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Benedetto XVI spiega della " fioritura della teologia latina nel secolo XII "

Ultimo Aggiornamento: 04/11/2009 18:15
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IMPORTANTE CATECHESI DEL SANTO PADRE..... 28.10.2009

                   Pope Benedict XVI attends his weekly general audience in St. Peter's Square at the Vatican, Wednesday, Oct. 28, 2009.
Cari fratelli e sorelle,

oggi mi soffermo su un’interessante pagina di storia, relativa alla fioritura della teologia latina nel secolo XII, avvenuta per una serie provvidenziale di coincidenze. Nei Paesi dell’Europa occidentale regnava allora una relativa pace, che assicurava alla società sviluppo economico e consolidamento delle strutture politiche, e favoriva una vivace attività culturale grazie pure ai contatti con l’Oriente. All’interno della Chiesa si avvertivano i benefici della vasta azione nota come "riforma gregoriana", che, promossa vigorosamente nel secolo precedente, aveva apportato una maggiore purezza evangelica nella vita della comunità ecclesiale, soprattutto nel clero, e aveva restituito alla Chiesa e al Papato un’autentica libertà di azione.

Inoltre si andava diffondendo un vasto rinnovamento spirituale, sostenuto dal rigoglioso sviluppo della vita consacrata: nascevano e si espandevano nuovi Ordini religiosi, mentre quelli già esistenti conoscevano una promettente ripresa.

Rifiorì anche la teologia acquisendo una più grande consapevolezza della propria natura: affinò il metodo, affrontò problemi nuovi, avanzò nella contemplazione dei Misteri di Dio, produsse opere fondamentali, ispirò iniziative importanti della cultura, dall’arte alla letteratura, e preparò i capolavori del secolo successivo, il secolo di Tommaso d’Aquino e di Bonaventura da Bagnoregio.

Due furono gli ambienti nei quali ebbe a svolgersi questa fervida attività teologica: i monasteri e le scuole cittadine, le scholae, alcune delle quali ben presto avrebbero dato vita alle Università, che costituiscono una delle tipiche "invenzioni" del Medioevo cristiano. Proprio a partire da questi due ambienti, i monasteri e le scholae, si può parlare di due differenti modelli di teologia: la "teologia monastica" e la "teologia scolastica". I rappresentanti della teologia monastica erano monaci, in genere Abati, dotati di saggezza e di fervore evangelico, dediti essenzialmente a suscitare e ad alimentare il desiderio amoroso di Dio.

I rappresentanti della teologia scolastica erano uomini colti, appassionati della ricerca; dei magistri desiderosi di mostrare la ragionevolezza e la fondatezza dei Misteri di Dio e dell’uomo, creduti con la fede, certo, ma compresi pure dalla ragione. La diversa finalità spiega la differenza del loro metodo e del loro modo di fare teologia.

Nei monasteri del XII secolo il metodo teologico era legato principalmente alla spiegazione della Sacra Scrittura, della sacra pagina per esprimerci come gli autori di quel periodo; si praticava specialmente la teologia biblica. I monaci, cioè, erano tutti devoti ascoltatori e lettori delle Sacre Scritture, e una delle principali loro occupazioni consisteva nella lectio divina, cioè nella lettura pregata della Bibbia. Per loro la semplice lettura del Testo sacro non bastava per percepirne il senso profondo, l’unità interiore e il messaggio trascendente. Occorreva, pertanto, praticare una "lettura spirituale", condotta in docilità allo Spirito Santo. Alla scuola dei Padri, la Bibbia veniva così interpretata allegoricamente, per scoprire in ogni pagina, dell’Antico come del Nuovo Testamento, quanto dice di Cristo e della sua opera di salvezza.

