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Il Magistero Pontificio ecclesiale sulla questione politca e sull'omosessualità

Ultimo Aggiornamento: 23/05/2017 10:26
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02/03/2010 11:13
 
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Giovanni Paolo II
Lettera ai vescovi italiani


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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI ITALIANI CIRCA LE RESPONSABILITÀ DEI CATTOLICI DI FRONTE ALLE SFIDE DELL'ATTUALE MOMENTO STORICO

Carissimi Vescovi italiani!

1.«Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore GesùCristo» (Rm 1, 7).

L' attuale momento storico, segnato da eventi di singolare rilevanzasociale, costituisce anche per i cattolici italiani un forte richiamo alladecisione ed all' impegno. Consapevole delle formidabili sfide che emergono dai«segni dei tempi», come Vescovo di Roma mi rivolgo con profondoaffetto a voi, Vescovi delle Chiese che sono nella penisola e nelle isole,Vescovi del Nord, del Centro e del Sud d' Italia, per condividere preoccupazionie speranze e, in particolare, per rendere testimonianza a quell' ereditàdi valori umani e cristiani che rappresenta il patrimonio più preziosodel popolo italiano. Questa eredità ho voluto ricordare in occasione delmessaggio natalizio al mondo e su di essa è nostro dovere soffermarci ariflettere in prossimità ormai della fine del secondo Millennio.

Rendere testimonianza a tre grandi eredità

Si tratta, innanzitutto, dell' eredità della fede, qui suscitatadalla predicazione apostolica fin dai primissimi anni dell' era cristiana epresto avvalorata dall' effusione del sangue di numerosissimi martiri. Il semesparso da Pietro e da Paolo e dai loro discepoli ha messo profonde radici nell'animo delle popolazioni di questa terra, favorendone il progresso anche civile esuscitando fra di esse nuovi e fecondi vincoli di coesione e di collaborazione.

Si tratta, poi, dell' eredità della cultura, fiorita su quel comuneceppo nel corso delle generazioni. Quali tesori di conoscenze, di intuizioni, diesperienze sono venuti accumulandosi anche grazie alla fede e si sono poiespressi nella letteratura, nell' arte, nelle iniziative umanitarie, nelleistituzioni giuridiche e in tutto quel tessuto vivo di usi e costumi che formal' anima più vera del popolo! E' una ricchezza a cui si guarda conammirazione e, potremmo dire, con invidia da ogni parte del mondo. Gli italianidi oggi non possono non esserne consapevoli e fieri.

Si tratta, infine, dell' eredità dell' unità, che, anche al dilà della sua specifica configurazione politica, maturata nel corso delsecolo XIX, è profondamente radicata nella coscienza degli italiani che,in forza della lingua, delle vicende storiche, della comune fede e cultura, sisono sempre sentiti parte integrante di un unico popolo. Questa unità simisura non sugli anni, ma su lunghi secoli di storia.

Dai cambiamenti epocali del 1989 ai nuovi scenari dei prossimi anni

2.La situazione sociale e politica, che l' Italia sta vivendo in questa fase delicata della sua storia, risente indubbiamente dei cambiamenti epocaliverificatisi in Europa nel corso di quell' anno straordinario che è statoil 1989. Alla precedente contrapposizione fra i due blocchi, comunementedesignati con i nomi convenzionali dell' Est e dell' Ovest, ha fatto seguito un«crollo repentino e veramente straordinario del sistema comunista»,dovuto sicuramente a «ragioni di carattere economico e socio-politico»,ma più in profondità ad «una motivazione etico-antropologicae, in definitiva, spirituale» (cf. Dichiarazione conclusiva dell' Assembleaspeciale per l' Europa del Sinodo dei Vescovi, n. 1).

Il mutato quadro geopolitico europeo appare così in costanteevoluzione, preannunciando per i prossimi anni grandi sfide e nuovi scenari:mentre infatti progredisce, da una parte, il cammino verso l' unitàeuropea, si pone, dall' altra, in modo acuto il problema dei rapporti tra lenazioni e non di rado si registrano rigurgiti di esasperato nazionalismo,soprattutto nei Paesi dell' Est europeo e nei Balcani, come dolorosamentedimostra la triste situazione dei giorni nostri.

Per l' edificazione della nuova Europa sviluppare e rafforzare l'eredità dei padri dell' Europa contemporanea, animati da profonda fedecristiana

3.Ecco perché, proprio a partire da una lettura dei «segni deitempi» alla luce dei valori di umana e cristiana solidarietà, misembra quanto mai importante ed urgente proseguire coraggiosamente lo sforzo diedificazione della nuova Europa, in convinta adesione a quegli ideali che, nelrecente passato, hanno ispirato e guidato statisti di grande levatura, qualiAlcide De Gasperi in Italia, Konrad Adenauer in Germania, Maurice Schuman inFrancia, facendone i padri dell' Europa contemporanea. Non èsignificativo che, tra i principali promotori della unificazione del continente,vi siano uomini animati da profonda fede cristiana? Non fu forse dai valorievangelici della libertà e della solidarietà che essi trasseroispirazione per il loro coraggioso disegno? Un disegno, peraltro, che ad essiappariva giustamente realistico, nonostante le prevedibili difficoltà,per la lucida consapevolezza che essi avevano del ruolo svolto dal cristianesimonella formazione e nello sviluppo delle culture presenti nei diversi Paesi delcontinente.

L' eredità spirituale e politica, tramandata da queste grandi figurestoriche, va pertanto non solo custodita e difesa, ma sviluppata e rafforzata.Occorre una generale mobilitazione di tutte le forze, perché l' Europasappia progredire nella ricerca della sua unità guardando, nello stessotempo, «al di là dei propri confini e del proprio interesse»(Dichiarazione cit., n. 11). Potrà così contribuire a costruire unfuturo di giustizia, di solidarietà e di pace per ogni nazione,abbattendo barriere e preconcetti etnici e culturali e superando le divisioniesistenti tra Occidente ed Oriente, tra Nord e Sud del pianeta.

All' Italia il compito di difendere per tutta l' Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma da Pietro e Paolo

4.In questo quadro europeo e mondiale, carissimi Fratelli nell' Episcopato, ègiusto che ci poniamo la domanda: «Quali sono le possibilità e leresponsabilità dell' Italia?».

Sono convinto che l' Italia come nazione ha moltissimo da offrire a tutta l'Europa. Le tendenze che oggi mirano ad indebolire l' Italia sono negative per l'Europa stessa e nascono anche sullo sfondo della negazione del cristianesimo. Inuna tale prospettiva si vorrebbe creare un' Europa, e in essa anche un' Italia,che siano apparentemente «neutrali» sul piano dei valori, ma che inrealtà collaborino alla diffusione di un modello postilluministico divita. Ciò si può vedere anche in alcune tendenze operanti nelfunzionamento di istituzioni europee. Contro l' orientamento di coloro chefurono i padri dell' Europa unita, alcune forze, attualmente operanti in questacomunità, sembrano piuttosto ridurre il senso della sua esistenza e dellasua azione ad una dimensione puramente economica e secolaristica.

All' Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modospeciale il compito di difendere per tutta l' Europa il patrimonio religioso eculturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo. Di questo precisocompito dovrà avere chiara consapevolezza la società italiananell' attuale momento storico, quando viene compiuto il bilancio politico delpassato, dal dopoguerra ad oggi.

La presenza dei laici cristiani è ancora necessaria peresprimere sul piano sociale e politico la tradizione e la cultura cristiana della società italiana

5.A tale bilancio non possiamo rimanere estranei o indifferenti, perché,come Pastori animati da profondo amore per il bene vero e integrale dell' uomo edella società, siamo chiamati a «discernere negli avvenimenti, nellerichieste e nelle aspirazioni, cui il Popolo di Dio prende parte insieme con glialtri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o deldisegno di Dio» (Gaudium et spes, 11).

In particolare, la caduta del comunismo nell' Europa centrale e orientale haprovocato anche in Italia un nuovo modo di guardare alle forze politiche e ailoro rapporti. Si sono così udite delle voci secondo le quali, nellanuova stagione politica, una forza di ispirazione cristiana avrebbe cessato diessere necessaria. Si tratta però di una valutazione errata, perchéla presenza dei laici cristiani nella vita sociale e politica non solo èstata importante per opporsi alle varie forme di totalitarismo, a cominciare daquello comunista, ma è ancora necessaria per esprimere sul piano socialee politico la tradizione e la cultura cristiana della società italiana.

I laici cristiani non possono sottrarsi alle loro responsabilità

6.Certamente oggi è necessario un profondo rinnovamento sociale epolitico. Accanto a coloro che, ispirandosi ai valori cristiani, hannocontribuito a governare l' Italia nel corso di quasi mezzo secolo, acquistandoinnegabili meriti verso il Paese e il suo sviluppo, non sono mancate purtroppopersone che non hanno saputo evitare addebiti anche gravi: persone, inparticolare, che non sempre sono state capaci di contrastare le pressioni siadelle forze che spingevano verso un eccessivo statalismo, sia di quelle checercavano di far prevalere i propri interessi sul bene comune. Alcuni, inoltre,sono accusati di aver violato le leggi dello Stato.

Proprio queste accuse, rivolte per il vero alle diverse forze politiche edanche ad istanze operanti nella stessa società civile, hanno provocatoiniziative di carattere giudiziario, che attualmente stanno modificando in modoprofondo il volto politico dell' Italia.

Un bilancio onesto e veritiero degli anni dal dopoguerra ad oggi non puòdimenticare, però, tutto ciò che i cattolici, insieme ad altreforze democratiche, hanno fatto per il bene dell' Italia. Non si possonodimenticare cioè tutte quelle significative realizzazioni che hannoportato l' Italia ad entrare nel numero dei sette Paesi più sviluppatidel mondo, né si può sottovalutare o scordare il grande merito diavere salvato la libertà e la democrazia. Tanto meno si puòaccettare l' idea che il Cristianesimo, e in particolare la dottrina socialedella Chiesa, con i suoi contenuti essenziali ed irrinunciabili, dopo tutto unsecolo dalla Rerum novarum al Concilio Vaticano II e alla Centesimus annus,abbiano cessato di essere, nell' attuale situazione, il fondamento e l' impulsoper l' impegno sociale e politico dei cristiani.

I laici cristiani non possono dunque, proprio in questo decisivo momentostorico, sottrarsi alle loro responsabilità. Devono piuttostotestimoniare con coraggio la loro fiducia in Dio, Signore della storia, e illoro amore per l' Italia attraverso una presenza unita e coerente e un servizioonesto e disinteressato nel campo sociale e politico, sempre aperti a unasincera collaborazione con tutte le forze sane della nazione.

Un esame di coscienza per una rinnovata solidarietà

7.Se la situazione attuale sollecita il rinnovamento sociale e politico, anoi Pastori tocca richiamarne con forza i necessari presupposti, che siriconducono al rinnovamento delle menti e dei cuori, e dunque al rinnovamentoculturale, morale e religioso (cf. Veritatis splendor, n. 98).

Proprio qui si colloca la nostra missione pastorale: dobbiamo chiamare tuttiad uno specifico esame di coscienza. Questo è un bilancio non solo dicarattere politico, ma anche e soprattutto di carattere culturale ed etico. E'necessario allora aiutare tutti a liberare tale bilancio dagli aspettiutilitaristici e congiunturali, come pure dai rischi di una manipolazione dell'opinione pubblica.

Mi riferisco specialmente alle tendenze corporative ed ai rischi separatistiche sembrano emergere nel Paese. In Italia, per la verità, da molto tempoesiste una certa tensione tra il Nord, piuttosto ricco, e il Sud, piùpovero. Ma oggi questa tensione si fa più acuta. Le tendenze corporativeed i rischi separatisti vanno però decisamente superati con un onestoatteggiamento di amore per il bene della propria nazione e con comportamenti dirinnovata solidarietà. Si tratta di una solidarietà che dev'essere vissuta non solo all' interno del Paese, ma anche nei riguardi dell'Europa e del Terzo Mondo. L' amore per la propria nazione e la solidarietàcon l' umanità tutta non contraddicono il legame dell' uomo con laregione e con la comunità locale, in cui è nato, e gli obblighiche egli ha verso di esse. La solidarietà passa piuttosto attraversotutte le comunità in cui l' uomo vive: la famiglia, in primo luogo, lacomunità locale e regionale, la nazione, il continente, l' umanitàintera: la solidarietà le anima, raccordandole fra di loro secondo ilprincipio di sussidiarietà che attribuisce a ciascuna di esse il giustogrado di autonomia.

Non può essere, poi, trascurato il pericolo che questo esame dicoscienza, pienamente legittimo e necessario per la rinascita della societàitaliana, possa diventare l' occasione per una dannosa manipolazione dell'opinione pubblica. E' certamente giusto che i presunti colpevoli siano giudicatie, se realmente colpevoli, ne subiscano le conseguenze legali.

Nello stesso tempo però bisogna domandarsi fin dove giungono gli abusi e dove incomincia un normale e sano funzionamento delle istituzioni al servizio del bene comune. E' ovvio che una società ben ordinata non puòmettere le decisioni sulla sua sorte futura nelle mani della sola autoritàgiudiziaria. Il potere legislativo e quello esecutivo, infatti, hanno le propriespecifiche competenze e responsabilità.

Il compito della Chiesa a questo proposito sembra essere dunque l'esortazione al rinnovamento morale e ad una profonda solidarietà degliitaliani, così da assicurare le condizioni della riconciliazione e delsuperamento delle divisioni e delle contrapposizioni.

Una grande preghiera del popolo italiano in vista dell' anno 2000

8.Carissimi Fratelli nell' Episcopato, la nostra comune sollecitudine per l'Italia non può esprimersi soltanto attraverso le parole. Se la societàitaliana deve profondamente rinnovarsi, purificandosi dai reciproci sospetti eguardando con fiducia verso il suo futuro, allora è necessario che tuttii credenti si mobilitino mediante la comune preghiera. So per esperienzapersonale quanto significò nella storia della mia nazione una talepreghiera. Di fronte all' anno 2000 tutta la Chiesa, e in particolare tutta l'Europa, ha bisogno di una grande preghiera, che passi, come onde convergenti,attraverso le varie Chiese, nazioni, continenti. In questa grande preghiera vi èun posto particolare per l' Italia: l' esperienza degli ultimi anni costituisceanche uno specifico richiamo al bisogno di tale preghiera. La preghierasignifica sempre una specie di «confessione», di riconoscimento dellapresenza di Dio nella storia e della sua opera a favore degli uomini e deipopoli; al tempo stesso, la preghiera promuove una più stretta unione conLui e un reciproco avvicinamento tra gli uomini.

Come Vescovi delle Chiese che sono in Italia dovremo indire presto questagrande preghiera del popolo italiano, in vista dell' anno 2000 che si staavvicinando e in riferimento alla situazione attuale, in cui urge lamobilitazione delle forze spirituali e morali dell' intera società. E'mia convinzione, condivisa da italiani insigni anche non cattolici praticanti,come il compianto Presidente Pertini, che la Chiesa in Italia possa fare moltodi più di quanto si ritiene generalmente. Essa è una grande forzasociale che unisce gli abitanti dell' Italia, dal Nord al Sud. Una forza che hasuperato la prova della storia.

La Chiesa è una tale forza prima di tutto attraverso la preghiera, el' unità nella preghiera. E' giunto il momento in cui questa convinzionepuò e deve essere maggiormente concretizzata. L' esortazione stessa aduna tale preghiera, la sua preparazione programmatica, la sua profondamotivazione in questo momento storico, saranno per tutti gli italiani un invitoa riflettere e a comprendere. Saranno forse anche un esempio e uno stimolo perle altre Nazioni.

«Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). La parola di Gesùcontiene il più convincente invito alla preghiera ed insieme il piùforte motivo di fiducia nella presenza del Salvatore in mezzo a noi. Proprioquesta presenza è fonte inesauribile di speranza e di coraggio anchenelle situazioni confuse e travagliate della storia dei singoli e dei popoli.

Carissimi Fratelli nell' Episcopato, rimetto nelle vostre mani, con profondacomunione e fiducia, questi pensieri e questi voti. Lo faccio unicamente per l'amore che provo per la nazione italiana, che fin dall' inizio del mioPontificato mi ha dimostrato così grande benevolenza, tanto che sento dipoter parlare dell' Italia come della mia seconda Patria. Su di essa invoco lamaterna intercessione di Maria, che ha generato per noi il Redentore, e laprotezione dei santi Francesco e Caterina, mentre di cuore benedico voi e tuttigli italiani.

Dal Vaticano, 6 gennaio 1994, Solennità dell' Epifania delSignore.
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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"Un cattolico sarebbe colpevole di formale cooperazione al male, e quindi indegno di presentarsi per la santa comunione, se egli deliberatamente votasse per un candidato precisamente a motivo delle posizioni permissive del candidato sull'aborto e/o sull'eutanasia. ".


CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE


NOTA DOTTRINALE

circa alcune questioni riguardanti 
l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica 

 

La Congregazione per la Dottrina della Fede, sentito anche il parere del Pontificio Consiglio per i Laici, ha ritenuto opportuno pubblicare la presente “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”. La Nota è indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica e, in special modo, ai politici cattolici e a tutti i fedeli laici chiamati alla partecipazione della vita pubblica e politica nelle società democratiche

  

I. Un insegnamento costante             

1. L’impegno del cristiano nel mondo in duemila anni di storia si è espresso seguendo percorsi diversi. Uno è stato attuato nella partecipazione all’azione politica: i cristiani, affermava uno scrittore ecclesiastico dei primi secoli, «partecipano alla vita pubblica come cittadini».[1] La Chiesa venera tra i suoi Santi numerosi uomini e donne che hanno servito Dio mediante il loro generoso impegno nelle attività politiche e di governo. Tra di essi, S. Tommaso Moro, proclamato Patrono dei Governanti e dei Politici, seppe testimoniare fino al martirio la «dignità inalienabile della coscienza».[2] Pur sottoposto a varie forme di pressione psicologica, rifiutò ogni compromesso, e senza abbandonare «la costante fedeltà all’autorità e alle istituzioni legittime» che lo distinse, affermò con la sua vita e con la sua morte che «l’uomo non si può separare da Dio, né la politica dalla morale».[3] 

Le attuali società democratiche, nelle quali lodevolmente tutti sono resi partecipi della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà,[4] richiedono nuove e più ampie forme di partecipazione alla vita pubblica da parte dei cittadini, cristiani e non cristiani. In effetti, tutti possono contribuire attraverso il voto all’elezione dei legislatori e dei governanti e, anche in altri modi, alla formazione degli orientamenti politici e delle scelte legislative che a loro avviso giovano maggiormente al bene comune.[5] La vita in un sistema politico democratico non potrebbe svolgersi proficuamente senza l’attivo, responsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti, «sia pure con diversità e complementarità di forme, livelli, compiti e responsabilità».[6]  

Mediante l’adempimento dei comuni doveri civili, «guidati dalla coscienza cristiana»,[7] in conformità ai valori che con essa sono congruenti, i fedeli laici svolgono anche il compito loro proprio di animare cristianamente l’ordine temporale, rispettandone la natura e la legittima autonomia,[8] e cooperando con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità.[9] Conseguenza di questo fondamentale insegnamento del Concilio Vaticano II è che «i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla “politica”, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune»,[10] che comprende la promozione e la difesa di beni, quali l’ordine pubblico e la pace, la libertà e l’uguaglianza, il rispetto della vita umana e dell’ambiente, la giustizia, la solidarietà, ecc.  

La presente Nota non ha la pretesa di riproporre l’intero insegnamento della Chiesa in materia, riassunto peraltro nelle sue linee essenziali nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ma intende soltanto richiamare alcuni principi propri della coscienza cristiana che ispirano l’impegno sociale e politico dei cattolici nelle società democratiche.[11] E ciò perché in questi ultimi tempi, spesso per l’incalzare degli eventi, sono emersi orientamenti ambigui e posizioni discutibili, che rendono opportuna la chiarificazione di aspetti e dimensioni importanti della tematica in questione.  

  

II. Alcuni punti nodali nell’attuale dibattito culturale e politico    

2. La società civile si trova oggi all’interno di un complesso processo culturale che mostra la fine di un’epoca e l’incertezza per la nuova che emerge all’orizzonte. Le grandi conquiste di cui si è spettatori provocano a verificare il positivo cammino che l’umanità ha compiuto nel progresso e nell’acquisizione di condizioni di vita più umane. La crescita di responsabilità nei confronti di Paesi ancora in via di sviluppo è certamente un segno di grande rilievo, che mostra la crescente sensibilità per il bene comune. Insieme a questo, comunque, non è possibile sottacere i gravi pericoli a cui alcune tendenze culturali vorrebbero orientare le legislazioni e, di conseguenza, i comportamenti delle future generazioni.  

È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale. A seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo etico è la condizione per la democrazia.[12] Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori,[13] come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore.

Nel contempo, invocando ingannevolmente il valore della tolleranza, a una buona parte dei cittadini — e tra questi ai cattolici — si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica dei propri Paesi secondo la concezione della persona e del bene comune che loro ritengono umanamente vera e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti che l’ordinamento giuridico democratico mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della comunità politica. La storia del XX secolo basta a dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato.   

3. Questa concezione relativista del pluralismo nulla ha a che vedere con la legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale, quella che secondo il proprio criterio meglio si adegua alle esigenze del bene comune. La libertà politica non è né può essere fondata sull’idea relativista che tutte le concezioni sul bene dell’uomo hanno la stessa verità e lo stesso valore, ma sul fatto che le attività politiche mirano volta per volta alla realizzazione estremamente concreta del vero bene umano e sociale in un contesto storico, geografico, economico, tecnologico e culturale ben determinato. Dalla concretezza della realizzazione e dalla diversità delle circostanze scaturisce generalmente la pluralità di orientamenti e di soluzioni che debbono però essere moralmente accettabili.

