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Dialogo su Atti 20,28

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2009 18:08
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11/11/2009 18:06
 
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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 30/01/2004 23.13

Caro Fonte,

Nella nota da te riportata, si legge:

(Codice Alessandrino, Codice Ephraemi rescriptus, Codici di Beza, Versione siriaca filosseniana-harclense) (seguiti, ad esempio, dalla traduzione di F. Nardoni) leggono "Chiesa del Signore", anziché "chiesa (congregazione) di Dio". In tal caso non ci sono difficoltà a leggere: "col suo proprio sangue".

A questo punto mi chiedo:

A chi si riferisce in questo caso "Chiesa del Signore"? Mi pare evidente che in questo caso si riferisce al Figlio, il quale ha acquistato appunto la Chiesa col suo proprio sangue.

Ma il Signore è uno solo ed è Dio. Quindi dire "Chiesa del Signore" e dire "Chiesa di Dio" è la stessa cosa;

I copisti che in alcuni codici minori usarono questa espressione alternativa (Chiesa del Signore) mostrano a mio avviso, di aver interpretato l’espressione "Chiesa di Dio", che si trova nei codici maggiori e più accreditati, appunto come "Chiesa di Dio Figlio" (e cioè il Signore), che egli si è acquistato col suo proprio sangue.     Così come avevo accennato nel mio precedente post.

Qui non si tratta di fare traduzioni di convenienza per nessuno: né contro i patripassiani, né contro gli unitariani. Si tratta di tradurre il testo come giace nei codici più attendibili. E siccome la traduzione letterale è coerente ed intelligibile e non contraddice né la dottrina, né l’analogia della fede della Chiesa, né il confronto con altri testi del NT, mi tengo la mia convinzione al riguardo.

L’idea che "Chiesa di Dio" debba riferirsi per forza solo a Dio Padre, in questo versetto, non lo condivido quindi per tutti i motivi già espressi. Mi sembra invece fortemente accreditata l’idea che si riferisca a Dio Figlio, anche se altri interpreti,  possono pensarla diversamente.

::::::::::::::::::::

Quello che segue è un estratto significativo dell’enciclica Divino Afflante Spiritu scritto da Pio XII nel 1943, che sottolinea con forza la necessità di far ricorso ai testi originali per poter cercare di rendere le traduzioni sempre più fedeli e attendibili.

….

All'interprete cattolico che si accinge all'opera di intendere e spiegare le divine Scritture, già i Padri della Chiesa, e in prima linea Sant'Agostino, grandemente raccomandavano lo studio delle lingue
antiche e il ricorso ai testi originali (Cfr. per es. S. Hieron., Praef. in IV Evang. ad Damasum, PL. XXIX, col. 526-527; August., De doctr. christ. II, 16; P.L. XXXIV, col. 42-43).

Tuttavia tali erano a quei tempi le condizioni degli studi, che non molti, e quei medesimi soltanto in grado imperfetto, possedevano la lingua ebraica. Nel medio evo poi, mentre era in sommo fiore la Teologia Scolastica, anche la conoscenza del greco era da grande tempo scemata in Occidente, sicché anche i più grandi Dottori di quel tempo nello spiegare i Sacri Libri non si potevano basare che sulla versione latina della Volgata.

Ai giorni nostri al contrario non soltanto la lingua greca, che col Rinascimento risorse, per così dire, a novella vita, è pressoché familiare a tutti i letterati e studiosi della antichità, ma anche dell'ebraico e di altre lingue orientali è diffusa la conoscenza fra le persone colte.

Si ha poi adesso tanta abbondanza di mezzi per imparare quelle lingue, che un interprete della Bibbia, il quale trascurandole si precluda da sé la via di giungere ai testi originali, non può sfuggire alla taccia di leggerezza e di ignavia.