Il Sinodo dei Vescovi dell’anno scorso sulla "Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa" ha richiamato l’importanza dell’approccio spirituale alle Sacre Scritture. A tale scopo, è utile far tesoro della teologia monastica, un’ininterrotta esegesi biblica, come pure delle opere composte dai suoi rappresentanti, preziosi commentari ascetici ai libri della Bibbia. Alla preparazione letteraria la teologia monastica univa dunque quella spirituale. Era cioè consapevole che una lettura puramente teorica e profana non basta: per entrare nel cuore della Sacra Scrittura, la si deve leggere nello spirito in cui è stata scritta e creata. La preparazione letteraria era necessaria per conoscere l’esatto significato delle parole e facilitare la comprensione del testo, affinando la sensibilità grammaticale e filologica.

Lo studioso benedettino del secolo scorso Jean Leclercq ha così intitolato il saggio con cui presenta le caratteristiche della teologia monastica: L’amour des lettres et le désir de Dieu (L’amore delle parole e il desiderio di Dio). In effetti, il desiderio di conoscere e di amare Dio, che ci viene incontro attraverso la sua Parola da accogliere, meditare e praticare, conduce a cercare di approfondire i testi biblici in tutte le loro dimensioni.

                        Pope Benedict XVI arrives at his throne in St. Peter's Square at Vatican for his weekly general audience on October 28, 2009.

Vi è poi un’altra attitudine sulla quale insistono coloro che praticano la teologia monastica, e cioè un intimo atteggiamento orante, che deve precedere, accompagnare e completare lo studio della Sacra Scrittura. Poiché, in ultima analisi, la teologia monastica è ascolto della Parola di Dio, non si può non purificare il cuore per accoglierla e, soprattutto, non si può non accenderlo di fervore per incontrare il Signore. La teologia diventa pertanto meditazione, preghiera, canto di lode e spinge a una sincera conversione.

Non pochi rappresentanti della teologia monastica sono giunti, per questa via, ai più alti traguardi dell’esperienza mistica, e costituiscono un invito anche per noi a nutrire la nostra esistenza della Parola di Dio, ad esempio, mediante un ascolto più attento delle letture e del Vangelo specialmente nella Messa domenicale. E’ importante inoltre riservare un certo tempo ogni giorno alla meditazione della Bibbia, perché la Parola di Dio sia lampada che illumina il nostro cammino quotidiano sulla terra.

La teologia scolastica, invece, - come dicevo - era praticata nelle scholae, sorte accanto alle grandi cattedrali dell’epoca, per la preparazione del clero, o attorno a un maestro di teologia e ai suoi discepoli, per formare dei professionisti della cultura, in un’epoca in cui il sapere era sempre più apprezzato. Nel metodo degli scolastici era centrale la quaestio, cioè il problema che si pone al lettore nell’affrontare le parole della Scrittura e della Tradizione.

Davanti al problema che questi testi autorevoli pongono, si sollevano questioni e nasce il dibattito tra il maestro e gli studenti. In tale dibattito appaiono da una parte gli argomenti dell’autorità, dall’altra quelli della ragione e il dibattito si sviluppa nel senso di trovare, alla fine, una sintesi tra autorità e ragione per giungere a una comprensione più profonda della parola di Dio. Al riguardo, san Bonaventura dice che la teologia è "per additionem" (cfr Commentaria in quatuor libros sententiarum, I, proem., q. 1, concl.), cioè la teologia aggiunge la dimensione della ragione alla parola di Dio e così crea una fede più profonda, più personale e quindi anche più concreta nella vita dell’uomo. In questo senso, si trovavano diverse soluzioni e si formavano conclusioni che cominciavano a costruire un sistema di teologia.

L’organizzazione delle quaestiones conduceva alla compilazione di sintesi sempre più estese, cioè si componevano le diverse quaestiones con le risposte scaturite, creando così una sintesi, le cosiddette summae, che erano, in realtà, ampi trattati teologico-dogmatici nati dal confronto della ragione umana con la parola di Dio.