Non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete — e meno ancora soluzioni uniche — per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno, anche se è suo diritto e dovere pronunciare giudizi morali su realtà temporali quando ciò sia richiesto dalla fede o dalla legge morale.[14] Se il cristiano è tenuto ad «ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali»,[15] egli è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”. 

Sul piano della militanza politica concreta, occorre notare che il carattere contingente di alcune scelte in materia sociale, il fatto che spesso siano moralmente possibili diverse strategie per realizzare o garantire uno stesso valore sostanziale di fondo, la possibilità di interpretare in maniera diversa alcuni principi basilari della teoria politica, nonché la complessità tecnica di buona parte dei problemi politici, spiegano il fatto che generalmente vi possa essere una pluralità di partiti all’interno dei quali i cattolici possono scegliere di militare per esercitare — particolarmente attraverso la rappresentanza parlamentare — il loro diritto-dovere nella costruzione della vita civile del loro Paese.[16] Questa ovvia constatazione non può essere confusa però con un indistinto pluralismo nella scelta dei principi morali e dei valori sostanziali a cui si fa riferimento. La legittima pluralità di opzioni temporali mantiene integra la matrice da cui proviene l’impegno dei cattolici nella politica e questa si richiama direttamente alla dottrina morale e sociale cristiana.

È su questo insegnamento che i laici cattolici sono tenuti a confrontarsi sempre per poter avere certezza che la propria partecipazione alla vita politica sia segnata da una coerente responsabilità per le realtà temporali. 

La Chiesa è consapevole che la via della democrazia se, da una parte, esprime al meglio la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche, dall’altra si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta concezione della persona.[17] Su questo principio l’impegno dei cattolici non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi. La struttura democratica su cui uno Stato moderno intende costruirsi sarebbe alquanto fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della persona. È il rispetto della persona, peraltro, a rendere possibile la partecipazione democratica. Come insegna il Concilio Vaticano II, la tutela «dei diritti della persona umana è condizione perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica».[18]   



4. A partire da qui si estende la complessa rete di problematiche attuali che non hanno avuto confronti con le tematiche dei secoli passati. La conquista scientifica, infatti, ha permesso di raggiungere obiettivi che scuotono la coscienza e impongono di trovare soluzioni capaci di rispettare in maniera coerente e solida i principi etici. Si assiste invece a tentativi legislativi che, incuranti delle conseguenze che derivano per l’esistenza e l’avvenire dei popoli nella formazione della cultura e dei comportamenti sociali, intendono frantumare l’intangibilità della vita umana. I cattolici, in questo frangente, hanno il diritto e il dovere di intervenire per richiamare al senso più profondo della vita e alla responsabilità che tutti possiedono dinanzi ad essa. Giovanni Paolo II, continuando il costante insegnamento della Chiesa, ha più volte ribadito che quanti sono impegnati direttamente nelle rappresentanze legislative hanno il «preciso obbligo di opporsi» ad ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. Per essi, come per ogni cattolico, vige l’impossibilità di partecipare a campagne di opinione in favore di simili leggi né ad alcuno è consentito dare ad esse il suo appoggio con il proprio voto.[19] Ciò non impedisce, come ha insegnato Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Evangelium vitae a proposito del caso in cui non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista già in vigore o messa al voto, che «un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica».[20]  

In questo contesto, è necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce come un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica. L’impegno politico per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente ad esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il cattolico può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli proviene dal vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul mondo possa essere annunciata e raggiunta. 

Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. E’ questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi con la rinuncia all’accanimento terapeutico, la quale è, anche moralmente, legittima), che devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo concepimento fino al suo termine naturale. Allo stesso modo occorre ribadire il dovere di rispettare e proteggere i diritti dell’embrione umano. Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale. Così pure la garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile, riconosciuto tra l’altro nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti umani.

Alla stessa stregua, si deve pensare alla tutela sociale dei minori e alla liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù (si pensi ad esempio, alla droga e allo sfruttamento della prostituzione). Non può essere esente da questo elenco il diritto alla libertà religiosa e lo sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà, secondo il quale «i diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti».[21] Come non vedere, infine, in questa esemplificazione il grande tema della pace. Una visione irenica e ideologica tende, a volte, a secolarizzare il valore della pace mentre, in altri casi, si cede a un sommario giudizio etico dimenticando la complessità delle ragioni in questione. La pace è sempre «frutto della giustizia ed effetto della carità»;[22] esige il rifiuto radicale e assoluto della violenza e del terrorismo e richiede un impegno costante e vigile da parte di chi ha la responsabilità politica. 

  

III. Principi della dottrina cattolica su laicità e pluralismo    

5. Di fronte a queste problematiche, se è lecito pensare all’utilizzo di una pluralità di metodologie, che rispecchiano sensibilità e culture differenti, nessun fedele tuttavia può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società. Non si tratta di per sé di «valori confessionali», poiché tali esigenze etiche sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge morale naturale. Esse non esigono in chi le difende la professione di fede cristiana, anche se la dottrina della Chiesa le conferma e le tutela sempre e dovunque come servizio disinteressato alla verità sull’uomo e al bene comune delle società civili. D’altronde, non si può negare che la politica debba anche riferirsi a principi che sono dotati di valore assoluto proprio perché sono al servizio della dignità della persona e del vero progresso umano. 

6. Il richiamo che spesso viene fatto in riferimento alla “laicità” che dovrebbe guidare l’impegno dei cattolici, richiede una chiarificazione non solo terminologica. La promozione secondo coscienza del bene comune della società politica nulla ha a che vedere con il “confessionalismo” o l’intolleranza religiosa. Per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica - ma non da quella morale - è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto.[23] Giovanni Paolo II ha più volte messo in guardia contro i pericoli derivanti da qualsiasi confusione tra la sfera religiosa e la sfera politica. «Assai delicate sono le situazioni in cui una norma specificamente religiosa diventa, o tende a diventare, legge dello Stato, senza che si tenga in debito conto la distinzione tra le competenze della religione e quelle della società politica. Identificare la legge religiosa con quella civile può effettivamente soffocare la libertà religiosa e, persino, limitare o negare altri inalienabili diritti umani».[24] Tutti i fedeli sono ben consapevoli che gli atti specificamente religiosi (professione della fede, adempimento degli atti di culto e dei Sacramenti, dottrine teologiche, comunicazioni reciproche tra le autorità religiose e i fedeli, ecc.) restano fuori dalle competenze dello Stato, il quale né deve intromettersi né può in modo alcuno esigerli o impedirli, salve esigenze fondate di ordine pubblico. Il riconoscimento dei diritti civili e politici e l’erogazione dei pubblici servizi non possono restare condizionati a convinzioni o prestazioni di natura religiosa da parte dei cittadini.  

Questione completamente diversa è il diritto-dovere dei cittadini cattolici, come di tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità e di promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona. Il fatto che alcune di queste verità siano anche insegnate dalla Chiesa non diminuisce la legittimità civile e la “laicità” dell’impegno di coloro che in esse si riconoscono, indipendentemente dal ruolo che la ricerca razionale e la conferma procedente dalla fede abbiano svolto nel loro riconoscimento da parte di ogni singolo cittadino. La “laicità”, infatti, indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull’uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una. Sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa. 

Con il suo intervento in questo ambito, il Magistero della Chiesa non vuole esercitare un potere politico né eliminare la libertà d’opinione dei cattolici su questioni contingenti. Esso intende invece — come è suo proprio compito — istruire e illuminare la coscienza dei fedeli, soprattutto di quanti si dedicano all’impegno nella vita politica, perché il loro agire sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e del bene comune. L’insegnamento sociale della Chiesa non è un’intromissione nel governo dei singoli Paesi. Pone certamente un dovere morale di coerenza per i fedeli laici, interiore alla loro coscienza, che è unica e unitaria. «Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività e dell’esistenza.

Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come “luogo storico” del rivelarsi e del realizzarsi dell’amore di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto — come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione nella famiglia e nell’educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell’ambito della cultura — sono occasioni provvidenziali per un “continuo esercizio della fede, della speranza e della carità”».[25] Vivere ed agire politicamente in conformità alla propria coscienza non è un succube adagiarsi su posizioni estranee all’impegno politico o su una forma di confessionalismo, ma l’espressione con cui i cristiani offrono il loro coerente apporto perché attraverso la politica si instauri un ordinamento sociale più giusto e coerente con la dignità della persona umana. 

Nelle società democratiche tutte le proposte sono discusse e vagliate liberamente. Coloro che in nome del rispetto della coscienza individuale volessero vedere nel dovere morale dei cristiani di essere coerenti con la propria coscienza un segno per squalificarli politicamente, negando loro la legittimità di agire in politica coerentemente alle proprie convinzioni riguardanti il bene comune, incorrerebbero in una forma di intollerante laicismo. In questa prospettiva, infatti, si vuole negare non solo ogni rilevanza politica e culturale della fede cristiana, ma perfino la stessa possibilità di un’etica naturale. Se così fosse, si aprirebbe la strada ad un’anarchia morale che non potrebbe mai identificarsi con nessuna forma di legittimo pluralismo. La sopraffazione del più forte sul debole sarebbe la conseguenza ovvia di questa impostazione. La marginalizzazione del Cristianesimo, d’altronde, non potrebbe giovare al futuro progettuale di una società e alla concordia tra i popoli, ed anzi insidierebbe gli stessi fondamenti spirituali e culturali della civiltà.[26] 

  

IV. Considerazioni su aspetti particolari    

7. È avvenuto in recenti circostanze che anche all’interno di alcune associazioni o organizzazioni di ispirazione cattolica, siano emersi orientamenti a sostegno di forze e movimenti politici che su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni contrarie all’insegnamento morale e sociale della Chiesa. Tali scelte e condivisioni, essendo in contraddizione con principi basilari della coscienza cristiana, non sono compatibili con l’appartenenza ad associazioni o organizzazioni che si definiscono cattoliche. Analogamente, è da rilevare che alcune Riviste e Periodici cattolici in certi Paesi hanno orientato i lettori in occasione di scelte politiche in maniera ambigua e incoerente, equivocando sul senso dell’autonomia dei cattolici in politica e senza tenere in considerazione i principi a cui si è fatto riferimento. 

La fede in Gesù Cristo che ha definito se stesso «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) chiede ai cristiani lo sforzo per inoltrarsi con maggior impegno nella costruzione di una cultura che, ispirata al Vangelo, riproponga il patrimonio di valori e contenuti della Tradizione cattolica. La necessità di presentare in termini culturali moderni il frutto dell’eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un’urgenza non procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale dei cattolici. Del resto lo spessore culturale raggiunto e la matura esperienza di impegno politico che i cattolici in diversi paesi hanno saputo sviluppare, specialmente nei decenni posteriori alla seconda guerra mondiale, non possono porli in alcun complesso di inferiorità nei confronti di altre proposte che la storia recente ha mostrato deboli o radicalmente fallimentari. È insufficiente e riduttivo pensare che l’impegno sociale dei cattolici possa limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture, perché se alla base non vi è una cultura in grado di accogliere, giustificare e progettare le istanze che derivano dalla fede e dalla morale, le trasformazioni poggeranno sempre su fragili fondamenta. 

La fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici, consapevole che la dimensione storica in cui l’uomo vive impone di verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli. Sotto questo aspetto sono da respingere quelle posizioni politiche e quei comportamenti che si ispirano a una visione utopistica la quale, capovolgendo la tradizione della fede biblica in una specie di profetismo senza Dio, strumentalizza il messaggio religioso, indirizzando la coscienza verso una speranza solo terrena che annulla o ridimensiona la tensione cristiana verso la vita eterna.  

Nello stesso tempo, la Chiesa insegna che non esiste autentica libertà senza la verità. «Verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono», ha scritto Giovanni Paolo II.[27] In una società dove la verità non viene prospettata e non si cerca di raggiungerla, viene debilitata anche ogni forma di esercizio autentico di libertà, aprendo la via ad un libertinismo e individualismo, dannosi alla tutela del bene della persona e della società intera.    

8. A questo proposito è bene ricordare una verità che non sempre oggi viene percepita o formulata esattamente nell’opinione pubblica corrente: il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà religiosa, proclamato dalla Dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II, si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun modo su di una inesistente uguaglianza tra le religioni e tra i sistemi culturali umani.[28] In questa linea il Papa Paolo VI ha affermato che «il Concilio, in nessun modo, fonda questo diritto alla libertà religiosa sul fatto che tutte le religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, avrebbero un valore più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona umana, la quale esige di non essere sottoposta a costrizioni esteriori che tendono ad opprimere la coscienza nella ricerca della vera religione e nell’adesione ad essa».[29] L’affermazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa non contraddice quindi affatto la condanna dell’indifferentismo e del relativismo religioso da parte della dottrina cattolica,[30] anzi con essa è pienamente coerente. 

  

V. Conclusione  

9. Gli orientamenti contenuti nella presenta Nota intendono illuminare uno dei più importanti aspetti dell’unità di vita del cristiano: la coerenza tra fede e vita, tra vangelo e cultura, richiamata dal Concilio Vaticano II. Esso esorta i fedeli a «compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno». Siano desiderosi i fedeli «di poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio».[31]  

          

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nell’Udienza del 21 novembre 2002 ha approvato la presente Nota, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione. 

           

Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 novembre 2002, Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell’Universo. 

  

X JOSEPH CARD. RATZINGER
Prefetto 

    

X TARCISIO BERTONE, S.D.B.
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario

 


[1] LETTERA A DIOGNETO, 5, 5. Cfr. anche Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2240. 

[2] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Apost. Motu Proprio data per la proclamazione di San Tommaso Moro Patrono dei Governanti e dei Politici, n. 1, AAS 93 (2001) 76-80. 

[3] Ibid, n. 4. 

[4] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 31; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1915. 

[5] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 75. 

[6] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 42, AAS 81 (1989) 393-521. Questa nota dottrinale si riferisce ovviamente all’impegno politico dei fedeli laici. I Pastori hanno il diritto e il dovere di proporre i principi morali anche sull’ordine sociale; “tuttavia, la partecipazione attiva nei partiti politici è riservata ai laici” (GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 60). Cfr. anche CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 31-III-1994, n. 33. 

[7] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76. 

[8] Cfr. ibid, n. 36. 

[9] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 7; Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 36 e Cost. Past. Gaudium et spes, nn. 31 e 43. 

[10] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 42. 

[11] Negli ultimi due secoli, più volte il Magistero pontificio si è occupato delle principali questioni riguardanti l’ordine sociale e politico. Cfr. LEONE XIII, Lett. Enc. Diuturnum illud, ASS 14 (1881/82) 4ss; Lett. Enc. Immortale Dei, ASS 18 (1885/86) 162ss; Lett. Enc. Libertas praestantissimum, ASS 20 (1887/88) 593ss; Lett. Enc. Rerum novarum, ASS 23 (1890/91) 643ss; BENEDETTO XV, Lett. Enc. Pacem Dei munus pulcherrimum, AAS 12 (1920) 209ss; PIO XI, Lett. Enc. Quadragesimo anno, AAS 23 (1931) 190ss; Lett. Enc. Mit brennender Sorge, AAS 29 (1937) 145-167; Lett. Enc. Divini Redemptoris, AAS 29 (1937) 78ss; PIO XII, Lett. Enc. Summi Pontificatus, AAS 31 (1939) 423ss; Radiomessaggi natalizi 1941-1944; GIOVANNI XXIII, Lett. Enc. Mater et magistra, AAS 53 (1961) 401-464; Lett. Enc. Pacem in terris AAS 55 (1963) 257-304; PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum progressio, AAS 59 (1967) 257-299; Lett. Apost. Octogesima adveniens, AAS 63 (1971) 401-441. 

[12] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Centesimus annus, n. 46, AAS 83 (1991) 793-867; Lett. Enc. Veritatis splendor, n. 101, AAS 85 (1993) 1133-1228; Discorso al Parlamento Italiano in seduta pubblica comune, n. 5, in: L’Osservatore Romano, 15-XI-2002. 

[13] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium vitae, n. 22, AAS 87 (1995) 401-522. 

[14] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76. 

[15] Ibid, n. 75. 

[16] Cfr. ibid, nn. 43 e 75. 

[17] Cfr. ibid, n. 25. 

[18] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 73. 

[19] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium vitae, n. 73. 

[20] Ibid

[21] CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 75. 

[22] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2304. 

[23] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 76. 

[24] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1991: “Se vuoi la pace, rispetta la coscienza di ogni uomo”, IV, AAS 83 (1991) 410-421. 

[25] GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 59. La citazione interna è del Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam actuositatem, n. 4. 

[26] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in: L’Osservatore Romano, 11/I/2002. 

[27] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 90, AAS 91 (1999) 5-88. 

[28] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Dich. Dignitatis humanae, n. 1: “Il Sacro Concilio anzitutto professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via, attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo divenire salvi e beati. Crediamo che questa unica vera religione sussista nella Chiesa cattolica”. Ciò non toglie che la Chiesa consideri con sincero rispetto le varie tradizioni religiose, anzi riconosce presenti in esse “elementi di verità e di bontà”. Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 16; Decr. Ad gentes, n. 11; Dich. Nostra aetate, n. 2; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 55, AAS 83 (1991) 249-340; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, nn. 2; 8; 21, AAS 92 (2000) 742-765.  

[29] PAOLO VI, Discorso al Sacro Collegio e alla Prelatura Romana, in: “Insegnamenti di Paolo VI” 14 (1976), 1088-1089. 

[30] Cfr. PIO IX, Lett. Enc. Quanta cura, ASS 3 (1867) 162; LEONE XIII, Lett. Enc. Immortale Dei, ASS 18 (1885) 170-171; PIO XI, Lett. Enc. Quas primas, AAS 17 (1925) 604-605; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2108; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 22. 

[31]CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 43. Cfr. anche GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 59.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

CONSIDERAZIONI CIRCA I PROGETTI
DI RICONOSCIMENTO LEGALE
DELLE UNIONI
TRA PERSONE OMOSESSUALI

INTRODUZIONE

1. Diverse questioni concernenti l'omosessualità sono state trattate recentemente più volte dal Santo Padre Giovanni Paolo II e dai competenti Dicasteri della Santa Sede.(1) Si tratta infatti di un fenomeno morale e sociale inquietante, anche in quei Paesi in cui non assume un rilievo dal punto di vista dell'ordinamento giuridico. Ma esso diventa più preoccupante nei Paesi che hanno già concesso o intendono concedere un riconoscimento legale alle unioni omosessuali che, in alcuni casi, include anche l'abilitazione all'adozione di figli.

Le presenti Considerazioni non contengono nuovi elementi dottrinali, ma intendono richiamare i punti essenziali circa il suddetto problema e fornire alcune argomentazioni di carattere razionale, utili per la redazione di interventi più specifici da parte dei Vescovi secondo le situazioni particolari nelle diverse regioni del mondo: interventi destinati a proteggere ed a promuovere la dignità del matrimonio, fondamento della famiglia, e la solidità della società, della quale questa istituzione è parte costitutiva. Esse hanno anche come fine di illuminare l'attività degli uomini politici cattolici, per i quali si indicano le linee di condotta coerenti con la coscienza cristiana quando essi sono posti di fronte a progetti di legge concernenti questo problema.
(2) Poiché si tratta di una materia che riguarda la legge morale naturale, le seguenti argomentazioni sono proposte non soltanto ai credenti, ma a tutti coloro che sono impegnati nella promozione e nella difesa del bene comune della società.

I. NATURA E CARATTERISTICHE IRRINUNCIABILI
DEL MATRIMONIO

2. L'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla complementarità dei sessi ripropone una verità evidenziata dalla retta ragione e riconosciuta come tale da tutte le grandi culture del mondo. Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone umane. Esso è stato fondato dal Creatore, con una sua natura, proprietà essenziali e finalità.(3) Nessuna ideologia può cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite.

3. La verità naturale sul matrimonio è stata confermata dalla Rivelazione contenuta nei racconti biblici della creazione, espressione anche della saggezza umana originaria, nella quale si fa sentire la voce della natura stessa. Tre sono i dati fondamentali del disegno creatore sul matrimonio, di cui parla il Libro della Genesi.

In primo luogo l'uomo, immagine di Dio, è stato creato «  maschio e femmina » (Gn 1, 27). L'uomo e la donna sono uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina. La sessualità da un lato fa parte della sfera biologica e, dall'altro, viene elevata nella creatura umana ad un nuovo livello, quello personale, dove corpo e spirito si uniscono.

Il matrimonio, poi, è istituito dal Creatore come forma di vita in cui si realizza quella comunione di persone che impegna l'esercizio della facoltà sessuale. « Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne » (Gn 2, 24).

Infine, Dio ha voluto donare all'unione dell'uomo e della donna una partecipazione speciale alla sua opera creatrice. Perciò Egli ha benedetto l'uomo e la donna con le parole: « Siate fecondi e moltiplicatevi » (Gn 1, 28). Nel disegno del Creatore complementarità dei sessi e fecondità appartengono quindi alla natura stessa dell'istituzione del matrimonio.

Inoltre, l'unione matrimoniale tra l'uomo e la donna è stata elevata da Cristo alla dignità di sacramento. La Chiesa insegna che il matrimonio cristiano è segno efficace dell'alleanza di Cristo e della Chiesa (cf. Ef 5, 32). Questo significato cristiano del matrimonio, lungi dallo sminuire il valore profondamente umano dell'unione matrimoniale tra l'uomo e la donna, lo conferma e lo rafforza (cf. Mt 19, 3-12; Mc 10, 6-9).


4. Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti omosessuali, infatti, « precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati ».
(4)

Nella Sacra Scrittura le relazioni omosessuali « sono condannate come gravi depravazioni... (cf. Rm 1, 24-27; 1 Cor 6, 10; 1 Tm 1, 10). Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ».(5) Lo stesso giudizio morale si ritrova in molti scrittori ecclesiastici dei primi secoli (6) ed è stato unanimemente accettato dalla Tradizione cattolica.

