodo" e "noi ortodossi saremmo felici se il Papa si accordasse alla fede e alla struttura canonica del primo millennio".

Il metropolita di Pergamo chiude l'intervista all'Apa-Apm con un appello "a lavorare senza cedimenti in direzione della fede che ci è stata trasmessa per compiere la preghiera quotidiana "per l'unione di tutti noi"". Se "non lo facciamo o se lo facciamo a detrimento della fede dei nostri Padri - spiega Zizioulas - siamo debitori davanti a Dio". Perché "è Dio che dirige la storia" e "coloro che proclamano che l'unione della Chiesa è impossibile si appropriano del futuro dalle mani di Dio". Sarà Dio a trovare il modo "affinché la sua volontà regni" e "perché tutti siano una sola cosa". Noi "siamo obbligati a operare per questo", conclude Ioannis.



(©L'Osservatore Romano - 28 ottobre 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
27/10/2009 19:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Ottima riflessione di padre Giovanni Scalese dal suo blog Senza Peli sulla lingua...


Patriarca dell'Occidente?

Leggo nell’articolo di Paolo Rodari per Il Foglio (ripreso dal suo blog Palazzo Apostolico) che il Metropolita di Pergamo Giovanni Zizioulas, copresidente assieme al Card. Walter Kasper della Commissione mista cattolico-ortodossa, ha denunciato, nell’incontro attualmente in corso a Cipro, che non solo nel mondo dell’ortodossia, ma anche nella Chiesa cattolica vi sono esponenti imbrigliati in un «eccessivo razionalismo dogmatico, e vogliono che nulla sia cambiato». A detta di Rodari, tali parole si riferirebbero «anche a quella decisione di Roma poco digerita in Oriente, almeno dalle chiese che si riconoscono nella pentarchia: l’annullamento del titolo di patriarca d’occidente per il Papa».

Forse nessuno se n’era accorto da noi, ma questo fu uno dei primi atti del pontificato di Benedetto XVI: una decisione presa senza alcun documento ufficiale, che si presentò come un fatto compiuto quando fu pubblicato l’Annuario pontificio del 2006. Fino all’anno precedente, fra i diversi titoli del Papa (Vescovo di Roma, Metropolita della Provincia Romana, Primate d’Italia, ecc.), figurava quello di “Patriarca dell’Occidente”. Nella prima edizione dell’Annuario pubblicata dopo l’elezione di Papa Ratzinger quel titolo era scomparso. La decisione fu giustificata con ragioni di tipo ecumenico.

Quando lessi tale spiegazione, sobbalzai sulla sedia, perché secondo me l’abolizione di quel titolo poteva essere motivata in qualsiasi modo, fuorché con ragioni di tipo ecumenico. Se c’è un titolo che gli ortodossi hanno sempre riconosciuto al Vescovo di Roma è appunto quello di Patriarca dell’Occidente, perché, come giustamente ricorda Rodari, tale titolo mette il Papa sullo stesso livello degli altri Patriarchi della Pentarchia (le cinque sedi patriarcali del primo secolo: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme). Ma nessun dibattito seguí a quella incomprensibile decisione: sembrava la cosa piú ovvia liberarsi di quell’anticaglia del passato. Che senso poteva avere ai nostri giorni chiamare il Papa “Patriarca dell’Occidente”?

Ecco che invece ora i nodi vengono al pettine: quella decisione, a quanto pare, gli ortodossi non l’hanno mai digerita. Ci voleva tanto a capirlo? Proprio ieri dicevamo che al giorno d’oggi, quando si deve prendere una qualsiasi decisione all’interno della Chiesa (non solo della Chiesa cattolica, ma di ogni confessione cristiana), si dovrebbe sempre tener conto anche dei risvolti ecumenici di quella decisione. Come in questo caso: che fastidio dava conservare, fra gli innumerevoli titoli del Vescovo di Roma, quel titolo che per secoli era stato tramandato, forse senza neppure rendersi sempre perfettamente conto del suo esatto significato?

Un altro motivo portato per giustificare la soppressione di quel titolo fu che, ai nostri giorni, il termine “Occidente” ha cambiato significato. A tale obiezione, con terminologia scolastica, risponderei: “Concedo”. Oggigiorno “Occidente” ha assunto un significato culturale-politico diverso da quello che poteva avere in passato. Ma non mi sembra questo un motivo sufficiente per abolire il titolo stesso. Prima dell’abolizione, ci può essere un’altra soluzione: la modifica. Non va piú bene “Patriarca dell’Occidente”? OK; che ne direste invece di “Patriarca della Chiesa latina”? Tale espressione, secondo me, esprime lo stesso concetto, ma evitando gli inconvenienti che il titolo tradizionale potrebbe comportare. Se si fosse proceduto a tale modifica, non credo che gli ortodossi avrebbero avuto nulla da ridire, perché per loro il Vescovo di Roma è esattamente questo, il Patriarca della Chiesa latina.

A parte la teoria della Pentarchia (che effettivamente oggi potrebbe apparire un tantino anacronistica), a parte le preoccupazioni di carattere ecumenico, anche se consideriamo la cosa solo da un punto di vista interno alla Chiesa cattolica, secondo il Codice dei canoni delle Chiese orientali (che riconosce l’esistenza di “Chiese sui juris”, perlopiú patriarcali), il Vescovo di Roma, prima ancora di essere “Pastore supremo della Chiesa universale”, è Patriarca della sua “Chiesa sui juris”, vale a dire della Chiesa latina. Ciò non toglie nulla al suo primato universale, ma mette in luce una delle sue molteplici prerogative.

Se abbiamo veramente a cuore l’unità della Chiesa non possiamo ignorare la tradizione. Molto giustamente Sandro Magister alcuni giorni fa faceva notare, sul sito
www.chiesa, che «oggi piú che mai, con Joseph Ratzinger papa, il cammino ecumenico appare non una rincorsa alla modernità, ma un ritrovarsi sul terreno della tradizione». Questo è l’unico terreno su cui è possibile ricostruire l’unità. L’«eccessivo razionalismo dogmatico», per dirla col Metropolita di Pergamo, non giova affatto alla causa ecumenica.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
29/01/2010 10:05
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Ecumenismo, il Patriarcato ortodosso di Mosca al lavoro su un documento relativo al primato del vescovo di Roma nel primo millennio



Benedetto XVI sopra con il futuro Patriarca di Russia e sotto copn Bartolomeo I



CITTA’ DEL VATICANO - La Commissione sinodale biblica e teologica della Chiesa ortodossa russa, presieduta dal Metropolita Filaret di Minsk, sta lavorando alla stesura di un documento sul Primato nella Chiesa. A darne notizia e' un comunicato diffuso dal Patriarcato di Mosca.

 ''Si tratta - spiegano gli organi d'informazione del patriarcato - di un contributo del Patriarcato di Mosca al dialogo cattolico-ortodosso che sta esaminando attualmente la questione del primato e della conciliarita', cosi' come quella dell'esercizio del primato del vescovo di Roma nel primo millennio''.

A questo tema si sta dedicando la Commissione Mista Internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, organismo al quale partecipano anche delegati del Patriarcato di Mosca e che si e' riunito a Cipro dal 16 al 23 ottobre sotto la co-presidenza del Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l'unita' dei cristiani, e del Metropolita di Pergamo, Ioannis.

 In un messaggio al Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I per la festa di Sant'Andrea, Benedetto XVI e' tornato a proporre alle Chiese sorelle quanto gia' aveva chiesto prima di lui Giovanni Paolo II nell'enciclica ‘Ut unum sint’, e cioe' di studiare ''le forme'' nelle quali il ministero del Vescovo di Roma ''possa realizzare un servizio d'amore riconosciuto dagli uni e dagli altri''.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
29/01/2010 10:06
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

"Il papa è il primo tra i patriarchi". Tutto sta a vedere come
Con Benedetto XVI, per la prima volta nella storia, gli ortodossi accettano di discutere il primato del vescovo di Roma, sul modello del primo millennio quando la Chiesa era indivisa. Un inedito: il testo base del dialogo

di Sandro Magister

ROMA, 25 gennaio 2010 – Questa sera, con i vespri nella basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI chiude la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

C'è chi dice che l'ecumenismo sia entrato in una fase di recessione e di gelo. Ma se appena si guarda ad Oriente, i fatti dicono l'opposto. Le relazioni con le Chiese ortodosse non sono mai state così promettenti come da quando Joseph Ratzinger è papa.

Le date cantano. Un periodo di gelo nel dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse di tradizione bizantina iniziò nel 1990, quando le due parti si scontrarono sul cosiddetto "uniatismo", sulle forme cioè con cui le comunità cattoliche di rito orientale duplicano in tutto le parallele comunità ortodosse, differendo solo per l'obbedienza alla Chiesa di Roma.

A Balamand, in Libano, il dialogo si bloccò. E ancor più si bloccò sul versante russo, dove il patriarcato di Mosca non sopportava di vedersi "invaso" dai missionari cattolici là inviati da papa Giovanni Paolo II, tanto più sospettato perché di nazionalità polacca, storicamente rivale.

Il dialogo restò congelato fino a quando, nel 2005, salì alla cattedra di Pietro il tedesco Joseph Ratzinger, papa molto apprezzato in Oriente per lo stesso motivo che in Occidente gli procura critiche: per il suo attaccamento alla grande Tradizione.

Prima a Belgrado nel 2006 e poi a Ravenna nel 2007 tornò a riunirsi la commissione mista internazionale per il dialogo tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse.

E in cima alla discussione andò proprio la questione che più divide Oriente e Occidente: il primato del successore di Pietro nella Chiesa universale.

Dalla sessione di Ravenna uscì il documento che segnò la svolta, dedicato a "conciliarità e autorità" nella comunione ecclesiale.

Il documento di Ravenna, approvato all'unanimità dalle due parti, afferma che "primato e conciliarità sono reciprocamente interdipendenti". E nel suo paragrafo 41 mette a fuoco così i punti di accordo e di disaccordo:

"Entrambe le parti concordano sul fatto che [...] Roma, in quanto Chiesa che 'presiede nella carità', secondo l’espressione di Sant’Ignazio d’Antiochia, occupava il primo posto nella 'taxis', e che il vescovo di Roma è pertanto il 'protos' tra i patriarchi. Tuttavia essi non sono d’accordo sull’interpretazione delle testimonianze storiche di quest’epoca per ciò che riguarda le prerogative del vescovo di Roma in quanto 'protos', questione compresa in modi diversi già nel primo millennio".

"Protos" è parola greca che significa primo. E "taxis" è l'ordinamento della Chiesa universale.

Da allora, la discussione sui punti controversi prosegue con ritmo accelerato. Ed ha cominciato ad esaminare, anzitutto, come le Chiese d'Oriente e d'Occidente interpretavano il ruolo del vescovo di Roma nel primo millennio, cioè quando ancora erano unite.

La base della discussione è un testo che è stato elaborato nell'isola di Creta all'inizio dell'autunno del 2008.

Il testo non è mai stato reso pubblico prima d'ora. È in lingua inglese e può essere letto integralmente in questa pagina di www.chiesa:

The Role of the Bishop of Rome in the Communion of the Church in the First Millennium

La commissione mista internazionale per il dialogo tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse ha iniziato a discutere su questo testo a Paphos, nell'isola di Cipro, dal 16 al 23 ottobre del 2009.

Ha cominciato con l'esaminare la predicazione di Pietro e Paolo a Roma, il loro martirio e la presenza delle loro tombe a Roma, che per sant’Ireneo di Lione conferiscono un’autorità preminente alla sede apostolica romana.

Da lì, la discussione è proseguita prendendo in esame la lettera di papa Clemente ai cristiani di Corinto, la testimonianza di sant'Ignazio di Antiochia che indica la Chiesa di Roma come quella che "presiede nella carità", il ruolo dei papi Aniceto e Vittore nella controversia intorno alla data di Pasqua, le posizioni di san Cipriano di Cartagine nella controversia sul battezzare nuovamente o no i "lapsi" cioè i cristiani che avevano sacrificato agli idoli per salvare la vita.

Il proposito è di capire fino a che punto la forma che ebbe il primato del vescovo di Roma nel primo millennio può far da modello a una ritrovata unità tra Oriente e Occidente nel terzo millennio dell'era cristiana.

Di mezzo, però, c'è stato un secondo millennio in cui il primato del papa è stato interpretato e vissuto, in Occidente, in forme sempre più accentuate, lontane da quelle che le Chiese d'Oriente sono oggi disposte ad accettare.