La teologia scolastica mirava a presentare l’unità e l’armonia della Rivelazione cristiana con un metodo, detto appunto "scolastico", della scuola, che concede fiducia alla ragione umana: la grammatica e la filologia sono al servizio del sapere teologico, ma lo è ancora di più la logica, cioè quella disciplina che studia il "funzionamento" del ragionamento umano, in modo che appaia evidente la verità di una proposizione. Ancora oggi, leggendo le summae scolastiche si rimane colpiti dall’ordine, dalla chiarezza, dalla concatenazione logica degli argomenti, e dalla profondità di alcune intuizioni. Con linguaggio tecnico, viene attribuito ad ogni parola un preciso significato e, tra il credere e il comprendere, viene a stabilirsi un reciproco movimento di chiarificazione.

Cari fratelli e sorelle, facendo eco all’invito della Prima Lettera di Pietro, la teologia scolastica ci stimola ad essere sempre pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi (cfr 3,15). Sentire le domande come nostre e così essere capaci anche di dare una risposta.

Ci ricorda che tra fede e ragione esiste una naturale amicizia, fondata nell’ordine stesso della creazione. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II, nell’incipit dell’Enciclica Fides et ratio scrive: "La fede e la ragione sono come le due ali, con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità". La fede è aperta allo sforzo di comprensione da parte della ragione; la ragione, a sua volta, riconosce che la fede non la mortifica, anzi la sospinge verso orizzonti più ampi ed elevati. Si inserisce qui la perenne lezione della teologia monastica. Fede e ragione, in reciproco dialogo, vibrano di gioia quando sono entrambe animate dalla ricerca dell’intima unione con Dio. Quando l’amore vivifica la dimensione orante della teologia, la conoscenza, acquisita dalla ragione, si allarga. La verità è ricercata con umiltà, accolta con stupore e gratitudine: in una parola, la conoscenza cresce solo se ama la verità. L’amore diventa intelligenza e la teologia autentica sapienza del cuore, che orienta e sostiene la fede e la vita dei credenti.

Preghiamo dunque perché il cammino della conoscenza e dell’approfondimento dei Misteri di Dio sia sempre illuminato dall’amore divino.

[01563-01.01] [Testo originale: Italiano]

www.vatican.va

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La teologia che piace al papa teologo

È quella dei monasteri e delle cattedrali dei secoli d'oro del Medioevo. Benedetto XVI ne ha svelato le meraviglie ai pellegrini accorsi all'udienza generale. Ma così ha voluto dare una lezione anche ai teologi d'oggi

di Sandro Magister




ROMA, 2 novembre 2009 – Nell'udienza generale dello scorso mercoledì, Benedetto XVI ha fatto uno strappo. Non ha tratteggiato la figura di un Padre della Chiesa o di un grande autore cristiano medievale, come fa da molto tempo in modo sistematico. L'altro mercoledì, ad esempio, aveva parlato di san Bernardo di Chiaravalle, e il mercoledì precedente di Pietro il Venerabile, grande abate di Cluny.

No. Questa volta papa Joseph Ratzinger ha trasformato la sua catechesi in una lezione di storia della teologia. L'ha tutta dedicata a descrivere la teologia latina del secolo XII, quella che fioriva nelle abbazie e nelle cattedrali, quella che avrà il suo frutto maturo nel secolo successivo con i capolavori di san Tommaso d'Aquino e san Bonaventura da Bagnoregio.

Come è prassi, la traccia scritta delle catechesi papali del mercoledì è preparata da esperti di fiducia, competenti nel ramo. Benedetto XVI vede in anticipo il testo, lo chiosa, lo taglia, lo integra. Insomma, lo fa suo. E quando infine lo legge ai fedeli, spesso ancora se ne discosta, improvvisando. Due inverni fa www.chiesa ha riprodotto le cinque catechesi dedicate dal papa a sant'Agostino sottolineandone i numerosi passaggi nei quali egli s'era staccato dal testo scritto.