Secondo l'insegnamento della Chiesa, nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali « devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione ».(7) Tali persone inoltre sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità.(8) Ma l'inclinazione omosessuale è « oggettivamente disordinata »(9) e le pratiche omosessuali « sono peccati gravemente contrari alla castità  ».(10)

II. ATTEGGIAMENTI NEI CONFRONTI
DEL PROBLEMA DELLE UNIONI OMOSESSUALI

5. Nei confronti del fenomeno delle unioni omosessuali, di fatto esistenti, le autorità civili assumono diversi atteggiamenti: a volte si limitano alla tolleranza di questo fenomeno; a volte promuovono il riconoscimento legale di tali unioni, con il pretesto di evitare, rispetto ad alcuni diritti, la discriminazione di chi convive con una persona dello stesso sesso; in alcuni casi favoriscono persino l'equivalenza legale delle unioni omosessuali al matrimonio propriamente detto, senza escludere il riconoscimento della capacità giuridica di procedere all'adozione di figli.

Laddove lo Stato assuma una politica di tolleranza di fatto, non implicante l'esistenza di una legge che esplicitamente concede un riconoscimento legale a tali forme di vita, occorre ben discernere i diversi aspetti del problema. La coscienza morale esige di essere, in ogni occasione, testimoni della verità morale integrale, alla quale si oppongono sia l'approvazione delle relazioni omosessuali sia l'ingiusta discriminazione nei confronti delle persone omosessuali. Sono perciò utili interventi discreti e prudenti, il contenuto dei quali potrebbe essere, per esempio, il seguente: smascherare l'uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione; richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso. A coloro che a partire da questa tolleranza vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall'approvazione o dalla legalizzazione del male.

In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell'equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest'ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all'obiezione di coscienza.

III. ARGOMENTAZIONI RAZIONALI
CONTRO IL RICONOSCIMENTO LEGALE
DELLE UNIONI OMOSESSUALI


6. La comprensione dei motivi che ispirano la necessità di opporsi in questo modo alle istanze che mirano alla legalizzazione delle unioni omosessuali richiede alcune considerazioni etiche specifiche, che sono di diverso ordine.

Di ordine relativo alla retta ragione

Il compito della legge civile è certamente più limitato riguardo a quello della legge morale,(11) ma la legge civile non può entrare in contraddizione con la retta ragione senza perdere la forza di obbligare la coscienza.(12) Ogni legge posta dagli uomini in tanto ha ragione di legge in quanto è conforme alla legge morale naturale, riconosciuta dalla retta ragione, e in quanto rispetta in particolare i diritti inalienabili di ogni persona.(13) Le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell'istituzione matrimoniale, all'unione tra due persone dello stesso sesso. Considerando i valori in gioco, lo Stato non potrebbe legalizzare queste unioni senza venire meno al dovere di promuovere e tutelare un'istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio.

Ci si può chiedere come può essere contraria al bene comune una legge che non impone alcun comportamento particolare, ma si limita a rendere legale una realtà di fatto che apparentemente non sembra comportare ingiustizia verso nessuno. A questo proposito occorre riflettere innanzitutto sulla differenza esistente tra il comportamento omosessuale come fenomeno privato, e lo stesso comportamento quale relazione sociale legalmente prevista e approvata, fino a diventare una delle istituzioni dell'ordinamento giuridico. Il secondo fenomeno non solo è più grave, ma acquista una portata assai più vasta e profonda, e finirebbe per comportare modificazioni dell'intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune. Le leggi civili sono principi strutturanti della vita dell'uomo in seno alla società, per il bene o per il male. Esse « svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume ».(14) Le forme di vita e i modelli in esse espresse non solo configurano esternamente la vita sociale, bensì tendono a modificare nelle nuove generazioni la comprensione e la valutazione dei comportamenti. La legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l'oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell'istituzione matrimoniale.

Di ordine biologico e antropologico

7. Nelle unioni omosessuali sono del tutto assenti quegli elementi biologici e antropologici del matrimonio e della famiglia che potrebbero fondare ragionevolmente il riconoscimento legale di tali unioni.

Esse non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana. L'eventuale ricorso ai mezzi messi a loro disposizione dalle recenti scoperte nel campo della fecondazione artificiale, oltre ad implicare gravi mancanze di rispetto alla dignità umana,(15) non muterebbe affatto questa loro inadeguatezza.

Nelle unioni omosessuali è anche del tutto assente la dimensione coniugale, che rappresenta la forma umana ed ordinata delle relazioni sessuali. Esse infatti sono umane quando e in quanto esprimono e promuovono il mutuo aiuto dei sessi nel matrimonio e rimangono aperte alla trasmissione della vita.

Come dimostra l'esperienza, l'assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all'interno di queste unioni. Ad essi manca l'esperienza della maternità o della paternità. Inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell'adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini nel senso che ci si approfitta del loro stato di debolezza per introdurli in ambienti che non favoriscono il loro pieno sviluppo umano. Certamente una tale pratica sarebbe gravemente immorale e si porrebbe in aperta contraddizione con il principio, riconosciuto anche dalla Convenzione internazionale dell'ONU sui diritti dei bambini, secondo il quale l'interesse superiore da tutelare in ogni caso è quello del bambino, la parte più debole e indifesa.

Di ordine sociale

8. La società deve la sua sopravvivenza alla famiglia fondata sul matrimonio. La conseguenza inevitabile del riconoscimento legale delle unioni omosessuali è la ridefinizione del matrimonio, che diventa un'istituzione la quale, nella sua essenza legalmente riconosciuta, perde l'essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio il compito procreativo ed educativo. Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune. Mettendo l'unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri.

A sostegno della legalizzazione delle unioni omosessuali non può essere invocato il principio del rispetto e della non discriminazione di ogni persona. Una distinzione tra persone oppure la negazione di un riconoscimento o di una prestazione sociale non sono infatti accettabili solo se sono contrarie alla giustizia.(16) Non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma, al contrario, è da essa richiesto.

Neppure il principio della giusta autonomia personale può essere ragionevolmente invocato. Una cosa è che i singoli cittadini possano svolgere liberamente attività per le quali nutrono interesse e che tali attività rientrino genericamente nei comuni diritti civili di libertà, e un'altra ben diversa è che attività che non rappresentano un significativo e positivo contributo per lo sviluppo della persona e della società possano ricevere dallo Stato un riconoscimento legale specifico e qualificato. Le unioni omosessuali non svolgono neppure in senso analogico remoto i compiti per i quali il matrimonio e la famiglia meritano un riconoscimento specifico e qualificato. Ci sono invece buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale.

Di ordine giuridico

9. Poiché le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l'ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, il diritto civile conferisce loro un riconoscimento istituzionale. Le unioni omosessuali invece non esigono una specifica attenzione da parte dell'ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune.

Non è vera l'argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l'effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. In realtà, essi possono sempre ricorrere – come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata – al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale.(17)

IV. COMPORTAMENTI DEI POLITICI CATTOLICI
NEI CONFRONTI DI LEGISLAZIONI
FAVOREVOLI ALLE UNIONI OMOSESSUALI

10. Se tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, i politici cattolici lo sono in particolare, nella linea della responsabilità che è loro propria. In presenza di progetti di legge favorevoli alle unioni omosessuali, sono da tener presenti le seguenti indicazioni etiche.

Nel caso in cui si proponga per la prima volta all'Assemblea legislativa un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale.

Nel caso in cui il parlamentare cattolico si trovi in presenza di una legge favorevole alle unioni omosessuali già in vigore, egli deve opporsi nei modi a lui possibili e rendere nota la sua opposizione: si tratta di un doveroso atto di testimonianza della verità. Se non fosse possibile abrogare completamente una legge di questo genere, egli, richiamandosi alle indicazioni espresse nell'Enciclica Evangelium vitae, «  potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica », a condizione che sia « chiara e a tutti nota » la sua « personale assoluta opposizione » a leggi siffatte e che sia evitato il pericolo di scandalo.(18) Ciò non significa che in questa materia una legge più restrittiva possa essere considerata come una legge giusta o almeno accettabile; bensì si tratta piuttosto del tentativo legittimo e doveroso di procedere all'abrogazione almeno parziale di una legge ingiusta quando l'abrogazione totale non è possibile per il momento.

CONCLUSIONE

11. La Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all'approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Il bene comune esige che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l'unione matrimoniale come base della famiglia, cellula primaria della società. Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell'umanità. La Chiesa non può non difendere tali valori, per il bene degli uomini e di tutta la società.


Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell'Udienza concessa il 28 marzo 2003 al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato le presenti Considerazioni, decise nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 3 giugno 2003, Memoria dei Santi Carlo Lwanga e Compagni, Martiri.

 Joseph Card. Ratzinger
Prefetto

 Angelo Amato, S.D.B.
Arcivescovo titolare di Sila
Segretario


NOTE

(1) Cf. Giovanni Paolo II, Allocuzioni in occasione della recita dell'Angelus, 20 febbraio 1994 e 19 giugno 1994; Discorso ai partecipanti dell'Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, 24 marzo 1999; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2357-2359, 2396; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona humana, 29 dicembre 1975, n. 8; Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986; Alcune Considerazioni concernenti la Risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, 24 luglio 1992; Pontificio Consiglio per la Famiglia, Lettera ai Presidenti delle Conferenze Episcopali d'Europa circa la risoluzione del Parlamento Europeo in merito alle coppie omosessuali, 25 marzo 1994; Famiglia, matrimonio e «  unioni di fatto  », 26 luglio 2000, n. 23.

(2) Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 4.

(3) Cf. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 48.

(4) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357.

(5) Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona humana, 29 dicembre 1975, n. 8.

(6) Cf. per esempio S. Policarpo, Lettera ai Filippesi, V, 3; S. Giustino, Prima Apologia, 27, 1-4; Atenagora, Supplica per i cristiani, 34.

(7) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358; cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 10.

(8) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2359; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 12.

(9) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358.

(10) Ibid., n. 2396.

(11) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, n. 71.

(12) Cf. ibid., n. 72.

(13) Cf. S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 95, a. 2.

(14) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, n. 90.

(15) Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum vitae, 22 febbraio 1987, II. A. 1-3.

(16) Cf. S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 63, a. 1, c.

(17) Occorre non dimenticare inoltre che sussiste sempre « il pericolo che una legislazione che faccia dell'omosessualità una base per avere dei diritti possa di fatto incoraggiare una persona con tendenza omosessuale a dichiarare la sua omosessualità o addirittura a cercare un partner allo scopo di sfruttare le disposizioni della legge » (Congregazione per la Dottrina della Fede, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, 24 luglio 1992, n. 14).

(18) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, n. 73.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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02/03/2010 11:28
 
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Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali

www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19861001_homosexual-persons...


Congregazione per la Dottrina della Fede

1. Il problema dell'omosessualità e del giudizio etico sugli atti omosessuali è divenuto sempre più oggetto di pubblico dibattito, anche in ambienti cattolici. In questa discussione vengono spesso proposte argomentazioni ed espresse posizioni non conformi con l'insegnamento della Chiesa Cattolica, destando una giusta preoccupazione in tutti coloro che sono impegnati nel ministero pastorale. Di conseguenza questa Congregazione ha ritenuto il problema così grave e diffuso da giustificare la presente Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, indirizzata a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica.

2. Naturalmente in questa sede non può essere affrontata una trattazione esaustiva di tale complesso problema; si concentrerà piuttosto l'attenzione sul contesto specifico della prospettiva morale cattolica. Essa trova conforto anche in sicuri risultati delle scienze umane, le quali pure hanno un oggetto e un metodo loro proprio, che godono di legittima autonomia.

La posizione della morale cattolica è fondata sulla ragione umana illuminata dalla fede e guidata consapevolmente dall'intento di fare la volontà di Dio, nostro Padre.

In tal modo la Chiesa è in grado non solo di poter imparare dalle scoperte scientifiche, ma anche di trascenderne l'orizzonte; essa è certa che la sua visione più completa rispetta la complessa realtà della persona umana che, nelle sue dimensioni spirituale e corporea, è stata creata da Dio e, per sua grazia, chiamata a essere erede della vita eterna.

Solo all'interno di questo contesto, si può dunque comprendere con chiarezza in che senso il fenomeno dell'omosessualità, con le sue molteplici dimensioni e con i suoi effetti sulla società e sulla vita ecclesiale, sia un problema che riguarda propriamente la preoccupazione pastorale della Chiesa. Pertanto dai suoi ministri si richiede studio attento, impegno concreto e riflessione onesta, teologicamente equilibrata.

3. Già nella Dichiarazione su alcune questioni di etica sessuale, del 29 dicembre 1975, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva esplicitamente trattato questo problema. In quella Dichiarazione si sottolineava il dovere di cercare di comprendere la condizione omosessuale, e si osservava come la colpevolezza degli atti omosessuali dovesse essere giudicata con prudenza. Nello stesso tempo la Congregazione teneva conto della distinzione comunemente operata fra condizione e tendenza omosessuale e atti omosessuali. Questi ultimi venivano descritti come atti che vengono privati della loro finalità essenziale e indispensabile, come "intrinsecamente disordinati" e tali che non possono essere approvati in nessun caso (cf n. 8, par. 4).

Tuttavia nella discussione che seguì la pubblicazione della Dichiarazione, furono proposte delle interpretazioni eccessivamente benevole della condizione omosessuale stessa, tanto che qualcuno si spinse fino a definirla indifferente o addirittura buona. Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l'inclinazione stessa dev'essere considerata come oggettivamente disordinata.

Pertanto coloro che si trovano in questa condizione dovrebbero essere oggetto di una particolare sollecitudine pastorale perché non siano portati a credere che l'attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un'opzione moralmente accettabile.

4. Una delle dimensioni essenziali di un'autentica cura pastorale è l'identificazione delle cause che hanno portato confusione nei confronti dell'insegnamento della Chiesa.

Tra esse va segnalata una nuova esegesi della Sacra Scrittura, secondo cui la Bibbia o non avrebbe niente da dire sul problema dell'omosessualità, o addirittura ne darebbe in qualche modo una tacita approvazione, oppure infine offrirebbe prescrizioni morali così culturalmente e storicamente condizionate che non potrebbero più essere applicate alla vita contemporanea. Tali opinioni, gravemente erronee e fuorvianti, richiedono dunque speciale vigilanza.

5. È vero che la letteratura biblica è debitrice verso le varie epoche, nelle quali fu scritta, di gran parte dei suoi modelli di pensiero e di espressione (cf Dei Verbum, n. 12).

Certamente, la Chiesa di oggi proclama il Vangelo a un mondo che è assai diverso da quello antico. D'altra parte il mondo nel quale il Nuovo Testamento fu scritto era già notevolmente mutato, per esempio, rispetto alla situazione nella quale furono scritte o redatte le Sacre Scritture del popolo ebraico.

Dev'essere tuttavia rilevato che, pur nel contesto di tale notevole diversità, esiste un'evidente coerenza all'interno delle Scritture stesse sul comportamento omosessuale. Perciò la dottrina della Chiesa su questo punto non è basata solo su frasi isolate, da cui si possono trarre discutibili argomentazioni teologiche, ma piuttosto sul solido fondamento di una costante testimonianza biblica. L'odierna comunità di fede, in ininterrotta continuità con le comunità giudaiche e cristiane all'interno delle quali le antiche Scritture furono redatte, continua a essere nutrita da quelle stesse Scritture e dallo Spirito di verità di cui esse sono Parola. È egualmente essenziale riconoscere che i testi sacri non sono realmente compresi quando vengono interpretati in un modo che contraddice la Tradizione vivente della Chiesa. Per essere corretta, l'interpretazione della Scrittura dev'essere in effettivo accordo con questa Tradizione.

Il Concilio Vaticano II così si esprime al riguardo: "È chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non poter indipendentemente sussistere, e tutti insieme, secondo il proprio modo, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime" (Dei Verbum, n. 10). Alla luce di queste affermazioni viene ora brevemente delineato l'insegnamento della Bibbia in materia.

6. La teologia della creazione, presente nel libro della Genesi, fornisce il punto di vista fondamentale per la comprensione adeguata dei problemi posti dall'omosessualità.

Dio, nella sua infinita sapienza e nel suo amore onnipotente, chiama all'esistenza tutta la realtà, quale riflesso della sua bontà. Egli crea a sua immagine e somiglianza l'uomo, come maschio e femmina. Gli esseri umani perciò sono creature di Dio, chiamate a rispecchiare, nella complementarità dei sessi, l'interiore unità del Creatore. Essi realizzano questo compito in modo singolare, quando cooperano con lui nella trasmissione della vita, mediante la reciproca donazione sponsale.

Il cap. 3 della Genesi mostra come questa verità sulla persona umana quale immagine di Dio sia stata oscurata dal peccato originale. Ne segue inevitabilmente una perdita della consapevolezza del carattere di alleanza, proprio dell'unione che le persone umane avevano con Dio e fra di loro. Benché il corpo umano conservi ancora il suo "significato sponsale", ora questo è oscurato dal peccato. Così il deterioramento dovuto al peccato continua a svilupparsi nella storia degli uomini di Sodoma (cf Gen 19, 1-11). Non vi può essere dubbio sul giudizio morale ivi espresso contro le relazioni omosessuali. In Levitico 18, 22 e 20, 13, quando vengono indicate le condizioni necessarie per appartenere al popolo eletto, l'autore esclude dal popolo di Dio coloro che hanno un comportamento omosessuale.

Sullo sfondo di questa legislazione teocratica, san Paolo sviluppa una prospettiva escatologica, all'interno della quale egli ripropone la stessa dottrina, elencando tra coloro che non entreranno nel regno di Dio anche chi agisce da omosessuale (cf 1 Cor 6, 9). In un altro passaggio del suo epistolario egli, fondandosi sulle tradizioni morali dei suoi antenati, ma collocandosi nel nuovo contesto del confronto tra il cristianesimo e la società pagana dei suoi tempi, presenta il comportamento omosessuale come un esempio della cecità nella quale è caduta l'umanità. Sostituendosi all'armonia originaria fra il Creatore e le creature, la grave deviazione dell'idolatria ha condotto a ogni sorta di eccessi nel campo morale. San Paolo trova l'esempio più chiaro di questa disarmonia proprio nelle relazioni omosessuali (cf Rom 1, 18-32). Infine, in perfetta continuità con l'insegnamento biblico, nell'elenco di coloro che agiscono contrariamente alla sana dottrina, vengono esplicitamente menzionati come peccatori coloro che compiono atti omosessuali (cf 1 Tim 1, 10).

7. La Chiesa, obbediente al Signore che l'ha fondata e le ha fatto dono della vita sacramentale, celebra nel sacramento del matrimonio il disegno divino dell'unione amorosa e donatrice di vita dell'uomo e della donna. È solo nella relazione coniugale che l'uso della facoltà sessuale può essere moralmente retto. Pertanto una persona che si comporta in modo omosessuale agisce immoralmente.

Scegliere un'attività sessuale con una persona dello stesso sesso equivale ad annullare il ricco simbolismo e il significato, per non parlare dei fini, del disegno del Creatore a riguardo della realtà sessuale. L'attività omosessuale non esprime un'unione complementare, capace di trasmettere la vita, e pertanto contraddice la vocazione a un'esistenza vissuta in quella forma di auto-donazione che, secondo il Vangelo, è l'essenza stessa della vita cristiana. Ciò non significa che le persone omosessuali non siano spesso generose e non facciano dono di se stesse, ma quando si impegnano in un'attività omosessuale esse rafforzano al loro interno una inclinazione sessuale disordinata, per se stessa caratterizzata dall'autocompiacimento.

Come accade per ogni altro disordine morale, l'attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l'omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico.

8. L'insegnamento della Chiesa di oggi è quindi in continuità organica con la visione della S. Scrittura e con la costante Tradizione. Anche se il mondo di oggi è da molti punti di vista veramente cambiato, la comunità cristiana è consapevole del legame profondo e duraturo che la unisce alle generazioni che l'hanno preceduta "nel segno della fede".

Tuttavia oggi un numero sempre più vasto di persone, anche all'interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali. Quelli che, all'interno della comunità di fede, spingono in questa direzione, hanno sovente stretti legami con coloro che agiscono al di fuori di essa. Ora questi gruppi esterni sono mossi da una visione opposta alla verità sulla persona umana, che ci è stata pienamente rivelata nel mistero di Cristo. Essi manifestano, anche se non in modo del tutto cosciente, un'ideologia materialistica, che nega la natura trascendente della persona umana, così come la vocazione soprannaturale di ogni individuo.

I ministri della Chiesa devono far in modo che le persone omosessuali affidate alle loro cure non siano fuorviate da queste opinioni, così profondamente opposte all'insegnamento della Chiesa. Tuttavia il rischio è grande e ci sono molti che cercano di creare confusione nei riguardi della posizione della Chiesa e di sfruttare questa confusione per i loro scopi.
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9. Anche all'interno della Chiesa si è formata una tendenza, costituita da gruppi di pressione con diversi nomi e diversa ampiezza, che tenta di accreditarsi quale rappresentante di tutte le persone omosessuali che sono cattoliche. Di fatto i suoi seguaci sono per lo più persone che o ignorano l'insegnamento della Chiesa o cercano in qualche modo di sovvertirlo. Si tenta di raccogliere sotto l'egida del cattolicesimo persone omosessuali che non hanno alcuna intenzione di abbandonare il loro comportamento omosessuale. Una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione.

È pertanto in atto in alcune nazioni un vero e proprio tentativo di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile. Il fine di tale azione è conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui l'omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona. Benché la pratica dell'omosessualità stia minacciando seriamente la vita e il benessere di un gran numero di persone, i fautori di questa tendenza non desistono dalla loro azione e rifiutano di prendere in considerazione le proporzioni del rischio, che vi è implicato.

La Chiesa non può non preoccuparsi di tutto questo e pertanto mantiene ferma la sua chiara posizione al riguardo, che non può essere modificata sotto la pressione della legislazione civile o della moda del momento. Essa si preoccupa sinceramente anche dei molti che non si sentono rappresentati dai movimenti pro-omosessuali, e di quelli che potrebbero essere tentati di credere alla loro ingannevole propaganda. Essa è consapevole che l'opinione, secondo la quale l'attività omosessuale sarebbe equivalente, o almeno altrettanto accettabile, quanto l'espressione sessuale dell'amore coniugale, ha un'incidenza diretta sulla concezione che la società ha della natura e dei diritti della famiglia, e li mette seriamente in pericolo.

10. Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev'essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni.

Tuttavia, la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all'affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata. Quando tale affermazione viene accolta e di conseguenza l'attività omosessuale è accettata come buona, oppure quando viene introdotta una legislazione civile per proteggere un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto, né la Chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche distorte guadagnano terreno e se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano.

11. Alcuni sostengono che la tendenza omosessuale, in certi casi, non è il risultato di una scelta deliberata e che la persona omosessuale non ha alternative, ma è costretta a comportarsi in modo omosessuale. Di conseguenza si afferma che essa agirebbe in questi casi senza colpa, non essendo veramente libera.

A questo proposito è necessario rifarsi alla saggia tradizione morale della Chiesa, la quale mette in guardia dalle generalizzazioni nel giudizio dei casi singoli. Di fatto in un caso determinato possono essere esistite nel passato e possono tuttora sussistere circostanze tali da ridurre o addirittura da togliere la colpevolezza del singolo; altre circostanze al contrario possono accrescerla. Dev'essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev'essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità. Come in ogni conversione dal male, grazie a questa libertà, lo sforzo umano, illuminato e sostenuto dalla grazia di Dio, potrà consentire ad esse di evitare l'attività omosessuale.

12. Che cosa deve fare dunque una persona omosessuale, che cerca di seguire il Signore? Sostanzialmente, queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, unendo ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore. Per il credente, la croce è un sacrificio fruttuoso, poiché da quella morte provengono la vita e la redenzione. Anche se ogni invito a portare la croce o a intendere in tal modo la sofferenza del cristiano sarà prevedibilmente deriso da qualcuno, si dovrebbe ricordare che questa è la via della salvezza per tutti coloro che sono seguaci di Cristo.

In realtà questo non è altro che l'insegnamento rivolto dall'apostolo Paolo ai Galati, quando egli dice che lo Spirito produce nella vita del fedele: "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé" e più oltre: "Non potete appartenere a Cristo senza crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri" (Gal 5, 22.24).

Tuttavia facilmente questo invito viene male interpretato, se è considerato solo come un inutile sforzo di autorinnegamento. La croce è sì un rinnegamento di sé, ma nell'abbandono alla volontà di quel Dio che dalla morte trae fuori la vita e abilita coloro, che pongono in lui la loro fiducia, a praticare la virtù invece del vizio.

Si celebra veramente il mistero pasquale solo se si lascia che esso permei il tessuto della vita quotidiana. Rifiutare il sacrificio della propria volontà nell'obbedienza alla volontà del Signore è di fatto porre ostacolo alla salvezza. Proprio come la croce è il centro della manifestazione dell'amore redentivo di Dio per noi in Gesù, così la conformità dell'autorinnegamento di uomini e donne omosessuali con il sacrificio del Signore costituirà per loro una fonte di autodonazione che li salverà da una forma di vita che minaccia continuamente di distruggerli.

Le persone omosessuali sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità. Se si dedicano con assiduità a comprendere la natura della chiamata personale di Dio nei loro confronti, esse saranno in grado di celebrare più fedelmente il sacramento della Penitenza, e di ricevere la grazia del Signore, in esso così generosamente offerta, per potersi convertire più pienamente alla sua sequela.

13. È evidente, d'altra parte, che una chiara ed efficace trasmissione della dottrina della Chiesa a tutti i fedeli e alla società nel suo complesso dipende in larga misura dal corretto insegnamento e dalla fedeltà di chi esercita il ministero pastorale. I Vescovi hanno la responsabilità particolarmente grave di preoccuparsi che i loro collaboratori nel ministero, e soprattutto i sacerdoti, siano rettamente informati e personalmente ben disposti a comunicare a ognuno la dottrina della Chiesa nella sua integrità.

La particolare sollecitudine e la buona volontà dimostrata da molti sacerdoti e religiosi nella cura pastorale per le persone omosessuali è ammirevole, e questa Congregazione spera che essa non diminuirà. Tali ministri zelanti devono nutrire la certezza che stanno seguendo fedelmente la volontà del Signore, allorché incoraggiano la persona omosessuale a condurre una vita casta, e ricordano la dignità incomparabile che Dio ha donato anche ad essa.

14. Considerando quanto sopra, questa Congregazione desidera chiedere ai Vescovi di essere particolarmente vigilanti nei confronti di quei programmi che di fatto tentano di esercitare una pressione sulla Chiesa perché essa cambi la sua dottrina, anche se a parole talvolta si nega che sia così. Un attento studio delle dichiarazioni pubbliche in essi contenute e delle attività che promuovono rivela una calcolata ambiguità, attraverso cui cercano di fuorviare i pastori e i fedeli. Per esempio, essi presentano talvolta l'insegnamento del Magistero, ma solo come una fonte facoltativa in ordine alla formazione della coscienza. La sua autorità peculiare non è riconosciuta. Alcuni gruppi usano perfino qualificare come "cattoliche" le loro organizzazioni o le persone a cui intendono rivolgersi, ma in realtà essi non difendono e non promuovono l'insegnamento del Magistero, anzi talvolta lo attaccano apertamente. Per quanto i loro membri rivendichino di voler conformare la loro vita all'insegnamento di Gesù, di fatto essi abbandonano l'insegnamento della sua Chiesa. Questo comportamento contraddittorio non può avere in nessun modo l'appoggio dei Vescovi.

15. Questa Congregazione incoraggia pertanto i Vescovi a promuovere, nella loro diocesi, una pastorale verso le persone omosessuali in pieno accordo con l'insegnamento della Chiesa. Nessun programma pastorale autentico potrà includere organizzazioni, nelle quali persone omosessuali si associno tra loro, senza che sia chiaramente stabilito che l'attività omosessuale è immorale. Un atteggiamento veramente pastorale comprenderà la necessità di evitare alle persone omosessuali le occasioni prossime di peccato.

Vanno incoraggiati quei programmi in cui questi pericoli sono evitati. Ma occorre chiarire bene che ogni allontanamento dall'insegnamento della Chiesa, o il silenzio su di esso, nella preoccupazione di offrire una cura pastorale, non è forma né di autentica attenzione né di valida pastorale. Solo ciò che è vero può ultimamente essere anche pastorale. Quando non si tiene presente la posizione della Chiesa si impedisce che uomini e donne omosessuali ricevano quella cura, di cui hanno bisogno e diritto.

Un programma pastorale autentico aiuterà le persone omosessuali a tutti i livelli della loro vita spirituale, mediante i sacramenti e in particolare la frequente e sincera confessione sacramentale, mediante la preghiera, la testimonianza, il consiglio e l'aiuto individuale. In tal modo, l'intera comunità cristiana può giungere a riconoscere la sua vocazione ad assistere questi suoi fratelli e queste sue sorelle, evitando loro sia la delusione sia l'isolamento.

16. Da questo approccio diversificato possono derivare molti vantaggi, non ultimo la constatazione che una persona omosessuale, come del resto ogni essere umano, ha una profonda esigenza di essere aiutato contemporaneamente a vari livelli.

La persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, non può essere definita in modo adeguato con un riduttivo riferimento solo al suo orientamento sessuale.

Qualsiasi persona che vive sulla faccia della terra ha problemi e difficoltà personali, ma anche opportunità di crescita, risorse, talenti e doni propri. La Chiesa offre quel contesto del quale oggi si sente una estrema esigenza per la cura della persona umana, proprio quando rifiuta di considerare la persona puramente come un "eterosessuale" o un "omosessuale" e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna.

17. Offrendo all'attenzione dei Vescovi tali chiarificazioni e orientamenti pastorali, questa Congregazione desidera aiutare i loro sforzi volti ad assicurare che l'insegnamento del Signore e della sua Chiesa su questo importante tema sia trasmesso a tutti i fedeli in modo integro.

Alla luce di quanto ora esposto, gli Ordinari del luogo sono invitati a valutare, nell'ambito della loro competenza, la necessità di particolari interventi. Inoltre, se ritenuto utile, si potrà ricorrere ad una ulteriore azione coordinata a livello delle conferenze episcopali nazionali.

In particolare i Vescovi si premureranno di sostenere con i mezzi a loro disposizione lo sviluppo di forme specializzate di cura pastorale per persone omosessuali. Ciò potrebbe includere la collaborazione delle scienze psicologiche, sociologiche e mediche, sempre mantenendosi in piena fedeltà alla dottrina della Chiesa.

Soprattutto i Vescovi non mancheranno di sollecitare la collaborazione di tutti i teologi cattolici, i quali, insegnando ciò che la Chiesa insegna e approfondendo con le loro riflessioni il significato autentico della sessualità umana e del matrimonio cristiano nel piano divino, nonché delle virtù che esso comporta, potranno così offrire un valido aiuto in questo campo specifico dell'attività pastorale.

Particolare attenzione dovranno quindi avere i Vescovi nella scelta dei ministri incaricati di questo delicato compito, in modo che essi, per la loro fedeltà al Magistero e per il loro elevato grado di maturità spirituale e psicologica, possano essere di reale aiuto alle persone omosessuali, per il conseguimento del loro bene integrale. Tali ministri respingeranno le opinioni teologiche che sono contrarie all'insegnamento della Chiesa e che quindi non possono servire da direttive in campo pastorale.

Inoltre sarà conveniente promuovere appropriati programmi di catechesi, fondati sulla verità riguardante la sessualità umana, nella sua relazione con la vita della famiglia, così come è insegnata dalla Chiesa. Tali programmi forniscono infatti un ottimo contesto, all'interno del quale può essere trattata anche la questione dell'omosessualità.

Questa catechesi potrà aiutare anche quelle famiglie, in cui si trovano persone omosessuali, nell'affrontare un problema che le tocca così profondamente.

Dovrà essere ritirato ogni appoggio a qualunque organizzazione che cerchi di sovvertire l'insegnamento della Chiesa, che sia ambigua nei suoi confronti, o che lo trascuri completamente. Un tale appoggio, o anche l'apparenza di esso può dare origine a gravi fraintendimenti. Speciale attenzione dovrebbe essere rivolta alla pratica della programmazione di celebrazioni religiose e all'uso di edifici appartenenti alla Chiesa da parte di questi gruppi, compresa la possibilità di disporre delle scuole e degli istituti cattolici di studi superiori. A qualcuno tale permesso di far uso di una proprietà della Chiesa può sembrare solo un gesto di giustizia e di carità, ma in realtà esso è in contraddizione con gli scopi stessi per i quali queste istituzioni sono state fondate, e può essere fonte di malintesi e di scandalo.

Nel valutare eventuali progetti legislativi, si dovrà porre in primo piano l'impegno a difendere e promuovere la vita della famiglia.

18. Il Signore Gesù ha detto: "Voi conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8, 32). La Scrittura ci comanda di fare la verità nella carità (cf Ef 4, 15).

Dio che è insieme verità e amore chiama la Chiesa a mettersi al servizio di ogni uomo, donna e bambino con la sollecitudine pastorale del nostro Signore misericordioso.

In questo spirito la Congregazione per la Dottrina della Fede ha rivolto questa Lettera a voi, Vescovi della Chiesa, con la speranza che vi sia di aiuto nella cura pastorale di persone, le cui sofferenze possono solo essere aggravate da dottrine errate e alleviate invece dalla parola della verità.



Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza accordata al sottoscritto Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, 1° ottobre 1986.



JOSEPH Card. RATZINGER
Prefetto

+ ALBERTO BOVONE
Arc. tit. di Cesarea di Numidia
Segretario


[Modificato da Caterina63 23/05/2017 10:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

PERSONA HUMANA [SM=g1740733]

ALCUNE QUESTIONI DI ETICA SESSUALE

29 dicembre 1975



1. La persona umana, a giudizio degli scienziati del nostro tempo, è così profondamente influenzata dalla sessualità, che questa deve essere considerata come uno dei fattori che danno alla vita di ciascuno i tratti principali che la distinguono. Dal sesso, infatti, la persona umana deriva le caratteristiche che sul piano biologico, psicologico e spirituale la fanno uomo o donna, condizionando così grandemente l'iter del suo sviluppo verso la maturità e il suo inserimento nella società. È questa la ragione per cui - come chiunque può agevolmente costatare ciò che riguarda il sesso è oggi una materia che frequentemente e apertamente è trattata da libri, riviste, giornali e gli altri strumenti di comunicazione sociale.

Frattanto, s'è accresciuta la corruzione dei costumi, di cui uno dei più gravi indizi è la smoderata esaltazione del sesso, mentre con la diffusione degli strumenti di comunicazione sociale e degli spettacoli, essa è arrivata ad invadere il campo della educazione e ad inquinare la mentalità comune.

In questo contesto, se alcuni educatori, pedagogisti o moralisti, hanno potuto contribuire a far meglio capire e integrare nella vita i peculiari valori dell'uno e dell'altro sesso, altri, invece, hanno proposto concezioni e modi di comportamento che sono in contrasto con le vere esigenze morali dell'essere umano, addirittura tali da favorire un licenzioso edonismo.

Ne è risultato che, anche tra i cristiani, insegnamenti, criteri morali e maniere di vivere, finora fedelmente conservati, sono stati nel giro di pochi anni fortemente scossi, e sono numerosi quelli che oggi, dinanzi a tante opinioni largamente diffuse e contrarie alla dottrina che hanno ricevuto dalla chiesa, finiscono col domandarsi quel che devono ancora ritenere per vero.

Difficoltà incontrate dai pastori ed educatori

2. La chiesa non può restare indifferente dinanzi a tale confusione degli spiriti e a tale rilassamento dei costumi. Si tratta, infatti, di una questione importantissima per la vita personale dei cristiani e per la vita sociale del nostro tempo.(2)

Ogni giorno i vescovi sono indotti a costatare le crescenti difficoltà che incontrano i fedeli nel prendere coscienza della sana dottrina morale, specialmente in materia sessuale, e i pastori nell'esporla con efficacia. Essi si sentono chiamati, in forza del loro ufficio pastorale, a rispondere su questo punto così grave ai bisogni dei fedeli ad essi affidati; e già importanti documenti sono stati pubblicati circa questa materia da alcuni di loro, o da alcune conferenze episcopali. Tuttavia, poiché le opinioni erronee e le deviazioni che ne risultano continuano a diffondersi dappertutto, la congregazione per la dottrina della fede, in virtù della sua funzione nei confronti della chiesa universale(3) e per mandato del sommo pontefice, ha ritenuto necessario pubblicare la presente dichiarazione.

3. Gli uomini del nostro tempo sono sempre più persuasi che la dignità e la vocazione della persona umana richiedono che, alla luce della loro ragione, essi scoprano i valori inscritti nella loro natura, che li sviluppino incessantemente e li realizzino nella loro vita, in vista di un sempre maggiore progresso.

Ma, in materia morale, l'uomo non può emettere giudizi di valore secondo il suo personale arbitrio: «Nell'intimo del propria coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a dati e alla quale deve obbedire... Egli ha una legge scritta da Dio dentro il suo cuore, obbedire alla quale è la dignità stessa del l'uomo e secondo la quale egli sarà giudicato».(4)

Inoltre, a noi cristiani, Dio mediante la sua rivelazione ha fatto conoscere il suo disegno di salvezza e ha proposto il Cristo, salvatore e santificatore, nella sua dottrina e nel suo esempio, come la norma suprema e immutabile della vita, lui, il quale ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).

Non può, dunque, esserci vera promozione della dignità dell'uomo se non nel rispetto dell'ordine essenziale della sua natura. Certo, nella storia della civiltà, molte condizioni concrete ed esigenze della vita umana sono mutate e muteranno ancora; ma ogni evoluzione dei costumi e ogni genere di vita devono essere contenuti nei limiti imposti dai principi immutabili, fondati sugli elementi costitutivi e le relazioni essenziali di ogni persona umana: elementi e relazioni che trascendono le contingenze storiche.

Questi principi fondamentali, che la ragione può cogliere, sono contenuti nella «legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio, nel suo disegno di sapienza e di amore, ordina, dirige e governa l'universo e le vie della società umana. Dio rende partecipe l'uomo di questa sua legge, cosicché l'uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l'immutabile verità».(5) Questa legge è accessibile alla nostra conoscenza.

Leggi immutabili naturali

4. A torto, quindi, molti oggi pretendono che, per servire di regola alle azioni particolari, non si possa trovare né nella natura umana né nella legge rivelata altra norma assoluta e immutabile, se non quella che si esprime nella legge generale della carità e del rispetto della dignità umana. A prova di questa asserzione essi sostengono che nelle cosiddette norme della legge naturale o precetti della sacra Scrittura, non si deve vedere altro che determinate espressioni di una forma di cultura particolare in un certo momento della storia.

Ma, in realtà, la rivelazione divina e, nel suo proprio ordine, la sapienza filosofica, mettendo in rilievo esigenze autentiche della umanità, per ciò stesso manifestano necessariamente l'esistenza di leggi immutabili, inscritte negli elementi costitutivi della natura umana e che si manifestano identiche in tutti gli esseri, dotati di ragione.

Inoltre, Cristo ha istituito la sua chiesa come «colonna e sostegno della verità» (1 Tm 3,15). Con l'assistenza dello Spirito santo, essa conserva incessantemente e trasmette senza errore le verità dell'ordine morale, e interpreta autenticamente non soltanto la legge positiva rivelata, «ma anche i principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana»,(6) e che concernono il pieno sviluppo e la santificazione dell'uomo. Ora di fatto, la chiesa, nel corso della sua storia, ha costantemente considerato un certo numero di precetti della legge naturale come aventi valore assoluto e immutabile, e ha visto nella loro trasgressione una contraddizione con la dottrina e lo spirito del vangelo.

5. Poiché l'etica sessuale riguarda certi valori fondamentali della vita umana e della vita cristiana, è pure ad essa che si applica questa dottrina generale. In questo campo esistono principi e norme che la chiesa, senza alcuna esitazione, ha sempre trasmesso nel suo insegnamento, per quanto opposti potessero essere ad essi le opinioni e i costumi del mondo. Questi principi e queste norme non hanno affatto origine da un certo tipo di cultura, ma appunto dalla conoscenza della legge divina e della natura umana. Essi non possono, pertanto, ritenersi superati né messi in dubbio, col pretesto di una nuova situazione culturale.

Sono questi i principi che hanno ispirato i suggerimenti e le direttive del concilio Vaticano II per una educazione e una organizzazione della vita sociale, che tengano debito conto della eguale dignità dell'uomo e della donna, nel rispetto della loro differenza.(7)

Parlando dell'indole sessuata dell'essere umano e della facoltà umana di generare, il concilio ha notato che esse «sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita».(8) Poi si è particolarmente dedicato ad esporre i principi e i criteri, che concernono la sessualità umana nel matrimonio e che hanno il loro fondamento nella finalità della sua funzione specifica.

A questo proposito, il concilio dichiara che la bontà morale degli atti propri della vita coniugale, ordinati secondo la pera dignità umana, «non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinata da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella natura stessa della persona e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana».(9)

Queste ultime parole riassumono brevemente la dottrina del concilio - esposta in precedenza con maggior ampiezza della stessa costituzione(10) - circa la finalità dell'atto sessuale e criterio principale della sua moralità: è il rispetto della sua finalità che garantisce l'onestà di questo atto.

Questo stesso principio, che la chiesa attinge alla rivelazione divina e alla propria interpretazione autentica della legge naturale, fonda anche la sua dottrina tradizionale, secondo la quale l'uso della funzione sessuale ha il suo vero senso e la sua attitudine morale soltanto nel matrimonio legittimo.(11)

Rapporti prematrimoniali

6. La presente dichiarazione non intende trattare di tutti gli abusi della facoltà sessuale né di tutto ciò che implica la pratica della castità; essa si propone di richiamare la dottrina della chiesa intorno ad alcuni punti particolari, considerata l'urgente necessità di opporsi a gravi errori e a comportamenti aberranti e largamente diffusi.

7. Molti oggi rivendicano il diritto all'unione sessuale prima del matrimonio, almeno quando una ferma volontà di sposarsi e un affetto, in qualche modo già coniugale nella psicologia dei soggetti, richiedono questo completamento, che essi stimano connaturale; ciò soprattutto quando la celebrazione del matrimonio è impedita dalle circostanze esterne, o se questa intima relazione sembra necessaria perché sia conservato l'amore.

Questa opinione è in contrasto con la dottrina cristiana. secondo la quale ogni atto genitale umano deve svolgersi nel quadro del matrimonio. Infatti, per quanto sia fermo il proposito di coloro che si impegnano in tali rapporti prematuri, resta vero, però, che questi non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna e, specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci. Ora, è un'unione stabile quella che Gesù ha voluto e che ha restituito alla sua condizione originale, fondata sulla differenza del sesso. «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non separi» (cf. Mt 19,4-6). San Paolo è ancora più esplicito quando insegna che, se celibi e vedovi non possono vivere in continenza non hanno altra scelta che la stabile unione del matrimonio: È meglio sposarsi che ardere» (1 Cor 7,9). Col matrimonio, infatti, l'amore dei coniugi è assunto nell'amore irrevocabile che Cristo ha per la chiesa (cf. Ef 5,25-32), mentre l'unione dei corpi nell'impudicizia(12) contamina il tempio dello Spirito santo, quale è divenuto il cristiano. L'unione carnale, dunque, non è legittima se tra l'uomo e la donna non si è instaurata una definitiva comunità di vita.

Ecco ciò che ha sempre inteso e insegnato la chiesa,(13) trovando, peraltro, nella riflessione degli uomini e nelle lezioni della storia un accordo profondo con la sua dottrina.