Dovere dell'esegeta per fermo è raccogliere con somma cura, e con venerazione quasi afferrare ogni apice anche minimo, che provenga dalla penna dell'agiografo sotto l'azione del Divino Spirito, al fine di penetrarne a fondo ed appieno il pensiero. Perciò seriamente procuri di acquistarsi una perizia ogni dì maggiore nelle lingue bibliche, ed anche nelle altre lingue orientali, e rincalzi la sua interpretazione con tutti quei mezzi, che fornisce la filologia in ogni sua parte. Tutto ciò si studiò già di conseguire San Girolamo con le cognizioni della sua età e ad altrettanto mirarono, con indefessa applicazione e frutto più che ordinario, non pochi dei grandi esegeti dei secoli XVI e XVII, sebbene allora fosse assai minore, che adesso, la scienza delle lingue. Per ugual via dunque occorre spiegare quel testo originale, che, per essere immediato prodotto del sacro autore,

ha maggiore autorità e maggiore peso di qualunque traduzione, antica o moderna, per quanto ottima; e ciò per certo si otterrà con più facilità e profitto, se alla conoscenza delle lingue si accoppierà una soda perizia della critica relativa al testo medesimo.

Quanta importanza si debba annettere a tale critica, accortamente lo fa intendere Sant'Agostino, quando fra i precetti da inculcare allo studioso del Sacri Libri mette in primo luogo la cura di procacciarsi un testo corretto. "Ad emendare i codici - così quel chiarissimo Dottore della Chiesa - deve anzitutto attendere la solerzia di coloro, che bramano conoscere le divine Scritture, affinché gli scorretti cedano il posto agli emendati" (De doct. christ. II, 21; PL. XXXIV, col. 46).

Oggi poi quest'arte, che suol chiamarsi critica testuale e nelle edizioni degli autori profani s'impiega con grande lode e pari frutto, con pieno diritto si applica ai Sacri Libri appunto per la riverenza dovuta alla parola di Dio. Scopo di essa infatti è restituire con tutta la possibile precisione il sacro testo al suo primitivo tenore, purgandolo dalle deformazioni introdottevi dalle
manchevolezze dei copisti e liberandolo dalle glosse e lacune, dalle trasposizioni di parole, dalle ripetizioni e da simili difetti d'ogni genere, che negli scritti tramandati a mano pei molti secoli usano infiltrarsi.

È vero che di tal critica alcuni decenni or sono non pochi abusarono a loro talento, non di rado in guisa che si direbbe abbiano voluto introdurre nel sacro testo i loro preconcetti. Ma oggi appena occorre dire che quell'arte ha raggiunta una tale stabilità e sicurezza di forme, che agevolmente se ne può scoprire l'abuso, e con i progressi conseguiti essa è divenuta un insigne strumento atto a propagare la divina parola in una forma più accurata e più pura. Neppure fa bisogno qui ricordare - essendo cosa nota e palese a tutti gli studiosi della Sacra Scrittura - in quanto onore abbia tenuti la Chiesa dai primi secoli all'età nostra, questi lavori di critica.

Oggi dunque, poiché quest'arte è giunta a tanta perfezione, è onorifico, benché non sempre facile, ufficio degli scritturisti procurare con ogni mezzo che quanto prima da parte cattolica si preparino edizioni dei Sacri Libri sì nei testi originali, e sì nelle antiche versioni, regolate secondo le dette norme; tali cioè che con una somma riverenza al sacro testo congiungano un'accurata osservanza di tutte le leggi della critica. E tutti sappiamo che questo lungo lavoro di critica non solo è necessario a rettamente comprendere gli scritti divinamente ispirati, ma anche è imperiosamente richiesto da quella pietà che deve renderci sommamente grati a quel provvidentissimo Dio, che questi libri a noi, quasi a propri figli, mandò quali paterne lettere dal trono della sua Maestà.

E nessuno pensi che l'accennato uso dei testi originali condotto a norma di critica venga in alcun modo a derogare a quanto il Concilio di Trento saggiamente prescrisse sulla Volgata latina (Decr. de editione et usu Sacrorum Librorum; Conc. Trid. ed. Soc. Goerres, t. V, p. 91 s.).

