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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Maria Assunta in Cielo ED IMMACOLATA (il culto mariano, la dottrina il dogma)

Ultimo Aggiornamento: 21/08/2013 14:32
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8 dicembre: Festa dell’Immacolata Concezione


L’8 dicembre si celebra la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, una delle feste più antiche e care alla Chiesa. Nella liturgia di questo giorno solenne la Chiesa proclama che Maria, “preservata dal peccato originale, è degna Madre del Figlio, e, senza macchia e senza ruga, splende di bellezza, avvocata di grazia e modello di santità”.

“Maria è Colei che è stata preservata dal peccato originale”: quest’appellativo riguarda direttamente il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Che cos’è un dogma? Il dogma è una verità di fede rivelata da Dio e proposta dalla Chiesa ai fedeli con l’obbligo di credervi, perché insegnata direttamente da Dio. Così è il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Dopo un cammino lungo e complesso, segnato da discussioni, dispute e controverse teologiche, nel 1854, il papa Pio IX proclamò solennemente il dogma dell’Immacolata. E’ perciò verità di fede affermare che la Beata Vergine Maria, sin dal primo istante della sua vita, sia stata, per privilegio straordinario, preservata dal peccato originale, in vista dei meriti di Gesù.


“Maria è degna Madre del Figlio”: di Maria la Chiesa dice “nunquam satis” (mai abbastanza). Non sono mai sufficienti le lodi che si possono rivolgere a Colei che è stata la Madre del Salvatore. Sin dai primi secoli si elevarono inni di lode e di ringraziamento a Maria, a testimonianza della confidenza che in Lei avevano i fedeli. Nella liturgia eucaristica bizantina così si canta: “E’ veramente giusto proclamare Beata Te, che sei beatissima, tutta pura e Madre del nostro Dio. Noi magnifichiamo te, che sei più onorabile e gloriosa degli angeli. Tu che veramente sei la Madre di Dio”.


“Senza macchia e senza ruga, Maria splende di bellezza”: Maria è la “tutta la bella”. Assolutamente libera da ogni macchia di peccato, ha una “tale pienezza di innocenza e santità, che dopo quella di Dio, non se ne può intenderne una maggiore” (Pio IX). Ma la Beata Vergine Maria è la “tutta bella” soprattutto perché è la più umile, piccola e povera tra tutte le creature. E’ lei stessa che lo proclama nel Magnificat: “Dio ha guardato l’umiltà della sua serva”. I piccoli e i poveri sanno intuire questa bellezza, che passa inosservata a coloro che non hanno “occhi per vedere e orecchi per intendere”. E sembra proprio per questo che Maria abbia affidato a dei “piccoli” il compito di annunciare e confermare il dogma della sua Immacolata Concezione. Chi sono questi “piccoli”? Si tratta di S.Caterina Labouré, novizia in un convento di Parigi, e S.Bernadetta Soubirous, giovane e povera pastorella di un paesino a ridosso dei Pirenei. Nel 1830, S.Caterina Labouré ricevette la visita della Madonna, che le apparve con le mani aperte, dalle quali uscivano dei raggi luminosi: “sono le grazie che gli uomini mi chiedono”, disse la Madonna. Poi, insegnò a S.Caterina questa preghiera: “O Maria, concepita senza peccato originale, pregate per noi che ricorriamo a Voi”. Ancora prima della proclamazione ufficiale , è la Vergine stessa ad invitare i fedeli a pregarla con il nome di “Immacolata”. E quasi a confermare la verità espressa nel dogma, nel 1858, la Madonna apparve a S.Bernadetta Soubirous. Nell’ultima delle sue apparizioni alla grotta di Lourdes le dice il suo nome: “Io sono l’Immacolata Concezione”.

Maria e avvocata di grazia e modello di santità”: Maria è invocata dalla liturgia, avvocata e modello. Lei è avvocata di grazia perché è stata la Madre del Cristo, Autore della Grazia. Lei è stata “genitrice del suo Genitore”, dice la liturgia, cioè è stata Colei che ha dato alla luce Colui che l’aveva creata. Per questo suo particolare privilegio, la Chiesa ha sentito da sempre, con un “istinto soprannaturale”, che per conoscere veramente il Cristo è indispensabile ricorrere alla Madre (Paolo VI). Con il nome di “avvocata” la Chiesa riconosce in Maria, Colei che si prende a cuore la nostra causa, fino in fondo, e ci riconduce al Figlio suo, prendendo la nostra “difesa”. Ma come può capirci Lei che non ha conosciuto il peccato? Maria capisce i peccatori perché anche Lei è una “salvata”. Non è stata salvata “dopo” il peccato, ma “prima”, in previsione della “croce di Gesù” (Pio IX). Prova ne è la gioia che Lei esprime nel Magnificat. Infine la Chiesa ci presenta Maria come modello di santità. Maria è inimitabile nel suo essere la Madre del Salvatore. Questo è un privilegio unico. E’ chiaro che non è questo che vuol dire la Chiesa quando ci invita ad averla come nostro “modello”. La Chiesa, infatti, pensa alla sua piccolezza, alla sua umiltà. In questo Maria è offerta a noi vero modello di santità. E’ la santità di cui parla Gesù quando dice: “beati i poveri in spirito” (Mt 5,3) e “se non ritornerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt 18,3).

P.Paolo Calaon o.p.









Madonna del Rosario prega per noi
prega per noi, siamo figli tuoi.
Madonna del Rosario prega per noi
prega per noi, siamo figli tuoi.

Sulle ginocchia Tu porti Gesù,;
c'è posto anche per noi.
La Tua corona ci offri quaggiù,
tutti ci lega a Te.
Madre dolcissima, Madre d'amore,
Madre che vegli a Pompei.
Madonna del Rosario prega per noi...

Tu ascolti tutti, sai tutto di noi,
noi ci fidiamo di Te.
Misericordia, o Madre, per noi
poveri figli di Dio.
Guidaci sempre, proteggici Tu
Madre che vivi a Pompei.
Madonna del Rosario prega per noi...

In questa terra che Dio Ti donò
togli violenza e terrore.
Solo la pace chiediamo a Te,
vera giustizia fra noi.
Veglia l'Europa, ritorni a Gesù,
al suo vangelo d'amore.
Madonna del Rosario prega per noi...



[SM=g1740717] [SM=g1740720]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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giovedì 26 novembre 2009

Ipsa conteret!

Cari fratelli, alla vigilia della festa della Medaglia Miracolosa, permettemi un pubblico omaggio all’Immacolata: la difesa apologetica del versetto Ipsa conteret caput tuum (Gen 3, 15). Questo versetto è la prima e principale prova scritturistica portata dal Beato Pio IX a suffragio della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima.


Oggi purtroppo l’esegesi razionalista sminusice il profondo significato mariano del versetto, riferendolo solo a Gesù Cristo – i soliti devoti scrupolosi – e/o riducendone il valore profetico soprannaturale.

Invece è ragionevole, pio e scientificamente corretto opinare che l’Autore del testo biblico, mosso dallo Spirito Santo, volesse già prefigurare la Madonna Santissima.

Cosa c’entra - mi direte – un articolo di questo genere in un blog sulla Messa? C’entra eccome, cari fratelli: l’ostilità che la S. Messa gregoriana deve affrontare ogni giorno, non è forse conseguenza dell’inimicizia tra due modi irriducibili di concepire la divina liturgia?


E gli attacchi al Santo Padre, non fanno parte forse delle insidie diaboliche al calcagno della Vergine?

Eccomi allora giustificato se pubblico l’articoletto in questo amato blog.


Dividerò l’esposizione in 4 parti:


Chi è la Donna di Gen 3,15 e chi è che schiaccia la testa al serpente?


1)
Il cuore delle definizione dogmatica e la presentazione di Gen 3,15 come prova teologica.

2) Spiegazione del testo biblico.

3) Attualizzazione del testo biblico ai tempi presenti mediante alcuni pensieri di San Luigi M. Grignion de Montfort.

4) Note filologiche per chi volesse approfondire l’argomento e per parare le facili accuse di esegesi spiritualista non scientifica.


I. Il cuore delle definizione dogmatica

Pio IX

Ineffabilis Deus

8-12-1854

“…per sua divina ispirazione, ad onore della santa, ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli.


Se qualcuno dunque avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito (Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il naufragio nella fede, di essersi separato dall'unità della Chiesa, e, se avrà osato rendere pubblico, a parole o per iscritto o in qualunque altro modo, ciò che pensa, sappia di essere incorso, ipso facto, nelle pene comminate dal Diritto.


In verità, i Padri e gli scrittori ecclesiastici, ammaestrati dalle parole divine – nei libri elaborati con cura per spiegare la Scrittura, per difendere i dogmi e per istruire i fedeli – non trovarono niente di più meritevole di attenzione del celebrare ed esaltare, nei modi più diversi ed ammirevoli, l'eccelsa santità, la dignità e l'immunità della Vergine da ogni macchia di peccato e la sua vittoria sul terribile nemico del genere umano. Per tale motivo, mentre commentavano le parole con le quali Dio, fin dalle origini del mondo, annunciando i rimedi della sua misericordia approntati per la rigenerazione degli uomini, rintuzzò l'audacia del serpente ingannatore e rialzò mirabilmente le speranze del genere umano: "Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua e la sua stirpe", essi insegnarono che con questa divina profezia fu chiaramente e apertamente indicato il misericordioso Redentore del genere umano, cioè il Figliuolo Unigenito di Dio, Gesù Cristo; fu anche designata la sua beatissima Madre, la Vergine Maria, e, nello stesso tempo, fu nettamente espressa l'inimicizia dell'uno e dell'altra contro il demonio. Ne conseguì che, come Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, assunta la natura umana, annientò il decreto di condanna esistente contro di noi, inchiodandolo da trionfatore sulla Croce, così la santissima Vergine, unita con Lui da un legame strettissimo ed indissolubile, poté esprimere, con Lui e per mezzo di Lui, un'eterna inimicizia contro il velenoso serpente e, riportando nei suoi confronti una nettissima vittoria, gli schiacciò la testa con il suo piede immacolato.


II. Spiegazione del testo biblico.


(Gen 3,15) “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno".

Possiamo dividere il testo in tre parti:

(3,15a) Io porrò inimicizia tra te e la donna,

(3,15b) tra la tua stirpe e la sua stirpe:

(3,15c) questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno.

Chi sono i personaggi?

1) (3,15a) "te e la donna".

a) il "te" è riferito al serpente, quindi si tratta del diavolo.

b) la Donna.

Vediamo ora chi è questa Donna:

Si tratta di Eva?

No. Non può essere solo Eva, in quanto si tratta di una inimicizia perpetua. Il diavolo vive sempre, Eva sarebbe morta, anche ammessa una lunga vita. Non si tratta evidentemente di una inimicizia destinata a durare quanto la vita di Eva, ma è un'inimicizia che va oltre Eva.


Si tratta di Eva in quanto capostipite dell'umanità in generale?


No. Non può essere Eva considerata come capostipite dell'umanità in generale; infatti, in seguito, si parla di lotta tra la "discendenza-stirpe della donna" e "discendenza-stirpe del serpente". Il serpente non ha discendenza carnale; i suoi discendenti sono la famiglia di uomini che gli danno retta: ora anche i malvagi hanno Eva come madre carnale; e i figli di Eva (intesi in quanto "uomini") comprendono i figli della Donna e i figli del diavolo. (cf 1 Gv 3,8; Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio).


Chi è dunque la Donna? Non può essere altro che la "capostipite di una discendenza spirituale".


L’analogia della fede ci fa capire che si tratta di Maria, quella Donna a cui verrà detto "Donna ecco tuo Figlio" e di cui al discepolo verrà detto "ecco tua madre".


Vediamo ora la seconda parte del versetto: le due stirpi.


2) (3,15b) “tra la tua stirpe e la sua stirpe”:

Si tratta di due discendenze spirituali: quali sono? I santi, figli di Maria, e i reprobi, che hanno per padre il diavolo; non è difficile trovare nella Bibbia gli argomenti per questa interpretazione:

(Gv 8,44) “... voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro”.

(1 Gv 3,8) “Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio”.

(Ap 12,17) “Allora il drago si infuriò contro la Donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù”.


Vediamo ora l’ostilità perpetua delle due stirpi:


3) (3,15c) “questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.


Chi è il soggetto di "schiaccerà"?


Porrò in calce a questo scritto una piccola memoria grammaticale, per i più esperti nelle lingue bibliche, la quale mostra che i testi scritturistici più antichi non sono univoci per quanto riguarda il soggetto di "schiaccerà": la plurivalenza grammaticale e testuale, il contesto prossimo, l'analogia della fede ci dicono che il soggetto di "schiaccerà" è, nel contempo e a diversi livelli, Gesù, Maria e la Chiesa:


1) Gesù in quanto "il discendente", radice e causa prima della Vittoria; discendente di Eva - partecipe quindi della natura umana per mezzo della quale ha vinto - e figlio di Maria, madre di tutte le membra di Cristo che costituiscono così una discendenza spirituale.

2) Maria, Madre di Colui dal quale ha ricevuto il potere di vincere anch'essa, e che, avendo generato il vincitore, è Causa della vittoria: quindi schiaccia la testa del serpente antico.

3) Il vero Isarele, ovvero la Chiesa, la stirpe di Maria.

Cristo ha vinto il serpente e in lui siamo "più che vincitori" (cf Rom 8,27) E tra i "più che vincitori" eccelle Maria "più che Vincitrice", perché il vincitore è Sua discendenza: Maria è la Madre della Vittoria.


III. Alcuni testi di San Luigi M. Grignion de Montfort.


(Preghiera infuocata, § 13) È vero, gran Dio! Come tu hai predetto, il demonio tenderà grandi insidie al calcagno di questa misteriosa donna, cioè alla piccola compagnia dei suoi figli, che verranno sul finire del mondo. Ci saranno grandi inimicizie fra questa stirpe benedetta di Maria e la razza maledetta di Satana; ma si tratterà di inimicizia totalmente divina, l'unica di cui tu sei l'autore. Le lotte e persecuzioni che la progenie di Belial muoverà ai discendenti di tua Madre, serviranno solo a far meglio risaltare quanto efficace sia la tua grazia, coraggiosa la loro virtù e potente tua Madre. A lei infatti hai affidato fin dall'inizio del mondo l'incarico di schiacciare con il calcagno e l'umile cuore la testa di quell'orgoglioso.


(Vera devozione, § 52) Dio ha fatto e preparato una sola ma irriconciliabile inimicizia, che durerà ed anzi crescerà sino alla fine: l'inimicizia tra Maria, sua degna Madre, e il diavolo, tra i figli e servi della Vergine santa e i figli e seguaci di Lucifero. Pertanto la nemica più terribile del diavolo che Dio abbia mai creata, è Maria, sua santa Madre. Fin dal paradiso terrestre - quantunque ella non fosse ancora che nella sua mente - il Signore le ispirò tanto odio contro quel maledetto nemico di Dio, e le diede tanta abilità per scoprire la malizia di quell'antico serpente, tanta forza per vincere, abbattere e schiacciare quell'empio orgoglioso, che il demonio la teme, non solo più di tutti gli angeli e gli uomini, ma, in certo qual senso, più di Dio stesso. Non già perché l'ira, l'odio e il potere di Dio non siano infinitamente maggiori di quelli della Vergine Maria, le cui perfezioni sono limitate, ma:


l ) perché Satana, che è superbo, soffre infinitamente più d'essere vinto e punito da una piccola ed umile serva di Dio e l'umiltà della Vergine lo umilia più che la divina onnipotenza;


2) perché Dio ha dato a Maria un potere così grande contro i demoni, che questi molte volte furono costretti a confessare, controvoglia, per bocca degli ossessi, di temere uno solo dei suoi sospiri per qualche anima, più delle preghiere di tutti i Santi, e una sola delle sue minacce contro di essi, più di tutti gli altri loro tormenti.


(Vera devozione, § 53) Ciò che Lucifero ha perduto con l'orgoglio, Maria l'ha conquistato con l'umiltà. Ciò che Eva ha dannato e perduto con la disobbedienza, Maria l'ha salvato con l'obbedienza. Eva, obbedendo al serpente, ha rovinato con se tutti i suoi figli, che abbandonò in potere del demonio. Maria, rimanendo perfettamente fedele a Dio, ha salvato con sé tutti i suoi figli e servi, che consacrò alla sua Maestà.

(Vera devozione, § 54) Ma il potere di Maria su tutti i demoni risplenderà in modo particolare negli ultimi tempi, quando Satana insidierà il suo calcagno, cioè i suoi poveri schiavi e umili figli che lei susciterà per muovergli guerra. Questi saranno piccoli e poveri secondo il mondo, infimi davanti a tutti come il calcagno, calpestati e maltrattati come il calcagno lo è in confronto alle altre membra del corpo. In cambio saranno ricchi di grazia divina, che Maria comunicherà loro in abbondanza, grandi ed elevati in santità davanti a Dio, superiori ad ogni creatura per lo zelo coraggioso, e cosi fortemente sostenuti dall'aiuto di Dio, che con l'umiltà del loro calcagno, uniti a Maria, schiacceranno il capo del diavolo e faranno trionfare Gesù Cristo.


IV. Alcune note filologiche su Gen 3,15 c:


Non si conosce la lettura ebraica esatta di Gen 3,15 c, giacché anche se la grafia potrebbe essere quella del pronome maschile o neutro "HU" (quindi non solo maschile), il testo potrebbe corrispondere anche al femminile "HI", a causa di una peculiarità del pentateuco ebraico per cui, anche se è SCRITTA la III p. maschile o neutra, si potrebbe LEGGERE al femminile: questa particolarità è dovuta alla regola del "QERE PERPETUUM" (una complicazione circa la lettura del testo ebraico, precisamente delle regole del QERE-KETIB).


Fatta questa premessa abbiamo la seguente quadruplice possibilità di lettura di Gen 3,15c.


1) Ebraico (T.M.): EGLI/ESSO ti schiaccerà il capo (il pronome-maschile neutro potrebbe comprendere l'ampio spettro di traduzione Egli -il Messia- la discendenza in generale, la donna e la discendenza insieme).

2) Greco (LXX): EGLI STESSO (autòs) ti schiaccerà il capo (il Messia, il discendente della donna), con remote possibilità di un letteralismo estremo: i traduttori della LXX avrebbero in questo caso usato il pronome maschile perché "discendenza, stirpe, seme" (zera`) in ebraico è maschile: allora anche EGLI della LXX intenderebbe un collettivo, "la discendenza".


Perché la LXX verte al maschile e non al neutro? Perché il neutro greco è diverso dal neutro ebraico (non ha la stessa comprensione): il neutro greco non sarebbe adatto ad includere anche il Messia, un Discendente in particolare: il maschile greco è però meno adatto ad includere la donna e la discendenza collettiva. Ma si sa, quando c'è da tradurre, ci sono sempre delle perdite di significato; ed è questo il motivo per cui è utile leggere la Bibbia nelle lingue originali.


3) Varie versioni latine e la Vulgata: ESSA STESSA ti schiaccerà il capo; questa traduzione è giustificata:


*dalla possibile lettura ebraica di HU (= EGLI ESSO - pronome III sing maschile-neutro) come HI (= ELLA femminile)

*dall'oggettiva unità tra la donna e la stirpe

*dall'oggettivo coinvolgimento della donna nell'inimicizia.


4) Targum Jonatan (aramaico): "egli" in senso collettivo (il popolo d'Israele).

Si vede già come tutte queste letture non sono esclusive l'una dell'altra, ma accentuano ora l'uno o l'altro aspetto del significato globale.


Chi dunque schiaccia la testa al serpente? Non si può separare Cristo da Maria!


Ave Maria!


Don Alfredo M. Morselli, Stiatico di San Giorgio di Piano (BO), 26 novembre 2009.


[SM=g1740722] [SM=g1740721] [SM=g1740717] [SM=g1740750] [SM=g1740720]

Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Dormizione, Assunzione della Vergine


L’Assunzione della Vergine esprime in modo mirabile l’adagio patristico diffusosi a partire da Ireneo di Lione, nel II secolo: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo possa diventare Dio”. Diventare Dio: cioè un vivente la cui vita non ha limiti, una vita liberata dal male e dalla morte. Per descrivere con maggior chiarezza questa festa, accosterò l’una all’altra due icone: quella della Vergine con il bambino e quella della Dormizione-Assunzione (più avanti spiegherò questi due termini).

Nella prima è la madre a reggere e proteggere il bambino, e a volte, come nella “Vergine della tenerezza”, essa appoggia il proprio volto al volto minuto del Figlio. Maria, a nome di tutta l’umanità, accoglie Dio. Prima assunzione: quella della divinità da parte dell’umanità.

Nella seconda icona, avviene esattamente il contrario: la madre è morta; le sue spoglie, nera crisalide, sbarrano orizzontalmente la composizione; ma lo spazio della morte si apre, appare Cristo, vittorioso, verticale di luce che fa dell’icona una croce di gloria. Egli prende tra le braccia l’anima non disincarnata di sua madre, rappresentata come una bambina che porta a compimento la sua nascita nel regno. E in alcune icone, Gesù stringe al proprio volto il volto di questa donna bambina: germe e anticipazione della trasfigurazione di tutto il creato. Seconda assunzione, questa volta dell’umano da parte del divino. [v.a destra l'Icona di Novgorod, XIII secolo]

La Chiesa, infatti, maturò presto l’intuizione secondo cui il corpo di Maria, prodigiosamente “consustanziale” a quello del Risorto, non era possibile che fosse rimasto prigioniero della morte. Così, al Dio fatto uomo corrisponde l’uomo deificato, e il primo essere umano presente, anima e corpo, nella gloria divina è la “Donna vestita di sole” di cui parla l’Apocalisse.

Maria si trova ormai al di là della morte e del giudizio, in quella luce che le Scritture chiamano “regno di Dio”; e tuttavia umana, infinitamente materna, ella rimane totalmente rivolta verso gli uomini, verso le loro sofferenze, verso il pellegrinaggio compiuto così spesso a tastoni dalla chiesa, e prima ancora dalla chiesa mistica che ingloba l’intera umanità e tutto quanto il cosmo. Nella grande spiritualità della chiesa antica, come pure in molte leggende popolari, Maria è colei che pronuncia sull’inferno – anche sul nostro inferno interiore – la preghiera per la salvezza universale.

