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Il Papa alla Comm. Teologica Intern. e catechesi ai TEOLOGI in generale

Ultimo Aggiornamento: 05/12/2014 13:25
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Cari amici,

questa mattina S. S. Benedetto XVI ha celebrato la S. Messa rivolto ad orientem nella Cappella Paolina (recentemente restaurata) con i membri della Commissione Teologica Internazionale.
Dal sito "New Liturgical Movement" la notizia e alcune fotografie:
http://www.newliturgicalmovement.org/2009/12/pope-celebrates-ad-orientem-in-pauline.html

Cordialmente,
Musicus Philologus   



Pope Celebrates Ad Orientem in the Pauline Chapel

Today, the Holy Father celebrated Mass with the members of the International Theological Commission, which has its yearly assembly in htese days. The Mass was offered in the Pauline Chapel of the Apostolic Palace, which has been reinaugurated in July after an extensive restoration which included a repositioning of the altar so that Mass can be celebrated both versus populum and versus Deum. Today Pope Benedict availed himself of this new possibility and celebrated Mass ad orientem. Here are some images of the Mass from the Osservatore Romano:

















SANTA MESSA CON I MEMBRI DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

Alle ore 7.30 di questa mattina, nella Cappella Paolina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha celebrato la Santa Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale.


e da Radio Vaticana

Benedetto XVI ai teologi: se non si ha l'umiltà di sentirsi piccoli non è possibile alcuna comprensione di Dio

Il vero teologo è colui che non cede alla tentazione di misurare con la propria intelligenza il mistero di Dio, spesso svuotando di senso la figura di Cristo, ma è colui che è cosciente della propria limitatezza, come lo furono molti grandi Santi riconosciuti anche come grandi maestri. E’ questo il pensiero di sintesi che Benedetto XVI ha rivolto all’omelia della Messa celebrata stamattina con i membri della Commissione Teologica Internazionale, impegnati da ieri nella plenaria annuale. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Il prototipo del teologo saccente che studia la Sacra Scrittura come certi scienziati studiano la natura - cioè con una freddezza accademica che pretende di vivisezionare il mistero e ignora la scintilla del trascendente - Benedetto XVI lo ravvisa negli antichi scribi che indicano ai Magi la strada per Betlemme, per il Dio Bambino. Costoro, osserva, sono “grandi specialisti: possono dire dove nasce il Messia” ma “non si sentono invitati ad andare”. La notizia “non tocca la loro vita, rimangono fuori. Possono dare informazioni, ma l’informazione non diventa formazione della propria vita”:

“E così anche nel nostro tempo, negli ultimi duecento anni, osserviamo la stessa cosa. Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede che ci hanno insegnato tante cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura, della storia della salvezza. Ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo: che questo Gesù era realmente Figlio di Dio (…) Si potrebbe facilmente fare grandi nomi della storia della teologia di questi duecento anni dai quali abbiamo imparato tanto, ma non è stato aperto agli occhi del loro cuore il mistero”.

Il Papa è severo con questo modo di procedere che, afferma, “si mette sopra Dio”. Lo è con gli scienziati che adottano, dice, un metodo nel quale “Dio non entra” e quindi “non c’è”. Ma lo è ancor più con certa teologia che mortifica il divino e della quale spiega i difetti con un’immagine efficace:

“Si pesca nelle acque della Sacra Scrittura con una rete che permette solo una certa misura per questi pesci e quanto va oltre questa misura non entra nella rete e quindi non può esistere. E così il grande mistero di Gesù, del Figlio fattosi uomo, si riduce a un Gesù storico, realmente una figura tragica, un fantasma senza carne e ossa, uno che è rimasto nel sepolcro, è corrotto, è realmente un morto”.
Ma la storia della Chiesa è ricca di uomini e donne capaci di riconoscere la loro piccolezza al cospetto della grandezza di Dio, capaci di umiltà e dunque di arrivare alla verità. E di questa lunga schiera Benedetto XVI cita qualche nome:
“Da Bernardette Soubirous a santa Teresa di Lisieux con una nuova lettura della Sacra Scrittura, non scientifica, ma entrando nel cuore della Sacra Scrittura, fino ai santi e beati del nostro tempo: suor Bakhita, madre Teresa, Damian de Veuster. Potremmo elencarne tanti”.

Ecco, ha proseguito il Papa, una categoria di “piccoli che sono anche dotti”, modelli cui ispirarsi perché, ha auspicato, ci aiutino “a essere veri teologi che possono annunciare il suo mistero perché toccati nella profondità del loro cuore”. Come lo fu la Madonna, o San Giovanni, o il centurione sotto Croce. O ancora San Paolo, che nella sua vicenda racchiude in modo emblematico la parabola del passaggio dalla falsa alla vera sapienza:

“E così anche dopo la sua risurrezione il Signore, sulla strada verso Damasco, tocca il cuore di Saulo, che è uno dei dotti che non vedono. Lui stesso, nella prima lettera a Timoteo, si chiama ignorante in quel tempo, nonostante la sua scienza. Ma il risorto lo tocca. Diventa cieco e diventa realmente vedente. Comincia a vedere. E il dotto grande diviene un piccolo e proprio così vede la stoltezza di Dio che è saggezza, sapienza più grande di tutte le saggezze umane”.

I lavori della Commissione Teologica Internazionale, presieduta dal cardinale William Levada, proseguiranno in Vaticano fino venerdì prossimo. In questa prima sessione del nuovo quinquennio, la Commissione deciderà i temi da trattare nei prossimi cinque anni e l’organizzazione concreta dei lavori. Tra i temi che il cardinale presidente ha chiesto alla Commissione di prendere in considerazione figura la questione della metodologia teologica, già affrontata durante il precedente quinquennio.

© Copyright Radio Vaticana


Sorriso GRANDIOSO..........GRANDIOSO, GRANDIOSO!!!!!!!
GRAZIE SANTO PADRE!
 
 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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03/12/2009 00:05
 
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L'omelia del Papa durante la messa di martedì mattina con i membri della Commissione Teologica Internazionale

(monumentale catechesi PRONUNCIATA A BRACCIO) [SM=g1740722]

La ragione che si apre al mistero
diventa vera saggezza




Pubblichiamo il testo dell'omelia tenuta a braccio da Benedetto XVI durante la messa celebrata martedì mattina, 1 dicembre, nella Cappella Paolina, con i partecipanti alla plenaria della Commissione Teologica Internazionale.

Cari fratelli e sorelle,
le parole del Signore, che abbiamo ascoltato poc'anzi nel brano evangelico, sono una sfida per noi teologi, o forse, per meglio dire, un invito a un esame di coscienza: che cosa è la teologia? che cosa siamo noi teologi? come fare bene teologia?

Abbiamo sentito che il Signore loda il Padre perché ha nascosto il grande mistero del Figlio, il mistero trinitario, il mistero cristologico, davanti ai sapienti, ai dotti - essi non l'hanno conosciuto -, ma lo ha rivelato ai piccoli, ai nèpioi, a quelli che non sono dotti, che non hanno una grande cultura. A loro è stato rivelato questo grande mistero.

Con queste parole il Signore descrive semplicemente un fatto della sua vita; un fatto che inizia già ai tempi della sua nascita, quando i Magi dell'Oriente chiedono ai competenti, agli scribi, agli esegeti il luogo della nascita del Salvatore, del Re d'Israele. Gli scribi lo sanno perché sono grandi specialisti; possono dire subito dove nasce il Messia: a Betlemme! Ma non si sentono invitati ad andare: per loro rimane una conoscenza accademica, che non tocca la loro vita; rimangono fuori. Possono dare informazioni, ma l'informazione non diventa formazione della propria vita.

Poi, durante tutta la vita pubblica del Signore troviamo la stessa cosa. È inaccessibile per i dotti comprendere che questo uomo non dotto, galileo, possa essere realmente il Figlio di Dio. Rimane inaccettabile per loro che Dio, il grande, l'unico, il Dio del cielo e della terra, possa essere presente in questo uomo. Sanno tutto, conoscono anche Isaia 53, tutte le grandi profezie, ma il mistero rimane nascosto. Viene invece rivelato ai piccoli, iniziando dalla Madonna fino ai pescatori del lago di Galilea. Essi conoscono, come pure il capitano romano sotto la croce conosce: questi è il Figlio di Dio.

I fatti essenziali della vita di Gesù non appartengono solo al passato, ma sono presenti, in modi diversi, in tutte le generazioni. E così anche nel nostro tempo, negli ultimi duecento anni, osserviamo la stessa cosa. Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede, che ci hanno insegnato molte cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura, della storia della salvezza, ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo: che Gesù era realmente Figlio di Dio, che il Dio trinitario entra nella nostra storia, in un determinato momento storico, in un uomo come noi. L'essenziale è rimasto nascosto! Si potrebbero facilmente citare grandi nomi della storia della teologia di questi duecento anni, dai quali abbiamo imparato molto, ma non è stato aperto agli occhi del loro cuore il mistero.

Invece, ci sono anche nel nostro tempo i piccoli che hanno conosciuto tale mistero. Pensiamo a santa Bernardette Soubirous; a santa Teresa di Lisieux, con la sua nuova lettura della Bibbia "non scientifica", ma che entra nel cuore della Sacra Scrittura; fino ai santi e beati del nostro tempo: santa Giuseppina Bakhita, la beata Teresa di Calcutta, san Damiano de Veuster. Potremmo elencarne tanti!
Ma da tutto ciò nasce la questione: perché è così?

È il cristianesimo la religione degli stolti, delle persone senza cultura, non formate? Si spegne la fede dove si risveglia la ragione? Come si spiega questo? Forse dobbiamo ancora una volta guardare alla storia. Rimane vero quanto Gesù ha detto, quanto si può osservare in tutti i secoli. E tuttavia c'è una "specie" di piccoli che sono anche dotti. Sotto la croce sta la Madonna, l'umile ancella di Dio e la grande donna illuminata da Dio. E sta anche Giovanni, pescatore del lago di Galilea, ma è quel Giovanni che sarà chiamato giustamente dalla Chiesa "il teologo", perché realmente ha saputo vedere il mistero di Dio e annunciarlo: con l'occhio dell'aquila è entrato nella luce inaccessibile del mistero divino.

Così, anche dopo la sua risurrezione, il Signore, sulla strada verso Damasco, tocca il cuore di Saulo, che è uno dei dotti che non vedono. Egli stesso, nella prima Lettera a Timoteo, si definisce "ignorante" in quel tempo, nonostante la sua scienza. Ma il Risorto lo tocca: diventa cieco e, al tempo stesso, diventa realmente vedente, comincia a vedere. Il grande dotto diviene un piccolo, e proprio per questo vede la stoltezza di Dio che è saggezza, sapienza più grande di tutte le saggezze umane.

Potremmo continuare a leggere tutta la storia in questo modo. Solo un'osservazione ancora. Questi dotti sapienti, sofòi e sinetòi, nella prima lettura, appaiono in un altro modo. Qui sofìa e sìnesis sono doni dello Spirito Santo che riposano sul Messia, su Cristo. Che cosa significa? Emerge che c'è un duplice uso della ragione e un duplice modo di essere sapienti o piccoli.

C'è un modo di usare la ragione che è autonomo, che si pone sopra Dio, in tutta la gamma delle scienze, cominciando da quelle naturali, dove un metodo adatto per la ricerca della materia viene universalizzato: in questo metodo Dio non entra, quindi Dio non c'è. E così, infine, anche in teologia: si pesca nelle acque della Sacra Scrittura con una rete che permette di prendere solo pesci di una certa misura e quanto va oltre questa misura non entra nella rete e quindi non può esistere. Così il grande mistero di Gesù, del Figlio fattosi uomo, si riduce a un Gesù storico: una figura tragica, un fantasma senza carne e ossa, un uomo che è rimasto nel sepolcro, si è corrotto ed è realmente un morto.

Il metodo sa "captare" certi pesci, ma esclude il grande mistero, perché l'uomo si fa egli stesso la misura: ha questa superbia, che nello stesso tempo è una grande stoltezza perché assolutizza certi metodi non adatti alle realtà grandi; entra in questo spirito accademico che abbiamo visto negli scribi, i quali rispondono ai Re magi: non mi tocca; rimango chiuso nella mia esistenza, che non viene toccata. È la specializzazione che vede tutti i dettagli, ma non vede più la totalità.

E c'è l'altro modo di usare la ragione, di essere sapienti, quello dell'uomo che riconosce chi è; riconosce la propria misura e la grandezza di Dio, aprendosi nell'umiltà alla novità dell'agire di Dio. Così, proprio accettando la propria piccolezza, facendosi piccolo come realmente è, arriva alla verità. In questo modo, anche la ragione può esprimere tutte le sue possibilità, non viene spenta, ma si allarga, diviene più grande. Si tratta di un'altra sofìa e sìnesis, che non esclude dal mistero, ma è proprio comunione con il Signore nel quale riposano sapienza e saggezza, e la loro verità.
In questo momento vogliamo pregare perché il Signore ci dia la vera umiltà. Ci dia la grazia di essere piccoli per poter essere realmente saggi; ci illumini, ci faccia vedere il suo mistero della gioia dello Spirito Santo, ci aiuti a essere veri teologi, che possono annunciare il suo mistero perché toccati nella profondità del proprio cuore, della propria esistenza. Amen.




(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Benedetto XVI alla Pontificia Commissione Biblica

L'obbedienza a Dio è la vera libertà


Lo hanno mostrato Socrate davanti al tribunale di Atene e Pietro davanti al Sinedrio

È l'obbedienza a Dio la vera libertà per l'uomo di ogni tempo. Lo ha ribadito Benedetto XVI, parlando ai membri della Pontificia Commissione Biblica, con i quali ha celebrato stamane, giovedì 15 aprile, la messa nella cappella Paolina.

La Commissione è riunita in assemblea plenaria per riflettere sull'ispirazione e la verità della Bibbia. E a questo ha fatto riferimento il cardinale presidente, William Joseph Levada, nel saluto rivolto al Papa all'inizio della celebrazione.

Dopo la proclamazione delle letture il Pontefice ha pronunciato un'omelia a braccio, soffermandosi anzitutto sulla frase di san Pietro:  "Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini". Per Benedetto XVI la risposta di Pietro al Sinedrio è quasi identica a quella di Socrate nel tribunale di Atene. Per entrambi l'obbedienza a Dio ha il primato. Un primato che vale anche nei tempi moderni, in cui si parla troppo spesso della liberazione dell'uomo, della sua piena autonomia e di conseguenza della liberazione dall'obbedienza a Dio.

Ma questa autonomia secondo il Papa è una menzogna ontologica, politica e pratica, perché se Dio non esiste, rimane come suprema istanza soltanto il consenso della maggioranza, che - come ha insegnato la storia del secolo scorso - può essere anche un consenso del male. Per questo nell'intera vicenda umana le scelte di Pietro e di Socrate costituiscono una sorta di faro della liberazione dell'uomo. Le stesse dittature - come quella nazista e quella marxista - sono sempre state contrarie all'obbedienza a Dio:  non potevano accettare un Dio al di sopra dell'ideologia. Di conseguenza la libertà dei martiri costituisce un atto di liberazione nel quale la libertà di Cristo giunge agli uomini. Anche oggi secondo il Papa esistono forme di dittature e le aggressioni sottili e meno sottili contro la Chiesa confermano questa dittatura.

Successivamente Benedetto XVI ha spiegato come essere in comunione con Cristo significhi essere in un cammino la cui meta è la vita eterna. In proposito Benedetto XVI ha evidenziato come noi oggi abbiamo paura di affrontare il tema:  si mostra un cristianesimo che aiuta anche a migliorare la società ma si ha timore di dire che la sua meta è la vita eterna, mentre bisognerebbe far capire che il cristianesimo rimane un frammento se non si pensa a tale meta.

Quindi il Papa ha parlato della vicinanza tra penitenza e grazia, perché - ha spiegato - è una grazia riconoscere i peccati e aver bisogno di rinnovamento, di cambiamento. Poter fare penitenza è dunque il dono della grazia e questo vale anche per tanti cristiani che negli ultimi tempi hanno spesso evitato la parola penitenza, perché appare troppo dura. Oggi, davanti agli attacchi del mondo che parlano dei peccati di membri della Chiesa, si sperimenta che poter far penitenza è grazia, e che è necessario fare penitenza, riconoscere quanto è sbagliato, aprirsi  al  perdono  e  lasciarsi  trasformare.