L'esperienza ci insegna che, affinché l'unione sessuale possa rispondere veramente alle esigenze della finalità, che le è propria dell'umana dignità, l'amore deve trovare la sua salvaguardia nella stabilità del matrimonio. Queste esigenze richiedono un contratto matrimoniale sancito e garantito dalla società, tale da instaurare uno stato di vita di capitale importanza, sia per l'unione esclusiva dell'uomo e della donna, sia anche per il bene della loro famiglia e della comunità umana. Il più delle volte, infatti, accade che le relazioni prematrimoniali escludono la prospettiva della prole. Ciò che viene presentato come un amore coniugale non potrà, come dovrebbe essere, espandersi in un amore paterno e materno; oppure, se questo avviene, risulterà a detrimento della prole, che sarà privata dell'ambiente stabile, nel quale dovrebbe svilupparsi per poter in esso trovare la via e i mezzi per il suo inserimento nell'insieme della società.

Il consenso che si scambiano le persone, che vogliono unirsi in matrimonio, deve, perciò, essere esternamente manifestato e in modo che lo renda valido dinanzi alla società. Quanto ai fedeli, è secondo le leggi della chiesa che essi devono esprimere il loro consenso all'instaurazione di una comunità di vita coniugale, consenso che farà del loro matrimonio un sacramento di Cristo.

Relazioni omosessuali

8. Ai nostri giorni, contro l’insegnamento costante del magistero e il senso morale del popolo cristiano, alcuni, fondandosi su osservazioni di ordine psicologico, hanno cominciato a giudicare con indulgenza, anzi a scusare del tutto, le relazioni omosessuali presso certi soggetti. Essi distinguono - e sembra non senza motivo - tra gli omosessuali la cui tendenza, derivando da falsa educazione, da mancanza di evoluzione sessuale normale, da abitudine contratta, da cattivi esempi o da altre cause analoghe, è transitoria o, almeno, non incurabile, e gli omosessuali che sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata incurabile.

Ora, per ciò che riguarda i soggetti di questa seconda categoria, alcuni concludono che la loro tendenza è a tal punto naturale da dover ritenere che essa giustifichi, in loro, relazioni omosessuali in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio, in quanto essi si sentono incapaci di sopportare una vita solitaria.

Certo, nell'azione pastorale, questi omosessuali devono essere accolti con comprensione e sostenuti nella speranza di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale. La loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una giustificazione morale. Secondo l'ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio.(14) Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione.

Masturbazione

9. Spesso, oggi, si mette in dubbio o si nega espressamente la dottrina tradizionale cattolica, secondo la quale la masturbazione costituisce un grave disordine morale. La psicologia e la sociologia, si dice, dimostrano che, soprattutto tra gli adolescenti, essa è un fenomeno normale dell'evoluzione della sessualità. Non ci sarebbe colpa reale e grave, se non nella misura in cui il soggetto cedesse deliberatamente ad un'auto soddisfazione chiusa in se stessa («ipsazione»), perché in tal caso l'atto sarebbe radicalmente contrario a quella comunione amorosa tra persone di diverso sesso, che secondo certuni sarebbe quel che principalmente si cerca nell'uso della facoltà sessuale.

Questa opinione è contraria alla dottrina e alla pratica pastorale della chiesa cattolica. Quale che sia il valore di certi argomenti d'ordine biologico o filosofico, di cui talvolta si sono serviti i teologi, di fatto sia il magistero della chiesa - nella linea di una tradizione costante -, sia il senso morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato.(15) La ragione principale è che, qualunque ne sia il motivo, l'uso deliberato della facoltà sessuale, al di fuori dei rapporti coniugali normali, contraddice essenzialmente la sua finalità. A tale uso manca, infatti, la relazione sessuale richiesta dall'ordine morale, quella che realizza, «in un contesto di vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana».(16) Soltanto a questa relazione regolare dev'essere riservato ogni esercizio deliberato sulla sessualità. Anche se non si può stabilire con certezza che la Scrittura riprova questo peccato con una distinta denominazione, la tradizione della chiesa ha giustamente inteso che esso veniva condannato nel nuovo testamento, quando questo parla di «impurità», di «impudicizia», o di altri vizi, contrari alla castità e alla continenza.

Le inchieste sociologiche possono indicare la frequenza questo disordine secondo i luoghi, la popolazione o le circostanze prese in considerazione; si rilevano così dei fatti. Ma i fatti non costituiscono un criterio che permette di giudicare del valore morale degli atti umani.(17) La frequenza del fenomeno in questione è, certo, da mettere in rapporto con l'innata debolezza dell'uomo in conseguenza del peccato originale, ma anche con la perdita del senso di Dio, la depravazione dei costumi, generata dalla commercializzazione del vizio, la sfrenata licenza di tanti spettacoli e di pubblicazioni, come anche con l'oblio del pudore, custode della castità.

La psicologia moderna offre, in materia di masturbazione, parecchi dati validi e utili, per formulare un giudizio più equo sulla responsabilità morale e per orientare l'azione pastorale. Essa aiuta a vedere come l'immaturità dell'adolescenza, che può talvolta prolungarsi oltre questa età, lo squilibrio psichico, o l'abitudine contratta possano influire sul comportamento, attenuando il carattere deliberato dell'atto, e far sì che, soggettivamente, non ci sia sempre colpa grave. Tuttavia, in generale, l'assenza di grave responsabilità non deve essere presunta; ciò significherebbe misconoscere la capacità morale delle persone.

Nel ministero pastorale, per formarsi un giudizio adeguato nei casi concreti, sarà preso in considerazione, nella sua totalità, il comportamento abituale delle persone, non soltanto per ciò che riguarda la pratica della carità e della giustizia, ma anche circa la preoccupazione di osservare il precetto particolare della castità. Si vedrà, specialmente, se si fa ricorso ai mezzi necessari, naturali e soprannaturali, che l'ascesi cristiana, nella sua esperienza di sempre, raccomanda per dominare le passioni e far progredire la virtù.

Opzione fondamentale

10. Il rispetto della legge morale, nel campo della sessualità, come anche la pratica della castità, sono compromessi non poco soprattutto presso i cristiani meno ferventi, dall'attuale tendenza a ridurre all'estremo - quando addirittura non è negata - la realtà del peccato grave, almeno nell'esistenza concreta degli uomini.

Certuni arrivano fino ad affermare che il peccato mortale, che separa l'uomo da Dio, si verificherebbe soltanto nel rifiuto diretto e formale, col quale ci si oppone all'appello di Dio, o nell'egoismo che, completamente e deliberatamente, esclude l'amore del prossimo. E allora soltanto, dicono, che ci sarebbe l'«opzione fondamentale», cioè la decisione che impegna totalmente la persona e che sarebbe richiesta per costituire un peccato mortale; per mezzo di essa l'uomo, dall'intimo della sua personalità, assumerebbe o ratificherebbe un atteggiamento fondamentale nei riguardi di Dio e degli uomini. Al contrario, le azioni chiamate «periferiche» (che - si dice - non implicano, in generale, una scelta decisiva) non arriverebbero a modificare l'opzione fondamentale, tanto più che esse procedono spesso - si osserva - dall'abitudine. Esse possono, dunque, indebolire l'opzione fondamentale, ma non modificarla del tutto. Ora, secondo questi autori, un mutamento dell'opzione fondamentale verso Dio avviene più difficilmente nel campo dell'attività sessuale, dove, in generale, l'uomo non trasgredisce l'ordine morale in maniera pienamente deliberata e responsabile, ma piuttosto sotto l'influenza della sua passione, della sua fragilità o immaturità e, talvolta, anche dell'illusione di testimoniare così il suo amore per il prossimo; al che spesso si aggiunge la pressione dell'ambiente sociale.

In realtà è, sì, l'opzione fondamentale che definisce, in ultima analisi, la disposizione morale dell'uomo; ma essa può essere radicalmente modificata da atti particolari, specialmente se questi sono preparati - come spesso accade - da atti anteriori più superficiali. In ogni caso, non è vero che uno solo di questi atti particolari non possa esser sufficiente perché si commetta peccato mortale.

Secondo la dottrina della chiesa, il peccato mortale che si oppone a Dio non consiste soltanto nel rifiuto formale e diretto del comandamento della carità; esso è ugualmente in questa opposizione all'autentico amore, inclusa in ogni trasgressione deliberata, in materia grave, di ciascuna delle leggi morali.

Cristo stesso ha indicato il duplice comandamento dell'amore quale fondamento della vita morale; ma da questo comandamento «dipende tutta la legge e i profeti» (Mt 22,40): esso dunque comprende gli altri precetti particolari. Di fatto, al giovane che gli domandava: «Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». Gesù rispose: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti:... non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso» (Mt 19,16-19).

L'uomo pecca, dunque, mortalmente non soltanto quando il suo atto procede dal disprezzo diretto di Dio e del prossimo, ma anche quando coscientemente e liberamente, per un qualsiasi motivo, egli compie una scelta il cui oggetto è gravemente disordinato. In questa scelta, infatti, come è stato detto sopra, è già incluso il disprezzo del comandamento divino: l'uomo si allontana da Dio e perde la carità. Ora, secondo la tradizione cristiana e la dottrina della chiesa, e come riconosce anche la retta ragione, l'ordine morale della sessualità comporta per la vita umana valori così alti, che ogni violazione diretta di quest'ordine è oggettivamente grave.(18)

È vero che nelle colpe di ordine sessuale, visto il loro genere e le loro cause, avviene più facilmente che non sia pienamente dato un libero consenso, e questo suggerisce di esser prudenti e cauti nel dare un giudizio circa la responsabilità del soggetto. Qui, in particolare, è il caso di richiamare le parole della Scrittura: «L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore» (1 Sam 16,7). Tuttavia, raccomandare una tale prudenza di giudizio circa la gravità soggettiva di un atto peccaminoso particolare non significa affatto che si debba ritenere che, nel campo sessuale, non si commettano peccati mortali.

I pastori devono, dunque, dar prova di pazienza e di bontà; ma non è loro permesso né di rendere vani i comandamenti di Dio, né di ridurre oltre misura la responsabilità delle persone. «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l'esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare, Egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone».(19)

La virtù della castità

11. Come è stato detto sopra, la prescnte dichiarazione intende attirare, nelle presenti circostanze, l'attenzione dei fedeli su certi errori e comportamenti dai quali si devono guardare. La virtù della castità non si limita, però, ad evitare le colpe indicate; essa implica, altresì, esigenze positive e più alte. E una virtù che dà una impronta a tutta la personalità, nel suo comportamento sia interiore che esteriore.

Essa deve distinguere le persone, nei loro differenti stati di vita: le une, nella verginità o nel celibato consacrato, un modo eminente di dedicarsi più facilmente a Dio solo, con cuore indiviso;(20) le altre, nella maniera, quale è determinata per tutti dalla legge morale e secondo che siano sposate o celibi. Tuttavia, in ogni stato di vita, la castità non si riduce a un atteggiamento esteriore: essa deve rendere puro il cuore dell'uomo, secondo la parola di Cristo: «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27-28).

La castità è compresa in quella continenza che Paolo annovera tra i doni dello Spirito santo, mentre condanna la lussuria come un vizio particolarmente indegno del cristiano e che esclude dal regno dei cieli (cf. Gal 5,19-23; 1 Cor 6,9-11). «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello... Dio non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito» (1 Ts 4,3-8; cf. Col 3,5-7; 1 Tm 1,10). «Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi... Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolatri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5,3-8; cf. 4,18-19).

L'apostolo, inoltre, precisa la ragione propriamente cristiana di praticare la castità, quando condanna il peccato di fornicazione non soltanto nella misura in cui quest'azione fa torto al prossimo o all'ordine sociale, ma perché il fornicatore offende Cristo, che lo ha riscattato con il suo sangue e di cui egli è membro, e lo Spirito santo, di cui egli è tempio: «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?... Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all'impudicizia, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo» (1 Cor 6,15.18-19).

Quanto più i fedeli comprenderanno il valore della castità e la sua necessaria funzione nella loro vita di uomini e di donne, quanto più avvertiranno, per una sorta d'istinto spirituale, ciò che questa virtù esige e suggerisce, tanto meglio essi sapranno anche accettare e compiere, docili all'insegnamento della chiesa, ciò che la retta coscienza detterà loro nei casi concreti.

12. L'apostolo san Paolo descrive in termini drammatici il doloroso conflitto, nell'interno dell'uomo schiavo del peccato, tra la «legge della sua mente» e la «legge della carne nelle sue membra», che lo tiene prigioniero (cf. Rm 7,23). Ma l'uomo può ottenere d'esser liberato dal suo «corpo di morte» mediante la grazia di Gesù Cristo (cf. Rm 7,24-25). Di questa grazia godono gli uomini che essa stessa ha reso giusti, coloro che la legge dello Spirito, che dà la vita in Cristo, ha liberato dalla legge del peccato e dalla morte (Rm 8,2). Perciò, l'apostolo li scongiura: «Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri» (Rm 6,12).

Questa liberazione, pur rendendo idonei a servire Dio in novità di vita, non sopprime la concupiscenza che proviene del peccato originale, né gli incitamenti al male di un «mondo che giace sotto il potere del maligno» (1 Gv 5,19). Perciò l'Apostolo incoraggia i fedeli a superare le tentazioni con la forza di Dio (cf.1 Cor 10,13) «e a resistere alle insidie del diavolo» (Ef 6,11) mediante la fede, la preghiera vigilante (cf. Ef 6,16.18) e una austerità di vita che riduce il corpo a servizio dello Spirito (cf. 1 Cor 9,27).

Vivere la vita cristiana sulle orme di Cristo richiede che ciascuno «rinneghi se stesso e prenda la sua croce ogni giorno» (Lc 9,23), se sorretto dalla speranza della ricompensa: «Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo» (2 Tm 2,11-12).

Nella linea di questi insistenti inviti, i fedeli anche nel nostro tempo, anzi oggi più che mai, devono adottare i mezzi, che sono stati sempre raccomandati dalla chiesa per vivere una vita casta: la disciplina dei sensi e dello spirito, la vigilanza e la prudenza nell'evitare le occasioni di peccato, la custodia del pudore, la moderazione nei divertimenti, le sane occupazioni, il frequente ricorso alla preghiera e ai sacramenti della penitenza e dell'eucaristia. I giovani, soprattutto, devono preoccuparsi sviluppare la loro pietà verso l'immacolata Madre di Dio e proporsi, come esempio da imitare, la vita dei santi e degli altri fedeli, specialmente dei giovani, che si sono distinti nella pratica della castità.

Occorre, in particolare, che tutti abbiano un'alta idea della virtù della castità, della sua bellezza e del suo rifulgente splendore. Essa onora l'essere umano e lo rende capace di un amore vero, disinteressato, generoso e rispettoso degli altri.

13. È compito dei vescovi insegnare ai fedeli la dottrina morale concernente la sessualità, quali che siano le difficoltà che l'adempimento di questo compito incontra di fronte alle idee e ai costumi oggi diffusi. Questa dottrina tradizionale sarà approfondita, espressa in maniera adatta a illuminare le coscienze dinanzi alle nuove situazioni che si sono create, e arricchita con discernimento da ciò che può esser detto di vero e di utile circa il significato e il valore della sessualità umana. Mai principi e le norme di vita morale, che sono stati confermati nella presente dichiarazione, devono essere fedelmente ritenuti e insegnati. Si tratta, in particolare, di far capire ai fedeli che la chiesa non li mantiene come inveterati «tabù», né in forza di qualche pregiudizio manicheo, come spesso si pretende, ma perché sa con certezza che essi corrispondono all'ordine divino della creazione e allo spirito di Cristo e, dunque, anche alla dignità umana.

Missione dei vescovi è, altresì, quella di vigilare perché nelle facoltà di teologia e nei seminari sia esposta la sana dottrina alla luce e sotto la guida del magistero della chiesa. Essi devono, parimenti, avere cura che i confessori illuminino le coscienze e che l'insegnamento catechistico sia impartito in perfetta fedeltà alla dottrina cattolica.

Ai vescovi, ai sacerdoti e ai loro collaboratori spetta di mettere in guardia i fedeli contro le opinioni erronee, spesso proposte nei libri, nelle riviste e in pubblici convegni.

I genitori per primi, come anche gli educatori della gioventù, si sforzeranno di condurre, mediante un'educazione integrale, i loro figli e i loro allievi alla maturità psicologica, affettiva e morale quale conviene alla loro età. Essi daranno loro, a questo scopo, un'informazione prudente e adatta alla loro volontà ai costumi cristiani non soltanto con i consigli, ma soprattutto con l'esempio della loro propria vita, con l'aiuto di Dio ottenuto mediante la preghiera. Sapranno anche proteggerli dai tanti pericoli che i giovani neppure sospettano.

Gli artisti, gli scrittori e tutti coloro i quali dispongono degli strumenti di comunicazione sociale, devono esercitare la loro professione in accordo con la loro fede cristiana, coscienti della enorme influenza che essi possono esercitare. Essi devono ricordare che «il primato dell'ordine morale oggettivo deve essere rispettato assolutamente da tutti»,(21) e che non è lecito preferirgli un preteso fine estetico, un vantaggio materiale o il successo. Si tratti di creazione artistica o letteraria, di spettacoli o di informazioni, ciascuno, nel proprio campo, darà prova di tatto, di discrezione, di moderazione e di un giusto senso dei valori. In tal modo, lungi dall'aumentare la crescente licenza dei costumi, essi contribuiranno a frenarla, e a risanare anche il clima morale della società.

Da parte loro, tutti i fedeli laici, in virtù del loro diritto e del loro dovere d'apostolato, si faranno premura di agire nello stesso senso.

È conveniente, infine, ricordare a tutti queste parole del concilio Vaticano II: «Il sacro concilio dichiara che i fanciulli e i giovani hanno il diritto di essere stimolati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia a conoscere e ad amare Dio più perfettamente; perciò chiede con insistenza a quanti governano i popoli o presiedono all'educazione, di preoccuparsi perché mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto».(22)

Il sommo pontefice Paolo VI, nell'udienza accordata al sottoscritto prefetto della congregazione per la dottrina della fede il 7 novembre 1975, ha ratificato e confermato questa dichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale, ordinandone la pubblicazione.

Roma, palazzo della Congregazione per la dottrina delle fede, 29 dicembre 1975.

Franjo card. ŠEPER,
prefetto

Jérôme HAMER o.p.,
arciv. tit. di Lorium,
segretario



NOTE

(1) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE Dichiarazione Persona Humana circa alcune questioni di etica sessuale, 29 dicembre 1975: AAS

68(1976) (testo originale latino); EV 5/1717-1745 (testo bilingue).

(2) Cf. Gaudium et spes, 47: nn. 9-10; EV 1/1469.

3 Cf. Cost. ap. Regimini ecclesiae universae. 15.8.1967, n. 29: EV 2/1569.

(4) Cf. Gaudium et spes, 16: EV 1/1369.

(5) Dignitatis humanae, 3: EV 1/1047.

(6) Dignitatis humanae, 14: EV 1/1080; cf. Pio XI, Enc. Casti connubii, 31.12.1930: AAS 22(1930), 579-580; EE 5/552s; Pio XII, Allocuzione 2.11.1954: AAS 46(1954), 671-672; GIOVANNI XXIII, Enc. Mater et magistra, 15.5.1961: AAS 53(1961 ), 457; EE 7/457; Paolo VI, Enc. Humanae vitae, 25.7.1968, n. 4: n. 40-42; EV 3/591.

(7) Cf. Gravissimum educationis, 1 e 8: EV 1/822.839; Gaudium et spes, 29, 60, 67: EV 1/1410.1519.1547.

(8) Cf. Gaudium et spes, 51: n. 23; EV 1/1483.

(9) Cf. Gaudium et spes, 51: n. 23; EV 1/1483; cf. anche n. 49: n. 15-16; EV 1/1475s.

(10) Cf. Gaudium et spes, 49 e 50: nn. 15-20; EV 1/1475-1480.

(11) La presente Dichiarazione non comprende tutte le norme morali sulla vita sessuale nel matrimonio, essendo queste egregiamente esposte nelle lettere encicliche Casti connubii e Humanae vitae.

(12) Il rapporto sessuale extramatrimoniale viene espressamente condannato in 1 Cor 5,1-6.9; 7,2; 10,8; Ef 5,5-7; 1 Tm 1,10; Eb 13,4; e con argomentazioni chiare: 1 Cor 6,12-20.

(13) Cf. INNOCENZO IV, Ep. Sub catholicae professione, 6.3.1254: Denz 835; Pio II, Proposizioni condannate nella lettera Cum sicut accepimus, 14.11.1459: Denz 1367; Sant'Offizio, Decreti del 24.9.1665 e 2.3.1679: Denz 2045 e 2148; Pio XI. Enc. Casti connubii, 31.12.1930: 22(1930), 558-559; EE 5/497-499.

(14) Rm 1,24-27: «Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in sé stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento». Cf. anche quello che Paolo dice a proposito degli uomini sodomiti e pervertiti in 1 Cor 6,10 e 1 Tm 1,10.

(15) Cf. LEONE IX, Ep. Ad splendidum nitentis, a. 1054: Denz 687-688; Sant’Offizio, Decreto del 2.3.1679: Denz 2149; Pio XII, Allocuzioni dell'8 ottobre 1953 e del 19 maggio 1956: AAS 45(1953), 677s e 58(1956), 472s.

(16) Gaudium et spes, 51: n. 23; EV 1/1483.

(17) «Se le inchieste sociologiche ci sono utili per meglio conoscere la mentalità dell'ambiente, le preoccupazioni e le necessità di coloro ai quali annunciamo la parola di Dio, come pure le resistenze che le oppone l'umana ragione nell'età moderna, con l'idea largamente diffusa che non esisterebbe, fuori della scienza, alcuna forma legittima di sapere, le conclusioni di tali inchieste non potrebbero costituire di per se stesse un criterio determinante di verità» (Paolo VI, Esort. apost. Quinque iam anni, 8.12.1970: EV 3/2883 ).

(18) Cf, sopra le note 13 e 15: Sant' Offizio, Decreto del 18 marzo 1666: Denz 2060; PAOLO VI, Enc. Humanae vitae, nn. 13 e 14: nn. 65-69; EV 3/599s.