I testi delle omelie orientali associano, a partire dal V secolo, la Dormizione di Maria – vale a dire una morte pacifica, in cui l’anima entra nella pace – e la sua Assunzione corporale – l’anima ricongiunta al corpo nell’unità della persona (come avverrà a ciascuno di noi), ormai elevata al cielo, letteralmente sollevata dallo slancio “risurrezionale” del Cristo –.

Parecchie leggende, ricche peraltro di significato, si sono sedimentate nelle più antiche liturgie. Mentre Maria viene avvisata della sua morte da un angelo, gli apostoli, dispersi lontano da lei, le sono miracolosamente trasportati accanto. Lei li consola, li benedice, prega per la pace del mondo, e muore. Essi la seppelliscono nel Getsemani. Dopo tre giorni, Maria appare loro mentre stanno celebrando l’eucarestia, e gli apostoli trovano la sua tomba vuota.

Celebrata originariamente in ricordo di una “stazione” (così si faceva la liturgia, di stazione in stazione) ubicata nei pressi di Betlemme e dove la Vergine si sarebbe riposata, l’Assunzione veniva festeggiata in Oriente come in Occidente nel mese di gennaio. La festa estesa all’impero bizantino intorno all’anno 600, giunse in Occidente quarant’anni più tardi, grazie a papa Teodoro I, il quale proveniva dal clero di Gerusalemme.

Nel 1950, Pio XII proclamò con tutte le solennità che si addicono ad un dogma che l’“immacolata Madre di Dio, la sempre Vergine Maria, dopo aver terminato il corso della sua vita terrena, è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste”. La chiesa ortodossa, che si prepara a questa festa con un digiuno di quindici giorni, non ha avvertito la necessità di un simile dogma; nessun ortodosso, infatti, contesta il mistero della dormizione-assunzione proclamato dai testi liturgici dell’ortodossia: “Ella è la Madre della vita, e colui che aveva abitato il suo seno verginale l’ha trasferita alla vita… Ogni figlio della terra trasalga nel suo spirito e celebri con gioia la venerabile assunzione della Madre di Dio”. Si aggiunga che in oriente la venerazione mariana è al tempo stesso onnipresente e assai discreta, quasi iniziatica, poiché dipendente non tanto dall’annuncio della risurrezione di Cristo, quanto dalla ricezione di tale annuncio.

La differenza tra l’oriente e l’occidente è che per il primo Maria doveva passare, in Cristo, attraverso una morte e resurrezione reali, mentre per il secondo il dogma dell’Immacolata Concezione rende dubbia la sua morte: su questo punto il dogma del 1950 non si pronuncia. Si tratta di una semplice disputa terminologica? Ciò che è in gioco sono due approcci parzialmente differenti al tema del “peccato originale” e della sua trasmissione? Oppure il problema è un altro?

In realtà, sia per l’oriente che per l’occidente, l’assunzione è un segno delle cose ultime. In Maria, “figlia del proprio Figlio”, dice Dante, ci è data un’anticipazione della glorificazione di tutto l’universo che avverrà alla fine dei tempi, quando Dio sarà “tutto in tutti”, “tutto in ogni cosa”.

Innalzata al cielo – a differenza di Cristo che si innalza da se stesso – Maria, dicono certi testi liturgici, è la nostra “Terra promessa”. La dormizione-assunzione anticipa la parusìa, e non è affatto un caso che nei grandi affreschi che impreziosiscono i muri esterni delle chiese monastiche moldave, il tronco di Iesse divenga un immenso, cosmico roveto ardente.

L’ Assunzione anticipa e prepara il nostro comune destino. Nel corpo della Vergine, sepolto simbolicamente dagli apostoli (richiamo della pentecoste) nel Getsemani (richiamo della passione, unica fonte della nostra salvezza), in quel corpo portato verso la luce originaria e terminale, tutto il creato è assunto dall’Increato, tutta la carne della terra diventa eucaristia. Come Giovanni Damasceno, allora, anche noi possiamo dire: “Rallegrati, germe divino della terra, giardino in cui fu posto l’Albero della vita!”
Da “Le feste cristiane” di Olivier Clément.

E che la Regina del Cielo pieghi il suo sguardo su di noi e sussurri al Cuore del Suo Figlio la nostra preghiera, come a Cana. Perché venga il Suo Regno.


Ulteriori approfondimenti li trovate qui:

Per Ferragosto ricordiamo che è la Festa di Maria Assunta in Cielo

e qui la Preghiera

Sanctum Rosarium in latino..... con la Meditazione del Mistero


                                          Pope Benedict XVI delivers a speech during a mass in the St. Thomas church near his summer residence in Castelgandolfo, 40 kms south east of Rome, before his weekly Angelus prayer on August 15, 2010.

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA, 15.08.2010

Alle ore 8.00 di oggi, Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, il Santo Padre Benedetto XVI ha celebrato la Santa Messa nella parrocchia pontificia di "San Tommaso da Villanova" a Castel Gandolfo.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito
:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Eminenza, Eccellenza, Autorità,
Cari fratelli e sorelle
,

oggi la Chiesa celebra una delle più importanti feste dell’anno liturgico dedicate a Maria Santissima: l’Assunzione. Al termine della sua vita terrena, Maria è stata portata in anima e corpo nel Cielo, cioè nella gloria della vita eterna, nella piena e perfetta comunione con Dio.
Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario da quando il Venerabile Papa Pio XII, il 1° novembre 1950, definì solennemente questo dogma, e vorrei leggere – anche se è un po’ complicato – la forma della dogmatizzazione. Dice il Papa: «in tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità con uno stesso decreto di predestinazione, Immacolata nella sua Concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del Divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del Cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli» (Cost. ap. Munificentissimus Deus, AAS 42 (1950), 768-769).

Questo, quindi, è il nucleo della nostra fede nell’Assunzione: noi crediamo che Maria, come Cristo suo Figlio, ha già vinto la morte e trionfa già nella gloria celeste nella totalità del suo essere, «in anima e corpo».

San Paolo, nella seconda lettura di oggi, ci aiuta a gettare un po’ di luce su questo mistero partendo dal fatto centrale della storia umana e della nostra fede: il fatto, cioè, della risurrezione di Cristo, che è «la primizia di coloro che sono morti». Immersi nel Suo Mistero pasquale, noi siamo resi partecipi della sua vittoria sul peccato e sulla morte. Qui sta il segreto sorprendente e la realtà chiave dell’intera vicenda umana. San Paolo ci dice che tutti siamo «incorporati» in Adamo, il primo e vecchio uomo, tutti abbiamo la stessa eredità umana alla quale appartiene: la sofferenza, la morte, il peccato. Ma a questa realtà che noi tutti possiamo vedere e vivere ogni giorno aggiunge una cosa nuova: noi siamo non solo in questa eredità dell’unico essere umano, incominciato con Adamo, ma siamo «incorporati» anche nel nuovo uomo, in Cristo risorto, e così la vita della Risurrezione è già presente in noi. Quindi, questa prima «incorporazione» biologica è incorporazione nella morte, incorporazione che genera la morte. La seconda, nuova, che ci è donata nel Battesimo, è ««incorporazione» che da la vita. Cito ancora la seconda Lettura di oggi; dice San Paolo: «Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. » (1Cor 15, 21-24).

Ora, ciò che san Paolo afferma di tutti gli uomini, la Chiesa, nel suo Magistero infallibile, lo dice di Maria, in un modo e senso precisi: la Madre di Dio viene inserita a tal punto nel Mistero di Cristo da essere partecipe della Risurrezione del suo Figlio con tutta se stessa già al termine della vita terrena; vive quello che noi attendiamo alla fine dei tempi quando sarà annientato «l’ultimo nemico», la morte (cfr 1Cor 15, 26); vive già quello che proclamiamo nel Credo «Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà».

Allora ci possiamo chiedere: quali sono le radici di questa vittoria sulla morte prodigiosamente anticipata in Maria?

                            Pope Benedict XVI delivers a speech during a mass in the St. Thomas church near his summer residence in Castelgandolfo, 40 kms south east of Rome, before his weekly Angelus prayer on August 15, 2010.

Le radici stanno nella fede della Vergine di Nazareth, come testimonia il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato (Lc 1,39-56): una fede che è obbedienza alla Parola di Dio e abbandono totale all’iniziativa e all’azione divina, secondo quanto le annuncia l’Arcangelo. La fede, dunque, è la grandezza di Maria, come proclama gioiosamente Elisabetta: Maria è «benedetta fra le donne», «benedetto è il frutto del suo grembo» perché è «la madre del Signore», perché crede e vive in maniera unica la «prima» delle beatitudini, la beatitudine della fede. Elisabetta lo confessa nella gioia sua e del bambino che le sussulta in grembo: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (v. 45).

Cari amici! Non ci limitiamo ad ammirare Maria nel suo destino di gloria, come una persona molto lontana da noi: no! Siamo chiamati a guardare quanto il Signore, nel suo amore, ha voluto anche per noi, per il nostro destino finale: vivere tramite la fede nella comunione perfetta di amore con Lui e così vivere veramente.

A questo riguardo, vorrei soffermarmi su un aspetto dell’affermazione dogmatica, là dove si parla di assunzione alla gloria celeste.

Noi tutti oggi siamo ben consapevoli che col termine «cielo» non ci riferiamo ad un qualche luogo dell’universo, a una stella o a qualcosa di simile: no. Ci riferiamo a qualcosa di molto più grande e difficile da definire con i nostri limitati concetti umani. Con questo termine «cielo» vogliamo affermare che Dio, il Dio fattosi vicino a noi non ci abbandona neppure nella e oltre la morte, ma ha un posto per noi e ci dona l’eternità; vogliamo affermare che in Dio c’è un posto per noi.

Per comprendere un po’ di più questa realtà guardiamo alla nostra stessa vita: noi tutti sperimentiamo che una persona, quando è morta, continua a sussistere in qualche modo nella memoria e nel cuore di coloro che l’hanno conosciuta ed amata.

Potremmo dire che in essi continua a vivere una parte di questa persona, ma è come un’«ombra» perché anche questa sopravvivenza nel cuore dei propri cari è destinata a finire. Dio invece non passa mai e noi tutti esistiamo in forza del Suo amore. Esistiamo perché egli ci ama, perché egli ci ha pensati e ci ha chiamati alla vita. Esistiamo nei pensieri e nell’amore di Dio. Esistiamo in tutta la nostra realtà, non solo nella nostra «ombra». La nostra serenità, la nostra speranza, la nostra pace si fondano proprio su questo: in Dio, nel Suo pensiero e nel Suo amore, non sopravvive soltanto un’«ombra» di noi stessi, ma in Lui, nel suo amore creatore, noi siamo custoditi e introdotti con tutta la nostra vita, con tutto il nostro essere nell’eternità.

È il suo Amore che vince la morte e ci dona l’eternità, ed è questo amore che chiamiamo «cielo»: Dio è così grande da avere posto anche per noi. E l’uomo Gesù, che è al tempo stesso Dio, è per noi la garanzia che essere-uomo ed essere-Dio possono esistere e vivere eternamente l’uno nell’altro. Questo vuol dire che di ciascuno di noi non continuerà ad esistere solo una parte che ci viene, per così dire, strappata, mentre altre vanno in rovina; vuol dire piuttosto che Dio conosce ed ama tutto l’uomo, ciò che noi siamo. E Dio accoglie nella Sua eternità ciò che ora, nella nostra vita, fatta di sofferenza e amore, di speranza, di gioia e di tristezza, cresce e diviene. Tutto l’uomo, tutta la sua vita viene presa da Dio ed in Lui purificata riceve l’eternità.

Cari Amici! Io penso che questa sia una verità che ci deve riempire di gioia profonda. Il Cristianesimo non annuncia solo una qualche salvezza dell’anima in un impreciso al di là, nel quale tutto ciò che in questo mondo ci è stato prezioso e caro verrebbe cancellato, ma promette la vita eterna, «la vita del mondo che verrà»: niente di ciò che ci è prezioso e caro andrà in rovina, ma troverà pienezza in Dio.

Tutti i capelli del nostro capo sono contati, disse un giorno Gesù (cfr Mt 10,30). Il mondo definitivo sarà il compimento anche di questa terra, come afferma san Paolo: «la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Allora si comprende come il cristianesimo doni una speranza forte in un futuro luminoso ed apra la strada verso la realizzazione di questo futuro. Noi siamo chiamati, proprio come cristiani, ad edificare questo mondo nuovo, a lavorare affinché diventi un giorno il «mondo di Dio», un mondo che sorpasserà tutto ciò che noi stessi potremmo costruire. In Maria Assunta in cielo, pienamente partecipe della Risurrezione del Figlio, noi contempliamo la realizzazione della creatura umana secondo il «mondo di Dio».

Preghiamo il Signore affinché ci faccia comprendere quanto è preziosa ai Suo occhi tutta la nostra vita; rafforzi la nostra fede nella vita eterna; ci renda uomini della speranza, che operano per costruire un mondo aperto a Dio, uomini pieni di gioia, che sanno scorgere la bellezza del mondo futuro in mezzo agli affanni della vita quotidiana e in tale certezza vivono, credono e sperano.

Amen!

                                           Pope Benedict XVI greets pilgrims gathered in front of St. Thomas church near his summer residence in Castelgandolfo, 40 kms south east of Rome, at the end of his weekly Angelus mass on August 15, 2010.

                                   Pope Benedict XVI greets a child gathered in front of St. Thomas church near his summer residence in Castelgandolfo, 40 kms south east of Rome, after his weekly Angelus mass on August 15, 2010.



A mezzogiorno il Papa ha presieduto la preghiera dell’Angelus nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Ecco le sue parole:
Cari fratelli e sorelle,
oggi, nella solennità dell’Assunzione al Cielo della Madre di Dio, celebriamo il passaggio dalla condizione terrena alla beatitudine celeste di Colei che ha generato nella carne e accolto nella fede il Signore della Vita. La venerazione verso la Vergine Maria accompagna fin dagli inizi il cammino della Chiesa e già a partire dal IV secolo appaiono feste mariane: in alcune viene esaltato il ruolo della Vergine nella storia della salvezza, in altre vengono celebrati i momenti principali della sua esistenza terrena. Il significato dell’odierna festa è contenuto nelle parole conclusive della definizione dogmatica, promulgata dal Venerabile Pio XII il 1° novembre 1950 e di cui quest’anno ricorre il 60° anniversario: «L'Immacolata sempre Vergine Maria, Madre di Dio, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo» (Cost. ap. Munificentissimus Deus, AAS 42 [1950], 770).
Artisti d’ogni epoca hanno dipinto e scolpito la santità della Madre del Signore adornando chiese e santuari. Poeti, scrittori e musicisti hanno tributato onore alla Vergine con inni e canti liturgici. Da Oriente a Occidente la Tuttasanta è invocata Madre celeste, che sostiene il Figlio di Dio fra le braccia e sotto la cui protezione trova rifugio tutta l’umanità, con l’antichissima preghiera: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.
E nel Vangelo dell’odierna solennità, san Luca descrive il compiersi della salvezza attraverso la Vergine Maria. Ella, nel cui grembo si è fatto piccolo l’Onnipotente, dopo l’annuncio dell’Angelo, senza alcun indugio, si reca in fretta dalla parente Elisabetta per portarle il Salvatore del mondo. E, infatti, «appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo … [e] fu colmata di Spirito Santo» (Lc 1,41); riconobbe la Madre di Dio in «colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore ha detto» (Lc 1,45). Le due donne, che attendevano il compimento delle promesse divine, pregustano, ora, la gioia della venuta del Regno di Dio, la gioia della salvezza.
Cari fratelli e sorelle, affidiamoci a Colei che - come afferma il Servo di Dio Paolo VI - «assunta in cielo, non ha deposto la sua missione di intercessione e di salvezza» (Es. ap. Marialis Cultus, 18, AAS 66 [1974], 130). A Lei, guida degli Apostoli, sostegno dei Martiri, luce dei Santi, rivolgiamo la nostra preghiera, supplicandola di accompagnarci in questa vita terrena, di aiutarci a guardare il Cielo e di accoglierci un giorno accanto al Suo Figlio Gesù.

                                  Pope Benedict XVI waves to pilgrims gathered in the courtyard of his summer residence of Castelgandolfo, 40 kms south east of Rome, during his weekly general audience on August 11, 2010.


                           Pope Benedict XVI blesses pilgrims gathered in the courtyard of his summer residence in Castelgandolfo, 40 kms south east of Rome, during his weekly general audience on August 15, 2010.



[Modificato da Caterina63 15/08/2010 13:01]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Assunzione di Maria: Sessanta anni di un dogma

POSTATO DA ANGELA AMBROGETTI

[21/10/2010 10:42]

Il primo novembre del 1950 papa Pio XII proclamava un nuovo dogma mariano: la Assunzione al cielo di Maria. Un dogma che confermava la fede popolare di secoli. La Madre di Gesù non poteva essere rimasta nel sepolcro. Il papa così confermava con un pronunciamento dottrinale la tradizione che santi e semplici avevano già confermato nel loro cuore . Per celebrare i sessanta anni della dichiarazione dogmatica Il Comitato Papa Pacelli celebra un convegno di studio . Venerdì 29 ottobre, alle 16.30, l'appuntamento è alla Sala dei Cardinali a Roma in Via della Chiesa Nuova, 3.

Il Comitato è nato nel 2008 in occasione del 50° anniversario della morte di Pio XII per contribuire alla diffusione ed alla conoscenza del suo Magistero.

Tra i relatori Il card. Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, che tratterà l'ambito dogmatico, mentre gli insegnamenti spirituali saranno analizzati dal neo cardinale Mauro Piacenza prefetto della Congregazione per il clero. Mons. Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia università lateranense, affronta l'aspetto storico-patristico; mons. Guido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, si soffermerà sull'ambito liturgico. Mons. Timothy Verdon, storico dell'arte e direttore dell'Ufficio di arte sacra e dei beni culturali ecclesiastici dell'arcidiocesi di Firenze, illustrerà le modalità di raffigurazione dell'Assunta nella storia dell'arte.

Gian Maria Vian, direttore de L'Osservatore Romano, ricorderà come i media riportarono allora la notizia. Ospite d' onore suor Margherita Marchione, biografa di Pio XII. Le conclusioni sono affidate a don Nicola Bux, cofondatore del Comitato.

Tra gli ospiti anche Livio Spinelli, del Gruppo archeologico romano, e Alberto Di Giglio, direttore della rivista Cultura & Libri.
Sabato 30 ottobre, alle 18.30, il card. José Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle cause dei santi, presiederà la Santa Messa solenne nella Chiesa di Santa Maria in Vallicella.

www.comitatopapapacelli.org  

http://www.angelambrogetti.org/ 


RICORDIAMO ANCHE:

MONUMENTALE CATECHESI DI BENEDETTO XVI SULLA THEOTOKOS



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150 anni dogma dell'Immacolata
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L'omelia di Giacomo di Sarug per la Dormizione di Maria

Spalancatevi porte
entra la Madre del Re


 

di MANUEL NIN

Di Giacomo di Sarug - monaco siriaco (451-521) vissuto in Mesopotamia e poi vescovo di Sarug presso Edessa - si sono conservate molte omelie. Sei sono dedicate alla Madre di Dio, di cui una sulla sua morte e sepoltura.

Il testo invoca innanzi tutto Cristo:Icona della Dormizione della Madre di Dio (XVI secolo, Libano) "O Figlio, che per il tuo amore hai lasciato l'altezza e ti sei umiliato e sei disceso sulla terra, hai rivestito un corpo e dalla figlia di Davide ti sei fatto uomo, o Figlio unigenito che dal nulla hai creato Adamo e hai dato a lui lo Spirito di vita". Ma il Figlio è invocato per poter lodare la madre: "Tu che ci hai visitati e hai voluto compiere tutta l'economia di salvezza, concedimi di cantare la sepoltura di colei che è stata fedele".

Subito Giacomo associa Maria alla morte di Cristo: "Molti dolori soffrì la madre tua per te quando fosti crocefisso, i suoi occhi versarono lacrime quando ti vide sospeso sulla croce, squarciato dalla lancia, e quando ti seppellirono". Maria percorre il cammino come tutti i santi e giusti: "E anche alla madre giunse la fine, per emigrare nel mondo pieno di beni. Venne il tempo di camminare sulla via di tutte le generazioni che sono dipartite e sono arrivate alla meta".

L'omelia enumera quanti sono morti, da Adamo ai profeti: "In quella via camminò Adamo, primo delle generazioni, e Seth il buono; e anche Abramo e Isacco buoni operai, e Giacobbe giusto e umile; e l'uomo di desiderio Daniele ed Ezechiele dalle profezie mirabili, e Isaia, l'uomo della parola di verità". Giacomo descrive poi l'economia di Cristo, che "discese e abitò nel seno puro della Vergine", e i suoi momenti fondamentali: incarnazione e nascita da Maria, battesimo, miracoli, scelta dei Dodici, fino alla passione, morte e risurrezione.

La morte giunge anche per Maria, che partecipa alla passione del Figlio, come sottolineano pure altri autori orientali: "Anche alla madre di Gesù Cristo, Figlio di Dio, la morte arrivò, affinché gustasse il suo calice". Sono quindi nominati coloro che si radunano per celebrare la morte di Maria, celebrazione che anche nell'iconografia della festa ha carattere liturgico: angeli, giusti e patriarchi, profeti, sacerdoti e leviti, e infine gli apostoli, i veri celebranti di questa liturgia che unisce cielo e terra: "Pure il coro dei dodici apostoli eletti, che seppellisce il corpo della vergine sempre benedetta".
Giacomo fa un parallelo tra la sepoltura di Cristo e quella di Maria: "Il corpo del Figlio seppellì Nicodemo il giusto, e il corpo della Vergine Giovanni l'eletto figlio del tuono. In una caverna di pietra, in un sepolcro nuovo, introdussero e posero il Figlio della Benedetta. E pure la Madre del Figlio di Dio nella caverna, nel sepolcro roccioso, introdussero e deposero". La sepoltura di Maria è paragonata anche a quella di Mosè: "Il Signore discese per seppellire il suo servo Mosè; così anche assieme agli angeli egli seppellì la madre secondo il corpo. Mosè il profeta fu da Dio sepolto sul vertice del monte; anche Dio con gli angeli seppellisce Maria sul monte degli Ulivi".

