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LA SINDONE fra storia e devozione

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2012 18:55
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27/10/2009 16:02
 
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I racconti evangelici della sepoltura di Gesù e le relazioni con la Sacra Sindone.

 

La sepoltura giudaica, come tutte le forme di ritualità religioso-culturali, è considerata non solo una autorevole manifestazione di quanto anticamente gli ebrei facevano in quel preciso contesto cultuale, ma anche una scienza vera e propria: conoscere a fondo quanto prescritto in questo rito ci aiuta a comprendere se ci troviamo di fronte ad un reperto funerario autentico o meno, e quindi capaci di una più precisa datazione dello stesso.

Se il Telo sindonico ha le caratteristiche merceologiche del tipico manufatto funerario giudaico del I secolo d.C. usato per avvolgere i cadaveri nell’atto della sepoltura; se il rito dell’unzione in uso in quel tempo è stato operato sulla salma dell’uomo poi avvolto nella Sindone; se le sostanze usate per la sepoltura, sia nella loro specificità che nella loro quantità, sono quelle prescritte dai trattati rabbinici in vigore nella Gerusalemme del I secolo d.C., perché non mettere scientificamente in relazione la Sindone di Torino con il lenzuolo che ha avvolto il corpo di Cristo così come i vangeli ce ne parlano?

Per fare questo è conveniente partire dalle fonti che abbiamo a disposizione, ovvero la Sindone stessa, il Nuovo Testamento e i trattati giudaici relativi all’uso funerario122.

Le scoperte archeologiche e gli studi scientifici sulla suddetta questione rituale giudaica del I secolo nella terra di Palestina, sono argomentazioni di recente dibattito scientifico e non solo nell’ambito della sindonologia; questo dato conferma ancora una volta, laddove non fosse già chiaro, che l’eventuale falsario medievale non avrebbe potuto ricostruire, anche da un punto di vista funerario, il Telo così come era in uso in quel tempo. 

È noto che studi simili sono stati oggetto di recenti pubblicazioni, ma da troppo poco tempo si conoscono notizie a tal riguardo.

Proviamo ad entrare quindi nel complesso mondo del rito della sepoltura dei morti, in uso al tempo di Gesù, nella Gerusalemme governata dal procuratore romano Ponzio Pilato e, come abbiamo detto, non possiamo non partire dai racconti evangelici, la fonte più autorevole quanto alle descrizioni dei fatti avvenuti in quei giorni intorno alla persona e al corpo esanime di Gesù.

A ben guardare le sacre fonti, nessuno dei quattro Evangelisti riporta l’ora esatta della avvenuta deposizione del corpo del Signore dalla croce; né si conosce l’ora della relativa unzione del corpo di Gesù praticata sulla pietra, nonché della avvenuta successiva sepoltura.

Soltanto Marco e Giovanni forniscono un elemento importante ai fini della individuazione indiretta della datazione cronologica degli ultimi eventi pasquali gerosolimitani di Cristo: di certo Gesù è stato deposto dalla croce, esanime, il venerdì precedente la Pasqua, il giorno chiamato dagli ebrei della Preparazione o Parasceve.

L’apostolo amato dal Signore riferisce nel suo vangelo, nel terzultimo capitolo (Gv 19,31), che quel giorno è, per i giudei, il giorno della Parasceve, giorno nel quale le donne dedicano gran parte del loro tempo alla pulizia della casa e, gli uomini, all’acquisto dell’agnello, da immolare nel Tempio in segno di sacrificio e di offerta a Dio.

Il corpo di Gesù fu sepolto, come tra l’altro era in uso nella tradizione ebraica, lo stesso giorno dell’avvenuta morte, e posto nel sepolcro di Giuseppe di Arimatea, a pochi metri dal Golgota, fuori le mura di Gerusalemme.

I due luoghi, quello della crocifissione e quello del sepolcro di Gesù, sono così vicini tra loro che fin dalla prima costruzione della Basilica di Santa Croce, voluta della imperatrice Elena nel 335, a dieci anni dalla sua visita nella città santa, furono inglobati nell’unico edificio sacro : la Basilica del Santo Sepolcro123. Sappiamo però che il culto sui due luoghi santi si formò da subito, nonostante le costruzioni che gli imperatori romani fecero sui luoghi sopraddetti, per eliminarne il ricordo.

La vigilia del Grande Sabato quindi era dedicata esclusivamente, da parte delle donne, alla preparazione dei cibi per la Festa e alle pulizie della casa e di quanto essa conteneva dalle impurità soprattutto di natura alimentare; da parte degli uomini, alla scelta dell’agnello il quale doveva essere maschio, senza macchia ovvero senza difetto, e non più vecchio di un anno perché il sacrificio fosse gradito a Dio (cfr Es 12,4-5).

All’incominciare del tramonto tutto doveva essere pronto per dare inizio al riposo assoluto e alle preghiere (cfr Es 35,2-3): "per sei giorni si lavorerà, ma il settimo sarà per voi un giorno santo, un giorno di riposo, assoluto, sacro al Signore. Chiunque in quel giorno farà qualche lavoro sarà messo a morte. Non accendete il fuoco in giorno di Sabato, in nessuna delle vostre dimore".

Questo è il clima nel quale è avvenuta la deposizione del corpo dalla croce e la relativa sepoltura di Gesù Cristo: toccare un cadavere, per un ebreo, significava, a poche ore dalla Pasqua, contrarre l’impurità e dunque vanificare i propositi di purificazione, di preghiera, di partecipazione alla festa che ricordava la libertà del popolo di Israele dalla secolare schiavitù d’Egitto.