E sarà questo il punto più critico della discussione. Ma le delegazioni delle due parti non hanno timore di affrontarlo. Lo ha detto lo stesso Benedetto XVI lo scorso 20 gennaio, spiegando nell'udienza generale ai fedeli il senso della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani:

"Con le Chiese ortodosse la commissione mista internazionale per il dialogo teologico ha iniziato lo studio di un tema cruciale nel dialogo fra cattolici e ortodossi: il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio, cioè nel tempo in cui i cristiani di Oriente e di Occidente vivevano nella piena comunione. Questo studio si estenderà in seguito al secondo millennio".

La prossima sessione ha già un luogo prefissato, Vienna, e una data, dal 20 al 27 settembre 2010.

A capo della delegazione cattolica c'è stato in tutti questi anni il cardinale Walter Kasper, presidente del pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani.

A capo della delegazione ortodossa c'è da anni il metropolita di Pergamo Joannis Zizioulas, teologo di riconosciuto valore e di grande autorevolezza, "mente" del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e stimatissimo da papa Ratzinger, con il quale ha un rapporto di profonda amicizia.

Anche con il patriarcato di Mosca i rapporti sono molto migliorati. A Ravenna i delegati russi avevano abbandonato i lavori per un disaccordo con il patriarca di Costantinopoli sull'ammettere o no i rappresentanti ortodossi della Chiesa di Estonia, non riconosciuta da Mosca.

Ma a Paphos, lo scorso ottobre, lo strappo è stato ricucito. E anche con Roma il patriarcato di Mosca è oggi in rapporti amichevoli. Una prova ne è stata. pochi mesi fa, la pubblicazione da parte del patriarcato di un libro con dei testi di Benedetto XVI, iniziativa senza precedenti nella storia.

Da Roma l'iniziativa sarà presto ricambiata, con dei testi del patriarca Kirill raccolti in un volume edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

Un incontro tra il papa e il patriarca di Mosca è ormai anch'esso nella sfera del possibile. Forse più presto di quanto si pensi.

__________

Il testo integrale del documento di Ravenna del 2007:

> Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità



http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1341841 ù



POST SCRIPTUM di Sando Magister

 – Il giorno dopo l'uscita di questo servizio di
www.chiesa, il 26 gennaio 2010, il pontificio consiglio per l'unità dei cristiani ha emesso il seguente comunicato:

"Il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani ha constatato con rammarico che è stato pubblicato, da un mezzo di comunicazione, un testo che è all’esame della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme.

"Il documento pubblicato è un testo previo, che consiste in un elenco di temi da studiare e da approfondire, finora discusso solo in minima parte dalla suddetta Commissione.

"Nell’ultima riunione della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, tenutasi a Paphos nell’ottobre scorso, si era stabilito esplicitamente che il testo non sarebbe stato pubblicato finché non fosse stato esaminato nella sua totalità dalla Commissione.

"Ad oggi non esiste nessun documento concordato e pertanto il testo pubblicato non ha nessuna autorità, né ufficialità".



__________

25.1.2010
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
21/09/2010 18:36
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

A Vienna la plenaria della Commissione mista

Il primato petrino
nel dialogo teologico con gli ortodossi



La Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme è tornata a riunirsi da ieri, lunedì 20 settembre, a Vienna, presso la Franz König Haus, grazie alla generosa ospitalità offerta dall'arcidiocesi guidata dal cardinale Christoph Schönborn. La XII sessione plenaria è dedicata allo studio - già avviato nella precedente sessione di Cipro del 2009 - della questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio.

Il tema del primato nella Chiesa universale è al centro della nuova fase del dialogo tra cattolici e ortodossi, inaugurata dalla sessione plenaria di Ravenna del 2007. Il documento che la Commissione ha approvato e pubblicato in quella sede, dal titolo "Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa:  comunione ecclesiale, conciliarità e autorità", affronta il rapporto fra conciliarità e autorità nella Chiesa su tre livelli - locale, regionale, universale - e afferma che, su ognuno di questi livelli, vi è un pròtos, un primus (vescovo, metropolita - patriarca, vescovo di Roma).

Quindi, entrando più direttamente nella problematica del pròtos a livello universale, si dice che "entrambe le parti (cattolici e ortodossi) concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che presiede nella carità, occupava il primo posto nella taxis e che il vescovo di Roma era pertanto il pròtos tra i Patriarchi" (Documento di Ravenna, n. 41).

In conclusione, lo stesso documento indica quale debba essere la tappa successiva del dialogo:  "Resta da studiare in modo più approfondito la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione di tutte le Chiese. Quale è la funzione specifica del vescovo della "prima sede" in un'ecclesiologia di koinonìa, in vista di quanto abbiamo affermato nel presente testo circa la conciliarità e l'autorità?" (Documento di Ravenna, n. 45).

Sulla base di questo mandato, la Commissione mista ha elaborato un progetto di lavoro. Innanzitutto, si è deciso che, in un primo momento, l'attenzione della Commissione mista si sarebbe concentrata sul primo millennio, quando i cristiani di Oriente e Occidente erano uniti.

Quindi, all'inizio del 2008, hanno lavorato due sottocommissioni miste - una di lingua inglese e l'altra di lingua francese - con il compito di raccogliere gli elementi storici più attinenti al periodo preso in considerazione. Nell'autunno del 2008, poi, si è incontrato il Comitato misto di coordinamento al fine di preparare una bozza di documento da sottoporre a tutti i membri della Commissione mista. A Cipro, nel 2009, la Commissione ha avviato l'esame di tale bozza. Lo studio è stato attento e accurato, ma la complessità e la delicatezza del tema hanno richiesto tempi lunghi.

Nella xii sessione plenaria, che si concluderà il 27 settembre, la Commissione riprenderà a esaminare la bozza di documento sulla funzione specifica del vescovo della "prima sede" nel corso del primo millennio, ricercando una lettura comune dei fatti storici e delle testimonianze relative al tema in oggetto, per giungere a un'auspicabile e possibile interpretazione condivisa. Si tratta, certamente, di un compito che esigerà uno studio approfondito e un dialogo paziente.

La Commissione è composta da due rappresentanti per ognuna delle Chiese ortodosse autocefale e di un numero corrispondente di membri cattolici. Dirigono la riunione l'arcivescovo Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e il metropolita di Pergamo, Ioannis (Zizioulas), del Patriarcato ecumenico.


(©L'Osservatore Romano - 22 settembre 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
01/10/2010 10:16
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Come è andata davvero a Vienna. Avanti adagio...

Ecco perché il summit tra cattolici e ortodossi non ha registrato svolte epocali ma neanche marce indietro. Fermati i "talebani" dell'ortodossia


Paolo D'Andrea

Una regola aurea dell'ecumenismo, distillata in decenni di esperienza da quelli che hanno avuto più a cuore il ripristino della piena unità tra i cristiani, suggerisce di evitare l'ottimismo melenso o il pessimismo disfattista quando si tratta di giudicare gli stop forzati, le apparenti marce indietro e le ripartenze di slancio nel cammino teso a superare divisioni e incomprensioni incallite nei secoli.

Il consiglio torna utile se si vuole capire davvero l'ultimo caso controverso nei rapporti tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa.

La nuova contesa interpretativa si è accesa intorno agli esiti dell'ultima runione della Commissione teologica mista tra la Chiesa cattolica e tutte le Chiese ortodosse autocefale, conclusasi a Vienna lunedì scorso.

L'organismo bilaterale, composto in misura paritaria da una sessantina di rappresentanti delegati delle Chiese sorelle - cardinali, metropoliti, vescovi, teologi e accademici - a partire dalla riunione di Ravenna del 2007 ha con fatica abbordato per la prima volta la questione che da sempre rappresenta la pietra d'inciampo nei rapporti tra il cattolicesimo e l'Oriente cristiano: il ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa universale.

Nella sessione di Vienna, preseguendo sulla tabella di marcia concordata da tempo, i delegati avrebbero dovuto concludere la discussione tesa a limare, emendare e possibilmente approvare un documento di lavoro che esprimesse una visione condivisa del ruolo esercitato del vescovo di Roma nella comunione di tutta la Chiesa durante il primo millennio.

I due co-presidenti della Commissione - il vescovo cattolico Kurt Koch, neo-ministro vaticano per l'ecumenismo, e il grande teologo Ioannis Zizioulas, metropolita del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli - alla fine dei lavori avevano tracciato un bilancio positivo del summit, senza entrare troppo nei dettagli.

«Non ci sono nubi di incomprensione tra le nostre due Chiese» aveva dichiarato il capo della delegazione ortodossa, aggiungendo fiducioso che il ritorno all'unità potrebbe essere il risultato «non di una riforma, che è un termine troppo forte, ma di un adattamento da entrambe le parti. Gli ortodossi devono rafforzare la loro concezione del primato. E forse la parte cattolica deve rafforzare di più la dimensione della sinodalità».

A stretto giro, da Mosca è arrivato un commento senz'altro più articolato e ruvido delle giornate di Vienna, subito trasformato dai taglia e cuci delle agenzie occidentali nell'ennesimo siluro post-sovietico sulle speranze ecumeniche accreditate da Koch e Zizioulas.

Il metropolita russo ortodosso Hilarion, che al summit di Vienna rappresentava il potente Patriarcato di Mosca, in una nota rilanciata dall'agenzia Interfax ha tenuto a far sapere che nella sessione dei lavori «non è stato compiuto nessun grande balzo in avanti», puntualizzando che la bozza sotto esame relativa al ruolo del vescovo di Roma nel primo Millennio «ha bisogno di ulteriori correzioni» e comunque il suo statuto per ora è quello di un testo di lavoro da usare per preparare ulteriori documenti, senza alcun profilo di pronunciamento ufficiale e vincolante. Hilarion ha implicitamente indicato tra i limiti del documento sotto esame il suo «carattere puramente storico» (ipotizzando la stesura di un altro documento che metta in luce le implicazioni teologiche del dibattito sul primato) e una concentrazione esclusiva sul ruolo del vescovo di Roma, che «può indurre a un'errata comprensione di come i poteri erano distribuiti nella Chiesa antica» e oscurare il dato storico - fondamentale agli occhi degli rtodossi - della totale assenza, anche nel primo Millennio, di una vera e propria giurisdizione del vescovo di Roma sulle Chiese d'Oriente.
 
Solo nella prossima sessione, e dopo aver riempito questi spazi bianchi - ha concluso Hilarion - ci si potrà pronunciare sul valore reale del testo in elaborazione. Puntualizzazioni puntigliose, certo. E magari anche il tentativo di mettere in anticipo qualche paletto sul futuro cammino delle trattative. Eppure la lettura a tinte forti delle parole di Hilarion da sola non basta a provare la fatale inutilità delle discussioni teologiche intorno al punctum dolens del primato. In realtà, il summit di Vienna non ha registrato svolte epocali, ma neppure marcie indietro o sintomi di congelamento. Piuttosto, ha confermato che il ritmo di questo dialogo teologico è e rimarrà quello dell'avanti adagio, con juicio.

A Vienna si è ultimata la lettura riga per riga del documento sul ruolo del vescovo di Roma nella comunione nella Chiesa nel primo millennio.

Sono state raccolte tutte le richieste di modifiche, tagli e correzioni che verranno apportati al testo di lavoro dalla sottocommissione - anch'essa bilaterale e paritaria - incaricata di riequilibrare il testo secondo alcune linee guida suggerite dagli ortodossi: una maggiore sottolineatura del principio della sinodalità, visto in legittima e proficua tensione dialettica con quello del primato, e una focalizzazione accentuata sugli argomenti teologici più che su quelli storici. Il testo emendato, dopo un ulteriore lavoro di armonizzazione redazionale, verrà sottoposto di nuovo alla prossima plenaria della Commissione, in programma tra due anni in un Paese a maggioranza ortodossa.

Al di là dei singoli punti, negli interventi "d'interdizione" effettuati da molti rappresentanti ortodossi è affiorata la preoccupazione - espressa anche dal comunicato di Hilarion - di non attribuire al documento sotto esame nessuna patente di vincolante ufficialità.

A tali obiezioni, le risposte di parte cattolica sono state tranquillizanti: è ovvio - hanno concordato il cardinale Schönborn, il vescovo Roland Minnerath, il domenicano Charles Morerod e gli altri delegati della Chiesa di Roma - che i documenti della commissione teologica rimangono testi di lavoro di tale organismo, e assumeranno valore normativo solo se e quando verranno riconosciuti e approvati dal Papa e dai sinodi delle singole Chiese ortodosse.

Se il lavoro di discernimento comune sul ruolo del Papa nel primo Millennio procede lentamente, le cose si complicheranno quando si passerà al secondo Millennio, quello dell'infallibilità e dei dogmi definiti dai papi di Roma senza il consenso degli ortodossi. Le istanze minimizzanti espresse da alcuni rappresentanti ortodossi si spiegano soprattutto tenendo conto dei forti partiti anti-ecumenici attivi all'interno di diverse Chiese ortodosse. Il primo documento approvato dalla Commissione mista a Ravenna nel 2007 conteneva già una definizione condivisa del principio del Primato, insieme al riconoscimento che nei primi secoli cristiani il vescovo di Roma era universalmente riconosciuto come il primus, in quanto titolare della Prima Sedes, la chiesa di Roma.