E in un'unica liturgia tra terra e cielo la creazione si raccoglie meravigliata: "Quando il Maestro seppellì sua madre, si raccolse tutto il coro degli apostoli, e con essi i serafini di fuoco, e i cherubini terribili associati al suo trono, e Gabriele e Michele con le loro schiere; tutti gli uccelli e tutti gli animali cantarono la gloria, tutti gli alberi con i loro frutti stillarono odore, le acque e i pesci conobbero questo giorno".

L'autore contempla infine la morte e la glorificazione di Maria, nel giorno che si celebra come annuncio di salvezza per tutte le genti: "Oggi Adamo ed Eva godono perché la loro figlia abita con loro. Oggi i giusti Noè ed Abramo godono perché la loro figlia li ha visitati. Oggi gode Giacobbe perché la figlia che germinò dalla sua radice lo ha chiamato a vita. Oggi godono Ezechiele e Isaia perché colei che profetarono li visita nel luogo dei morti". Giacomo conclude l'omelia applicando a Maria il salmo 23: "E i serafini di fuoco con grande voce dicono: Sollevate, o porte, i vostri capi, perché vuole entrare la Madre del re. Oggi il nome del re Messia, che sul Golgota fu crocefisso, concede ed effonde vita e misericordia a chi l'invoca".


Si compie in Maria l'attesa umana della risurrezione della carne

La splendida eccezione


 

di INOS BIFFI

Con la risurrezione di Cristo appare l'inizio dell'umanità perfettamente corrispondente all'eterno disegno divino: l'umanità, che sulla croce ha vinto definitivamente la morte, entrata nel mondo a motivo del peccato e come impronta del peccato, e ha raggiunto la pienezza della gloria.Jean-Baptiste Bouchardon, Si manifesta così nel Crocifisso risuscitato, beato nell'anima e trasfigurato nel corpo, il modello e la riuscita di tutti gli uomini chiamati a comparire sulla terra, la primizia - com'è detta da Paolo (1 Corinzi, 15, 20) - del destino a loro divinamente assegnato fin dall'eternità.

Il terzo giorno, quando Gesù si risvegliò dal sepolcro, fu il giorno della creazione del vero Adamo, l'uomo "celeste" (cfr. 1 Corinzi, 15, 47): Cristo è il Testamento Nuovo, nel quale gli eventi dell'Antico si rinnovano e trovano compimento.
Alla domanda: "Perché Dio crea gli uomini?", c'è una sola risposta: "Perché, commorendo con Cristo, con lui risorgano, con lui siano glorificati e collocati alla destra del Padre", qualunque siano il tempo in cui nascono, la cultura che si ritrovano, le peripezie e quelle che giudichiamo insensatezze e assurde tragedie e irrazionalità che incontrano.
Nessuno è pensato per un destino che sia diverso da quello di Gesù, cioè un destino di gloria, partecipato non solo dall'anima, ma anche dal corpo dell'uomo.
Fin che questo non sia raggiunto, l'uomo è incompiutamente e imperfettamente beato. Ecco perché, in questo stato ancora da ultimare, dimorano gli stessi santi, che pure fruiscono del bene essenziale, che è la visione di Dio. Mancanti della corporeità, essi sono anime, ma non ancora "persone umane" beate.

Questo avverrà, con la risurrezione della carne, quando la gloria rifluirà anche nel loro corpo. Secondo la dottrina di Tommaso d'Aquino, all'anima che possiede per natura la prerogativa della "unibilità" a un corpo, ma di fatto ne sia priva, "non compete né il nome né la definizione di persona" (Summa Theologiae, I, 29, 1, 5m).
Ecco perché, prima della risurrezione dei morti, l'anima beata "è attraversata dal desiderio che la sua stessa fruizione di Dio si riversi e ridondi anche sul corpo" (Summa Theologiae, I-II, 4, 5, 4m).
Vi è però un'eccezione e riguarda la Vergine Maria. La fede della Chiesa, solennemente definita da Pio XII, professa che "l'immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo": in Maria, con la glorificazione del suo corpo, già ora la redenzione è perfetta, ed è compiuta la sua conformità con Cristo risorto.
E non fa meraviglia. La grazia della croce aveva attratto e pervaso Maria, prima ancora che il Figlio vi salisse, quando fu concepita immune dalla colpa originale e collocata "più su del perdono".

Destinata, quale favorita di Dio ("Hai trovato grazia presso Dio" Luca, 1, 30), a essere la madre del Signore, Maria - "la madre del mio Signore", la saluta Elisabetta, prevenendo il concilio efesino (Luca, 1, 43) - appare da subito segnata dall'impronta della santità di Cristo e a lui intimamente congiunta.
L'esistenza della Madonna si svolgerà tutta dentro il mistero del Figlio di Dio, che si è fatto carne in lei. Dichiarandosi "serva del Signore", essa accoglie in totale adesione di fede la maternità verginale, opera dello Spirito Santo che scende su di lei - com'è detto nell'annunciazione - e miracolo dell'onnipotenza dell'Altissimo che la copre della sua ombra, come l'antica nube luminosa, a indicare la presenza di Dio (cfr. Luca, 1, 30-38).
I misteri di Gesù si rifletteranno in Maria, tutta volta a meditarne, nello stupore e nel silenzio, il senso profondo. Non ci sono noti i particolari di questa presenza di Maria accanto al Figlio di Dio, venuto alla luce come uomo dal suo grembo e da lei educato e fatto crescere con sapienza materna.
Certamente la guidava una fede docile, salda e perseverante, fondata sulla divina Parola: ma quella fede neppure per lei equivaleva alla visione, bensì, crederemmo, a un insieme di chiarore e di oscurità. Del resto, più uno è prossimo a Dio, più ne sperimenta la vicinanza e ne patisce le tenebre; ora, nessuno più di Maria ha sperimentato e vissuto la comunione e la convivenza con Dio.
Gesù è nato da poco, ed ecco già Simeone, sollevando profeticamente il velo del futuro, le fa lampeggiare, come in uno squarcio, il destino di passione che le sarà riservato: "Anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Luca, 2, 35).
Maria seguirà da vicino le vicissitudini di Gesù.

Sale con lui dodicenne per la festa di Pasqua al tempio di Gerusalemme, dove conosce l'angoscia per la sua scomparsa e le restano avvolte di enigma le parole sul suo doversi "occupare delle cose del Padre". Anche questi eventi, come le parole dei pastori a Betlemme (Luca, 2, 18-19), la Vergine depone e custodisce, in meditazione, nel cuore (Luca, 2, 51).
La incontriamo a Cana, premurosa fino ad accelerare, con libertà e confidenza materna, l'avvento dell'Ora di Gesù, al quale orienta tutta l'attenzione dei discepoli. L'"inizio dei suoi segni", l'esordio della fede in lui e la prima manifestazione della sua gloria portano così l'impronta dell'iniziativa di Maria (cfr. Giovanni, 2, 1-11).
La troviamo alla fine, "presso la croce di Gesù" (Giovanni, 19, 25), "Compagna del suo gemito". Manzoni lo dice della Chiesa, ma vale prim'ancora per Maria.
Dall'alto del legno, con la solennità di un testamento, il Crocifisso affida alla Madre, come suo nuovo figlio, il discepolo che egli amava; e al medesimo discepolo consegna, come nuova Madre, Maria (Giovanni, 19, 25-27). Viene, allora, avverata la figura di Eva. Questa fu "madre di tutti i viventi" (Genesi, 3, 20); Maria sul Calvario è fatta madre di tutti i credenti: Gesù estende, così, a tutta la Chiesa il dono di essere stato figlio di Maria.
Potremmo dire che è Cristo stesso l'autore e l'iniziatore della mariologia e che Paolo VI fu ben più illuminato dei suoi critici, che non mancarono di mugugnare, quando attribuì a Maria il titolo di Madre della Chiesa.
Fedele al mandato di Gesù "da quell'ora il discepolo l'accolse con sé" (Giovanni, 19, 27), così prefigurando l'accoglienza che, proclamandola beata, le avrebbero riservato "tutte le generazioni" (Luca, 1, 48). A partire dalla prima generazione cristiana: ecco, infatti, unita agli apostoli, "perseveranti e concordi nella preghiera", "Maria, la madre di Gesù" (Atti, 1, 14), che rappresenta ai loro occhi l'immagine più connessa e più somigliante al loro Maestro e Signore, la memoria più intensa, o la sua icona vivente.

Considerando la pienezza di grazia, di cui fu arricchita Maria, e il singolare legame che la congiunse col Figlio di Dio, non sorprende che questi l'abbia sottratta a qualsiasi segno o strascico di peccato e subito, al termine dei suoi giorni, l'abbia resa partecipe della sua stessa gloria di Signore risorto, asceso alla destra del Padre.
Per questo, a venerare Maria, non dobbiamo recarci a un sepolcro in cui si siano corrotte le sue spoglie, e attendere anche per lei la redenzione del corpo.
L'istinto spirituale della Chiesa non tardò a intuirlo: il dogma - lo dichiara il Papa che l'ha definito - non ha fatto che coronare "il concorde insegnamento del magistero ordinario della Chiesa e la fede concorde del popolo cristiano".

Lo stesso popolo che, proprio grazie all'assunzione della Vergine al cielo, ne può sentire l'amore materno più immediatamente vicino. Dal momento che - lo insegna ancora Tommaso d'Aquino - non è il tempo a includere la gloria, ma è la gloria a contenere il tempo.



(©L'Osservatore Romano 14 agosto 2011)
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Maria Assunta anticipa la nostra destinazione

La speranza affidabile


 

di SALVATORE M. PERRELLA

L'assunzione al cielo in anima e corpo di Maria, celebrata da sempre il 15 agosto, costituisce una delle tre solennità mariane dell'anno liturgico: un mistero celebrato da secoli, seppur con linguaggi, accenti e riti diversi, nelle varie Chiese d'Oriente e d'Occidente.

Esso è un evento di fede che impegna la vita e ravviva la speranza dei cristiani: lì dove infatti si afferma di aver sperimentato la presenza, il soccorso e la guida della Madre del Signore, si afferma ugualmente questo avvenimento di gioia, di lode e di riconoscenza, che Pio XII sancì solennemente come dogma il 1° novembre 1950.
Evento di gioia, perché si sono già realizzate le parole scritte da Paolo: "Ritengo che le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.

La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità, non per sua volontà, ma per volontà di colui che l'ha sottoposta, nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Romani, 8, 18-21; cfr. Filippesi, 2, 20-21; 3, 14).

Evento di lode, perché le "grandi cose" che Dio ha compiuto e compie, e che Maria ha cantato nel suo Magnificat, culminano, grazie all'anticipo della glorificazione di Cristo risorto, nella resurrezione dai morti, l'evento che conferma realmente come "nulla è impossibile a Dio" (Luca, 1, 37) e che costituisce la roccia su cui si fonda il suo fiat e il suo servizio materno: "Allora (cioè proprio perché nulla è impossibile a Dio) Maria disse: "Ecco la serva del Signore"" (Luca, 1, 38).
Evento di riconoscenza, perché la vita e l'amore che la Trinità ha riversato copiosamente su di lei elargendole già ora la resurrezione della carne fanno di lei un dono e un segno per la Chiesa e per l'umanità. Insegna, infatti, il concilio Vaticano II (Lumen gentium, 62) che l'Assunta in cielo "con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci i doni che ci assicurano la nostra salvezza eterna. Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata". L'Assunta ci invita a guardare e ad accogliere con fiducia il cielo e il corpo. Il cielo, perché Cristo lo ha reso, con la sua croce e la sua resurrezione, la nostra vera patria (cfr. Filippesi, 3, 20-21) la nostra destinazione ultima e gloriosa.

Il corpo, perché, afferma Papa Benedetto XVI, "anche per il corpo c'è posto in Dio. Il cielo non è più per noi una sfera molto lontana e sconosciuta. Nel cielo abbiamo una madre. È la Madre di Dio, la Madre del Figlio di Dio, è la nostra Madre. Egli stesso lo ha detto. Ne ha fatto la nostra Madre, quando ha detto al discepolo e a tutti noi: "Ecco la tua Madre!" Nel cielo abbiamo una Madre. Il cielo è aperto, il cielo ha un cuore". Anche noi, allora, non possiamo aver paura di avere un cuore che accoglie con fiducia il cielo e il corpo: sia allora l'Assunta l'educatrice e la maestra di un simile cuore, l'unico capace di dare un volto umano al vivere e al morire. Maria, "ricolmata di grazia", assume così, per se stessa e per la Chiesa dei discepoli in cammino verso l'eternità promessa da Dio in Gesù, un significativo servizio comunitario. Nella Vergine glorificata, per pura grazia e dono divini, inoltre, è vinta la paura del futuro - così presente nell'umanità postmoderna illusa da "futuri brevi ed effimeri" - superato l'enigma inevitabile e angoscioso della morte, disvelato nella sua gloria il destino ultimo che accomuna ogni persona.

In virtù della Parola della fede (cfr. Romani, 10, 8) che ha offerto a tutti gli uomini e le donne di "buona volontà" la speranza affidabile che viene da Dio. La Chiesa dei giustificati proclama che Cristo è la suprema garanzia della speranza non chiusa in se stessa, che è la "speranza della gloria" (cfr. Colossesi, 1, 26-27). Tale speranza è stata raggiunta e concretata nell'umanità tramite l'assunzione al cielo della Discepola del Regno, che permane nei secoli la creatura umana giunta alla pienezza della sua vocazione escatologica, divenendo l'umanissimo ed evangelico prototipo della Chiesa dell'età futura. La posizione centrale che la Madre del Signore aveva occupato nella Chiesa degli apostoli e delle origini (cfr. Atti degli apostoli, 1, 12-14) si prolunga ora per l'eternità nel santuario del cielo, cioè nella comunione gloriosa dei santi. La Glorificata è anche là dove il Figlio Gesù continua a essere nella Chiesa pellegrina, pur in modo invisibile, il gran Sacerdote, l'unico Maestro, il solo Signore; segno per tutti che la liberazione del cosmo (cfr. Romani, 8, 19-22) è già in atto, perché "nel corpo glorioso di Maria la creazione materiale comincia ad avere parte nel corpo risuscitato di Cristo" (Documento di Puebla, 298).

L'Assunta, infine, è presenza benigna e sororale che fa crescere nelle comunità ecclesiali anche il senso della fraternità e della famiglia, in un contesto umano e storico-sociale spesso diviso e contrapposto, quindi assai povero di pace, di serenità, di verità e di comunione. La fede in Gesù Risorto e l'accoglienza del segno luminoso della Prima dei risorti ci dice che il cristianesimo è fede in un futuro non fuggevole e inconsistente; ma è ferma speranza nella promessa evangelica pregna della concretezza salvifica di Dio, che raggiunge chiunque la chiede e si impegna per essa nella vita (cfr. Giovanni, 14, 1-6). Questa dimensione antropologica, ecclesiale, martiriale, simbolica, salvifica ed escatologica del dogma del 1950 fa della Madre del Risorto, per usare la celebre espressione del Vaticano II, "un segno di sicura speranza e consolazione per il popolo di Dio che è in cammino" (Lumen gentium, 68) verso l'approdo sicuro della Trinità.

Ecco perché la destinazione gloriosa e definitiva di Maria, nostra madre e sorella, può essere anche la nostra.



(©L'Osservatore Romano 14 agosto 2011)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Solennità dell'Immacolata Concezione della B.V.M.







AVE MARIA!


DOGMA DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE
E' la solennità più alta e più preziosa di Colei che dei Santi è chiamata Regina.Non bisogna peraltro confonderla con l'altro dogma mariano sulla Verginità perpetua di Maria, prima, durante e dopo il concepimento di Gesù e il parto. La solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine era già Festa della Madonna sin dal XI secolo, poichè la storia della devozione per Maria Immacolata è infatti molto antica. L'immacolatezza è cosa delicata e teologicamente più ardua ed aiuta a meditare non solo l'ineffabile bellezza dell'anima della Vergine Maria, ma anche sulla bellezza di ogni anima santificata dalla grazia redentrice di Nostro Signore Gesù Cristo. Fu proclamata dogma di fede dal Beato Papa Pio IX nel 1854 per definire con solennità la dottrina mariologica per cui la Vergine è sine labe originali concepta, cioè concepita senza peccato originario perchè prescelta per essere degna di diventare la Madre di Gesù, la Madre di Dio. Dovendo Maria essere la Madre del Verbo Incarnato, Dio Padre persò a lei da tutta l'eternità ("dall'eternità fui stabilita, dalle origini, dai primordi della terra: non erano ancora gli abissi che io ero già concepita" Prov. 8, 22) e la volle creare pura, immacolata, in Lei incarnarsi in Gesù Cristo. (S. S. Benedetto XVI, Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 96)


Per continuare a leggere e a conoscere l'Immacolata in rapporto ai seguenti temi:

- I PADRI DELLA CHIESA D'ORIENTE

- PROBLEMATICA DOTTRINALE IN OCCIDENTE SULL'IMMACOLATEZZA.

- RISOLUZIONE DEL PROBLEMA : FRA' DUNS SCOTO

- STUDIO DELLE SACRE SCRITTURE SULL'IMMACOLATA CONCEZIONE

- SAN BERNARDINO DA SIENA, SAN LEONARDO DA PORTO MAURIZIO

- CONCILIO DI TRENTO

- SAN PIO V , CLEMENTE XI

- SANTA CATERINA LABOURE'

- BEATO PIO IX E LA PROCLAMAZIONE DEL DOGMA MARIANO DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE

- DOGMA PIO XII e la COLONNA DELL'IMMACOLATA in ROMA

- PIO XII e i FRATELLI SEPARATI ORTODOSSI

...si vada qui al link della parrocchia di San Siro in San Remo, dove è stata creata una pagina ricca di riferimenti e spiegazioni.




[SM=g1740733] 

 

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[SM=g1740717] Il dogma dell’Immacolata Concezione:
Storia, teologia e attualità
di padre Stefano De Fiores

(v. anche video della relazione tenuta nella Conferenza del 18 e 19 novembre 2004 )

Eleviamoci alla contemplazione del capolavoro di Dio Trinità: Maria immacolata, Madre di Gesù, da sempre amata dal Padre, plasmata e resa nuova creatura dallo Spirito Santo! Questa è la fede dell’oriente e dell’occidente cristiano, che si è fatta strada faticosamente lungo i secoli cristiani.

Siamo abituati al pensiero dell’Immacolata Concezione come verità di fede. Dobbiamo abituarci ad approfondirla in altre direzioni. Una poetessa la vede come il «bacio santo di Dio alla carne della Vergine Maria». Nel XXI congresso mariologico internazionale, svoltosi a Roma dal 4 al 7 dicembre 2004, un teologo del Marianum (p. Perrella) presentava la Concezione immacolata di Maria come «codice della santità originaria» che neutralizza il codice della fallibilità umana rappresentato dal peccato originale, o come «memoria del mondo che Dio voleva realizzare, non semplice verità razionale ma «evento salvifico» che esalta la trascendenza di Dio e la gratuità della sua grazia. Nel 1760 il sacerdote ascolano Francesco Antonio Marcucci, poi vescovo di Montalto, parlava dell’Immacolata come del «sacrosanto e illibato mistero».[1] Il teologo Sesboüé la vede non come eccezione o privilegio, ma come esigenza cristologica, cioè come «l’incidenza nella salvezza personale di Maria della sua vocazione di madre del Cristo» o «il riversarsi della santità unica del Figlio sulla santità ricevuta da sua madre».[2]

È una visione stupenda che ci fa dimenticare per qualche momento la nostra società con le sue brutture e la sua malvagità, con la sua corruzione e con i suoi circoli diabolici. Nella tensione tra il bene e il male, oggi particolarmente acutizzata, e dalla «considerazione del mondo come un grande poligono di lotta di tutti contro tutti» (Giovanni Paolo II) l’Immacolata ci insegna a non essere conniventi con nessuna forma di peccato e a deciderci per il bene.

A lei apparsa a Lourdes nella grotta di Massabielle come Immacolata Concezione, salga la poesia musicata egregiamente da Lorenzo Perosi:

Neve non tocca la tua veste appare,
cingi una zona del color del mare.
E a quei che a tanta altezza t’ha levata,
volgi gli occhi soavi, o Immacolata.
Più ti contemplo e dal caduco limo
più libero mi sento e mi sublimo.

Sono trascorsi 150 anni da quando Pio IX, papa dal 1846 al 1878 (32 di pontificato, il più lungo della storia) definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione (8 dicembre 1854) chiudendo una lunga e talvolta accesa controversia teologica:

Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina, la quale ritiene che la beatissima vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente ed in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, sia stata preservata immune da ogni macchia della colpa originale, è rivelata da Dio e perciò da credersi fermamente e costantemente da tutti i fedeli» (Bolla Ineffabilis Deus).[3]

Lasciamo che lo stesso beato Pio IX ci racconti, come ha fatto nel 1857 alle Suore del Buon Pastore di Imola, quanto sperimentò al momento della definizione, cioè uno stato chiaramente mistico di intima comunicazione con il mistero primordiale della Madre del Signore:

Quando incominciai a pubblicare il decreto dogmatico, sentivo la mia voce impotente a farsi udire alla immensa moltitudine che si pigiava nella Basilica Vaticana; ma quando giunsi alla formula della definizione, Iddio dette al suo Vicario tal forza e tanta soprannaturale vigoria che ne risuonò tutta la Basilica. Ed io fui tanto impressionato da tal soccorso divino che fui costretto a sospendere un istante la parola per dare libero sfogo alle mie lagrime. Inoltre, mentre Dio proclamava il dogma per bocca del suo Vicario, Dio stesso dette al mio spirito un conoscimento sì chiaro e sì largo della incomparabile purezza della santissima Vergine, che inabissato nella profondità di questa conoscenza, cui nessun linguaggio potrebbe descrivere, l’anima mia restò inondata di delizie inenarrabili, di delizie che non sono terrene, né potrebbero provarsi che in cielo… [4]

1. Prospettiva ecclesiologica: Immacolata Concezione evento ecclesiale

Pio IX chiudeva così un lungo processo in cui sono confluite tre forze portanti, senza le quali non si sarebbe giunti a quella definizione: il popolo cristiano con il suo sensus fidei, i teologi con la soluzione dei nodi dottrinali e il magistero della Chiesa con il suo ruolo moderatore che si pronuncia in forma definitiva nel 1854.[5]

Proprio questi tre fattori rendono il dogma dell’Immacolata Concezione un evento ecclesiale o un fatto di Chiesa (Factum Ecclesiae).

