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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Che cosa vuol dire "commemorare i defunti"?

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2009 19:01
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27/10/2009 19:00
 
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Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 29/10/2003 16.06
I defunti.
La liturgia del giorno pone l'accento sulla fede e la speranza nella vita eterna, saldamente fondate sulla Rivelazione. Significativo il brano tratto dal Libro della Sapienza 3,1-6.9: "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio; il tormento non le toccherà. Agli occhi degli stolti sembra che muoiano; la loro fine è giudicata una sciagura e la loro dipartita da noi uno sfacelo; essi in realtà sono nella pace".
Per chi ha creduto in Dio e lo ha servito la morte non è un salto nel nulla, ma nelle braccia di Dio: è l'incontro personale con lui per vivere "presso di lui nell'amore" e nella gioia della sua amicizia. Il cristiano autentico perciò non teme la morte, ma considerando che finché viviamo quaggiù "siamo esuli dal Signore", ripete San Paolo: "preferiamo esulare dal corpo e abitare presso il Signore" (2 Cor.5,6.8).
Nonostante tutto non si tratta di esaltare la morte, bensì di vederla quale realmente è nel piano di Dio: il giorno natalizio alla vita eterna.
Questa visione serena e ottimista della morte si basa sulla fede in Cristo e sull'appartenenza a lui: "la volontà di Colui che mi ha mandato è questa : che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo resusciti nell'ultimo giorno" (Gv.6,39).
Tutti gli uomini sono stati dati a Cristo ed egli li ha pagati a prezzo del suo sangue. Se essi accettano la loro appartenenza a lui e la vivono con la fede e con le opere secondo il Vangelo, possono essere certi di essere annoverati tra i "suoi" e come tali nessuno potrà strapparli dalle sue mani, nemmeno la morte.
"Sia che viviamo, sia che moriamo, apparteniamo al Signore", dice San Paolo in Rm.14,8. Siamo del Signore perché ci ha redenti e incorporati a sé, perché viviamo in lui e per lui mediante la grazia e l'amore; se siamo suoi in vita, rimarremo tali in morte.
Cristo, Signore della nostra vita, diverrà il Signore della nostra morte, che assorbirà nella sua trasformandola in vita eterna.
"Concedi, Signore, che i nostri fratelli defunti entrino nella gloria con il tuo Figlio, che ci unisce tutti nel grande mistero del tuo amore".