Tanto è bastato ai gruppuscoli ortodossi contrari all'ecumenismo (quelli che Zizioulas definisce «talebani ortodossi») per mettere sotto accusa le rispettive leadership ecclesiali, attaccando il loro «servilismo» nei confronti di quella Roma che nella propaganda degli integralisti rimane la «meretrice di Babilonia». Nel dialogo ecumenico, anche i riflessi psicologici vanno tenuti da conto. Nessuno seguirà le avanguardie ecumeniche dell'Ortodossia, se il ritorno alla comunione col vescovo di Roma viene percepito come un andare a Canossa.

 Il Secolo d'Italia, 30 settembre 2010


 Facciamo alcune piccole considerazioni:

Finalmente un commento giornalistico serio

A quanto riportato dal testo va aggiunto che nella Chiesa Ortodossa, fra Mosca e Costantinopoli NON scorre affatto "buon sangue"....
anche se le cose sono cambiate con il nuovo Patriarca Cirillo, in passato il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I non fu mai coinvolto seriamente dal Patriarcato di Mosca guidato da Alessio proprio anche a causa delle sue aperture (di Bartlomeo) verso le istanze avanzate dalla Chiesa di Roma con Giovanni Paolo II....

Inoltre il concetto Sinodale delle Chiese Ortodosse che, non dimentichiamolo, hanno una gestione AUTOCEFALA....influenza molto NEGATIVAMENTE la concezione di un Primato Petrino che si vorrebbe SOTTOMETTERE ad una maggioranza SINODALE...attenzione perchè questo aspetto aperto per altro con Paolo VI e il concetto di COLLEGIALITA' dei Vescovi e la crescente AUTONOMIA delle Conferenze Episcopali, sono state già una delle maggior cause della crisi attuale della Chiesa....

Non poche volte in qualità di Prefetto della Fede, Ratzinger fa emergere e denuncia I MALINTESI sorti con un altra affermazione al tempo del grande Giubileo del 2000 quando si diceva che: per una comprensione di COMUNIONE BASTEREBBE ACCOGLIERE LA TRINITà......si, dice Ratinger in sostanza, riconoscere la Trinità è importante, ma NON è sufficiente per parlare di COMUNIONE..... 

e diceva ancora: " Nella misura in cui communio divenne un facile slogan, essa fu appiatita e travisata...." e aggiunge che lo stesso "malinteso" avvenne per il concetto di POPOLO DI DIO e così anche l'Eucarestia cominciò a ridursi alla problematica del rapporto fra chiesa locale e Chiesa Universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra...." 

Così Ratinger cercò di citare la Lettera ai Vescovi "Communions notio" del 28.5.1992 la quale insegna espressamente la precedenza ontologica e temporale della Chiesa Universale sulla Chiesa particolare.... 

Alla base non c'è solo un problema di Primato Petrino.... ma di una concezione di Collegialità che si tentò di cancellare e modificare perfino nella Chiesa e per la quale Ratzinger ne spiegò i pericoli....



 

[Modificato da Caterina63 01/10/2010 10:25]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
19/01/2011 19:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Si lavora a un documento su primato e sinodalità

Il dialogo teologico
fra cattolici e ortodossi



di Andrea Palmieri
Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani


Il dialogo teologico, condotto dalla Commissione mista internazionale tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, ha conosciuto qualche difficoltà, ma, grazie alla ferma volontà di proseguire nella ricerca del superamento degli ostacoli ancora esistenti, espressa da tutti i suoi membri, non si è arrestato.

La Commissione, che è composta da due rappresentanti di ognuna delle quattordici Chiese ortodosse autocefale (Patriarcato ecumenico, Patriarcati di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Mosca, Serbia, Romania, Bulgaria, Georgia, Chiese di Cipro, Grecia, Polonia, Albania e delle Terre di Cechia e di Slovacchia) e da altrettanti rappresentanti della Chiesa cattolica, si è incontrata a Vienna dal 20 al 27 settembre 2010, sotto la presidenza dell'allora arcivescovo Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, e del metropolita di Pergamo, Ioannis (Zizioulas), del Patriarcato ecumenico. La riunione di Vienna è stata la xii sessione plenaria della Commissione, la cui istituzione fu ufficialmente annunciata con la Dichiarazione comune sottoscritta dal Patriarca ecumenico Dimitrios i e da Giovanni Paolo II al termine della visita di quest'ultimo al Fanar il 30 novembre 1979. L'ospitalità offerta dall'arcidiocesi di Vienna è stata generosa, e preziosa si è dimostrata anche la collaborazione della Fondazione Pro-Oriente.

La sessione plenaria di Vienna è stata dedicata allo studio, già avviato nella precedente sessione di Cipro (2009), della questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio, sulla base di un testo elaborato dal Comitato misto di coordinamento nel 2008. Con questo testo - che, con una metodologia prevalentemente di tipo storico, prendeva in considerazione gli elementi storici più rilevanti - si intendeva proseguire la riflessione sul tema del primato nella Chiesa universale, inaugurata con la sessione plenaria di Ravenna (2007). In quella sede, infatti, la Commissione aveva approvato e pubblicato un documento dal titolo Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa:  comunione ecclesiale, conciliarità e autorità, nel quale cattolici e ortodossi affermavano insieme, per la prima volta, la necessità di un primato al livello di Chiesa universale e concordavano che questo primato spettava alla sede di Roma e al suo vescovo, mentre riconoscevano ancora aperta la questione relativa alla modalità di esercizio del primato, ai fondamenti scritturistici e alle interpretazioni storiche.

Basandosi sulle importanti affermazioni del documento di Ravenna, la Commissione aveva elaborato un progetto di lavoro, secondo il quale l'attenzione si sarebbe concentrata sul primo millennio quando i cristiani di Oriente e Occidente erano uniti.

Durante la riunione di Vienna, la Commissione ha proseguito l'analisi attenta e accurata dei fatti storici e delle testimonianze relative al tema in oggetto. La ricerca di un'interpretazione condivisa di tali dati si è rivelata un'operazione molto complessa, che ha richiesto studio approfondito e dialogo paziente. Malgrado l'impegno profuso, non è stato possibile trovare un accordo per la pubblicazione di un documento comune. Alcuni membri hanno espresso la loro perplessità dinanzi alla possibilità di approvazione di un testo di carattere essenzialmente storico da parte di una Commissione teologica. Essi, come teologi e pastori, non si sentivano sufficientemente competenti per esprimere giudizi su questioni storiche assai complesse sulle quali spesso non vi è unanimità nemmeno tra specialisti della materia. Altri membri, invece, hanno sottolineato che, per restare fedeli al mandato contenuto nel documento di Ravenna, occorreva prendere in esame non solo il ruolo del vescovo di Roma, ma anche quello dei concili.

Dopo una lunga discussione, la delegazione cattolica ha accettato di considerare il testo in esame come uno strumento di lavoro che potrà risultare utile nelle prossime tappe del dialogo quando si affronterà il tema del primato da una prospettiva maggiormente teologica. Allo stesso tempo, si è deciso di comune accordo di dare vita a una sotto-commissione mista che cominci a studiare gli aspetti teologici ed ecclesiologici del primato in relazione alla sinodalità e che dovrà successivamente sottoporre il proprio lavoro al Comitato misto di coordinamento in vista della redazione di un nuovo documento.

Nei mesi successivi, i due presidenti della Commissione mista, il cardinale Koch e il metropolita Ioannis, hanno avuto modo di concordare alcuni aspetti pratici concernenti la nuova sotto-commissione mista, come, ad esempio, il numero dei membri, il metodo di lavoro, le date. Alla luce del sostanziale accordo raggiunto su ciascuno di questi punti, si può prevedere che la suddetta sotto-commissione porterà a termine il suo compito in un tempo ragionevolmente breve.

In questa prospettiva, il risultato della sessione plenaria di Vienna non può essere considerato una battuta di arresto. La scelta di proseguire il dialogo adottando una prospettiva più teologica rappresenta una possibilità per riflettere con maggiore profondità sul tema del primato. Inoltre, il grande lavoro svolto per lo studio e l'interpretazione comune delle fonti del primo millennio relative al ruolo del vescovo di Roma sarà prezioso per l'elaborazione di un documento teologico su primato e sinodalità.

Il lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico si svolge nel quadro di relazioni ecclesiali tra cattolici e ortodossi caratterizzate, nel corso dell'anno appena trascorso, da un clima positivo. Tra i numerosi esempi che si potrebbero citare, vanno ricordati almeno due eventi di particolare rilevanza:  le Giornate di spiritualità ortodossa russa in Vaticano, che si sono svolte il 17 e 18 maggio, con la presenza a Roma del metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, durante le quali il Patriarca Kyrill ha voluto  offrire  un  concerto a Benedetto XVI in occasione del quinto anniversario della sua elezione al soglio pontificio; l'incontro di Benedetto XVI con l'arcivescovo di Nea Giustiniana e tutta Cipro, Chrysostomos, e i membri del sinodo della Chiesa ortodossa di Cipro, durante il viaggio apostolico del Santo Padre nell'isola, dal 4 al 6 giugno, il primo di Benedetto XVI in una nazione a maggioranza ortodossa.

Ricordando il viaggio a Cipro nell'allocuzione alla Curia romana, il 20 dicembre 2010, il Papa ha significativamente affermato:  "Rimane indimenticabile l'ospitalità della Chiesa ortodossa che abbiamo potuto sperimentare con grande gratitudine. Anche se la piena comunione non ci è ancora donata, abbiamo tuttavia constatato con gioia che la forma basilare della Chiesa antica ci unisce profondamente gli uni con gli altri:  il ministero sacramentale dei Vescovi come portatore della tradizione apostolica, la lettura della Scrittura secondo l'ermeneutica della Regula fidei, la comprensione della Scrittura nell'unità multiforme incentrata su Cristo sviluppatasi grazie all'ispirazione di Dio e, infine, la fede nella centralità dell'Eucaristia nella vita della Chiesa".

Le buone relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa hanno favorito anche incontri e dialoghi a livello locale. Si pensi, solo per fare un esempio, al ii Forum cattolico-ortodosso sul tema "Rapporti Chiesa-Stato:  prospettive teologiche e storiche", promosso dalle Conferenze episcopali cattoliche d'Europa e da rappresentanti delle Chiese ortodosse presenti in Europa e svoltosi nell'ottobre scorso nell'isola di Rodi, grazie alla generosa ospitalità del Patriarcato ecumenico. Il lavori del Forum hanno contribuito a far prendere coscienza delle convergenze già esistenti su questioni sociali ed etiche di importanza cruciale per il presente e il futuro dell'Europa e dell'umanità e dell'importanza di un impegno comune per rivitalizzare il patrimonio dei valori cristiani, applicandoli alle esigenze e ai bisogni attuali della società europea. Basandosi sulla grande vicinanza delle rispettive dottrine morali e sociali è sin da ora possibile, ed è fortemente auspicabile, che cattolici e ortodossi intraprendano insieme progetti concreti di collaborazione per il sostegno dei valori di ispirazione cristiana che costituiscono la matrice della civiltà e della cultura europee.

La ricerca della piena comunione tra le due Chiese, che è lo scopo ultimo al quale il dialogo teologico è finalizzato, in questi ultimi tempi ha trovato un nuovo stimolo nella consapevolezza comune di dover affrontare insieme le urgenti sfide poste dall'odierna società secolarizzata, a volte ostile al messaggio cristiano. Nel messaggio rivolto al Patriarca ecumenico, Bartolomeo, in occasione della festa di sant'Andrea, lo scorso 30 novembre, Benedetto XVI ha affermato:  "In un mondo segnato da una crescente interdipendenza e solidarietà, siamo chiamati a proclamare con rinnovata convinzione la verità del Vangelo e a presentare il Signore Risorto come la risposta alle più profonde domande e aspirazioni spirituali degli uomini e delle donne di oggi. Per poter riuscire in questo grande compito, dobbiamo continuare a progredire sul cammino verso la piena comunione, mostrando di avere già unito i nostri sforzi per una comune testimonianza al Vangelo di fronte agli uomini del nostro tempo". Con questa convinzione, la Chiesa cattolica prosegue, in dialogo con la Chiesa ortodossa, il suo impegno per la restaurazione della piena unità visibile fra tutti i credenti in Cristo.