1.1. Influsso prioritario del popolo

Un dato chiaro si evince dalla storia del dogma dell’Immacolata concezione: la precedenza del senso cristiano popolare [6], intuitivamente a favore del privilegio mariano. Non è certo facile documentare la fede popolare in quanto essa non si è espressa con scritti, ma con fatti, attività e iniziative di ordine cultuale o artistico. Spesso dovremo accontentarci della testimonianza indiretta offertaci da teologi siano essi favorevoli o critici nei riguardi della fede popolare.

La prima intuizione circa l’origine straordinaria e santa di Maria si trova nel Protovangelo di Giacomo o Natività di Maria, sorto nel II secolo in ambiente popolare, che racconta in un genere letterario certamente fantasioso, la concezione di Maria da parte di Anna mentre Giacchino è ancora nel deserto, cioè senza incontro sessuale e quindi senza contaminazione legale.[7] Pur non specificando l’assenza di peccato originale in Maria, rappresenta «una prima presa di coscienza intuitiva e mitica della santità perfetta e originale di Maria nella sua stessa concezione».[8]

Poi si radica nei fedeli la convinzione sulla santità di Maria, poiché i padri abbondano nell’esaltare la Tuttasanta con «epiteti ornanti» confermando l’alta idea che il popolo si era fatta di lei. Ma bisogna aspettare il secolo XI perché alcuni teologi testimonino il ruolo trainante del popolo cristiano nella maturazione della teologia dell’Immacolata concezione. Si evidenzia un crescendo nel comportamento del popolo, che in un primo momento celebra senza problemi la festa della Concezione, poi si scandalizza allorché viene negato il privilegio mariano, infine reagisce anche violentemente contro gli assertori del peccato originale in Maria.

Il benedettino Eadmero († ca. 1134), discepolo di s. Anselmo, nel suo Trattato sulla concezione della b. Maria vergine oppone «la pura semplicità e l’umile devozione» dei poveri, i quali celebrano la festa della Concezione della Madre di Dio, alla «scienza superiore e disquisizione valente» dei ricchi ecclesiastici o secolari, che aboliscono la festa dichiarandola priva di fondamento».[9] Eadmero opta senz’altro per i semplici, perché a loro e non ai superbi Dio si comunica, e «mosso dall’affetto della pietà e della sincera devozione per la Madre di Dio» si pronuncia per la concezione di Maria libera da ogni peccato.

Nel 1435, durante il concilio di Basilea, il canonico Giovanni di Romiroy si appella alla devozione popolare come al primo motivo che deve indurre i padri conciliari a porre fine alla controversia circa l’Immacolata concezione. Si toglierebbe così l’occasione di scandalizzare il popolo cristiano, che viene offeso quando sente affermare che Maria è stata macchiata dal peccato originale.[10]

Nel corso dei secoli la fede popolare si conferma a favore dell’Immacolata concezione, nonostante l’opposizione di una parte della teologia dotta. Nel Quattrocento la controversia sull’Immacolata concezione si acuisce soprattutto in occasione di dispute organizzate in cui intervengono i fautori delle due posizioni pro o contro. I fedeli che assistono reagiscono in genere a favore del privilegio mariano. Sono note la disputa di Imola (1474-75) da cui uscì vittorioso il domenicano Vincenzo Bandello, quella di Roma (1477) indetta da Sisto IV tra Bandello e il ministro generale dei minori Francesco Sanson che riportò la vittoria, quelle di Brescia, Ferrara, Firenze..., tutte della seconda metà del secolo.[11] Tali dispute, e altrettanto si dica della predicazione, sono cause di scandalo o di violenze da parte dei fedeli, che per esempio rumoreggiano e vogliono lapidare il predicatore Battista da Levanto che si rifiuta di asserire apertamente il privilegio, o costringono alla prova del fuoco...[12] Ma qui il senso dei fedeli non può essere preso in considerazione perché appare troppo diviso per l’una o l’altra sentenza.

Progressivamente la posizione immacolista guadagna spazi più vasti. Nel Cinquecento il domenicano Melchior Cano rivendica ai teologi saggi e competenti (e non al volgo) la facoltà di discernere la verità o falsità delle proposizioni in materia di fede. Egli infatti deve riconoscere che se questo compito appartenesse al popolo la questione circa l’Immacolata concezione sarebbe risolta, in quanto appena il volgo sente affermare che la b. Vergine ha contratto il peccato originale, subito esso si sente «turbato, percosso, torturato».[13]

Anzi anche in Spagna si rivela impossibile sostenere dal pulpito tale opinione, poiché il popolo reagisce contro i predicatori con mormorii, clamore e perfino violenze. Se Dionigi Certosino (†1471) pronuncia la parola «horremus» («inorridiamo») dinanzi all’attribuzione del peccato originale a Maria,[14] G. Vasquez (†1604) riconosce che la credenza nell’Immacolata concezione è divenuta un fatto universale e profondamente radicato: «Essa è talmente cresciuta e inveterata con i secoli, da far sì che nessun uomo possa esserne staccato o smosso».[15]

Questa fede popolare si esprime nel secolo XVII con l’istituzione di varie confraternite sotto il titolo dell’Immacolata concezione, con preghiere come l’aggiunta in qualche litania dell’invocazione «sancta Virgo praeservata» (Parigi 1586), con la dedica di cappelle o altari all’Immacolata, con numerose espressioni artistiche, quali 25 tele dedicate alla Purísima dal Murillo (†1685). Qui andrebbero analizzate i vari tipi rappresentativi dell’Immacolata [16] in quanto espressione della fede del popolo interpretata dagli artisti e legittimata da esso con l’accettazione dei dipinti nelle chiese.

Un movimento promozionale senza analogie si determina nel Seicento a partire dalle università: quello includente il giuramento di difendere l’Immacolata concezione fino all’effusione del sangue. Ad emettere nel 1617 il votum sanguinis è l’università di Granada, preceduta da quella di Siviglia e seguita dalle altre spagnole e da alcune italiane. Tale gesto si diffuse presto tra gli ordini religiosi, i santi, le confraternite e i fedeli.

Esso provocò pure una lunga controversia,[17] iniziata con l’opposizione di L. A. Muratori (†1750) al cosiddetto «voto sanguinario». In varie opere pseudonime il celebre erudito ha attaccato questo voto bollandolo imprudente, gravemente colpevole e ispirato da pietà non illuminata. Infatti non è lecito esporre la propria vita per un’opinione qual è appunto l’Immacolata concezione, non dichiarata di fede dal magistero. La tesi muratoriana ha suscitato una levata di scudi in varie nazioni dell’Europa; la più efficace apologia resta quella di s. Alfonso de Liguori (†1787). Questi ha contestato che affermare l’Immacolata concezione sia opinabile, in quanto esistono due motivi che garantiscono come certa questa dottrina: il consenso dei fedeli e la celebrazione universale della festa dell’Immacolata. Cade pertanto l’argomento del Muratori.[18]

Soprattutto contribuì a radicare nel popolo la credenza nell’Immacolata concezione la festa liturgica introdotta dall’oriente in Italia meridionale nel IX secolo (a Napoli un calendario liturgico su marmo porta al 9 dicembre la Conceptio sanctae Mariae Virginis) e in Inghilterra nell’XI secolo: tale festa si diffonde poi dappertutto e nel 1708 Clemente XI la rende di precetto per la Chiesa universale.



[SM=g1740771] continua............

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1.2. L’intervento decisivo del magistero della Chiesa

L’impressione di trovarsi dinanzi alla tela di Penelope quando si osserva l’opera del magistero pontificio circa l’Immacolata concezione - come affermava nel 1907 il modernista Turmel - si rivela inconsistente alla luce della storia. Uno studio documentato di R. Laurentin [19] dimostra la coerenza dei papi, di cui nessuno ha espresso l’opinione maculista nell’esercizio del magistero, e la loro attività moderatrice, promotrice di maturazione, chiarificatrice e decisionale.

Tra i papi che hanno svolto tale attività bisogna annoverare innanzitutto Sisto IV (†1484), che iniziò la serie degli interventi pontifici a favore dell’Immacolata concezione. Sul piano dogmatico egli non prese nessuna decisione, ma con le bolle Cum praeexcelsa (1477) e Grave nimis (1482) proibì ai macolisti e immacolisti di accusarsi vicendevolmente di eresia. Sul piano liturgico invece Sisto IV adottò ufficialmente per Roma la festa della Concezione e ne approvò il nuovo formulario, composto da Leonardo di Nogarole e Bernardino di Busto, dove veniva espresso con chiarezza il privilegio mariano.

Dopo il concilio di Basilea (1439), che aveva definito l’Immacolata concezione ma senza l’approvazione di Roma, [20] ulteriori passi in questo senso sono stati compiuti dal concilio di Trento, che senza giungere alla definizione non ha però incluso Maria nel peccato originale (1546), e da Alessandro VII con la bolla Sollicitudo (1661) dove si dichiara a favore dell’Immacolata concezione e vieta di attaccarla sotto qualunque forma.[21] Anche Clemente XI contribuisce notevolmente a rafforzare la fede nell’Immacolata concezione quando determina di celebrarla come festa di precetto per la Chiesa universale (1708).

Il papa conventuale Clemente XIV (Lorenzo Ganganelli), nel suo breve pontificato (1769-1774) non procede alla definizione dogmatica, che da cardinale dichiarava ben avviata, ma concede alla Spagna (e ad altre istituzioni) di celebrare un ufficio proprio con il titolo di Conceptio Virginis Immaculatae.[22] Egli giunge a sopprimere a Faenza la confraternita della Concezione per eliminare le liti in essa insorgenti.[23]

Finalmente giunge Pio IX, che mentre è ospitato a Gaeta (25 novembre 1848 - 4 settembre 1849) dopo essere fuggito da Roma a motivo della rivoluzione romana. Il 6 dicembre 1848 egli istituisce una Consulta di 30 teologi e una Congregazione antipreparatoria di 8 cardinali e 8 consultori per chiarire i termini della questione dell’Immacolata, verificare la possibilità di una definizione dogmatica e suggerire come procedere alla medesima.[24] Non tutti furono d’accordo sull’opportunità della definizione. Anche A. Rosmini, pur ritenendo «moralmente sicura» la credenza dell’Immacolata concezione, sconsiglia di definirla e propone al papa di interrogare tutti i vescovi mediante un’enciclica. È quanto fa Pio IX con l’enciclica Ubi primum, firmata a Gaeta il 2 febbraio1849. Egli realizza così come un «concilio scritto»,[25] da cui risulta una convergenza quasi plebiscitaria a favore della definizione dogmatica (546 su 603 vescovi),[26] che incoraggia Pio IX a far preparare la bolla di definizione. Questa subisce nove redazioni e in questo cammino si sposta l’accento da una dimostrazione storico-teologica alla fede attuale e alla tradizione viva della Chiesa docente e discente,[27] fino a che Pio IX giunge alla solenne definizione del dogma dell’Immacolata Concezione l’8 dicembre 1854.

Questa pietà mariana immacolista svolse un ruolo efficace nella storia del dogma vincendo le difficoltà teologiche e contribuendo a determinare quel «factum ecclesiae», cioè la realtà viva della prassi ecclesiale, cui si richiamerà Pio IX come al primo motivo della definizione. Infatti nella redazione della Bolla egli fa spostare l’accento da una dimostrazione storico-teologica alla fede attuale e alla tradizione viva della Chiesa docente e discente. Di fronte all’osservazione di mons. Giovanni Donney, vescovo di Montauban, che che rileva la debolezza probatoria dei passi biblici utilizzati dalla bolla, Pio Ix la sera del 4.12.l854, ordinò al Pacifici [segretario della consulta teologica] che stendesse la bolla nel modo sin dal principio ideato, che avesse prima posto il fatto della Chiesa, e quindi quanto si diceva dei padri, ossia che la seconda parte del progetto di bolla avesse formato la prima, e quella ch’era prima avesse formato la seconda[28]

Pio IX definendo l’Immacolata concezione ritiene di «soddisfare ai piissimi desideri del mondo cattolico», che recepisce con gioia la definizione dogmatica. Giustamente si ritiene che

il sensus fidelium, per il fatto di essere un elemento costitutivo del sensus Ecclesiae, viene ad assumere un ruolo di fondamentale importanza nella definizione dell’Immacolata concezione.[29]

A conclusione di questo primo punto, dobbiamo prendere atto che l’Immacolata Concezione non trova il suo luogo originario nella teologia, in quanto la sua intuizione o possesso vitale è dovuta al popolo cristiano, che come per istinto ha compreso come qualsiasi peccato fosse inconciliabile con la santità della Madre di Dio. Quindi dobbiamo imparare a stimare il popolo di Dio, fino ad affermare con s. Paolino: «Pendiamo dalla bocca di tutti i fedeli, perché in ognuno di essi soffia lo Spirito di Dio».[30] Dobbiamo prendere atto che esso indovina per istinto ciò che s’inserisce nell’orizzonte del cristianesimo, il quale non è anzitutto una dottrina ma una vita animata dallo Spirito in forza del battesimo. Si può parlare di un magistero popolare secondo la parola di Giovanni:

Ora voi avete l’unzione ricevuta dallo Spirito e tutti avete la scienza […] e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri, ma la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce (1Gv 2,20.27).

Il processo verso la definizione dogmatica ci insegna che chi sta con la Chiesa, popolo di Dio, sta con la verità, mentre chi si apparta in uno splendido isolamento teologico rischia di sgarrare e di non capire il movimento della storia. Non solo, ma la definizione dell’Immacolata Concezione attira l’attenzione sulla natura della Chiesa, come comunità viva, guidata dallo Spirito di verità, che sviluppa la rivelazione biblica realizzando una crescita nella conoscenza del mistero. Il cristianesimo è vita, dono, presenza, esperienza, non un relitto del passato né una società inerte tutta preoccupata di conservare. Al contrario la Chiesa di Cristo si mostra tutta protesa a fruttificare.

Ma dobbiamo considerare un altro elemento trainante: il ruolo svolto dai teologi, che risolvono dei nodi dottrinali senza cui la causa dell’Immacolata Concezione si sarebbe definitivamente arenata.
2. Prospettiva cristologica: l’Immacolata Concezione un inno alla potenza salvifica dell’unico mediatore

La questione dell’Immacolata Concezione era nata male, in contesto pelagiano come caso di autosalvezza. La teologia ha svolto un ruolo molteplice per l’enucleazione della verità mariana sia mediante la formulazione chiara della fede popolare, sia armonizzandola con l’insieme dei dati rivelati, sia sciogliendo i nodi di ordine teologico e culturale, sia infine fondandola su argomenti plausibili.

Questa dottrina trova la sua espressione nella festa della Concezione di Maria, sorta in oriente tra il VII e l’VIII secolo passata in Italia nel IX secolo aprendo la lunga discussione sull’Immacolata dopo la breve parentesi della polemica pelagiana.

2.1. L’intervento di Agostino

In occidente l’esplicitazione della dottrina sull’Immacolata, partendo dalla santità di lei e dall’onore del Signore, è dovuta a Pelagio († ca. 422) e più chiaramente al suo seguace Giuliano di Eclano (†454). Si tratta però di una conclusione teologica unilaterale o almeno non armonizzata con altri dati di fede. Il merito di avere applicato al caso di Maria l’analogia fidei va riconosciuto a s. Agostino, il quale mentre ritiene che Maria debba essere tenuta lontana da ogni questione di peccato, riconduce questa sua santità nell’alveo della condizione umana inficiata dalla colpa originale e bisognosa della redenzione di Cristo. Maria sarebbe sottoposta al peccato d’origine solo per esserne subito liberata con la grazia della rigenerazione.[32]

Nella polemica pelagiana tale perfezione e dignità di Maria diviene un presupposto su cui puntano Pelagio († ca. 422) e Giuliano di Eclano († 454) e che lo stesso Agostino (†430) riferisce e condivide: cioè che la Madre del Signore «va riconosciuta senza peccato dal nostro senso religioso». Di fronte ai due assertori dell’Immacolata concezione, che non la proponevano però in un contesto di dipendenza salvifica da Cristo, Agostino protesta:

Escludiamo dunque la santa Vergine Maria, nei riguardi della quale, per l’onore del Signore, non voglio si faccia questione alcuna di peccato.[33]

D’altra parte, il suo traducianesimo e il giusto principio della necessità della redenzione gli impediscono di ammettere per Maria un’eccezione. Comunque egli respinge l’accusa di assoggettare Maria al diavolo - ciò che ripugnava alla coscienza cristiana - ricorrendo alla grazia della rigenerazione in un’espressione famosa, ma non priva di ambiguità:

Quanto a Maria, non la consegniamo affatto un potere al diavolo in conseguenza della sua nascita; tutt’altro, perché sosteniamo che questa conseguenza viene cancellata dalla grazia della rinascita.[34]

Nella posizione agostiniana negativa circa l’Immacolata concezione per motivi teologici e tuttavia attenta alla pietà popolare si intravede il contrasto tra dottrina dei colti e intuito del popolo, contrasto che si risolverà con la vittoria di quest’ultimo.

Indubbiamente questo riferimento alla redenzione complica e ritarda lo sviluppo della verità sull’Immacolata concezione, già chiaramente emersa nel discorso pelagiano, ma nello stesso tempo la inserisce nel contesto dell’umanità e nell’orbita della salvezza. In tal modo l’Immacolata concezione cessa di presentarsi come frutto della natura lasciata a se stessa - come pretendevano Pelagio e Giuliano - per misurarsi con l’opera salvifica dell’unico mediatore. Ormai la verità mariana si affermerà a patto di costituire non un caso di autosalvezza, ma un chiaro esempio della grazia redentiva di Cristo salvatore. Si può convenire con G. Söll che, con la sua posizione, Agostino

propose ai suoi successori, per così dire, un concorso a premio, che doveva impegnare gli spiriti sia meditativi che battaglieri per secoli, finché il magistero non credette di poter risolvere la questione.[35]
2.2. L’argomento di Scoto

L’idea dell’Immacolata concezione trovò in occidente un contesto irto di difficoltà. Essa cozzava sia con l’universalità della redenzione sia con le conoscenze d’ordine biologico che distinguevano la concezione attiva e passiva (a sua volta completa o incompleta), sia infine con la convinzione che il peccato originale si trasmettesse tramite l’atto generativo. Questi presupposti hanno condotto i grandi teologi del XIII secolo, quali Alessandro di Hales (†1245), Alberto Magno (†1280), Bonaventura (†1274),[36] Tommaso d’Aquino (†1274) e prima di loro Anselmo di Aosta (†1109) e Bernardo di Chiaravalle (†1153),[37] ad affermare che Maria venne purificata dal peccato originale in cui era stata concepita. Solo mediante l’attiva riflessione di alcuni teologi si è spianata la strada verso l’affermazione dell’Immacolata concezione della Vergine quale effetto dell’azione salvifica di Cristo.

Il nodo teologico viene sciolto dal concetto di redenzione preservativa, avanzata da alcuni teologi del XIII secolo (secondo la testimonianza di Bonaventura e di Olivi), ad assunta a fulcro di argomentazione dal francescano Giovanni Duns Scoto (†1308).