Per questo periodo l'esperto principale è mons. Inos Biffi, studioso della teologia medievale di rara profondità e di nitida scrittura, come si può constatare dall'imponente sua bibliografia che l'editrice Jaca Book sta pubblicando integralmente in splendidi volumi. Con lui, capita più di raro che Benedetto XVI si discosti dal testo scritto, quando predica ai fedeli. L'impressione è che vi sia una forte consonanza tra il papa e il suo attuale "ghostwriter", sia nel pensiero che nel modo di esporre.

Nella catechesi di mercoledì scorso sulla fioritura teologica del XII secolo, c'è stata una citazione particolarmente rivelatrice.

È la citazione di un saggio dello studioso benedettino del secolo scorso Jean Leclercq, dedicato alla teologia medievale monastica e così intitolato: "L’amour des lettres et le désir de Dieu [L'amore delle parole e il desiderio di Dio]".

Questo libro è carissimo a Ratzinger teologo. Da papa l'aveva già citato in una precedente occasione, in uno dei discorsi più importanti del suo pontificato, quello pronunciato il 12 settembre 2008 a Parigi al Collège des Bernardins, rivolgendosi al mondo della cultura.

La grandezza della teologia monastica medievale, nell'interpretazione che ne danno Leclercq, Biffi e Ratzinger, è nel suo legare la ricerca di Dio alle scienze della parola, della lingua, delle lettere. Ricerca di Dio e cultura della parola fanno tutt'uno, non solo nella teologia ma anche nell'elevazione spirituale. E fondano la civiltà europea.

Ma accanto alla teologia monastica, nel XII secolo è fiorita anche la teologia scolastica, quella delle scuole delle cattedrali. Con un'impronta potentemente razionale, di dialogo fruttuoso tra "fides et ratio", tra fede e ragione.

Con questa lezione sulla grande teologia medievale, è come se Benedetto XVI abbia voluto tracciare una linea maestra per la teologia d'oggi. Da papa teologo qual è.


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I link a tutte le udienze generali di Benedetto XVI, nelle varie lingue:

> Udienze

Il discorso che il papa ha tenuto il 12 settembre 2008 a Parigi al Collège des Bernardins, sul genio civilizzatore della teologia monastica medievale:

> "Cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui"

In www.chiesa, le cinque catechesi dedicate da Benedetto XVI a sant'Agostino, con sottolineati i passaggi nei quali egli si è discostato dal testo scritto, improvvisando:

> Esclusivo. Le parole che Benedetto XVI aggiunge a braccio, quando predica ai fedeli

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Per altre notizie e commenti vedi il blog SETTIMO CIELO che Sandro Magister cura per i lettori italiani.


Fraternamente CaterinaLD

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All'udienza generale il Papa parla della controversia tra Bernardo di Chiaravalle e Abelardo

Per una sana discussione teologica
nella Chiesa


"L'utilità e la necessità di una sana discussione teologica nella Chiesa" sono state sottolineate da Benedetto XVI durante l'udienza generale di mercoledì mattina, 4 novembre, in piazza San Pietro. Nella catechesi il Papa ha parlato della controversia teologica tra Bernardo di Chiaravalle e Abelardo.

Cari fratelli e sorelle,
nell'ultima catechesi ho presentato le caratteristiche principali della teologia monastica e della teologia scolastica del XII secolo, che potremmo chiamare, in un certo senso, rispettivamente "teologia del cuore" e "teologia della ragione". Tra i rappresentanti dell'una e dell'altra corrente teologica si è sviluppato un dibattito ampio e a volte acceso, simbolicamente rappresentato dalla controversia tra san Bernardo di Chiaravalle ed Abelardo.

Per comprendere questo confronto tra i due grandi maestri, è bene ricordare che la teologia è la ricerca di una comprensione razionale, per quanto è possibile, dei misteri della Rivelazione cristiana, creduti per fede:  fides quaerens intellectum - la fede cerca l'intellegibilità - per usare una definizione tradizionale, concisa ed efficace.