(©L'Osservatore Romano - 20 gennaio 2011)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
20/01/2011 18:44
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Le crescenti relazioni tra la Chiesa cattolica e gli ortodossi dei Paesi slavi

A piccoli passi
verso l'unità



di Milan Zust
Pontificio Consiglio
per la Promozione dell'Unità dei Cristiani

Nel dialogo tra cattolici e ortodossi non si tratta semplicemente di aspettare grandi eventi, come l'incontro del Papa con l'uno o l'altro patriarca, sebbene tali circostanze siano certamente proficue, se ben preparate. Spesso, nel cammino verso una sempre maggiore comunione tra i discepoli di Cristo, contano molto di più i piccoli passi, gli scambi a vari livelli, che pian piano ci avvicinano, ci aiutano a conoscerci meglio, a rispettarci di più e a liberarci dai numerosi pregiudizi accumulatisi nel corso dei secoli.

Nell'anno appena trascorso sono stati compiuti molti passi avanti con diverse Chiese ortodosse, in modo particolare con la Chiesa ortodossa russa e con la Chiesa ortodossa serba. Non è il caso di enumerare tutti gli incontri che hanno avuto luogo, che sono stati tanti e a diversi livelli. Da una parte, se è vero che ricordarli servirebbe a sfatare il luogo comune secondo il quale "non succede mai niente", "siamo sempre allo stesso punto" e addirittura "si regredisce", dall'altra è forse preferibile che non se ne parli troppo, perché a volte le situazioni maturano meglio se lontane dalla spettacolarizzazione dei mass media e dalle speculazioni. Vogliamo comunque menzionare alcuni tra gli eventi più rilevanti per dimostrare che, malgrado tutto, qualcosa si muove.

In particolare, possiamo menzionare l'iniziativa delle Giornate della cultura e della spiritualità russa in Vaticano, promossa dallo stesso Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, Kirill, tramite il metropolita di Volokolamsk, Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, e organizzata congiuntamente dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e dal Pontificio Consiglio della Cultura. Nei giorni 19 e 20 maggio 2010 si sono svolti a Roma due importanti eventi:  un simposio sul tema "Cattolici e ortodossi oggi in Europa.

Le radici cristiane e il comune patrimonio culturale d'Oriente e Occidente", presso la chiesa russa di Santa Caterina, e un concerto di musica sacra russa, alla presenza di Benedetto XVI, nell'aula Paolo vi. Il metropolita Hilarion, che nei giorni precedenti aveva visitato diverse città italiane e i rispettivi gerarchi cattolici, ha potuto incontrare anche alcuni capi di dicastero della Santa Sede. Gli eventi menzionati sono stati occasione di ulteriore scambio e hanno permesso di approfondire la conoscenza di alcuni aspetti della cultura e della spiritualità russa.

Vanno poi menzionate le visite di gerarchi del Patriarcato di Mosca, in modo particolare del metropolita Hilarion, in Paesi a maggioranza cattolica, come anche di vescovi cattolici in Russia e in Ucraina, oltre ai pellegrinaggi, sempre più numerosi. Aumentano inoltre le possibilità di incontro tra i sacerdoti e i fedeli cattolici e ortodossi a causa della crescente emigrazione, anche in Italia, di cittadini ucraini e moldovi, prevalentemente ortodossi. Il fenomeno dell'emigrazione, pur comportando innegabili difficoltà, favorisce la conoscenza e la solidarietà, che permettono un crescente avvicinamento tra cristiani di confessioni diverse.

Un altro aspetto importante che si sta sviluppando è la collaborazione nell'ambito della formazione teologica. Il Patriarca Kirill e il metropolita Hilarion insistono molto sulla necessità di una migliore formazione nelle scuole teologiche e si impegnano a favore sia dello studio nelle istituzioni teologiche cattoliche in Occidente, sia dello scambio tra diverse istituzioni accademiche cattoliche e ortodosse. Sempre più studenti ortodossi studiano nelle università pontificie a Roma e in molte altre città occidentali. Si assiste così a un intensificarsi dei legami tra le istituzioni di formazione teologica cattoliche e ortodosse, che si invitano a vicenda e organizzano insieme convegni. Anche il sottoscritto è stato invitato dallo stesso Hilarion a tenere una lezione sull'impegno ecumenico della Chiesa cattolica - in modo particolare sul lavoro del Pontificio consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani - per gli studenti del Corso di istruzione teologica superiore, dedicato ai santi Cirillo e Metodio, presso il Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne.

Con l'elezione del Patriarca Irinej a guida della Chiesa ortodossa serba, all'inizio dell'anno scorso, anche i rapporti con questa Chiesa, per tanti aspetti già buoni, sono andati intensificandosi. Occasione per un primo incontro a un più alto livello è stata, nel mese di ottobre, l'intronizzazione solenne di Irinej a Pec, in Kosovo, nella sede storica del Patriarca serbo. Insieme a molti altri rappresentanti di Chiese e comunità ecclesiali, ha partecipato all'evento anche il nuovo presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, il cardinale Kurt Koch (allora ancora arcivescovo), accompagnato dal sottoscritto.
 
Nel suo saluto, Koch ha trasmesso un messaggio del Santo Padre, nel quale Benedetto XVI ringraziava il Patriarca per l'apertura dimostrata verso la Chiesa cattolica quando era ancora vescovo di Nis e anche dopo la sua elezione come Patriarca. Il Papa ha espresso il desiderio che le relazioni fraterne e il dialogo teologico possano approfondirsi nella ricerca della comunione in Cristo e nella comune testimonianza della sua opera salvifica al mondo. Koch, a nome del Santo Padre, ha offerto al Patriarca Irinej una patena e un calice come segno di questa ricerca della piena comunione.

Anche le parole del Patriarca, in risposta ai saluti delle diverse delegazioni, sono state molto significative. Irinej ha ringraziato in modo particolare la delegazione cattolica per la sua partecipazione all'evento e, a sua volta, ha auspicato che il dialogo possa procedere con crescente intensità, invitando tutti a fare il possibile affinché si superi la divisione e si arrivi a una maggiore comunione tra i cristiani. Il giorno dopo l'intronizzazione, malgrado gli impegni intensi di quei giorni, il Patriarca di Serbia ha accolto volentieri l'arcivescovo Koch che, prima del suo rientro a Roma, voleva incontrare anche nella sua sede a Belgrado per un colloquio fraterno. Le due parti hanno espresso la ferma volontà di cementare relazioni, dialogo e collaborazione.

Abbiamo menzionato solo alcuni tra gli aspetti più significativi relativi a due Chiese ortodosse slave, senza con ciò voler negare o diminuire l'importanza di tanti altri eventi e incontri con queste e con altre Chiese ortodosse dei Paesi slavi. Pur guardando a tali sviluppi con gratitudine e soddisfazione, è bene non scordarsi comunque che il cammino da fare sarà ancora molto lungo e faticoso. È infatti utile riconoscere che non ha senso aspettarsi svolte spettacolari nel dialogo o che si possa giungere a una piena comunione senza essere disposti a impegnarsi di più, ciascuno a suo modo e secondo le proprie capacità e possibilità. Mille anni di separazione non possono essere superati velocemente e facilmente. Occorre un impegno costante, quotidiano, ed è necessario imparare a portare il peso di un dialogo perseverante e paziente, sostenuto da relazioni personali improntate al rispetto e alla fiducia reciproci. A causa di tanti pregiudizi accumulatisi nei secoli, i rapporti con i cristiani di altre confessioni richiedono costanza e fedeltà, per non parlare di pazienza e umiltà nel superamento delle incomprensioni che si creano cammin facendo.

Spesso i rapporti personali sono comunque anche ecclesiali, poiché tutti apparteniamo a Chiese concrete, ciascuno secondo la propria vocazione. Per questo è importante che l'impegno a favore della comunione inter-ecclesiale sia vissuto a tutti livelli della Chiesa; solo così esso creerà un'atmosfera propizia al dialogo teologico e porterà i frutti desiderati. E per onestà dobbiamo anche riconoscere che, malgrado un certo fervore per il dialogo ecumenico che i cattolici hanno vissuto dopo il concilio Vaticano ii, oggi vi è l'impressione non solo che questo interesse sia diminuito, ma che sia più difficile trovare sia i mezzi per sostenere tale impegno sia le persone che si dedicano pienamente e professionalmente a questa missione della Chiesa.

D'altro canto, a quanti hanno già gustato la soavità del profumo di Cristo nelle relazioni personali e d'amicizia con i fedeli delle Chiese ortodosse, il permanere della divisione e l'impossibilità di partecipare insieme allo stesso pane eucaristico continua a provocare un grande dolore:  infatti, ci si rispetta, ci si conosce sempre di più, si condividono tante cose, si sta insieme attorno allo stesso tavolo, da fratelli o da amici, eppure non si può ancora bere dallo stesso calice eucaristico. Se prendiamo veramente atto di questa situazione, la realtà della divisione fa male e non può lasciarci indifferenti. Ma se questo dolore lo portiamo con Cristo, uniti sempre più al suo salvifico mistero pasquale, possiamo sperare che la compassione produrrà frutti sempre maggiori di comunione a un più alto livello.

Questo accadrà, soprattutto, attraverso il pentimento e il perdono, poiché è proprio il peccato la causa più profonda delle divisioni tra le persone e, di conseguenza, tra le Chiese. Grazie all'amore misericordioso ricevuto da Cristo, ciascuno potrà riconoscere la propria parte di responsabilità nella divisione e chiedere perdono e perdonare gli altri. Che il Signore ci aiuti in questo cammino di riconciliazione interiore e spirituale, cammino privilegiato verso la piena comunione tra i cristiani.



(©L'Osservatore Romano - 21 gennaio 2010)

[SM=g1740733]

(vera) Preghiera per l'Unità dei Cristiani



Grazie ad una lettrice che ce l'ha segnalata.
Queste sì che sono vere ed efficaci preghiere per l'Unità dei Cristiani (intesi tutti Cattolici).
Non quelle vaghe e melense prosopopee lette o recitate (magari con accompagnamento musicale stile 'niueg', alla presenza di pastori, pastore, predicatori, ecc,.

La SETTIMANA di Preghiera per l'Unità dei Cristiani e' una pia pratica, inizata nel 1909 (lo scorso anno il centenario e' passato sotto silenzio) dal Padre Paolo Francesco Watson (+1940), protestante convertito. Le intenzioni, cosi' come erano concepite nello spirito originario sono le seguenti:

PRIMO GIORNO 18 gennaio, Cattedra di San Pietro in Roma. Pregare per la conversione di tutti coloro che sono nell'errore.

SECONDO GIORNO 19 gennaio, Pregare per la conversione di tutti gli scismatici

TERZO GIORNO 20 gennaio, Apparizione all'ebreo Ratisbonne. Pregare per la conversione dei Luterani e dei protestanti d'Europa in genere.

QUARTO GIORNO 21 gennaio, Sant'Agnese, Pregare per la conversione degli Anglicani

QUINTO GIORNO 22 gennaio, Pregare per la conversione dei protestanti d'America.

SESTO GIORNO 23 gennaio. Pregare per la conversione dei cattolici non piu'praticanti

SETTIMO GIORNO 24 gennaio. Pregare per la conversione degli Ebrei.

OTTAVO ed Ultimo giorno 25 gennaio Conversione di San Paolo. Pregare per la conversione degli islamici e di tutti i pagani.

Tra le preghiere tradizionalmente approvate per tale pratica, figura laseguente

CORONCINA per l'Unita'Ci si serva di una comune corona del Rosario

- Deus, in auditorium intende,Domine ad adiuvandum me festina
- Gloria Patri

- Sui grani del Padre Nostro recitare : "Sacro Cuore di Gesu'. abbiate pieta'di noi e dei nostri fratelli avvolti nelle tenebre dell'errore".

- Sui granidell'Ave Maria recitare: "Venga, o Signore Gesu', il tuo Regno, nell'unita'della Chiesa, per mezzo della tua Santa Madre".

- Si concluda con: "Vergine Immacolata, Voi che per singolare privilegio di grazia fostepreservata dalla colpa originale, guardate pietosa ai nostri fratellidissidenti, che sono pure figli vostri. Non pochi di loro, benche' separati,conservano un qualche culto per Voi. E Voi, generosa qual siete,ricompensateli, impetrando a loro la grazia della conversione. Vittoriosa qual siete, dell'infernale serpe, fin dal principio della vostra esistenza, rinnovate, ora che piu' stringe la necessita', gli antichi tionfi, glorificate il Figlio vostro, riconducendo le pecorelle smarrite all'unicoovile, sotto la guida del Pastore universale, e sia vostra gloria, o Vergines terminatrice di tutti gli errori, aver riportato cosi' la pace in tutto ilmondo cristiano. Amen.