Si prolunga nel nostro millennio la polemica tra chi vuole sfatare il mito di Scoto e coloro che fanno di lui il dottore e il paladino dell’Immacolata Concezione. In occasione del centenario della definizione del dogma, Roschini con evidente minimismo teologico e storico, colloca Scoto in una zona neutra affermando che

né avversario, né dottore dell’Immacolata, Scoto è semplicemente uno dei tanti dottori del XIV secolo i quali […] non osarono schierarsi in favore della sentenza immacolatista e si limitarono ad ammetterne una qualche probabilità.[38]

Con più attenzione alla situazione teologica e culturale, G. Söll fa un discorso equilibrato in cui riconosce che il maestro francescano era convinto dell’esenzione di Maria dal peccato originale, altrimenti «tutto l’impiego della sua acutezza non si spiegherebbe», ma «ben al corrente delle idee dei grandi scolastici, Scoto presentò le sue convinzioni molto prudentemente già in Oxford e più ancora in Parigi e in parte come ipotesi». Comunque «il merito di Scoto è indiscutibile», in particolare per aver legato l’Immacolata alla soteriologia.[39]

Capofila degli studiosi francescani, Balić sottolinea l’importanza dell’intervento di Scoto con varie motivazioni: ha elaborato una teologia dell’Immacolata prima inesistente, ha capovolto la principale difficoltà avanzata dai grandi scolastici contro la pia sentenza mediante l’argomento del perfettisimo mediatore e della redenzione preventiva, ha presentato il suo pensiero con la clausola videtur probabile non perché non aderiva all’esenzione di Maria dal peccato originale ma a motivo della sentenza comune, infine ha esercitato un chiaro influsso sui successori che si rifaranno ai suoi argomenti.[40] Sulla sua scia si pongono Apollonio e Cecchin, per i quali Scoto «non nutre dubbi» circa l’Immacolata e quindi «è da chiarire una volta per tutte che Scoto nel suo insegnamento ad Oxford e a Parigi sostiene la sua opinione in favore dell’Immacolata Concezione in modo chiaro e senza dubbi».[41]

Marielle Lamy pubblica nel 2000 un grosso volume sull’Immacolata nel medioevo dove studia con vasta informazione, metodo scientifico e perspicacia la posizione di Scoto. Innanzitutto riconosce a Scoto l’originalità, rispetto al suo maestro o discepolo Gugliemo de Ware, circa l’argomento perfettissimo mediatore con cui egli è consciente di operare «una vera rivoluzione intellettuale». In secondo luogo, secondo Lamy, Scoto stabilisce la possibilità e anche la probabilità della preservazione di Maria dal peccato originale, ma non bisogna forzare queste espressioni nel senso di una certezza perché restano possibili altre due diverse soluzioni e tutto rimane condizionato all’«autorità della Scrittura e della Chiesa». Infine si apportano altri due testi in cui Scoto farebbe «una professione esplicita d’immacolismo» e che in realtà precisano il suo pensiero «nel senso favorevole al privilegio mariano», ma non si può attribuire loro lo stesso credito dell’Ordinatio. In conclusione Lamy ritiene che «le ambiguità e le esitazioni inscritte nei testi […] non permettono di farne [di Scoto] quell’eroe dell’Immacolata Concezione dipinto dalla leggenda», ma occorre riconoscere che Scoto, insieme a Ware, «seppero articolare la giustificazione del privilegio mariano o della sua possibilità con le categorie del discorso universitario» e quindi esercitarono un influsso sui contemporanei.[42]

A nostro parere non è esatto scorgere in Scoto «ambiguità ed esitazioni» (come fa Lamy) e neppure la proposta dell’Immacolata Concezione come verità inoppugnabile (come amerebbe affermare la corrente francescana). Scoto è convinto della possibilità e della probabilità di questa dottrina, anzi in due testi giunge a ritenerla vera,[43] ma non la considera una verità che giunga ad escludere le teorie opposte come errore o peggio eresie. Tali teorie erano da Scoto ritenute possibili, ma verosimilmente riconsiderandole dopo il suo progresso nella questione avrebbe dato loro meno credito.

Ciononostante, Scoto rimane il teologo dell’Immacolata, non solo perché ha sganciato la questione teologica dai condizionamenti culturali circa la generazione ponendo la persona come soggetto di colpa o di santità, ma anche ha elaborato definitivamente il concetto di redenzione preservativa. Per Scoto l’Immacolata concezione non è da interpretare come un’eccezione alla redenzione di Cristo (come facevano comunemente i Maestri della Scolastica: alberto, Bonaventura, Tommaso…), ma un caso di perfetta e più efficace azione salvifica dell’unico mediatore. In quanto «perfettissimo mediatore» - ragiona Scoto -

Cristo esercitò il più perfetto grado possibile di mediazione relativamente a una persona per la quale era mediatore. Ora per nessuna persona esercitò un grado più eccellente che per Maria... Ma ciò non sarebbe avvenuto se non avesse meritato di preservarla dal peccato originale.[44]


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2.3. Posizione dei domenicani

In genere i teologi domenicani [45] sono tradizionalmente fedeli alla Summa di s. Tommaso, e quindi contrari all’Immacolata Concezione. Meritano una particolare menzione almeno tre di essi.

Innanzitutto s. Tommaso d’Aquino (†1274), la cui posizione sull’argomento registra tre fasi. In un passo della sua opera giovanile Commentarium in quatuor libros Sententiarum (1252-55) si mostra favorevole all’Immacolata concezione: «et talis fuit puritas beatae Virginis, quae a peccato originali et actuali immunis fuit».[46] Nella Summa theologiae (1267-73) è chiaramente macolista.[47] infine nell’opuscolo In Salutationem angelicam, che riferisce la predicazione quaresimale da lui tenuta a Napoli nel 1273, riprenderebbe la posizione iniziale pro Immaculata.[48] Ma sia in Sententias che in questo opuscolo le affermazioni non sono univoche, in quanto coesistono con asserzioni contrarie.

Da Tommaso de Vio (1468-1534), detto appunto il Caietano o Gaetano, vescovo di Gaeta dal 1519, è partito l’attacco più forte sferrato contro la sentenza dell’Immacolata Concezione e la sua definibilità. Nel 1515, su richiesta di Leone X, il Caietano, maestro generale dei domenicani ed eminente teologo del suo tempo, pubblica a Roma il Tractatus de conceptione Beatae Mariae Virginis.[49] In esso assumerebbe una «posizione molto moderata»[50] circa la dibattuta questione: ritiene valida la posizione immacolista, a condizione che non si neghi il debito del peccato, ma reputa probabile anche la posizione contraria. In realtà il Caietano scardina la pia sentenza descrivendola come minoritaria e recente, mentre adduce la testimonianza di 15 santi da Ambrogio a Caterina da Siena ed a Vincenzo Ferreri contrari all’Immacolata Concezione.[51] Egli lascia al papa la decisione, ma la sua trattazione ha avuto l’effetto di paralizzare ogni intervento del papa.

Tommaso Campanella (†1639), nato a Stilo nel 1560, scrive nelle carceri di Napoli nel 1624-25 l’Apologeticus in controversia de Conceptione beatae Virginis adversus insanos vulgi rumores.[52] Il testo è pubblicato nel 1666 dal francescano Pedro de Alva y Astorga, ma mutilo dei primi 6 capitoli dedicati all’ordine domenicano «ottima parte di tutto il genere umano». Campanella ricorda che s. Tommaso è favorevole all’Immacolata concezione nel 1° libro Sententiarum, che è un’opera ultimata e quindi più autorevole, mentre la Summa non è stata rivista dal santo a motivo della prematura morte. Comunque se s. Tommaso conoscesse la celebrazione universale della festa della Concezione, i decreti del concilio di Trento e di Sisto IV, nonché le Rivelazioni di s. Brigida approvate dalla Chiesa, ritratterebbe quanto ha scritto nella Summa circa la purificazione di Maria dal peccato originale (cap. 14).

Campanella risolve la difficoltà di s. Tommaso che «la concezione di Maria senza peccato derogherebbe alla dignità di Cristo» affermando lapidariamente che Cristo «è ugualmente redentore di lei e di noi: di lei per preservazione, di noi per liberazione» (cap. 15). Campanella attribuisce molta importanza alle Rivelazioni di s. Brigida sia perché «un testimone vale più di tutti i dubbiosi» (cap. 16), sia perché risolve un problema insolvibile per s. Tommaso, che sulla sia di s. Agostino riteneva che l’atto coniugale inficiato dalla concupiscenza non era senza peccato, quindi non poteva generare una creatura senza colpa. Orbene Maria rivela a s. Brigida che i suoi genitori non hanno agito per concupiscenza, ma solo per divina carità e quindi senza peccato (cap.18). Campanella termina con un’arringa ai suoi confratelli domenicani «sale della terra e luce del mondo» perché si uniscano a s. Tommaso e al popolo nel difendere l’Immacolata concezione di Maria (cap. 19).

Possiamo trarre un’altra conclusione: l’Immacolata Concezione, mediante il ruolo illuminante svolto dai teologi, assume il significato di un inno incomparabile alla potenza salvifica di Cristo.

Inoltre, il riferimento all’Immacolata ha risvolti sociali, poiché mostra che la grazia è più fondamentale di qualsiasi male, che non è legato alle strutture sociali, ma è radicato nel cuore umano. Maria avverte che nella società è meglio prevenire che curare, come ha sperimentato e insegnato s. Giovanni Bosco nel suo famoso trattatello sul Sistema preventivo (1877), probabilmente ispirandosi all’Immacolata. A nessuno sfugge l’analogia tra l’azione di Dio, che preserva l’Immacolata dal peccato originale, e ciò che compie l’educatore nei riguardi dei giovani mediante un’assidua presenza. Nel mistero dell’immacolata concezione di Maria, in cui «è racchiusa la più alta realizzazione del Sistema preventivo di Dio»,[53] Gesù si mostra perfettissimo mediatore, come ha mostrato Duns Scoto.[54] Similmente nel Sistema preventivo l’educatore raggiunge il massimo traguardo della sua azione, come prova don Bosco con i fatti. La grazia preveniente che si concretizzò nell’Immacolata Concezione di Maria, agisce anche nel nostro battesimo e nella nostra vita, manifestando il tenero amore di Dio unitrino per ogni battezzato.

3. Prospettiva antropologica: Immacolata Concezione evento di grazia per l’umanità in cammino

Nel cantiere della mariologia post-conciliare non manca l’attenzione al dogma dell’Immacolata Concezione, che viene ripensato secondo gli orientamenti teologici nel campo dell’antropologia e della protologia che tocca il peccato originale e più ampiamente il piano della salvezza.

3.1. L’Immacolata mistero di elezione divina e di grazia

Una delle tendenze più marcate in teologia mariana è quella di vedere l’Immacolata non come semplice esenzione dal peccato originale (dogma definito da Pio IX per chiudere una disputa secolare), ma in funzione positiva come pienezza di grazia e di Spirito santo.

Già K. Rahner nel libro Maria Madre del Signore, K. Rahner presenta l’Immacolata Concezione in luce positiva, spiegandone il significato in questi termini:

Maria, in vista dei meriti di Gesù Cristo,... fu favorita da Dio dal primo istante della sua esistenza, con il dono della grazia santificante e, conseguentemente, non ha conosciuto quello stato che noi chiamiamo peccato originale....[55]

La sostanza del dogma definito nel 1854 è questa:

Dall’inizio della sua esistenza Maria fu avvolta dall’amore redentivo e santificante di Dio... Maria possedette la grazia fin dall’inizio.[56]

Proprio in questa linea si è posto il concilio vaticano II, accentuando il rapporto dell’Immacolata con lo Spirito santo secondo l’insegnamento di padri e teologi orientali, ad ha presentato Maria immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa nuova creatura, adornata fin dal primo istante della sua concezione dagli splendori di una santità del tutto singolare» (LG 56).

Due teologi spagnoli, Domiciano Fernández e Alejandro de Villalmonte insistono su due principi:

«il nostro punto di partenza non può essere Adamo e il peccato, ma Cristo», secondo cui la teologia del peccato deve essere vista attraverso la teologia della redenzione;

«non si deve considerare la redenzione solo nel suo aspetto negativo, come liberazione dal peccato e riscatto. Si deve insistere anche sull’aspetto positivo, sui beni salvifici che essa apporta: grazia, santità, filiazione divina, vita nuova...».[57]

Applicando questi presupposti al dogma dell’Immacolata Concezione, Fernández afferma che

dal punto di vista teologico, più che essere esenti dalla macchia originale, è significativa l’immunità da ogni peccato attuale, la disponibilità mai negata al progetto e alla volontà di Dio... Il mistero di Maria dobbiamo vederlo nella sua vera dimensione teologica come un mistero di elezione divina, di santità, di pienezza di grazia e di fedeltà al piano di Dio.[58]

La formulazione negativa della Bolla Ineffabilis Deus dovrebbe pertanto cedere il posto a quella positiva. Infatti, il modo negativo è sempre un’espressione imperfetta: che cosa sarebbe una santità esente da peccato, qualora non fosse accompagnata dalla grazia ed elezione divina, nonché da una vita di impegno fedele verso Dio e verso gli uomini? Un’ombra può far risaltare la luce, ma ci dice poco. La liturgia dell’Immacolata, anche quella rinnovata, pur menzionando l’esenzione dal peccato originale, celebra principalmente la sua pienezza di grazia e la sua fedeltà alla volontà di Dio.

Anzi i due autori calcano talmente la mano sull’aspetto positivo dell’Immacolata Concezione fino a negare la sua «relazione intrinseca» con il peccato originale, e ad esigere che la pienezza di grazia di Maria sia liberata dalla «ganga maculista».[59]

Il senso evidente della definizione dell’Immacolata Concezione impedisce di accettare le ultime conclusioni di Fernández e di Villalmonte che propongono in Maria una «nuova creazione» senza nessun rapporto con la storia della salvezza e la condizione peccaminosa dell’umanità che essa incontra. In questo senso si esprime G. Colzani nei confronti del problema del nesso tra Immacolata Concezione e peccato originale:

…alcuni autori sono giunti alla conclusione che occorra separare totalmente la verità dell’Immacolata da quella del peccato originale: Maria, cioè, rimarrebbe l’Immacolata indipendentemente dalla tesi del peccato originale e qualunque cosa avvenga di questa verità. Non si può condividere l’atteggiamento rinunciatario circa il peccato originale che si intravvede sotto queste prese di posizione: un teologo ha il dovere di interpretare un dato di fede, non di accantonarlo. Mi sembra, inoltre, difficile condividere una simile posizione anche correttamente intesa: pur sottolineando con esattezza il significato, alla fin fine positivo del dogma, l’esclusione del riferimento al peccato di Adamo lascia l’impressione di un salto della storia della salvezza così come si è sviluppata. Questo salto è pericoloso vuoi perché riapre una superata prospettiva speculativa, anche se il riferimento degli autori alla storia di Gesù li salvaguarda dalle conclusioni peggiori, vuoi perché deve dire meglio come spiega ciò che sta al fondo della tesi del peccato originale, cioè il rapporto di tutta l’umanità con il mistero di Cristo redentore. A parer mio la posizione di Fernàndez non va oltre la tesi scotista sul motivo dell’incarnazione: in questo senso richiama con esattezza che il nesso tra l’Immacolata e il peccato originale non è di necessità, ma si dà in questa storia. Là dove pretende di andate oltre dovrebbe considerare meglio il rapporto con la storia della salvezza e non soltanto negarlo.[60]

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3.2. L’Immacolata simbolo della nuova umanità

L’aspetto antropologico dell’Immacolata è studiato separatamente dai fratelli Boff.

Per Leonardo Boff l’Immacolata Concezione è esenzione da quella radice che genera «le dimensione disumane all’interno della vita umana», in nessun momento della sua vita Maria fu sottoposta alla alienazione fondamentale che stigmatizza la nostra esistenza. Ella realizza l’uomo che Dio ha sempre voluto, eretto verso il cielo (noi siamo curvati dal peccato), aperto verso gli altri (noi ci chiudiamo dentro noi stessi) e fraterno con il mondo (noi possediamo la terra in modo egoistico). Ella appartiene al disegno primogienio di Dio, logicamente anteriore alla caduta dell’umanità.

La via del simbolismo conduce a scoprire nell’Immacolata Concezione molto più della preservazione dal peccato originale; questo deve considerarsi «il supporto reale di tutta una costellazione di simboli» evocanti il mito del paradiso perduto e ricuperato:

Maria è la pianta non calpestata dal serpente, il paradiso realizzato nel tempo storico, la primavera i cui fiori e frutti non conosceranno mai il pericolo della contaminazione... In Maria spunta un germe di vita eterna e di una nuova umanità. In lei è simbolicamente racchiusa tutta la creazione purificata e trasparente di Dio...[61]

Realizzazione della nuova umanità, l’Immacolata Concezione è però pienamente inserita nella storia:

... non dobbiamo immaginare che la sua vita terrena sia stata un mare di rose. Ella partecipa al carattere opaco dell’esistenza umana. Dire che era Immacolata non suppone affermare che non soffriva, né si angustiava, né doveva credere e sperare. È figlia della terra, sebbene fosse benedetta dal cielo. Aveva le passioni umane...[62]

Poiché la concupiscenza, secondo l’insegnamento dei maestri francescani del Medioevo, non è peccato né conseguenza del peccato, ma appartiene alla creazione originaria, bisogna ammettere che «Maria, come tutti gli esseri normali, ha sentito le diverse passioni della vita con le sue esigenze specifiche». Ella, tuttavia, ha ricevuto per grazia «una forza interiore capace di ordinare tutto in un progetto santo».[63] Anche se «l’Immacolata non soffre meno degli altri per gli spazi limitati e le contraddizioni esistenziali», ella sa però trascenderli nel desiderio di Dio. Con lei ci accorgiamo che

è possibile un nuovo inizio per un’umanità nuova... C’è un presente che realizza i sogni più ancestrali, la terra ha celebrato i suoi sponsali con il cielo, la carne si è riconciliata con lo Spirito e l’uomo salta di gioia davanti al grande Dio.[64]

Nel 2000 Clodovis M. Boff pubblica sulla rivista Marianum un ampio studio in portoghese-brasiliano dal titolo: «Dogmas marianos e política»,[65] dove interpreta anche il dogma dell’Immacolata in dimensione sociale e politica.

Infatti l’Immacolata è tipo non solo ontologico (immagine) o escatologico («teletipo»: Barth), ma anche tipo etico della Chiesa (esemplare), che deve essere come lei sposa «gloriosa, senza macchia né ruga ma santa e immacolata» (Ef 5,27). La santità di cui Maria è esempio per la Chiesa possiede alcune caratteristiche, che diventano lezioni per tutti: realismo, in quanto Maria fu donna di santità ordinaria, prosaica e anonima, lontana da miracolismo e spettacolarità, quindi condivisibile dalla maggioranza del popolo di Dio; passioni integrate, poiché Maria come poi suo Figlio ha sentito le passioni del dominio, del possesso e dell’amore, ma le ha integrate pienamente nella volontà salvifica di Dio; servizio, in quanto Maria ha dominato la libido dominandi insegnando a stare sotto la legge della grazia rimanendo al servizio del popolo e della sua libertà.

Come mai tra le tante immagini dell’Immacolata ha prevalso quella della Donna che schiaccia la testa del serpente? Tra i tanti fattori si distingue l’archetipo con tutta la sua carica emozionale della Donna e il Drago. Maria, versione femminile del figlio dell’uomo (Dan 7), appare come una forza pura, santa e bella, che si confronta con la forza bruta del Mostro e lo vince. Ella costituisce un’energia assiologica evidente: ispira i comportamenti etici del lotta contro le forze d’oppressione e di morte, come è illustrato dalla storia della Polonia e del Messico le immagini della Madonna di Jasna Gora e della Vergine di Guadalupe.

In senso positivo l’Immacolata è la realizzazione ideale dei desideri del cuore umano, specie di 3 di essi: a) Anelito di libertà totale. Redenta in modo unico e migliore, Maria è icona di libertà. In lei appare l’ideale della donna finalmente realizzato e il Creatore può dire di lei, analogamente a quanto disse Pilato di Cristo: «Ecco la donna!». b) Anelito di purezza assoluta. Il cuore umano che aspira alla purezza e trasparenza totale, trova in Maria la tutta pura, la Tuttasanta. Ma si tratta non di purezza ingenua, perché accompagnata dalla lotta e vittoria sul serpente e sulle forze del male. c) Anelito di bellezza infinita. La Tota pulchra, vera donna ideale e insieme reale, invita a cercare appassionatamente la bellezza spirituale. La Piena di grazia è bella perché amata da Dio, ha corrisposto con coraggio e fedeltà, e ha combattuto il drago con la mansuetudine: virgineo pede contrivit. Similmente deve comportarsi il cristiano militante del vangelo.

Possiamo trarre un’ulteriore conseguenza: l’Immacolata Concezione è l’inizio del mondo nuovo, pienezza di grazia, sovrappiù di realtà cristiana, che rappresenta un’«utopia» stimolatrice per la Chiesa pellegrinante, un privilegio non aristocratico ma popolare e in qualche modo partecipabile. Maria ci attrae sulla scia luminosa del «quinto evangelio» (M. Pomilio), il vangelo da inverare ogni giorno nella nostra vita.

Conclusione

Kierkegaard nel suo Diario paragona i dogmi della Chiesa a splendide dame che dormono un sonno fatato: occorre un cavaliere che le ridesti con un bacio d’amore perché balzino in piedi in tutta la loro gloria. Con un atto d’amore noi abbiamo svegliato il dogma dell’Immacolata Concezione definito dal beato Pio IX perché ci rivelasse il suo significato ecclesiologico, ecclesiologico e antropologico.

Ricco d’insegnamenti spirituali, il dogma ci ricorda che dobbiamo restare uniti alla «Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15) per seguire la via giusta, quella dello Spirito che ci fa capire il vero senso della rivelazione.

L’Immacolata proclama nella gioia che Dio è il suo salvatore (Lc 1,47) che l’ha redenta con un amore preventivo: la sua esperienza ci introduce nella cultura del prevenire piuttosto che curare.

Infine nell’Immacolata risplende il primigenio piano della salvezza che vuole l’essere umano e il popolo di Dio non già arrancante sotto il peso del peccato personale e dei condizionamenti di una natura umana, ma sollecito sotto la mozione dello Spirito a realizzare la nuova creazione.

Perciò Maria Immacolata diviene per i cristiani un modello che non scoraggia ma spinge a realizzare nella docilità allo Spirito santo quell’ideale d’intima comunione trinitaria ed ecclesiale che risponde al disegno divino di salvezza:

A Maria, prima redenta da Cristo, che ha avuto il privilegio di non essere sottoposta neppure per un istante al potere del male e del peccato, guardano i cristiani, come al perfetto modello ed all’icona di quella santità (cf LG 65), che sono chiamati a raggiungere, con l’aiuto della grazia del Signore, nella loro vita.

Piace terminare con un pensiero dell’umanista bizantino Michele Psellos (fine sec. XI) che scorge in Maria la cesura della nuova umanità, uno spartiacque che apre alla speranza il cammino umano:

Fino alla Vergine la nostra stirpe ha ereditato la maledizione della prima madre. Poi una diga è stata costruita contro il torrente e la Vergine santa è divenuta il baluardo che arrestò il diluvio dei mali. Con lei finisce l’età ferrea della condanna, con lei e per lei inizia per mai più terminare l’età aurea della riconciliazione.



Note:

[1] F.A. Marcucci, Orazione per l’Immacolata concezione di Maria sempre Vergine, Ascoli 1760, ristampata con lo stesso titolo dalle Edizioni Monfortane, Roma 1998. Cf A. Anselmi, «L’”Orazione per l’Immacolata Concezione” di Francesco Antonio Marcucci. Tra inculturazione e progettualità», in S. De Fiores - E. Vidau (ed.), Maria santa e immacolata segno dell'amore salvifico di Dio Trinità, Prospettive ecumeniche, Atti del 2° colloquio internazionale di mariologia, Ascoli Piceno 5-7 ottobre 1998, Roma 2000, 141-167.