I sinottici però annotano l’ora della morte del Messia: l’ora nona (Mt 27,46; Mc 15,33; Lc 23,44); la tradizione fa coincidere questo orario con le ore 15, le tre del pomeriggio124. Infatti la sepoltura è indicata, sempre dai sinottici, quando è sopraggiunta la sera, al calare del sole o all’imbrunire, per poter provvedere al rito funerario prima che iniziasse il Sabato.

Come abbiamo già detto, i giudei seppellivano i loro defunti lo stesso giorno della morte, ma a motivo della festa principale sopraggiunta, seppellire Gesù, per Giuseppe di Arimetea e per Nicodemo, divenne un problema da risolvere al più presto: l’eventuale impurità presa da contatto di cadavere poteva essere comunicata anche ai pellegrini che incominciavano a salire a Gerusalemme per accedere alla festa. L’impurità si contraeva non solo per contatto fisico, ma anche per partecipazione visiva125.

Il tempo a disposizione per la sepoltura del corpo di Cristo fu però un po’ più lungo di quello che solitamente si è immaginato o si è voluto far immaginare: la questione dell’inizio della notte, limite massimo per le ultime operazioni prima del riposo sopraddetto, fu molto dibattuta in Israele e per diversi secoli.

Una regola liturgica sgombrò il campo dai vari dubbi: "quando appariva la prima stella, si è ancora al venerdì, alla seconda si è tra venerdì e il sabato, alla terza si è al sabato"126: non quindi al tramonto del sole, come si è sempre detto, ma a sera, così come i tre evangelisti fedelmente riportano.

La sepoltura di Gesù, quindi, fu fatta con tempo sufficiente: Giuseppe di Arimatea e Nicodemo ebbero quasi due ore di tempo per adempiere ai riti funerari in uso in quel momento a Gerusalemme; si vuole con questa annotazione, respingere l’idea della fretta e dell’incompletezza della sepoltura riservata a Gesù quel tardo pomeriggio del 7 aprile dell’anno 30 d.C., tesi molto cara e sostenuta da diversi esegeti.

Per capire meglio come sono andati i fatti, facciamo un passo indietro e ritorniamo alla crocifissione; la morte dei tre crocifissi, i due ladroni e Gesù, fu accelerata perché di grave scandalo ai pellegrini che si recavano a Gerusalemme per prendere parte alla festa.

Quando i soldati romani cominciarono ad applicare il crurifragium - lo spezzare le tibie dei crocifissi con dei bastoni, anche di metallo, onde impedire il sollevarsi del condannato sul chiodo dei piedi e quindi la possibilità di respirare ulteriormente per poter allungare i tempi del decesso per asfissia sia pur a costo di indicibile dolore127 - si resero conto che Gesù era già morto: ai due ladroni furono quindi spezzate le gambe. Il militare, visto Gesù morto, non gli spezzò le gambe, ma lo colpì con la lancia nel costato per poterne accertare così la morte avvenuta.

L’arma si conficcò nel torace di Gesù già senza vita e giunse fino al cuore, creando una grande ferita dalla quale uscì copiosamente sangue ed acqua (Gv 19, 32-34). Lo studio delle tracce presenti sulla Sindone ha rivelato che l’acqua che ha visto fuoriuscire Giovanni dal costato di Gesù dopo il sangue è siero.

Sono evidenti i rimandi al Salmo 34,21: "Preserva tutte le sue ossa, neppure uno sarà spezzato"; all’Esodo 12,46 quando descrive le prescrizioni sulla cena pasquale: "non ne spezzerete alcun osso", e a Numeri 9,12, in riferimento sempre all’agnello pasquale il quale doveva essere arrostito con le ossa intatte, figura di Cristo, Agnello di Dio: "non ne serberanno alcun resto fino al mattino e non ne spezzeranno alcun osso"; a Zaccaria che aveva profetizzato come gli abitanti di Gerusalemme avrebbero volto lo sguardo verso colui che avevano trafitto (Zac 12,10): "guarderanno a colui che hanno trafitto".

Chi adempie al rito della sepoltura di Cristo è il ricco Giuseppe di Arimatea, membro autorevole del Sinedrio, discepolo segreto di Giovanni.

L’opera di carità era una delle più importanti prerogative degli uomini del Sinedrio: Giuseppe aveva notato che ad assistere il Signore nelle ultime ore della sua vita non c’erano né parenti né amici; la presenza delle sole tre donne e del giovane Giovanni toccò il cuore del sinedrita.

Grazie alla schiera di schiavi di cui egli disponeva provvide a quanto necessario sia in termini di aiuto per la deposizione e la sepoltura della salma, sia per l’acquisto della Sindone - che come sappiamo dalla descrizione è pregiata e non alla portata economica della povera Maria - e per l’uso del sepolcro nuovo e monoposto, di proprietà di pochi fortunati in Gerusalemme.

Giuseppe dunque è il vero protagonista della sepoltura di Gesù, avvenuta soltanto per il coraggio e la tempestività che questo pio ebreo aveva dimostrato in modo forte: mentre i discepoli di Gesù erano alla macchia, Giuseppe diventa il difensore del corpo esanime del Cristo.

Il corpo di Gesù, come di qualsiasi altro giustiziato, se non fosse stato per l’intervento di Giuseppe di Arimatea, doveva essere gettato nella fossa comune dei delinquenti, insieme agli attrezzi e agli strumenti del supplizio.