- Salve Regina

- Ut omnes errantes ad unitatem Ecclesiae revocare et infideles universos adEvangelii lumen perducere digneris: te rogamus, Domine, audi nosRegina Sacratissimi Rosarii, ora pro nobis


[Modificato da Caterina63 19/01/2012 09:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
19/01/2012 09:46
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


Il tema del primato al centro del dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa

Non per galateo
ma per obbedienza all'unico Signore

di ANDREA PALMIERI
Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani

Il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa prosegue il suo cammino nel contesto di una fitta trama di rapporti personali e istituzionali, che, nell'anno da poco trascorso, hanno conosciuto un ulteriore sviluppo e una nuova profondità.

Si tratta del dialogo della vita che comprende visite fraterne, come, a esempio, quella dell'arcivescovo di Nea Giustiniana e tutta Cipro Chrysostomos II a Papa Benedetto XVI che ha avuto luogo lo scorso marzo, ma anche scambi di delegazioni, collaborazioni in diversi campi, contatti epistolari. Tutto ciò, lungi dall'essere espressione di un semplice "galateo" ecumenico, contribuisce in maniera efficace alla formazione di una più matura interiorità dei singoli, ma anche delle stesse Chiese, in quanto si superano le antiche barriere e i vecchi pregiudizi.

Un momento di particolare visibilità del progresso di queste relazioni fraterne è stato la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, celebrata ad Assisi il 27 ottobre scorso. La presenza di numerosi rappresentanti provenienti da altre Chiese e comunità ecclesiali - tra i quali, per quanto riguarda le Chiese ortodosse, vi erano il Patriarca ecumenico Bartolomeo, l'arcivescovo di Tirana e tutta l'Albania, e delegati dei patriarcati di Alessandria, Antiochia, Mosca, Serbia, Romania e delle Chiese ortodosse di Cipro e Polonia - ha manifestato in maniera visibile la comune preoccupazione per le sorti dell'umanità.

Il potere testimoniare insieme il proprio anelito per la pace e la giustizia nel mondo, in questi tempi difficili nei quali per molti aspetti regnano la frammentazione e l'individualismo, rappresenta una conquista del movimento ecumenico, che nella sua espressione più profonda è obbedienza all'unico Signore. In questo contesto, il dialogo teologico, condotto dalla Commissione mista internazionale, ha ripreso il suo lavoro attraverso le strutture di cui tradizionalmente si avvale, quali le sottocommissioni e il comitato di coordinamento, con l'intento di superare gli ostacoli emersi nel corso della sessione plenaria di Vienna.

La sessione plenaria di Vienna (2010) era stata dedicata allo studio, già avviato nel precedente incontro di Cipro (2009), della questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio, sulla base di un testo elaborato dal Comitato misto di coordinamento nel 2008. Con questo testo si intendeva proseguire la riflessione sul tema del primato nella Chiesa universale, inaugurata con la sessione plenaria di Ravenna (2007). In quella sede, la Commissione aveva approvato e pubblicato un documento dal titolo Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità, nel quale cattolici e ortodossi affermavano insieme, per la prima volta, la necessità di un primato al livello di Chiesa universale e concordavano sul fatto che questo primato spettava alla sede di Roma e al suo vescovo, mentre riconoscevano ancora aperta la questione relativa al modo di comprendere e all'esercizio di questo primato, nonché ai fondamenti scritturistici e teologici.

Sulla base di quanto affermato nel documento di Ravenna, la Commissione aveva elaborato un progetto di lavoro, secondo il quale l'attenzione si sarebbe concentrata innanzitutto sul primo millennio quando i cristiani di Oriente e Occidente erano uniti. Il Comitato misto di coordinamento aveva quindi redatto una bozza di documento, che, seguendo una metodologia prevalentemente storica, prendeva in considerazione una serie d'eventi e di fonti patristiche e canoniche che mostravano che, nel periodo in oggetto, la Chiesa di Roma aveva un posto distinto tra le Chiese e aveva esercitato una particolare influenza in materia dottrinale, disciplinare e liturgica.

Tuttavia, al termine della sessione plenaria di Vienna, malgrado l'impegno profuso, non era stato possibile trovare un accordo per la pubblicazione di un documento comune. Alcuni membri ortodossi consideravano il testo in esame sbilanciato verso la posizione cattolica in quanto privo di riferimenti alle altri grandi sedi ecclesiastiche della Chiesa antica e al loro ruolo nei Concili ecumenici. Altri esprimevano la loro perplessità di fronte alla possibilità di approvare un testo di carattere essenzialmente storico da parte di una commissione teologica. Dopo una lunga discussione, la delegazione cattolica accettò la proposta di considerare il testo come uno strumento di lavoro da utilizzare per le successive tappe del dialogo.

Animati dalla ferma volontà di continuare il dialogo sulla strada aperta dal documento di Ravenna, i membri della Commissione decidevano di affidare a una sottocommissione il compito di preparare la bozza di un nuovo documento da sottoporre in seguito allo studio del Comitato di coordinamento, in vista di una futura sessione plenaria da convocare appena possibile. In particolare, si stabiliva che il nuovo testo dovesse prendere in considerazione il tema del primato nel contesto della sinodalità da una prospettiva più marcatamente teologica.

Facendo seguito a queste decisioni, una sottocommissione mista si è riunita dal 13 al 17 giugno 2011 a Rethymno (Creta, Grecia) su invito del metropolita ortodosso del luogo, Eugenios. Alla riunione, presieduta dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e dal metropolita di Pergamo Ioannis (Zizioulas), del Patriarcato ecumenico, erano presenti sei rappresentanti cattolici e quattro ortodossi provenienti da diverse Chiese autocefale (Patriarcato ecumenico, Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Serbia, Chiesa di Cipro).

All'inizio dell'incontro, un cattolico e un ortodosso hanno presentato testi che esprimevano il loro rispettivo punto di vista sul tema del rapporto teologico ed ecclesiologico tra primato e sinodalità. Di fatto, però, i due testi seguivano una differente metodologia: quello cattolico, facendo ampio riferimento alla storia della teologia, presentava la dottrina cattolica del primato nel quadro dell'ecclesiologia eucaristica; quello ortodosso, partendo da un approccio sistematico-speculativo del mistero trinitario, cristologico ed eucaristico, si proponeva di spiegare la necessità di un primato a livello universale da esercitare nel contesto della sinodalità. Si rivelava, pertanto, particolarmente ardua l'impresa di preparare un testo comune condiviso. Per evitare che la riunione si concludesse senza portare a termine il compito affidato, la sottocommissione decideva di utilizzare come base della discussione il testo proposto dagli ortodossi, proponendo degli emendamenti per ampliarne la prospettiva. Si riusciva in tal modo a produrre un testo da sottoporre allo studio del Comitato misto di coordinamento.

La riunione del Comitato misto di coordinamento ha avuto luogo a Roma dal 21 al 26 novembre 2011. Tale organismo era composto da nove membri cattolici e da nove ortodossi (Patriarcato ecumenico, Patriarcato di Alessandria, Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Serbia, Patriarcato di Romania, Chiesa di Cipro, Chiesa di Grecia) sotto la presidenza del cardinale Koch e del metropolita Ioannis. Nel corso della riunione i lavori sono proceduti molto lentamente. L'impostazione sistematico-speculativa della bozza del documento, ereditata dal testo preparatorio proposto dalla parte ortodossa, suscitava non poche riserve in alcuni membri cattolici. A questo si aggiungeva il fatto che non tutti i membri ortodossi si riconoscevano in ciò che nel documento in esame veniva presentato come la posizione ortodossa sul primato al livello della Chiesa universale, rendendo complicato per i cattolici comprendere il punto di vista ortodosso. A motivo di queste difficoltà, il Comitato di coordinamento non ha potuto completare lo studio della bozza di documento, ma ha fissato un nuovo incontro per il prossimo anno al fine di proseguire la revisione del documento, chiedendo nel frattempo a un piccolo gruppo di redazione di riscrivere alcuni paragrafi problematici.

Un caloroso invito a proseguire sulla strada del dialogo con fiduciosa speranza, malgrado la consapevolezza delle difficoltà del momento, è stato espresso da Papa Benedetto XVI, nel discorso pronunciato davanti ai membri della delegazione del Patriarcato ecumenico in visita a Roma per la festa dei santi Pietro e Paolo, lo scorso giugno: "Seguiamo con grande attenzione il lavoro della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme.

A uno sguardo puramente umano, si potrebbe essere presi dall'impressione che il dialogo teologico fatichi a procedere. In realtà, il ritmo del dialogo è legato alla complessità dei temi in discussione, che esigono uno straordinario impegno di studio, di riflessione e di apertura reciproca. Siamo chiamati a continuare insieme nella carità questo cammino, invocando dallo Spirito Santo luce e ispirazione, nella certezza che egli vuole condurci al pieno compimento della volontà di Cristo: che tutti siano uno (Giovanni, 17, 21)". A sua volta, il Patriarca ecumenico Bartolomeo, rivolgendosi alla delegazione della Santa Sede in visita a Costantinopoli in occasione della festa di sant'Andrea, il 30 novembre scorso, tra le altre cose affermava: "Il lavoro di questa Commissione è lungi dall'essere semplice, poiché i problemi che si sono accumulati nel corso di molti secoli, in seguito al reciproco estraniamento e talvolta alla disputa tra le due Chiese, esigono uno studio e una riflessione attenti. Tuttavia, con la guida del Consolatore, con buona volontà da entrambe le parti e il riconoscimento del nostro dovere dinanzi al Signore e agli uomini, si arriverà agli esiti auspicati, quando il Padrone della vigna lo riterrà opportuno".

Nel corso del 2011, dunque, il superamento degli ostacoli incontrati nella plenaria di Vienna è riuscito solo in parte. Il raggiungimento di un consenso condiviso tra cattolici e ortodossi sulla cruciale questione del primato al livello della Chiesa universale richiede ancora molto impegno da parte della Commissione mista. Alla complessità del tema che è stato per secoli al centro del contenzioso tra la Chiese di Oriente e di Occidente, si aggiunge la necessità di una laboriosa riflessione sulla metodologia con cui si tratta l'argomento. La consapevolezza delle differenze che si sono sviluppate nel corso dei secoli, che sembrano riguardare il modo stesso di fare teologia, non deve tuttavia far dimenticare che cattolici e ortodossi condividono la preziosa eredità del patrimonio di fede e delle discipline ecclesiastiche della Chiesa del primo millennio.

In maniera significativa, il Santo Padre, incontrando i rappresentanti delle Chiese ortodosse e orientali ortodosse presenti in Germania, durante il viaggio apostolico in quella nazione il 24 settembre 2011, affermava: "Senza dubbio, fra le Chiese e le comunità cristiane, l'Ortodossia, teologicamente, è la più vicina a noi; cattolici ed ortodossi hanno conservato la medesima struttura della Chiesa delle origini; in questo senso tutti noi siamo "Chiesa delle origini", che tuttavia è sempre presente e nuova. E così osiamo sperare, anche se da un punto di vista umano emergono ripetutamente difficoltà, che non sia troppo lontano il giorno in cui potremo di nuovo celebrare insieme l'Eucaristia".

È con questa convinzione che cattolici e ortodossi devono continuare il dialogo teologico per chiarire le differenze teologiche il cui superamento è indispensabile per il ristabilimento della piena unità, che è la meta per la quale si sta lavorando. Si tratta, come si è visto, di un impegno che in questo momento non sembra facile, ma che è irrinunciabile perché corrisponde alla volontà di Dio, nella fondata speranza che lo Spirito Santo, secondo i suoi imperscrutabili disegni, porterà a compimento.



(©L'Osservatore Romano 19 gennaio 2012)


[SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
29/07/2012 18:02
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

PRIMATO DEL VESCOVO DI ROMA. Dialogo tra ortodossi e cattolici

Il non protagonismo aiuta l’ecumenismo


Intervista con il domenicano Charles Morerod, 6.7.2010 su 30giorni, segretario generale della Commissione teologica internazionale e rettore della Pontificia Università San Tommaso: «I rappresentanti di diverse Chiese ortodosse hanno grande stima di Benedetto XVI perché è un papa che non mette davanti sé stesso e ripete solo quello che ha ricevuto. E un papa che, esercitando il proprio ministero, si concentra sull’essenziale è destinato a piacere di più agli ortodossi»


Intervista con Charles Morerod di Gianni Valente

Prossimo appuntamento a Vienna. I membri della Commissione internazionale congiunta per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa si sono dati appuntamento nella capitale austriaca, il prossimo 20 settembre, per continuare la riflessione comune sul tema che da secoli rappresenta una pietra d’inciampo nei rapporti tra cattolicesimo e ortodossia: il primato universale del vescovo di Roma.
La base della discussione è il documento intitolato “Il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio”, che già è stato al centro della precedente sessione plenaria della Commissione mista, svoltasi a Cipro lo scorso ottobre. Il testo, filtrato sui media nei mesi scorsi, rappresenta solo una bozza di lavoro. I nodi sono ancora tutti da sciogliere.

