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L'arcivescovo belga De Merode, che cambiò il volto della Roma di Pio IX

Ultimo Aggiornamento: 06/02/2010 19:37
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30/10/2009 18:22
 
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Fede, opere e attenzione ai «marginali»

Il rinascimento voluto
dal cognato di Montalembert


di Roberto Regoli

La Roma papale è conosciuta per la bellezza della città, i suoi musei, gli scavi archeologici, la maestosità architettonica e l'imponenza sacrale delle sue cerimonie. È tappa obbligatoria dei tour neoclassici e romantici. La Roma città, però, è anche altro. È una rete di persone, relazioni e istituzioni. Esiste una Roma meno conosciuta, quella dei bisognosi, dei malati e dei prigionieri. Esiste una Roma rete di istituzioni caritative ed educative. È la città che conobbe e nella quale visse monsignor François-Xavier de Merode.

Nella Roma del periodo si ha un incremento costante della popolazione, al cui interno il clero costituisce mediamente il 3,5 per cento della popolazione, con tendenza a salire da metà secolo al 1870, anche per l'afflusso di religiosi provenienti dagli Stati gradualmente annessi al Regno d'Italia.

La significativa presenza del clero rende unica al mondo la città, arricchita ulteriormente da una rilevante presenza religiosa femminile. È una città in crescita tanto demografica, quanto urbanistica. Ciò è dovuto soprattutto all'afflusso dalle campagne romane. La plebe costituisce circa il 90 per cento della popolazione, essendo poco incisiva la presenza del ceto medio e numericamente poco significativa l'aristocrazia. Le autorità governative si sforzano per garantire l'alimentazione di una città sovraffollata e improduttiva. Seguendo le descrizioni dei forestieri, che facevano confronti con le loro città, il costo della vita a Roma è ritenuto basso. Tra gli stranieri, risulta significativa la presenza di francesi ed inglesi. Questi ultimi formano una specie di colonia, nella quale alcuni di loro si imparentano con la nobiltà romana. In un contesto più ampio, bisogna ricordare il costante accorrere delle folle alle grandi celebrazioni papali:  si va a Roma non soltanto per visitare le tombe dei martiri, ma per incontrare il Papa Pio IX. La città continua ad essere meta di pellegrinaggi. La rete romana di locande, osterie e alberghi non può che beneficiarne.

A livello abitativo, qualcosa comincia a muoversi nella Roma dell'ultimo Pio IX, nel quadro di un lento processo di trasformazione cittadina, per cui si abbattono e si ricostruiscono case, sempre più alte, con nuove tipologie di appartamenti e servizi, nuovi materiali e nuove apparenze esterne. Di nuovo c'è la stazione ferroviaria di Termini (1863) e l'inizio di un quartiere nei suoi pressi (piazza dell'Esedra). Permangono comunque i gravi problemi della carenza di abitazioni (diffuso il fenomeno del subaffitto).

La città si modernizza. Nel 1854 si fa gran festa per l'illuminazione a gas della "Strada papale" (piazza Venezia e del Gesù, del Corso). Negli anni Sessanta, si studiano nuovi sistemi di trasporto urbano:  appaiono i primi servizi con i cavalli. Roma offre spazio sicuro all'impiego statale, alla clientela professionale e, in misura variabile, all'artigianato e al commercio. Durante il pontificato di Pio IX, si realizzano alcune opere, quali il tabacchificio di piazza Mastai, l'espansione urbanistica a ridosso di Termini, i restauri di molte chiese, le case popolari nei quartieri più degradati, l'apertura effettiva del cimitero del Verano e l'inaugurazione della ferrovia Roma-Frascati.

Il governo promuove l'attività industriale, che va dall'arte del doratore alle fabbriche di argille e mattoni (1864). Nello stesso periodo si avvia un graduale processo di imborghesimento della città, che costituirà uno dei caratteri peculiari dell'ultimo decennio di governo dei papi.

A livello di occupazione lavorativa, possono essere forniti dei dati significativi. Nel 1798-1799 più di 70.000 abitanti (46,6 per cento) sono bisognosi di aiuto, nel periodo 1809-1814 se ne hanno 30.000 (22 per cento della popolazione), mentre appena dopo il 1870 si hanno ben 112.000 romani (cioè metà della popolazione) che dichiarano alle sbigottite autorità italiane di non avere alcuna occupazione e risorsa. Gli storici, però, ritengono che in realtà solo un terzo della popolazione abbisognasse di lavoro o pane. Da secoli Roma era rifugio di vagabondi, oziosi, miserabili ed accattoni. A quest'ultimo degrado umano, si può associare quello urbano. Colpiscono, infatti, le condizioni di sporcizia in cui sono lasciate strade e piazze, con noncuranza delle norme igieniche.
Per andare incontro alle esigenze dei poveri e non semplicemente degli accattoni, lo Stato interviene costantemente. Si cerca di creare lavoro tramite il collaudato sistema pontificio dei lavori pubblici, soprattutto a partire dall'inizio del pontificato di Pio IX (1846).