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Da: nylusInviato: 30/10/2003 11.19
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Da: Soprannome MSN°63CaterinaInviato: 30/10/2003 12.07
Caro nylus...devo epurare il tuo intervento perchè a noi non interessano i retroscena delle varie speculazioni......., anche perchè alcune sono discordanti..... e poichè non sta a noi giudicare il comportamento degli altri....lascerò inserita solo la tua domanda......
Da: nylusInviato: 30/10/2003 11.19
per andare a lavorare percorro la strada che costeggia  il cimitero.
di questi giorni è alquanto trafficata.
molta gente si prepara a commemorare i defunti.
 introvabili i preti (......)
e allora mi chiedo:
si commemorano i defunti oppure il corpo dei defunti?
non sarebbe meglio la cremazione, con eventuale ricordo fisico in una scatoletta (come si usava per il tabacco) e con il sicuro ricordo nella mente e nel cuore?
Nylus
............
caro Nylus...circa la questione della sepoltura, qui avrai un idea del perchè si seppelliscono i propri cari, almeno nella nostra versione, ogni cultura poi avrà i suoi metodi:
.......
la cremazione è accolta anche dalla Chiesa in risoluzione anche degli spazi sempre più limitati, tuttavia il fatto è rilegato al Vangelo che ci convince che un defunto NON è MORTO nel senso di FINITO, ma DORME......dorme il "sonno della Pace" fino al ritorno del Cristo Glorioso e Giudice....in questa rilettura del significato della sepoltura NON sta a noi giudicare se la gente torna dai suoi cari una sola volta all'anno, perchè anche in quel solo giorno, la Chiesa si augura che per i tiepidi avvenga un cambiamento, che per gli increduli avvenga una conversione.....
TUTTO l'anno NOI ricordiamo i Defunti, sia familiari sia che sparsi nel mondo, CREDENTI O NON CREDENTI, attraverso la Messa, anche se NON è stata segnalata per qualcuno in particolare.....ecco a cosa serve questo forum, a far comprendere che OGNI Messa è PER TUTTI I DEFUNTI.....il Sacrificio Eucaristico non è solo rivolto alla persona che fa celebrare la Messa per un suo caro, ma è PER TUTTI......indistintamente.....
Tutto l'anno sia la preghiera del Rosario, sia la Messa, sia nella Preghiera dei Fedeli in ogni domenica, RICORDIAMO TUTTI i Defunti......questo giorno che segue alla Festa di tutti i Santi, vuole invece ricordare ai vivi che QUI SIAMO DI PASSAGGIO......., non solo, questa Commemorazione è nata insieme a quella dei Santi per mitigare il fatidico Halloween......per evitare che si riducesse il tutto ad una festa pagana......dimenticando il trionfo di Cristo sulla morte e su OGNI PAURA.....
Ben venga questa festa dunque, se almeno una volta all'anno qualcuno si ricorderà che ha un proprio caro da RICORDARE......
All'ingresso di un cimitero hanno scritto:
"Ciò che TU SEI.....io ero......
ciò che io sono oggi......tu sarai......"
Forse un modo per esorcizzare la paura della morte?........
chissà.....
Siamo persone deboli nylus.....forse cremando un defunto e rilegandolo in una scatoletta...potrebbe finire in una scatola d'immondizia durante un trasloco......
Nel caso della nostra tradizione....abbiamo invece l'opportunità di MEDITARE SUL NOSTRO DESTINO.....e di ricordarci che la "pietà commemorativa" aiuta si relativamente il defunto, ma ancora di più...AIUTA NOI che ancora non siamo in grado di percepire la realtà di questo passaggio......
Un appunto sulla questione dei preti introvabili......tralascio la questione del "listino prezzi"......perchè non è come tu dici e qui ora non ci interessa....., la questione dell'offerta del resto è sempre un tasto dolente.....che troverà ogni volta gli scontenti.....e coloro che si sentono in diritto di giudicare eventuali usi e costumi, dimenticando che per il mondo protestante la questione non esiste relativamente perchè li si paga la decima......cosa che non avviene fra i parrocchiani....ma questo è un altro forum.....
I preti sono introvabili per due motivi.....uno ce ne sono di meno e noi siamo aumentati.........secondo un brutto vizio della gente è di ricorrere alle Messe e al prete specialmente in questo periodo così da mandare in tilt gli stessi sacerdoti.....un pò come partire per le vacanze.....tutti si riducono all'ultimo fine settimana specifico...così da mandare in tilt gli autocaselli......
Ti confesso che io faccio il contrario......le Messe le faccio dire nel corso dell'anno e in questi giorni lascio il posto ai ritardatari.......tanto il suffragio che la Chiesa compie è valido anche per le mie intenzioni.....ecco la Comunione dei Santi.....che s'intreccia nel mistero dell'Amore Misericordioso di Dio.....
Fraternamente Caterina

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Da: nylusInviato: 30/10/2003 13.00
approvo la potatura, caterina
i tralci che impediscono a quelli sani di crescere vanno potati, così come la mia descrizione che offuscava il pellegrinaggio ai cimiteri dei sinceri.
mi ero lasciato trasportare dalla disapprovazione.
Nylus

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Da: Soprannome MSN°63CaterinaInviato: 30/10/2003 14.23
(Grazie nylus....per aver capito.....)

PAROLE DEL SANTO PADRE PAOLO VI
PER LA RICORRENZA DEI DEFUNTI


Martedì 2 novembre 1965

     

SIAMO QUI riuniti con il proposito di onorare religiosamente i nostri defunti: coloro cioè che ci hanno preceduti « cum signo fidei et dormiunt in somno pacis ». Ognuno - come è ovvio - ricorda anzitutto i propri cari, specie coloro la cui dipartita è meno lontana, sì che la cicatrice del dolore non è ancora rimarginata. Poi il pensiero torna alle persone conosciute, a coloro che hanno avuto con noi vincoli di parentela, o rapporti di professione ed amicizia, che con noi hanno condiviso le vicende del pellegrinaggio terreno, partecipando alla nostra vita sociale.

