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LA SINDONE fra storia e devozione

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2012 18:55
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27/10/2009 15:55
 
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 Il telo sindonico

 

Il termine Sindone deriva dalla parola ebraica sodàr, la quale indica il lenzuolo funebre in uso nel rito giudaico per la sepoltura dei corpi; in aramaico o in siriaco troviamo la parola soudara per indicare un taglio di stoffa di grandi dimensioni, per esempio il mantello nel quale si avvolge Ruth per andare a unirsi a Booz sull’aia per vagliare il grano (Rut 3,15 nel Targum)84.

Nel nuovo testamento il termine ebraico è tradotto in greco sindòn, cioè tela di lino, lenzuolo.

La Sindone di Torino, molto probabilmente quella stessa che Giuseppe di Arimatea, il ricco sinedrita, andò frettolosamente a comprare quel pomeriggio 7 aprile del 30 d.C., dopo aver chiesto coraggiosamente il corpo esanime di Gesù a Pilato, misura 436 cm di lunghezza e 110 di larghezza; lo spessore del telo è pari a 33 centesimi di millimetro e il suo peso si aggira intorno ai due chili e mezzo.

Le misure del Telo a noi occidentali del XX secolo non dicono nulla che ci aiuti a comprendere qualcosa in più dei tanti misteri che la Sindone racchiude criptamente in sé da secoli; sembrano infatti soltanto numeri apparentemente disordinati e senza relazioni con niente e nessuno.

Se invece provassimo a tradurre, ovvero a trasformare, le dimensioni del Sacro Telo nell’unità di misura in uso al tempo della sua produzione, presumibilmente il I secolo dopo Cristo, ci renderemmo conto che non siamo di fronte ad una numerazione casuale, ma ordinata ed esatta: se infatti trasformiamo i cm in cubiti giudaici o siriani, ci accorgiamo che qualcosa cambia85. 

Il Telo misurerebbe così 8 cubiti nella sua lunghezza e 2 cubiti di larghezza; il cubito giudaico, o ‘ammah in ebraico, è una unità di misura dell’antico Oriente, ricavata dalla lunghezza che intercorre, in un uomo di normale statura, tra la punta del dito medio della mano a palmo aperto, e il gomito del braccio stesso.

La dimensione che si ricava mediamente è di 52-55 cm, dunque, unità di misura che sta due volte nel telo sindonico nella sua larghezza, e otto volte nella sua lunghezza86.

È bastato soltanto trasformare le misure occidentali in quelle giudaiche del I secolo d.C. per guardare la Sindone in modo diverso: questa nuova misurazione, come appare evidente, è una ulteriore tesi sostenuta da quanti ritengano che la Sindone sia il lenzuolo che ha avvolto il corpo di Cristo nel sepolcro di Gerusalemme, quindi avvalorata dai sostenitori dell’antichità e dell’autenticità del sacro reperto.

A questo proposito, dobbiamo dire che durante l’antichità si sono presentate due occasioni che ci permettono oggi di mettere in relazione la Sindone di Torino con le reliquie che la tradizione cristiana primitiva faceva risalire ai teli sepolcrali di Cristo: l’oggetto delle fonti riguarda sempre la misurazione del Telo.

Gerusalemme nel 670 viene visitata dal vescovo Arculfo in pellegrinaggio: egli nella sua opera De locis sanctis ci descrive l’esistenza di una chiesa nella città santa nella quale si conserva e si venera il santo Sudario di Cristo, conservato gelosamente in un reliquiario e che eccezionalmente fu testimone oculare di una ostensione.

Il racconto, tramandatoci dal monaco benedettino Adamnano, prosegue dicendo che in quella importante occasione il vescovo baciò il Lenzuolo e lo misurò.

La misura che egli riportò fu pari a 8 piedi di lunghezza: il piede romano misurava 29 cm. Cioè 232 cm che moltiplicati per due (la misurazione si riferiva alla sola immagine frontale) abbiamo una lunghezza di 464 cm, circa un piede in più rispetto alla attuale lunghezza.

Cosa è accaduto? Sono errate le misure o la Sindone ha subito una mutilazione?

Sappiamo, dal carteggio che si è rinvenuto tra l’imperatore Baldovino II (1228-1261) e suo cugino Luigi IX, che il primo ha donato al secondo un pezzo di Sindone quando si recò in visita a Costantinopoli: infatti la bolla che accompagnava il santo dono non indicava la normale dicitura di ex-Sindone, ma di partem Syndonis.

Non si trattava quindi di una piccola reliquia, ma di una considerevole parte della stessa: 28-29 cm. circa di tessuto, giusto quelli che mancano alla comparazione della misurazione tra la misurazione di Arculfo e la Sindone di Torino.

Ancora un’altra fonte ci conferma la misurazione e la relativa antichità del Telo sindonico: è la nota unità di misura al tempo dell’imperatore romano Giustiniano (metà VI secolo): la mensura Christi o anche detta crux mensuralis. Si tratta di una croce di argento dorato che l’imperatore ha fatto costruire e che riportasse la stessa misura dell’altezza dell’impronta lasciata sul lino della figura umana di Gesù Cristo.

L’unità di misura che si ricava è pari a 180 cm., la stessa che riscontriamo sulla Sindone di Torino.