30Giorni li ha presi in esame conversando con il domenicano Charles Morerod, segretario generale della Commissione teologica internazionale, rettore della Pontificia Università San Tommaso e, dal 2005, membro della Commissione mista di dialogo teologico con gli ortodossi.

Charles Morerod

Charles Morerod

Qual è, a grandi linee, la road map che seguite nei vostri lavori? E quali sono i passi di avvicinamento alla meta?

CHARLES MOREROD: Il primo passo, concretizzatosi nel documento sottoscritto a Ravenna tre anni fa, è per verificare se esiste a livello teorico una definizione di primato universale che possa essere accolta anche dai sinodi ortodossi. Loro abitualmente riconoscono che il vescovo di Roma è primus inter pares. Il documento di Ravenna ha fatto emergere un consenso notevole sul senso in cui i vescovi sono pares, mostrando che non lo sono da ogni punto di vista, neanche all’interno delle Chiese ortodosse. A livello regionale o “patriarcale” alcuni vescovi hanno un ruolo più importante, un primato, anche se sacramentalmente tutti sono ugualmente vescovi. A partire dall’incontro avvenuto lo scorso settembre a Cipro, si cerca di verificare se questa strada possa servire a capire insieme il ruolo del vescovo di Roma. In pratica, si cerca di vedere se e come si possa applicare a livello universale quel che è già stato detto su un certo “primato” regionale. E si procede in questo tentativo confrontandosi coi dati storici e con le considerazioni teologiche registrati e emersi nel primo millennio, durante il periodo antecedente lo scisma.

In pratica, la linea-guida è chiara: guardare al precedente, e riattualizzarlo nei nuovi contesti. E cosa emerge, nei tratti essenziali?

MOREROD: Emerge che in Oriente e Occidente già nel primo millennio ci sono comprensioni diverse del ruolo del vescovo di Roma. Sul piano dei fatti, a quel tempo, si registra un consenso chiaro su una serie di punti: Roma viene riconosciuta come Prima Sedes, e la Sede romana viene percepita come un riferimento per la soluzione dei conflitti. Tutti vedono che in alcuni momenti il vescovo di Roma è intervenuto in modo assai decisivo, per esempio col cosiddetto Tomus Leonis di papa Leone I al patriarca di Costantinopoli, nel 449 (che aprì la strada alla definizione cristologica del Concilio di Calcedonia, nel 451). È vero che i vescovi d’Oriente e d’Occidente non concordano sul significato da attribuire a tali interventi. E questo lo si vede già nel Concilio di Calcedonia: il Papa non approva il canone 28 del Concilio – quello che definisce la giurisdizione di Costantinopoli come Nuova Roma –, accettato subito dai greci. Eppure le differenze non arrivavano comunque a rompere la comunione. Noi, come prima cosa, dobbiamo verificare se tale prospettiva – quella di una diversità che non arriva a rompere la comunione sacramentale – può essere presa a modello per ritrovare oggi la piena unità.

«Dove c’è l’eucaristia c’è la Chiesa», diceva il teologo russo Nicolai Afanasieff. Gli ortodossi ripetono che per affrontare correttamente la controversia sul primato occorre prima riconoscere che ogni Chiesa particolare che si raccoglie intorno al proprio vescovo per celebrare validamente l’eucaristia è Chiesa in senso pieno. Ma da parte cattolica c’è forse un rifiuto di questo criterio?

MOREROD: Certo, dove c’è l’eucaristia lì c’è la Chiesa. Ma, dal punto di vista cattolico, manca qualcosa alla comunione quando non c’è piena comunione col vescovo di Roma. Il Concilio Vaticano II dice: «Uno è costituito membro del corpo episcopale in virtù della consacrazione sacramentale e mediante la comunione gerarchica col capo del collegio e con i membri» (costituzione Lumen gentium, § 22). Uno diventa vescovo con l’ordinazione episcopale, non con la nomina papale: la dimensione sacramentale è la più fondamentale e l’unica indispensabile. Ma senza comunione col vescovo di Roma l’inserzione del vescovo nel collegio episcopale – e dunque il suo ruolo nella Chiesa universale – è incompleta.

Il documento prende atto che la crescente insistenza della Sede romana a definire il proprio primato in virtù del proprio legame con san Pietro, vissuto, morto e sepolto nell’Urbe, non venne mai condivisa, ma all’inizio nemmeno esplicitamente respinta o confutata dalle Chiese d’Oriente. Si ripete che lì prevaleva la concezione secondo cui tutti i vescovi sono successori di Pietro, e partecipano del suo primato, nella misura in cui esercitano il proprio ministero nella comune fede degli apostoli. Ma è corretto dire che questa concezione è estranea alla dottrina cattolica?

MOREROD: Gli ortodossi riconoscono che il papa è il vescovo di una Chiesa fondata da Pietro, e questo è importante per loro. Riconoscono anche che il vescovo della Chiesa petrina di Roma è superiore per ruolo al patriarca d’Antiochia, benché quella Chiesa sia stata fondata da Pietro prima della Chiesa di Roma. Ma vedono il ruolo della Chiesa di Roma piuttosto alla luce del ruolo politico della città nell’Impero romano: per lo stesso motivo giustificano il ruolo di Costantinopoli, pur aggiungendo il riferimento alla figura di sant’Andrea (quindi mantengono insieme l’importanza della città e il ruolo d’un apostolo). Per i cattolici il legame tra i due aspetti si articola in altro modo. Il vescovo di Roma ha un primato perché è in un modo unico il successore del principe degli apostoli, la cui figura è unica fra gli apostoli nel Nuovo Testamento. L’importanza politica di Roma nel primo secolo è probabilmente il motivo per il quale Pietro e Paolo ci sono venuti, ma non è il motivo del ruolo attuale del vescovo di Roma fra tutti i vescovi.

<I>L’ultima cena</I>, affresco del XII secolo, Karanlik Kilise, Göreme, Cappadocia, Turchia

L’ultima cena, affresco del XII secolo, Karanlik Kilise, Göreme, Cappadocia, Turchia

Il vescovo russo Hilarion, in un suo intervento del 2004, cita Simeone di Tessalonica: «Che il papa dimostri soltanto che è fedele alla fede di Pietro, e dei successori di Pietro; in tal caso, che abbia pure tutte le prerogative di Pietro, che sia il primo, il capo e il pontefice di tutti». Ma forse questo non vale anche dal punto di vista cattolico?

MOREROD: Questo vale per tutti i cristiani, e su questo in qualche modo siamo tutti d’accordo. Il punto di partenza della fede di ogni cristiano non è il fatto di stare con il papa. Il punto di partenza è l’incontro con Gesù, come scrive Benedetto XVI nell’inizio dell’enciclica Spe salvi. E ogni cristiano, se è davvero tale, non fa che rimanere nella stessa fede di Pietro e degli apostoli. Ma da cattolici si può aggiungere una domanda: come sapere se si condivide la stessa fede degli apostoli? Ci sono criteri “sperimentali”, come quello di verificare la corrispondenza fra quel che qualcuno dice oggi e quello che è scritto nel Nuovo Testamento, o quel che dicevano i primi Concili, i Padri della Chiesa, e così via. Ma a volte tale corrispondenza è oggetto di discussione. Proprio in tali casi, i cattolici ritengono che essere con il papa è «una grande fortuna e consolazione», come disse Paolo VI.

Quando lo disse?

MOREROD: Il 22 gennaio 1964, proprio durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: «Se voi avete l’intelligenza di questo grande problema della ricomposizione dei cristiani nell’unità voluta da Cristo, se avete la percezione della sua importanza e della sua maturazione storica, sentirete salire dal fondo della vostra anima una meravigliosa e precisa testimonianza di quella sicurezza cattolica, che vi dirà interiormente: io sono già nell’unità voluta da Cristo, sono già dentro il suo ovile, perché sono cattolico, perché sono con Pietro. È una grande fortuna, è una grande consolazione; cattolici, sappiate goderla. Fedeli, abbiate coscienza di codesta privilegiata posizione, dovuta certamente, non al merito di alcuno, ma alla bontà di Dio, che a sorte tanto felice ci ha chiamati».

Hilarion, nello stesso intervento, faceva notare che proprio l’unità sostanziale di fede custodita dalle Chiese ortodosse in assenza di una struttura giuridica piramidale rende più evidente che tale unità è un miracolo del Signore.

MOREROD: È bello vedere la permanenza della fede come avviene nella Chiesa ortodossa. Ma non si può dire che quelle ortodosse siano Chiese senza struttura. Questo forse lo possono dire i pentecostali, non gli ortodossi, i quali hanno una struttura molto robusta, che mantengono come tale da secoli. D’altro canto, nemmeno la Chiesa cattolica giustifica la propria perduranza in forza della propria struttura. Nessuno può credere che la sorgente dell’unità sia il “potere centrale” del papa. In realtà possiamo dire anche noi cattolici quel che possono dire gli ortodossi sulla struttura e sull’aspetto miracoloso del trasmettersi della fede nella Chiesa attraverso i secoli. Non serve contrapporre dialetticamente le strutture e i miracoli operati dallo Spirito Santo. E invece è essenziale riconoscere che nessuna autorità nella Chiesa si auto-pone. La Chiesa stessa non si auto-pone. Non la pongono nella storia nemmeno gli apostoli, in forza della loro testimonianza. Essa inizia con gli apostoli solo perché loro hanno visto Cristo, lo hanno incontrato e hanno vissuto con Lui risorto.

Sempre Hilarion (e con lui gli ortodossi) sostiene che l’infallibilità come formulata dal Concilio Vaticano I pone il papa sopra la Chiesa. Con l’infallibilità gli atti papali si pongono come atti immodificabili «a causa dell’autorità propria e indipendentemente dall’approvazione ecclesiale». Davvero le cose stanno così?

MOREROD: Capisco perché si esprime così: si riferisce al Concilio Vaticano I, secondo cui una definizione del papa – quando parla infallibilmente – è valida per autorità propria e non a causa del consenso della Chiesa. Ma quando ciò accade, il papa si limita a esprimere in questo modo la fede della Chiesa. E questa fede non è mai l’esito di un sondaggio d’opinioni per far prevalere la maggioranza. Anche gli ortodossi, quando faranno il loro Concilio panortodosso, non pretenderanno di far coincidere la fede con l’opinione della maggioranza. Espressioni molto chiare e comprensibili su questo punto sono state scritte nel documento sul dono dell’autorità, elaborato dalla Commissione di dialogo fra cattolici e anglicani nel 1998.

Nientemeno.


MOREROD: In quel documento c’è scritto che «ogni definizione solenne pronunciata dalla cattedra di Pietro nella Chiesa di Pietro e Paolo può esprimere solo la fede della Chiesa». Si riconosce che «il vescovo di Roma in determinate circostanze ha il dovere di discernere e di rendere esplicita la fede di tutti i battezzati in comunione, e questa soltanto», e che questo suo specifico ministero di primate universale è un «dono» che andrebbe «recepito da tutte le Chiese».

Diversi settori dell’ortodossia ancora rappresentano l’esercizio storico del primato del vescovo di Roma come una forma di dominio. Ma un primato esercitato come dominio sarebbe giustificabile secondo la dottrina e il criterio cattolici?


MOREROD: Il primato, come del resto ogni autorità nella Chiesa, non può essere interpretato ed esercitato se non secondo il criterio della caritas che si esprime anche in forma giuridica. Per san Tommaso d’Aquino le virtù sono come riassunte nella carità, l’unica virtù che rimane in cielo. E il primato per sua natura intrinseca va esercitato secondo la caritas. Il titolo di Servus servorum Dei assunto da papa Gregorio Magno esprime questo. Non si tratta di una definizione rituale, di circostanza, di cortesia ecumenica. Il papa serve perché ama. E questo si vede sempre di più, nelle attuali circostanze storiche. Se in passato il papato aveva un prestigio e un potere sociale evidenti, oggi è soprattutto esposto alla critiche.
Benedetto XVI in preghiera con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I davanti al sepolcro dell’apostolo Pietro nelle Grotte Vaticane,  la mattina del 29 giugno 2008 [© Associated Press/LaPresse]

Benedetto XVI in preghiera con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I davanti al sepolcro dell’apostolo Pietro nelle Grotte Vaticane, la mattina del 29 giugno 2008 [© Associated Press/LaPresse]


Nelle riflessioni sull’ecumenismo si cita spesso la cosiddetta “formula Ratzinger”: per ciò che riguarda il primato del papa, Roma deve esigere dalle Chiese ortodosse niente più di ciò che nel primo millennio venne stabilito e vissuto. E che fine fanno le definizioni dogmatiche emerse nel secondo millennio?