Il Talmud Sanhedrin, al numero 452 così recita: "Il giustiziato deve essere sepolto, prima che tramonti il sole: ed inumato nel recinto dei delinquenti, di nascosto, senza onore, insieme con lo strumento del supplizio, cioè con le pietre della lapidazione, col legno della croce, con la spada della decollazione, col sudario della soffocazione, con loro o vicino a loro"128.

È notevole il coraggio di quest’uomo, il quale dalla sua alta posizione sociale e religiosa, chiede il corpo di Cristo, il corpo di un condannato a morte dal Sinedrio stesso, rischiando così l’impurità e ancor più la sua condizione giuridica molto rispettata in tutta Gerusalemme ed oltre.

Marco coglie questo dramma, mettendo in rilievo l’atto rischioso di Giuseppe: "Andò coraggiosamente da Pilato, per chiedergli il corpo di Gesù" (Mc 15,43).

Per la legge romana il crocifisso o un giustiziato, non doveva essere seppellito, ma dato in pasto ai corvi o ai cani; se il corpo, invece, fosse stato chiesto dai famigliari o dagli amici, il procuratore non avrebbe avuto alcuna norma contraria da far rispettare: questo veniva regolarmente consegnato senza particolari procedure o complicazioni, attraverso l’emissione di un atto di governo.

E siamo giunti al punto centrale della nostra ricerca: l’acquisto del lenzuolo funebre per la sepoltura di Gesù sempre da parte di Giuseppe di Arimatea.

A darcene notizie è l’evangelista Marco, così infatti riporta questo particolare importantissimo: "Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce, e avvoltolo in un lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia" (Mc 15,46).

Giuseppe, come abbiamo già detto, va da Pilato a chiedere il corpo in consegna, prima che Gesù fosse deposto dalla croce; la tempestività è motivata dal fatto che soltanto qualche minuto di ritardo poteva essere fatale al destino del corpo di Cristo: la fossa comune.

Così non fu: Giuseppe è intervenuto, sovvertendo l’apparente destino del corpo di Cristo; ritorna velocemente sul Golgota, dopo aver parlato con Pilato, con la tela o sindone già acquistata, come vedremo, nuova, finemente intessuta e formata da un pezzo unico, destinata ad avvolgere il corpo di Gesù insanguinato129.

In quella febbricitante corsa non è solo, al suo seguito ci sono alcuni servi che impiegherà per deporre il corpo di Gesù dalla croce e avvolgerlo nella tela testé acquistata.

Sulla questione filologica del termine greco sindòn, tradotto dalla Conferenza Episcopale Italiana con il lemma lenzuolo, rimandiamo alla lettura del capitolo successivo, in occasione dell’esegesi della pericope di Giovanni 20,1-10.

Aggiungiamo, in questo momento, soltanto un particolare: ai tempi di Gesù, in tutto Israele, non esistevano negozi che vendessero articoli religiosi o adatti alla sepoltura, tanto meno imprese funebri. Giuseppe comprò quindi una porzione di tela, dalla quale ricavare, tagliandola in parti aventi misurazioni predefinite dalla consuetudine funeraria, la sindone, le fasce - almeno tre - e il sudario130.

Contemporaneamente alla figura di Giuseppe di Arimatea, vediamo apparire un altro personaggio importante in Gerusalemme, riportato però solo dal quarto evangelista: Nicodemo, il sinedrita che era andato dal Signore, per incontrarlo, di notte. Egli, come dicono le scritture, acquistò i profumi, quasi trentatré chili di àloe e mirra: la quantità dei profumi acquistati fa immaginare una unzione di tipo regale.

La mistura preparata da Nicodemo era sotto forma liquida, grazie alla diluizione con olio d’oliva131.

È evidente che non ci troviamo di fronte solamente a profumi da bruciare all’interno del sepolcro o da collocare all’interno dei vasi da mettere vicino alla salma, ma ad un unguento, idoneo alla unzione del corpo e adatto a ritardarne la decomposizione; l’uso dell’àloe di tipo medicinale e non aromatico, aveva questo specifico obiettivo132.

I due racconti sulla preparazione del corpo di Cristo per la sepoltura, quello dei sinottici, - "Giuseppe e i suoi servi avvolsero il corpo in un lenzuolo" - e quello di Giovanni, - "lo legarono e lo avvolsero con bende (fasce) insieme agli aromi" - non sono tra loro in disaccordo, ma complementari, cronologicamente susseguenti l’uno all’altro.

Il corpo di Gesù, dunque, non è stato lavato e unto, come doveva avvenire se fosse morto in modo naturale, ma soltanto avvolto in una tela, così come era, anzi raccogliendo anche il sangue che nel frattempo aveva perso133.

Questo non perché mancasse il tempo, ma perché il rito riservato agli uccisi con spargimento di sangue prescriveva questi gesti: il defunto doveva essere seppellito con il sangue che aveva perduto, il cosiddetto sangue di vita, perché secondo la teologia ebraica il sangue è il luogo dove risiede la vita dell’uomo, l’anima134.

L’unzione di Cristo infatti non é stata fatta direttamente sul corpo del Signore, ma in modo indiretto: attraverso il contatto dei lini inzuppati di unguento e fatti avvolgere intorno alla sua persona.

Non dobbiamo dimenticare che Giuseppe di Arimatea e Nicodemo sono dei pii ebrei sinedriti e che la loro conoscenza della Legge era a dir poco perfetta.