A datare il Telo, sia pur con strumenti scientifici indiretti, viene in aiuto la merceologia: se osserviamo la Sindone con più attenzione, metteremo meglio a fuoco alcuni particolari riferiti alla natura del tessuto.

La tessitura è visibilmente a spina di pesce, lavorazione particolare rispetto alla semplice trama ed ordito, ossia a tela ortogonale, in quanto più resistente.

Questo è stato senz’altro un motivo, tra gli altri, della capacità del tessuto di arrivare fino ai nostri giorni in buone condizioni.

È noto infatti che i teli funerari dovevano resistere al peso del corpo del defunto durante il trasporto dello stesso, a volte anche a mano, dal luogo della morte al sepolcro o alle fossi comuni. 

Nello stesso tempo i lenzuoli funebri dovevano assicurare, per quanto più tempo possibile, la conservazione del cadavere che nel frattempo andava in decomposizione causando ovviamente anche la macerazione del telo: la qualità della lavorazione del tessuto incideva quanto a resistenza contro la putrefazione e indicava naturalmente anche la posizione socio-economica del defunto.

Gesù infatti, un poverello di Nazareth, figlio di un falegname, non poteva permettersi né una sindone così lavorata e senza cuciture, né il sepolcro nuovo e monoposto, cose riservate alla sepoltura dei ricchi quale era Giuseppe di Arimatea che con molta devozione donò tutto questo al Signore.

L’elemento sicuramente più caratterizzante, da un punto di vista della particolare lavorazione del tessuto, è la torcitura delle fibrille, almeno 100 per formarne un filo: in questo caso abbiamo la rotazione dei filamenti in senso orario87, da sinistra verso destra.

È interessante far notare a questo proposito che il profeta Isaia al capitolo 38, versetto 12b, così recita: "come un tessitore hai arrotolato la mia vita"; superando le questioni teologiche ed esegetiche, in questo contesto ci interessa mettere a fuoco la suggestiva immagine che il profeta ci descrive del rapporto tra Dio e l’uomo: il tessitore (Dio) arrotola (la vita) i fili (degli uomini); la vita, la storia, il tempo, vengono raffigurati graficamente come semirette che vanno da sinistra verso destra; così infatti i tessitori giudei torcevano le fibrille per produrre filamenti.

È infatti questo particolare, a differenza dell’altro sistema e cioè della torcitura in senso antiorario - tipica delle culture egiziana e romana - a collocare la Sindone in un’area di fabbricazione siro-palestinese - probabilmente presso un importante centro di tessitura in Galilea, Arbeel, dove la lavorazione a spina di pesce era molto comune - e a datare questa specifica lavorazione nel I secolo d.C.

Altro elemento che merita di essere evidenziato è quello relativo alla purezza del Telo stesso: la preoccupazione, tutta giudaica e di nessun’altra cultura, romana o greca che fosse, di separare e quindi distinguere, nella lavorazione dei tessuti i telai per la "lana" da quelli per il "lino", proviene dalle prescrizioni mosaiche prima, e precettistiche dopo, di un noto passo del Deuteronomio.

Il capitolo 22, versetto 11, così recita: "Non ti vestirai con un tessuto misto, fatto di lana e di lino insieme".

È chiara la volontà di non confondere la lana, prodotta dal pelo di animali, e il lino, ricavato invece dalle piante, per non intercorrere nella fabbricazione di un prodotto impuro: non dimentichiamo che il lenzuolo funebre insieme agli unguenti e ai profumi servivano per purificare il corpo del defunto il quale è impuro per definizione.

Per questo il corpo viene posto per terra e soltanto il primogenito può chiudergli gli occhi e contrarre di conseguenza l’impurità.

Dalle analisi accurate sulla composizione del materiale del tessuto sindonico non sono state riscontrate tracce di lana; questo invece accade, anche se con presenza infinitesimale, in tutti gli altri tessuti, fabbricati da altri popoli i quali utilizzavano indiscriminatamente un unico telaio per entrambe le materie prime.

2- Cosa si legge sulla Sindone?

Almeno tre elementi importanti e degni di sottolineatura compaiono visibilmente e vistosamente sul Telo di Torino anche ad occhio nudo:

a- l’immagine che raffigura un uomo, posizionato lungo il Telo, frontalmente e dorsalmente, testa contro testa, di colore giallo, più intenso di quello del tessuto;

b- macchie di sangue lungo tutto il corpo dell’uomo, di colorazione più scura del Telo e dell’immagine stessa;

c- segni delle bruciature e di probabili strappi che il tempo e le molte vicissitudini hanno provocato al Lenzuolo.

a - L’immagine

L’immagine impressa dell’Uomo della Sindone - chiameremo così colui che per molti invece è inconfondibilmente l’uomo Gesù - si è trasferita sul Telo in modo inspiegabile; nonostante i molti tentativi di riproduzione in nessun caso l’effetto finale è almeno simile a quello esistente sulla Sindone88.

Attualmente la scienza è in grado di affermare solo che l’immagine impressa sul tessuto è dovuta ad un processo di disidratazione del lino, grazie al quale è visibile l’immagine stessa dell’Uomo; sulle cause di questo fenomeno, però, il mistero è fitto.