(©L'Osservatore Romano - 16 aprile 2010)





CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I MEMBRI DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, 15.04.2010

Alle ore 7.30 di questa mattina, nella Cappella Paolina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto la Concelebrazione Eucaristica con i Membri della Pontificia Commissione Biblica.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Santa Messa:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

non ho trovato il tempo di preparare una vera omelia.
Vorrei soltanto invitare ciascuno alla personale meditazione proponendo e sottolineando alcune frasi della Liturgia odierna, che si offrono al dialogo orante tra noi e la Parola di Dio. La parola, la frase che vorrei proporre alla comune meditazione è questa grande affermazione di san Pietro: "Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini" (At 5,29). San Pietro sta davanti alla suprema istituzione religiosa, alla quale normalmente si dovrebbe obbedire, ma Dio sta al di sopra di questa istituzione e Dio gli ha dato un altro "ordinamento": deve obbedire a Dio. L'obbedienza a Dio è la libertà, l'obbedienza a Dio gli dà la libertà di opporsi all'istituzione.

E qui gli esegeti attirano la nostra attenzione sul fatto che la risposta di san Pietro al Sinedrio è quasi fino ad verbum identica alla risposta di Socrate al giudizio nel tribunale di Atene. Il tribunale gli offre la libertà, la liberazione, a condizione però che non continui a ricercare Dio. Ma cercare Dio, la ricerca di Dio è per lui un mandato superiore, viene da Dio stesso. E una libertà comprata con la rinuncia al cammino verso Dio non sarebbe più libertà. Quindi deve obbedire non a questi giudici - non deve comprare la sua vita perdendo se stesso - ma deve obbedire a Dio. L'obbedienza a Dio ha il primato.

Qui è importante sottolineare che si tratta di obbedienza e che è proprio l'obbedienza che dà libertà. Il tempo moderno ha parlato della liberazione dell'uomo, della sua piena autonomia, quindi anche della liberazione dall'obbedienza a Dio.

L'obbedienza non dovrebbe più esserci, l'uomo è libero, è autonomo: nient'altro. Ma questa autonomia è una menzogna: è una menzogna ontologica, perché l'uomo non esiste da se stesso e per se stesso, ed è anche una menzogna politica e pratica, perché la collaborazione, la condivisione della libertà è necessaria. E se Dio non esiste, se Dio non è un'istanza accessibile all'uomo, rimane come suprema istanza solo il consenso della maggioranza. Di conseguenza, il consenso della maggioranza diventa l'ultima parola alla quale dobbiamo obbedire. E questo consenso — lo sappiamo dalla storia del secolo scorso — può essere anche un "consenso nel male".

Così vediamo che la cosiddetta autonomia non libera veramente l'uomo. L'obbedienza verso Dio è la libertà, perché è la verità, è l'istanza che si pone di fronte a tutte le istanze umane. Nella storia dell'umanità queste parole di Pietro e di Socrate sono il vero faro della liberazione dell'uomo, che sa vedere Dio e, in nome di Dio, può è deve obbedire non tanto agli uomini, ma a Lui e liberarsi, così, dal positivismo dell'obbedienza umana. Le dittature sono state sempre contro questa obbedienza a Dio. La dittatura nazista, come quella marxista, non possono accettare un Dio che sia al di sopra del potere ideologico; e la libertà dei martiri, che riconoscono Dio, proprio nell’obbedienza al potere divino, è sempre l'atto di liberazione nel quale giunge a noi la libertà di Cristo.

Oggi, grazie a Dio, non viviamo sotto dittature, ma esistono forme sottili di dittatura: un conformismo che diventa obbligatorio, pensare come pensano tutti, agire come agiscono tutti, e le sottili aggressioni contro la Chiesa, o anche quelle meno sottili, dimostrano come questo conformismo possa realmente essere una vera dittatura. Per noi vale questo: si deve obbedire più a Dio che agli uomini.

Ma ciò suppone che conosciamo veramente Dio e che vogliamo veramente obbedire a Lui. Dio non è un pretesto per la propria volontà, ma è realmente Lui che ci chiama e ci invita, se fosse necessario, anche al martirio. Perciò, confrontati con questa parola che inizia una nuova storia di libertà nel mondo, preghiamo soprattutto di conoscere Dio, di conoscere umilmente e veramente Dio e, conoscendo Dio, di imparare la vera obbedienza che è il fondamento della libertà umana.

Scegliamo una seconda parola dalla Prima Lettura: san Pietro dice che Dio ha innalzato Cristo alla sua destra come capo e salvatore (cfr v. 31). Capo è traduzione del termine greco archegos, che implica una visione molto più dinamica: archegos è colui che mostra la strada, che precede, è un movimento, un movimento verso l'alto. Dio lo ha innalzato alla sua destra - quindi parlare di Cristo come archegos vuol dire che Cristo cammina avanti a noi, ci precede, ci mostra la strada. Ed essere in comunione con Cristo è essere in un cammino, salire con Cristo, è sequela di Cristo, è questa salita in alto, è seguire l'archegos, colui che è già passato, che ci precede e ci mostra la strada.

Qui, evidentemente, è importante che ci venga detto dove arriva Cristo e dove dobbiamo arrivare anche noi: hypsosen - in alto - salire alla destra del Padre. Sequela di Cristo non è soltanto imitazione delle sue virtù, non è solo vivere in questo mondo, per quanto ci è possibile, simili a Cristo, secondo la sua parola, ma è un cammino che ha una meta. E la meta è la destra del Padre. C'è questo cammino di Gesù, questa sequela di Gesù che termina alla destra del Padre. All'orizzonte di tale sequela appartiene tutto il cammino di Gesù, anche l'arrivare alla destra del Padre.

In questo senso la meta di questo cammino è la vita eterna alla destra del Padre in comunione con Cristo. Noi oggi abbiamo spesso un po' paura di parlare della vita eterna. Parliamo delle cose che sono utili per il mondo, mostriamo che il Cristianesimo aiuta anche a migliorare il mondo, ma non osiamo dire che la sua meta è la vita eterna e che da tale meta vengono poi i criteri della vita. Dobbiamo capire di nuovo che il Cristianesimo rimane un "frammento" se non pensiamo a questa meta, che vogliamo seguire l'archegos all'altezza di Dio, alla gloria del Figlio che ci fa figli nel Figlio e dobbiamo di nuovo riconoscere che solo nella grande prospettiva della vita eterna il Cristianesimo rivela tutto il senso. Dobbiamo avere il coraggio, la gioia, la grande speranza che la vita eterna c'è, è la vera vita e da questa vera vita viene la luce che illumina anche questo mondo.

Se si può dire che, anche prescindendo dalla vita eterna, dal Cielo promesso, è meglio vivere secondo i criteri cristiani, perché vivere secondo la verità e l'amore, anche se sotto tante persecuzioni, è in sé stesso bene ed è meglio di tutto il resto, è proprio questa volontà di vivere secondo la verità e secondo l'amore che deve anche aprire a tutta la larghezza del progetto di Dio con noi, al coraggio di avere già la gioia nell'attesa della vita eterna, della salita seguendo il nostro archegos. E Soter è il Salvatore, che ci salva dall'ignoranza, cerca le cose ultime. Il Salvatore ci salva dalla solitudine, ci salva da un vuoto che rimane nella vita senza l'eternità, ci salva dandoci l'amore nella sua pienezza. Egli è la guida. Cristo, l'archegos, ci salva dandoci la luce, dandoci la verità, dandoci l'amore di Dio.

Poi soffermiamoci ancora su un versetto: Cristo, il Salvatore, ha dato a Israele conversione e perdono dei peccati (v. 31) - nel testo greco il termine è metanoia - ha dato penitenza e perdono dei peccati. Questa per me è un'osservazione molto importante: la penitenza è una grazia.

C'è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata, quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia.

La penitenza è grazia; è una grazia che noi riconosciamo il nostro peccato, è una grazia che conosciamo di aver bisogno di rinnovamento, di cambiamento, di una trasformazione del nostro essere. Penitenza, poter fare penitenza, è il dono della grazia. E devo dire che noi cristiani, anche negli ultimi tempi, abbiamo spesso evitato la parola penitenza, ci appariva troppo dura.

Adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter fare penitenza è grazia. E vediamo che è necessario far penitenza, cioè riconoscere quanto è sbagliato nella nostra vita, aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare.
Il dolore della penitenza, cioè della purificazione, della trasformazione, questo dolore è grazia, perché è rinnovamento, è opera della misericordia divina.

E così queste due cose che dice san Pietro — penitenza e perdono — corrispondono all'inizio della predicazione di Gesù: metanoeite, cioè convertitevi (cfr Mc 1,15). Quindi questo è il punto fondamentale: la metanoia non è una cosa privata, che parrebbe sostituita dalla grazia, ma la metanoia è l'arrivo della grazia che ci trasforma.

E infine una parola del Vangelo, dove ci viene detto che chi crede avrà la vita eterna (cfr Gv 3,36). Nella fede, in questo "trasformarsi" che la penitenza dona, in questa conversione, in questa nuova strada del vivere, arriviamo alla vita, alla vera vita. E qui mi vengono in mente due altri testi. Nella "Preghiera sacerdotale" il Signore dice: questa è la vita, conoscere te e il tuo consacrato (cfr Gv 17,3). Conoscere l'essenziale, conoscere la Persona decisiva, conoscere Dio e il suo Inviato è vita, vita e conoscenza, conoscenza di realtà che sono la vita. E l'altro testo è la risposta del Signore ai Sadducei circa la Risurrezione, dove, dai libri di Mosè, il Signore prova il fatto della Risurrezione dicendo: Dio è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe (cfr Mt 22,31-32; Mc 12,26-27; Lc 20,37-38). Dio non è Dio dei morti. Se Dio è Dio di questi, sono vivi. Chi è scritto nel nome di Dio partecipa alla vita di Dio, vive. E così credere è essere iscritti nel nome di Dio. E così siamo vivi. Chi appartiene al nome di Dio non è un morto, appartiene al Dio vivente. In questo senso dovremmo capire il dinamismo della fede, che è un iscrivere il nostro nome nel nome di Dio e così un entrare nella vita.

Preghiamo il Signore perché questo succeda e realmente, con la nostra vita, conosciamo Dio, perché il nostro nome entri nel nome di Dio e la nostra esistenza diventi vera vita: vita eterna, amore e verità.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il Papa: Non si può essere teologi nella solitudine: i teologi hanno bisogno del ministero dei Pastori della Chiesa, come il Magistero ha bisogno di teologi che compiono fino in fondo il loro servizio, con tutta l’ascesi che ciò implica

"Non si può essere teologi nella solitudine": è quanto ha detto il Papa ricevendo stamani, in Vaticano, i membri della Commissione Teologica Internazionale al termine della loro plenaria. Benedetto XVI ha poi sottolineato che gli ideali di giustizia e uguaglianza democratica muoiono se si taglia la radice da cui sono nati: il cristianesimo. Il servizio di Sergio Centofanti.

La teologia è vera solo a partire dall’incontro col Cristo risorto, perché “nessun sistema teologico può sussistere se non è permeato dall’amore” divino. Infatti – afferma il Papa - “chi ha scoperto in Cristo l’amore di Dio, infuso dallo Spirito Santo nei nostri cuori, desidera conoscere meglio Colui da cui è amato e che ama”:

“Conoscenza e amore si sostengono a vicenda. Come hanno affermato i Padri della Chiesa, chiunque ama Dio è spinto a diventare in un certo senso teologo, uno che parla con Dio, che pensa di Dio e cerca di pensare con Dio”.

La riflessione teologica – ha proseguito il Papa - aiuta il “dialogo con i credenti di altre religioni ed anche con i non credenti” grazie alla sua razionalità. “Possiamo – infatti - pensare a Dio e comunicare ciò che abbiamo pensato perché Egli ci ha dotati di una ragione in armonia con la sua natura”. E’ necessario tuttavia che “la stessa razionalità della teologia” aiuti “a purificare la ragione umana liberandola da certi pregiudizi ed idee che possono esercitare un forte influsso sul pensiero di ogni epoca”. Inoltre – ha spiegato - “conoscere Dio nella sua vera natura”, ovvero come “fonte di perdono”, è anche “il modo sicuro per assicurare la pace” nel mondo.

In tutto questo, i teologi, perché il loro metodo sia veramente scientifico, oltre a procedere in modo razionale, devono essere fedeli alla natura della fede ecclesiale, “sempre in continuità e in dialogo con i credenti e i teologi che sono venuti prima di noi” perché “il teologo non incomincia mai da zero” . Quindi il Papa sottolinea “l’unità indispensabile che deve regnare fra teologi e Pastori”:

“Non si può essere teologi nella solitudine: i teologi hanno bisogno del ministero dei Pastori della Chiesa, come il Magistero ha bisogno di teologi che compiono fino in fondo il loro servizio, con tutta l’ascesi che ciò implica”.

“Cristo è morto per tutti, benché non tutti lo sappiano o lo accettino”, osserva Benedetto XVI. Questa fede “ci porta al servizio degli altri nel nome di Cristo; in altre parole l’impegno sociale dei cristiani deriva necessariamente dalla manifestazione dell’amore divino. Contemplazione di Dio rivelato e carità per il prossimo – conclude il Papa - non si possono separare, anche se si vivono secondo diversi carismi”:

“In un mondo che spesso apprezza molti doni del Cristianesimo - come per esempio l’idea di uguaglianza democratica, figlia del monoteismo evangelico - senza capire la radice dei propri ideali, è particolarmente importante mostrare che i frutti muoiono se viene tagliata la radice dell’albero. Infatti non c’è giustizia senza verità, e la giustizia non si sviluppa pienamente se il suo orizzonte è limitato al mondo materiale. Per noi cristiani la solidarietà sociale ha sempre una prospettiva di eternità”. 


                                  Pope Benedict XVI reacts attends his weekly general audience on December 1, 2010 at the Paul VI hall at The Vatican. Pope Benedict XVI on Wednesday called for Catholic bishops in China to be allowed to worship freely during a 'difficult time' for the Church, as tensions between Beijing and the Vatican rise.



TESTO INTEGRALE



UDIENZA AI MEMBRI DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, 03.12.2010

Alle ore 12.15 di oggi, nella Sala del Concistoro, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri della Commissione Teologica Internazionale, a conclusione dei lavori della Sessione Plenaria della medesima Commissione.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge loro nel corso dell’Udienza:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato,
illustri Professori e cari Collaboratori!


È con gioia che vi accolgo, al termine dei lavori della vostra annuale Sessione Plenaria. Desidero anzitutto esprimere un sentito ringraziamento per le parole di omaggio che, a nome di tutti, Ella, Signor Cardinale, in qualità di Presidente della Commissione Teologica Internazionale, ha voluto rivolgermi. I lavori di questo ottavo "quinquennio" della Commissione, come Lei ha ricordato, affrontano i seguenti temi: la teologia e la sua metodologia; la questione dell’unico Dio in rapporto alle tre religioni monoteistiche; l’integrazione della Dottrina sociale della Chiesa nel contesto più ampio della Dottrina cristiana.

"L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro" (2Cor 5,14-15). Come non sentire anche nostra questa bella reazione dell’apostolo Paolo al suo incontro col Cristo risorto? Proprio questa esperienza è alla radice dei tre importanti temi che avete approfondito nella vostra Sessione Plenaria appena conclusa.

Chi ha scoperto in Cristo l’amore di Dio, infuso dallo Spirito Santo nei nostri cuori, desidera conoscere meglio Colui da cui è amato e che ama. Conoscenza e amore si sostengono a vicenda. Come hanno affermato i Padri della Chiesa, chiunque ama Dio è spinto a diventare teologo, anche se non sempre professionalmente.