….. Se il Concilio di Trento volle che la Volgata fosse quella versione latina, "di cui tutti dovessero valersi come autentica", anzitutto ciò riguarda solo, come tutti sanno, la Chiesa latina e l'uso che in essa si ha da fare della Scrittura, e del resto non vi è dubbio che non diminuisce punto l'autorità e il valore dei testi originali. Infatti non era allora questione dei testi originali della Bibbia, ma delle traduzioni latine, che a quel tempo circolavano, e fra queste giustamente il medesimo Concilio stabilì doversi preferire quella che "per il diuturno uso di tanti secoli nella Chiesa stessa aveva ricevuta l'approvazione". Questa preminente autorità, ovvero, come suol dirsi, autenticità della Volgata fu dal Concilio decretata non già principalmente per motivi di critica, ma piuttosto per l'uso legittimo che se ne fece nelle Chiese lungo il corso di tanti secoli: il quale uso dimostra che essa, nel senso in cui la intese e intende la Chiesa, va affatto immune da errore in tutto ciò che tocca la fede ed i costumi. Da questa immunità, di cui la Chiesa fa testimonianza e dà conferma, proviene che nelle dispute, lezioni e prediche si possa citare la Volgata in tutta sicurezza e senza pericolo di sbagliare
. Perciò quell'autenticità va detta non critica, in prima linea, ma piuttosto giuridica. Quindi l'autorità che la Volgata ha in materia di dottrina non impedisce punto anzi ai nostri giorni quasi esige che quella medesima dottrina venga provata e confermata per mezzo dei testi originali, e che inoltre ai medesimi testi si ricorra per dischiudere e dichiarare ogni dì meglio il vero senso delle Divine Scritture.

Anzi neppur vieta il decreto del Tridentino che, per uso e profitto dei fedeli e per facilitare l'intelligenza della divina parola, si facciano traduzioni nelle lingue volgari, e precisamente anche dai testi originali, come sappiamo che in molti Paesi lodevolmente si è fatto con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica.

Fornito così della conoscenza delle lingue antiche e del corredo della critica, l'esegeta cattolico si applichi a quello che fra tutti i suoi compiti è il più alto: trovare ed esporre il genuino pensiero dei Sacri Libri.

Nel far questo, gli interpreti abbiano ben presente che loro massima cura deve essere quella di giungere a
discernere e precisare quale sia il senso letterale, come suol chiamarsi, delle parole bibliche. Perciò devono con ogni diligenza rintracciare il significato letterale delle parole, giovandosi della cognizione delle lingue, del contesto, del confronto con luoghi simili: cose tutte, donde anche nell'interpretazione degli scritti profani si suole trarre partito per mettere in limpida luce il pensiero dell'autore. I commentatori però della Sacra Scrittura, non perdendo di vista che si tratta della parola da Dio ispirata, della quale da Dio stesso fu affidata alla Chiesa la custodia e l'interpretazione, con non minore diligenza terranno conto delle spiegazioni e dichiarazioni del Magistero ecclesiastico, come pure delle esposizioni dei Santi Padri, ed anche della "analogia della fede", secondo che Leone XIII nell'Enciclica "Providentissimus Deus" con somma sapienza avvertì (Leone XIII, Acta XIII, pp. 345-346; Ench. Bibl. n, 94-96).

Per quanto riguarda il testo di 1Gv 5,7-8, alla luce di quanto sopra, farò appena possibile un altro post.

P.S. Facciamo i copia e incolla che riteniamo utili, dopo averli studiati.

Con affetto


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Consiglia Elimina    Messaggio 21 di 35 nella discussione 
Da: Soprannome MSNTGfonteInviato: 31/01/2004 12.14

Cara Caterina,

per chiarezza e comodità di tutti riporto 1 Giovanni 5:5-8 come scritto in 5 versioni bibliche, di cui 2, la Tintori e la Ricciotti, includono il comma giovanneo.

Ricciotti

5 Chi è che vince il mondo, se non colui che crede che Gesù è il Figliolo di Dio? 6 Questi è colui che è venuto con l’acqua e il sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua solo, ma con l’acqua e con il sangue. E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. 7 Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo; e questi tre sono una cosa sola. 8 E sono tre che rendono testimonianza in terra: lo spirito, l’acqua e il sangue; e questi tre sono una cosa sola.

Tintori

5 E chi è che vince il mondo, se non colui il quale crede che Gesù è il Figliolo di Dio? 6 Questi è appunto quel Gesù Cristo che è venuto con l’acqua e col sangue, non coll’acqua soltanto, ma coll’acqua e col sangue. E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. 7 Son infatti tre che rendon testimonianza in Cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono uno solo; 8 e son tre che rendono testimonianza in terra: lo spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono una sola cosa.

TILC

5 Solo chi crede che Gesù è il Figlio di Dio può vincere il mondo.

6 Il Figlio di Dio è quel Gesù che è stato battezzato in acqua, e ha versato il suo sangue sulla croce. Non è passato soltanto attraverso l'acqua, ma anche attraverso il sangue. È lo Spirito che dà testimonianza di questo, quello Spirito che è verità.