I contorni dell’immagine non sono netti e decisi, ma sfumati; infatti è visibile soltanto ad almeno quattro metri di distanza.

Questo aspetto, legato cioè alla visibilità dell’immagine soltanto ad una certa distanza, fa cadere definitivamente l’ipotesi che l’immagine sia il risultato di un dipinto: si coglie subito l’impossibilità a definire e a disegnare una immagine che risulterebbe invisibile alla distanza del viso dal proprio braccio.

È stato grazie alle lastre del Pia, il primo fotografo della Sindone, e successivamente a quelle di Enrie, che lo studio scientifico ha potuto progredire nell’analisi dettagliata dei particolari, altrimenti invisibili ad occhio nudo: soltanto dallo studio del negativo fotografico è stato possibile cogliere particolari necessari all’osservazione e all’approfondimento scientifico del Telo stesso.

Infatti sulle lastre si possono notare le molteplici sfumature di diversa intensità dell’immagine sindonica le quali creano una tridimensionalità della figura del corpo, altro elemento rimasto ancora inspiegato dalla scienza e ancor più chiaramente visibile con una semplice rielaborazione digitale al computer.

Lo spessore tridimensionale dell’immagine fa di questa, non solo formalmente ma anche sostanzialmente, la raffigurazione di un corpo appartenuto ad un uomo realmente vissuto: l’ipotesi che l’immagine sia un dipinto è stata ampiamente confutata da coloro che non ritengono la Sindone opera di un falsario medievale89.

Uno studio sulle probabilità che questo sia il lino che ha avvolto il corpo di Cristo, è stato compiuto dall’ing. Paul De Gail e ripreso dal prof. Bruno Barberis, dell’Università di Torino. Dai calcoli risulta che le probabilità a sfavore sono di uno su 200 miliardi di ipotetici crocifissi.

Infatti le sette tesi90  che inquadrano le vicende legate a Cristo e riprodotte puntualmente nella Sindone fanno di essa il panno funebre di Gesù di Nazareth91.

Ad un risultato simile, ma con una maggiore elaborazione, sono arrivati gli studiosi Giulio Fanti, docente del Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università di Padova e Emanuela Marinelli nota sindonologa romana: nell’ambito del III Congresso Internazionale di Studi sulla Sindone, tenutosi a Torino dal 5 al 7 giugno 1998, hanno divulgato i risultati di un modello probabilistico il quale dimostra l’autenticità del Telo, nonché l’antichità, con un errore di falsità pari a 10 alla meno ottantatré92.

La relazione viene conclusa in questo modo: "Ciò equivale ad affermare che è più probabile fare uscire per 52 volte consecutive uno stesso numero al gioco della roulette piuttosto che affermare che la Sindone non sia autentica".

L’immagine sindonica dunque è debole, superficiale ma al tempo stesso indelebile; se si considera lo spessore del tessuto sindonico come simile allo spessore di un braccio umano, l’immagine, in proporzione, avrebbe la medesima profondità dell’epidermide dell’arto stesso.

L’immagine cioè non passa da parte a parte, non è visibile dal retro del tessuto. Ciò nonostante, diversi solventi di laboratorio non sono riusciti a cancellarla.

Le ipotesi sulle cause della avvenuta impressione sono ormai quasi tutte orientate verso un fenomeno definito ad alta emissione di luce e calore, da molti sindonologi fatto coincidere con quello che teologicamente si definisce risurrezione93.

Ma qui usciamo dal campo scientifico e, a tal proposito, in occasione della ostensione della Sindone a Torino, il cardinale Giacomo Biffi si è così pronunciato a proposito del rapporto Sindone-fede: "Il credente sa che di fronte a questo misterioso lenzuolo non gli vengono imposte posizioni aprioristiche: può identificarlo o no con il lino della sepoltura di Cristo, senza che siano chiamati in causa i suoi convincimenti più sacri e la sua coerenza interiore. Egli è dunque un indagatore spregiudicato, che non ha condizionamenti di principio"94.

Dunque piena libertà da parte del credente sulla questione della autenticità della Sindone o meno, senza che questo sia un elemento che giochi a sostegno o a sfavore dalla propria fede, la quale, come è noto, è edificata su ben altri elementi.

Sul rapporto tra ragione e fede il pontefice ha recentemente emanato un’enciclica che risolve credo definitivamente l’errato contrasto tra le due forme di conoscenza  che per troppo tempo sono state invece messe dagli uomini in opposizione e in concorrenza tra loro.

Così infatti il santo padre apre l’enciclica: "La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere Lui perché conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso"95.

Tornando all’analisi del Telo, potremmo accennare a qualche curiosità a proposito della descrizione dell’uomo in oggetto: la sua altezza è di 178-180 cm, il peso si aggira intorno ai 79-80 chili, e la sua età è compresa tra i 30 e i 35 anni; è naturalmente di sesso maschile e il sangue analizzato appartiene al gruppo sanguigno AB, tra l’altro lo stesso riscontrato dall’analisi ematica del miracolo eucaristico di Lanciano96 e delle macchie di sangue impresse sul Sudario conservato ad Oviedo97.