Poter professionalmente studiare Dio stesso e poterne parlare - contemplari et contemplata docere (S. Tommaso d’Aquino, Super Sent., lib. 3 d. 35 q. 1 a. 3 qc. 1 arg. 3) - è un grande privilegio. La vostra riflessione sulla visione cristiana di Dio potrà essere un contributo prezioso sia per la vita dei fedeli che per il nostro dialogo con i credenti di altre religioni ed anche con i non credenti. Di fatto la stessa parola "teo-logia" rivela questo aspetto comunicativo del vostro lavoro - nella teologia cerchiamo, attraverso il "logos", di comunicare ciò che "abbiamo veduto e udito" (1Gv 1,3). Ma sappiamo bene che la parola "logos" ha un significato molto più largo, che comprende anche il senso di "ratio", "ragione". E questo fatto ci conduce ad un secondo punto assai importante. Possiamo pensare a Dio e comunicare ciò che abbiamo pensato perché Egli ci ha dotati di una ragione in armonia con la sua natura. Non è per caso che il Vangelo di Giovanni comincia con l’affermazione "In principio era il Logos... e il Logos era Dio" (Gv 1,1). Accogliere questo Logos - questo pensiero divino - è infine anche un contributo alla pace nel mondo. Infatti conoscere Dio nella sua vera natura è anche il modo sicuro per assicurare la pace. Un Dio che non fosse percepito come fonte di perdono non potrebbe essere luce sul sentiero della pace.

Siccome l’uomo tende sempre a collegare le sue conoscenze le une con le altre, anche la conoscenza di Dio si organizza in modo sistematico. Ma nessun sistema teologico può sussistere se non è permeato dall’amore del suo divino "Oggetto", se non è sempre nutrito dal dialogo - cioè dall’accoglienza nella mente e nel cuore del teologo - con il Logos divino, Creatore e Redentore. Inoltre nessuna teologia è tale se non è integrata nella vita e riflessione della Chiesa attraverso il tempo e lo spazio. Sì, è vero che, per essere scientifica, la teologia deve argomentare in modo razionale, ma anche deve essere fedele alla natura della fede ecclesiale: centrata su Dio, radicata nella preghiera, in una comunione con gli altri discepoli del Signore garantita dalla comunione con il Successore di Pietro e tutto il Collegio episcopale.

Questa accoglienza e trasmissione del Logos ha anche come conseguenza che la stessa razionalità della teologia aiuta a purificare la ragione umana liberandola da certi pregiudizi ed idee che possono esercitare un forte influsso sul pensiero di ogni epoca. Occorre d’altra parte rilevare che la teologia vive sempre in continuità e in dialogo con i credenti e i teologi che sono venuti prima di noi; poiché la comunione ecclesiale è diacronica, lo è anche la teologia.

Il teologo non incomincia mai da zero, ma considera come maestri i Padri e i teologi di tutta la tradizione cristiana. Radicata nella Sacra Scrittura, letta con i Padri e i Dottori, la teologia può essere scuola di santità, come ci ha testimoniato il beato John Henry Newman. Far scoprire il valore permanente della ricchezza trasmessa dal passato non è un contributo da poco della teologia al concerto delle scienze.

Cristo è morto per tutti, benché non tutti lo sappiano o lo accettino. Avendo ricevuto l’amore di Dio, come potremmo non amare quelli per i quali Cristo ha dato la propria vita? "Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (1 Gv 3,16). Tutto questo ci porta al servizio degli altri nel nome di Cristo; in altre parole, l’impegno sociale dei cristiani deriva necessariamente dalla manifestazione dell’amore divino. Contemplazione di Dio rivelato e carità per il prossimo non si possono separare, anche se si vivono secondo diversi carismi.

In un mondo che spesso apprezza molti doni del Cristianesimo - come per esempio l’idea di uguaglianza democratica, figlia del monoteismo evangelico - senza capire la radice dei propri ideali, è particolarmente importante mostrare che i frutti muoiono se viene tagliata la radice dell’albero. Infatti non c’è giustizia senza verità, e la giustizia non si sviluppa pienamente se il suo orizzonte è limitato al mondo materiale. Per noi cristiani la solidarietà sociale ha sempre una prospettiva di eternità.

Cari amici teologi, il nostro odierno incontro manifesta in modo prezioso e singolare l’unità indispensabile che deve regnare fra teologi e Pastori. Non si può essere teologi nella solitudine: i teologi hanno bisogno del ministero dei Pastori della Chiesa, come il Magistero ha bisogno di teologi che compiono fino in fondo il loro servizio, con tutta l’ascesi che ciò implica.

Attraverso la vostra Commissione, desidero perciò ringraziare tutti i teologi e incoraggiarli ad aver fede nel grande valore del loro impegno. Nel porgervi i miei auguri per il vostro lavoro, vi imparto con affetto la mia Benedizione.


[Modificato da Caterina63 03/12/2010 15:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Tommaso d'Aquino e la vera libertà dei teologi.
Gli occhi della Chiesa

(di mons. Inos Biffi)

Tommaso d'Aquino chiama i «sacri dottori (sacri doctores)», gli «occhi» della Chiesa: «Come nel corpo c'è l'occhio, così nella Chiesa ci sono i dottori» (sicut [...] oculus est in corpore, ita doctores sunt in Ecclesia; Contra impugnantes, 2, 2, c).

Tra questi «sacri dottori» sono compresi i teologi, quelli cioè che dedicano la loro vita, direbbe lo stesso Tommaso, allo studium sapientiae o alla contemplazione, nell'intento di ottenere l'«intelligenza della fede» (intellectus fidei), secondo l'espressione cara ad Anselmo d'Aosta (Proslogion).

I filosofi, seguendo «l'inclinazione naturale che c'è nell'uomo di conoscere la verità riguardante Dio» (Summa Theologiae, i-ii, 2, 94, 2, c), considerano le cose del mondo per salire a lui; i teologi, grazie alla Rivelazione, considerano i segreti di Dio per discendere nel mondo. La teologia, quindi, come lo sguardo proprio di Dio sulla realtà.

Nel 1256, alla prima lezione inaugurale del suo magistero dottorale, in cui commenta il versetto 13 del Salmo 103: «Colui che irriga i monti dalle sue alte dimore» (Rigans montes de superioribus suis), parlando della «dignità» (dignitas) dei dottori, Tommaso d'Aquino afferma: «I monti sono illuminati per primi dai raggi del sole; similmente i dottori ricevono per primi lo splendore dell'intelligenza.
Come i monti, infatti, i dottori sono i primi a essere illuminati dai raggi della sapienza divina; ed è detto nel salmo 75, 5: Quando tu illumini in modo meraviglioso dai monti eterni, sono turbati tutti gli stolti di cuore, cioè dai dottori che partecipano dell'eternità, di cui in Filippesi 2, 15 è detto: In mezzo a loro splendete come astri nel mondo»
(Primo enim montes radiis illustrantur. Et similiter sacri doctores mentium splendorem primo recipiunt. Sicut montes enim doctores primitus radiis divinae sapientiae illuminantur, Psal. 75, 5: illuminans tu mirabiliter a montibus aeternis, turbati sunt omnes insipientes corde; id est a doctoribus qui sunt in participatione aeternitatis, Philipp. 2, 15: inter quos lucetis sicut luminaria in mundo).

Veramente, la visione teologica appartiene a ogni credente che, accogliendo nella fede la Parola di Dio, si ritrova in dono «gli occhi illuminati del cuore» (cfr. Efesini, 1, 18) o il «lume della fede» (lumen fidei), com'è chiamato nella tradizione patristica e scolastica, che anche parlava dell'«occhio della fede» (oculus fidei), mentre già Tertulliano parlava di «fede dotata degli occhi» (fides oculata).

È, infatti, intrinseco alla fede l'«istinto» della sua comprensione. Manifestandosi all'uomo, Dio gli affida i suoi segreti, perché li iscriva nell'intelletto e nell'affetto e diventino, così, oggetto del suo pensiero e del suo amore. È nota la definizione agostiniana della fede: «un aderire accompagnato dalla riflessione» (cum assensione cogitare), che san Tommaso commenta dicendo: l'atto del credere «comporta un'adesione ferma, tuttavia la sua conoscenza non si compie mediante una percezione evidente» (habet firmam adhaesionem [...] et tamen eius cognitio non est perfecta per manifestam visionem; Summa Theologiae, ii-ii, 2, 1, c).

Ecco perché, continua ad affermare l'Angelico, «la conoscenza della fede non acquieta il desiderio; anzi, lo accende ancora di più, perché tutti desiderano vedere ciò che credono» (cognitio [...] fidei non quietat desiderium, sed magis ipsum accendit, quia unusquisque desiderat videre quod credidit; Summa contra Gentiles, III, 40).
In altri termini: «Il fine della fede è quello di giungere a capire quelle cose che crediamo» (finis fidei est nobis, ut perveniamus ad intelligendum quae credimus; Super Boetium de Trinitate, 2, 2, 7m).

Da questo profilo ogni credente appare istintivamente inclinato a essere teologo.
È, dunque, la forza stessa della fede a premere per diventare quanto possibile contemplazione, e così soddisfare l'intelligenza, che, vedendo quello che ama, provoca compiacenza e gioia. Più uno crede, «vede»; e più uno «vede», ama. È la peripezia del teologo.
Il quale, tuttavia, non va considerato isolato e a sé, ma nella sua appartenenza alla Chiesa, alla quale viene anzitutto affidato il mistero. I sacri dottori sono gli occhi nel corpo che è la Chiesa, perché è in essa che la teologia diviene una scelta di vita.

La radice della loro professione è la fede custodita e vivente nella Chiesa, semplicemente comune a tutti i credenti. Da qui la natura profondamente ecclesiastica della teologia. Quello dei teologi non è un pensare né sopra né a prescindere dalla fede della Chiesa. Il sapere globale della Chiesa è sempre maggiore del sapere di qualsiasi, per quanto acuto, teologo, il quale rimane sempre da essa giudicabile, in particolare dal Magistero dei «sacri dottori» intesi come i maestri della fede.

Questo non vuol dire che la Chiesa riconosca subito il valore di un pensiero teologico, né che il suo giudizio in merito sia sempre infallibile: la storia dimostra che spesso il riconoscimento richiede tempo e che non sempre sono risparmiate al teologo dolorose afflizioni. Un teologo deve prepararsi ad attendere, in questa vita o anche nell'eternità. Una volta ancora possiamo citare come esempio ammirevole il biblista Padre Lagrange, con le sue traversie.

Uno degli indici di serietà teologica è anche la pazienza, il senso delle proporzioni, la «modestia» o la «misura», l'attesa, la diffidenza nei confronti della facile pubblicità, la non facilità a porsi nello stato di vittima o di genio incompreso. A chi vi si dedichi, senza ulteriori mire, la teologia ha sempre di che soddisfare l'esistenza di uno studioso cristiano.

Oggi forse troppo gratuitamente ci si autoproclama teologi: oppure si perde vanamente il tempo a discutere della libertà del teologo invece di faticare a tempo pieno per diventarlo.
Senza dubbio, va precisato che la finalità della teologia non è propriamente né solo quella di spiegare o giustificare il Magistero, che d'altronde è per il teologo, come per tutti i credenti, un punto imprescindibile di riferimento, né è quella di limitare le sue indagini all'area delineata dallo stesso Magistero.

Guida del teologo è la Parola di Dio situata e autorevolmente interpretata nella Chiesa, il cui magistero è per lui come per tutti riferimento e dimensione imprescindibile. Egli tende, cioè, a pensare tutta la Rivelazione, quand'anche essa non abbia trovato la forma di un'esplicita proposizione magisteriale, e sarà l'intera Chiesa a beneficiare di questi approfondimenti. Si pensi ai due casi più illustri, quello di Agostino e quello di Tommaso d'Aquino, che hanno indagato su tutto l'arco del mistero cristiano, col risultato di segnare profondamente il contenuto e il linguaggio dello stesso Magistero.

D'altra parte, una teologia che reclami autonomia e indipendenza rispetto all'insegnamento della Chiesa si pone metodologicamente fuori strada, dal momento che il suo oggetto non è la Parola che Gesù Cristo ha consegnato alla sua Chiesa tramite gli Apostoli e la successione apostolica, da lui disposta come testimonianza e garanzia infallibile dell'autenticità dell'insegnamento evangelico. La libertà della teologia non significa riflessione arbitraria e indipendente.
Su questa via semplicemente non avremmo più la teologia cristiana e la pretesa di esserlo sarebbe abusiva.

Per tornare a san Tommaso: il suo appare un modello chiarissimo di teologia «libera» ma insieme consapevole della sua «relatività», che le assicura l'«ortodossia».

Proporre una dottrina in contrasto con quella insegnata dai «sacri doctores» -- intesi come i maestri autorevoli nella Chiesa (cfr. Atti degli Apostoli, 20, 28) -- vorrebbe dire perdere la prerogativa di essere un «dottore della verità cattolica» (catholicae veritatis doctor, come Tommaso chiama il teologo (Summa Theologiae, i, 1).

Deplorevolmente oggi parrebbe che l'eresia non esista più. In ogni caso già Paolo raccomandava a Tito di insegnare «quello che è conforme alla sana dottrina» (Tito, 2, 1), mentre, esortando Timoteo ad annunciare la Parola di Dio, gli prediceva: «Verrà un giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina» (2 Timoteo, 4, 2-3).

Quanto a Tommaso, sempre nel discorso inaugurale del suo insegnamento, assegnava al teologo il compito di difendere la fede contro gli errori: «I monti difendono la terra dai nemici; allo stesso modo i dottori della Chiesa devono essere impegnati a difendere la fede dagli errori» (Per montes terra ab hostibus defenditur. Ita et doctores ecclesiae in defensionem fidei debent esse contra errores).

Ma sembra un compito che oggi non entusiasma molto i teologi, intenti a dialogare e a complimentarsi e ad ammirarsi a vicenda.
Importa, comunque, chiarire che la libertà di insegnare l'eresia è altra cosa rispetto alla libertà della ricerca teologica, ossia di una ricerca nell'ambito di una scienza che per definizione è «scienza della fede» (scientia fidei), che, d'altronde, lascia uno spazio immenso e stimolante alla più sorprendente originalità.

Possiamo fare ancora una considerazione, per distinguere tra la teologia come frutto dell'ingegno, dello studio, della ricerca che abilitano a occupare una cattedra, con una «licenza di insegnare» (licentia docendi), e la teologia «sapienziale», che si riceve in virtù della grazia.
Si possono certamente «sentire le cose di Dio» (pati divina), averne l'esperienza, anche se non si è teologi «di professione». Basta essere in grazia di Dio, come una volta si diceva, e avere quindi il dono dello Spirito Santo, che è la sapienza.

Lo rileva san Tommaso, quando parla della conoscenza sapienziale «per inclinazione» o «per una certa connaturalità», distinguendola nettamente dalla teologia come «giudizio che si ottiene attraverso lo studio e la ricerca» (Summa Theologiae, I, 1, 6, 3m).
È questo secondo il senso da noi qui assegnato al termine teologia, la quale, così compresa, richiede lavoro assiduo, spesso non gratificante, restìo a improvvisazioni, o folgorazioni, esigente di disciplina e di assidua esercitazione dell'intelletto nel campo sia storico sia speculativo.

Con la conclusione che senza una vera ascesi rigorosa, severa e prolungata, difficilmente si diviene dei veri teologi. La scienza teologica, del resto come ogni scienza, non fa sconti a nessuno e non la si acquista a buon prezzo.
Per finire, può essere illuminante ricordare un testo forse meno noto di san Tommaso sulla «gratuità» della teologia.

La teologia o la «contemplazione della sapienza» ha in se stessa il proprio fine e la propria ricompensa. Essa «si può giustamente paragonare al giuoco, per due ragioni: la prima perché il giuoco è motivo di gioia, e la contemplazione della sapienza è fonte della più grande gioia; la seconda perché gli atti del giuoco sono ricercati per se stessi, e non sono ordinati ad altro: lo stesso avviene nel piacere che provoca la sapienza e che non ha la sua causa al di fuori di essa, per cui non produce nessuna ansietà, come se mancasse di qualcosa che attende»
(Sapientiae contemplatio convenienter ludo comparatur, propter duo quae est in ludo invenire. Primo quidem, quia ludus delectabilis est, et contemplatio sapientiae maximam delectationem habet [...]. Secundo, quia operationes ludi non ordinantur ad aliud, sed propter se quaeruntur. Delectatio contemplationis sapientiae in seipsa habet delectationis causam: unde nullam anxietatem patitur, quasi expectans aliquid quod desit; In Boëthii de Hebdomadibus, Prologus).