(19) PAOLO VI, Enc. Humanae vitae, n. 29: nn. 95; EV 3/615.

(20) Cf. 1 Cor 7,7.34; Conc. Di Trento, sess. 24, can. 10: Denz 1810; CONC. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 42, 43, 44: EV 1/397-407; Sinodo dei Vescovi 1971, Il sacerdozio ministeriale, parte II, 4 b: EV 4/1211.

(21) Conc. Vaticano II. Decreto Inter mirifica, 6: EV 1/254.

(22) Conc. Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis, 1: EV 1/824.
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il pensiero politico secondo i Padri della Chiesa

Moralità civile e vita sociale


Pubblichiamo uno stralcio di una delle relazioni del seminario in corso a Milano al centro per la Dottrina sociale della Chiesa dell'Università Cattolica del Sacro Cuore sul tema "Alle radici della libertà. L'affermarsi dei diritti della persona in Occidente dalle origini al XVI secolo".

di Maurizio Ormas
Pontificia Università Lateranense

I Padri della Chiesa ripropongono in molti punti, arricchendole, le stesse concezioni politiche di Cicerone, di Seneca e dei giuristi. Ciò che fa la differenza, però, è costituito dal fatto che la società cristiana rende sperimentabili, non astratte o opzionali, le conseguenze di tali concezioni. Lungo un arco di tempo di circa sei secoli, da Clemente Romano (i secolo), a Isidoro di Siviglia (inizio vii secolo), i Padri hanno dato vita a un sistema omogeneo di pensiero, che consente di ordinare la materia per temi fondamentali.

La teoria ciceroniana del diritto naturale, riletta alla luce del pensiero di Paolo (Romani, 2, 12-14), rappresenta uno dei punti in cui la concezione cristiana coincise, in genere, con quella del mondo occidentale. Per i Padri la legge naturale (la legge mosaica) doveva informare di sé lo Stato, e il loro pensiero è così sintetizzato da Luigi Sturzo:  "Il decalogo per la vita sociale, il Vangelo per la vita spirituale; il decalogo per lo Stato, il Vangelo per la Chiesa".
 
Quanto all'uguaglianza, i Vangeli la affermano come essenziale alla natura umana. Per san Paolo gli schiavi sono chiamati, come i liberi, a una vita spirituale e morale e a conoscere e amare Dio.
 Lo schiavo dev'essere trattato con giustizia dal suo padrone, dal momento che non è meno caro a Dio di lui.

Questa idea riproposta dai Padri emerge, per esempio, nell'Ottavio di Minucio Felice, ove si dice che tutti gli uomini, senza distinzione, sono in grado per natura, non per fortuna, di ragionare, di sentire e di acquisire la saggezza.

I successivi Padri della Chiesa, approfondendo tale dottrina, elaborano una teoria che spiega l'istituto della schiavitù come convenzionale. Colui che riassume più efficacemente questa posizione pare essere l'Ambrosiaster, che espone quattro principi relativi alla natura umana:  Dio ha creato gli uomini liberi; la libertà perdura anche nello schiavo, la cui condizione dipende dalla fortuna avversa ma non va oltre la corporeità perché la sua anima rimane libera; la schiavitù è conseguenza del peccato dell'uomo, la vera schiavitù è infatti quella dell'anima e i veri schiavi sono gli stolti; i padroni devono trattare i loro schiavi con giustizia e indulgenza. Considerazioni analoghe fanno anche Salviano, Agostino e Isidoro di Siviglia.

Queste affermazioni sono altresì corroborate dalla convinzione che i cristiani sono una sola cosa in Cristo, per cui, dice Ambrogio, la schiavitù non toglie nulla alla dignità dell'individuo. Quanto alle donne, egli ricorda agli uomini che la loro dignità risale alle origini:  "Tu non sei il suo padrone, ma suo marito; lei non ti è stata data per essere la tua schiava, ma per essere tua moglie (...) Restituiscile le sue attenzioni e sii grato per l'amore che prova per te" (Hexameron, v, 7).

Dopo il iv secolo, le dichiarazioni dei Padri contro la schiavitù divennero sempre più esplicite. Se i Padri del secondo secolo avevano insistito sulla libertà, quelli del quarto insisteranno sull'uguaglianza. Di conseguenza, una trasformazione fondamentale si stava verificando nella politica:  si affacciava sulla scena una forza esterna allo Stato che voleva definire i limiti della sua autorità. In effetti, quando Cristo disse:  "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio", diede al potere civile limitazioni che esso non aveva mai conosciuto e che costituivano il ripudio dell'assolutismo e l'inaugurazione della libertà. Tale divenne il compito e l'interesse perpetuo dell'istituzione più energica e dell'associazione più universale del mondo:  la Chiesa.

Sembra chiaro, allora, che la filosofia politica dei Padri si basa sulla distinzione fra lo stato naturale o primitivo, con la sua legge e le sue istituzioni naturali, e lo stato storico, con le sue istituzioni convenzionali adattate alle nuove caratteristiche e circostanze della natura e della vita umana. Schiavitù, governo, proprietà, nello stato di natura non esistono:  essi vengono identificati dai Padri con la condizione dell'uomo dopo il peccato.
Tuttavia, "l'uguaglianza della natura umana domina ancora ogni ordine giusto, con il quale tutte le istituzioni devono in un certo senso accordarsi".

I Padri giudicano lo Stato, infatti, sia un rimedio contro il peccato, sia una punizione per il peccato stesso, ma "di norma lo considerano uno strumento per assicurare e mantenere la giustizia, e ritengono che il principale dovere del sovrano sia proprio quello di rendere felice il suo popolo assicurandogli la giustizia".

Era questo il senso dell'affermazione paolina circa il carattere divino dell'autorità dello Stato (Romani, 13, 1-3):  esso ha il compito di punire i malvagi e ricompensare i buoni. Così nel secondo secolo Ireneo minaccia il giudizio e la punizione divina ai governanti ingiusti e Clemente Alessandrino definisce il sovrano come colui che governa mediante la legge. Per Ambrogio, giustizia e beneficenza costituiscono la ragion d'essere dello Stato, ma la giustizia è superiore.

In una lettera a Teodosio, egli afferma che i buoni governanti amano la libertà, i cattivi la schiavitù, mostrando di apprezzare particolarmente il valore della libertà nella vita dello Stato; altrove dice che l'imperatore è tenuto a osservare le leggi che egli stesso ha promulgato e non è superiore a esse.

La giustizia e la pace definitive appartengono solo alla Città Celeste, sostiene Agostino nel De civitate Dei, di essa non si dà compiuta attuazione nella storia non è quindi possibile identificare il Regno di Dio con alcuna forma storica di convivenza umana. Questo non significa rassegnazione al male, ma impegno, da parte di ciascuno, a realizzare il massimo di giustizia e di pace possibile in un determinato momento storico.

Pace e giustizia sono continuamente insidiate, dal momento che l'ordine non è dato una volta per tutte ma è rimesso continuamente in discussione dai singoli esseri umani con i loro vizi e virtù. Solo il rigore morale dei cittadini può migliorare la vita sociale; la crisi degli stati dipende da un processo interno di disgregazione, "perché le leggi, che sono espressione di ciò che i consociati amano, si svuotano di contenuto e non esprimono più i desideri e i sentimenti dei cittadini" (De civitate Dei, xiv, 10). Senza un ordine giuridico non è possibile conseguire quel bene comune che è al fondamento della civitas.



(©L'Osservatore Romano - 7 marzo 2010)

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Tommaso d'Aquino e la libertà fondata sulla verità

Maestro concreto e passionale


di Inos Biffi

Chi frequenti le opere di Tommaso d'Aquino - morto il 7 marzo 1274 presso il monastero cistercense di Fossanova - resta sorpreso vedendo convivere in lui l'acutezza speculativa e l'attenzione all'esperienza, la rigorosa sottigliezza logica e la penetrante lettura della fenomenologia. Se la sua capacità astrattiva e riflessiva nell'ambito del pensiero è altissima, non meno lucida e fine appare la sua sagacia nel campo dell'azione, che specialmente risalta nella meravigliosa Pars secunda della Summa Theologiae
.

E sia nella scienza speculativa sia nella scienza pratica Tommaso procede con un linguaggio preciso e insieme trasparente e semplice, dove gli importa "il significato dell'espressione" (significatio nominis), ma soprattutto si rivela interessato alla "realtà significata" (res significata), convinto com'è che "la realtà" (res) eccede sempre il "nome" (vox) e ne rappresenta l'inesauribile risorsa. Egli sa che in ogni porzione del sapere l'"enunciazione" (l'enuntiabile) non traduce mai adeguatamente l'"enunciato".

Tommaso non si compiace degli intrecci linguistici, che finiscono nell'aridità e talora nella stravaganza; e neppure trova gusto nell'esuberanza del linguaggio appariscente delle immagini a cascata:  egli non è né Scoto né Bonaventura. Da qui il tono pacato, preciso e denso della sua scrittura, appunto interamente tesa a far trasparire la "sostanza" della cosa.


L'Angelico non si propone di meravigliare, ma di dire la realtà, cioè la verità:  disinteressatamente. Il che non vuol dire senza passione. L'indole di Tommaso è passionale e, quando occorra, sa essere sferzante. Si pensi al De unitate intellectus che termina con queste parole:  "Se qualcuno, vantandosi di conoscenze pseudo-scientifiche, intende dire qualcosa contro ciò che abbiamo scritto, non parli nei crocicchi o di fronte a dei ragazzi, che non sono in grado di giudicare cose così difficili, ma scriva contro questo opuscolo, se ne ha il coraggio", e troverà gente capace di ribattere e di "colmare le lacune della sua ignoranza".

Del resto, possiamo ricordare i limiti e le imperfezione della "scrittura" di Tommaso, stesa in stato di normale assillo, quasi di impazienza, come ha ben messo in luce Pierre-Marie Gils.
In ogni caso, il clima diffuso che si respira nelle opere dell'Angelico è quello della libertà fondata sulla verità. Egli appare totalmente allergico sia al conformismo sia all'eccesso; solo che il suo "equilibrio" nasce proprio dalla sua preoccupazione di essere vero, la quale fonda e spiega la sua audacia.

Egli scrive tranquillamente che, per esaltare Dio, non si devono umiliare e misconoscere le creature; anzi:  "Sminuire la perfezione delle creature significherebbe sminuire la perfezione delle prerogative di Dio" (detrahere perfectioni creaturarum est detrahere perfectioni divinae virtutis); "Sottrarre le azioni proprie alle cose, significherebbe sottrarre qualche cosa alla bontà di Dio" (Detrahere ergo actiones proprias rebus, est divinae bonitati derogare (Summa contra Gentiles, ii, 69).
 
È la vittoria radicale sul manicheismo, che aveva lasciato qualche sua pericolosa traccia nella tradizione cristiana; ed è un atteggiamento appartenente al "talento istintivo", o "caratteriale" del Dottor Comune:  il rilievo è del geniale Chesterton, nel suo San Tommaso d'Aquino, che Étienne Gilson considerava "senza possibilità di paragone il miglior libro mai scritto su san Tommaso".

Ho accennato alla diligente attenzione che questi aveva per la scienza sperimentale o per la fenomenologia, riscontrabile, in particolare, nella Pars secunda della Summa Theologiae.

Qui la materia è offerta dall'agire umano, dai suoi principi, dalle "passioni", dalle virtù, teologali e cardinali, destinate a rifrangersi e a ramificare in una molteplicità di temi. Si può allora percorrere specialmente la Pars secunda secundae della stessa Summa, e ritrovare le considerazioni tomistiche per esempio sull'amicizia e l'ironia, la presunzione e la vana gloria, l'ambizione e la pusillanimità, la studiosità e la curiosità, dove ricorre tutta una sapienza pratica filosofica illustrata e ritratta dal profilo cristiano e dove l'etica di Aristotele rivive e si rinnova:  sarà "verso la fine dell'epoca medievale" che "l'aristotelismo finì per irrancidire" (Chesterton).

Questa parte offre tutto un programma di formazione spirituale umana e cristiana di alta qualità:  uno splendido trattato e tracciato di educazione. Bisogna solo aver il coraggio di percorrerlo, anche se il cammino è molto arduo. La forma e disposizione scolastica delle questioni e degli articoli non è di immediato accesso; la lingua stessa può essere un'obiezione non lieve. È però possibile oltrepassare questa osticità, con l'ascolto paziente dei testi, lo scioglimento dell'apparato tecnico scolastico. E allora si raggiunge - rimanendone attratti - la vena che scorre in fondo all'espressione.
Vorrei cogliere un esempio di questo amore di san Tommaso per la verità, di questa sua audacia e senso della misura, là dove tratta della correzione di un "prelato", di un superiore, da parte di un suddito (Summa Theologiae, ii-ii, 33, 4).

Dalla Scrittura e da alcune "autorità" patristiche, sembrerebbe, osserva l'Angelico, che "i prelati non debbano essere corretti dai loro sudditi" (Praelati non sunt corrigendi a subditis). Ma c'è, al riguardo, un'affermazione di sant'Agostino, secondo il quale bisogna aver misericordia anche dei superiori, e "la correzione fraterna è un atto di misericordia" (correctio fraterna est opus misericordiae). L'Angelico risponde:  "La correzione fraterna, proprio perché è un atto di carità, è un dovere che riguarda tutti nei confronti di qualsiasi persona verso la quale siamo tenuti ad avere la carità, qualora troviamo in essa qualche cosa da correggere" (correctio fraterna, quae est actus caritatis, pertinet ad unumquemque respectu cuiuslibet personae ad quam caritatem debet habere, si in eo aliquid corrigibile invenitur).

In altre parole:  la correzione fraterna non ammette eccezioni.

D'altra parte, perché un atto sia virtuoso bisogna tener conto delle circostanze. Perciò "nelle correzioni che i sudditi fanno ai loro superiori si deve rispettare il debito modo:  essa cioè non va fatta con insolenza, né con durezza, ma con mansuetudine e con rispetto. E infatti l'Apostolo (1 Timoteo, 5, 1) ammonisce:  "Non essere aspro nel riprendere un anziano, ma esortalo come se fosse tuo padre"".

Tommaso si chiede anche se sia lecito un rimprovero pubblico, e non esita a rispondere:  "Quando ci fosse un pericolo per la fede, i sudditi sarebbero tenuti a rimproverare i loro prelati anche pubblicamente" e, citando Agostino (Glossa ordinaria su Galati, 2, 14), prosegue:  "Pietro stesso diede l'esempio ai superiori di non sdegnare di essere corretti dai sudditi, quando capitasse loro di allontanarsi dalla giusta via".

Né questo significherebbe presunzione:  "Presumere di essere in modo assoluto migliore del proprio prelato è un atto di presuntuosa superbia, ma stimarsi migliore in qualcosa non è presunzione, poiché nessuno in questa vita è senza qualche difetto. E si deve anche notare che, quando un suddito ammonisce con carità il suo prelato, non per questo si stima superiore a lui, ma offre solo un aiuto a colui che, stando a S. Agostino (Epistola, 211), "quanto più si trova in alto, tanto più è in grave pericolo"".

Più avanti, realisticamente, aggiungerà:  "Quando perciò si giudica probabile che il peccatore non accetterà l'ammonizione, ma farà peggio, si deve desistere dal correggerlo".
Esattamente questo senso della misura, che coincide con la forza della verità, conferisce a Tommaso la libertà del pensiero e della parola, e fa di lui un maestro non invadente, ma esigente.


(©L'Osservatore Romano - 7 marzo 2010)
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CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA

Istruzione
della Congregazione per l'Educazione Cattolica
circa i criteri di discernimento vocazionale
riguardo alle persone con tendenze omosessuali
in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri

Introduzione

In continuità con l'insegnamento del Concilio Vaticano II e, in particolare, col decreto Optatam totius [1] sulla formazione sacerdotale, la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha pubblicato diversi documenti per promuovere un'adeguata formazione integrale dei futuri sacerdoti, offrendo orientamenti e norme precise circa suoi diversi aspetti[2]. Nel frattempo anche il Sinodo dei Vescovi del 1990 ha riflettuto sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali, con l’intento di portare a compimento la dottrina conciliare su questo argomento e di renderla più esplicita ed incisiva nel mondo contemporaneo. In seguito a questo Sinodo, Giovanni Paolo II pubblicò l'Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis [3].

Alla luce di questo ricco insegnamento, la presente Istruzione non intende soffermarsi su tutte le questioni di ordine affettivo o sessuale che richiedono un attento discernimento durante l'intero periodo della formazione. Essa contiene norme circa una questione particolare, resa più urgente dalla situazione attuale, e cioè quella dell’ammissione o meno al Seminario e agli Ordini sacri dei candidati che hanno tendenze omosessuali profondamente radicate.

1. Maturità affettiva e paternità spirituale

Secondo la costante Tradizione della Chiesa, riceve validamente la sacra Ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile[4]. Per mezzo del sacramento dell’Ordine, lo Spirito Santo configura il candidato, ad un titolo nuovo e specifico, a Gesù Cristo: il sacerdote, infatti, rappresenta sacramentalmente Cristo, Capo, Pastore e Sposo della Chiesa[5]. A causa di questa configurazione a Cristo, tutta la vita del ministro sacro deve essere animata dal dono di tutta la sua persona alla Chiesa e da un'autentica carità pastorale[6].

Il candidato al ministero ordinato, pertanto, deve raggiungere la maturità affettiva. Tale maturità lo renderà capace di porsi in una corretta relazione con uomini e donne, sviluppando in lui un vero senso della paternità spirituale nei confronti della comunità ecclesiale che gli sarà affidata[7].

2. L’omosessualità e il ministero ordinato

Dal Concilio Vaticano II ad oggi, diversi documenti del Magistero – e specialmente il Catechismo della Chiesa Cattolica – hanno confermato l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Il Catechismo distingue fra gli atti omosessuali e le tendenze omosessuali.

Riguardo agli atti, insegna che, nella Sacra Scrittura, essi vengono presentati come peccati gravi. La Tradizione li ha costantemente considerati come intrinsecamente immorali e contrari alla legge naturale. Essi, di conseguenza, non possono essere approvati in nessun caso.

Per quanto concerne le tendenze omosessuali profondamente radicate, che si riscontrano in un certo numero di uomini e donne, sono anch'esse oggettivamente disordinate e sovente costituiscono, anche per loro, una prova. Tali persone devono essere accolte con rispetto e delicatezza; a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Esse sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare[8].

Alla luce di tale insegnamento, questo Dicastero, d'intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione[9], non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay[10].

Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall'Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate.

Qualora, invece, si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo l'espressione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un'adolescenza non ancora compiuta, esse devono comunque essere chiaramente superate almeno tre anni prima dell'Ordinazione diaconale.

3. Il discernimento dell'idoneità dei candidati da parte della Chiesa

Due sono gli aspetti indissociabili in ogni vocazione sacerdotale: il dono gratuito di Dio e la libertà responsabile dell’uomo. La vocazione è un dono della grazia divina, ricevuto tramite la Chiesa, nella Chiesa e per il servizio della Chiesa. Rispondendo alla chiamata di Dio, l’uomo si offre liberamente a Lui nell’amore[11]. Il solo desiderio di diventare sacerdote non è sufficiente e non esiste un diritto a ricevere la sacra Ordinazione. Compete alla Chiesa – nella sua responsabilità di definire i requisiti necessari per la ricezione dei Sacramenti istituiti da Cristo - discernere l'idoneità di colui che desidera entrare nel Seminario[12], accompagnarlo durante gli anni della formazione e chiamarlo agli Ordini sacri, se sia giudicato in possesso delle qualità richieste[13].

La formazione del futuro sacerdote deve articolare, in una complementarità essenziale, le quattro dimensioni della formazione: umana, spirituale, intellettuale e pastorale[14]. In questo contesto, bisogna rilevare la particolare importanza della formazione umana, fondamento necessario di tutta la formazione[15]. Per ammettere un candidato all’Ordinazione diaconale, la Chiesa deve verificare, tra l'altro, che sia stata raggiunta la maturità affettiva del candidato al sacerdozio[16].

La chiamata agli Ordini è responsabilità personale del Vescovo[17] o del Superiore Maggiore. Tenendo presente il parere di coloro ai quali hanno affidato la responsabilità della formazione, il Vescovo o il Superiore Maggiore, prima di ammettere all'Ordinazione il candidato, devono pervenire ad un giudizio moralmente certo sulle sue qualità. Nel caso di un dubbio serio al riguardo, non devono ammetterlo all’Ordinazione[18].

Il discernimento della vocazione e della maturità del candidato è anche un grave compito del rettore e degli altri formatori del Seminario. Prima di ogni Ordinazione, il rettore deve esprimere un suo giudizio sulle qualità del candidato richieste dalla Chiesa[19].

Nel discernimento dell'idoneità all’Ordinazione, spetta al direttore spirituale un compito importante. Pur essendo vincolato dal segreto, egli rappresenta la Chiesa nel foro interno. Nei colloqui con il candidato, il direttore spirituale deve segnatamente ricordare le esigenze della Chiesa circa la castità sacerdotale e la maturità affettiva specifica del sacerdote, nonché aiutarlo a discernere se abbia le qualità necessarie[20]. Egli ha l'obbligo di valutare tutte le qualità della personalità ed accertarsi che il candidato non presenti disturbi sessuali incompatibili col sacerdozio. Se un candidato pratica l'omosessualità o presenta tendenze omosessuali profondamente radicate, il suo direttore spirituale, così come il suo confessore, hanno il dovere di dissuaderlo, in coscienza, dal procedere verso l’Ordinazione.

Rimane inteso che il candidato stesso è il primo responsabile della propria formazione[21]. Egli deve offrirsi con fiducia al discernimento della Chiesa, del Vescovo che chiama agli Ordini, del rettore del Seminario, del direttore spirituale e degli altri educatori del Seminario ai quali il Vescovo o il Superiore Maggiore hanno affidato il compito di formare i futuri sacerdoti. Sarebbe gravemente disonesto che un candidato occultasse la propria omosessualità per accedere, nonostante tutto, all’Ordinazione. Un atteggiamento così inautentico non corrisponde allo spirito di verità, di lealtà e di disponibilità che deve caratterizzare la personalità di colui che ritiene di essere chiamato a servire Cristo e la sua Chiesa nel ministero sacerdotale.