La preparazione del corpo per la sepoltura fu fatta su una pietra sepolcrale, dunque fuori dal sepolcro ma comunque vicino ad esso, forse sempre in terra di proprietà di Giuseppe, si pensa nel giardino stesso del sepolcro. A Gerusalemme infatti, nella Basilica del Santo Sepolcro, è venerata la Pietra dell’Unzione; questa si trova tra il Golgota, luogo della crocifissione, e il Sepolcro, luogo della risurrezione.

Sappiamo dalla Scrittura che Gesù viene posto nel sepolcro di Giuseppe di Arimatea, a poca distanza dai luoghi della crocifissione e della preparazione per la sepoltura. Probabilmente è un sepolcro ad un solo banco, nuovo, dove non era stato sepolto nessuno prima di Cristo (Lc 23,53).

Giuseppe aveva sicuramente un sepolcro più grande, a struttura familiare, nella sua città natale ad Arimatea, ma riservò per sé un posto, il più vicino possibile al luogo della accoglienza del Messia, nell’ultimo giorno, durante la risurrezione dei morti: nella valle del Cedron nella città santa di Gerusalemme135.

Non sappiamo se, dopo l’evento della risurrezione di Gesù, Giuseppe abbia avuto la possibilità, sia per un fatto di rispetto personale che per un fatto di devozione popolare, di decidere liberamente se poter seppellire il proprio corpo nel suo sepolcro o se invece altrove.

Un importante passo del Vangelo di Gamaliele, o Lamentazione di Maria, ai versetti 20, 24, 25 e 40, ci fa conoscere ulteriori particolari circa la sepoltura e il luogo del Maestro: "Quelli intanto lo avvolgevano con cura, insieme a spezie e mirra, in un panno di lino nuovo che non era mai stato usato per nessuno. Anche la tomba era vuota; nessun cadavere umano vi era mai stato seppellito, poiché era stata scavata in una grotta appositamente per Giuseppe, il proprietario del giardino. Lo posero dunque là dentro e presero tutte le precauzioni, dicendo: Staremo a vedere fino al terzo giorno...Dopo tutto ciò, Giovanni ritornò di corsa dalla Vergine e le disse: Guarda, hanno posto tuo figlio, il mio Signore, in una tomba nuova, su di lui è stato steso un sudario nuovo, e lo hanno sepolto con molte spezie e abbondante mirra...La Vergine gli domandò: Chi ha dimostrato tanta benevolenza nei confronti di mio figlio? Egli le riferì che erano state due persone autorevoli: Giuseppe e Nicodemo...Giovanni le parlò affettuosamente, dicendole: Cessa ora il tuo pianto, poiché quelli l’hanno preparato per la sepoltura, come si conviene, con aromi e fumo d’incenso e con nuovi panni di lino. Anche la tomba in cui lo hanno seppellito è nuova e lì vicino vi è un giardino"136.

La descrizione del sepolcro di Gesù ci è pervenuta attraverso le Catechesi di Cirillo di Gerusalemme; nelle catechesi 10,13 e 19, così descrive l’ambiente: "Vi si entra per una porticina un po’ più bassa di una persona. Scesi alcuni gradini, si entra nel vestibolo, capace di contenere alcune persone; si accede quindi alla cameretta sepolcrale che ha un solo loculo laterale per un solo cadavere...Fuori del sepolcro giace a terra la pietra che chiudeva la tomba, molto grossa e pesante".

Infatti il sepolcro veniva chiuso da una grande pietra circolare, rotolante in un’apposita scanalatura, guida e sostegno per la pietra sepolcrale altrimenti pesante e pericolosa ai fini della stabilità della stessa; la pietra veniva poi fermata da un cuneo anch’esso in pietra.

La tradizione funeraria in uso presso il popolo di Israele prevedeva che la tomba rimanesse aperta per almeno tre giorni: innanzi tutto per dare la possibilità ad amici e parenti di porgere gli estremi onori al defunto attraverso le visite che si concludevano con il dono dei profumi, ciò che per noi è oggi il deporre dei fiori sulla tomba e poi perché i tre giorni rappresentavano i tre momenti clinico-biologici, trascorsi i quali si poteva affermarne l’avvenuto decesso, si passava cioè dalla morte clinica a quella biologica, la putrefazione del corpo o stato cadaverico.

Sappiamo inoltre che i tre giorni sono carichi anche di significato teologico, così come vedremo meglio quando tratteremo la questione teologica nel paragrafo successivo.

Perché allora il sepolcro di Gesù fu chiuso subito dopo la sepoltura del corpo?

La risposta è molto semplice: come osserva Luca, era appena cominciata la Parasceve, la vigilia della Pasqua; dalle finestre delle case già si intravedevano le luci del candelabro della festa, accese dalle donne.

Durante la festa più importante dell’ebraismo a nessuno era lecito fare nulla se non riposare e pregare: le visite ai sepolcri, i pianti e i lamenti erano pertanto interdetti, la Festa non doveva essere disturbata da niente e da nessuno.

I sinottici ci informano che delle donne furono presenti durante il rito della sepoltura di Gesù; questo aspetto è di capitale importanza, soprattutto quando verrà messo in relazione alla testimonianza che queste faranno, relativamente alla avvenuta risurrezione di Gesù: loro sapevano bene quale era la posizione del corpo, delle tele - cioè della sindone, delle fasce e del sudario - nonché la quantità dei profumi e degli aromi utilizzati dal pio Nicodemo137.