Ora, mentre san Bernardo, tipico rappresentante della teologia monastica, mette l'accento sulla prima parte della definizione, cioè sulla fides - la fede, Abelardo, che è uno scolastico, insiste sulla seconda parte, cioè sull'intellectus, sulla comprensione per mezzo della ragione. Per Bernardo la fede stessa è dotata di un'intima certezza, fondata sulla testimonianza della Scrittura e sull'insegnamento dei Padri della Chiesa.

La fede inoltre viene rafforzata dalla testimonianza dei santi e dall'ispirazione dello Spirito Santo nell'anima dei singoli credenti. Nei casi di dubbio e di ambiguità, la fede viene protetta e illuminata dall'esercizio del Magistero ecclesiale. Così Bernardo fa fatica ad accordarsi con Abelardo, e più in generale con coloro che sottoponevano le verità della fede all'esame critico della ragione; un esame che comportava, a suo avviso, un grave pericolo, e cioè l'intellettualismo, la relativizzazione della verità, la messa in discussione delle stesse verità della fede. In tale modo di procedere Bernardo vedeva un'audacia spinta fino alla spregiudicatezza, frutto dell'orgoglio dell'intelligenza umana, che pretende di "catturare" il mistero di Dio.

In una sua lettera, addolorato, scrive così:  "L'ingegno umano si impadronisce di tutto, non lasciando più nulla alla fede. Affronta ciò che è al di sopra di sé, scruta ciò che gli è superiore, irrompe nel mondo di Dio, altera i misteri della fede, più che illuminarli; ciò che è chiuso e sigillato non lo apre, ma lo sradica, e ciò che non trova percorribile per sé, lo considera nulla, e rifiuta di credervi" (Epistola CLXXXVIII, 1:  PL 182, i, 353).
Per Bernardo la teologia ha un unico scopo:  quello di promuovere l'esperienza viva e intima di Dio.
 
La teologia è allora un aiuto per amare sempre di più e sempre meglio il Signore, come recita il titolo del trattato sul Dovere di amare Dio (De diligendo Deo). In questo cammino, ci sono diversi gradi, che Bernardo descrive approfonditamente, fino al culmine quando l'anima del credente si inebria nei vertici dell'amore. L'anima umana può raggiungere già sulla terra questa unione mistica con il Verbo divino, unione che il Doctor Mellifluus descrive come "nozze spirituali". Il Verbo divino la visita, elimina le ultime resistenze, l'illumina, l'infiamma e la trasforma. In tale unione mistica, essa gode di una grande serenità e dolcezza, e canta al suo Sposo un inno di letizia. Come ho ricordato nella catechesi dedicata alla vita e alla dottrina di san Bernardo, la teologia per lui non può che nutrirsi della preghiera contemplativa, in altri termini dell'unione affettiva del cuore e della mente con Dio.

Abelardo, che tra l'altro è proprio colui che ha introdotto il termine "teologia" nel senso in cui lo intendiamo oggi, si pone invece in una prospettiva diversa. Nato in Bretagna, in Francia, questo famoso maestro del XII secolo era dotato di un'intelligenza vivissima e la sua vocazione era lo studio. Si occupò dapprima di filosofia e poi applicò i risultati raggiunti in questa disciplina alla teologia, di cui fu maestro nella città più colta dell'epoca, Parigi, e successivamente nei monasteri in cui visse. Era un oratore brillante:  le sue lezioni venivano seguite da vere e proprie folle di studenti. Spirito religioso, ma personalità inquieta, la sua esistenza fu ricca di colpi di scena:  contestò i suoi maestri, ebbe un figlio da una donna colta e intelligente, Eloisa. Si pose spesso in polemica con i suoi colleghi teologi, subì anche condanne ecclesiastiche, pur morendo in piena comunione con la Chiesa, alla cui autorità si sottomise con spirito di fede.

Proprio san Bernardo contribuì alla condanna di alcune dottrine di Abelardo nel sinodo provinciale di Sens del 1140, e sollecitò anche l'intervento del Papa Innocenzo ii.