Conclusione

Questa Congregazione ribadisce la necessità che i Vescovi, i Superiori Maggiori e tutti i responsabili interessati compiano un attento discernimento circa l'idoneità dei candidati agli Ordini sacri, dall’ammissione nel Seminario fino all’Ordinazione. Questo discernimento deve essere fatto alla luce di una concezione del sacerdozio ministeriale in concordanza con l’insegnamento della Chiesa.

I Vescovi, le Conferenze Episcopali e i Superiori Maggiori vigilino perché le norme di questa Istruzione siano osservate fedelmente per il bene dei candidati stessi e per garantire sempre alla Chiesa dei sacerdoti idonei, veri pastori secondo il cuore di Cristo.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, in data 31 agosto 2005, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, il 4 novembre 2005, Memoria di S. Carlo Borromeo, Patrono dei Seminari.

Zenon Card. Grocholewski
Prefetto

+ J. Michael Miller, c.s.b.
Arciv. tit. di Vertara

Segretario



[1] Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius (28 ottobre 1965): AAS 58 (1966), 713-727.

[2] Cfr. Congregazione per l’Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (6 gennaio 1970; edizione nuova, 19 marzo 1985); L’insegnamento della filosofia nei Seminari (20 gennaio 1972); Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11 aprile 1974); Insegnamento del Diritto Canonico per gli aspiranti al sacerdozio (2 aprile 1975); La formazione teologica dei futuri sacerdoti (22 febbraio 1976); Epistula circularis de formatione vocationum adultarum (14 luglio 1976); Istruzione sulla formazione liturgica nei Seminari (3 giugno 1979); Lettera circolare su alcuni aspetti più urgenti della formazione spirituale nei Seminari (6 gennaio 1980); Orientamenti educativi sull’amore umano – Lineamenti di educazione sessuale (1 novembre 1983); La Pastorale della mobilità umana nella formazione dei futuri sacerdoti (25 gennaio 1986); Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale (19 marzo 1986); Lettera circolare riguardante gli studi sulle Chiese Orientali (6 gennaio 1987); La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale (25 marzo 1988); Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale (30 dicembre 1988); Istruzione sullo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale (10 novembre 1989); Direttive sulla preparazione degli educatori nei Seminari (4 novembre 1993); Direttive sulla formazione dei seminaristi circa i problemi relativi al matrimonio ed alla famiglia (19 marzo 1995); Istruzione alle Conferenze Episcopali circa l'ammissione in Seminario dei candidati provenienti da altri Seminari o Famiglie religiose (9 ottobre 1986 e 8 marzo 1996); Il periodo propedeutico (1 maggio 1998); Lettere circolari circa le norme canoniche relative alle irregolarità e agli impedimenti sia ad Ordines recipiendos, sia ad Ordines exercendos (27 luglio 1992 e 2 febbraio 1999).

[3] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992): AAS 84 (1992), 657-864.

[4] Cfr. C.I.C., can. 1024 e C.C.E.O., can. 754; Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis sull'Ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini (22 maggio 1994): AAS 86 (1994), 545-548.

[5] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum ordinis (7 dicembre 1965), n. 2: AAS 58 (1966), 991-993; Pastores dabo vobis, n. 16: AAS 84 (1992), 681-682.

Riguardo alla configurazione a Cristo, Sposo della Chiesa, la Pastores dabo vobis afferma: “Il sacerdote è chiamato ad essere immagine viva di Gesù Cristo Sposo della Chiesa […]. È chiamato, pertanto, nella sua vita spirituale a rivivere l’amore di Cristo Sposo nei riguardi della Chiesa Sposa. La sua vita dev’essere illuminata e orientata anche da questo tratto sponsale, che gli chiede di essere testimone dell’amore sponsale di Cristo” (n. 22): AAS 84 (1992), 691.

[6] Cfr. Presbyterorum ordinis, n. 14: AAS 58 (1966), 1013-1014; Pastores dabo vobis, n. 23: AAS 84 (1992), 691-694.

[7] Cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio Dives Ecclesiae per il ministero e la vita dei presbiteri (31 marzo 1994), n. 58.

[8] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica (edizione tipica, 1997), nn. 2357-2358.

Cfr. anche i diversi documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede: Dichiarazione Persona humana su alcune questioni di etica sessuale (29 dicembre 1975); Lettera Homosexualitatis problema a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali (1 ottobre 1986); Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali (23 luglio 1992); Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (3 giugno 2003).

Riguardo all’inclinazione omosessuale, la Lettera Homosexualitatis problema afferma: “La particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé un peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata” (n. 3).

[9] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica (edizione tipica, 1997), n. 2358; cfr. anche C.I.C., can. 208 e C.C.E.O., can. 11.

[10] Cfr. Congregazione per l’Educazione Cattolica, A memorandum to Bishops seeking advice in matters concerning homosexuality and candidates for admission to Seminary (9 luglio 1985); Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Lettera (16 maggio 2002): Notitiae 38 (2002), 586.

[11] Cfr. Pastores dabo vobis, nn. 35-36: AAS 84 (1992), 714-718.

[12] Cfr. C.I.C., can. 241, § 1: “Il Vescovo diocesano ammetta al seminario maggiore soltanto coloro che, sulla base delle loro doti umane e morali, spirituali e intellettuali, della loro salute fisica e psichica e della loro retta intenzione, sono ritenuti idonei a consacrarsi per sempre ai ministeri sacri” e C.C.E.O., can. 342, § 1.

[13] Cfr. Optatam totius, n. 6: AAS 58 (1966), 717. Cfr. anche C.I.C., can. 1029: “Siano promossi agli ordini soltanto quelli che, per prudente giudizio del Vescovo proprio o del Superiore maggiore competente, tenuto conto di tutte le circostanze, hanno fede integra, sono mossi da retta intenzione, posseggono la scienza debita, godono buona stima, sono di integri costumi e di provate virtù e sono dotati di tutte quelle altre qualità fisiche e psichiche congruenti con l’ordine che deve essere ricevuto” e C.C.E.O., can. 758.

Non chiamare agli Ordini colui che non ha le qualità richieste non è una ingiusta discriminazione: cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali.

[14] Cfr. Pastores dabo vobis, nn. 43-59: AAS 84 (1992), 731-762.

[15] Cfr. ibid., n. 43: “Il presbitero, chiamato ad essere immagine viva di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa, deve cercare di riflettere in sé, nella misura del possibile, quella perfezione umana che risplende nel Figlio di Dio fatto uomo e che traspare con singolare efficacia nei suoi atteggiamenti verso gli altri”: AAS 84 (1992), 732.

[16] Cfr. ibid., nn. 44 e 50: AAS 84 (1992), 733-736 e 746-748. Cfr. anche: Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Carta circular Entre las más delicadas a los Exc.mos y Rev.mos Señores Obispos diocesanos y demás Ordinarios canónicamente facultados para llamar a las Sagradas Ordenes, sobre Los escrutinios acerca de la idoneidad de los candidatos (10 novembre 1997): Notitiae 33 (1997), 495-506, particolarmente l’Allegato V.

[17] Cfr. Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il Ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum Successores (22 febbraio 2004), n. 88.

[18] Cfr. C.I.C., can. 1052, § 3: “Se […] il Vescovo per precise ragioni dubita che il candidato sia idoneo a ricevere gli ordini, non lo promuova”. Cfr. anche C.C.E.O., can. 770.

[19] Cfr. C.I.C., can. 1051: “Per quanto riguarda lo scrutinio circa le qualità richieste nell’ordinando […] vi sia l’attestato del rettore del seminario o della casa di formazione, sulle qualità per ricevere l’ordine, vale a dire la sua retta dottrina, la pietà genuina, i buoni costumi, l’attitudine ad esercitare il ministero; ed inoltre, dopo una diligente indagine, un documento sul suo stato di salute sia fisica sia psichica”.

[20] Cfr. Pastores dabo vobis, nn. 50 e 66: AAS 84 (1992), 746-748 e 772-774. Cfr. anche Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, n. 48.

[21] Cfr. Pastores dabo vobis, n. 69: AAS 84 (1992), 778.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il cardinale Bergoglio e il "matrimonio" omosessuale

Una mossa contro il disegno di Dio


Buenos Aires, 8. "Se il disegno di legge, che prevede per le persone dello stesso sesso la possibilità di unirsi civilmente e di adottare anche bambini, dovesse essere approvato potrà danneggiare seriamente la famiglia" Lo ha scritto in una lettera indirizzata alle suore carmelitane del Paese, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires e primate d'Argentina.
 
"Scrivo queste poche righe - si legge nella missiva del porporato - a ciascuna di voi che siete nei quattro monasteri di Buenos Aires. Il popolo argentino dovrà affrontare nelle prossime settimane una situazione il cui esito può seriamente ferire la famiglia. Si tratta del disegno di legge che permetterà il matrimonio a persone dello stesso sesso. È in gioco - ha proseguito il cardinale Bergoglio - l'identità e la sopravvivenza della famiglia:  padre, madre e figli. È in gioco la vita di molti bambini che saranno discriminati in anticipo e privati della loro crescita umana che Dio ha voluto dare con un padre e con una madre. È in gioco il rifiuto totale della legge di Dio, incisa anche nei nostri cuori. Non dobbiamo essere ingenui:  questa non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di Dio. Non è solo un disegno di legge (un mero strumento) - ha sottolineato l'arcivescovo di Buenos Aires - ma una "mossa" del padre della menzogna che pretende di confondere e di ingannare i figli di Dio".

Il cardinale, inoltre, ha osservato che "oggi il Paese, in questa situazione particolare, ha bisogno dell'assistenza speciale dello Spirito Santo per portare la luce della verità tra le tenebre dell'errore, ha bisogno di questo avvocato per difenderci dall'incantamento di tanti sofismi con i quali si cerca a tutti i costi di giustificare questo disegno di legge e di confondere e di ingannare le persone di buona volontà".

Il porporato ha spiegato perché è ricorso alle religiose carmelitane "per chiedere loro preghiere e sacrificio, le due armi invincibili di santa Teresita. Invochino il Signore affinché mandi il suo Spirito sui senatori che saranno impegnati a votare. Che non lo facciano mossi dall'errore o da situazioni contingenti, ma secondo ciò che la legge naturale e la legge di Dio indica loro:  preghino - rivolgendosi alle suore carmelitane - per loro e per le loro famiglie che il Signore li visiti, li rafforzi e li consoli. Preghino affinché i senatori facciano il bene della loro Patria".

"Il disegno di legge - ha concluso il cardinale Bergoglio - sarà discusso in Senato dopo il 13 luglio. Guardiamo a san Giuseppe, a Maria e al Bambino Gesù e chiediamo loro con fervore di difendere la famiglia in Argentina in questo particolare momento. Ricordiamo ciò che Dio stesso disse al suo popolo in un momento di grande angoscia:  "Questa guerra non è vostra, ma di Dio":  che ci difendano, quindi, in questa guerra di Dio".

Intanto, mercoledì scorso, il Comitato del Senato argentino ha approvato un progetto di legge sulle unioni civili conferendo gli stessi benefici di cui già gode il matrimonio, ma vietando l'adozione e la fecondazione assistita. In tutto il Paese si stanno moltiplicando le iniziative contro un progetto, quello sul "matrimonio omosessuale" che in molti, non solo cattolici, considerano appunto una grave minaccia alla famiglia naturale.



(©L'Osservatore Romano - 9 luglio 2010)


CLICCATE QUI PER TROVARE TESTIMONIANZE DI EX-OMOSESSUALI CHE CE L'HANNO FATTA .... USCIRE DALL'OMOSESSUALITA' SI PUO'


[Modificato da Caterina63 06/06/2011 21:27]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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31/05/2011 09:53
 
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Mons. Crociata al convegno «Cattolici a confronto» presso la Camera dei Deputati. Il nostro padrone è uno solo (O.R.)

Il segretario generale della Conferenza episcopale italiana al convegno «Cattolici a confronto» presso la Camera dei Deputati

Il nostro padrone è uno solo

Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento pronunciato questa mattina, lunedì 30 maggio, dal vescovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana, in occasione del convegno «Cattolici a confronto. Incontro con parlamentari cattolici di diversi schieramenti politici», che si è tenuto presso la Camera dei deputati italiana, nella Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto a Roma.

di Mariano Crociata

Il credente vive sotto la chiamata di Dio e assume le sue scelte e decisioni in risposta a tale chiamata. Non ci sono aspetti dell'esistenza e della storia esterni alla relazione con Dio, e se ve ne fossero o qualcuno ne restasse fuori, vorrebbe dire la fragilità o l'inconsistenza, e quindi la non verità, della fede di chi dice di credere. Il compito decisivo e assolutamente prioritario di ogni credente è allora coltivare la propria fede e curare la sua espressione e coerenza in tutti gli ambiti dell'esistenza, primi fra tutti quelli in cui si esplica la dimensione vocazionale della sua identità personale. Tale impegno trova espressione nell'ascolto della Parola, nella preghiera, nella vita sacramentale, e poi nello sforzo di tradurre negli ambiti della vita sociale le esigenze della vocazione cristiana con coerenza di giudizio, di atteggiamenti, di scelte e di comportamenti. Perciò è un errore interpretare la tensione vitale tra fede e scelte con le categorie di privato e pubblico, come se la fede non incidesse su tutti i tipi di scelta o lo facesse solo su alcuni di essi.

La dottrina sociale della Chiesa oggi costituisce un punto di riferimento imprescindibile nel giudizio sulla realtà sociale e nella prassi che vi si riferisce, sia sul piano personale che su quello pubblico e istituzionale
.

Per chi è impegnato in tali ambiti, la dottrina sociale costituisce una preziosa piattaforma di orientamenti e di criteri condivisi sulla base dell'unica fede e del giudizio credente via via maturato sulla realtà sociale sotto la guida del magistero. Anche la dottrina sociale si è avvalsa di un magistero puntuale che ha accompagnato gli sviluppi storico-sociali fino alla più recente enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate. La peculiarità della dottrina sociale della Chiesa corrisponde al carattere contingente di molteplici aspetti della realtà sociale, nella quale pure sono implicati aspetti intangibili della persona umana e della sua vita, la cui integrità rischia di essere irreversibilmente compromessa quando si tenda a manipolare la vita nel suo sorgere e nel suo declinare, a disconoscere e alterare la figura naturale di famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, a comprimere la libertà religiosa e la libertà di educazione; e rischia di essere gravemente ostacolata quando vengano garantite le esigenze fondamentali per una vita dignitosa mediante il lavoro, la casa, la tutela della salute.

Questo plesso di valori e di beni, che si ordinano secondo una interna gerarchia e si condensano nel concetto di bene comune, rappresenta una piattaforma suscettibile di essere condivisa da tutti sulla base della ragione e del retto giudizio; ancor di più essa deve costituire la base di un comune sentire e agire da parte dei credenti, in particolare dei cattolici impegnati in politica e nelle pubbliche istituzioni.
Ciò non toglie lo spazio per una differenziazione delle sensibilità e per una ponderata considerazione del carattere contingente delle situazioni e delle conoscenze nello spazio della vita sociale e politica. Ma dovrebbe trattarsi di differenziazioni che fanno spazio ad un pluralismo legittimo all'interno di un quadro che ci è consegnato da una comunità ecclesiale di cui siamo parte. Di un diverso ordine e su un altro piano si colloca la scelta che porta un cattolico a impegnarsi in politica nell'uno o nell'altro schieramento. Su questo vanno tenuti fermi alcuni punti chiave.

Il primo riguarda il carattere contingente della scelta politica di schieramento. Contingente vuol dire che nessuna scelta politica può tradurre compiutamente la visione cristiana e farlo in una forma sociale definita perfettamente corrispondente ad essa. Nella scelta politica entra in gioco il discernimento personale e di gruppo nell'esercizio concreto della responsabilità vocazionale in ambito socio-politico alle determinate condizioni di tempo e di luogo. Ma la comunità ecclesiale non ha il compito di assumere un impegno politico diretto o di dare indicazioni circa il progetto politico di volta in volta e di luogo in luogo da realizzare.
A questo riguardo, la stessa scelta di esprimere l'impegno dei cattolici in una qualche forma di unità politica o in una pluralità di formazioni partitiche o simili, ha un carattere discrezionale dettato da un prudente giudizio sulle circostanze storiche; come del resto risulta avvenuto, anche gettando solo uno sguardo sommario alla situazione di tanti Paesi negli ultimi decenni fino ad oggi. È certo che ci si aspetta che ogni scelta sia dettata da un discernimento che abbia una continuità e una coerenza con quella visione d'insieme che l'insegnamento sociale della Chiesa prepara e rende possibile.

Su queste premesse può prendere avvio una riflessione sul confronto da politici cattolici militanti in diversi schieramenti. Qui la sfida più grande è non farsi fagocitare dalle logiche conflittuali interpartitiche, ma far agire la logica del confronto costruttivo. La cosa più triste sarebbe vedere cattolici per i quali è maggiore la forza conflittuale dell'appartenenza partitica piuttosto che la capacità di dialogo che scaturisce dalla fondante comunione ecclesiale.

C'è bisogno di trovare forme e percorsi di trasformazione della politica.
Alla fine vorrei tornare a far mie le parole di Benedetto XVI, che vorrei lasciarvi come segno di stima e come augurio d'incoraggiamento fraterno. Il Papa, affidando «tutto il popolo italiano» alla protezione di Maria, Mater unitatis, chiedeva che il Signore «aiuti le forze politiche a vivere anche l'anniversario dell'Unità come occasione per rinsaldare il vincolo nazionale e superare ogni pregiudiziale contrapposizione: le diverse e legittime sensibilità, esperienze e prospettive possano ricomporsi in un quadro più ampio per cercare insieme ciò che veramente giova al bene del Paese».

Ma forse, in ultimo, bisognerebbe non dimenticare mai che la politica non è un assoluto, che la politica non è tutto e non tutto dipende da essa, già soltanto in un'ottica sociale e antropologica, ma soprattutto in una prospettiva escatologica, che ci fa confessare fin d'ora che il nostro padrone è uno solo, il Figlio di Dio e Signore Cristo Gesù.

(©L'Osservatore Romano 30-31 maggio 2011)


Fraternamente CaterinaLD

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Interessante riflessione di Padre Giovanni Scalese dal suo Blog Senzapelisullalingua


Parliamo un po’ di politica

Sono stato facile profeta, un mese fa, a prevedere come sarebbe andata a finire (qui). Che la decisione di Berlusconi di autorizzare i bombardamenti in Libia costituisse il suo suicidio politico, non ci voleva molto a capirlo. Oh, certo, ci saranno i soliti analisti politici che si preoccuperanno di assicurarvi che la fine di Berlusconi è dovuta soprattutto alle sue intemperanze morali. Io invece vi dico che agli italiani, di Ruby & C., non interessa un fico secco. Gli interessa invece della guerra in Libia. Interessa loro di Gheddafi? Ne dubito. Interessano loro le vittime civili, non solo quelle — messe in mostra dalla TV — di Gheddafi, ma anche quelle — occultate, ma innegabili — della NATO? Forse. Certamente però interessa loro che in un momento di gravissima crisi economica, in cui si chiede a tutti di fare sacrifici, si trovino poi i soldi per una guerra, di cui ancora qualcuno deve spiegarci il perché. Chi pagherà questa guerra? Già si stanno preparando nuove manovre finanziarie, per “mettere a posto i conti”. E chi ne pagherà il prezzo? Gli italiani, appunto, i quali, stufi di questa situazione, hanno voluto mandare un segnale a chi li governa.

Non so se il segnale sarà compreso. Basta vedere le reazioni ai risultati elettorali, per rendersi conto che nessuno a capito nulla. Che la sinistra canti vittoria, non può che suscitare il dubbio: ma ci fanno o ci sono? I “vincitori” di queste elezioni penseranno che gli italiani stiano chiedendo loro di riprendere al piú presto una politica di stampo zapateriano, senza accorgersi che in questi stessi giorni, in Spagna, quel tipo di politica è stata definitivamente liquidata. 

Che fare, allora? Ricompattarci tutti al centro, con Casini, Fini, Rutelli (e Montezemolo)? Se c’è qualcuno che esce sconfitto da queste elezioni, è proprio il “terzo polo”, che dimostra in tal modo la sua vera natura: una operazione di laboratorio, promossa dai poteri forti, come alternativa al berlusconismo; un’operazione che, come tutte quelle di carattere azionista che l’hanno preceduta, non potrà mai raccogliere il consenso popolare.

Ieri Andrea Tornielli ha riferito di un incontro del Segretario della CEI, Mons. Mariano Crociata, con i parlamentari cattolici dei diversi schieramenti. È da un po’ di tempo che si parla della necessità, in Italia, di “una nuova generazione di politici cattolici”. Un discorso ampiamente condivisibile, anche se, almeno per il momento, si fa fatica a vedere in che modo sia possibile attuarlo. La Chiesa possiede ancora le abilità educative (famiglia, parrocchia, scuola, università, associazioni, movimenti) necessarie per poter formare una nuova generazione di politici cattolici? Non credo che si possa accusare di disfattismo chi si permette di avanzare qualche dubbio in proposito. 

Personalmente penso che, nella situazione in cui ci troviamo, non ci si possa fare illusioni su una ricomposizione immediata, come oggi si dice, del “tessuto sociale” in senso cristiano. Dopo secoli di smantellamento della “cristianità” (ché di questo si tratta: la crisi che stiamo vivendo non è, come molti credono, il risultato delle scelte avventate degli ultimi decenni, ma la conseguenza di premesse che affondano le radici lontano nel tempo), non si può pretendere di ricostruirla in quattro e quattr’otto. Al punto in cui siamo arrivati, sono convinto che non si possa piú pensare di risolvere la situazione con interventi limitati, unicamente tesi a salvare il salvabile. La stessa esperienza postbellica della DC dovrebbe insegnare qualcosa (per non parlare delle piú recenti esperienze di presenza dei cattolici nei due poli contrapposti). Penso che non rimanga altro da fare che ricominciare tutto da capo, tornare all’epoca degli apostoli e riprendere ad annunciare il kerygma di Cristo morto e risorto. Nel frattempo tutto ciò che ci circonda sarà definitivamente crollato, e allora si potrà cominciare a ricostruire da zero.