Gli apostoli, tranne Giovanni, non erano stati presenti durante il rito sopra descritto: ecco perché Pietro non collega immediatamente, in base alla posizione delle tele, la grandezza dell’evento appena consumato.

Giovanni invece non avrà difficoltà a capire cosa fosse accaduto all’interno del sepolcro in quelle misteriose trentasei ore138: egli ricordando la posizione della sepoltura e il rinvenimento delle tele potrà dire, in terza persona, di sé "allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette" (Gv 20,8).

Era seguito alla chiusura del sepolcro l’allontanamento delle donne e l’arrivo dei soldati romani perché sorvegliassero il sepolcro evitando l’eventuale furto di cadavere; la preoccupazione dei giudei era quella che i discepoli di Gesù, rubando il corpo, potessero dire che egli era risuscitato dai morti e dunque affermare che veramente Gesù fosse il Messia.

Le guardie appongono così i sigilli139 sulla pietra, dando inizio ai turni di guardia, turni che termineranno al terzo giorno (Mt 27,64-65).

Si conclude così il primo giorno dopo la morte di Gesù; terminato il venerdì incomincia il sabato, giorno di completo silenzio per la liturgia cattolica, a simboleggiare il silenzio fattosi all’interno e intorno al sepolcro, ma giorno di festa per Gerusalemme e tutto Israele.

2- La risurrezione e la Sacra Sindone: quali relazioni?

Il grande sabato è terminato da qualche ora e nel sepolcro entrano i primissimi fievoli raggi di sole; le imperfezioni murarie della porta sepolcrale e quelle della pietra tombale lasciano entrare nella stanza del Signore la luce del nuovo giorno.

Il sepolcro si illumina pian piano; prima dall’esterno e subito dopo, con una esplosione intensa ma breve, dall’interno: la risposta alla luce che nasce da Oriente è la risurrezione di Cristo, la Luce delle genti.

Ciò che per Israele è un giorno normale, il primo della settimana, lo iòm rishòn, il 9 aprile dell’anno 30 dell’Era Volgare, per la cristianità nascente e per il mondo intero è invece il giorno più importante di tutti i tempi: è il Giorno che non conoscerà tramonto, è il giorno della risurrezione di Gesù Cristo.

Attori principali di questa singolarissima giornata sono le donne che tanta parte hanno avuto nei racconti evangelici e nella storia della salvezza, inaugurata da Gesù nei tre anni di predicazione pubblica per le strade della Galilea e della Giudea140; delle tante, tre però emergono fortemente dal gruppo: "C’erano là molte donne che stavano ad osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo" (Mt 27,55-56).

Il secondo Evangelista invece divide le donne in più gruppi, dalle più distanti alle più intime del Signore: quelle che avevano seguito Gesù a Gerusalemme in occasione della Pasqua sin dalla Galilea, quelle che erano un po’ più vicine al Maestro e ai discepoli, e quelle invece più assidue nel frequentarli: Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e Salome, madre degli apostoli Giacomo e Giovanni (l’apostolo amato dal Signore non la nominerà nel suo vangelo).

Luca preferisce l’anonimato durante il racconto della crocifissione e della sepoltura, ma indica tre donne quando affronta la pericope dell’annuncio della risurrezione di Cristo: "Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti (Lc 23,49); e, tornate dal sepolcro annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo" (Lc 24,9-10): Giovanna, nominata solo da Luca, è moglie di Cusa, l’amministratore del tetrarca Erode (Lc 8,3; 24,10).

Proviamo a mettere insieme i fatti appena narrati dai sinottici e da Giovanni apparentemente in contrasto tra loro se affidati ad una lettura affrettata; i racconti infatti non vanno sovrapposti sincronicamente, ma uniti diacronicamente, cronologicamente l’uno all’altro.

Sono diverse sequenze di un’unica grande scena, consumatasi nel giro di poche ore, la domenica mattina dopo il sabato: la risurrezione di Cristo e le visite delle donne al sepolcro.

Le tre donne, le più assidue e affezionate a Gesù, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome, la madre di Giovanni, si recano all’alba del primo giorno della settimana al sepolcro per visitare e imbalsamare il corpo del Maestro (Mt 28, 1; Mc 16,1-2).

La visita che fanno le donne al sepolcro rientra nei costumi ordinari di tutti gli usi funerari del mondo: gli aromi che portarono in dono al Signore sarebbero serviti non per l’unzione, del resto già fatta da Nicodemo e Giuseppe di Arimatea, ma per bruciarli all’interno del sepolcro in segno di lutto e di preghiera per il defunto.

Per il verbo utilizzato da Marco, imbalsamare, ci sono invece alcuni problemi che andrebbero meglio chiariti: innanzitutto gli ebrei non imbalsamavano i defunti; in secondo luogo il verbo greco che indicherebbe il testo originale è alèipho, cioè ungere, spalmare; non di certo imbalsamare.

La Volgata Sisto-Clementina così infatti traduce questo passaggio: "emerunt aromata ut venientes ungerent Iesum". Credo che non debba aggiungere altro alla questione filologica. Per quanto riguarda invece quella rituale credo che l’evangelista abbia voluto indicare con il verbo alèipho l’atto dell’ungere non la salma, ma il giaciglio del sepolcro: versare cioè sul letto di morte ulteriore unguento perché si onorasse la sepoltura.