È come dire che la ricompensa a una vita trascorsa a far teologia è in un certo senso la teologia stessa, che nasce dalla passione della visione di Dio e in certa misura ne è il preludio. Si può anche diventare più buoni a far teologia, ma Tommaso giungeva a dire, a differenza di Bonaventura, che non si fa teologia per essere buoni, semmai la si puo fare perché si è buoni. Infatti, la sacra dottrina non è una scienza pratica, ma speculativa: attratta tutta ed esaurientemente a Dio, oltre il quale non c'è nulla.

(L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2011)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il Papa al "Teresianum": Ognuno, e in modo particolare quanti hanno accolto la chiamata divina ad una sequela più prossima, necessita di essere accompagnato personalmente da una guida sicura nella dottrina ed esperta nelle cose di Dio; essa può aiutare a guardarsi da facili soggettivismi, mettendo a disposizione il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze vissute nella sequela di Gesù



UDIENZA ALLA COMUNITÀ DELLA PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA "TERESIANUM" DI ROMA, 19.05.2011

Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza la Comunità della Pontificia Facoltà Teologica del "Teresianum" di Roma, nel 75° anniversario di fondazione.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli e Sorelle!

Sono lieto di incontrarvi e di unirmi a voi nel rendimento di grazie al Signore per i 75 anni della Pontificia Facoltà Teologica Teresianum. Saluto cordialmente il Gran Cancelliere, Padre Saverio Cannistrà, Preposito Generale dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, e lo ringrazio per le belle espressioni che mi ha rivolto; con lui accolgo molto volentieri i Padri della Casa Generalizia. Saluto il Preside, Padre Aniano Álvarez-Suárez, le Autorità accademiche e l’intero corpo docente del Teresianum, e con affetto saluto voi, cari studenti, Carmelitani Scalzi, religiosi e religiose di diversi Ordini, sacerdoti e seminaristi.

Sono passati, dunque, tre quarti di secolo da quel 16 luglio 1935, memoria liturgica della Beata Vergine del Monte Carmelo, in cui l’allora Collegio Internazionale dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi nell’Urbe fu eretto a Facoltà Teologica. Fin dall’inizio essa si orientò ad approfondire la teologia spirituale nel quadro della questione antropologica. Nel corso degli anni, venne poi a costituirsi l’Istituto di Spiritualità, che assieme alla Facoltà Teologica compone il polo accademico che va sotto il nome di Teresianum.

Considerando con sguardo retrospettivo la storia di questa Istituzione, vogliamo lodare il Signore per le meraviglie che ha compiuto in essa e, attraverso di essa, nei tanti studenti che l’hanno frequentata. Anzitutto, perché far parte di tale comunità accademica costituisce una peculiare esperienza ecclesiale, avvalorata da tutta la ricchezza di una grande famiglia spirituale qual è l’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Pensiamo al vasto movimento di rinnovamento originato nella Chiesa dalla testimonianza dei santi Teresa di Gesù e Giovanni della Croce. Esso suscitò quel riaccendersi di ideali e di fervori di vita contemplativa che nel sedicesimo secolo ha, per così dire, infiammato l’Europa e il mondo intero. Cari studenti, sulla scia di questo carisma si colloca anche il vostro lavoro di approfondimento antropologico e teologico, il compito di penetrare il mistero di Cristo, con quella intelligenza del cuore che è insieme un conoscere e un amare; ciò esige che Gesù sia posto al centro di tutto, dei vostri affetti e pensieri, del vostro tempo di preghiera, di studio e di azione, di tutto il vostro vivere. Lui è la Parola, il "libro vivente", come lo è stato per santa Teresa d’Avila, che affermava: "per apprendere la verità non ebbi altro libro che Dio" (Vita 26,5). Auguro a ciascuno di voi di poter dire con san Paolo: "Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore" (Fil 3,8).

A tale proposito, vorrei richiamare la descrizione che santa Teresa fa dell’esperienza interiore della conversione, così come lei stessa la visse un giorno davanti al Crocifisso. Scrive: "Appena lo guardai… fu così grande il dolore che provai, la pena dell’ingratitudine con la quale rispondevo al suo amore che mi parve che il cuore mi si spezzasse. Mi gettai ai suoi piedi tutta in lacrime e lo supplicai di farmi la grazia di non offenderlo più" (Autobiografia 9,1)
.Con lo stesso impeto, la Santa sembra chiedere anche a noi: come restare indifferenti a tanto amore? Come ignorare Colui che ci ha amato con una misericordia così grande? L’amore del Redentore merita tutta l’attenzione del cuore e della mente, e può attivare anche in noi quel mirabile circolo in cui amore e conoscenza si alimentano reciprocamente. Durante i vostri studi teologici, tenete sempre lo sguardo rivolto al motivo ultimo per cui li avete intrapresi, cioè a quel Gesù che "ci ha amato e ha dato la sua vita per noi" (cfr 1Gv 3,16).
Siate consapevoli che questi anni di studio sono un dono prezioso della Provvidenza divina; dono che va accolto con fede e vissuto diligentemente, come una irripetibile opportunità per crescere nella conoscenza del mistero di Cristo.

Grande importanza riveste, nel contesto attuale, lo studio approfondito della spiritualità cristiana a partire dai suoi presupposti antropologici. La specifica preparazione che esso fornisce è certamente importante perché rende idonei e abilita all’insegnamento di questa disciplina, ma costituisce una grazia ancor più grande per il bagaglio sapienziale che porta con sé in ordine al delicato compito della direzione spirituale. Come non ha mai smesso di fare, ancora oggi la Chiesa continua a raccomandare la pratica della direzione spirituale, non solo a quanti desiderano seguire il Signore da vicino, ma ad ogni cristiano che voglia vivere con responsabilità il proprio Battesimo, cioè la vita nuova in Cristo.

Ognuno, infatti, e in modo particolare quanti hanno accolto la chiamata divina ad una sequela più prossima, necessita di essere accompagnato personalmente da una guida sicura nella dottrina ed esperta nelle cose di Dio; essa può aiutare a guardarsi da facili soggettivismi, mettendo a disposizione il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze vissute nella sequela di Gesù. Si tratta di instaurare quello stesso rapporto personale che il Signore aveva con i suoi discepoli, quello speciale legame con cui Egli li ha condotti, dietro di sé, ad abbracciare la volontà del Padre (cfr Lc 22,42), ad abbracciare, cioè, la croce.

Anche voi, cari amici, nella misura in cui sarete chiamati a questo insostituibile compito, fate tesoro di quanto avete appreso in questi anni di studio, per accompagnare quanti la provvidenza divina vi affiderà, aiutandoli nel discernimento degli spiriti e nella capacità di assecondare le mozioni dello Spirito Santo, con l’obiettivo di condurli alla pienezza della grazia, "fino a raggiungere - come dice san Paolo - la misura della pienezza di Cristo" (Ef4,13).

Cari amici, voi provenite dalle più diverse parti del mondo. Qui a Roma il vostro cuore e la vostra intelligenza sono provocati ad aprirsi alla dimensione universale della Chiesa, sono stimolati a sentire cum Ecclesia, in profonda sintonia con il Successore di Pietro. Vi esorto, pertanto, a vivere una sempre maggiore e più appassionata capacità di amare e di servire la Chiesa. In questo tempo pasquale, chiediamo al Signore Risorto il dono del suo Spirito, e lo chiediamo sostenuti dalla preghiera della Vergine Maria; Ella, che nel Cenacolo ha invocato con gli Apostoli il Paraclito, vi ottenga il dono della sapienza del cuore e attiri una rinnovata effusione di doni celesti per il futuro che vi attende. Per intercessione della Madre di Dio e dei santi Teresa di Gesù e Giovanni della Croce, imparto di cuore alla comunità del Teresianum e all’intera Famiglia carmelitana la Benedizione Apostolica.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La splendida lezione di Inos Biffi su «theòs» e «lògos»

Teologo a chi?

«Di Biffi arguto e mordace non ce n'è soltanto uno, nell'Italia cattolica che fa i conti con se stessa dopo centocinquant'anni tutti di corsa». Così inizia l'intervista di Marco Burini su «Il Foglio» di sabato 15 ottobre a monsignor Inos Biffi, direttore dell'Istituto di Storia della teologia, nonché ordinario emerito di teologia sistematica e di storia della teologia alla Facoltà teologica dell'Italia Settentrionale (e docente delle stesse materie presso la Facoltà di teologia di Lugano).

Il risultato è uno splendido squarcio sulla buona teologia («che non è quella aperta al mondo, ma quella aperta a Dio»), sugli ingredienti necessari affinché un uomo possa essere ritenuto un teologo («Giovanni Battista Guzzetti affermava che per essere teologi bisogna avere una testa, dei testi [ossia una biblioteca] e vent'anni di studio»), sulla genealogia di quel «disio di sé veder n'avvora» di cui parlava Dante. La convinzione di Inos Biffi, infatti, è «che la teologia non è priva di padre e di madre; che non nasce oggi e non inizia con noi; che prima di noi non c'è stato un diluvio teologico e anche che, se si parla e si scrive, lo si deve fare per farsi capire».

Di grande interesse le osservazioni che l'autore di Per continuare a sentirci cristiani (Milano, Jaca Book, 2011, pagine 160, euro 14) fa sul secondo Concilio ecumenico nella storia della Chiesa. «Non si può assolutamente parlare del Vaticano II come di una censura e rottura rispetto al magistero precedente. Parlerei di continuità e di approfondimento. In ogni caso, mi chiedo quanti abbiano letto davvero tutti i documenti del concilio. Chi l'ha fatto, si accorge che la tradizione cristiana ne è la sostanza». E se era senza dubbio necessaria una nuova impostazione teologica, «il concilio in parte ne è il frutto, in parte ne pone le premesse». Per solito, quando si parla del Vaticano II, un termine che ritorna sempre è «aggiornamento», e anche qui il professore centra il bersaglio: «l'aggiornamento è un linguaggio nuovo che dice l'antico. Perché non è la fede che deve aggiornarsi al mondo; è il mondo che deve aggiornarsi alla fede».

Nel ripercorrere il suo itinerario di formazione, Inos Biffi racconta di sé -- e della «sua» teologia -- molto più di quanto non risulti prima facie. «Quando chiesero a Tommaso come si fa a diventare teologi, rispose: mettendosi alla scuola di un buon maestro di teologia. Al seminario di Venegono ho avuto la fortuna di avere maestri come Carlo Colombo, un grande teologo che fu poi al servizio di Paolo VI e che sapeva unire tradizione e innovazione. Per il mio impianto teologico -- continua Biffi -- sono stati determinanti autori come Chenu e Leclercq, e figure come Scheeben e Newman. Ho conosciuto De Lubac che, insieme con Chenu, mi ha fornito illuminanti indicazioni sulla mia tesi riguardante I misteri di Cristo in Tommaso d'Aquino. Non mi sentivo invece in sintonia con Rahner, dall'intelligenza estremamente penetrante e sistematica, ma troppo influenzato da Heidegger». Il faro era e resta l'Aquinate: «sono semplicemente uno che ha cercato di comprendere san Tommaso e ne è rimasto conquistato».

Biffi prosegue ricordando la sua formazione filosofica. Oltre che la frequentazione decennale con il gesuita belga André Hayen, «ho avuto la fortuna di studiare in Cattolica con Gustavo Bontadini e Sofia Vanni Rovighi, una donna di grande libertà intellettuale, molto competente. Non chiacchierava sugli autori, come spesso avviene, conosceva le fonti di prima mano. Grazie a lei ho conosciuto Husserl, l'autore che ho studiato di più dopo Tommaso, Bernardo e Anselmo» (era del resto proprio la Vanni Rovighi -- ricorda Biffi -- a dire di non seguire più Heidegger «da quando questi da filosofo si era messo a fare l'oracolo»).

In stimolante equilibrio tra tradizione e innovazione, tra teologia dell'intellectus e teologia dell'affectus, Biffi conclude osservando che se «è innegabile che si vanno smontando istituzioni, mentalità ed espressioni già segnate da spirito cristiano, vedrei anche dei segni di risveglio. La nuova evangelizzazione non è altro che la vecchia evangelizzazione, cioè l'annuncio del Vangelo, quello di ieri, di oggi e di sempre. È l'annuncio di Gesù Cristo, senza del quale non c'è né umanità vera né umanesimo compiuto. È quello che il credente e il teologo non devono cessare di proclamare e di insegnare, senza lasciarsi deprimere di fronte al rifiuto o all'inaccoglienza, e soprattutto non impegnandosi a piacere a ogni costo».

(giulia galeotti)

(©L'Osservatore Romano 19 ottobre 2011)


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Ai Teologi, il Papa ribadisce: unire fede e ragione per evitare violenza motivi religiosi

CITTA' DEL VATICANO, 2 DIC. 2011 (VIS). Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza i membri dell'annuale Sessione Plenaria della Commissione Teologica Internazionale, a conclusione dei lavori, presieduti dal Cardinale William Joseph Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

  Il Pontefice si è soffermato nel suo discorso sui tre temi che la Commissione sta studiando negli ultimi anni.
In merito al primo, la questione di Dio e la comprensione del monoteismo, Benedetto XVI ha ricordato che: "Dietro la professione della fede cristiana nel Dio unico si ritrova la quotidiana professione di fede del popolo di Israele", ma con l'incarnazione del Figlio in Gesù Cristo "il monoteismo del Dio unico si è illuminato con una luce completamente nuova: la luce trinitaria. E nel mistero trinitario s'illumina anche la fratellanza fra gli uomini". Perciò la teologia "può aiutare i credenti a prendere coscienza e a testimoniare che il monoteismo trinitario ci mostra il vero Volto di Dio, ed (...) è forza di pace personale e universale".

  [SM=g1740733] La Commissione ha studiato anche i criteri secondo i quali una teologia possa essere definita "cattolica".
In merito il Papa ha spiegato che: "Il punto di partenza di ogni teologia cristiana è (...) l'accoglienza personale del Verbo fatto carne, l'ascolto della Parola di Dio nella Sacra Scrittura". Tuttavia la storia della Chiesa mostra che "il riconoscimento del punto di partenza non basta a giungere all'unità nella fede. Ogni lettura della Bibbia si colloca necessariamente in un dato contesto di lettura, e l'unico contesto nel quale il credente può essere in piena comunione con Cristo è la Chiesa e la sua Tradizione viva".

  La teologia cattolica deve continuare a dedicare particolare attenzione al legame tra fede e ragione, come ha sempre fatto nel corso della storia. Ciò è più che mai necessario, ha detto il Pontefice, "per rendere possibile una sinfonia delle scienze e per evitare le derive violente di una religiosità che si oppone alla ragione e di una ragione che si oppone alla religione".

  Il terzo tema che la Commissione ha esaminato è la relazione fra la Dottrina sociale della Chiesa e l'insieme della Dottrina cristiana.
In merito Benedetto XVI ha ribadito che: "L'impegno sociale della Chiesa non è solo qualcosa di umano, né si risolve in una teoria sociale. La trasformazione della società operata dai cristiani attraverso i secoli è una risposta alla venuta nel mondo del Figlio di Dio. (...) I discepoli di Cristo Redentore sanno che senza l'attenzione all'altro, il perdono, l'amore anche dei nemici, nessuna comunità umana può vivere in pace (...). Nella necessaria collaborazione a favore del bene comune anche con chi non condivide la nostra fede, dobbiamo rendere presenti i veri e profondi motivi religiosi del nostro impegno sociale (...). Chi avrà percepito i fondamenti dell'agire sociale cristiano vi potrà così anche trovare uno stimolo per prendere in considerazione la stessa fede in Gesù Cristo".

  Infine il Papa ha affermato che la Chiesa ha grande bisogno della riflessione dei teologi "sul mistero del Dio di Gesù Cristo e della sua Chiesa. Senza una sana e vigorosa riflessione teologica la Chiesa rischierebbe di non esprimere pienamente l'armonia tra fede e ragione".


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UDIENZA AI MEMBRI DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, 02.12.2011

Dal 28 novembre al 2 dicembre si è tenuta presso la Domus Sanctae Marthae in Vaticano l’annuale Sessione Plenaria della Commissione Teologica Internazionale, sull’approfondimento dello studio di tre temi: la questione metodologica nella teologia odierna; la comprensione del monoteismo e il significato della Dottrina sociale della Chiesa.
A conclusione dei lavori della Plenaria, alle ore 11 di questa mattina, nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre riceve i Membri della Commissione Teologica Internazionale, e rivolge loro il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato,
illustri Professori e Professoresse, cari Collaboratori!