Dallo studio antropologico fatto sull’uomo si evince che questi è appartenuto sicuramente alla etnia semitica; infatti i tratti caratteristici di tale appartenenza sono almeno quattro: gli occhi vicini alla radice nasale, il naso di forma aquilina, il labbro inferiore più pronunciato rispetto a quello superiore e i capelli ondulati.

b - Le tracce di sangue

Prendiamo ora in considerazione il secondo elemento visibile ad occhio nudo sulla Sindone di Torino: stiamo parlando delle tracce di sangue impressesi sul Telo attraverso il decalco delle ferite, nel quale è stato avvolto l’uomo, per espletare la sepoltura di rito giudaico.

Dobbiamo subito dire che non c’è zona del corpo del suppliziato che non sia interessata da ferite, ecchimosi, lacerazioni e, di conseguenza, da rivoli di sangue. L’unica parte del corpo che è stata risparmiata dai flagellatori romani, chiamati anche tortores, è la zona toracica nelle vicinanze del cuore: i carnefici sapevano molto bene che gli eventuali colpi di flagello del tipo flagrum romanum in quella parte del corpo poteva significare la morte del flagellato98.

Colgo l’occasione per sottolineare che nella concezione romana della punizione per flagellazione, cioè della punizione più cruenta del tempo, era esclusa la successiva messa a morte del flagellato: delle due una era la condanna, o si veniva abbondantemente flagellati o si metteva direttamente in croce il suppliziato dopo una modesta flagellazione.

Infatti Gesù fu prima flagellato e poi crocifisso non perché il rito lo prevedesse, ma perché mentre Pilato voleva dargli solo una buona lezione, i giudei non contenti pretesero successivamente anche la morte dello stesso.

Le ferite che sono state contate sul corpo dell’Uomo della Sindone, escluse le ferite dei chiodi, della lancia e quelle presenti intorno alla zona del volto e della nuca, sono oltre 720: queste sono state prodotte dall’uso del flagrum romanum.

Il flagrum è uno strumento di tortura usato dai flagellatori dell’impero romano e veniva spesso utilizzato da due tortores, uno a destra del condannato e l’altro a sinistra. Solitamente il torturato veniva legato ad una colonna per evitare che si muovesse o che addirittura scappasse.

Lo strumento usato per la flagellazione dell’Uomo della Sindone ha sei pezzetti di osso acuminati. Dallo studio delle ferite del corpo si è riscontrato che i colpi di flagrum sono stati 120, dati appunto da due flagellatori, i quali hanno provocato le 720 ferite.

La legge ebraica però prevedeva al massimo 39 colpi di frusta; perché allora l’Uomo della Sindone ne ha avuti tre volte di più?

L’ipotesi che si fa, soffermandosi su alcuni particolari narrati nei vangeli e che spesse volte vengono dimenticati, è quella che Pilato più volte ha voluto evitare l’uccisione di Gesù.

Il procuratore romano volle così dargli una buona lezione, aumentando oltremodo il numero delle frustate, per poi liberarlo. Il suo ulteriore tentativo fu esteso anche all’episodio di Barabba, ma anche in quel caso non ci fu ascolto da parte dei giudei per le buone intenzioni del marito di Procla.

Come si diceva prima, i condannati alla morte di croce non venivano anche frustati abbondantemente perché risultava inutile tale provvedimento; nel caso di Gesù, invece, non solo egli venne frustato esageratamente, ma fu poi anche condannato alla morte di croce. Questi episodi della Passione di Cristo sono riprodotti fedelmente sul lenzuolo di Torino, sempre "testimone muto, ma sorprendentemente eloquente".

Tornare a parlare delle ferite presenti sul corpo dell’Uomo della Sindone significa non poter non fare riferimento ai numerosi passi veterotestamentari del profeta Isaia e dei Salmi a proposito della prefigurazione della Passione di Nostro Signore.

Le coincidenze tra i racconti biblici e le tracce presenti sulla Sindone sono a dir poco impressionanti. Non potendo citare tutte le pericopi sindoniche, ne citeremo solo alcune: Isaia 53,5: "Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostri iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti".

Isaia 50,5-6: "Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho posto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi".

Isaia 1,6: "Dalla pianta dei piedi alla testa non c’è in esso una parte illesa, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite, né fasciate, né curate con olio".

Passando al salterio invece: Salmo 15,10: "Perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione".

Il corpo dell’Uomo della Sindone è stato sottratto alla corruzione; qui si apre la polemica dell’eventuale furto di cadavere dal sepolcro ad opera dei discepoli per dire poi che Gesù per davvero è risorto dai morti (cfr Lc 24,34).

Nel capitolo V verranno analizzati momento dopo momento i tre giorni nei quali il corpo di Gesù è stato sepolto nel sepolcro di Giuseppe di Arimatea.

Vedremo in quella occasione se è possibile parlare di furto di cadavere o di avvenuta reale resurrezione. In questo contesto ci è sufficiente dire che le tracce di sangue ritrovate sul Telo non presentano sbavature e effrazioni, motivo sufficiente, da un punto di vista scientifico, per affermare che il corpo e i lini sepolcrali non sono stati toccati da nessuno durante i tre giorni della sepoltura.

Non sono state perciò rinvenute tracce di carne umana decomposta dall’analisi col microscopio elettronico del tessuto.