Gli aromi e gli unguenti portati dalle donne servivano esclusivamente per bruciare i primi - per aromatizzare l’interno del sepolcro -, e per ungere la salma (esternamente) e la pietra sepolcrale i secondi; ricordiamo che se non fosse stato per la festa di Pasqua, il sepolcro sarebbe stato aperto per tre giorni consecutivi, tempo dedicato a parenti ed amici per onorare il defunto con omaggi di profumi, aromi e unguenti141.

L’errata interpretazione di questi gesti porta a considerare la sepoltura fatta in precedenza dai due sinedriti frettolosa e incompleta, cosa che già abbiamo detto non corrispondere a verità.

Le donne sono subito protagoniste, prima di arrivare al sepolcro, di un evento particolare: durante il cammino, da casa verso il sepolcro, sentono una "forte scossa di terremoto" (Mt 28,2); giunte al sepolcro, vedono la pietra "ribaltata": il sepolcro è aperto.

Si trattò veramente di terremoto? Sappiamo che la scossa avvertita dalle donne è stata l’unica, non sono seguiti, a questa, altri sussulti tellurici; la scossa inoltre pare che non sia stata avvertita nella vicina Gerusalemme: le donne infatti non vedono riversarsi per le strade la popolazione in cerca di aiuto o in preda al panico; tutto invece è calmo, tranquillo, normale.

Le donne si trovavano già fuori le mura di Gerusalemme, si dirigevano verso il sepolcro di Gesù quando avvertirono il sussulto, la scossa; il Golgota è una collina e il sepolcro di Gesù si trovava a pochi metri dal luogo della crocifissione: le donne avevano quindi una visuale panoramica della città ed erano vicine ad una delle porte della stessa, luogo naturale di fuga della gente in casi di calamità naturali, ma questo non è avvenuto.

Non fu terremoto: si trattò di una scossa limitata alla zona del Golgota; il terreno vibrò ed emise un gran rumore.

Il testo greco di Matteo, quando fa riferimento a ciò che la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha tradotto con la parola terremoto, riporta il termine seismòs; possiamo dedurre che il fragore sentito dalle donne nei pressi del sepolcro sia stato causato non da un terremoto, ma dal "ribaltamento" della pietra sepolcrale che chiudeva il sepolcro stesso142.

Marco e Giovanni parlano di "pietra che era stata già rotolata o ribaltata" quando le donne arrivano al sepolcro ; non dimentichiamo la preoccupazione iniziale delle donne di aprire il sepolcro a causa del grande masso: "Esse dicevano tra loro: chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?" (Mc 16,3). Matteo invece ci parla di un angelo che rotola la pietra, aprendo il sepolcro, sulla quale poi si mette a sedere.

Facciamo un passo indietro e analizziamo i versetti di Marco, interessanti per capire cosa accadde effettivamente al sepolcro alle prime luci dell’alba che inaugurerà il Giorno senza tramonto: se davvero l’angelo avesse rotolato la pietra, l’Autore non avrebbe avuto bisogno di sottolineare il seguito con una proposizione concessiva: "benché fosse molto grande" (Mc 16,4).

La meraviglia delle donne a questo gesto compiuto dall’angelo si riferisce non al semplice rotolare del masso, ma al sollevamento di questo affinché posizionasse la pietra fuori dalla scanalatura, dalla guida, necessaria invece per la normale chiusura del sepolcro.

La pietra è stata così sollevata dall’angelo e posta appoggiata alla parete del sepolcro, cioè in modo obliquo, per evitarne la caduta; fatta questa operazione rumorosa - immaginiamo il tonfo che il sollevamento della grande pietra ha creato quando è stata posizionata oltre la scanalatura rimettendola a terra - si è poi seduto sopra; la pietra infatti non poteva più rotolare, era pertanto stabile grazie alla posizione obliqua fatta assumere dalla nuova posizione rispetto al sepolcro.

Il testo greco, come al solito, ci viene in aiuto per capire fino in fondo come siano andate le cose: Marco al versetto terzo, quando si riferisce alla domanda preoccupata delle donne relativa alla difficoltà di far rotolare la pietra per accedere nel sepolcro, usa il verbo apokulìo: "Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?".

Nel quarto versetto, per esprimere il movimento della pietra dal basso verso l’alto nell’operazione fatta dall’angelo sopra descritta, al verbo rotolare, in greco kulìo, aggiunge la preposizione anà, anakulìo, cioè ribaltare e non più rotolare.

La CEI invece utilizza lo stesso verbo per i due termini tra loro differenti; la traduzione di Marco potrebbe essere all’incirca questa: "Esse dicevano tra loro: chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro? Ma, guardando, videro che il masso era stato ribaltato, benché fosse molto grande".

Dopo l’analisi delle pericopi di Matteo e di Marco ci addentriamo ora in quella di Giovanni, il quale al versetto secondo del capitolo venti usa il verbo ermènon, che significa sollevare in alto, dal verbo greco aìro; in questo caso la Bibbia di Gerusalemme ha tradotto in italiano il verbo greco in modo filologicamente esatto: "E vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro"143.

La vittoria della vita sulla morte scardina l’equilibrio naturale; la pietra ribaltata dalla scanalatura è segno della definitiva e soprannaturale apertura del sepolcro, non può più restare chiuso per sempre; la vittoria di Cristo sulla morte è definitiva ed irreversibile.

Dopo lo stupore per l’accaduto le donne reagiscono in modo differente perché differenti sono le personalità: Maria madre di Giacomo e Salome rimangono davanti al sepolcro in contemplazione, quasi bloccate dall’avvenimento misterioso e dall’apparizione dell’angelo, esternamente al sepolcro per Matteo, internamente per Marco.