L’animo, il ricordo si volge quindi a tutti gli scomparsi appartenenti alle singole parrocchie, ai paesi, ai centri urbani: specialmente alla città e diocesi di Roma, alla nostra terra, al popolo tra cui viviamo.

L’orizzonte si allarga ancora, e sentiamo doverosa la preghiera per gli. altri defunti, a cominciare dalle vittime delle guerre del nostro tempo, sino ai molti caduti anche in questi giorni perchè gli uomini non sono capaci di essere fratelli. Si arriva, infine, con tale sentimento di umana pietà, all’aiuto cristiano a quanti sono avvolti dall’oblio, a pro dei quali nessuno prega, e che proprio da noi aspettano l’aiuto per passare dalle sofferenze della espiazione alla luce del Signore..

Un sacro dovere, dunque, di religiosa, universale solidarietà.

Si tratta, è vero, d’un obbligo triste e penoso: ed esso rimarrebbe nei termini d’un dolore sconsolato, se noi ci limitassimo solo all’aspetto umano di quanto sentiamo di fronte alla morte. Sappiamo tutti che tale condoglianza non è sufficiente e che il considerare solo in termini terreni ciò che avviene con la morte e dopo la morte, ci atterrisce. Le cognizioni umane, in proposito, non ci dicono nulla: e generano soltanto smarrimento, fantasie, sconforto. Perciò non bastano questi limitati sentimenti a commemorare degnamente e piamente i nostri defunti. Occorre ben altro: ed ecco la lampada della nostra santa Religione venirci incontro per illuminarci, guidarci ed indicare, in ogni momento, quel che si deve pensare e compiere dinanzi al trapasso dalla esistenza nel tempo all’eternità.

Non è che questa lampada dissipi, nel campo in esame, tutte le tenebre, San Paolo ci ricorda che noi, adesso vediamo come per riflesso, in aenigmate. Nondimeno quel che la Religione ci fa intravvedere della vita d’oltre tomba è tale da darci grandi certezze, alimentate e sorrette dalle tre virtù teologali. La fede, la speranza, la carità vengono ad impartirci insegnamenti di luce sì da rendere possibile, anzi doverosa, una comunione con i nostri defunti.

Ben oltre i semplici eppur apprezzabili dati della ragione, che arriva a dimostrare l’immortalità dell’anima senza però nulla dirci della vita futura, la fede ci dà il quadro completo della vita, anzitutto di quella presente, per quindi elevare il nostro spirito ed immergerlo nella somma verità: noi siamo immortali. Noi non moriremo più: siamo nati ieri e abbiamo davanti a noi l’eternità da vivere. La morte che può essere vicina e che, comunque, per la durata del tempo, non è lontana, tocca solo in una maniera episodica la nostra esistenza.

Siamo usciti dalle mani di Dio, che ci ha creati, per vivere sempre. Questa coscienza, di cui ora disponiamo, non si spegnerà mai. Ognuno può dire: il mio essere non sarà più assorbito da un sonno di morte, cioè di annullamento e di distruzione.

Vivrò! Questa nozione, che ci fa contemplare il vero programma e panorama della nostra esistenza, è, da un lato, consolantissima; dall’altro ci prospetta gravi pensieri di arduo dominio. Se siamo fatti per la eternità, che rapporto c’è fra la vita presente e quella futura? Mirabile è la risposta. Noi sappiamo che la morte va considerata come una lanterna posta ad illuminare il mutamento della nostra vita temporale, facendoci ben vedere un rapporto di responsabilità nei confronti del nostro destino eterno. Siamo noi a formare la nostra fisionomia per l’avvenire. Quel che facciamo ora ha una ripercussione nell’eternità. Di qui il peso e il valore della nostra vita presente. « Opera enim illorum sequuntur illos »: è stato letto poco fa nel brano dell’Apocalisse. Le nostre azioni ci seguono: diventano perciò di una importanza enorme. Bisogna pensarle e considerarle appieno; occorre essere perfetti, essere santi. Ogni azione, infatti, ha la sua portata al di là del tempo; incide non nel vuoto, ma nel nostro essere. Saremo, di fronte a Dio, quali ci stiamo plasmando con la nostra volontà, con le nostre virtù.