MOREROD: I dogmi definiti nella Chiesa cattolica durante il secondo millennio noi li riconosciamo come parte della fede. E non si può immaginare una comunità in piena comunione nella quale alcuni credono che l’Assunzione e l’Immacolata Concezione di Maria fanno parte della fede, e altri no. Ovviamente, a far problema è soprattutto la definizione sull’infallibilità del successore di Pietro. Ma se il dialogo teologico proseguirà, si parlerà anche di questo.

Quale strada è meglio imboccare, su questo punto controverso, per non rimanere incagliati?


MOREROD: Il documento del dialogo cattolico-anglicano che ho citato riconosce che il vescovo di Roma, in particolari circostanze, può esprimere anche da solo la fede di tutta la Chiesa e riconosce questa possibilità come un dono che tutte le Chiese dovrebbero accogliere. Agli ortodossi, come punto di partenza, occorrerebbe mostrare che proprio il Concilio Vaticano I è stato un passo importante verso una retta ricezione dell’infallibilità, limitandone anche drasticamente l’ambito di applicazione. Prima alcuni pensavano che il papa fosse infallibile in molti dei suoi pronunciamenti.

E per le altre definizioni dogmatiche?

MOREROD: Anche in questo può aiutare il confronto con la situazione del primo millennio, quando c’erano differenze e anche tensioni tra la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente, che però non portavano alla divisione. Occorre riconoscere che ci sono modi diversi di esprimere la stessa fede apostolica. Prendiamo l’esempio del Filioque: anche il Papa ha detto a volte il Credo senza il Filioque, lo stesso fanno i cattolici di rito latino in Grecia da alcuni decenni e i cattolici di rito greco dell’Italia meridionale, secondo una prassi riconosciuta da papa Benedetto XIV nel 1742. Questo vuol dire che la stessa fede trinitaria si può confessare con o senza Filioque. E che quindi l’aggiunta del Filioque non comporta una rottura della comunione in tale fede confessata insieme.

A proposito di Benedetto XVI, c’è chi tende a sottolineare una particolare simpatia e attenzione da parte ortodossa verso Benedetto XVI. Lei conferma?


MOREROD: L’ho notato anch’io, incontrando i rappresentanti di diverse Chiese ortodosse. Hanno grande stima di lui, forse anche perché vedono in lui una figura di tipo monastico, e tutti i vescovi ortodossi sono monaci. Inoltre, tra gli altri cristiani è diffusa l’idea erronea che per i cattolici il papa sia tutto. Se il papa non mette avanti sé stesso, se ripete solo quello che ha ricevuto, se rimane un poco nascosto dietro il suo ministero, questo di per sé aiuta l’ecumenismo. Un papa che, esercitando il proprio ministero, ci mette “il meno possibile” di suo e si concentra sull’essenziale è destinato a piacere di più agli ortodossi.

[SM=g1740733]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
04/12/2012 18:47
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

[SM=g1740758] Quei due gemelli diversi… e divisi: Cattolicesimo e Ortodossia. Storia di una fratellanza difficile

bartolomeo (1)

QUEI DUE  GEMELLI DIVERSI… E DIVISI

una storia della fratellanza difficile tra cattolici e ortodossi

 Alla ricerca del “perché” cattolici e ortodossi sono divisi, perché si cercano, perché ogni volta che s’avvicinano sembrano poi respingersi e allontanarsi: perché sono così diversi e così uguali, questi “gemelli eterozigoti”  figli dello stesso Padre e ancor più della stessa Madre.

 

Riconoscendo l’autorità papale, allo stesso modo (e con modalità simili) delle altre Chiese orientali in piena comunione con Roma, i fratelli ortodossi porterebbero in dote alla Chiesa Cattolica una grande ricchezza di riti, tradizioni, santi, testi, ma acquisterebbero quella piena unità, quella piena indipendenza e quella piena autorità, che sole si confanno alla Sposa di Cristo

Andrea Virga

Virga

«Perciò il santo Concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione tra le Chiese orientali e la Chiesa cattolica, a tenere in debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita delle Chiese d’Oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra esse e la Sede di Roma prima della separazione, e a formarsi un equo giudizio su tutte queste cose. Questa regola, ben osservata, contribuirà moltissimo al dialogo che si vuole stabilire.» (Unitatis Redintegratio, § 14)

SEPARATI ALLA NASCITA

Morte del patriarca di tutte le Russie, Alessio II

Per comprendere appieno il rapporto tra il cristianesimo orientale, in particolare quello ortodosso, e il cristianesimo occidentale, in primo luogo il cattolicesimo, è bene ripercorrere la storia di questa separazione. Essa affonda le sue radici già in epoca romana, addirittura prima della Nascita di Cristo. L’Impero Romano era diviso in due grandi aree culturali: una orientale più popolosa, più ricca, di antica civiltà, dove la lingua greca metteva in comunicazione greci, asiatici, siriani, egiziani, arabi, armeni, ecc.; una occidentale più spopolata, più barbarica, di recente colonizzazione romana, dove prevaleva la lingua latina. Nelle metropoli orientali erano emersi i quattro patriarcati di Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme e Alessandria, mentre ad occidente, nella capitale imperiale, Roma, il Papa guidava il Patriarcato d’Occidente. Questa distinzione culturale fu inasprita dalla divisione politica introdotta da Diocleziano e Costantino, e poi divenuta definitiva dopo la morte di Teodosio (395 d.C.).

Qui le strade cominciarono a separarsi: i primi Imperatori cristiani avevano già un grande potere all’interno della Chiesa, al punto da convocare i Concili. Questo potere fu mantenuto dagli Imperatori bizantini, i quali erano in una posizione di superiorità nei confronti del Patriarca di Costantinopoli, che nominavano e destituivano a loro piacimento. (Nel frattempo, Alessandria, Gerusalemme e Antiochia erano caduti in partibus infidelium). Viceversa, nell’Occidente disgregato, era il Papa ad assumere una posizione di autorità nei confronti dei litigiosi sovrani romano-barbarici. Fu sempre il Papa a benedire e consacrare gli Imperatori romano-germanici, a partire da Carlo Magno. D’altro canto, la risorgenza dell’Impero in Occidente apparve sempre a Bisanzio come un’usurpazione bella e buona, più che una translatio imperii. La lotta per l’egemonia formale sull’Ecumene cristiana tra Bisanzio e Roma, portò dopo una serie di fratture, allo scisma definitivo del 1054, con la separazione tra Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse.

QUALCHE ROMA DI TROPPO

Mappa del Grande Scisma d’Oriente

Già pochi decenni dopo, l’Impero bizantino sentì la necessità di ricevere aiuto dall’Occidente per fronteggiare la minaccia dei Turchi, prima Selgiuchidi e poi Ottomani. Fu così che nacquero le Crociate, come spedizioni di soccorso ai Cristiani d’Oriente. Tuttavia, lo spirito di competizione tra gli stessi Crociati e la divisione tra cattolici e ortodossi diedero presto i loro amari frutti. La Quarta Crociata, deviata su Costantinopoli per sostenere un pretendente al trono bizantino, si risolse in un orrendo saccheggio della Roma d’Oriente (1204). Questo evento alienò ogni simpatia verso il cattolicesimo da parte della popolazione ortodossa bizantina. Tant’è che quando al Concilio di Lione del 1274, l’Imperatore Michele VIII acconsentì a sanare lo scisma, venne subito sconfessato dalla sua Chiesa e dal suo popolo. Esito analogo ebbe il Concilio di Firenze del 1439, anch’esso firmato dai legati del Patriarcato d’Oriente, ma rifiutato poi a posteriori. Anzi, in quell’occasione, la Chiesa Russa si distaccò da quella Greca, colpevole di eccessive aperture verso l’Occidente.

Di lì a poco, con la caduta di Costantinopoli, il testimone passò proprio a Mosca, il cui principe, Ivan III, genero dell’ultimo Imperatore bizantino, si proclamò Imperatore (Czar) a sua volta, proclamando la Russia come Terza Roma. Sulla scia dell’espansione russa, anche l’ortodossia si espanse nel mondo slavo e in tutta l’Asia settentrionale, sino alla Cina e all’Alaska. Contemporaneamente il mondo cattolico portava i propri missionari in tutto il mondo, sulla scia del colonialismo europeo. Insomma, le due Chiese presero due direzioni diverse, l’una sempre più legata al mondo slavo orientale e balcanico, l’altra, con la Controriforma e il Concilio tridentino, affermava sempre più la sua vocazione universale.

In questo contesto, si verificò il fenomeno dell’uniatismo, ossia di intere comunità ortodosse che tornavano ad essere in comunione con Roma, e per le quali venivano create nuove Chiese Cattoliche di rito orientale. È il caso ad esempio del Vicino Oriente, a partire dall’epoca delle Crociate, con il Patriarcato latino di Gerusalemme; o della Romania; o ancora della Polonia orientale, dove con l’Unione di Brest (1596), la Chiesa Greco-Cattolica Ucraina tentò di adunare i sudditi ucraini del Commonwealth polacco-lituano, intorno al loro sovrano cattolico. Queste nuove Chiese, specie nell’Europa orientale, entrarono subito in grave contrasto con le Chiese ortodosse d’origine, a cui pretendevano di affiancarsi e sostituirsi, usurpando, agli occhi degli ortodossi, la regolare successione apostolica.

LA PRIMAVERA CONCILIARE DARÀ FRUTTO?

Paolo VI e il patriarca di Costantinopoli Atenagora: si abbracciano nel periodo conciliare. I frutti, esclusi tanti vaniloqui, saranno scarsi.

In epoca moderna (cioè dall’Ottocento), cominciarono a formarsi Chiese Ortodosse anche in Occidente, sia per l’afflusso di emigranti di religione ortodossa nelle Americhe e in Europa occidentale, sia per le sporadiche iniziative di alcuni cristiani locali, che, per diversi motivi, vedevano nel modello ortodosso un’alternativa sia al cattolicesimo che al protestantesimo. Contemporaneamente, il declino e la caduta dell’Impero Ottomano fecero sì che i Cristiani d’Oriente tornassero ad alzare la testa. Un altro forte impulso a questo fenomeno fu dato dalla massiccia emigrazione dovuta all’affermarsi del comunismo in Russia e in altri Paesi orientali. Tutti questi fattori portarono a riallacciare i rapporti tra cattolicesimo e ortodossia e all’instaurarsi di un dialogo ecumenico tra le parti.

Il Concilio Vaticano II diede maggiore impulso a questo processo, con la pubblicazione del documento Unitatis Redintegratio, in cui si affermava che la Chiesa Ortodossa, al di là delle sue particolarità spirituali, teologiche, liturgiche ed ecclesiali, era in comunione, seppure imperfetta, con la Chiesa Cattolica, e che tutti i suoi Sacramenti erano validi. Da parte cattolica, è riconosciuta perciò sia la successione apostolica, sia la possibilità per i fedeli, in caso di necessità, di ricevere i Sacramenti (Eucaristia, Confessione, Estrema Unzione, Matrimonio) da un sacerdote ortodosso. Si tratta quindi di una situazione radicalmente diversa rispetto a quella del protestantesimo, che si fonda su eresie gravi e conclamate.

Anche le scomuniche di 900 anni prima, tra il Papa Paolo VI e il Patriarca di Costantinopoli Atenagora I furono reciprocamente rimesse, il 7 dicembre 1965. Su queste basi, nel 1979, fu creata da Papa Giovanni Paolo II e dal Patriarca Demetrio I, una commissione internazionale che portasse avanti questo dialogo. Da allora, ci sono state dodici sessioni, tenute sia in Paesi ortodossi che in Paesi cattolici. Le più importanti sono state a Balamand, in Libano, nel 1993, poco dopo la caduta dell’URSS, e a Ravenna nel 2007. In quest’occasione, è stata riconosciuta da parte ortodossa, la qualifica di “protos”, ossia “primo”, al Papa, in quanto Patriarca d’Occidente. Questo titolo è stato però lasciato cadere da Benedetto XVI, perché non si equivochi che, da parte cattolica, non si tratta di un mero primato onorifico, ma di un primato d’autorità.

Tuttavia, le discussioni procedono piuttosto a rilento, e risentono di un’ineguale disposizione da parte delle varie Chiese. Ad esempio, mentre il Patriarcato di Costantinopoli, la Chiesa Ortodossa Romena sono piuttosto bendisposti, al di là dei malumori di parte del clero e dei fedeli, lo stesso non si può dire per il Patriarcato di Mosca, e per la Chiesa Ortodossa Serba e Ucraina. Certo, i rappresentati della Chiesa Russo Ortodossa partecipano al dialogo ecumenico, ma restano piuttosto scettici sulla possibilità di una reale conciliazione, diversamente dai greci, il cui attuale Patriarca, Bartolomeo I, in carica dal 1991, si è distinto per la sua buona volontà in questo senso, oltre che per lo sforzo missionario nei confronti delle comunità greco ortodosse in tutto il mondo.