Maria di Magdala, più impulsiva ed emotiva delle altre, lascia le due amiche al sepolcro e corre ad avvisare Pietro e Giovanni, i quali si trovavano in città, in Gerusalemme, portando loro la notizia del probabile furto del corpo di Gesù: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto" (Gv 20,2).

Mentre Maria di Magdala è in Gerusalemme l’angelo apparso al sepolcro parla alle due donne; in entrambi i casi le invita a visitare il sepolcro e a vedere il luogo dove era stato deposto Gesù; il senso di questo invito è ovvio: soltanto chi aveva preso parte alla sepoltura di Gesù poteva ricordare il posto e quindi testimoniare l’avvenuta risurrezione di Cristo144, così come più tardi farà l’apostolo Giovanni, che per questo vide e credette, a differenza di Pietro che pur vedendo la stessa scena che vedeva il giovane apostolo "se ne tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto" (Lc 24,12).

Le donne fuggirono impaurite dal sepolcro dopo che l’angelo aveva parlato loro: si diressero frastornate verso la città, meditando di non raccontare a nessuno quanto loro era accaduto.

Le donne sapevano bene che la propria testimonianza era nulla nel contesto giuridico-sociale ebraico; Cristo ha voluto che le prime a vederlo risorto fossero proprio loro, le donne, perché queste non lo avevano abbandonato durante i momenti difficili del venerdì precedente, giorno di Passione: processo, flagellazione, crocifissione, morte e sepoltura.

I discepoli invece, escluso Giovanni, scapparono davanti a questi fatti; Pietro rinnegò più volte di averlo addirittura conosciuto.

Maria e Salome corrono impaurite verso Gerusalemme, così come pochi minuti prima aveva fatto Maria di Magdala e nella direzione opposta comincia la corsa degli apostoli Pietro e Giovanni verso il sepolcro.

L’analisi della pericope della visita dei due apostoli nel luogo di sepoltura di Gesù e la relativa descrizione di quanto ivi trovato, certamente non una stanza vuota come da più parti si vuol far intendere, è oggetto dell’intero capitolo successivo; rimandiamo pertanto la trattazione di questo nodale avvenimento ai fini della identificazione della Sindone di Torino con i lini descritti nel racconto giovanneo.

Continuiamo invece la trattazione dei fatti della domenica mattina, ritornando sulla figura della Maddalena, la quale dopo aver avvisato i due Apostoli, ritorna anche lei verso il sepolcro, ma più lentamente di quelli: era stanca della corsa appena fatta e distrutta dall’idea che si era fatta rispetto al furto del corpo del Signore.

È inutile sottolineare l’attaccamento di Maria a Gesù e alla conseguente sofferenza che doveva provare in quel triste momento; per sua fortuna ritornerà gioconda quando il Signore le apparirà e ci piace immaginare che la Maddalena, presa da uno dei suoi soliti attacchi emotivi, si scagliasse letteralmente su Gesù coprendolo di domande al punto che dovette risponderle: "non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre, ma va dai miei fratelli e dì loro: io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro" (Gv 20, 17).

Soltanto in questo passo si può collegare, da un punto di vista cronologico, il racconto di Luca; è la visita delle donne che avevano comprato gli aromi il venerdì sera dopo il tramonto; possiamo definire questo gruppo di donne il secondo.

Il primo gruppo è formato dalle tre donne Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome, le quali avevano già visitato il sepolcro non già di buon mattino, come fanno queste (Lc 24,1), ma "all’alba, quando era ancora buio, al levar del sole".

Il secondo gruppo di donne mentre si recavano al sepolcro incrociano sia Maria e Salome agitate e in corsa che la Maddalena, le quali raccontarono separatamente le loro straordinarie esperienze: le donne trovano il coraggio per farlo perché non c’erano tra loro uomini. Ma il secondo gruppo di donne, incredule di quanto raccontato, decidono di andare tutte insieme al sepolcro per convincersi di quanto appena affermato.

Arrivate nei pressi della tomba, verificarono dapprima il ribaltamento della pietra, poi l’assenza del corpo di Gesù nel sepolcro, ma la presenza di Cristo risorto e la visione degli angeli non fu loro ancora data.

Non ebbero neanche il tempo di cominciare a dubitare che le apparvero due angeli in atteggiamento di rimprovero per la loro incredulità: le donne si sentirono in colpa e chinarono il volto verso il basso, a sottolineare la vergogna per non aver creduto alle testimonianze delle tre fortunate amiche.

Segue l’annuncio delle donne della risurrezione di Cristo agli Apostoli, ormai fortificate dalla visione del Cristo risorto e per questo capaci di affrontare qualsiasi situazione; loro infatti sono state testimoni oculari dell’apparizione di Cristo, riportata in Matteo 28,9-10.

Gli Apostoli risponderanno increduli, freddi e distaccati. Infatti, nessuno degli altri discepoli raggiunse il sepolcro per verificare quanto detto dalle donne, segno ulteriore della loro incredulità.

Uno dei motivi è da ricercarsi nel fatto che la Maddalena aveva portato due differenti testimonianze, una in contrasto con l’altra, ma la causa principale della incredulità degli Apostoli è che la legge giudaica non dava la capacità giuridica alle donne in qualità di testimone (non che la cultura giuridica greca e romana l’avesse)145.