[2] B. Sesboüé, Pour une théologie oecuménique, Paris 1990, 382 e 400.

[3] Pii IX Pontificis Maximi acta, Pars prima, Romae 1857, 616. Per un’inquadratura culturale ed ecclesiale, nonché per l’iter che ha condotto Pio IX alla definizione, cf almeno i seguenti studi: J. Galot, «L’Immaculée Conception», in H. du Manoir (ed.), Maria. Études sur la sainte Vierge,VII, Paris 1964, 9-116 ; S. De Fiores, «Come la Chiesa cattolica è giunta alla definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione», in S. De Fiores - E. Vidau (ed.), Maria santa e immacolata segno dell’amore salvifico di Dio Trinità. Atti del 2° colloquio internazionale di mariologia, Ascoli Piceno, 5-7 ottobre 1998, Roma 2000, 25-49; S.M. Perrella, «Teologia e devozione mariana nell’Ottocento. Ricognizione storico-culturale», in M.M. Pedico - D. Carbonaro (ed.), La Madre di Dio, un portico sull’avvenire del mondo, Atti del 5° colloquio internazionale di mariologia, Roma, Santa Maria in Portico in Campitelli, 18-20 novembre 1999, Roma 2001, 155-232; M.G. Masciarelli, «Sviluppo sulla dottrina dell’Immacolata Concezione di Maria nel magistero: dal 1854 al nostro tempo», in E.M. Toniolo (ed.), Il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Problemi attuali e tentativi di ricomprensione. Atti del XIV simposio internazionale mariologico (Roma, 7-10 ottobre 2003), Roma 2004, 55-168.

[4] Cf B. Giuliani, «Gli atti di Pio IX per la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione», in Pio IX 23 (1994) 99.

[5] Alla luce del concilio vaticano II si discernono tre fattori che agiscono per una conoscenza sviluppata della rivelazione: 1. l’esperienza spirituale o sensus fidelium; 2. la riflessione teologica in clima di meditazione sull’esempio della Vergine sapiente; 3. il magistero episcopale (cf DV 8). Proprio questi tre fattori emergono nella lunga storia della maturazione della dottrina e del culto dell’Immacolata nella Chiesa, senza peraltro misconoscere le mediazioni culturali. Cf D. Vitali, Sensus fidelium. Una funzione ecclesiale di intelligenza della fede, Brescia 1993.

[6] In senso contrario, cf S.M. Cecchin, L’Immacolata Concezione. Breve storia del dogma, Città del Vaticano 2003, 3: «Comunemente si attribuisce alla pietà popolare il merito di aver condotto la Chiesa a questa definizione. Ma la storia smentisce questa pia leggenda, anzi dimostra che, se non ci fossero state le dispute tra le scuole teologiche, non si sarebbe certo giunti ad una definizione dogmatica». Pensiamo che i due fattori (popolo e teologi) non si escludano, ma si completino.

[7] Cf Protoevangelo di Giacomo IV, in Testi Mariani del Primo Millennio, 1,  867.

[8] R. Laurentin,  Maria nella storia della salvezza,  139.

[9] Eadmero , Tractatus de conceptione b. Mariae Virginis 1-2, PL 159, 301-302.

[10] Giovanni di Romiroy, Sapientia aperuit, ms. Bibl. Royale de Bruxelles 916, f. 258v.

[11] Cf T. Strozzi, Controversia della concezione della beata vergine Maria descritta istoricamente, Palermo 1703; P. Guerrini, «L’Immacolata a Brescia», in Rivista di scienze storiche 2 (1905) 225-305; L. Dal Prà, «”Publica disputatio peracta est”. Esiti iconografici della controversia sull’Immacolata concezione a Firenze»,in Medioevo e Rinascimento 2 (1988) 267-281.

[12] Cf  R.M. Dessì, «La controversia sull’Immacolata concezione e la “propaganda” per il culto in Italia nel XV secolo», in Cristianesimo nella storia 12 (1991) 265-293.

[13] M. Cano, De locis theologicis, l.12, c.11, Lovanio 1569,  771

[14] «Abbiamo orrore di dire che questa creatura femminile destinata a schiacciare un giorno la testa del serpente, sia stata da lui sopraffatta e che, Madre di Dio, è stata figlia del diavolo» (Dionigi Certosino, In IV Sent. ,1.3, d. 3, q. 1, Opera, t. 23,98)
[15] Vasquez, In III partem Summae, dispos. 117, c. 2, Lione 1619,  20.

[16] Cf J. de Mahuet, Immaculée conception. III. Iconographie, Catholicisme
3 (1965) 1279-1284, che distingue 7 tipi di rappresentazioni dell’Immacolata: immagini «storiche» ispirate agli apocrifi, simboliche ispirate alla Bibbia, allegoriche o del trionfo sui vizi o sul serpente, dispute, figurazioni ideali, immacolate del XX secolo. Con maggiore precisione Vincenzo Francia riduce a 4 i modelli iconografici dell’Immacolata: Tota pulchra, Ester, Disputa, simboli. Cf V. Francia, Splendore di bellezza. L’iconografia dell’Immacolata Concezione nella pittura rinascimentale italiana, Città del Vaticano 2004.

[17] Per la controversia sul votum sanguinis, cf J. Stricher, Le voeu du sang en faveur de I’Immaculée Conception. Histoire et bilan d’une controverse, 2 voll., Roma 1959. Un testimone di questo voto è il sacerdote ascolano, poi vescovo di Montalto Marche e vicegerente di Roma, F. A. Marcucci, nella sua dotta Orazione per l’Immacolata concezione di Maria sempre Vergine, Ascoli 1760.

[18] Per la posizione di s. Alfonso, cf A. Santonicola, «Il “voto del sangue” per l’Immacolata e s. Alfonso de Liguori», in Virgo Immaculata, VIII/3, 129-150.

[19] R. Laurentin, «L’action du Saint-Siège par rapport au problème de l’Immaculée Conception», in Virgo immaculata. Acta congressus mariologici-mariani internationalis Romae anno 1954 celebrati, II, romae 1956, 1-98.

[20] Cf S. Meo, La dottrina e il culto dell’Immacolata concezione nel decreto del concilio di Basilea (1439), in De cultu mariano saeculis XII-XV. Acta congressus mariologici-mariani internationalis Romae anno 1975 celebrati, II, Romae 1981, 99-119.

[21] Vittima del rigore dei Maestri dei sacri Palazzi, che giungono a condannarlo agli arresti domiciliari e alla suspensio a divinis, è il celebre bibliografo mariano Ippolito Marracci (†1675), che viene riabilitato nel 1671 sotto Clemente X. Cf l’eccellente tesi di F. Petrillo, Ippolito Marracci protagonista del movimento mariano del secolo XVII, («Monumenta italica mariana», n. 1), Roma 1992.

[22] Cf R. Laurentin, «L’action du Saint-Siège par rapport au problème de l’Immaculée Conception», 53, nota 162.

[23] Cf C. Sericoli, «Ordo franciscalis et romanorum pontificum acta de Immaculata B.M.V. Conceptione», in Virgo immaculata. Acta congressus mariologici-mariani internationalis Romae anno 1954 celebrati, II, romae 1956, 110, nota 60. Per le concessioni precedenti, vedi le pagine 125-126.

[24] Per una visione diretta dell’opera di Pio IX, cf il dossier conservato nell’Archivio del Sant’Officio sotto la numerazione St.St.M6-i: Definizione del dogma dell’Immacolata concezione, opuscoli e documenti (1849-1854). In particolare la Narratio actorum sanctissimi Domini nostri Pii IX. Pont. Max. super argumento de Immaculato Deiparae Virginis conceptu, Romae MDCCCLIV,  8.

[25] L’idea di procedere, per evitare lo scoglio del conciliarismo, ad «un concilio senza spesa» mediante l’invito a «tutti i vescovi a far tutti eodem tempore l’istanza al Papa» per definire l’Immacolata Concezione, è suggerita dal card. Giuseppe Renato Imperiali a Leonardo da Porto Maurizio. Questi in realtà s’impegnò a promuovere un vasto movimento, soprattutto in Spagna dove nel 1732 Filippo IV provoca 303 suppliche a Clemente XII per la definizione. Cf I. Vásquez Janeiro, «Salamanca por la definición de la Inmaculada en 1732», in Salmanticensis 42 (1995) 95-119, specie 97-98; Id., «La intentada definición dogmática de la Inmaculada Concepción en tiempo de Clemente XII», in I.M. Calabuig (ed.), Virgo Liber Verbi. Miscellanea di studi in onore di  P. Giuseppe Besutti, Roma 1991, 357-385.

[26] Questi dati attinti a G. Müller, Die Immaculata conceptio im Urteil der mitteleuropäischen Bischöfe, «Quaestiones disputatae» 14 (1968) 46-70. Secondo la Narratio le risposte dei vescovi sono circa 580, di cui circa 530 confermano la pietà dei fedeli e  del clero e chiedono la definizione al più presto, circa 50 si pronunciano in modo diverso, mentre 4 o 5 sono contrari alla definizione anche se testimoniano pietà verso l’Immacolata concezione. Altri non la ritengono opportuna perché offre ansa a calunniare la Chiesa come se definisse nuovi dogmi.

[27] Per le vicende immediatamente antecedenti la definizione del dogma, cf la tesi di V. Maccagnan, Isaia 61,10. Lettura cultuale della solennità dell’Immacolata, Roma 1982, 24-35. Per un’esauriente inquadratura culturale ed ecclesiale, nonché per l’iter che ha condotto Pio IX alla definizione, cf S.M. Perrella, «Teologia e devozione mariana nell’Ottocento. Ricognizione storico-culturale», in M.M. Pedico - D. Carbonaro (ed.), La Madre di Dio, un portico sull’avvenire del mondo, Atti del 5° colloquio internazionale di mariologia, Roma, Santa Maria in Portico in Campitelli, 18-20 novembre 1999, Roma 2001, 155-232.

[28] V. Sardi, La solenne definizione del dogma dell’immacolato concepimento di Maria SS.ma. Atti e documenti, Roma 1904-1905, II, 234, 300; I, 12.

[29] D. Vitali, Sensus fidelium, 41.

[30] S. Paulinus Nolanus, Epistola 22, Csel 29, 193.

[31] «La fede nella Chiesa, come la insegna il Concilio Vaticano II, induce a rivedere certe schematizzazioni troppo rigide: per esempio, la distinzione tra Chiesa docente, che insegna, e Chiesa discente, che impara, deve tener conto del fatto che ogni battezzato partecipa, seppure al suo livello, della missione profetica, sacerdotale e regale di Cristo» (Giovanni Paolo II con V. Messori, Varcare la soglia della speranza, 191-192).

[32] L. Gambero, La Vergine Maria nella dottrina di sant’Agostino, in Mar 48 (1986) 557-599, ritiene che l’Immacolata concezione era del tutto estranea al pensiero dell’Ipponese, il quale afferma bensì per Maria la grazia straordinaria dell’esenzione dal peccato personale, ma che essa comprenda «la preservazione dal peccato originale è un’ipotesi difesa ancora recentemente da alcuni studiosi, i quali fanno di lui un precursore del dogma del dogma dell’Immacolata concezione. A noi pare che i testi agostiniani escludano una tale ipotesi. Anzi riteniamo che il vescovo di Ippona non abbia mai avuto consapevolezza dell’esistenza di un problema del genere, sia per la sua convinzione che l’universalità della legge del peccato non ammettesse nessuna altra eccezione all’infuori del Cristo, sia perché nella prospettiva agostiniana la soluzione di questo problema non si rivela indispensabile all’affermazione della santità di Maria» (p. 590). La posizione di Gambero è simile a quella di P. Friedrich, Die Mariologie des heiligen Augustinus, Köln 1907, che ritiene trattarsi nel passo di De natura et gratia solo «del peccato attuale e non di quello di origine» (pp. 202-203). Si può tuttavia notare che il riferrimento al peccato originale non deve essere evitato perché - come osserva Scheeben - «sempre nella controversia con Pelagio si vede sullo sfondo la questione del peccato d’origine» e inoltre «secondo s. Agostino il peccato originale sta in sì necessario rapporto di causa coll’attuale, che dove si asserisce quello, si asserisce anche questo, e viceversa, escluso questo resta escluso ancor quello. Per lui l’uno è inseparabile dall’altro» (E. Campana, Maria nel dogma cattolico, Marietti, Torino-Roma 1928, 423). Occorre pure tener presente che Agostino risponde a Giuliano rifacendosi alla conditio nascendi che non si riferisce a peccati personali. L. Gambero riafferma la sua posizione nell’articolo «La santità di Maria nel constesto in cui si sviluppa la dottrina dell’Immacolata Concezione. Il contributo dei padri della Chiesa», in E.M. Toniolo (ed.), Il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Problemi attuali e tentativi di ricomprensione. Atti del XIV simposio internazionale mariologico (Roma, 7-10 ottobre 2003), Roma 2004, 271-307.

[33] Agostino, La natura e la grazia, 36,42, in TMPM 3, 327.

[34] Agostino, Opera incompiuta contro Giuliano,  4, 122, in TMPM 3, 332.

[35] G. Söll, Storia dei dogmi mariani, Roma 1981, 151.

[36] Per la prima volta troviamo l’espressione «immacolata concezione» in Bonaventura, che però non parla a nome proprio: «…conceptio…sancta et immaculata» (In Sent. III, d. 3, p. 1, a. 1, q. 1). Cf  Marielle Lamy, L’Immaculée Conception: étapes et enjeux d’une controverse au Moyen-âge (XIIe-Xve siècles), Paris 2000, 248, note 36).

[37] Cf Marie-Bénédicte Dary, «Saint Bernard et l’Immaculée Conception: la question liturgique», in Revue Mabillon  n.s. 13 (2002) 219-236. Bernardo nel 1139 rimprovera «la famosa e nobile» Chiesa di Lione per aver introdotto la celebrazione di una nuova festa «quam ritus Ecclesiae nescit, non probat ratio, non commendata antiqua traditio» (Epistola 174 ad canonicos lugdunenses de conceptione s. Mariae, in Sancti Bernardi opera, VII,  Romae 1974, 388). E continua bollando la festa come «novità presuntuosa, madre della temerarietà, sorella della superstizione, figlia della leggerezza». Analizzando la lettera 174, Lamy enumera gli argomenti rifiutati da Bernardo, il quale pur ammettendo che Maria fu «ante sancta quam nata» (p. 390) è obbligato ad ammettere il peccato originale in lei a motivo dell’atto coniugale dei genitori ritenuto peccaminoso: «Certe peccatum quomodo non fuit, ubi libido non defuit» (p. 391). Celebrare la concezione di Maria sarebbe «onorare il peccato o introdurre una falsa santità» (p. 392).

[38] G.M. Roschini, Duns Scoto e l’Immacolata, Roma 1955, 74.

[39] G. Söll, Storia dei dogmi mariani, 291,289,292.

[40] Cf C. Balić, «Il reale contributo di G. Scoto nella questione dell’Immacolata Concezione», in Antonianum 29 (1954) 475-496; Id., «Ioannes Duns Scotus et historia Immaculatae Conceptionis», in Antonianum 30 (1955) 349-488. Gli studi di Balić sull’Immacolata sono riassunti in D. Aračić, La dottrina mariologica negli scritti di Carlo Balić, Roma 1980, 187-203.

[41] S.M. Cecchin, L’Immacolata Concezione. Breve storia del dogma, 68-70; A.M. Apollonio, Mariologia francescana. Da san Francesco d’Assisi ai francescani dell’Immacolata, Roma 1997, 76-77.

[42] M. Lamy, L’Immaculée Conception367-378.

[43] Il primo testo dice: «Est etiam [in caelo] beatissima Mater Dei, quae numquam fuit inimica actualiter ratione peccati actualis, nec originaliter ratione peccati originalis; fuisset tamen nisi fuisset praeservata» (In Sent. lib. 3, dist. 18). Si ha qui una professione immacolista, poiché l’avverbio forte collocato da alcuni codici tra nec e originaliter è ritenuta un’interpolazione tardiva (Longpré). Il secondo testo è riportato da parecchi codici: «Maius beneficium est et maior gratia simpliciter conservarte istum in innocentia quam dimittere, vel remittere alii peccata sua postquam cecidit ab ipsa innocentia; et ideo maius beneficium et gratia contulit Deus beatae Virgini et angelis sanctis, confirmando eos in innocentia perpetua, ne possent peccare, quam si remitteret eis peccata. […] Plus incomparabiliter dedit Dominus beatae Virgini conservando innocentiam quam Magdalenae dimittendo septem peccata» (Ordinatio, lib. 4 in fine). Cf M. Lamy, L’Immaculée Conception, 375-377.

[44] Duns Scotus, Ordinatio 3, d. 3, q. 1. Cf R. Zavalloni-E. Mariani (edd.), La dottrina mariologica di Giovanni Duns Scoto, Antonianum, Roma 1987 (articoli e testi). Cf anche il testo latino della Lectura in librum tertium Sententiarum, scritta dopo l’insegnamento a Parigi, in Doctoris subtilis et mariani B. Ioannis Duns Scoti ordinis Fratrum minorum Opera omnia […], XX, Civitas Vaticana 2003, 123-124.

[45] Generalmente si dice che i domenicani furono contrari all’Immacolata Concezione. Ma secondo un computo risulta che quelli che scrissero a favore sono più numerosi dei macolisti.

[46] In III Sent., q. 7, a.1, s.2.

[47] S. Th.  p. 3, q. 27, a. 2.

[48] Cf  P. Orlando, S. Tommaso d’Aquino dottore mariano, Napoli 1995, 29-44. F. A. Marcucci, Orazione per l’Immacolata concezione di Maria sempre Vergine, Ascoli 1760, recensisce sei manoscritti dell’opuscolo sulla Salutazione angelica che riferiscono il testo «nec originali» (p. 45, n. 35).

[49] Thomae de Vio Caietani, Tractatus de conceptione Beatae Mariae Virginis, ad Leonem X pontif. Maximum, in quinque capita divisus, in Opuscula omnia, Lugduni 1581, 137-142 (libro reperibile nella biblioteca della Pontificia Università Gregoriana).

[50] G. Söll, Storia dei dogmi mariani,  Roma 1981, 315. Cf anche S.M. Cecchin, L’Immacolata Concezione. Breve storia del dogma, Città del Vaticano 2003, 120.

[51] Cf F. Petrillo, Ippolito Marracci protagonista del movimento mariano del secolo XVII, («Monumenta italica mariana», n. 1), Roma 1992, 67-68, dove riporta l’opera di Marracci Fides caietana in controversia conceptionis B.V. Mariae, Florentiae 1655, che confuta le ragioni del Caietano, anzi dello Pseudo-Caietano ritenendo addirittura spuria l’opera pubblicata da lui.

[52] Cf l’opera originale di T. Campanella, Apologeticus in controversia de Conceptione beatae Virginis adversus insanos vulgi rumores, pubblicata con introduzione di L. Firpo in Sapientia 22 (1969)  182-248.

[53] E. Valentini, L’Immacolata nella missione educativa di san G. Bosco, in Accademia mariana salesiana, L’Immacolata Ausiliatrice, Torino 1955, 83. L’autore prosegue, attingendo le due citazioni da Le glorie di Maria: «Iddio, infatti, attua con tutte le sue creature, e segnatamente coi suoi santi, il Sistema Preventivo, con l’insieme delle grazie prevenienti, ma in Maria SS. Immacolata realizzò il suo capolavoro, anticipando gli effetti della Sua redenzione. «Duplex est enim redimendi modus, dice Sant’Agostino [Pseudo], unus redimendo lapsum, alter redimendo non lapsum, ne cadat». Ed evidentemente il modo più nobile è il secondo, come dice Sant’Antonino di Firenze: «Nobilius redimitur cui provicietur ne cadat, quam ut lapsus erigatur» (ivi).

[54] Cf. il testo di Duns Scoto sul «perfettissimo mediatore» nei riguardi dell’Immacolata, in R. Zavalloni-E. Mariani, La dottrina mariologica di Giovanni Duns Scoto, Edizioni Antonianum, Roma 1987, 181-182.

[55] K. Rahner, Maria Madre del Signore, Fossano 1962, 43.

[56] Ivi, 43-48. Cf anche K. Rahner, «L’Immacolata Concezione», in Saggi di cristologia e di mariologia,  Roma 1965, 413-435.

[57] D. Fernández, El pecado original, Valencia 1973, 185, 193, 197.

[58] Ivi, 183.

[59] Ivi, 38, 53, 58.

[60] G. Colzani, Maria. Mistero di grazia e di fede, 225.

[61] L. Boff, El rostro materno de Dios, Madrid 1979, 157 (trad. ital. 1981).

[62] Ivi, 284.

[63] Ivi, 157.

[64] Ivi, 158.

[65] Ivi, 158-159.

[66] C.M. Boff , «Dogmas marianos e política», in Mar 62 (2000) 77-167.

[67] La catechesi mariana di Giovanni Paolo II, Città del Vaticano 1988, 87.

[68] Michele Psellos, Omelia sull’annunciazione, P.O. 16, 525.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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«DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA»
di S. Alfonso Maria de Liguori

 

DISCORSI SULLE SETTE FESTE PRINCIPALI DI MARIA

DISCORSO I. - Dell'Immacolata Concezione di Maria.

(N.B. Questo discorso è stato scritto prima della definizione dogmatica: è utile 1) per nutrire la nostra pietà 2) per vedere come, anche a prescindere dalla pronunciamento solenne del Magistero, ci sono tante buone ragioni per credere Maria Immacolata 3) per considerare quanti santi e dotti autori ritenessero l'opinione che poi è stata definita)

Quanto convenne a tutte tre le divine Persone il preservar Maria dalla colpa originale.