QUEGLI SCHELETRI NEGLI ARMADI DELLE SACRESTIE CROATE

Nella questione Ustashia fra croati e serbi, ci misero il carico da 90 pure alcuni cattolici, a danno degli ortodossi. Una questione spinosa, tutta ancora da studiare.

Sul cammino verso la riunificazione, infatti, si frappongono anche ostacoli di carattere storico-politico, che fanno sì che i rapporti tra la Chiesa Cattolica ed alcune Chiese ortodosse siano difficoltosi. Abbiamo già citato il Sacco di Costantinopoli del 1204, forse il più grave dei vulnus tra Occidente e Oriente. In tempi più recenti, la Chiesa Ortodossa Serba resta pesantemente avversa al Vaticano, per via del ruolo politico di quest’ultimo a favore di una Croazia indipendente e cattolica, sia negli anni ’40 che negli anni ’90. In più,  alcuni cattolici parteciparono al genocidio dei serbi compiuto dagli Ustasha tra 1941 e 1944, e la cui ferocia scandalizzò persino i loro alleati nazionalsocialisti. Alla fine della guerra, la Chiesa croata provvide a mettere in salvo molti di questi criminali.

Un altro caso aperto è quello degli uniati greco-cattolici dell’Ucraina occidentale (Galizia e Volinia). Dopo la spartizione del Regno di Polonia, questa regione fu governata dall’Impero d’Austria, per poi essere assegnata alla Polonia nel primo dopoguerra, dopo l’effimera esistenza dell’Ucraina Occidentale. Quando, nel 1939, questa regione fu invasa e occupata dall’Armata Rossa, la religione cattolica divenne un forte elemento identitario nella resistenza politica contro l’invasore ateo e bolscevico. La guerriglia polacca e nazionalista ucraina continuò a battersi fin per alcuni anni dopo la sconfitta militare dell’Asse. Nel frattempo, Stalin aveva scelto di allentare la morsa sulla Chiesa Ortodossa Russa, per favorire il sentimento patriottico panrusso. Nel 1946, quindi, la Chiesa Greco-Cattolica Ucraina fu messa fuori legge. Oggi, con la caduta dell’URSS, questa stessa regione è diventata il fulcro dei movimenti ultranazionalisti, perpetuando lo scontro tra una maggioranza ortodossa filorussa e una minoranza cattolica uniate in ampia parte occidentalista e antirussa.

Anche in Russia, la Chiesa Cattolica è conseguentemente incolpata dalla Chiesa Ortodossa locale e da parte della popolazione russa di giocare un ruolo geopolitico a favore dell’Occidente liberale a egemonia statunitense. Negli ultimi vent’anni, la Chiesa cattolica, la cui presenza precedentemente era limitata alle minoranze etniche polacche o lituane o tedesche, si è espansa sia con l’evangelizzazione sia con una serie di iniziative sociali e assistenziali, riempiendo il vuoto spirituale e materiale lasciato dal crollo del regime sovietico. Di qui, le accuse di proselitismo, così motivate dalla Chiesa Ortodossa: se davvero sussiste una comunione tra le due Chiese, perché cercare di convertirne i membri, come se fossero atei o infedeli? Va detto che recentemente (Balamand, 1993) anche da parte cattolica, salvo restando il diritto di esistere delle attuali Chiese Cattoliche di rito orientale, l’uniatismo non è più considerato un metodo accettabile nell’ottica dei rapporti interconfessionali tra cattolicesimo e ortodossia.

PROBLEMI DI RESPIRAZIONE

Giovanni Paolo II e il patriarca di Costantinopoli, sulla Loggia Centrale

Per descrivere la grande diversità teologica tra Cristianesimo d’Occidente e Cristianesimo d’Oriente, il Beato Giovanni Paolo II usò la metafora di una sola Chiesa che respira «con due polmoni». La teologia ortodossa presenta alcuni aspetti in comune con altre religioni orientali. Si basa sulla theoria, ossia sulla “contemplazione” intuitiva delle Scritture e di Dio ricevuta per ispirazione. Questa ispirazione si acquisisce attraverso la meditazione, la preghiera e l’ascesi. In particolare, c’è tutta una dottrina e una pratica ascetica, chiamata esicasmo e sviluppata dai monaci orientali fin dal IV secolo, che ha, a tutt’oggi, un ruolo centrale nella meditazione cristiano ortodossa. Attraverso la theoria e la katharsis (“purificazione”) del corpo e della mente, il teologo ortodosso mira a raggiungere la theosis, ossia l’unione dell’uomo con Dio. Quest’approccio teologico, in sintesi prescinde dagli aspetti intellettuali e argomentativi, per concentrarsi su quelli mistici ed ascetici.

Anche le apparenti differenze dogmatiche sono più formali che non sostanziali. Ad esempio, gli Ortodossi credono nella transustanziazione, ma rifiutano il termine, in quanto indice di un tentativo di razionalizzare il Mistero divino. Oppure l’Immacolata Concezione e l’Assunzione di Maria, recentemente dogmatizzate dalla Chiesa Cattolica, che sono tenute per vere dagli Ortodossi, ma non sono considerate dei dogmi di fede. Anche la dottrina cattolica del Purgatorio trova il suo corrispettivo in quanto stabilito dal Sinodo di Gerusalemme del 1672, che parla di una punizione temporanea per certe anime. Un caso particolarmente famoso è quello del “filioque”. In breve, gli ortodossi ritengono che la divinità promani dalla Persona di Dio Padre, e da lì alle altre Persone della Trinità, mentre i cattolici affermano che la divinità promani dall’unica sostanza divina di cui sono parte tutte e tre le Persone, e quindi lo Spirito Santo proceda anche dal Figlio. L’aggiunta del filioque al Credo niceno doveva inoltre sfatare ogni rischio di ricaduta nell’arianesimo.

Tuttavia, questa respirazione, di cui abbiamo parlato, è a dir poco asincrona. Infatti, un atteggiamento di chiusura contraddistingue nettamente le Chiese Ortodosse, le quali ritengono che la teologia occidentale si sia distaccata da quella orientale, a causa del massiccio ricorso alle categorie e ai sillogismi della filosofia classica pagana, e quindi abbia avuto uno sviluppo, tramite lo scolasticismo, di tipo prettamente razionalista e formalista. Perciò, la teologia occidentale, in quanto “razionalista”, speculativa, positiva, «catafatica», sarebbe inferiore rispetto a quella orientale, di tipo mistico, empirico, negativo, «apofatico». Invece, da parte cattolica c’è pieno riconoscimento per l’approccio teologico usato dagli orientali, fatti salvi i dogmi della Chiesa Cattolica, che come abbiamo visto non sono in reale discussione. Fa eccezione però la questione dell’infallibilità papale, sancita dal Concilio Vaticano I, e mai accettata da ortodossi, protestanti e veterocattolici.

DUE DIVERSI MODELLI DI CHIESA

Alcuni dei tanti volti peculiari (e spessissimo contrapposti) dell’arcipelago ortodosso

Passiamo ora in rassegna le differenze ecclesiali tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa. Innanzitutto, salta agli occhi l’evidenza di diversi riti, diverse liturgie e diverse misure disciplinari, come una più severa disciplina delle astinenze, oppure l’ordinazione di uomini sposati a presbiteri. In particolare, c’è una distinzione tra il clero secolare sposato, parte integrante della comunità parrocchiale, e il clero regolare, celibe e monastico, da cui sono tratti anche vescovi e patriarchi. Tutto ciò però vale già anche per numerose Chiese Cattoliche di rito orientale, a partire da quelle uniate, i cui capi sostengono – per inciso – che l’ordinazione di uomini sposati, pur non essendo negativa, non è neanche questo toccasana che viene spacciato da certi progressisti nostrani. Fin qui, si tratta quindi prevalentemente di questioni accidentali.

Tuttavia, il punto fondamentale di divisione tra cattolicesimo e ortodossia rimane proprio di tipo ecclesiale, e concerne il mondo in cui i rapporti tra le Chiese e all’interno di esse sono concepiti. Innanzitutto, ogni Chiesa ha un suo territorio, coincidente in genere con una comunità nazionale, di pertinenza, di contro all’universalismo della Chiesa Cattolica Romana. Poi, queste Chiese sono organizzate secondo il criterio della collegialità, piuttosto che della gerarchia. Il Patriarca è quindi un primus inter pares, che prende le sue decisioni insieme al sinodo dei Vescovi, mentre la sua stessa autorità episcopale non si estende al di fuori della sua diocesi. Da questo punto di vista, con le riforme del Concilio Vaticano II, si è deciso di dare maggiore spazio alla collegialità anche in seno alla Chiesa Cattolica. Nondimeno, in essa, permane una chiara gerarchia, a capo della quale è il Papa. Il Santo Padre, inoltre, ha autorità non solo sulla Chiesa Latina, ma anche sulle Chiese Cattoliche Orientali. Questo è un punto su cui, apparentemente, nessuno dei due ha intenzione di cedere.

CONSIDERAZIONI CATTOLICHE

Mons. Roncalli, futuro Giovanni XXIII, nunzio nelle terre del Patriarca di Costantinopoli e… in partibus infidelium. Con diversi volti della straziata chiesa cattolica dei vari riti orientali

Venendo ora al dunque, è chiaro che la nostra posizione, da cattolici non può che essere di parte. Questo non significa disprezzare le potenzialità e il valore del cristianesimo ortodosso. Anzi, esso, col raccogliere molto delle tradizioni spirituali asiatiche e orientali, può costituire un approdo sicuro per quelle persone e quei popoli, la cui forma mentis e cultura li distanzia dalla mentalità europea ed occidentale. A chi serve ad esempio lo yoga, sia pure cristianizzato, quando la tradizione cristiana offre la pratica dell’esicasmo? La religione cattolica già incorpora in sé Chiese di rito orientale, in cui questo patrimonio teologico e liturgico è ben vivo e diffuso. Anzi, la sua stessa natura eurocentrica, accusata dai cristiani orientali, sta venendo meno di fronte all’aumento dei cattolici africani, americani e asiatici, portando quindi la Chiesa ad essere veramente universale.

Per questo motivo, spetta ai cristiani d’Oriente, agli ortodossi, mostrare altrettanta comprensione ed accoglienza, verso la teologia razionale, speculativa e accademica, propria della tradizione europea occidentale, la quale affonda le sue radici già nella classicità e, sulla scia del colonialismo, è ormai maggioritaria nelle Americhe, in Africa e in Oceania. Essi devono capire che la teologia cattolica non è affatto inferiore rispetto a quella ortodossa, ma semplicemente diversa, e che entrambe affondano le radici nei medesimi Padri della Chiesa. Affermando il contrario, mostrano di essere loro a sostenere una sorta di “imperialismo teologico”, dato che Roma rispetta invece le loro particolarità, e ha anche sconfessato una strategia di tipo uniatista.

Infine, dal punto di vista ecclesiale, va rilevato che la Chiesa Cattolica ha riconosciuto i meriti e il ruolo che possono avere strutture collegiali e sinodali nella Chiesa cristiana. Tuttavia, è evidente che il modello ortodosso presenti gravi difetti: innanzitutto una tendenza alla disunione dovuta alla loro struttura confederativa. In secondo luogo, una debolezza delle autorità religiose sul piano dell’autonomia politica rispetto alle autorità statali. Così come, i Patriarchi di Costantinopoli erano soggetti all’arbitrio degli Imperatori, allo stesso modo, quelli di Mosca non hanno mai saputo opporsi efficacemente né allo Zar, né al bolscevismo. Infine, nonostante gli ortodossi affermano che la tradizione ecclesiale è sempre stata policentrica, dovrebbero comprendere che, a prescindere da questioni scritturali, la Tradizione perenne è sempre stata monocratica: si pensi all’Imperatore romano, allo Shahinshah persiano, al Califfo islamico o Çakravarti indiano. Dunque, ha perfettamente senso, anche da un punto di vista laico, che una sola sia la guida suprema della Chiesa di Cristo.

Riconoscendo l’autorità papale, allo stesso modo (e con modalità simili) delle altre Chiese orientali in piena comunione con Roma, i fratelli ortodossi porterebbero in dote alla Chiesa Cattolica una grande ricchezza di riti, tradizioni, santi, testi, ma acquisterebbero quella piena unità, quella piena indipendenza e quella piena autorità, che sole si confanno alla Sposa di Cristo.

  [SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 19:23. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com