Il corpo infatti è rimasto avvolto nella Sindone soltanto circa 36 ore, il tempo necessario ad avere quel tipo e solo quel tipo di tracce di sangue impressosi sul tessuto sindonico e che va sotto il nome di fibrinolisi, cioè il riscioglimento dei coaguli di sangue dovuto al contatto delle ferite con la soluzione di aloe e mirra, tipica delle misture appartenenti al rito funerario giudaico del tempo.

Un tempo maggiore o minore delle 36 ore, non avrebbe causato il decalco che oggi è visibile sul Telo di Torino; quanto alla motivazione per la quale il corpo si è sottratto al processo di corruzione e di putrefazione, tale da fare arrivare il lenzuolo funebre fino ai nostri giorni, è l’ipotesi della avvenuta risurrezione.

Il corpo di Cristo ha lasciato il Telo semplicemente attraversandolo dal di dentro ed uscendone fuori. Da qual momento in poi Gesù verrà riconosciuto dalle donne e dagli Apostoli con un corpo glorificato.

Molti sono i passi evangelici delle apparizioni e dei fatti straordinari legati alle stesse.

Si potrebbe continuare ancora a lungo, ma vorrei ultimare i riferimenti biblici dell’antico testamento con un altro passo abbastanza noto, che meglio degli altri prefigura la Passione di Cristo così fedelmente e straordinariamente riprodotta sul Telo.

Il libro di Isaia al capitolo 52 versetti 13-15 così recita: "Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato. Come molti si stupirono di lui - tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo - così si meraviglieranno di lui molte genti"99 .

Anche il Nuovo Testamento a ben guardare presenta pericopi per così dire sindoniche. L’apostolo Giovanni al passo 19,37 così dice dopo che ha visto il soldato romano che per accertarsi della avvenuta morte di Gesù gli colpisce il fianco con una lancia; e un altro passo della Scrittura dice ancora: "Volgeranno la sguardo a colui che hanno trafitto".

La scrittura citata è il noto passo del profeta Zaccaria che al capitolo 12, versetto 10 dice: "guarderanno a colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito".

Ancora, a proposito della formazione dell’immagine impressasi in modo negativo cioè al contrario di quella al positivo: 1 Cor 13,12: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente". 2 Cor 4,6: "E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori per far splendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo".

Gli studi sulle tracce di sangue presenti sul reperto hanno aperto molte questioni di estrema importanza ai fini della conoscenza integrale del telo sindonico: l’esame fatto dai carbonisti100 datò il tessuto del Telo di Torino in una età compresa tra il 1260 e il 1390, dunque in epoca medioevale, facendo di conseguenza immaginare che la Sindone fosse stata l’opera artistica di un falsario dello stesso periodo della presunta fabbricazione del tessuto.

Questa tesi invece, dopo poco tempo dalla data della pubblicazione degli esami, è caduta, non solo per gli errori riscontrati da un punto di vista metodologico nell’esame stesso, ma anche grazie all’analisi delle cause della morte e delle diverse tipologie di sangue presenti sul Lenzuolo: sangue intero, sangue e siero separati, sangue venoso ed arterioso.

L’eventuale falsario non avrebbe posto sul capo del suppliziato un casco di spine dato che su tutte le raffigurazioni pittoriche il Cristo è raffigurato con un serto o corona di spine. Il casco di spine, forse ricavato dal calco di un elmetto militare romano, ha creato decine di micro-lesioni sul capo, le quali hanno causato le famose gocce di sangue visibili nella zona frontale e occipitale della figura.

La distinzione tra sangue venoso e sangue arterioso non era una conoscenza del Medioevo, ma sicuramente successiva al XVI secolo101.

L’astuto ed erudito falsario medievale non avrebbe inoltre posto i chiodi della crocifissione al polso, ed esattamente nel punto cosiddetto di Destot, dal momento che le opere artistiche, crocifissi e quadri, avevano da sempre raffigurato il Crocifisso con i chiodi nei palmi.

Uno studio ha dimostrato che un’eventuale crocifissione di un uomo di soltanto 40 chili di peso se inchiodato ai palmi delle mani, nel giro di appena dieci minuti vedrebbe strapparsi i tessuti dell’arto determinando la caduta del corpo dalla croce.

I Romani, profondi conoscitori delle tecniche di crocifissione, sapevano molto bene dove porre i chiodi per rendere possibile una crocifissione lunga e dolorosa.

Perché dunque il falsario avrebbe disatteso ciò che a quel tempo era dato per scontato e pubblicamente condiviso? Perché il falsario avrebbe dovuto posizionare il piede sinistro inchiodato su quello destro, se tutte le immagini riproducevano e riproducono invece il contrario?

Sono soltanto alcune delle domande che gli studiosi dell’arte si sono posti in riferimento all’accusa di un ipotetica riproduzione artistica della Sindone.

Stessa considerazione, di anacronistica conoscenza, la si può fare per quanto riguarda la posizione del pollice dopo che il chiodo viene conficcato nel polso: la lesione del nervo mediano fa ritrarre il pollice internamente alla mano stessa, cioè verso il dito mignolo, nascondendo così visivamente il pollice dal lato del dorso della mano.