Troppo fu grande la ruina che 'l maledetto peccato apportò ad Adamo ed a tutto il genere umano; mentreché perdendo egli allora miseramente la grazia, perdé insieme tutti gli altri beni di cui nel principio fu arricchito, e tirò sopra di sé e di tutti i suoi discendenti, coll'odio di Dio, il cumulo di tutti i mali. Ma da questa comune disgrazia volle Dio esimere quella Vergine benedetta, ch'egli avea destinata per madre del secondo Adamo Gesù Cristo, il quale dovea dar riparo al danno fatto dal primo.

Or vediamo quanto convenne a Dio e a tutte tre le divine Persone di preservar questa Vergine dalla colpa originale. Vedremo che convenne al Padre preservarnela come sua figlia, al Figlio come sua madre, allo Spirito Santo come sua sposa.

Punto I.

E in primo luogo convenne all'Eterno Padre far che Maria fosse immune della macchia originale perch'ella era sua figlia e figlia primogenita, com'ella stessa attestò: Ego ex ore Altissimi prodivi primogenita ante omnem creaturam (Eccli. XXIV, [5]); siccome già viene applicato questo passo a Maria da' sacri Interpreti, da' SS. Padri e dalla stessa Chiesa appunto nella solennità di sua Concezione. Poiché o sia ella primogenita in quanto fu predestinata insieme col Figlio ne' divini decreti prima di tutte le creature, come vuole la scuola de' Scotisti; o sia primogenita della grazia come predestinata per madre del Redentore dopo la previsione del peccato, secondo vuole la scuola de' Tomisti: tutti non però si accordano in chiamarla la primogenita di Dio.
Il che essendo, ben fu conveniente che Maria non fosse mai stata schiava di Lucifero, ma solo e sempre posseduta dal suo Creatore, come già fu, secondo ella medesima dice: Dominus possedit me in initio viarum suarum (Eccli., loc. cit.) Onde con ragione fu Maria chiamata da Dionigi arcivescovo d'Alessandria: Una et sola filia vitae (Ep. contr. Pau. Samos.).
Unica e sola figlia della vita, a differenza dell'altre che, nascendo in peccato, son figlie della morte. In oltre ben convenne che l'Eterno Padre la creasse in sua grazia, poiché la destinò per riparatrice del mondo perduto, e mediatrice di pace tra gli uomini e Dio; come appunto la chiamano i SS. Padri e specialmente S. Giov. Damasceno, il quale così le dice: O Vergine benedetta, voi siete nata per servire alla salute di tutta la terra: In vitam prodiisti, ut orbis universi administram te praeberes (Or. 1, de Nat. Virg). Perciò dice S. Bernardo che Maria fu già figurata nell'arca di Noè; mentre siccome per quella furon liberati gli uomini dal diluvio, così per Maria noi siam salvati dal naufragio del peccato; ma colla differenza, che per mezzo dell'arca si salvarono pochi, per mezzo di Maria è stato liberato tutto il genere umano: Sicut per illam omnes evaserunt diluvium, sic per istam peccati naufragium. Per illam paucorum facta est liberatio, per istam humani generis salvatio (Serm. de B. Virg.). Ond'è che Maria da S. Atanasio chiamasi: Nova Heva, mater vitae (Or. de S. Deip.).5 Nuova Eva, perché la prima fu madre della morte, ma la SS. Vergine è madre della vita. S. Teofane vescovo di Nicea le dice: Salve, quae sustulisti tristitiam Hevae. S. Basilio la chiama paciera fra gli uomini e Dio: Ave, Dei hominumque sequestra constituta. S. Efrem la paciera di tutto il mondo: Ave, totius orbis conciliatrix.
Or a chi tratta la pace, non certamente conviene ch'egli sia nemico dell'offeso, e tanto meno che sia complice dello stesso delitto. Dice S. Gregorio che a placare il giudice non può andarvi un suo nemico, altrimenti in vece di placarlo più lo sdegnerebbe. E perciò dovendo Maria esser la mezzana di pace degli uomini con Dio, ogni ragion volea che non comparisse ella ancora peccatrice e nemica di Dio, ma tutt'amica e monda dal peccato.Di più convenne che Dio la preservasse dalla colpa originale, poiché la destinava a schiacciare la testa al serpente infernale, che col sedurre i primi progenitori recò la morte a tutti gli uomini, come già gli predisse il Signore: Inimicitias ponam inter te et mulierem, et semen tuum et semen illius: ipsa conteret caput tuum (Gen. III, 15). Or se Maria dovea esser la donna forte posta nel mondo a vincere Lucifero, al certo non conveniva ch'ella fosse prima da Lucifero vinta e fatta sua schiava: ma più presto fu ragionevole che fosse esente da ogni macchia e da ogni soggezione al nemico.
Cercò il superbo, siccome avea già infettato col suo veleno tutto il genere umano, così anche d'infettare la purissima anima di questa Vergine. Ma sia sempre lodata la divina bontà, che la prevenne a questo fine con tanta grazia, che restando ella libera da ogni reato di colpa, così poté abbattere e confonder la sua superbia, come dice sant'Agostino o chi altro sia l'autor del commento nella Genesi: Cum peccati originalis caput sit diabolus, tale caput Maria contrivit, quia nulla peccati subiectio ingressum habuit in animam Virginis, et ideo ab omni macula immunis fuit (in cit. loc. Gen.). E più chiaramente S. Bonaventura: Congruum erat ut B. Virgo Maria, per quam aufertur nobis opprobrium, vinceret diabolum, ut nec ei succumberet ad modicum (In 3, dist. 3, art. 2, qu. 2). Ma sopra tutto convenne principalmente all'Eterno Padre che rendesse illesa questa sua figlia dal peccato di Adamo, perché la destinava per madre del suo Unigenito. Tu ante omnem creaturam in mente Dei praeordinata fuisti, ut Deum ipsum hominem procreares, parla S. Bernardino da Siena (Serm. 51, cap. 4). Se non per altro motivo dunque, almeno per onor del suo Figlio ch'era Dio, fu ragione che 'l Padre la creasse pura da ogni macchia. Dice S. Tommaso l'Angelico che tutte le cose che sono ordinate a Dio, debbono esser sante e monde da ogni lordura: Sanctitas illis rebus attribuitur quae in Deum sunt ordinatae (1 p., q. 36, art. 1).
Che perciò Davide, designando il tempio di Gerosolima con quella magnificenza che si conveniva al Signore, dicea: Neque enim homini praeparatur habitatio, sed Deo (I Par. XXIX, 1). Or quanto più dobbiamo ragionevolmente credere che 'l sommo Fattore, destinando Maria per essere la madre del suo medesimo Figlio, la dovette adornare nell'anima di tutti i pregi più belli, acciocché fosse degna abitazione d'un Dio? Omnium artifex Deus - afferma il B. Dionigi Cartusiano - Filio suo dignum habitaculum fabricaturus, eam omnium gratificantium charismatum [plenitudine] adornavit (L. 2, de laud. Virg., art. 2). E la stessa S. Chiesa di ciò ne assicura attestando che Dio apparecchiò il corpo e l'anima della Vergine, per essere degno albergo in terra del suo Unigenito: Omnipotens sempiterne Deus, così prega la S. Chiesa, qui gloriosae Virginis et Matris Mariae corpus et animam, ut dignum Filii tui habitaculum effici meretur, Spiritu Sancto cooperante, praeparasti, etc. Si sa che 'l primo pregio de' figli è di nascere da padri nobili: Gloria filiorum patres eorum (Prov. XVII, 6). Ond'è che più si tollera nel mondo lo sfregio d'esser riputato scarso di beni e di dottrina, che vile di nascita; mentre il povero può farsi ricco colla sua industria, l'ignorante può farsi dotto collo studio, ma chi nasce vile difficilmente può giungere a diventare nobile; e se mai vi giungesse, sempre potrà rinfacciarglisi l'antica ed originaria sua macchia. Come dunque possiamo pensare che Dio, potendo far nascere il Figlio da una madre nobile, con preservarla dalla colpa, l'abbia voluto far nascere da una madre infetta dal peccato, permettendo che Lucifero avesse potuto sempre rinfacciargli l'obbrobrio d'esser nato da una madre sua schiava e nemica di Dio? No, che 'l Signore ciò non permise: ma ben provvide all'onor del suo Figlio con far che la sua madre fosse stata sempre immacolata, affinché fosse una madre qual si conveniva ad un tal Figlio. Così ci attesta la Chiesa greca: Providentia singulari perfecit, ut SS. Virgo ab ipso vitae suae principio tam omnino exsisteret pura, quam decebat illam quae Christo digna mater exsisteret (In Men., die 25 martii).
È assioma comune fra' Teologi, non essere stato mai conceduto alcun dono ad alcuna creatura, di cui non sia stata anche arricchita la B. Vergine. Ecco come parla S. Bernardo: Quod vel paucis mortalium constat esse collatum, fas certe non est suspicari tantae Virgini fuisse negatum (Epist. 174). E S. Tommaso da Villanova: Nihil umquam alicui sanctorum concessum est, quod a principio vitae cumulatius non praefulgeat in Maria (Serm. 2, de Ass.). Ed essendo vero che tra la Madre di Dio ed i servi di Dio vi è una distanza infinita, secondo il celebre detto di S. Giovanni Damasceno: Matris Dei et servorum Dei infinitum est discrimen (Or. 1 de Ass.); certamente dee supporsi, come insegna San Tommaso, che Dio abbia conferiti privilegi di grazia in ogni genere maggiori alla Madre che a' servi: Maiora in quovis genere privilegia gratiae deferenda sunt Matri Dei, quam servis (3 p., q. 27, art. 2). Or ciò supposto, ripiglia S. Anselmo, il gran difensore di Maria immacolata, e dice: Impotensne fuit sapientia Dei mundum habitaculum condere, remota omni labe conditionis humanae? (Serm. de Concept.): Forse non poté la divina Sapienza apparecchiare al suo Figlio un ospizio mondo, con preservarlo da ogni macchia del genere umano? Ha potuto già Dio - seguita a parlare S. Anselmo - conservare illesi gli angeli del cielo nella rovina di tanti, e non ha potuto poi preservar la Madre del Figlio, e la regina degli angeli dalla comune caduta degli uomini? Angelos, aliis peccantibus, a peccato reservavit; et Matrem ab aliorum peccatis exsortem servare non potuit? (Loc. cit.). Ha potuto Dio, io aggiungo, dar la grazia anche ad un'Eva di venir al mondo immacolata, e poi non ha potuto darla a Maria? Ah no, che Dio ha potuto ben farlo e l'ha fatto; mentre con ogni ragione conveniva, come dice lo stesso S. Anselmo, che quella Vergine, che Dio disponea di dare per Madre all'unico suo Figlio, fosse adorna di una purità, che non solo avanzasse quella di tutti gli uomini e di tutti gli angeli, ma fosse la maggiore che può intendersi dopo Dio: Decens erat, ut ea puritate, qua maior sub Deo nequit intelligi, Virgo illa niteret, cui Deus Pater unicum sibi Filium dare disponebat (Dict. lib. de Conc.). E più chiaro S. Gio. Damasceno: Cum Virginis una cum corpore animam conservasset, ut eam decebat, quae Deum in sinu suo exceptura erat: sanctus enim ipse cum sit, in sanctis requiescit (Lib. 4, de fid. ort., c. 15). Sicché ben poté dire l'Eterno Padre a questa Figlia diletta: Sicut lilium inter spinas, sic amica mea inter filias (Cant. II, 2): Figlia, fra tutte le altre mie figlie tu sei come giglio tra le spine, giacché quelle sono tutte macchiate dal peccato, ma tu fosti sempre immacolata e sempre amica.

Punto II.

In secondo luogo convenne al Figlio di preservar Maria dalla colpa, come sua madre. A tutti gli altri figli non si concede di potersi sceglier la madre secondo il lor piacere; ma se a taluno ciò mai si concedesse, chi sarebbe quello che potendo aver per madre una regina, la volesse schiava? potendo averla nobile, la volesse villana? potendo averla amica di Dio, la volesse nemica? Se dunque il solo Figliuolo di Dio poté eleggersi la madre conforme gli piaceva, ben dee tenersi per certo che se la scegliesse qual conveniva ad un Dio. Così parla S. Bernardo: Nascens de homine Factor hominum talem sibi debuit eligere matrem, qualem se decere sciebat (Hom. 3, sup. Miss.). Ed essendo ben decente ad un Dio purissimo l'avere una madre pura da ogni colpa, tale appunto se la fece, afferma S. Bernardino da Siena con quelle parole: Tertio fuit sanctificatio maternalis, et haec removet omnem culpam originalem. Haec fuit in B. Virgine: sane Deus talem tam nobilitate naturae, quam perfectione gratiae condidit matrem, qualem eum decebat habere suam matrem (Tom. 2, serm. 51, c. 1). Al che fa ciò che scrisse l'Apostolo: Talis enim decebat ut nobis esset pontifex sanctus, innocens, impollutus, segregatus a peccatoribus, etc. (Hebr. VII, [26]). Nota qui un dotto autore che secondo S. Paolo fu decente che 'l nostro Redentore non solo fosse segregato da' peccati, ma anche da' peccatori, conforme spiega S. Tommaso: Oportuit eum qui peccata venit tollere, esse segregatum a peccatoribus, quantum ad culpam cui Adam subiacuit (3 p., q. 4, art. 6). Ma come Gesù Cristo potea chiamarsi segregato da' peccatori, avendo una madre peccatrice? Dice S. Ambrogio: Non de terra, sed de caelo vas sibi hoc, per quod descenderet, Christus elegit, et sacravit templum pudoris (De Inst. Virg., c. 5). Allude il santo al detto di S. Paolo: Primus homo de terra, terrenus: secundus homo de caelo, caelestis (I Cor. XV, [47]). S. Ambrogio chiama la divina Madre Vaso celeste, non perché Maria non fosse terrena per natura, come han sognato gli eretici; ma celeste per grazia, poich'ella fu superiore agli angeli del cielo in santità e purità, come si conveniva ad un re della gloria, che doveva abitar nel suo seno, secondo rivelò il Battista a santa Brigida: Non decuit regem gloriae iacere nisi in vase purissimo et electissimo, prae omnibus angelis et hominibus (Rev. l. I, c. 17).
Al che s'unisce quel che lo stesso Eterno Padre disse alla medesima santa: Maria fuit vas mundum et non mundum. Mundum, quia tota pulchra: sed non mundum, quia de peccatoribus nata est; licet sine peccato concepta, ut Filius meus de ea sine peccato nasceretur (Lib. V, c. 13). E notinsi queste ultime parole, cioè che Maria fu senza colpa conceputa, acciocché da lei senza colpa nascesse il divin Figlio. Non già che Gesù Cristo fosse stato capace di contrarre la colpa, ma affinché egli non avesse l'obbrobrio di avere una madre infetta dal peccato e schiava del demonio.
Dice lo Spirito Santo che l'onore del padre è la gloria del figlio, e 'l disonore del padre è l'obbrobrio del figlio: Gloria enim hominis est honor patris sui, et dedecus filii pater sine honore (Eccli. III, 13).
Che però dice S. Agostino (Serm. de Ass. B.V.) che Gesù preservò il corpo di Maria dal corrompersi dopo la morte, poiché ridondava in suo disonore che fosse guasta dalla putredine quella carne verginale di cui egli s'era già vestito: Putredo namque humanae est opprobrium conditionis, a quo cum Iesus sit alienus, natura Mariae excipitur; caro enim Iesu caro Mariae est (Serm. de Ass. B.V.). Or se sarebbe stato obbrobrio di Gesù Cristo nascere da una madre che avesse avuto un corpo soggetto alla putredine della carne, quanto più il nascere da una madre che avesse avuta l'anima infetta dalla putredine del peccato? Oltrechè, essendo vero che la carne di Gesù è la stessa che quella di Maria, in tal maniera - come soggiunge ivi lo stesso santo - che la carne del Salvatore anche dopo la sua risurrezione è restata la stessa ch'egli prese dalla Madre: Caro Christi caro est Mariae, et quamvis gloria resurrectionis fuerit glorificata, eadem tamen mansit quae de Maria sumpta est (Loc. cit.).33 Onde disse S. Arnoldo Carnotense: Una est Mariae et Christi caro; atque adeo Filii gloriam cum Matre non tam communem iudico, quam eamdem (De laud. Virg.).34 Or essendo ciò vero, se mai la B. Vergine fosse stata conceputa in peccato, benché il Figlio non ne avrebbe contratta la macchia del peccato, nulladimeno sempre gli sarebbe stata una certa macchia l'aver seco unita la carne un tempo infetta dalla colpa, vaso d'immondizia, e soggetta a Lucifero.
Maria non solo fu madre, ma degna madre del Salvatore. Così la chiamano tutti i Santi Padri. S. Bernardo: Tu sola inventa es digna, ut in tua virginali aula Rex regum primam sibi mansionem eligeret (In depr. ad Virg.). S. Tommaso da Villanova: Antequam conciperet, iam idonea erat, ut esset Mater Dei (Serm. 3, de Nat. Virg.). La stessa S. Chiesa ci attesta che la Vergine meritò d'esser madre di Gesù Cristo: B. Virgo, cuius viscera meruerunt portare Christum Dominum (Resp. 1, noct. 2, in Nat. Mar.). Il che spiegando S. Tommaso d'Aquino, dice: B. Virgo dicitur meruisse portare Dominum omnium, non quia meruit ipsum incarnari, sed quia meruit ex gratia sibi data illum puritatis et sanctitatis gradum, ut congrue posset esse Mater Dei (3 p., q. 2, a. 11, ad 3). Dice dunque l'Angelico che Maria non già poté meritare l'incarnazione del Verbo, ma colla divina grazia meritò tal perfezione, che la rendesse degna Madre d'un Dio, secondo quel che ne scrisse anche S. Pier Damiani: Singularis eius sanctitas ex gratia hoc promeruit, quod susceptione Dei singulariter iudicata est digna (De Ass., serm. 2).
Or ciò supposto che Maria fu degna Madre di Dio, quale eccellenza mai, dice S. Tommaso da Villanova, e qual perfezione a lei non si convenne? Quae autem excellentia, quae perfectio decuit eam, ut esset Mater Dei? (Serm. 3, de Nat. Virg.)
Insegna lo stesso dottore Angelico che quando Dio elegge taluno a qualche dignità, lo rende ancora idoneo a quella; onde dice che Dio avendo eletta Maria per sua madre, certamente ne la rendette ancora degna colla sua grazia: Beata autem Virgo fuit electa divinitus ut esset Mater Dei; et ideo non est dubitandum quin Deus per suam gratiam eam ad hoc idoneam reddiderit iuxta illud: Invenisti gratiam apud Dominum: Ecce concipies, etc. Luc. I (3 p., q. 27, a. 4). E da ciò ricava il santo che la Vergine non commise mai alcun peccato attuale, neppur veniale; altrimenti, dice, ella non sarebbe stata degna Madre di Gesù Cristo, poiché l'ignominia della Madre sarebbe stata anche del Figlio, avendo una peccatrice per madre: Non fuisset idonea Mater Dei, si peccasset aliquando, quia ignominia matris ad Filium redundasset (Loc. cit.). Or se Maria, peccando con un sol veniale, che non priva già l'anima della divina grazia, non sarebbe stata Madre idonea di Dio; quanto più se Maria fosse stata rea della colpa originale, la quale l'avrebbe renduta nemica di Dio e schiava del demonio? Che perciò S. Agostino disse in quella sua celebre sentenza che parlando di Maria non volea far parola di peccati, per onore di quel Signore ch'ella meritò per Figlio e per cui ebbe la grazia di vincere il peccato per ogni parte: Excepta itaque S. Virgine Maria, de qua propter honorem Domini nullam prorsus, cum de peccatis agitur, habere volo quaestionem. Unde enim scimus quod ei plus gratiae collatum fuerit ad vincendum ex omni parte peccatum, quae concipere et parere meruit eum, quem constat nullum habuisse peccatum (De Nat. et grat. contr. Pel., t. 7, c. 36).
Sicché dobbiamo tener per certo che 'l Verbo Incarnato si elesse la madre quale gli conveniva, e di cui non se ne avesse a vergognare, come parla S. Pier Damiani: Christus talem matrem sibi elegit, quam meruit habere, de qua non erubesceret. E parimente S. Proclo: Intra viscera, quae citra ullam sui dedecoris notam creaverat, habitavit (Or. de Nat. Dom.). Non fu già d'obbrobrio a Gesù il sentirsi chiamar dagli Ebrei figlio di Maria per disprezzo, come figlio di una povera donna: Nonne mater eius dicitur Maria? (Matth. XIII, 55), mentr'egli venne in terra a dar esempi d'umiltà e di pazienza. Ma senza dubbio all'incontro gli sarebbe stato d'obbrobrio, se da' demoni avesse potuto sentirsi dire: Nonne mater eius exstitit peccatrix? E che forse egli non è nato da una madre peccatrice ed un tempo nostra schiava? Anche indecenza sarebbe stata il nascere Gesù Cristo da una donna deforme e storpiata di corpo, o pure nel corpo invasata da' demoni. Ma quanto più poi il nascere da una donna deforme un tempo nell'anima, e nell'anima invasata da Lucifero?
Ah che questo Dio ch'è la stessa Sapienza ben seppe fabbricarsi in terra quale gli si conveniva quella casa dove doveva abitare: Sapientia aedificavit sibi domum (Prov. IV, 1). Sanctificavit tabernaculum suum Altissimus... Adiuvabit eam Deus mane diluculo (Ps. XLV, [5, 6]). Il Signore, dice Davide, santificò questa sua abitazione mane diluculo, cioè dal principio di sua via, per renderla degna di sé; poiché ad un Dio santo non conveniva eleggersi una casa che non fosse santa: Domum tuam decet sanctitudo (Ps. XCII, [5]). E se egli si protesta che non entrerà mai ad abitare in un'anima di mala volontà e in un corpo soggetto a' peccati: In malevolam animam non introibit sapientia, nec habitabit in corpore subdito peccatis (Sap. I, [4]); come mai possiamo pensare che il Figlio di Dio abbia eletto d'abitare nell'anima e nel corpo di Maria, senza prima santificarla e preservarla da ogni sozzura di peccato; giacché, siccome insegna S. Tommaso, il Verbo Eterno abitò non solo nell'anima, ma anche nell'utero di Maria: Dei Filius in ipsa habitavit, non solum in anima, sed etiam in utero (3 p., q. 27, a. 4). - Canta la S. Chiesa: Signore, voi non avete avuto orrore di abitare nell'utero della Vergine: Non horruisti Virginis uterum. Sì, perché un Dio avrebbe avuto orrore d'incarnarsi nel seno di una Agnese, d'una Geltrude, d'una Teresa; poiché queste vergini, benché sante, furono non pertanto un tempo macchiate dal peccato originale; ma non ebbe poi orrore di farsi uomo nel seno di Maria, perché questa Vergine prediletta fu sempre pura da ogni neo di colpa e non mai posseduta dal nemico serpente. Onde scrisse S. Agostino: Nullam digniorem domum sibi Filius Dei aedificavit, quam Mariam, quae numquam fuit ab hostibus capta, neque suis ornamentis spoliata.
All'incontro, dice S. Cirillo Alessandrino, chi mai ha inteso che un architetto s'abbia per suo uso fabbricata una casa, e poi n'abbia conceduto il primo possesso al principal suo nemico? Quis umquam audivit architectum qui sibi domum aedificavit, eius occupationem et possessionem primo suo inimico cessisse? (In Conc. Eph., n. 6). Sì, perché quel Signore, ripiglia S. Metodio, che ci ha dato il precetto d'onorare i genitori, non ha voluto egli, facendosi uomo come noi, lasciar di osservarlo, con dare alla sua Madre ogni grazia ed onore: Qui dixit, honora patrem et matrem, ut decretum a se promulgatum servaret, omnem Matri gratiam et honorem impendit (Or. in Hypap.). Perciò dice sant'Agostino che dee certamente credersi che Gesù Cristo abbia preservato dalla corruzione il corpo di Maria dopo la morte, come di sopra si è detto, giacché, se egli non l'avesse fatto, non avrebbe osservata la legge, la quale sicut honorem matris praecipit, ita inhonorationem damnat (Serm. de Ass. B.V.). Or quanto meno avrebbe atteso Gesù all'onor di sua Madre, se non l'avesse preservata dalla colpa di Adamo? Ben peccherebbe quel figlio, dice il P. Tommaso d'Argentina agostiniano, che potendo preservar la madre dal peccato originale, non lo facesse; or quello che sarebbe a noi peccato - dice il suddetto autore - dee credersi non essere stato decente al Figlio di Dio, che potendo render la Madre immacolata, non l'abbia fatto. Ah no, soggiunge il Gersone: Cum tu summus princeps velis habere Matrem, illi certe debebis honorem. Nunc autem appareret illam legem non bene adimpleri, si in abominationem peccati originalis permitteres illam quae esse debet habitaculum totius puritatis (Serm. de Conc. B. Mar.).
In oltre si sa che 'l divin Figlio venne al mondo più per redimer Maria, che tutti gli altri uomini, come scrisse S. Bernardino il Senese: Christus plus pro redimenda Virgine venit, quam pro omni alia creatura. Ed essendoché vi son due modi di redimere, come insegna S. Agostino: uno con sollevare il già caduto, l'altro con prevedere che quegli non cada: Duplex est redimendi modus, unus redimendo lapsum, alter redimendo non lapsum, ne cadat. E senza dubbio questo è il modo più nobile: Nobilius redimitur cui providetur ne cadat, quam ut lapsus erigatur (S. Anton.), perché in tal modo si evita anche quel danno o quella macchia che sempre ne contrae l'anima dalla caduta fatta. Quindi in tal più nobile modo, qual si conveniva alla Madre d'un Dio, dee credersi che fu redenta Maria, come parla S. Bonaventura: Credendum est enim quod novo sanctificationis genere in eius conceptionis primordio Spiritus Sanctus eam a peccato originali - non quod infuit, sed quod infuisset - redemit, atque singulari gratia praeservavit (Serm. 2, de Ass.). Questo sermone prova esser veramente del S. Dottore, Frassen (Scot. Acad., to. 8, a. 3, sect. 3, q. 1, § 5). Sul che elegantemente scrisse il cardinal Cusano: Alii liberatorem, Virgo sancta praeliberatorem habuit: Altri hanno avuto il Redentore, che gli ha liberati dal peccato già contratto; ma la Santa Vergine ebbe il Redentore, perché figlio, che la liberò dal contrarre il peccato.
In somma per conclusione di questo punto, dice Ugone di S. Vittore che dal frutto si conosce l'albero. Se l'Agnello fu sempre immacolato, sempre immacolata dovette essere ancora la Madre: Talis Agnus, qualis mater Agni; quoniam omnis arbor ex fructu suo cognoscitur (Coll. 3, de Verb. Inc.). Onde questo medesimo Dottore salutava Maria chiamandola: O digna digni: O degna madre d'un degno figlio; e volea dire che non altri che Maria era degna madre d'un tal Figlio, e non altri che Gesù era degno figlio d'una tal Madre: O digna digni - e siegue a dire - formosa pulchri, excelsa Altissimi, Mater Dei (Hug. de S. Vict., serm. de Ass.). Lattate dunque - diciamole con S. Idelfonso - lattate, o Maria, il vostro Creatore; lattate colui che vi fece, e tal vi fece pura e perfetta, che meritaste ch'egli da voi prendesse l'essere umano: Lacta o Maria, Creatorem tuum, lacta eum qui te fecit, et qui talem fecit te, ut ipse fieret ex te (Serm. de Nat. Virg.).