È una grande gioia per me potervi accogliere a conclusione dell’annuale Sessione Plenaria della Commissione Teologica Internazionale. Vorrei esprimere anzitutto un sentito ringraziamento per le parole che il Signor Cardinale William Levada, in qualità di Presidente della Commissione, ha voluto rivolgermi a nome di voi tutti.

I lavori di questa Sessione hanno coinciso quest’anno con la prima settimana d’Avvento, occasione che ci fa ricordare come ogni teologo sia chiamato ad essere uomo dell’avvento, testimone della vigile attesa, che illumina le vie dell’intelligenza della Parola che si è fatta carne. Possiamo dire che la conoscenza del vero Dio tende e si nutre costantemente di quell’«ora», che ci è sconosciuta, in cui il Signore tornerà. Tenere desta la vigilanza e vivificare la speranza dell’attesa non sono, pertanto, un compito secondario per un retto pensiero teologico, che trova la sua ragione nella Persona di Colui che ci viene incontro e illumina la nostra conoscenza della salvezza.

Quest’oggi mi è grato riflettere brevemente con voi sui tre temi che la Commissione Teologica Internazionale sta studiando negli ultimi anni. Il primo, come è stato detto, riguarda la questione fondamentale per ogni riflessione teologica: la questione di Dio ed in particolare la comprensione del monoteismo. A partire da questo ampio orizzonte dottrinale avete approfondito anche un tema di carattere ecclesiale: il significato della Dottrina sociale della Chiesa, riservando poi un’attenzione particolare ad una tematica che oggi è di grande attualità per il pensare teologico su Dio: la questione dello status stesso della teologia oggi, nelle sue prospettive, nei suoi principi e criteri.

Dietro la professione della fede cristiana nel Dio unico si ritrova la quotidiana professione di fede del popolo di Israele: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico Dio è il Signore» (Dt 6,4). L’inaudito compimento della libera disposizione dell’amore di Dio verso tutti gli uomini si è realizzato nell’incarnazione del Figlio in Gesù Cristo. In tale Rivelazione dell’intimità di Dio e della profondità del suo legame d’amore con l’uomo, il monoteismo del Dio unico si è illuminato con una luce completamente nuova: la luce trinitaria. E nel mistero trinitario s’illumina anche la fratellanza fra gli uomini. La teologia cristiana, insieme con la vita dei credenti, deve restituire la felice e cristallina evidenza all’impatto sulla nostra comunità della Rivelazione trinitaria. Benché i conflitti etnici e religiosi nel mondo rendano più difficile accogliere la singolarità del pensare cristiano di Dio e dell’umanesimo che da esso è ispirato, gli uomini possono riconoscere nel Nome di Gesù Cristo la verità di Dio Padre verso la quale lo Spirito Santo sollecita ogni gemito della creatura (cfr Rm 8). La teologia, in fecondo dialogo con la filosofia, può aiutare i credenti a prendere coscienza e a testimoniare che il monoteismo trinitario ci mostra il vero Volto di Dio, e questo monoteismo non è fonte di violenza, ma è forza di pace personale e universale.

Il punto di partenza di ogni teologia cristiana è l’accoglienza di questa Rivelazione divina: l’accoglienza personale del Verbo fatto carne, l’ascolto della Parola di Dio nella Scrittura. Su tale base di partenza, la teologia aiuta l’intelligenza credente della fede e la sua trasmissione. Tutta la storia della Chiesa mostra però che il riconoscimento del punto di partenza non basta a giungere all’unità nella fede.

Ogni lettura della Bibbia si colloca necessariamente in un dato contesto di lettura, e l’unico contesto nel quale il credente può essere in piena comunione con Cristo è la Chiesa e la sua Tradizione viva. Dobbiamo vivere sempre nuovamente l’esperienza dei primi discepoli, che «erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42).

In questa prospettiva, la Commissione ha studiato i principi e i criteri secondo i quali una teologia può essere cattolica, e ha anche riflettuto sul contributo attuale della teologia. E’ importante ricordare che la teologia cattolica, sempre attenta al legame tra fede e ragione, ha avuto un ruolo storico nella nascita dell’Università. Una teologia veramente cattolica con i due movimenti, «intellectus quaerens fidem et fide quaerens intellectum», è oggi più che mai necessaria, per rendere possibile una sinfonia delle scienze e per evitare le derive violente di una religiosità che si oppone alla ragione e di una ragione che si oppone alla religione.

La Commissione Teologica studia poi la relazione fra la Dottrina sociale della Chiesa e l’insieme della Dottrina cristiana. L’impegno sociale della Chiesa non è solo qualcosa di umano, né si risolve in una teoria sociale. La trasformazione della società operata dai cristiani attraverso i secoli è una risposta alla venuta nel mondo del Figlio di Dio: lo splendore di tale Verità e Carità illumina ogni cultura e società. San Giovanni afferma: «In questo abbiamo conosciuto l’amore; nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16). I discepoli di Cristo Redentore sanno che senza l’attenzione all’altro, il perdono, l’amore anche dei nemici, nessuna comunità umana può vivere in pace; e questo incomincia nella prima e fondamentale società che è la famiglia. Nella necessaria collaborazione a favore del bene comune anche con chi non condivide la nostra fede, dobbiamo rendere presenti i veri e profondi motivi religiosi del nostro impegno sociale, così come aspettiamo dagli altri che ci manifestino le loro motivazioni, affinché la collaborazione si faccia nella chiarezza. Chi avrà percepito i fondamenti dell’agire sociale cristiano vi potrà così anche trovare uno stimolo per prendere in considerazione la stessa fede in Cristo Gesù.

Cari amici, il nostro incontro conferma in modo significativo quanto la Chiesa abbia bisogno della competente e fedele riflessione dei teologi sul mistero del Dio di Gesù Cristo e della sua Chiesa. Senza una sana e vigorosa riflessione teologica la Chiesa rischierebbe di non esprimere pienamente l’armonia tra fede e ragione. Al contempo, senza il fedele vissuto della comunione con la Chiesa e l’adesione al suo Magistero, quale spazio vitale della propria esistenza, la teologia non riuscirebbe a dare un’adeguata ragione del dono della fede.

Porgendo, per il vostro tramite, l’augurio e l’incoraggiamento a tutti i fratelli e le sorelle teologi, sparsi nei vari contesti ecclesiali, invoco su di voi l’intercessione di Maria, Donna dell’Avvento e Madre del Verbo incarnato, la quale è per noi, nel suo custodire la Parola nel suo cuore, paradigma del retto teologare, il modello sublime della vera conoscenza del Figlio di Dio. Sia Lei, la Stella della speranza, a guidare e proteggere il prezioso lavoro che svolgete per la Chiesa e a nome della Chiesa. Con questi sentimenti di gratitudine, vi rinnovo la mia Benedizione Apostolica.
Grazie.



[Modificato da Caterina63 02/12/2011 15:19]
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Elezione al femminile per la prima volta in una facoltà teologica pontificia

Teologia con voce di donna


A colloquio con suor Mary Melone, nuovo decano all'Antonianum

 

di GIULIA GALEOTTI

Durante un'insolita ottobrata romana, puoi scoprire tante cose. Ad esempio che l'estate di san Martino quest'anno ha anticipato il suo treno; che al bar dell'Antonianum fanno il cappuccino più buono della zona di San Giovanni; che il nuovo decano della facoltà di teologia della stessa università, suor Mary Melone, è una quarantasettenne che dimostra dieci anni di meno.

Spezzina, francescana, laurea in pedagogia, dottorato in teologia, specializzazione in dogmatica, già preside di scienze religiose, oggi, a nemmeno cinquant'anni, è decano di teologia nella Pontificia Università Antonianum. Un percorso ragguardevole!

Ho iniziato a insegnare qui una decina di anni fa, dopo avervi fatto quasi tutta la mia formazione teologica. È un ambiente che conosco bene. Nonostante la facoltà di teologia sia la più grande dell'università, è comunque una facoltà in cui ci conosciamo tutti (alcuni dei miei attuali colleghi sono stati miei professori). Ho sempre trovato molta fiducia, molta stima da parte dell'ambiente accademico. L'Antonianum è retta dall'ordine dei frati minori e per solito la carriera accademica è riservata a loro. Ma nei miei confronti l'ordine ha sempre manifestato grande fiducia e stima dandomi la possibilità di una carriera accademica. Sono tra i pochi professori non dell'ordine ad avere la possibilità di una stabilità.

L'età media del corpo docente è così giovane o lei è un'eccezione?


In effetti il corpo docente ha un'età media tra i quaranta e i cinquanta anni (anche se ovviamente non mancano le eccezioni). Certo, molti di questi professori sono in via di stabilizzazione, però sì, effettivamente l'età è abbastanza giovane. Ma non è un caso: su questo si riflette il grande sforzo che l'ordine dei minori sta facendo. Considerando i problemi di vocazioni, è un grande impegno e una scelta precisa dedicare tanti frati e investire tante forze giovani nell'insegnamento.

Alla facoltà di teologia lei è una delle poche donne?


Sì, siamo tre donne (due religiose) su un totale di ventiquattro docenti. Le docenti sono più numerose (sette, di cui una sola laica) all'Istituto Francescano di Spiritualità e all'Istituto Superiore di Scienze religiose (dieci, io sono la sola religiosa), giacché le discipline sono meno legate alla sfera teologica.

In lei è nata prima la vocazione religiosa o quella da studiosa?


Sono sempre stata molto studiosa! Proprio la passione per lo studio è stata una delle cose per le quali ho più esitato ad abbracciare la vita religiosa. Anche perché nella mia congregazione all'inizio (e giustamente!) mi hanno detto che non sceglievo un titolo di studio, sceglievo una forma di vita. Nel mio istituto comunque c'è sempre stata la tradizione di lasciare molto spazio alla formazione religiosa delle giovani sorelle, quindi ho avuto la possibilità di frequentare sia la Libera Università Maria Santissima Assunta (che allora era ancora un'università privata per giovani ragazze o religiose; alla Lumsa devo molto in termini di metodo), poi è arrivato l'orientamento alla teologia, che quasi mi ha sorpreso. Non avrei mai pensato di tornare agli studi teologici! È stata, come diciamo noi, una scelta fatta insieme. Il frutto di un discernimento che però mi ha affascinato.

La sua metodologia coniuga aspetto storico e aspetto teologico.


Negli studi mi dedico soprattutto all'approfondimento teologico del pensiero dei grandi maestri, in particolare a Riccardo di San Vittore e Antonio di Padova. Antonio è una figura piuttosto emblematica perché viene da una formazione vittorina (in quanto canonico agostiniano) ed è passato poi ai frati francescani, divenendo il primo grande studioso del francescanesimo (a lui è dedicata la nostra università). Storico e teologico significa compiere una ricostruzione del pensiero e della formazione dei loro scritti, possibilmente con strumenti adeguati, per giungere alla conoscenza nel tentativo di elaborare un pensiero teologico che sia comprensibile, che possa essere messo in luce nella sua attualità che è ancora molto forte. Molto forte soprattutto in questi grandi maestri, come per Riccardo di San Vittore con la sua visione della relazionalità, tema che nella teologia pone degli interrogativi molto profondi. Dunque sì, l'indirizzo dei miei studi è quello di indagare i testi tentando di enucleare una linea di pensiero che possa essere significativa per l'oggi.

Ha scritto della necessità di evitare la tentazione di voler per forza riempire i vuoti documentari.


Non ricordo assolutamente questa mia espressione! (ride) Credo comunque che questa tentazione l'abbiamo. Quando si frequenta un autore, si finisce per affezionarvisi. Ricordo la mia prima difesa di laurea con il professor Pieretti, che mi aveva assegnato come autore Gabriel Marcel. Ebbene, in sede di difesa mi sentii dire da lui: "la presentazione che la studente fa è abbastanza oggettiva, si respira nella sua tesi una grande simpatia per l'autore". Rimasi molto colpita: non pensavo di aver fatto una presentazione "abbastanza oggettiva". Pensavo di aver fatto una presentazione oggettiva! La frase del professore mi è rimasta impressa perché poi ho sempre verificato che studiando un autore si instaura una simpatia che rischia di condizionare l'oggettività. Questo anche per quanto riguarda la ricostruzione del pensiero: molte volte, soprattutto nei confronti di alcuni autori, il desiderio di portare alla luce il pensiero, di riscoprirne l'attualità, la significatività per l'oggi, ci fa un po' forzare quello che abbiamo. Invece bisognerebbe accettare i vuoti che ci sono. Non tutto ciò che i documenti dicono è adatto per noi, o può essere utilizzato come noi vorremmo. Pensi ad Antonio, notoriamente oggetto di una questione perché nei suoi sermoni non cita mai san Francesco. Uno ci rimane un po' male! Ma come, il primo grande francescano, la prima grande opera di letteratura teologica non cita mai Francesco? Allora in questo caso cerchiamo di giustificare, di trovare i temi francescani più classici per dire: vedi non ha detto Francesco, ma Francesco c'è. Ci deve essere per forza. Forse invece non c'è. Forse non era il suo interesse. Forse bisogna avere il coraggio di lasciare questi vuoti.

La figura del decano: nelle università statali è il professore più anziano per cattedra che fa momentaneamente le veci del preside. Lei invece è stata eletta.


Già, tutti pensano che siamo decrepiti! (ride) Nelle nostre università pontificie il decano ha la funzione di preside di facoltà. La qualifica non è legata all'anzianità, ma a un'elezione del consiglio di facoltà che vota tra i professori stabili (quindi titolari di cattedra).

Che la prima decano donna in teologia di una università pontificia sia dell'Antonianum è un caso o si inscrive nella tradizione francescana?


Non saprei. Probabilmente è un caso, probabilmente invece è dovuto a vari fattori. Per esempio il fatto che l'università francescana non è una delle più grandi, il che consente di avere un corpo docente abbastanza contenuto, il numero degli stabili non è enorme come potrebbe essere forse quello della Gregoriana o della Lateranense. La seconda ragione è che qui davvero c'è tanta stima e tanta apertura nei confronti della docenza femminile. E un segno ne è la mia elezione: non sono tra gli stabili più anziani (sono diventata stabile solo lo scorso anno), eppure eccomi qui.

Ha in programma dei cambiamenti?


La nostra facoltà ha avviato già da anni un suo cammino di rinnovamento qualitativo. Il processo di Bologna ha chiesto un po' a tutte le università un ripensamento, un miglioramento della qualità. E l'Antonianum ha risposto. Sono certa che continueremo in questa direzione. Del resto, la funzione del decano è sì quella di coordinare, ma dietro c'è il consiglio di facoltà che è un consiglio qualificato per dare gli orientamenti anche della ricerca, l'impostazione teologica. Il nostro è un lavoro di équipe.

Teologia al femminile: aveva senso, ha senso, avrà senso? Il tempo di "Colei che è", il saggio di Elizabeth Johnson che, per la prima volta, affrontava in modo radicale il problema del discorso su Dio in un linguaggio inclusivo, è passato? Oggi è meglio parlare di teologia tout court?