Consegue doverosa una domanda: come si perverrà a un grado di perfezione, alla piena corrispondenza al supremo destino stabilito da Dio? Rimanendo uniti, sempre, alle fonti della vita: a Cristo Signore benedetto, il Quale ha proclamato: « Ego sum resurrectio et vita »: Io sono la risurrezione e la vita. Così è: questa la norma indefettibile, Quale gioia il ricordare che, nell’imminenza della nostra nascita alla vita soprannaturale, quando abbiamo ricevuto il santo Battesimo, alla richiesta: che cosa cerchi dalla Chiesa? qualcuno ha dato, per noi, la risposta splendente: cerco la fede! E che cosa ti dà la fede? La vita eterna!

La fede ci inserisce nell’albero dell’eterna vita: Cristo. L’essere uniti con Cristo è necessità essenziale per noi. Se siamo innestati in Lui e cristiani vivi, il nostro destino è bene assicurato e i nostri giorni possono anche consumarsi rapidamente: non importa. Sappiamo d’essere incamminati non verso l’oscurità, l’annullamento, il castigo del nostro essere, ma verso l’oceano della vita: Cristo, la nostra redenzione e salvezza, il nostro premio. Giunge ora la speranza a fornirci anch’essa i suoi beni. Il primo è il conforto: è il togliere le inquietudini che non hanno sollievo; è il sentire vicino a noi la voce grave e autorevole del Maestro ripeterci: « Noli fiere »: non piangere! Un pianto disperato non è cristiano, lacrime che scorrono senza consolazione non sono lacrime benedette. E Gesù spiega: Sì, tu puoi sentire il dolore, la morte, la separazione dai tuoi, l’intera amarezza retaggio della prima colpa; puoi sì piangere, ma non con la disperazione nel cuore e con gli occhi annebbiati e incapaci di scorgere la luce che ti aspetta.

Non vogliate piangere - scrive San Paolo ai Tessalonicesi - come coloro «qui spem non habent», giacchè appunto il Cristianesimo, la nostra fede, la nostra unione con Cristo ci danno l’incrollabile sicurezza. « Spe salvi facti sumus »: già con la speranza siamo salvi. Potenzialmente, anzi, sin d’ora siamo al di là dell’abisso tenebroso, al di là della morte: e possiamo procedere con quella serenità, che rende accetta ed agevole la stessa vita presente.

Abbiamo un pegno nella bontà di Dio, nella sua fedeltà, larghezza e misericordia. Egli ci aspetta, ci chiama; perciò sostiene il nostro pellegrinaggio terreno con la sicurezza dell’incontro finale con Lui.

Ed ecco la carità. Fiorisce cioè questa eccelsa virtù che, come dice San Paolo, giammai verrà meno, e non si spegnerà. La fede, la speranza si risolveranno nella visione di Dio e nel suo godimento nella vita futura. La carità no: quel che oggi noi compiamo nella ricerca di Dio, nel volergli bene, nel seguirne i precetti e nell’essere uniti a Cristo: questo slancio, che si chiama amore soprannaturale, carità, durerà sempre. Sarà il nostro sentimento indistruttibile. Adesso palpita nel desiderio, domani rifulgerà nella pienezza del possesso: ma rimarrà sempre identico per origine e natura. Sarà sempre l’anelito di congiungerci al Signore: ad esso è assicurato un totale compimento.

Ora, sappiamo che questo vincolo esistente fra Dio e noi arriva a porsi in comunicazione anche con le anime dei nostri defunti. Il messaggio di amore che noi loro mandiamo perviene ad esse attraverso il misterioso canale costituito dalla Comunione dei Santi, il regno della carità. Riusciamo, quindi, a metterci in reale comunicazione con i trapassati e a ricevere da loro qualche messaggio, non fosse altro che il ricordo dei loro atti ed esempi edificanti; e sentirci, così, già in società restituita, anzi piena, con tutti i nostri defunti.