Punto III.

Se dunque al Padre convenne preservar Maria dal peccato come sua figlia, ed al Figlio come sua madre, benanche allo Spirito Santo convenne preservarla come sua sposa.
Maria, dice S. Agostino, fu quella sola che meritò d'esser chiamata madre e sposa di Dio: Haec est quae sola meruit mater et sponsa vocari (Serm. de Ass.). Poiché asserisce S. Anselmo che 'l Divino Spirito venne già corporalmente in Maria, ed arricchendola di grazia sopra tutte le creature, in lei riposò e fe' regina del cielo e della terra la sua sposa: Ipse Spiritus Dei, ipse amor Patris et Filii corporaliter venit in eam, singularique gratia prae omnibus in ipsa requievit, et reginam caeli et terrae fecit sponsam suam (De Ex. Virg., c. 4). Dice che venne in lei corporalmente in quanto all'effetto, poiché venne a formar dal suo corpo immacolato l'immacolato corpo di Gesù Cristo, siccome già l'Arcangelo le predisse: Spiritus Sanctus superveniet in te (Luc. I, [35]). Che perciò, dice S. Tommaso, chiamasi Maria tempio del Signore, sacrario dello Spirito Santo, perché per opera dello Spirito Santo fu fatta madre del Verbo Incarnato: Unde dicitur templum Domini, sacrarium Spiritus Sancti, quia concepit ex Spiritu Sancto (Opusc. 8).
Or se un eccellente pittore avesse mai a sortir la sua sposa bella o deforme, qual egli medesimo se la dipingesse, qual diligenza ei mai non porrebbe a farla quanto più bella potesse? Chi dunque può dire che lo Spirito Santo abbia operato altrimenti con Maria, che, potendo egli stesso farsi questa sua sposa tutta bella quale gli conveniva, non l'abbia fatto? No, che così gli convenne e così ha fatto, come attestò il medesimo Signore, quando lodando Maria le disse: Tota pulchra es, amica mea, et macula non est in te (Cant. IV, 7). Le quali parole dicono S. Idelfonso e S. Tommaso che propriamente di Maria s'intendono, come riferisce Cornelio a Lapide sul detto passo; e S. Bernardino da Siena (To. 2, serm. 52) con S. Lorenzo Giustiniani (Serm. de Nat. Virg.) asseriscono che s'intendono le parole citate precisamente della sua immacolata Concezione; onde l'Idiota le dice: Tota pulchra es, Virgo gloriosissima, non in parte, sed in toto; et macula peccati sive mortalis, sive venialis, sive originalis, non est in te (In Contempl. B.V., c. 3).
 


Tiepolo - Immacolata Concezione - Prado Madrid

Lo stesso significò lo Spirito Santo, quando chiamò questa sua sposa orto chiuso e fonte segnato: Hortus conclusus, soror mea sponsa, hortus conclusus, fons signatus (Cant. IV, 12). Maria appunto, dice S. Girolamo, fu quest'orto chiuso e fonte suggellato; poiché in lei non entrarono mai i nemici ad offenderla, ma sempre ella ne fu illesa, restando santa nell'anima e nel corpo: Haec est hortus conclusus, fons signatus, ad quam nulli potuerunt doli irrumpere, nec praevalere fraus inimici; sed permansit sancta mente et corpore. Così S. Girolamo (Ep. 10, ad Eust., de Ass.). E similmente S. Bernardo disse, parlando colla B. Vergine: Hortus conclusus tu es, quem ad deflorandum manus peccatorum numquam introivit (V. in loc. cit. Cant. 4). Sappiamo che questo divino Sposo amò più Maria che tutti gli altri santi ed angeli insieme uniti, come asserisce il P. Suarez con S. Lorenzo Giustiniani ed altri.73 Egli sin dal principio l'amò e l'esaltò nella santità sopra di tutti, com'espresse Davide: Fundamenta eius in montibus sanctis; diligit Dominus portas Sion super omnia tabernacula Iacob... Homo natus est in ea, et ipse fundavit eam altissimus (Ps. LXXXVI, [1, 2, 5]). Parole che tutte significano che Maria fu santa sin dalla sua Concezione. Lo stesso significa ciò che le disse il medesimo Spirito Santo in altri luoghi. Multae filiae congregaverunt divitias, tu supergressa es universas (Prov. XXXI, [29]). Se Maria ha superati tutti in ricchezze della grazia, dunque ha avuto ancora la giustizia originale, come l'ebbero Adamo e gli angeli. Adolescentularum non est numerus: una est columba mea, perfecta mea - l'ebreo legge, integra, immaculata mea - una est matris suae (Cant. VI, [7, 8]). Tutte l'anime giuste son figlie della divina grazia, ma fra queste Maria fu la colomba senza fiele di colpa, la perfetta senza macchia d'origine, l'una conceputa in grazia. Quindi è che l'angelo, prima ch'ella fosse Madre di Dio, già la trovò piena di grazia e così la salutò: Ave, gratia plena. Sulle quali parole scrisse Sofronio che agli altri santi la grazia si dà in parte, ma alla Vergine fu data tutta: Bene gratia plena dicitur, quia ceteris per partes praestatur, Mariae vero simul se tota infudit plenitudo gratiae (Serm. de Ass. B.V.). Talmenteché dice S. Tommaso che la grazia non solo fe' santa l'anima, ma benanche la carne di Maria, acciocché di quella avesse indi potuto la Vergine vestirne il Verbo Eterno: Anima B. Virginis ita fuit plena, quod ex ea refudit gratiam in carnem, ut de ipsa conciperet Deum (Opusc. 8). Or tutto ciò conduce ad intendere che Maria sin dalla sua concezione dallo Spirito Santo fu fatta ricca e piena della divina grazia, come argomenta Pietro Cellense: Simul in ea collecta est gratiae plenitudo, quia ab exordio suae conceptionis aspersione Spiritus Sancti tota deitatis gratia est superfusa (Lib. de Panib., c. 10). Onde dice S. Pier Damiani: A Deo electam et praeelectam totam eam rapturus erat sibi Spiritus Sanctus (Serm. de Ann.). Rapturus, per ispiegare il santo la velocità del Divino Spirito in prevenire e far sua questa sposa, prima che Lucifero la possedesse.
Voglio finalmente chiudere questo discorso, in cui mi son diffuso più che negli altri, per ragione che la nostra minima Congregazione ha per sua principal protettrice la SS. Vergine Maria appunto sotto questo titolo della sua Immacolata Concezione: voglio, dico, finire con dichiarare in breve quali siano i motivi che mi fan certo, ed a mio parere dovrebbero far certo ognuno di questa sentenza così pia e di tanta gloria della divina Madre, ch'ella sia stata immune dalla colpa originale.
Vi sono molti Dottori ch'anzi difendono che Maria sia stata esente dal contrarre anche il debito del peccato; come sono il cardinal Galatino (De arca, l. 7, c. 18), il cardinal Cusano (Lib. 8, exercit. 8), De Ponte (L. 2, Cant., ex. 10), Salazar (De V. Conc., c. 7, § 7), il Caterino (De pecc. orig., c. ult.), il Novarino (Umbra Virg., c. 10, exc. 28), Viva (P. 8, d. 1, q. 2, a. 3), De Lugo, Egidio, Richelio, ed altri. Or questa opinione è ben ella probabile; poiché, s'è vero che nella volontà di Adamo come capo degli uomini furono incluse le volontà di tutti, secondo probabilmente tengono Gonet (Man., to. 3, tr. 5, c. 6, § 2), Habert (T. 3, de pecc., c. 7), ed altri, fondati sul testo di S. Paolo: Omnes in Adam peccaverunt (Rom. V); se ciò dunque è probabile, probabile benanche è che Maria non abbia contratto il debito del peccato: mentre avendola Dio molto distinta nella grazia dal comune degli uomini, dee piamente credersi che nella volontà di Adamo non abbia inclusa quella di Maria.
Questa opinione è solamente probabile, ed a questa io aderisco come più gloriosa per la Signora mia. Ma poi tengo per certa la sentenza che Maria non ha contratto il peccato di Adamo; siccome la tengono per certa, anzi per prossimamente definibile di fede, come la chiamano il cardinale Everardo (In exam. theol.), Duvallio (I-II, qu. 2, de pecc.), Rainaldo (Piet. Lugd., n. 29), Lossada (Disc. Th. de Imm. Conc.), Viva (Qu. Prod. ad Trut.), ed altri molti.
Lascio pertanto le rivelazioni che confermano la suddetta sentenza, specialmente quelle fatte a S. Brigida, approvate già dal cardinale Torrecremata e da quattro Sommi Pontefici, come si legge nel libro sesto di dette rivelazioni in più luoghi (al cap. 12, 49 e 55); ma a patto veruno lasciar non posso di notar qui le sentenze de' SS. Padri su questo punto, per dimostrare quanto essi sono stati uniformi in accordar tale privilegio alla divina Madre. S. Ambrogio dice: Suscipe me non ex Sara, sed ex Maria, ut incorrupta sit virgo, sed virgo per gratiam ab omni integra labe peccati (Serm. 22, in Ps. 118). Origene parlando di Maria dice: Nec serpentis venenosis afflatibus infecta est (Hom. I). S. Efrem: Immaculata, et ab omni peccati labe alienissima (Tom. 5, or. ad Dei Gen.). S. Agostino sulle parole dell'Angelo, Ave, gratia plena, scrisse: Quibus ostendit ex integro - nota ex integro - iram primae sententiae exclusam, et plenam benedictionis gratiam restitutam (Serm. 11, in Nat. Dom.). S. Girolamo: Nubes illa non fuit in tenebris, semper in luce (In Ps. 77). S. Cipriano o chi altro ne sia l'autore: Nec sustinebat iustitia, ut illud vas electionis communibus laxaretur iniuriis, quoniam plurimum a ceteris distans natura communicabat, non culpa (Lib. de card. Chr. oper., de Nat.). Sant'Anfilochio: Qui antiquam virginem sine probro condidit, ipse et secundam sine nota et crimine fabricatus est (Tr. de Deip.). Sofronio: Virginem ideo dici immaculatam, quia in nullo corrupta est (In. Ep., ap. 6 Syn., t. 3, p. 307). S. Idelfonso: Constat eam ab originali peccato fuisse immunem (Contr. Disp. de Virg. Mar.). S. Gio. Damasceno: Ad hunc paradisum serpens aditum non habuit (Or. 2, de Nat. Mar.). S. Pier Damiani: Caro Virginis ex Adam sumpta maculas Adam non admisit (Serm. de Ass. V.). S. Brunone: Haec est incorrupta terra illa, cui benedixit Dominus: ab omni propterea peccati contagione libera (In Ps. 101). S. Bonaventura: Domina nostra fuit plena gratia praeveniente in sua sanctificatione, gratia scilicet praeservativa contra foeditatem originalis culpae (Serm. 2, de Assumpt.). S. Bernardino da Siena: Non enim credendum est quod ipse Filius Dei voluerit nasci ex Virgine et sumere eius carnem quae esset maculata aliquo originali peccato (Tom. 3, serm. 49). San Lorenzo Giustiniani: Ab ipsa conceptione fuit in benedictionibus praeventa (Serm. de Ann.). L'Idiota su quelle parole, Invenisti gratiam, dice: Gratiam singularem, o dulcissima Virgo, invenisti, quia fuerunt in te ab originali labe praeservatio, etc. (Cap. 6). E lo stesso dicono tanti altri Dottori.

Ma i motivi che finalmente della verità di questa pia sentenza assicurano son due. Il primo si è il consentimento universale su questo punto de' fedeli. Attesta il P. Egidio della Presentazione (De praes. Virg., q. 6, a. 4) che tutti gli Ordini religiosi seguitano la detta sentenza; e dello stesso Ordine di S. Domenico, dice un moderno autore, benché siano 92 scrittori per la contraria, nulladimeno 136 sono per la nostra. Ma sopra tutto dee persuaderci che la nostra pia sentenza sia conforme al comun sentimento de' Cattolici, ciò che ne attesta il Papa Alessandro VII nella sua celebre bolla, Sollicitudo omnium ecclesiarum, uscita sin dall'anno 1661, in cui si dice: Aucta rursus et propagata fuit pietas haec et cultus erga Deiparam... ita ut, accedentibus Academiis ad hanc sententiam - cioè alla pia - iam fere omnes Catholici eam complectantur. Ed in fatti questa sentenza è difesa dalle accademie della Sorbona, di Alcalà, di Salamanca, di Coimbra, di Colonia, di Magonza, di Napoli, e da altre molte, in cui ciascun laureato si obbliga con giuramento alla difesa di Maria Immacolata. Di questo argomento, cioè del comun senso de' fedeli, sopra tutto s'avvale a provarla il dotto Petavio (Tom. 5, p. 2, l. 14, c. 2, n. 10); il quale argomento, scrive il dottissimo vescovo D. Giulio Torni (In adn. ad Aest., l. 2, dist. 3, § 2) che non può non convincere, mentre in verità, se non altro che 'l comun consentimento de' fedeli ci rende certi della santificazione di Maria nell'utero, e della sua Assunzione in cielo in anima e corpo; perché poi questo stesso comun sentimento de' fedeli non ci ha da render certi della sua Concezione immacolata? L'altro motivo più forte del primo, che ne fa certi dell'esenzione della Vergine dalla macchia originale, è la celebrazione ordinata dalla Chiesa universale della sua Concezione immacolata. E circa di ciò io vedo da una parte che la Chiesa celebra il primo istante, quando fu creata la di lei anima ed infusa al corpo, come dichiara Alessandro VII nella bolla mentovata, in cui si esprime darsi dalla Chiesa alla Concezione di Maria quello stesso culto che le dà la pia sentenza, la quale la vuol conceputa senza la colpa originale. Dall'altra parte intendo esser certo che la Chiesa non può celebrare cosa non santa, secondo gli oracoli di S. Leone Papa (Ep. Decr. 4, c. 2) e di S. Eusebio pontefice: In sede apostolica extra maculam semper est catholica servata religio (Decr., 24, q. 1, c. In sede); e come insegnano tutt'i Teologi con S. Agostino (Serm. 95 et 113), S. Bernardo (Ep. ad Can. Lugd.), e S. Tommaso, il quale per provare che Maria fu santificata prima di nascere, di questo argomento appunto si serve, cioè della celebrazione che fa la Chiesa di sua nascita, e perciò dice: Ecclesia celebrat nativitatem B. Virginis; non autem celebratur festum in Ecclesia nisi pro aliquo sancto; ergo B. Virgo fuit in utero sanctificata (3 p., q. 27, a. 2). Or s'è certo, come dice l'Angelico, che Maria fu santificata nell'utero, perché così la S. Chiesa celebra la sua nascita; perché poi non abbiamo da tenere per certo che Maria fu preservata dal peccato originale fin dal primo istante di sua Concezione, or che sappiamo che in questo senso la stessa Chiesa ne celebra la festa?
In conferma poi di questo gran privilegio di Maria son note già le grazie innumerabili e prodigiose che il Signore si compiace di dispensare tutto giorno nel regno di Napoli per mezzo delle cartelline della di lei Immacolata Concezione.

vedi: Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
          
L’UMILTA’ DI MARIA (da “LE GLORIE DI MARIA”)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Giovanni Paolo II, Omelia, Assunzione della Beata Vergine Maria, 15 agosto 2004

I due dogmi dell'Assunzione e dell'Immacolata Concezione sono tra loro intimamente legati. Entrambi proclamano la gloria di Cristo Redentore e la santità di Maria, il cui destino umano è già da ora perfettamente e definitivamente realizzato in Dio.

“Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io”, ci ha detto Gesù (Gv 14,3). Maria è il pegno del compimento della promessa di Cristo. La sua Assunzione diventa così per noi “segno di sicura speranza e di consolazione”.

La Vergine Maria sta davanti a noi come modello per il nostro cammino. “L’anima mia magnifica il Signore…” (Lc 1,46). I sentimenti che Maria vive erompono con forza nel cantico del Magnificat. Sulle sue labbra s’esprime l’attesa piena di speranza dei “poveri del Signore” e insieme la consapevolezza del compimento delle promesse, perché Dio “s’è ricordato della sua misericordia” (cfr Lc 1,54).

Proprio da questa consapevolezza scaturisce la gioia della Vergine Maria che pervade l’intero cantico: gioia per sapersi “guardata” da Dio nonostante la propria “bassezza” (cfr Lc 1,48); gioia per il “servizio” che le è possibile rendere, grazie alle “grandi cose” a cui l’ha chiamata l’Onnipotente (cfr Lc 1,49); gioia per il pregustamento delle beatitudini escatologiche, riservate agli “umili” ed agli “affamati” (cfr Lc 1,52-53).


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