Non sono per questo tipo di etichette, teologia al femminile. E soprattutto non sono per le contrapposizioni, pur non ignorando che forse in passato c'è stato motivo per la contrapposizione. Forse anche nel presente, non lo so. Sicuramente lo spazio alle donne deve essere maggiormente garantito. Parlare di teologia al femminile non risponde proprio alla mia visione: c'è solo la teologia. La teologia come ricerca, come sguardo rivolto al mistero, come riflessione su questo mistero. Ma proprio perché tale va fatta con sensibilità diverse, questo sì. Il modo di accostarsi al mistero, il modo con cui una donna riflette su questo mistero che si dà, che si rivela, è sicuramente diverso da quello di un uomo. Ma non per contrapposizione. Io credo nella teologia, e credo che la teologia fatta da una donna sia propria di una donna. Diversa, ma senza la rivendicazione. Altrimenti mi sembra quasi di strumentalizzare la teologia, che invece è un campo che richiede l'onestà di chi si mette di fronte al mistero. Riflettiamo sul mistero che si dà: è il mistero che si dà, non siamo noi che lo ricerchiamo. Anche se ovviamente io mi accosto nella mia realtà. Tutto questo si vede e si sente anche nel nostro ambiente accademico. Oggi, più che la contrapposizione, serve la complementarietà e la ricchezza dei diversi approcci. In questo senso forse è necessario che lo spazio sia dato. Ma non solo da parte degli uomini. Noi donne facciamo fatica a dedicarci alla teologia per tantissimi motivi. Normalmente la donna non ha uno spazio proprio (tranne le salesiane), non abbiamo università pontificie. Ci sono molti problemi che sono all'origine di questa scarsa presenza femminile. Però sarebbe davvero importante, una fonte di arricchimento, se le suore, e anche le laiche, potessero dare il loro apporto. Perché è una ricchezza. La teologia fatta dalle donne è una teologia fatta dalle donne: non si può dire che non sia caratterizzata! Però come complementarietà e ricchezza, più che come contrapposizione o rivendicazione di spazi.

A che punto è il cammino delle donne nella Chiesa? I passi avanti sono reali o è mera apparenza?


Penso che i passi siano reali. Certamente lo sguardo non può essere commisurato sui tempi che la Chiesa ha, che sono tempi che riflettono una maturazione del pensiero avvenuta in centinaia di anni. Però secondo me lo spazio nuovo c'è ed è reale. E credo anche che sia irreversibile, nel senso che non è una concessione, ma un segno dei tempi da cui non c'è ritorno. Non è un far finta. Credo che questo dipenda molto anche da noi donne. Siamo noi che dovremmo cominciare. La donna non può misurare lo spazio che ha nella Chiesa su quello dell'uomo: abbiamo un nostro spazio che non è né minore né maggiore di quello dell'uomo. È il nostro spazio. Finché penseremo che dobbiamo ottenere quello che hanno gli uomini, non funzionerà. Certo, anche se i passi fatti sono reali, ciò non significa che sia stato fatto tutto. Si può fare ancora molto, ma il cambiamento c'è, si vede, si avverte. E penso che (a prescindere dalla mia persona) l'elezione di una donna in una università pontificia sia anche un segno di questo. La seduta che mi ha eletto era tutta maschile!

Quindi non c'è stato bisogno delle quote?


No (ride). Non delle quote, ma della collaborazione. Anche se è auspicabile che la collaborazione cresca!



(©L'Osservatore Romano 7 dicembre 2011)


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[SM=g1740722]

COMUNICATO STAMPA

Pubblicazione del documento
Theology Today: Perspectives, Principles and Criteria
della Commissione Teologica Internazionale

 

A seguito del documento Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale (2009), la Commissione Teologica Internazionale, nella sua missione di offrire il proprio aiuto alla Santa Sede e in modo particolare alla Congregazione per la Dottrina della Fede nell’esaminare le questioni dottrinali di maggiore importanza, rende pubblico il giorno 8 marzo 2012 il nuovo documento redatto in inglese: Theology Today: Perspectives, Principles and Criteria. Il testo viene pubblicato nella pagina internet della Commissione Teologia Internazionale sul Sito Vaticano (www.vatican.va). Nel medesimo giorno il documento appare anche sulla rivista Origins. CNS Documentary Service e sul sito internet della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d’America. Una traduzione italiana sarà prossimamente disponibile su La Civiltà Cattolica e successivamente sono previste anche le traduzioni nelle principali lingue.

Il documento, la cui preparazione fu iniziata nel precedente quinquennium 2004-2008, nella sottocommissione presieduta da P. Santiago del Cura Elena, è stato redatto, tenendo presente lo studio svolto, durante l’attuale quinquennium nella sottocommissione presieduta da Mons. Paul McPartlan.

Il documento esamina alcune questioni attuali della teologia e propone, alla luce dei principi costitutivi della teologia, i criteri metodologici che sono determinanti per la teologia cattolica rispetto ad altre discipline affini, come le scienze religiose. Il testo è distribuito in tre capitoli: la teologia presuppone l’ascolto della Parola di Dio accolta nella fede (capitolo 1); la si esercita nella comunione della Chiesa (capitolo 2); e mira a dare ragione di un modo scientifico di accostarsi alla verità di Dio in una prospettiva di autentica saggezza (capitolo 3).

Il testo è stato approvato in forma specifica dalla Commissione Teologica Internazionale il 29 novembre 2011 ed è stato sottoposto al Presidente della medesima, il Cardinale William Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha autorizzato la sua pubblicazione.

 

 

 

[SM=g1740733] [SM=g1740722] [SM=g1740721] 

 

San Pio X contro i teologi modernisti nei seminari

Ma qui già siamo agli artifici con che i modernisti spacciano la loro merce. Che non tentano essi mai per moltiplicare gli adepti? Nei Seminari e nelle Università cercano di ottenere cattedre da mutare insensibilmente in cattedre di pestilenza. Inculcano le loro dottrine, benché forse velatamente, predicando nelle chiese; le annunciano più aperte nei congressi: le introducono e le magnificano nei sociali istituti. Col nome proprio o di altri pubblicano libri, giornali, periodici. Uno stesso e solo scrittore fa uso talora di molti nomi, perché gli incauti sieno tratti in inganno dalla simulata moltitudine degli autori. Insomma coll'azione, colla parola, colla stampa tutto tentano, da sembrar quasi colti da frenesia. E tutto ciò con qual esito? Piangiamo pur troppo gran numero di giovani di speranze egregie e che ottimi servigi renderebbero alla Chiesa, usciti fuori dal retto cammino. Piangiamo moltissimi, che, sebbene non giunti tant'oltre, pure, respirata un'aria corrotta, sogliono pensare, parlare, scrivere più liberamente che non si convenga a cattolici. Si contano costoro fra i laici, si contano fra i sacerdoti; e chi lo crederebbe? si contano altresì nelle stesse famiglie dei Religiosi. Trattano la Scrittura secondo le leggi dei modernisti. Scrivono storia e sotto specie di dir tutta la verità, tutto ciò che sembri gettare ombra sulla Chiesa lo pongono diligentissimamente in luce con voluttà mal repressa. Le pie tradizioni popolari, seguendo un certo apriorismo, cercano a tutta possa di cancellare. Ostentano disprezzo per sacre Reliquie raccomandate dalla loro vetustà. Insomma li punge la vana bramosia che il mondo parli di loro; il che si persuadono che non sarà, se dicono soltanto quello che sempre e da tutti fu detto. Intanto si dànno forse a credere di prestare ossequio a Dio ed alla Chiesa; ma in realtà gravissimamente li offendono, non tanto per quel che fanno, quanto per l'intenzione con cui operano e per l'aiuto che prestano utilissimo agli ardimenti dei modernisti.

[Brano tratto dall'Enciclica "Pascendi Dominici gregis" di San Pio X]

[SM=g1740738]

 

[Modificato da Caterina63 13/03/2012 12:58]
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[SM=g1740758] MESSAGGIO DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE NELL'ANNO DELLA FEDE

Città del Vaticano, 16 ottobre 2012 (VIS). In occasione dell'Anno della Fede, la Commissione Teologica Internazionale ha redatto un Messaggio di cui di seguito riportiamo ampi estratti.

"In quanto comunità di fede, (...), anche la Commissione Teologica Internazionale, nel suo insieme, desidera significare la sua speciale attenzione al messaggio di conversione di quest’Anno della fede, rinnovando ed approfondendo il suo impegno al servizio della Chiesa. A tale scopo, il 6 dicembre 2012, in occasione della sua sessione plenaria annuale e sotto la guida del suo Presidente, S.E. Mons. Gerhard L. Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, la Commissione Teologica Internazionale compirà un pellegrinaggio alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore per affidare il proprio lavoro, e quello di tutti teologi cattolici, alla Vergine fedele, proclamata 'beata perché ha creduto'".

"In occasione di quest’Anno della fede, la Commissione Teologica Internazionale si impegna in 'medio Ecclesiae' a portare il suo contributo specifico alla nuova evangelizzazione promossa dalla Santa Sede. Ciò significa scrutare il mistero rivelato con tutte le risorse della ragione illuminata dalla fede, a beneficio di tutti i credenti: favorendo anche la sua recezione nelle culture attuali".

"Come recentemente ha potuto affermare il documento della Commissione Teologica Internazionale intitolato La teologia oggi: prospettive, principi e criteri, la teologia deriva tutta intera dalla fede: e si esercita in costante dipendenza dalla fede che è vissuta nel popolo di Dio guidato dai suoi Pastori. Difatti, solo la fede permette al teologo di accedere realmente al suo oggetto: ossia la verità di Dio, che illumina l’insieme del reale con la luce di un nuovo giorno – sub ratione Dei".

"Il teologo lavora dunque per 'inculturare' nell’intelligenza umana, sotto le forme di un’autentica scienza, i contenuti intelligibili della 'fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte (Lettera di Giuda, v. 3). Ma egli rivolge un’attenzione tutta particolare anche allo stesso atto di credere. (...) Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. (...) Di questo atto di fede, il teologo elabora la consonanza antropologica di alto profilo – la 'convenienza'(...); si interroga perciò sul modo in cui la grazia preveniente di Dio suscita, nel cuore stesso della libertà dell’uomo, il 'sì' della fede; e mostra come la fede costituisca il 'fondamento di tutto l’edificio spirituale (...) ', nel senso che dà forma a tutte le dimensioni della vita cristiana, personale, familiare e comunitaria".

"Il lavoro del teologo non soltanto è radicato nella fede vivente del popolo cristiano, attento a quello che 'lo Spirito dice alle Chiese', ma è tutto intero finalizzato alla crescita della fede nel popolo di Dio e alla missione evangelizzatrice della Chiesa. (...) Il teologo, dunque, nella collaborazione responsabile con il Magistero, abbraccia il servizio della fede del popolo di Dio come la sua propria vocazione".

Nello stesso tempo, il teologo è servitore della gioia cristiana, che è 'la gioia della verità (gaudium de veritate)'. In questo senso, si può dire con verità che la fede – e la stessa teologia, come 'scientia fidei' e sapienza – procura a tutti gli 'innamorati della bellezza spirituale' una reale pregustazione della gioia eterna.


[SM=g1740758]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740758] IL PAPA: RELIGIONI MONOTEISTE NON SONO PORTATRICI DI VIOLENZA

Città del Vaticano, 7 dicembre 2012 (VIS). Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza i Membri della Commissione Teologica Internazionale al termine dei lavori della Sessione Plenaria. Benedetto XVI ha espresso il suo apprezzamento per il Messaggio della Commissione in occasione dell'Anno della fede che "mette bene in luce il modo specifico in cui i teologi, servendo fedelmente la verità della fede, possono partecipare allo slancio evangelizzatore della Chiesa".

Il Messaggio riprende i temi del documento “La teologia oggi. Prospettve, principi e criteri”,

ed "intende presentare, per così dire, il codice genetico della teologia cattolica, cioè i principi che definiscono la sua stessa identità e, di conseguenza, garantiscono la sua unità nella diversità delle sue realizzazioni. (...) In un contesto culturale dove taluni sono tentati o di privare la teologia di uno statuto accademico - ha detto il Papa - a causa del suo legame intrinseco con la fede, o di prescindere dalla dimensione credente e confessionale della teologia, con il rischio di confonderla con le scienze religiose, il vostro documento ricorda opportunamente che la teologia è inscindibilmente confessionale e razionale e che la sua presenza all’interno dell’istituzione universitaria garantisce una visione ampia ed integrale della stessa ragione umana".

"Tra i criteri della teologia cattolica - ha affermato il Papa - il documento menziona l’attenzione che i teologi devono riservare al 'sensus fidelium'. Il Concilio Vaticano II, ribadendo il ruolo specifico ed insostituibile che spetta al Magistero, ha sottolineato nondimeno che l’insieme del Popolo di Dio partecipa dell’ufficio profetico di Cristo (...).Questo dono, il 'sensus fidei', costituisce nel credente una sorta di istinto soprannaturale che ha una connaturalità vitale con lo stesso oggetto della fede. Esso è un criterio per discernere se una verità appartenga o no al deposito vivente della tradizione apostolica. Presenta anche un valore propositivo perché lo Spirito Santo non smette di parlare alle Chiese e di guidarle verso la verità tutta intera. Oggi, tuttavia, è particolarmente importante precisare i criteri che permettono di distinguere il 'sensus fidelium' autentico dalle sue contraffazioni. In realtà, esso non è una sorta di opinione pubblica ecclesiale, e non è pensabile poterlo menzionare per contestare gli insegnamenti del Magistero, poiché il 'sensus fìdei' non può svilupparsi autenticamente nel credente se non nella misura in cui egli partecipa pienamente alla vita della Chiesa, e ciò esige l’adesione responsabile al suo Magistero". [SM=g1740721]

"Oggi, questo stesso senso soprannaturale della fede dei credenti porta a reagire con vigore anche contro il pregiudizio secondo cui le religioni, ed in particolare le religioni monoteiste, sarebbero intrinsecamente portatrici di violenza, soprattutto a causa della pretesa che esse avanzano dell’esistenza di una verità universale. Alcuni ritengono che solo il 'politeismo dei valori' garantirebbe la tolleranza e la pace civile e sarebbe conforme allo spirito di una società democratica pluralistica. (...) Da una parte, è essenziale ricordare che la fede nel Dio unico, Creatore del cielo e della terra, incontra le esigenze razionali della riflessione metafisica, la quale non viene indebolita ma rinforzata ed approfondita dalla Rivelazione del mistero del Dio-Trinità. Dall’altra parte, bisogna sottolineare la forma che la Rivelazione definitiva del mistero dell’unico Dio prende nella vita e morte di Gesù Cristo, che va incontro alla Croce come 'agnello condotto al macello'. Il Signore attesta un rifiuto radicale di ogni forma di odio e violenza a favore del primato assoluto dell’agape. Se dunque nella storia vi sono state o vi sono forme di violenza operate nel nome di Dio, queste non sono da attribuire al monoteismo, ma a cause storiche, principalmente agli errori degli uomini. Piuttosto è proprio l’oblio di Dio ad immergere le società umane in una forma di relativismo, che genera ineluttabilmente la violenza. Quando si nega la possibilità per tutti di riferirsi ad una verità oggettiva, il dialogo viene reso impossibile e la violenza, dichiarata o nascosta, diventa la regola dei rapporti umani. Senza l’apertura al trascendente, che permette di trovare delle risposte agli interrogativi sul senso della vita e sulla maniera di vivere in modo morale, l’uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace".

"Se la rottura del rapporto degli uomini con Dio porta con sé uno squilibrio profondo nelle relazioni tra gli uomini stessi, la riconciliazione con Dio, operata dalla Croce di Cristo, 'nostra pace' è la sorgente fondamentale dell’unità e della fraternità. In questa prospettiva, si colloca anche la vostra riflessione" sulla "dottrina sociale della Chiesa nell’insieme della dottrina della fede. Essa conferma che la dottrina sociale non è un’aggiunta estrinseca, ma, senza trascurare l’apporto di una sana filosofia sociale, attinge i suoi principi di fondo alle sorgenti stesse della fede. Tale dottrina cerca di rendere effettivo, nella grande diversità delle situazioni sociali, il comandamento nuovo che il Signore Gesù ci ha lasciato: 'Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri'", ha concluso il Pontefice.




DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
ALLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE
IN OCCASIONE DELLA SESSIONE PLENARIA ANNUALE

Sala dei Papi
Venerdì, 7 dicembre 2012

 

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Professori e cari Collaboratori,

con grande gioia vi accolgo al termine dei lavori della vostra Sessione Plenaria annuale. Saluto di cuore il vostro nuovo Presidente, Mons. Gerhard Ludwig Müller, che ringrazio per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti, così come il nuovo Segretario generale, il Padre Serge-Thomas Bonino.