7 Anzi, sono tre a rendere la testimonianza:

8 lo Spirito, l'acqua e il sangue, e tutti e tre sono concordi.

CEI

5 E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? 6 Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità. 7 Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: 8 lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi.

TNM

5 Chi è colui che vince il mondo se non colui che ha fede che Gesù è il Figlio di Dio? 6 Questi è colui che venne per mezzo di acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l'acqua soltanto, ma con l'acqua e col sangue. E lo spirito è quello che rende testimonianza, perché lo spirito è la verità. 7 Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza, 8 lo spirito e l'acqua e il sangue, e i tre sono concordi.

Dunque il comma giovanneo consiste nell’aggiunta di: "in Cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono uno solo; 8 e son tre che rendono testimonianza in terra"

Ti pare veramente un’aggiunta di poco conto?

Cara Caterina, mi dispiace, sinceramente, doverti scrivere che rifiuti anche l’evidenza dei fatti.

Mentre per la TNM si parla di una traduzione diversa in alcuni versetti da quelle fatte dalla maggioranza dei traduttori appartenenti alle Chiesa tradizionali, traduttori che hanno adottato il dogma trinitario come criterio di traduzione, nel caso del comma giovanneo si tratta di una vera e propria aggiunta al testo, fatta di proposito, per sostenere la dottrina non biblica della trinità.

Proverbi 30:6 "Non aggiungere nulla alle sue parole, perché non ti riprenda e tu sia trovato bugiardo."

In relazione al comma giovanneo, a chi si applicano queste parole?

TGfonte


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Da: Soprannome MSN°RaptorInviato: 31/01/2004 12.31
Innanzitutto, caro TGFonte, vedo che hai citato la versione CEI che NON riporta il comma giovanneo nel corpo del testo. In realtà lo riporta in nota.
C'è però un problema:c'è ancora chi sostiene l'autenticità del versetto attribuendo la sua cancellazione dai testi più antichi ad opera delle frequenti revisioni di Origene.
Ancora oggi l'autenticità di questo versetto è discussa ma non esiste nessuna prova certa che esso sia realmente falso. Ed infatti, come tu hai fatto rilevare, alcuni biblisti lo riportano nel corpo del testo stesso considerandolo autentico. Fra questi ci sono le versiono protestanti del Diodati e la Bibbia di Re Giacomo.
Attualmente la Chiesa Cattolica, a seguito degli studi fatti sui testi più antichi, opta per la sua conservazione solo nelle note ritenendo che possa essersi trattato di una glossa marginale che è stata poi successivamente incorporata nel testo a seguto di un errore di copiatura.
Invece di accusare di "falsificazione" sarebbe invece opportuno rilevare che la Chiesa cattolica, una  volta sospettata l'"intrusione" di questo comma, ha provveduto a toglierlo dal testo.
Resta il fatto che quel versetto NON è usato come prova per dimostrare la Trinità, come i Testimoni di Geova vogliono far credere.

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Consiglia Elimina    Messaggio 23 di 35 nella discussione 
Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 31/01/2004 12.43
Caro TG fonte..con la speranza che tu possa meditare anche il testo che ti ha inserito Teofilo...comincio veramente a pensare quanto il tuo cuore sia chiuso......chiuso non all'amore, ma al mistero della Trinità....
Dunque mi chiedi se sono cose di poco conto la differenza dei versi e mi riporti:

Proverbi 30:6 "Non aggiungere nulla alle sue parole, perché non ti riprenda e tu sia trovato bugiardo."

In relazione al comma giovanneo, a chi si applicano queste parole?