Possiamo a questo punto tentare una conclusione: il sussulto del Golgota, come abbiamo detto, è stato causato dal tonfo dovuto al ribaltamento della pietra fuori dalla scanalatura della guida sepolcrale ad opera dell’angelo.

Solo una forza soprannaturale avrebbe potuto sollevare il masso, infatti le donne per questo si sono meravigliate.

L’angelo apre il sepolcro un attimo prima che avvenisse la risurrezione: se il sussulto fosse stato provocato dopo la risurrezione il sudario si sarebbe afflosciato insieme alle fasce perché scosso anch’esso. Le forti vibrazioni della terra, circostanti il sepolcro, avrebbero inficiato quello che Giovanni e Pietro hanno visto e per questo creduto: le fasce adagiate sulla pietra sepolcrale e il sudario ancora avvolto nello stesso posto iniziale, quello della sepoltura, come un palloncino ancora gonfio.

Questo è un elemento importante per determinare la sequenza dei fatti: vedremo adesso cosa è accaduto ai lini sepolcrali di Gesù e come li hanno trovati i due Apostoli.

Note del V Capitolo

122 Talmud, Il trattato delle Benedizioni, a cura di SOFIA CAVALLETTI, p. 181-222, Milano 1992.

123 L’imperatore Giuliano (361-363) tentò la ricostruzione del Tempio perché pressato dai giudei di Gerusalemme, ma il progetto venne immediatamente sospeso perché morì in battaglia contro i persiani. Sulla descrizione storica ed architettonica della Basilica del Santo Sepolcro: BUX - CARDINI, L’anno prossimo, p. 40-43.

124 La notte, dal tramonto all’alba, per gli ebrei era divisa in tre veglie di quattro ore ciascuna; il giorno invece in dodici ore: l’ora sesta per esempio era mezzogiorno e l’ora nona, le quindici. Per approfondire l’argomento, cfr ENCYCLOPAEDIA JUDAICA, alla voce Sundial, col 519-520, Jerusalem 1972.

125 Cfr FREDERIC MANNS, Il Giudaismo, ambiente e memoria del Nuovo Testamento, p. 99-101, Bologna, 1995.

126 G. RICCI, La Sindone Santa, p. 243.

127 Questo particolare sforzo che i crocifissi facevano è ben messo in evidenza sull’impronta lasciata dall’Uomo della Sindone se osserviamo che il dorso della mano e le nocche delle dita sono completamente escoriate: questo è avvenuto per il continuo sfregamento delle mani contro il legno della croce.

128 Cfr ANTONIO PERSILI, Sulle tracce del Cristo risorto. Con Pietro e Giovanni testimoni oculari, p. 91-97, Tivoli 1988.

129 Cfr GIUSEPPE GHIBERTI, La sepoltura di Gesù. I Vangeli e la Sindone, p. 54-62, Torino 1982.

130 Cfr R. DE VAUX, Il mondo di Gesù, <Tempi e luoghi della Bibbia>, p. 372-373, (1978).

131 Cfr UMBERTO FASOLA, La Sindone e la Scienza, Atti II Congresso Internazionale di Sindonologia, 1978, p. 59-64.

132 Cfr PERSILI, Sulle tracce, p. 101.

133 Cfr BONNIE B. LAVOIE et al., The Body of Jesus was not washed according to the Jewish burial custom, <Sindon> XXIII (1981), q. 30, p. 19-29.

134 Cfr GAETANO INTRIGILLO, Indagine nel sepolcro vuoto. "Venite a vedere il luogo dove era deposto", p. 12, Udine 1996.

135 Cfr ABRAHAM COHEN, Il Talmud, p. 423-431, Bari 1999.

136 Cfr MORALDI, Apocrifi del Nuovo Testamento.

137 Cfr GHIBERTI, La sepoltura, p. 29-34.

138 Perché si imprimesse sulla Sindone il decalco di sangue così come noi oggi lo vediamo, lo stesso deve avere subito un processo di fibronolisi, cioè un ridiscioglimento dei coaguli di sangue, reso possibile dalla mistura di àloe e mirra venuta a contatto con le ferite grazie all’avvolgimento del Lino, che di quelle sostanze era imbevuto, con il corpo di Cristo. Questo processo si consuma nell’ambito delle trentasei ore, giusto il tempo di permanenza del corpo esanime di Cristo nel sepolcro gerosolimitano; se le ore del contatto tra le ferite e il Telo fossero state maggiori o minori delle trentasei ore, il decalco in oggetto non sarebbe stato quello visibile oggi sulla Sacra Sindone di Torino.

139 Come abbiamo visto nel capitolo precedente, i sigilli che hanno apposto i soldati romani sulla pietra del sepolcro di Gesù potrebbero riguardare anche l’iscrizione che gli stessi avrebbero fatto sulla Sindone di Cristo per accertarvi l’identità del defunto e la causa della morte, rito in uso nel giudaismo del I secolo d.C. Le scritte che i soldati avrebbero posto, con inchiostro, sul Telo sono quelle rinvenute dagli studiosi francesi nelle prossimità del volto dell’Uomo della Sindone di Torino.

140 Cfr LILIA SEBASTIANI, Donne dei Vangeli, tratti personali e teologici, Milano 1994.

141 Cfr PERSILI, Sulle tracce, p. 116-119.

142 Ib, p. 119-120.

143 Ib, p. 121.

144 Cfr INTRIGILLO, p. 8-10.

145 Cfr PERSILI, Sulle tracce, p. 131-132.

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