La vostra Sessione Plenaria si è svolta nel contesto dell’Anno della fede, e sono profondamente lieto che la Commissione Teologica Internazionale abbia voluto manifestare la sua adesione a questo evento ecclesiale attraverso un pellegrinaggio alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, per affidare alla Vergine Maria, praesidium fidei, i lavori della vostra Commissione e per pregare per tutti coloro che, in medio Ecclesiae, si dedicano a far fruttificare l’intelligenza della fede a beneficio e gioia spirituale di tutti i credenti. Grazie per questo gesto straordinario. Esprimo apprezzamento per il Messaggio che avete redatto in occasione di quest’Anno della fede. Esso mette bene in luce il modo specifico in cui i teologi, servendo fedelmente la verità della fede, possono partecipare allo slancio evangelizzatore della Chiesa.

Questo Messaggio riprende i temi che avete sviluppato più ampiamente nel documento “La teologia oggi. Prospettive, principi e criteri”, pubblicato all’inizio di quest’anno. Prendendo atto della vitalità e della varietà della teologia dopo il Concilio Vaticano II, questo documento intende presentare, per così dire, il codice genetico della teologia cattolica, cioè i principi che definiscono la sua stessa identità e, di conseguenza, garantiscono la sua unità nella diversità delle sue realizzazioni. A tale scopo, il testo chiarisce i criteri per una teologia autenticamente cattolica e pertanto capace di contribuire alla missione della Chiesa, all’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini. In un contesto culturale dove taluni sono tentati o di privare la teologia di uno statuto accademico, a causa del suo legame intrinseco con la fede, o di prescindere dalla dimensione credente e confessionale della teologia, con il rischio di confonderla e di ridurla alle scienze religiose, il vostro documento ricorda opportunamente che la teologia è inscindibilmente confessionale e razionale e che la sua presenza all’interno dell’istituzione universitaria garantisce, o dovrebbe garantire, una visione ampia ed integrale della stessa ragione umana.

Tra i criteri della teologia cattolica, il documento menziona l’attenzione che i teologi devono riservare al sensus fidelium. È molto utile che la vostra Commissione si sia concentrata anche su questo tema che è di particolare importanza per la riflessione sulla fede e per la vita della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, ribadendo il ruolo specifico ed insostituibile che spetta al Magistero, ha sottolineato nondimeno che l’insieme del Popolo di Dio partecipa dell’ufficio profetico di Cristo, realizzando così il desiderio ispirato, espresso da Mosè: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!» (Nm 11,29). La Costituzione dogmatica Lumen gentium insegna al riguardo: «La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo (cfr 1 Gv 2,20.27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale» (n. 12). Questo dono, il sensus fidei, costituisce nel credente una sorta di istinto soprannaturale che ha una connaturalità vitale con lo stesso oggetto della fede. Osserviamo che proprio i semplici fedeli portano con sé questa certezza, questa sicurezza del senso della fede. Il sensus fidei è un criterio per discernere se una verità appartenga o no al deposito vivente della tradizione apostolica. Presenta anche un valore propositivo perché lo Spirito Santo non smette di parlare alle Chiese e di guidarle verso la verità tutta intera. Oggi, tuttavia, è particolarmente importante precisare i criteri che permettono di distinguere il sensus fidelium autentico dalle sue contraffazioni. In realtà, esso non è una sorta di opinione pubblica ecclesiale, e non è pensabile poterlo menzionare per contestare gli insegnamenti del Magistero, poiché il sensus fìdei non può svilupparsi autenticamente nel credente se non nella misura in cui egli partecipa pienamente alla vita della Chiesa, e ciò esige l’adesione responsabile al suo Magistero, al deposito della fede.

Oggi, questo stesso senso soprannaturale della fede dei credenti porta a reagire con vigore anche contro il pregiudizio secondo cui le religioni, ed in particolare le religioni monoteiste, sarebbero intrinsecamente portatrici di violenza, soprattutto a causa della pretesa che esse avanzano dell’esistenza di una verità universale. Alcuni ritengono che solo il “politeismo dei valori” garantirebbe la tolleranza e la pace civile e sarebbe conforme allo spirito di una società democratica pluralistica. In questa direzione, il vostro studio sul tema “Dio Trinità, unità degli uomini. Cristianesimo e monoteismo” è di viva attualità. Da una parte, è essenziale ricordare che la fede nel Dio unico, Creatore del cielo e della terra, incontra le esigenze razionali della riflessione metafisica, la quale non viene indebolita ma rinforzata ed approfondita dalla Rivelazione del mistero del Dio-Trinità. Dall’altra parte, bisogna sottolineare la forma che la Rivelazione definitiva del mistero dell’unico Dio prende nella vita e morte di Gesù Cristo, che va incontro alla Croce come “agnello condotto al macello” (Is 53,7). Il Signore attesta un rifiuto radicale di ogni forma di odio e violenza a favore del primato assoluto dell’agape. Se dunque nella storia vi sono state o vi sono forme di violenza operate nel nome di Dio, queste non sono da attribuire al monoteismo, ma a cause storiche, principalmente agli errori degli uomini. Piuttosto è proprio l’oblio di Dio ad immergere le società umane in una forma di relativismo, che genera ineluttabilmente la violenza. Quando si nega la possibilità per tutti di riferirsi ad una verità oggettiva, il dialogo viene reso impossibile e la violenza, dichiarata o nascosta, diventa la regola dei rapporti umani. Senza l’apertura al trascendente, che permette di trovare delle risposte agli interrogativi sul senso della vita e sulla maniera di vivere in modo morale, senza questa apertura l’uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace.

Se la rottura del rapporto degli uomini con Dio porta con sé uno squilibrio profondo nelle relazioni tra gli uomini stessi, la riconciliazione con Dio, operata dalla Croce di Cristo, “nostra pace” (Ef 2,14) è la sorgente fondamentale dell’unità e della fraternità. In questa prospettiva, si colloca anche la vostra riflessione sul terzo tema, quello della dottrina sociale della Chiesa nell’insieme della dottrina della fede. Essa conferma che la dottrina sociale non è un’aggiunta estrinseca, ma, senza trascurare l’apporto di una filosofia sociale, attinge i suoi principi di fondo alle sorgenti stesse della fede. Tale dottrina cerca di rendere effettivo, nella grande diversità delle situazioni sociali, il comandamento nuovo che il Signore Gesù ci ha lasciato: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).

Preghiamo la Vergine Immacolata, modello di chi ascolta e medita la Parola di Dio, che vi ottenga la grazia di servire sempre gioiosamente l’intelligenza della fede a favore di tutta la Chiesa. Rinnovando l’espressione della mia profonda gratitudine per il vostro servizio ecclesiale, vi assicuro la mia costante vicinanza nella preghiera e imparto di cuore a voi tutti la Benedizione Apostolica.

 



[SM=g1740722]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Papa Francesco incoraggia i teologi a essere pionieri del dialogo della Chiesa con le culture



Il Papa ha ricevuto stamani, 6 dicembre 2013, i membri della Commissione Teologica Internazionale, guidati dal presidente, mons. Müller, al termine della Sessione Plenaria. “Questo incontro – ha detto - mi offre l’occasione per ringraziarvi del lavoro che avete compiuto nell’ultimo quinquennio, e per riaffermare l’importanza del servizio ecclesiale dei teologi per la vita e la missione del Popolo di Dio”.

“Come avete ribadito nel recente documento ‘La teologia oggi: prospettive, principi, criteri’ – ha detto il Papa - la teologia è scienza e sapienza. E’ scienza, e come tale utilizza tutte le risorse della ragione illuminata dalla fede per penetrare nell’intelligenza del mistero di Dio rivelato in Gesù Cristo. Ed è soprattutto sapienza: alla scuola della Vergine Maria, che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19), il teologo cerca di mettere in luce l’unità del disegno di amore di Dio e si impegna a mostrare come le verità della fede formino una unità organica, armonicamente articolata.
Inoltre, al teologo appartiene il compito di «ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta» (CONC. VAT. II, Cost. past. Gaudium e spes, 44).
I teologi sono dunque dei ‘pionieri’, è importante questo; pionieri, avanti! Pionieri del dialogo della Chiesa con le culture; un dialogo, ma questo dei pionieri è anche importante perché alcune volte si può pensare che sono dietro, in caserma … No, sulle frontiere. Questo dialogo della Chiesa con le culture è un dialogo al tempo stesso critico e benevolo, - un’attenzione, che deve favorire l’accoglienza della Parola di Dio da parte degli uomini «di ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7,9)”.

Il Papa ha quindi proseguito: “I tre temi che attualmente vi occupano si inseriscono in questa prospettiva. La vostra riflessione sui rapporti tra monoteismo e violenza attesta che la Rivelazione di Dio costituisce veramente una Buona Notizia per tutti gli uomini. Dio non è una minaccia per l’uomo! La fede nel Dio unico e tre volte santo non è e non può mai essere generatrice di violenza e di intolleranza. Al contrario, il suo carattere altamente razionale le conferisce una dimensione universale, capace di unire gli uomini di buona volontà. D’altra parte, la Rivelazione definitiva di Dio in Gesù Cristo rende oramai impossibile ogni ricorso alla violenza “nel nome di Dio”. È proprio per il suo rifiuto della violenza, per aver vinto il male con il bene, con il sangue della sua Croce, che Gesù ha riconciliato gli uomini con Dio e tra di loro”.

“È questa stessa pace – ha aggiunto - che sta al centro della vostra riflessione sulla dottrina sociale della Chiesa. Questa mira a tradurre nella concretezza della vita sociale l’amore di Dio per l’uomo, manifestatosi in Gesù Cristo. Ecco perché la dottrina sociale si radica sempre nella Parola di Dio, accolta, celebrata e vissuta nella Chiesa. E la Chiesa è tenuta a vivere prima di tutto in se stessa quel messaggio sociale che porta nel mondo. Le relazioni fraterne tra i credenti, l’autorità come servizio, la condivisione con i poveri: tutti questi tratti, che caratterizzano la vita ecclesiale fin dalla sua origine, possono e devono costituire un modello vivente ed attraente per le diverse comunità umane, dalla famiglia fino alla società civile”.

Quindi ha sottolineato che “tale testimonianza appartiene al Popolo di Dio nel suo insieme, che è un Popolo di profeti. Per il dono dello Spirito Santo, i membri della Chiesa possiedono il “senso della fede”. Si tratta di una sorta di “istinto spirituale”, che permette di sentire cum Ecclesia e di discernere ciò che è conforme alla fede apostolica e allo spirito del Vangelo. Certo, il sensus fidelium non si può confondere con la realtà sociologica di un’opinione maggioritaria, quello è chiaro. È un’altra cosa. È importante dunque - ed è un vostro compito - elaborare i criteri che permettono di discernere le espressioni autentiche del sensus fidelium. Da parte sua, il Magistero ha il dovere di essere attento a ciò che lo Spirito dice alle Chiese attraverso le manifestazioni autentiche del sensus fidelium”.
Il Papa ha ricordato a questo proposito la Lumen Gentium, quando affronta questa tematica in modo molto “forte”. “Questa attenzione – ha osservato - è di massima importanza per i teologi. Il Papa Benedetto XVI ha sottolineato più volte che il teologo deve rimanere in ascolto della fede vissuta dagli ultimi e dei piccoli, ai quali è piaciuto al Padre di rivelare ciò che ha nascosto ai dotti e ai sapienti (cfr Mt 11,25-26, Omelia nella Messa con la Commiss. Teol. Internaz., 1 dicembre 2009)”.

“La vostra missione – ha proseguito - è quindi al tempo stesso affascinante e rischiosa. Queste due cose fanno bene: il fascino della vita, perché la vita è bella; anche il rischio, perché così possiamo andare avanti. È affascinante, perché la ricerca e l’insegnamento della teologia possono diventare una vera strada di santità pure, come attestano numerosi Padri e Dottori della Chiesa. Ma è anche rischiosa, perché comporta delle tentazioni: l’aridità del cuore, ma questo è brutto … Quando il cuore si inaridisce e crede di poter riflettere su Dio con quell’aridità … Quanti sbagli! L’orgoglio, persino l’ambizione. San Francesco di Assisi una volta indirizzò un breve biglietto al fratello Antonio di Padova, dove diceva tra l’altro: «Mi piace che insegni la sacra teologia ai fratelli, purché, nello studio, tu non spenga lo spirito di santa orazione e di devozione». Anche avvicinarsi ai piccoli aiuta a diventare più intelligenti e più sapienti”. Il Papa ha quindi ricordato Sant’Ignazio che inviava i professi a “insegnare la Catechesi ai piccoli per capire meglio quella saggezza di Dio”.

Quindi, ha concluso: “La Vergine Immacolata ottenga a tutti i teologi e le teologhe di crescere in questo spirito di orazione e di devozione, e così, con profondo senso di umiltà, di essere veri servitori della Chiesa. In questo cammino vi accompagno con la Benedizione Apostolica, e vi chiedo per favore di pregare per me che ne ho bisogno!”.




del sito Radio Vaticana 








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  Come rispondere a chi, in nome di una presunta infallibilità scientifica, sostiene posizioni contrarie alla fede cattolica?


 

"Santità, sono Mathias Agnero e vengo dall’Africa, precisamente dalla Costa d’Avorio. Lei è un Papa-teologo, mentre noi, quando riusciamo, leggiamo appena qualche libro di teologia per la formazione. Ci pare, tuttavia, che si sia creata una frattura tra teologia e dottrina e, ancor più, tra teologia e spiritualità. Si sente la necessità che lo studio non sia tutto accademico ma alimenti la nostra spiritualità. Ne sentiamo il bisogno nello stesso ministero pastorale. Talvolta la teo-logia non sembra avere Dio al centro e Gesù Cristo come primo “luogo teologico”, ma abbia invece i gusti e le tendenze diffuse; e la conseguenza è il proliferare di opinioni soggettive che permettono l’introdursi, anche nella Chiesa, di un pensiero non cattolico. Come non disorientarci nella nostra vita e nel nostro ministero, quando è il mondo che giudica la fede e non viceversa? Ci sentiamo “scentrati”! 

 

R: Grazie. Lei tocca un problema molto difficile e doloroso. C’è realmente una teologia che vuole soprattutto essere accademica, apparire scientifica e dimentica la realtà vitale, la presenza di Dio, la sua presenza tra di noi, il suo parlare oggi, non solo nel passato. Già san Bonaventura ha distinto due forme di teologia, nel suo tempo; ha detto: “c’è una teologia che viene dall’arroganza della ragione, che vuole dominare tutto, fa passare Dio da soggetto a oggetto che noi studiamo, mentre dovrebbe essere soggetto che ci parla e ci guida”.