.........
per rispondere occorre che prima di tutto tu ti faccia una domanda: questo preclude la Trinità? l'aggiungere quella parte dettagliata toglie, svela o aggiunge qualcosa al Mistero?
Inoltre esso va raffrontanto non ad un singolo versetto come fai tu, ma al contesto......
Le parole dei Proverbi dunque si applicano a chi, MANIPOLANDO  la Bibbia gli fa dire l'esatto contrario o nega una verità descritta in altre parti.....
Aritronamo al testo
ciò che a noi interessa sono tre fattori comuni fra loro: l'acqua, il sangue e lo Spirito.....
L'acqua è prefigurazione appunto del Battesimo;
il sangue è il mezzo con il quale Cristo rende a noi la testimonianza della Verità mediante la Croce.....
lo Spirito che è OPERANTE e SANTIFICA TUTTO e rende dunque TESTIMONIANZA.....
Ora tutto questo viene omesso nelle traduzioni che riconosciamo?
NO.....dunque non c'è falsificazione...... il nodo centrale della frase tutta intera NON sta affatto al versetto 7 o 8 quella E' LA CONCLUSIONE......dei versetti 1-6........
Dire perciò:
in Cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono uno solo; 8 e son tre che rendono testimonianza in terra"....
....
non è affatto una falsificazione ma un ricondurci al prologo giovanneo: In Principio ERA IL VERBO (o Parola); e il Verbo era presso Dio; e il Verbo ERA DIO......." E il Verbo si fece Carne e venne ad abitare in mezzo a noi.....
"ma come avverrà poichè NON conosco uomo?" dirà Maria all'angelo, ed egli: "LO SPIRITO SANTO SCENDERà SU DI TE, SU DI TE SI POSERA' L'OMBRA DELL'ALTISSIMI, PERCIO' COLUI CHE NASCERà SARà CHIAMATO SANTO...." ecc.....
Dunque tutto si ricollega ad una verità ben descritta in altri passi evangelici e da voi invece ABILMENTE FALSIFICATI.....come appunto Giovanni nel suo Prologo....
Gesù è venuto dunque CON ACQUA E CON SANGUE e l'apostolo insiste: NON soltanto con acqua, ma acqua e sangue.....e lo Spirito lo attesta, come avvenne per l'Incarnazione.....e il Verbo essendo PRESSO DIO, ED IL VERBO ESSENDO DIO....il Padre opera nel Figlio....UNITARIAMENTE senza alcuna distinzione e lo Spirito attesta questa verità perchè lo Spirito è la Terza Persona distinta dal Padre e dal Figlio ma che non agisce autonomamente, nè il Figlio agisce autonomamente....i tre sono così UNA COSA SOLA IN TUTTO E PER TUTTO......
Lo so Tg fonte...è un mistero...ma non tentare di distorcerlo se non arrivi a comprenderlo, vedrai che non appena affronterai l'argomento senza pregiudizi...qualcosa comincerai a capire....
Fraternamente Caterina

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Consiglia Elimina    Messaggio 24 di 35 nella discussione 
Da: Soprannome MSNTGfonteInviato: 31/01/2004 20.54

Caro Teofilo,

ho in mio possesso la versione CEI del 1974 e quella del NT CEI del 1997, entrambe non riportano in calce il comma giovanneo. In quale altra versione della CEI è riportato in calce il comma giovanneo? e cosa vi è scritto?

Sul fatto che il comma giovanneo costituisca una falsificazione non ci sono oramai più dubbi, come non ce ne sono sulla motivazione alla sua creazione, cercare di dare un sostegno biblico alla dottrina trinitaria.

E’ stato sempre usato a tale scopo, anche se data l’evidenza non ce ne sarebbe bisogno, ti cito un’opera cattolica "A Catholic Commentary on Holy Scripture" (1953) che ha la presunzione di spiegare come il Padre, la Parola (Gesù) e lo Spirito Santo rendono tutti testimonianza alla divinità di Cristo. Poi, spiegando le parole "e questi tre sono uno", quest'opera dichiara che "hanno un'identica natura". Ma poi rimanda a un'altra pagina (che probabilmente la maggioranza dei lettori non consulterebbe), vi si trova l'ammissione che ora questo passo è generalmente considerato una glossa infiltratasi negli antichi manoscritti latini, della Vulgata e greci.

Dici che appena la Chiesa sospettò del comma giovanneo lo tolse dal testo, sai perfettamente che non è così, da secoli, per usare un eufemismo, c’era il "sospetto", però ciò andava contro la Vulgata e, di conseguenza, contro Concili e encicliche che la sostenevano esente da errori; solo le più moderne bibbie cattoliche lo hanno eliminato, rendendo i tentativi, tuoi e di Caterina, di difendere l’indifendibile superati, ricordano l’espressione "più realisti del re" o, i soldati giapponesi che ancora combattevano non sapendo che la guerra era finita e persa.

TGfonte

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