Quale la conclusione di quanto si è qui rammentato? Dobbiamo attuare in esercizio volenteroso i grandi suggerimenti di fede, di speranza e di carità: e guardare sì la vita con il richiamo luminoso che ci viene dai nostri defunti, ma soprattutto possedere .questo supremo, vittorioso slancio di amore, che il Signore dà e fa circolare tanto in questa vita quanto in quella della beatitudine.

A che cosa ci obbligano, allora, i rapporti, indicatici dal Signore, con coloro che ci hanno preceduti? Essi ci richiamano proprio a quel dovere che noi stiamo adesso piamente compiendo: suffragare i nostri Morti. La comunicabilità dei meriti è uno dei frutti della sopravvivente carità. Noi possiamo aiutare i cari defunti; possiamo beneficarli. Che cosa non faremmo, se ci fossero vicini? Ebbene: li abbiamo, in certo modo, accanto, e proprio nel circuito della carità. Cerchiamo, perciò, di essere solleciti e generosi con il suffragio. Tutti sanno come esso si esprima: con le opere buone, i sacrifizi, specialmente con le elemosine e con la preghiera.

È quanto facciamo in questo momento, cercando di dilatare il nostro cuore per includervi, insieme con i nostri cari, tutti gli altri a cui la carità ci indirizza: cioè il mondo intero e tutti i defunti che fanno parte della Chiesa in stato di purificazione. Cerchiamo di consolare questa immensa schiera di anime non solo con la nostra memoria, ma proprio con la carità della nostra preghiera, del nostro suffragio.

E quel Dio, che è così buono d’averci dato la vita, quel Dio che veglia sopra di noi e ci ha fatti cristiani, riversando sulle nostre anime tante grazie, mentre sta a vedere se di esse ci accorgiamo, se rispondiamo con amore all’amore, accoglierà certamente il nostro impegno di carità per i diletti Defunti. Ascolterà le nostre preci, affretterà per loro il giorno solare della vita eterna; e darà a noi più salda certezza; anche un anticipo del nostro destino supremo. Saremo salvi per la bontà del Signore. E così sia!


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Da: Soprannome MSN°63CaterinaInviato: 30/10/2003 14.32

OMELIA DEL GIORNO 1° Novembre 2001

"IL MOMENTO PIU’ IMPORTANTE”