Non solo lo Stato interviene, ma anche i privati:  individui, famiglie, congregazioni religiose, confraternite, istituti pii e corporazioni. Il peso principale, però, viene sostenuto dalla finanza e dall'organizzazione dello Stato. La stessa cassa privata del Pontefice interviene in elargizioni ufficiali. Particolarmente l'Elemosineria Apostolica, ufficio alla cui testa venne posto monsignor de Merode, distribuisce soccorsi di vario genere alle famiglie povere.

Esemplificando, nel 1842, operano 65 istituzioni, di cui alcune erano a carico di privati (le famiglie Torlonia, Doria, Odescalchi), riuscendo ad assistere 27.193 persone. Le vicende politiche dell'Ottocento portarono a un eccezionale aumento dell'esercito pontificio, perciò vengono aperti due ospedali per militari malati:  uno nel 1841 e uno nel 1867, l'anno di Mentana, per i soldati pontifici, francesi e anche garibaldini. Per quest'ultimo ospedale si deve molto a de Merode, che, in più, volle completare il suo istituto stabilendo a Borgo Santo Spirito una scuola per le figlie dei militari. Nel 1860 viene istituito il primo gerontocomio di Roma, nel 1869 l'ultimo ospedale della Roma papale, quello del Bambin Gesù, primo ospedale pediatrico di Roma, e vengono creati nuovi istituti specializzati. Tra il 1862 ed il 1870 circa il 4,6 per cento della popolazione è ricoverata annualmente presso gli istituti di carità.

Per quanto riguarda le malattie, la malaria è al primo posto, seguono le malattie respiratorie (come la tubercolosi), intestinali e della circolazione. È anche diffusa la sifilide. Il colera colpisce nel 1854-1855 e nel 1867-1868, il vaiolo gravemente nel 1866. Dinanzi alle epidemie coleriche, Pio IX erige lazzaretti ed elargisce soccorsi e sussidi.

Durante l'epidemia del 1854 de Merode si contraddistinse per lo zelo caritatevole. Ogni giorno, dopo aver prestato il suo servizio presso Pio IX, andava a visitare gli ospedali, sostando presso ogni letto, incoraggiando gli ammalati e distribuendo aiuti. Riuscì persino a persuadere il Papa ad andare a visitare lui stesso l'ambulatorio di sant'Andrea, destinato alla cura dei soldati. La visita fece molto scalpore a Roma e contrariò il cardinale Antonelli.

A proposito delle opere assistenziali, ne esistono alcune specializzate, come quelle per le "traviate", tese alla riabilitazione morale e alla rieducazione delle povere peccatrici. In questo ambito, un ricovero per condannate e anche per mendicanti fu aperto nel 1868 da de Merode nella villa Altieri.

Attento a ogni forma di marginalizzazione sociale, si occupa anche della riforma delle prigioni, in un contesto delicato, in quanto, a metà Ottocento, gli omicidi a Roma sono più frequenti che in altre grandi città dell'epoca. Ciononostante, decide di affidare agli ordini religiosi la conduzione dei prigionieri.

De Merode è assai operativo nella carità pratica. In ciò deve essere stato aiutato dall'educazione familiare. Dalle testimonianze di Montalembert, cognato del giovane monsignore, sappiamo che i nonni di François-Xavier "sono consacrati al sollievo e all'educazione dei poveri dei dintorni" del loro castello, così anche la madre è dedita alla beneficenza. Al castello di Villersexel, residenza della famiglia de Merode "tutto è per i poveri" scrive Montalembert.

Nella città eterna del XIX secolo non mancano gli istituti per l'educazione della gioventù. Esistono numerose scuole elementari, diversi collegi e due università. Gli strumenti per la formazione culturale non sono pochi. Si può riconoscere a Roma un ambiente culturalmente significativo, soprattutto nel campo dell'arte, dell'archeologia, per la presenza di importanti ed uniche biblioteche.

Estendendo lo sguardo all'intero Stato pontificio e considerandone il livello di istruzione, la valutazione è piuttosto positiva. Fra gli Stati italiani pre-unitari, quello pontificio è tra quelli che più rapidamente recuperano ampie fasce di ignoranza:  nel 1858 il tasso di scolarità generale è del 27 per cento, mentre nel 1870 il tasso di analfabetismo della sola provincia romana è del 60 per cento, inferiore a quello di Sicilia, Sardegna, Campania e Toscana, che già da almeno un decennio erano parte del Regno d'Italia.
Nel 1870, gli studenti assistiti dal clero sono più di 19.000 (l'8,5 per cento della popolazione), dei quali solo il 23,5 per cento paga per l'insegnamento ricevuto. A questo livello riforma l'Istituto delle "Zoccolette", come anche altri istituti destinati all'infanzia (per esempio, la scuola di San Luigi Gonzaga).

De Merode è un uomo che ha inciso nella vita cittadina del suo tempo, intento a innovare prigioni, scuole, ospedali e istituti caritativi; in questo è un rappresentante tipico della sua epoca. Ma siamo già al 1870.

La Roma papale tramonta, mentre sorge la capitale del Regno d'Italia. Il nuovo governo cittadino, anche dopo la morte del prelato (1874), accoglierà e realizzerà i suoi progetti urbanistici.



(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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