L’immagine impressa sulla Sindone non riporta infatti, come per le altre dita, il pollice della mano sinistra: il pollice della mano destra, invece, non è visibile comunque perché occultato dalla sovrapposizione della mano sinistra sulla destra.

Questo interessante particolare, l’occultamento alla vista del pollice, è di fondamentale importanza se facciamo riferimento ad almeno due considerazioni: la prima è che ovviamente l’ipotetico falsario non poteva essere a conoscenza di simili questioni, studiate invece poi dalla medicina moderna, come abbiamo visto nel caso della circolazione sanguigna venosa e arteriosa, scoperta soltanto nel XVI secolo.

La seconda considerazione, più interessante anche da un punto di vista iconografico, è che un manoscritto datato intorno al 1192-95102, in una sua miniatura a due finestre, una superiore e l’altra inferiore, fa vedere con chiarezza che il Cristo, sul quale avviene l’unzione funeraria ad opera di Nicodemo e Giuseppe di Arimatea, nella parte superiore ha le braccia incrociate sul proprio corpo, appoggiate sulla zona pubica, la mano destra su quella sinistra e i pollici di tutte e due le mani, nascosti103.

L’elemento di certezza che si tratti di una miniatura copiata dalla Sindone di Torino è dato dalla seconda raffigurazione, quella inferiore, della miniatura stessa, la quale mostra l’angelo indicante il telo di Cristo ormai vuoto alle tre Marie andate in visita presso il sepolcro con unguenti e profumi.

Il lenzuolo funebre è fabbricato, sempre a guardare la miniatura, a spina di pesce - il riferimento alla stessa lavorazione del Telo di Torino è evidente - e mostra quattro cerchietti disposti a "elle" o a "squadro", in rapporto cioè di tre fori in orizzontale e uno in verticale, anch’essi riscontrabili sul Telo.

Queste piccole bruciature sono state causate, prima dell’incendio di Chambéry avvenuto nel 1532, probabilmente da un turibolo.

Dobbiamo sempre ricordare che la Sindone per molti secoli è stata utilizzata durante le celebrazioni liturgiche, ovviamente piegata in due o quattro parti, probabilmente anche come copertura dell’altare: in Oriente l’altare simboleggia il sepolcro di Cristo, motivo per il quale gli altari sono alti cioè alte are; in Occidente, soprattutto dopo la riforma liturgica del Vaticano II, ha assunto sempre più la simbologia della mensa divenendo quindi più grande e più basso.

Il piccolo incendio - chiameremo così l’incendio che ha causato specularmente le quattro elle, probabilmente il primo - è precedente quindi alla data del 1192, anno della datazione del manoscritto Pray, tra l’altro precedente alla stessa datazione ricavata dall’esame al radiorcarbonio del 1988; per alcuni sindonologi l’incendio potrebbe risalire addirittura al periodo edesseno, cioè in un intervallo di tempo compreso dal VI al X secolo, dal 544 al 944.

Ma il punto centrale della "questione sangue" è la ferita del costato dell’Uomo della Sindone; nell’immagine al positivo, è visibile una grossa ferita vicino all’emitorace destro dell’uomo, con una copiosa fuoriuscita di sangue a fiotto e siero separato.

Il colpo di lancia è stato inferto dal soldato romano a morte avvenuta; la pressione con la quale il sangue è fuoriuscito è da ascriversi a quel processo che i medici legali chiamano emopericardio: la rottura del cuore dovuta ad un infarto, seguita da una cospicua raccolta di sangue nel pericardio, fuoriuscito poi con forte pressione e grande quantità di liquido104.

Il sangue ed acqua che vide l’apostolo Giovanni uscire dal costato destro di Cristo, quando con Maria stava sotto la croce, è ciò che noi oggi chiameremmo, in termini più scientifici, sangue e siero separato; prima uscì il sangue e poi, perché separato e più leggero, il siero appunto, di colorazione chiara.

Alcuni esegeti ipotizzano che il processo infartuale sia cominciato non già sulla croce, ma quella sera di agonia e sofferenza di Cristo nel Getsemani, quando, preso da forte stress, cominciò a sudare sangue; il fenomeno, sia pur molto raro, non è però impossibile da verificarsi.

Dal momento dell’infarto accompagnato da sudorazione, il giovedì sera, alla trafittura del costato, avvenuta il venerdì pomeriggio, passano all’incirca 16-18 ore, poche per affermare, da un punto di vista medico-legale, che si tratti di un emopericardio, per il quale sono necessarie almeno 46 ore.

Sappiamo però che le tradizioni sul giorno della avvenuta ultima cena fatta da Nostro Signore con gli Apostoli sono almeno due: quella del giovedì, la più nota e commemorata nella liturgia ufficiale di tutta la Chiesa, e quella che fa riferimento al calendario solare, nel quale il Sèder scel Pesàh, ossia l’Ordine di Pasqua, il rituale pasquale ebraico, è celebrato il martedì allo spuntare della terza stella dopo il tramonto.

Il computo delle ore, secondo questa seconda tradizione, sale a 46, se calcoliamo il tempo che va dal nuovo momento - quello cioè dell’agonia avvenuta nel Getsemani - alla crocifissione.