C’è realmente questo abuso della teologia, che è arroganza della ragione e non nutre la fede, ma oscura la presenza di Dio nel mondo.
Poi, c’è una teologia che vuole conoscere di più per amore dell’amato, è stimolata dall’amore e guidata dall’amore, vuole conoscere di più l’amato. E questa è la vera teologia, che viene dall’amore di Dio, di Cristo e vuole entrare più profondamente in comunione con Cristo. In realtà, le tentazioni, oggi, sono grandi; soprattutto, si impone la cosiddetta “visione moderna del mondo” (Bultmann, “modernes Weltbild”), che diventa il criterio di quanto sarebbe possibile o impossibile. E così, proprio con questo criterio che tutto è come sempre, che tutti gli avvenimenti storici sono dello stesso genere, si esclude proprio la novità del Vangelo, si esclude l’irruzione di Dio, la vera novità che è la gioia della nostra fede. Che cosa fare? Io direi prima di tutto ai teologi: abbiate coraggio. E vorrei dire un grande grazie anche ai tanti teologi che fanno un buon lavoro. Ci sono gli abusi, lo sappiamo, ma in tutte le parti del mondo ci sono tanti teologi che vivono veramente della Parola di Dio, si nutrono della meditazione, vivono la fede della Chiesa e vogliono aiutare affinché la fede sia presente nel nostro oggi. A questi teologi vorrei dire un grande “grazie”. E direi ai teologi in generale: “non abbiate paura di questo fantasma della scientificità!”. Io seguo la teologia dal ’46; ho incominciato a studiare la teologia nel gennaio ’46 e quindi ho visto quasi tre generazioni di teologi, e posso dire: le ipotesi che in quel tempo, e poi negli anni Sessanta e Ottanta erano le più nuove, assolutamente scientifiche, assolutamente quasi dogmatiche, nel frattempo sono invecchiate e non valgono più! Molte di loro appaiono quasi ridicole

Quindi, avere il coraggio di resistere all’apparente scientificità, di non sottomettersi a tutte le ipotesi del momento, ma pensare realmente a partire dalla grande fede della Chiesa, che è presente in tutti i tempi e ci apre l’accesso alla verità.
Soprattutto, anche, non pensare che la ragione positivistica, che esclude il trascendente - che non può essere accessibile - sia la vera ragione! Questa ragione debole, che presenta solo le cose sperimentabili, è realmente una ragione insufficiente. Noi teologi dobbiamo usare la ragione grande, che è aperta alla grandezza di Dio. Dobbiamo avere il coraggio di andare oltre il positivismo alla questione delle radici dell’essere.
Questo mi sembra di grande importanza.
Quindi, occorre avere il coraggio della grande, ampia ragione, avere l’umiltà di non sottomettersi a tutte le ipotesi del momento, vivere della grande fede della Chiesa di tutti i tempi. Non c’è una maggioranza contro la maggioranza dei Santi: la vera maggioranza sono i Santi nella Chiesa e ai Santi dobbiamo orientarci! Poi, ai seminaristi e ai sacerdoti dico lo stesso: pensate che la Sacra Scrittura non è un Libro isolato: è vivente nella comunità vivente della Chiesa, che è lo stesso soggetto in tutti i secoli e garantisce la presenza della Parola di Dio. Il Signore ci ha dato la Chiesa come soggetto vivo, con la struttura dei Vescovi in comunione con il Papa, e questa grande realtà dei Vescovi del mondo in comunione con il Papa ci garantisce la testimonianza della verità permanente. Abbiamo fiducia in questo Magistero permanente della comunione dei Vescovi con il Papa, che ci rappresenta la presenza della Parola. E poi, abbiamo anche fiducia nella vita della Chiesa e, soprattutto, dobbiamo essere critici. Certamente la formazione teologica – questo vorrei dire ai seminaristi – è molto importante. Nel nostro tempo dobbiamo conoscere bene la Sacra Scrittura, anche proprio contro gli attacchi delle sette; dobbiamo essere realmente amici della Parola. Dobbiamo conoscere anche le correnti del nostro tempo per poter rispondere ragionevolmente, per poter dare – come dice San Pietro – “ragione della nostra fede”. La formazione è molto importante.
Ma dobbiamo essere anche critici: il criterio della fede è il criterio con il quale vedere anche i teologi e le teologie. Papa Giovanni Paolo II ci ha donato un criterio assolutamente sicuro nel Catechismo della Chiesa Cattolica: qui vediamo la sintesi della nostra fede, e questo Catechismo è veramente il criterio per vedere dove va una teologia accettabile o non accettabile.
Quindi, raccomando la lettura, lo studio di questo testo, e così possiamo andare avanti con una teologia critica nel senso positivo, cioè critica contro le tendenze della moda e aperta alle vere novità, alla profondità inesauribile della Parola di Dio, che si rivela nuova in tutti i tempi, anche nel nostro tempo.

 

Fonte: Incontro internazionale con i sacerdoti (10 giugno 2010).

 







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23/09/2014 17:13
 
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 Commissione Teologica Internazionale: conclusione ottavo quinquennio, nomina nuovi membri e nuovo accesso Internet

Città del Vaticano, 23 settembre 2014 (VIS). Quest'anno si conclude l'ottavo quinquennio della Commissione Teologica Internazionale, iniziato con la nomina pontificia dei suoi Membri il 19 giugno 2009.

Come è noto, la Commissione Teologica Internazionale, istituita dal Servo di Dio Paolo VI l'11 aprile 1969, è chiamata ad aiutare la Santa Sede, ed in particolare la Congregazione per la Dottrina della Fede, nell'esame delle questioni dottrinali di maggior importanza ed attualità.

La Commissione è composta da teologi di diverse scuole e nazioni, eminenti per scienza e fedeltà al Magistero della Chiesa. I Membri - di numero non superiore a trenta - sono nominati dal Santo Padre "ad quinquennium" su proposta del Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e dopo una consultazione delle Conferenze Episcopali.

Nell'arco della sua storia la Commissione ha pubblicato, con l'approvazione del suo Presidente, 27 documenti.

Ai Membri del quinquennio che sta per concludersi va espressa una particolare gratitudine da parte della Santa Sede per il competente e zelante servizio teologico. Nell'attuale quinquennio sono stati pubblicati tre documenti:
Teologia oggi. Prospettive, principi e criteri (approvato nel 2011 e pubblicato nel 2012), Dio Trinità, unità degli uomini.
Il monoteismo cristiano contro la violenza (approvato nel 2013 e pubblicato nel 2014)
e il più recente Sensus fidei nella vita della Chiesa (documento approvato e pubblicato nel corrente anno 2014).

In realtà, l'impegno della Commissione è stato più ampio, avendo offerto preziosi contributi anche su altri temi dati ad uso della Congregazione per la Dottrina della Fede, che è il primo impegno della Commissione.

Il 26 luglio 2014, con la nomina da parte del Santo Padre Francesco di trenta nuovi Membri, la Commissione ha iniziato il suo nuovo quinquennio. Esso proseguirà fino all'anno 2019, che sarà anche un tempo giubilare per la Commissione, che l'11 aprile 2019 conterà cinquant'anni della sua esistenza.

In vista della suddetta nomina, nell'arco di un anno è stata svolta un'ampia consultazione delle Conferenze Episcopali in tutto il mondo, nonché dei Sinodi degli Eparchi orientali. Sulla base delle risposte pervenute, il Cardinale Gerhard L. Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha presentato al Santo Padre una preferenza di Candidati. Avendo preso in considerazione le proposte, il Papa ha deciso le nomine di teologi e teologhe della Commissione, rinnovando al contempo P. Serge-Thomas Bonino, O.P. (Francia) come Segretario Generale.



La Commissione, “che coadiuva la Santa Sede, in particolare la Congregazione per la Dottrina della Fede, nell’esame delle questioni dottrinali di maggiore importanza ed attualità “, oltre a conservare la propria documentazione sul sito ufficiale della Santa Sede (http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_index_it.htm ) avrà una sua pagina (www.cti.va) di più facile consultazione, che sarà strumento di aiuto, stimolo e dialogo. (F.S.)


Di seguito l'elenco dei nuovi Membri della Commissione per il quinquennio 2014-2019:

- P. SergeThomas BONINO, O.P., Segretario Generale, Francia.
- Rev.do Terwase Henry AKAABIAM, Nigeria;
- Suor Prudence ALLEN, R.S.M., Stati Uniti d'America;
- Suor Alenka ARKO, della Comunità Loyola, Federazione Russa - Slovenia;
- Mons. Antonio Luiz CATELAN FERREIRA, Brasile;
- Mons. Piero CODA, Italia;
- Rev.do Lajos DOLHAI, Ungheria;
- P. Peter DUBOVSKÝ, S.I., Slovacchia;
- Rev.do Mario Angel FLORES RAMOS, Messico;
- Rev.do Carlos María GALLI, Argentina;
- Rev.do Krzysztof GÓ?D?, Polonia;
- Rev.do Gaby Alfred HACHEM, Libano;
- P. Thomas KOLLAMPARAMPIL, C.M.I., India;
- Rev.do Koffi Messan Laurent KPOGO, Togo;
- Rev.do Oswaldo MARTÍNEZ MENDOZA, Colombia;
- Prof.ssa Moira Mary McQUEEN, Canada - Gran Bretagna;
- Rev.do KarlHeinz MENKE, Germania;
- Rev.do John Junyang PARK, Corea;
- P. Bernard POTTIER, S.I., Belgio;
- Rev.do Javier PRADES LÓPEZ, Spagna;
- Prof.ssa Tracey ROWLAND, Australia;
- Prof. Héctor Gustavo SÁNCHEZ ROJAS, S.C.V., Perú;
- Prof.ssa Marianne SCHLOSSER, Austria - Germania;
- Rev.do Nicholaus SEGEJA M'HELA, Tanzania;
- Rev.do Pierangelo SEQUERI, Italia;
- Rev.do Željko TANJI?, Croazia;
- P. Gerard Francisco P. TIMONER III, O.P., Filippine;
- P. Gabino URIBARRI BILBAO, S.I., Spagna;
- Rev.do Philippe VALLIN, Francia;
- P. Thomas G. WEINANDY, O.F.M.Cap., Stati Uniti d'America.






[Modificato da Caterina63 23/09/2014 17:14]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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02/12/2014 14:55
 
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  Commissione Teologica. Müller: non dividere teoria e prassi




Il cardinale Gerhard Ludwig Müller - ANSA





02/12/2014 



 


Si è aperta ieri in Vaticano la plenaria della Commissione teologica internazionale. Ha introdotto i lavori il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e presidente dell’organismo.


“La teologia – ha detto il porporato - inizia, nasce e si fa “nella liturgia, nell’adorazione del mistero Dio e nella contemplazione del Verbo fattosi carne. Se noi, teologi e teologhe, ogni giorno mettiamo, a disposizione dei misteri della fede, la nostra intelligenza, le doti proprie e il faticoso lavoro, in realtà, prima ancora di tutto ciò, abbiamo bisogno del suo Spirito, della sua intelligenza divina, che fortifica le nostre povere ricerche umane. Nella liturgia comprendiamo meglio come la teologia è fondamentalmente la contemplazione del Dio d’amore”.


“Dobbiamo, però, renderci ben conto dell’esigenza e della responsabilità dell’intelligenza della fede, che in modo speciale è affidata ai teologi e alle teologhe, che lavorano nella Chiesa, per la Chiesa e a nome della Chiesa. Nella Chiesa, con il loro lavoro intellettuale, realizzano una vocazione ben precisa e un’esigente missione ecclesiale”.


“La fede cristiana, infatti, non è un’esperienza irrazionale. Siamo chiamati ad accogliere l’invito e il dovere, che esprime Pietro, quello di essere «sempre pronti a dare una risposta a chi vi chiede il motivo della vostra speranza» (1 Pietro, 3, 15). La teologia scruta, in un discorso razionale sulla fede, l’armonia e la coerenza intrinseca delle varie verità di fede, che scaturiscono dall’unico fondamento della rivelazione di Dio uno e trino. Il mistero inscrutabile di Dio, nell’economia della salvezza e per mezzo di questa economia del Verbo incarnato si offre anche alla nostra intelligenza. Noi, teologi ne siamo custodi e promotori di quest’intelligenza della fede”.


“La teologia – ha proseguito il porporato - non è mai una pura speculazione o una teoria distaccata dalla vita dei credenti. In effetti, nell’autentica teologia non c’è stato mai un distacco o una contrapposizione tra l’intelligenza della fede e la pastorale o la prassi vissuta della fede. Si potrebbe dire che tutto il pensiero teologico, tutte le nostre investigazioni scientifiche hanno sempre una profonda dimensione pastorale”.


“Ogni divisione tra la ‘teoria’ e la ‘prassi’ della fede sarebbe il riflesso di una sottile ‘eresia’ cristologica di fondo. Sarebbe frutto di una divisione nel mistero del Verbo eterno del Padre che si è fatto carne. Sarebbe l’omissione della dinamica incarnazionista di ogni sana teologia e di tutta la missione evangelizzatrice della Chiesa. Cristo che può essere detto il primo teologo delle Scritture, il teologo per eccellenza, egli ci ha detto «io sono la via, la verità e la vita». Non c’è la verità senza la vita, non c’è vita senza verità. In lui sta la via per comprendere sempre meglio la verità che si è offerta a noi e si è fatta nostra vita”.


“Il lavoro della Commissione – ha concluso il card. Müller - il suo stile di lavorare è caratterizzato da un profondo spirito comunitario, da fraterno rispetto e amicizia, da una vera collegialità di collaborazione, di scambio e di dialogo. Dalla commissione si attende l’esempio di un dibattito teologico sereno e costruttivo, nel rispetto del carisma del Magistero ecclesiale e nella coscienza di alta responsabilità di cui è riversata la vocazione dei teologi e delle teologhe nella Chiesa”.






 


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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AI MEMBRI DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

Sala del Concistoro 
Venerdì, 5 dicembre 2014


 

Cari fratelli e sorelle,

vi incontro con piacere all’inizio di un nuovo quinquennio – il nono – della Commissione Teologica Internazionale. Ringrazio il Presidente, Cardinale Müller, per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi.

La vostra Commissione nacque, poco dopo il Concilio Vaticano II, a seguito di una proposta del Sinodo dei Vescovi, affinché la Santa Sede potesse avvalersi più direttamente della riflessione di teologi provenienti da varie parti del mondo. La missione della Commissione è dunque quella di «studiare i problemi dottrinali di grande importanza, specialmente quelli che presentano aspetti nuovi, e in questo modo offrire il suo aiuto al Magistero della Chiesa» (Statuti, art. 1). I ventisette documenti finora pubblicati sono testimonianza di questo impegno e un punto di riferimento per il dibattito teologico.

La vostra missione è di servire la Chiesa, il che presuppone non solo competenze intellettuali, ma anche disposizioni spirituali. Tra queste ultime, vorrei attirare la vostra attenzione sull’importanza dell’ascolto. «Figlio dell’uomo – disse il Signore al profeta Ezechiele – tutte le parole che ti dico ascoltale con gli orecchi e accoglile nel cuore» (Ez 3,10). Il teologo è innanzitutto un credente che ascolta la Parola del Dio vivente e l’accoglie nel cuore e nella mente. Ma il teologo deve mettersi anche umilmente in ascolto di «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7), attraverso le diverse manifestazioni della fede vissuta del popolo di Dio. Lo ha ricordato il recente documento della Commissione su “Il sensus fidei nella vita della Chiesa”. È bello, Mi è piaciuto tanto quel documento, complimenti! Infatti, insieme a tutto il popolo cristiano, il teologo apre gli occhi e gli orecchi ai “segni dei tempi”. È chiamato ad «ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio - è quella che giudica, la parola di Dio - perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium e spes, 44).

In questa luce, all’interno della sempre più diversificata composizione della Commissione, vorrei notare la maggiore presenza delle donne - ancora non tanta… Sono le fragole della torta, ma ci vuole di più! - presenza che diventa invito a riflettere sul ruolo che le donne possono e devono avere nel campo della teologia. Infatti, «la Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini … Vedo con piacere come molte donne … offrono nuovi apporti alla riflessione teologica» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 103). Così, in virtù del loro genio femminile, le teologhe possono rilevare, per il beneficio di tutti, certi aspetti inesplorati dell’insondabile mistero di Cristo «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» (Col 2,3). Vi invito dunque a trarre il migliore profitto da questo apporto specifico delle donne all’intelligenza della fede.

Un’altra caratteristica della vostra Commissione è il suo carattere internazionale, che riflette la cattolicità della Chiesa. La diversità dei punti di vista deve arricchire la cattolicità senza nuocere all’unità. L’unità dei teologi cattolici nasce dal loro comune riferimento ad una sola fede in Cristo e si nutre della diversità dei doni dello Spirito Santo. A partire da questo fondamento e in un sano pluralismo, vari approcci teologici, sviluppatisi in contesti culturali differenti e con diversi metodi utilizzati, non possono ignorarsi a vicenda, ma nel dialogo teologico dovrebbero arricchirsi e correggersi reciprocamente. Il lavoro della vostra Commissione può essere una testimonianza di tale crescita, e anche una testimonianza dello Spirito Santo, perché è Lui a seminare queste varietà carismatiche nella Chiesa, diversi punti di vista, e sarà Lui a fare l’unità. Lui è il protagonista, sempre.

La Vergine Immacolata, come testimone privilegiata dei grandi eventi della storia della salvezza, «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19): Donna dell’ascolto, donna della contemplazione, donna della vicinanza ai problemi della Chiesa e della gente. Sotto la guida dello Spirito Santo e con tutte le risorse del suo genio femminile, Ella non ha smesso di entrare sempre più in «tutta la verità» (cfr Gv 16,13). Maria è così l’icona della Chiesa la quale, nell’impaziente attesa del suo Signore, progredisce, giorno dopo giorno, nell’intelligenza della fede, grazie anche al lavoro paziente dei teologi e delle teologhe. La Madonna, maestra dell’autentica teologia, ci ottenga, con la sua materna preghiera, che la nostra carità «cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento» (Fil 1,9-10). In questo cammino vi accompagno con la mia Benedizione e vi chiedo per favore di pregare per me. Pregare teologicamente, grazie.





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