L'abate di Chiaravalle contestava, come abbiamo ricordato, il metodo troppo intellettualistico di Abelardo, che, ai suoi occhi, riduceva la fede a una semplice opinione sganciata dalla verità rivelata.
Quelli di Bernardo non erano timori infondati ed erano condivisi, del resto, anche da altri grandi pensatori del tempo. Effettivamente, un uso eccessivo della filosofia rese pericolosamente fragile la dottrina trinitaria di Abelardo, e così la sua idea di Dio.

In campo morale il suo insegnamento non era privo di ambiguità:  egli insisteva nel considerare l'intenzione del soggetto come l'unica fonte per descrivere la bontà o la malizia degli atti morali, trascurando così l'oggettivo significato e valore morale delle azioni:  un soggettivismo pericoloso. È questo - come sappiamo - un aspetto molto attuale per la nostra epoca, nella quale la cultura appare spesso segnata da una crescente tendenza al relativismo etico:  solo l'io decide cosa sia buono per me, in questo momento. Non bisogna dimenticare, comunque, anche i grandi meriti di Abelardo, che ebbe molti discepoli e contribuì decisamente allo sviluppo della teologia scolastica, destinata a esprimersi in modo più maturo e fecondo nel secolo successivo. Né vanno sottovalutate alcune sue intuizioni, come, ad esempio, quando afferma che nelle tradizioni religiose non cristiane c'è già una preparazione all'accoglienza di Cristo, Verbo divino.

Che cosa possiamo imparare, noi oggi, dal confronto, dai toni spesso accesi, tra Bernardo e Abelardo, e, in genere, tra la teologia monastica e quella scolastica? Anzitutto credo che esso mostri l'utilità e la necessità di una sana discussione teologica nella Chiesa, soprattutto quando le questioni dibattute non sono state definite dal Magistero, il quale rimane, comunque, un punto di riferimento ineludibile.

San Bernardo, ma anche lo stesso Abelardo, ne riconobbero sempre senza esitazione l'autorità.
Inoltre, le condanne che quest'ultimo subì ci ricordano che in campo teologico deve esserci un equilibrio tra quelli che possiamo chiamare i principi architettonici datici dalla Rivelazione e che conservano perciò sempre la prioritaria importanza, e quelli interpretativi suggeriti dalla filosofia, cioè dalla ragione, e che hanno una funzione importante ma solo strumentale.

Quando tale equilibrio tra l'architettura e gli strumenti di interpretazione viene meno, la riflessione teologica rischia di essere viziata da errori, ed è allora al Magistero che spetta l'esercizio di quel necessario servizio alla verità che gli è proprio. Inoltre, occorre mettere in evidenza che, tra le motivazioni che indussero Bernardo a "schierarsi" contro Abelardo e a sollecitare l'intervento del Magistero, vi fu anche la preoccupazione di salvaguardare i credenti semplici ed umili, i quali vanno difesi quando rischiano di essere confusi o sviati da opinioni troppo personali e da argomentazioni teologiche spregiudicate, che potrebbero mettere a repentaglio la loro fede.

Vorrei ricordare, infine, che il confronto teologico tra Bernardo e Abelardo si concluse con una piena riconciliazione tra i due, grazie alla mediazione di un amico comune, l'abate di Cluny, Pietro il Venerabile, del quale ho parlato in una delle catechesi precedenti. Abelardo mostrò umiltà nel riconoscere i suoi errori, Bernardo usò grande benevolenza. In entrambi prevalse ciò che deve veramente stare a cuore quando nasce una controversia teologica, e cioè salvaguardare la fede della Chiesa e far trionfare la verità nella carità. Che questa sia anche oggi l'attitudine con cui ci si confronta nella Chiesa, avendo sempre come meta la ricerca della verità.

 



(©L'Osservatore Romano - 5 novembre 2009)

                                 Pope Benedict XVI receives bishops at the end of his weekly general audience in St. Peter's Square at the Vatican, Wednesday, Nov. 4, 2009.

                                 Pope Benedict XVI gestures during his weekly general audience in St. Peter's square at the Vatican on November 4, 2009.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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