Il calendario solare era in uso soprattutto presso la comunità degli esseni, comunità che viveva nei paraggi delle famose grotte di Qumran presso il Mar Morto, molto influente sul giudaismo dell’epoca e vicina alla città di Gerusalemme; dista infatti non più di venti chilometri dal centro politico e cultuale di Israele105.

L’implicanza della comunità essena con la Sindone è di una certa importanza: infatti, in una delle sue conferenze sulla storia antica del Telo, il sindonologo, esegeta e storico Gino Zaninotto, ha ipotizzato la permanenza della Sindone in una di quelle grotte nel periodo compreso tra la prima persecuzione del 42 d.C. e la ulteriore fuga dei giudei-cristiani nella città di Pella del 66 d.C.

Rimanendo in tema di influenze tra la comunità di Qumran e il calendario solare, non possiamo non dire che la comunità essena assunse il calendario tradizionale, quello del tempo dei Seleucidi, importato a sua volta dai greci. L’anno incominciava in primavera, aveva un numero costante di settimane e iniziava sempre di mercoledì.

La Pasqua quindi cadeva sempre il 15 di Nisan (primo mese dell’anno giudaico), e era sempre di mercoledì; la Preparazione dunque si festeggiava il martedì.

Anche alcune fonti cristiane antiche fanno coincidere la cena pasquale di Gesù con il martedì: la Didascalia, Vittoriano e Epifanio.

La datazione lunga della Settimana Santa fa accomodare meglio i fatti che altrimenti per motivi di tempo e soprattutto giuridico-legali non sarebbero stati possibili: il Sinedrio non si riunisce la notte, tanto meno durante le festività.

Gesù quindi fu arrestato dopo aver cenato il martedì sera; fu condotto al Sinedrio il mercoledì mattina e la sera messo nella prigione giudaica.

Il giorno dopo, il giovedì, andò da Pilato e rinchiuso, di notte, nella prigione romana; il venerdì mattina venne interrogato per la seconda volta, poi flagellato e quindi crocifisso.

È una ipotesi, questa, che si fa sempre più spazio tra gli studiosi della Passione di Nostro Signore106.

c - Le bruciature

Terzo ed ultimo elemento visibile sulla Sindone sono le bruciature, dovute agli incendi subiti dal Telo: in parte abbiamo già accennato al primo incendio, quello creato probabilmente dal materiale incandescente fuoriuscito da un turibolo precedentemente al 1192, perché i fori prodotti sono fedelmente riportati su di una miniatura del Codice Pray.

A questo contributo, sia pur indiretto, utile per determinare la reale datazione della Sindone, dobbiamo aggiungere un’ulteriore prova, che ci viene fornita sempre dall’arte, questa volta moderna e non medioevale: è una copia della Sindone riprodotta su un altro telo ad opera del Dürer, datata 1516. Si notano sulla copia i segni del piccolo incendio, in quanto l’artista, immaginando che si trattasse di calchi di sangue, li ha colorati di rosso.

La data presa in considerazione è precedente al grande incendio, motivo per il quale non compaiono i grandi triangoli, le toppe cucite dalle clarisse, per riparare il Lenzuolo di Cristo. La copia del Dürer mostra i fori "a elle" presenti sulla Sindone precedentemente all’incendio del 1532, altrimenti indimostrabile.

Ed eccoci alla notte di santa Barbara del 1532. La sacrestia della Saint-Chapelle prende fuoco insieme a quanto vi è all’interno: l’armadio che conservava il reliquiario d’argento, contenente la Sindone piegata in 48 parti, si brucia. La fusione del metallo delle cerniere, fatte da una lega povera, fa colare il liquido ormai fuso all’interno del reliquiario, cadendo sul lenzuolo.

Il contatto tra il metallo fuso e il lenzuolo crea quelle grosse bruciature a forma di triangolo, 24 per la precisione, ben visibili sul Lino: a bruciare è soltanto una parte del tessuto perché la cassetta viene provvidenzialmente immersa in una vasca piena d’acqua, creando degli aloni piuttosto visibili sul Telo.

Sarà la cura e l’amore delle clarisse a rattoppare i buchi creati dalle bruciature con del lino nuovo. L’incendio ha anche creato quella specie di "binario ferroviario" che incornicia l’Uomo della Sindone percorrendo tutto il Lenzuolo.

Di estrema importanza, a proposito di rammendi, è evidenziare una cucitura che si trova nella parte superiore della Sindone e unisce a questa una striscia di stoffa alta 8 centimetri e lunga quasi quanto l’intero Telo.

Sembra che il Lino sia stato strappato dal basso verso l’alto dalla furia del vescovo Epifanio di Cipro, quando, vedendolo esposto verticalmente in chiesa, lo lacerò, perché rappresentava, secondo la mentalità del tempo, un’idolatria107 ; poi, fortunatamente, la parte di tela strappata fu ricucita.

Note del III Capitolo

84 DUBARLE, Storia antica, p. 148.

85 Cfr REBECCA JACKSON, Jewish Burial Procedures at the time OC Christ. A Jewish Cultural Approach, Actas del I Congreso Internacional sobre El Sudario de Oviedo, Oviedo 29-31 ottobre 1994, p. 309-322; Hasadeen Hakadosh: The Holy Shroud in Hebrew, in Actes du Symposium Scientifique International, Rome 1993, p. 27-33.

