- LA COMUNITÀ DI RECUPERO
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di Mons. Alexander Cordina, Malta
Non avrei mai immaginato che nell'ottobre del 1993 nella mia vita tutto sarebbe cambiato! Ero parroco da 5 anni e l'Arcivescovo mi mandò a chiamare. Avevo sempre avuto un rapporto di comunità filiale con Vescovo Mercieca e nutrivo grande fiducia in lui. Mi disse che voleva trasferirmi dalla parrocchia ad una comunità terapeutica per il recupero dei tossicodipendenti, gestita dalla Caritas di Malta. All'inizio ebbi paura di accettare ma obbedì, anche se con un po’ di apprensione. Entrando in comunità, mi resi conto che non ero preparato sul come comportarmi o su cosa fare. Notai che sul lato spirituale non c'era niente in programma, eccetto la Messa Domenicale. Su trenta residenti, ventisette vennero a Messa: un successo notevole, pensai. Ma mi illudevo: dopo poche settimane scoprii che molti venivano a massa soltanto per " impressionarmi" o per ricevere dei privilegi. Quando scoprirono che questo gioco con me "non funzionava", il numero calò subito a tre, massimo quattro persone. Un fallimento, pensai stavolta. Ebbe inizio così la mia "crociata": parlai con loro dell'amore di Dio, a più riprese, ma niente da fare. Un giorno, pregando davanti al Santissimo, abbi un'illuminazione provvidenziale: mi resi conto che la prima persona da convertire ero io stesso! Così, dopo aver parlato con i miei fratelli sacerdoti, coi quali trascorsi il mio giorno libero, decisi di prendere alloggio presso la comunità. Come allora tengo sempre nel cuore la frase di san Paolo che dice "Piangere con chi piange, ridere con chi ride". Questo significava lavare i piatti quando ce n'era bisogno, oppure cantare e ballare, ma, sopratutto, ascoltare e condividere i propri dolori, le ansie, le paure, e ifallimenti. Significava proprio vivere in costante compagnia di Gesù Crocifisso! Dopo qualche settimana, vidi cominciare a riempirsi la cappella. Dopo tre mesi, la Messa della Domenica veniva regolarmente frequentata da tutti, e i residenti chiesero anche la Messa quotidiana. Nel loro cammino spirituale, quei giovani si posero delle domande esistenziali: "Perché il dolore? Perché i miei genitori non mi vogliono bene? Ma Dio mi ama veramente? Come posso essere felice? "Tutte grandi domande a cui vanno date risposte non con le parole, ma con la vita e con il silenzio operoso. Un giorno, un ragazzo mi chiese: "Ma, Padre, tu non hai una donna, non hai figli, e non c'è tanto sballo nella tua vita. Trascorri tutte queste ore in cambio di pochissimi soldi. O sei pazzo o nascondi qualche segreto!". A quella domanda, capii che era giunta l'ora di parlare e di dare testimonianza di Dio Padre. Arrivò il Natale. In una comunità di recupero di tossicodipendenti il periodo natalizio è molto difficile. Provammo a tenere i residenti con il morale alto coinvolgendoli in diverse attività, sia di natura spirituale che sociale. Un giorno il videoregistratore si guastò. Abbattuto, dissi tra me e me: "Ma proprio adesso doveva accadere?". Non me la sentivo di domandare al personale la somma di circa 300 euro per comprarne uno nuovo. Entrai in cappella e chiesi a Gesù: "Ho bisogno di 300 euro per continuare il mio lavoro a far conoscete te a questi ragazzi! ". Uscito dalla cappella, ci fu una telefonata. La nonna di due ex residenti mi invitava ad una festa a casa sua. In realtà, però, non mi andava di partecipare perché ero davvero molto stanco. Ma, anche in questi casi è Gesù che chiama. Andai. Trascorsi qualche ora in quella famiglia con i due fratelli ex tossicodipendenti, che ormai grazie a Dio erano sani e recuperati. Prima di partire la nonna mi consegnò una piccola busta: "Un piccolo contributo", mi disse dolcemente. Tornato a casa aprì la busta, e con mia grande sorpresa erano proprio 300 euro! Continuai così il mio delicato ma appassionante lavoro con quei ragazzi, ma bisogna sapere che ci sono anche momenti drammatici, in una comunità come quella, momenti pieni di dolore. C'era un ragazzo molto difficile. A poco a poco persero il coraggio di aiutarlo, ma io continuai a seguirlo. Dopo tre mesi di terapia decise di abbandonare il programma e andare via. Dopo qualche mese ancora, il portinaio della comunità mi disse che c'era di nuovo quel ragazzo che chiedeva di me. All'inizio pensai: "Non voglio perdere tempo con uno che non vuole fare niente”. Poi però lasciai parlare una “voce” dentro di me: e se questa fosse l’ultima occasione che hai per ascoltarlo?”. Uscii, r ascoltai. Era a pezzi. Mi disse che l’indomani sarebbe tornato di nuovo per essere rimesso in comunità. Entrò in macchina ma, prima di partire quel ragazzo allungò la mano, prese la mia e la baciò. Quel gesto mi lasciò turbato, mi chiesi il perché di quell'inaspettato saluto particolare. L'indomani telefonai al centro d'accoglienza per verificare se fosse andato. Mi dissero di no. Allora telefonai a casa sua. Rispose il padre e subito chiesi di lui. Mi disse: "Non puoi parlare con lui, è deceduto". Rimasi scioccato, e finalmente capii il bacio sulla mano; mi stava dicendo: "Addio". "E se non avessi ascoltato "quella voce" dentro di me? Il continuo abbracciare Gesù Crocifisso mi dava la forza per andare avanti. Ci furono ancora tante conversioni nella comunità, e anche molte guarigioni da ferite fisiche e morali subite durante l'esperienza sulla strada. Ho sperimentato profondamente che essere sacerdote con questi ragazzi non significa semplicemente sperimentare un programma di recupero, ma offrire loro l'esperienza di Dio Amore. Ho capito che con loro essere sacerdote significa dare testimonianza dell'amore smisurato di Dio con un' "alchimia divina", ci dona la forza di tramutare il dolore in amore.
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