Mi ha veramente stupito una mamma che un giorno, al termine di un discorso, mi fece una domanda che conteneva quasi un rimprovero e non lo era. Mi invitava a quella riflessione che dovrebbe segnare i passi della nostra esistenza, corta o lunga che sia. “Perché voi sacerdoti, che siete o dovreste essere i maestri della vera vita, da tanto tempo non ci parlate della morte? Non vi pare che vi fermiate troppe su quanto passa a volte come una brezza ed a volte come una tempesta, ma passa, e non ci ricordate del momento decisivo, quello della morte? E’ il momento del fare i conti di un dono avuto e speso: un conto che ci farà Colui che ci ha dato il dono, Dio”.
Ed è vero. A volte viviamo non ponendoci neppure il problema del perché ci è stata data la vita e soprattutto del come farne uso. A volte sembra che viviamo alla giornata. Il domani è un altro giorno che rischia di passare inosservato. Ed è come se giorni fossero un “quotidiano” che si legge in fretta e si getta tra la carta straccia nulla rimanendo di quanto è stato scritto.
Un tempo era come un ritornello catechistico quello che le nostre mamme ci mettevano sulla bocca fino a farlo diventare carne della nostra carne, ossia i “quattro novissimi: morte, giudizio,
inferno e paradiso”.
Oggi forse non sappiamo più dare il vero significato al dono della vita o gliene diamo uno che è nettamente errato. Così il grande dono si ritorce contro di noi e contro Dio che ce 1’ha dato.
Non ci si ripete mai abbastanza dicendo che LA NOSTRA VITA E’ da una eternità PRESENTE NEL CUORE DEL PADRE, ossia Dio. Nessuno è qui per caso: come per una giornata di festa o di lutto. Se Dio, il Padre, ci ha creato, dovrebbe essere chiaro a me, a tutti che ci ha destinati ad essere come Lui., in festa nella sua casa, il Cielo. “Carissimi, ci ammonisce 1’apostolo Paolo, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli. È” (Gv. 1 Lettera, 3,1-3)
Viene da domandarsi perché allora ci ha messi su questa terra, dove sembra che troppe volte venga come cancellato la gioia che ci fece conoscere Dio quando a Natale ci donò Suo Figlio perché stesse con noi e sentimmo allora il gioioso canto degli angeli che sembravano aprirci uno spiraglio sul Cielo, la nostra vera casa: sembra affermarsi il buio del venerdì santo quando Gesù morì in croce. La risposta è molto semplice. Questo dono della vita - continuo a chiamarlo dono - non è stato dato perché noi ne facessimo un uso distorto, ma come una prova che consiste nel costruire o raccontare giorno per giorno, azione per azione che vivere per noi è amare Dio con tutto noi stessi - ossia mettere Dio al di sopra di ogni altra creatura e amare il nostro fratello. Come un continuo “ti amo” ed è la santità che ci rende degni della resurrezione, ossia del tornare alla casa del Padre.
Viviamo sì, ma cercando una buona salute, avere tanti soldi e facendo di questi il nostro grande amore, cercando prestigio. Forse non ci rendiamo conto neppure che la ricchezza, la bellezza, la stessa salute, sono un pericoloso effimero che non costruiscono paradiso, ma troppe volte anzi costruiscono 1’inferno per tanti. Questi beni, sono beni per 1’eternità quando non sono idoli che ti rubano 1’anima, ma sono invece beni per lodare Dio e fare del bene al prossimo. Non fa mai paura la morte per chi ha sempre avuto gli occhi rivolti al Cielo, cercando appassionatamente la casa del Padre. “Le anime dei giusti - dice la Sapienza - sono nelle mani di Dio; nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace”. (Sp.3,1-9)
E quanti, che sono stati compagni nella nostra vita, ora sono là, vicino a Dio, speriamo, a conoscere tutta la gioia che è vivere nella casa del Padre! Sono tanti i miei amici che non sono più con me ora, ma sono nella verità e sono quindi santi tra i santi. Da mia mamma a mio papà, ai miei amici, tanti, ma tanti amici.
Andando al cimitero pare che rivivano e mi attendano. Verrà il mio giorno, il nostro giorno, in cui “passeremo” da questa terra al cielo. Come sarà quel momento il più importante della vita, che introduce nella eternità?
Quanti hanno vissuto una vita con la saggezza evangelica, ossia si sono preoccupati di interpretare questo breve o lungo soggiorno su questa terra onorando il dono della vita, che è vivere bene facendo la volontà di Dio nella continua ricerca del volto del Padre e sentendosi pellegrini in cammino verso la casa del Padre, per questi non esiste la paura, la morte altro non è che il “transito” ossia il ritorno a casa. Ed è festa. Ne ho visto tanti, donne e uomini, morire sorridendo come se in quel momento intravedessero il volto del Padre che li attende.
Purtroppo è difficile essere santi quaggiù è facile portarsi dietro tante colpe che hanno bisogno di essere espiate. Da qui la necessità di commemorare i nostri defunti con le preghiere e le elemosine come suggerisce la Bibbia.
Fa male, recandoci nei cimiteri, assistere ad un vero mercato che si limita a mostrare la bellezza delle tombe, senza mettersi in comunione con i nostri morti. Trionfa il consumismo, la voglia di apparire in tutto, anche là dove dovrebbe essere visibile la serietà, la sofferenza e il ricordo dei nostri defunti che tanto si attendono da noi.
Siano allora questi giorni, festa di tutti i santi (e chissà quanti amici e parenti appartengono alla schiera dei beati) e di commemorazione dei defunti, una occasione per guardare in faccia alla morte come il momento più importante della nostra vita, un momento irrepetibile e sintonizzare la nostra quotidianità su quel momento, vivendo non da smemorati, ma con la fede di chi deve sapere che verrà anche per noi quel giorno ed essere vigilanti, come le vergini sagge del Vangelo che attesero 1’arrivo dello Sposo con le loro lampade accese per entrare a nozze con Lui. E non sentirci dire “Non vi conosco”.

Antonio Riboldi

- Vescovo -

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