86 Cfr R.DE VAUX O.P., Le Istituzioni dell’Antico Testamento, p. 202-205, Torino 1964.

87 Nella particolare realtà giudaica abbiamo notato che le forme manuali sono sinistrorse: i giudei scrivono e leggono da destra verso sinistra, quando colpiscono con un pugno lo fanno con l’arto sinistro, etc.

88 Cfr VITTORIO PESCE DELFINO, E l’uomo creò la Sindone, Bari 1982.

89 Da analisi fatte sul Telo si è in grado di affermare che non ci sono tracce di pigmenti tali da poter ipotizzare che si tratti di un dipinto: mancano completamente anche le direzioni dell’eventuale pennello. Nessuna epoca pittorica è inoltre riconducibile allo stile dell’immagine sindonica. In riferimento poi alla tesi che la Sindone sia un dipinto di Leonardo da Vinci, è sufficiente affermare che il grande artista è nato un secolo dopo (1452) le oggettive prove della presenza del Telo in Occidente.

90 Provo a sintetizzarne i contenuti: 1- l’Uomo dopo la morte è stato avvolto nel lenzuolo funebre, sepoltura non riservata in genere ai crocifissi. 2- Ha portato in testa un casco di spine, elemento estraneo alla crocifissione di qualsiasi cultura. 3- Ha trasportato il patibulum. 4 - È stato inchiodato alla croce e non legato. 5 - Gli è stato inferto un colpo di lancia nel costato destro, a morte avvenuta, e non gli è stato spezzato alcun osso delle gambe. 6 - Non è stata effettuata alcuna lavanda del corpo insanguinato; è stato quindi avvolto nel lenzuolo subito dopo la deposizione dalla croce. 7 - Sul tessuto non sono state trovate tracce di decomposizione: il calco del sangue si è creato quindi nel giro di 30-36 ore, tempo intercorso tra un ipotetico venerdì sera e l’alba della domenica successiva.

91 Cfr GINO MORETTO, Sindone. La guida, p. 58, Torino 1996.

92 Cfr GIULIO FANTI - EMANUELA MARINELLI, Cento prove sulla Sindone. Un giudizio probabilistico sull’autenticità, Padova 1999.

93 Cfr Sebastiano Rodante, La scienza convalida la Sindone, Milano 1997.

94 Cfr <Avvenire>, 10 maggio 1998.

95 GIOVANNI PAOLO II, Fides et Ratio, Città del Vaticano 1998.

96 Nell’ottavo secolo avvenne il Miracolo Eucaristico che ancora oggi si conserva nella chiesa di san Francesco. Lo straordinario prodigio consiste in questo: tutta l’Ostia si è trasformata in Carne e tutto il vino si è mutato in Sangue. Gli accertamenti sono stati condotti dal prof. Odoardo Linoli nel 1970 e nel 1981: la Carne è un tessuto miocardico umano completo nella sua struttura essenziale. La Carne e il Sangue hanno lo stesso gruppo sanguigno: AB (identico a quello che il prof. Baima Bollone ha riscontrato sulla Sindone di Torino). La conservazione delle Specie, lasciate allo stato naturale per secoli ed esposte all’azione di agenti atmosferici e biologici, rimane un fenomeno inspiegabile scientificamente.

97 Cfr MORETTO, Sindone, p. 56.

98 Cfr GIULIO RICCI, L’uomo della Sindone è Gesù, Milano 1985.

99 I testi sono stati tratti dalla Bibbia di Gerusalemme, Bologna 1995.

100 Termine che indica gli scienziati che operano esami di datazioni di reperti attraverso il metodo del radiocarbonio o anche detto C 14.

101 Il primo documento che parla della distinzione tra sangue venoso ed arterioso è stato scritto dall’italiano Andrea Cesalpino nel 1593, ma soltanto nel 1628 l’inglese William Harvey lo fece conoscere al mondo scientifico del tempo.

102 Codice conservato attualmente nella Biblioteca Nazionale di Budapest e indicato come Codice Pray.

103 Forse i copisti non avevano capito che l’immagine impressa sulla Sindone è un negativo: ciò che sembra appartenere alla sinistra è invece di destra e viceversa. Sull’occultamento dei pollici è chiaro il riferimento all’immagine impressa sulla Sindone.

104 Cfr MARINELLI, La Sindone, p. 49-50.

105 Cfr Ivi, p. 51-52.

106 Cfr ENCICLOPEDIA DELLA BIBBIA, alla voce CENA, Data dell’ultima, col 254-259, Asti 1970.

107 Il Telo era custodito, verso la fine del IV secolo, presso la città di Anablatha. Le immagini delle divinità che avevano mani e piedi erano considerate idoli; forse fu il gesto di Epifanio a far ridimensionare successivamente piegando la Sindone, dal Telo al solo Volto, quello che poi sarà, nel VI secolo, il Mandylion di Edessa. Cfr GINO ZANINOTTO, Il "cammino" della Sindone: il percorso da Gerusalemme a Edessa, in <Eteria>, p. 38, 3/4 (1998).

 

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