In questi giorni mi è tornato in mente un intervento che feci piú di dieci anni fa, il 19 giugno 1998, quando ero ancora alla Querce, per la presentazione di un libro scritto da un nostro insegnante impegnato in politica: Breviario del buon governo del Prof. Franco Banchi. Mi permetto di riproporvelo, perché ho l’impressione che, nonostante il tempo trascorso, conservi tutta la sua attualità.


Un punto di riferimento essenziale

Spesso si ripete, a ragione, che la politica può essere — deve essere — per il cristiano, una forma di carità. Essa è certamente un servizio, e il servizio è una delle espressioni piú alte della carità. Ma non si dice mai che l’impegno politico per un cristiano è, innanzi tutto, una forma di apostolato. Di solito si dà a questa espressione un significato restrittivo, come se stesse a indicare esclusivamente l’annunzio del vangelo, un compito per altro solitamente demandato al clero.

Afferma il Concilio Vaticano II, nel suo decreto sull’apostolato dei laici: «La missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di permeare e di perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico» (Apostolicam actuositatem, n. 5). Dunque un’unica missione, che però si realizza in due direzioni: l’evangelizzazione e la “sacramentalizzazione” da una parte, l’animazione cristiana delle realtà terrene dall’altra. L’apostolato consiste nell’attività della Chiesa ordinata alla realizzazione di questa missione (cf ibidem, n. 2). La Chiesa esercita l’apostolato mediante tutti i suoi membri, sia chierici sia laici, anche se, in genere, ai primi è riservata preferibilmente la predicazione e l’amministrazione dei sacramenti, ai secondi l’animazione cristiana della società. Si tratta comunque pur sempre del medesimo apostolato, svolto in due ordini diversi, quello spirituale e quello temporale. A proposito di tali ordini, il Concilio aggiunge: «Questi ordini, sebbene siano distinti, nell’unico disegno di Dio sono cosí legati, che Dio stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo per formare una nuova creazione, in modo iniziale su questa terra, in modo perfetto nell’ultimo giorno» (ibidem, n. 5). Ne deriva il seguente corollario: «In ambedue gli ordini il laico, che è a un tempo fedele e cittadino, deve continuamente farsi guidare dalla sola coscienza cristiana (“una conscientia christiana continenter duci debet”)» (ibidem).

Dunque, due sono gli ordini, ma una sola è — deve essere — la coscienza: il cristiano deve essere guidato nel suo impegno temporale esclusivamente dalla coscienza cristiana. Bando perciò a tutte le dicotomie — vere e proprie schizofrenie! — che hanno segnato e, purtroppo, spesso continuano a segnare la presenza dei cattolici in politica. Talvolta si pensa che il cristiano abbia due coscienze: una, quella cristiana, a cui far riferimento nella propria vita personale, e un’altra, quella civile, necessariamente “laica”, a cui far riferimento nel proprio impegno nel mondo. Tale atteggiamento è assolutamente inaccettabile per un credente. Più volte, nei giorni scorsi, L’Osservatore romano ci ha riproposto l’esempio di re Baldovino, che preferí dimettersi — ed era disposto a rinunciare al trono — pur di non firmare una legge contraria alla sua coscienza cristiana.

Ma non corriamo, in tal modo, il pericolo di ricadere in una nuova forma di integralismo?


Per evitare l’integralismo

La riflessione della Chiesa negli ultimi anni ha portato a una nuova importante acquisizione, che, se osservata, impedirà di cadere nel pericolo, sempre incombente, dell’integralismo.

La nuova acquisizione consiste nel distinguere vari momenti nell’impegno cristiano, una specie di rifrazione, attraverso la quale, si scoprono, prima dell’impegno propriamente politico, una serie di momenti pre-politici, che non possono in alcun modo essere trascurati, se si vuole svolgere una corretta azione politica.

Innanzi tutto il momento spirituale: il momento della fede, della preghiera, del silenzio, dell’ascolto della parola di Dio, della formazione biblica, teologica e spirituale. È il punto di partenza, che non si può mai tralasciare: è il momento necessario per “abbeverarsi” alla fonte.

Quindi il momento culturale, il momento dell’inculturazione del vangelo, dell’incarnazione del messaggio nelle categorie proprie di una determinata cultura. A questo proposito, meraviglia come oggi si parli tanto di inculturazione con riferimento ai popoli del terzo mondo, e poi a casa nostra si esiga un cristianesimo “tutto spirituale”, purificato da qualsiasi incrostazione culturale. Per capire l’importanza della mediazione culturale, non è necessario ricorrere a Gramsci, con la sua “teoria dell’egemonia”, dal momento che i cristiani hanno sempre fatto ciò che poi Gramsci ha teorizzato: si pensi alla prima diffusione del vangelo o anche, piú vicino a noi, a ciò che avvenne nell’Italia postunitaria, mentre vigeva il Non expedit. Constatiamo con piacere che la Chiesa italiana si è messa su questa strada, con la decisione, presa al Convegno di Palermo, di procedere all’elaborazione di un nuovo “progetto culturale”.

In terzo luogo, il momento sociale, che consiste nell’animazione della società civile. Si pensi ai vari campi in cui è solitamente impegnato il volontariato: i giovani, i tossicodipendenti, gli handicappati, gli anziani, i lavoratori, i disoccupati, gli extracomunitari, gli emarginati in genere. Si pensi ancora alla difesa della vita e dell’ambiente. In questo vasto campo il punto di riferimento rimane la dottrina sociale della Chiesa, che durante quest’ultimo secolo ha allargato i suoi orizzonti dalla questione operaia a tutti i problemi della società odierna.

Infine il momento specificamente politico, che consiste nella presenza del cristiano nelle istituzioni (quartiere, comune, provincia, regione, Stato) e che può comportare anche l’assunzione di determinate responsabilità, ma che non può in alcun modo trasformarsi in pura e semplice “occupazione del potere”. L’autenticità di quest’ultimo momento dipende tutta dai momenti precedenti: solo chi è disposto a percorrere le tappe pre-politiche, sarà anche un buon politico cattolico.


Un errore da evitare

Occorre assolutamente evitare l’errore di pensare che l’unico problema sia da che parte stare, se a destra o a sinistra, o se non sia piuttosto necessario ricostituire un “grande centro”, in cui far confluire tutti i cattolici.

Il problema, in realtà, è molto più profondo. Attualmente noi ci troviamo di fronte non solo a una sinistra, ma anche a una destra e, ahimè, anche a un centro completamente secolarizzati. Allora il vero problema è quello di rievangelizzare la politica. Occorre ricominciare da capo, come duemila anni fa: il cristiano, ovunque schierato, è chiamato a “permeare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico”. Su questo piano, sul piano della fede e dei valori morali, tutti i cattolici sono — devono essere — uniti, al di là degli schieramenti. Devono essere non cattolici di destra, di sinistra o di centro, non “cattolici liberali” o “cattolici democratici”, “cattocomunisti” o “clericofascisti”, ma semplicemente cattolici — come ci ricordava giorni fa L’Osservatore romano (15-16 giugno 1998) — “cattolici senza aggettivi”.


Solo una postilla, a proposito del “progetto culturale”: son passati tredici anni, e il “progetto culturale” è rimasto, appunto, un grande progetto. Questo per dire che non bastano le belle idee, le grandi intuizioni, i programmi dai vasti orizzonti. Forse bisogna proprio ripartire dall’essenziale.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Congregazione per la Dottrina della Fede

DIRITTI SOCIALI DELLE PERSONE OMOSESSUALI
http://www.internetsv.info/Omosex4.html
 
 23 luglio 1992
 
(La numerazione progressiva a margine senza formattazione è riportata dalla serie degli EV)

P.S. nota del forum: i Documenti citati li trovate pubblicati in questa stessa sezione nei primi post.
 
Premessa
528

Recentemente, in diversi luoghi è stata proposta una legislazione che renderebbe illegale una discriminazione sulla base della tendenza sessuale. In alcune città le autorità municipali hanno reso accessibile un'edilizia pubblica, per altro riservata a famiglie, a coppie omosessuali (ed eterosessuali non sposate). Tali iniziative, anche laddove sembrano piú dirette a offrire un sostegno a diritti civili fondamentali che non indulgenza nei confronti dell'attività o di uno stile di vita omosessuale, possono di fatto avere un impatto negativo sulla famiglia e sulla società. Ad esempio, sono spesso implicati problemi come l'adozione di bambini, l'assunzione di insegnanti, la necessità di case da parte di autentiche famiglie, legittime preoccupazioni dei proprietari di case nel selezionare potenziali affittuari. Mentre sarebbe impossibile ipotizzare ogni possibile conseguenza di proposte legislative in questo settore, le seguenti osservazioni cercheranno di indicare alcuni principi e distinzioni di natura generale che dovrebbero essere presi in considerazione dal coscienzioso legislatore, elettore, o autorità ecclesiale che si trovi di fronte a tali problemi.
La prima sezione richiamerà passi significativi dalla Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali pubblicata nel 1986 dalla Congregazione per la dottrina della fede. La seconda sezione tratterà della loro applicazione.

I. Passi significativi della «Lettera» della Congregazione per la Dottrina della Fede
529

 1. La lettera ricorda che la «Dichiarazione su alcune questioni di etica sessuale» pubblicata nel 1975 dalla Congregazione per la dottrina della fede «teneva conto della distinzione comunemente operata fra condizione o tendenza omosessuale e atti omosessuali»; questi ultimi sono «intrinsecamente disordinati» e «non possono essere approvati in nessun caso» (n. 3; EV 10/906).

 2. Dal momento che «nella discussione che seguí la pubblicazione della (summenzionata) Dichiarazione, furono proposte delle interpretazioni eccessivamente benevole della condizione omosessuale stessa, tanto che qualcuno si spinse fino a definirla indifferente o addirittura buona», la Lettera prosegue precisando che la particolare inclinazione della persona omosessuale, «benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, piú o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l'inclinazione stessa dev'essere considerata come oggettivamente disordinata. Pertanto coloro che si trovano in questa condizione dovrebbero essere oggetto di una particolare sollecitudine pastorale perché non siano portati a credere che l'attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un'opzione moralmente accettabile» (n. 3; EV 10/907 s.).

3. «Come accade per ogni altro disordine morale, l'attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l'omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico» (n. 7; EV 10/918).

4. Con riferimento al movimento degli omosessuali, la Lettera afferma: «Una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione» (n. 9; EV 10/922).

 5. «È pertanto in atto in alcune nazioni un vero e proprio tentativo di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile. Il fine di tale azione è conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui l'omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona. Benché la pratica dell'omosessualità stia minacciando seriamente la vita e il benessere di un gran numero di persone, i fautori di questa tendenza non desistono dalla loro azione e rifiutano di prendere in considerazione le proporzioni del rischio, che vi è implicato» (n. 9; EV 10/923).

 6. «Essa (la Chiesa) è consapevole che l'opinione, secondo la quale l'attività omosessuale sarebbe equivalente, o almeno altrettanto accettabile, quanto l'espressione sessuale dell'amore coniugale, ha un'incidenza diretta sulla concezione che la società ha della natura e dei diritti della famiglia, e li mette seriamente in pericolo» (n. 9; EV 10/924).

7. «Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev'essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Tuttavia, la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all'affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata. Quando tale affermazione viene accolta e di conseguenza l'attività omosessuale è accettata come buona, oppure quando viene introdotta una legislazione civile per proteggere un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto, né la Chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche distorte guadagnano terreno e se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano» (n. 10; EV 10/925 s.).

8. «Dev'essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev'essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità» (n. 11; EV 10/928).

 9. «Nel valutare eventuali progetti legislativi, si dovrà porre in primo piano l'impegno a difendere e promuovere la vita della famiglia» (n. 17; EV 10/947).


II. Applicazioni
530

10. La «tendenza sessuale» non costituisce una qualità paragonabile alla razza, all'origine etnica, ecc. rispetto alla non-discriminazione. Diversamente da queste, la tendenza omosessuale è un disordine oggettivo (cf. Lettera, n. 3) e richiama una preoccupazione morale.

11. Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio, nella collocazione di bambini per adozione o affido, nell'assunzione di insegnanti o allenatori di atletica, e nel servizio militare.

 12. Le persone omosessuali, in quanto persone umane, hanno gli stessi diritti di tutte le altre persone incluso il diritto di non essere trattate in una maniera che offende la loro dignità personale (cf. n. 10). Fra gli altri diritti, tutte le persone hanno il diritto al lavoro, all'abitazione, ecc. Nondimeno questi diritti non sono assoluti. Essi possono essere legittimamente limitati a motivo di un comportamento esterno obiettivamente disordinato. Ciò è talvolta non solo lecito ma obbligatorio, e inoltre si imporrà non solo nel caso di comportamento colpevole ma anche nel caso di azioni di persone fisicamente o mentalmente malate. Cosí è accettato che lo stato possa restringere l'esercizio di diritti, per esempio, nel caso di persone contagiose o mentalmente malate, allo scopo di proteggere il bene comune.

13. Includere la «tendenza omosessuale» fra le considerazioni sulla base delle quali è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l'omosessualità quale fonte positiva di diritti umani, ad esempio, in riferimento alla cosiddetta «affirmative action» o trattamento preferenziale nelle pratiche di assunzione. Ciò è tanto piú deleterio dal momento che non vi è un diritto all'omosessualità (cf. n. 10) che pertanto non dovrebbe costituire la base per rivendicazioni giudiziali. Il passaggio dal riconoscimento dell'omosessualità come fattore in base al quale è illegale discriminare può portare facilmente, se non automaticamente, alla protezione legislativa e alla promozione dell'omosessualità. L'omosessualità di una persona sarebbe invocata in opposizione a un'asserita discriminazione e cosí l'esercizio dei diritti sarebbe difeso precisamente attraverso l'affermazione della condizione omosessuale invece che nei termini di una violazione di diritti umani fondamentali.

14. La «tendenza sessuale» di una persona non è paragonabile alla razza, al sesso, all'età, ecc. anche per un'altra ragione che merita attenzione, oltre quella sopramenzionata. La tendenza sessuale di un individuo non è in genere nota ad altri a meno che egli identifichi pubblicamente se stesso come avente questa tendenza o almeno qualche comportamento esterno lo manifesti. Di regola, la maggioranza delle persone a tendenza omosessuale che cercano di condurre una vita casta non rende pubblica la sua tendenza sessuale. Di conseguenza il problema della discriminazione in termini di impiego, alloggio, ecc. normalmente non si pone. Le persone omosessuali che dichiarano la loro omosessualità sono in genere proprio quelle che ritengono il comportamento o lo stile di vita omosessuale essere «indifferente o addirittura buono» (cf. n. 3), e quindi degno di approvazione pubblica. È all'interno di questo gruppo di persone che si possono trovare piú facilmente coloro che cercano di «manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile» (cf. n. 9), coloro che usano la tattica di affermare con toni di protesta che «qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali... è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione» (cf. n. 9). Inoltre, vi è il pericolo che una legislazione che faccia dell'omosessualità una base per avere dei diritti possa di fatto incoraggiare una persona con tendenza omosessuale a dichiarare la sua omosessualità o addirittura a cercare un partner allo scopo di sfruttare le disposizioni della legge.

15. Dal momento che nella valutazione di una proposta di legislazione la massima cura dovrebbe essere data alla responsabilità di difendere e di promuovere la vita della famiglia (cf. n. 17), grande attenzione dovrebbe essere prestata ai singoli provvedimenti degli interventi proposti. Come influenzeranno l'adozione o l'affido? Costituiranno una difesa degli atti omosessuali, pubblici o privati? conferiranno uno stato equivalente a quello di una famiglia a unioni omosessuali, per esempio, a riguardo dell'edilizia pubblica o dando al partner omosessuale vantaggi contrattuali che potrebbero includere elementi come partecipazione della «famiglia» nelle indennità di salute prestate a chi lavora (cf. n. 9)?

16. Infine, laddove una questione di bene comune è in gioco, non è opportuno che le autorità ecclesiali sostengano o rimangano neutrali davanti a una legislazione negativa anche se concede delle eccezioni alle organizzazioni e alle istituzioni della Chiesa. La Chiesa ha la responsabilità di promuovere la vita della famiglia e la moralità pubblica dell'intera società civile sulla base dei valori morali fondamentali, e non solo di proteggere se stessa dalle conseguenze di leggi perniciose (cf. n. 17).


EV Suppl.


N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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29/06/2011 19:08
 
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Giovanni Paolo II, Discorso ai membri dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani in occasione di un Convegno Nazionale di studio, del 16-12-1989, nn. 2-4, in L’Osservatore Romano, 17-12-1989. Titolo redazionale.
Cristianità, 178 (1990)

Famiglia, unioni di fatto e legge dello Stato

[...] la famiglia è, innanzitutto, una realtà terrena, un bene proprio della città degli uomini, un bene iscritto nella stessa creazione dell’uomo. Perciò la prima parola che la Chiesa ha da dire su di essa è che Iddio l’ha fondata creando l’uomo persona, essere sociale. [...]

Quando si oscura la dimensione profonda della persona umana e il suo senso trascendente, quando la persona non può ritrovare pienamente se stessa perché non sa fare dono sincero di sé (cf. Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem, n. 7; GS, n. 24), non fa meraviglia che appaiano forme succedanee di famiglia, le quali cercano di riempire il posto naturale che c’è nel cuore umano per quella che è costituita sulla base del dono sincero e vicendevole di sé.

3. Come cultori del diritto e come cattolici voi, illustri Signori, vi trovate oggi davanti a una sfida. Non potete restare in passiva contemplazione dei cambiamenti della società, limitandovi a prender atto degli adeguamenti delle leggi civili ai mutamenti del costume. Ciò significherebbe essere insensibili a quel bene delle persone che dà valore ad ogni rapporto di giustizia tra gli uomini. Occorre, invece, impegnarsi perché la società dei nostri giorni sappia darsi delle leggi che, pur tenendo conto delle diverse situazioni reali, garantiscano il bene delle persone singole e delle comunità umane, promuovendo e tutelando l’istituto naturale della famiglia fondata sul matrimonio.

Il bene "della comunità umana è strettamente legato alla sanità dell’istituzione familiare. Quando, nella sua legislazione, il potere civile disconosce il valore specifico che la famiglia rettamente costituita porta al bene della società; quando esso si comporta come spettatore indifferente di fronte ai valori etici della vita sessuale e di quella matrimoniale, allora, lungi dal promuovere il bene e la permanenza dei valori umani, favorisce con tale comportamento la dissoluzione dei costumi" (Giovanni Paolo II, Insegnamenti, Vol. IX/1, 1986, p. 1140).

Non si contribuirebbe, perciò, al bene personale e sociale ipotizzando leggi, che pretendessero di riconoscere come legittime, equiparandole alla famiglia naturale fondata sul matrimonio, unioni di fatto, che non comportano alcuna assunzione di responsabilità ed alcuna garanzia di stabilità, elementi essenziali dell’unione tra l’uomo e la donna, come fu intesa da Dio creatore e confermata da Cristo redentore. Una cosa è garantire i diritti delle persone ed un’altra indurre nell’equivoco di presentare il disordine come situazione in sé buona e retta.

4. L’ordinamento giuridico non può non riconoscere e sostenere la famiglia come luogo privilegiato per lo sviluppo personale dei suoi membri, specialmente dei più deboli. Oltrepassando impostazioni superate da questi ultimi decenni, occorre privilegiare e promuovere giuridicamente la famiglia come "il luogo nativo e lo strumento più efficace di umanizzazione e di personalizzazione della società" (Familiaris consortio, 43). Senza dare per scontato che ogni famiglia realizzi perfettamente questo bene sociale, occorre tuttavia non partire dalla diffidenza nei suoi confronti, ma piuttosto aiutarla con quei mezzi opportuni e quei sussidi, che integrano il suo compito formativo e assistenziale a servizio dei più deboli. Significativamente, alcune piaghe che hanno colpito specialmente i Paesi occidentali, come la disoccupazione, la droga, e persino l’AIDS, hanno portato a riscoprire la famiglia come la prima e principale alleata per diminuire l’incidenza negativa di quei fattori sulla società. Essa infatti "possiede e sprigiona ancora oggi energie formidabili capaci di strappare l’uomo all’anonimato, di mantenerlo cosciente della sua dignità personale, di arricchirlo di profonda umanità e di inserirlo attivamente con la sua unicità e irripetibilità nel tessuto della società" (Ibid.).

Si rivela, perciò, compito della massima importanza quello di trasmettere alle generazioni future i valori della dignità della persona e della stabilità del matrimonio e della famiglia mediante un corpo di leggi che li protegga e li promuova. Dare carta di cittadinanza legale a forme di convivenza diverse dalla famiglia legittima fondata sul matrimonio, oltre alla confusione sul piano dei principi, comporterebbe pedagogicamente e culturalmente un diretto contributo alla formazione di una mentalità e di un costume privi di riferimento ai valori basilari e fondanti della famiglia.

Giovanni Paolo II

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[SM=g1740733] un esempio DELLA RAGIONE al di là di ogni schieramento e di ogni fede....


La Strategia del linguaggio



di Adamo Creato*
*ex omosessuale

Il sorprendente seguito che i cosiddetti “diritti gay” registrano rappresenta il trionfo dell’inganno sulla semplice logica. Anche le persone intelligenti arrivano immancabilmente a conclusioni che fanno acqua da tutte le parti. I simpatizzanti dei “gay” non sono necessariamente più creduloni degli altri, sono semplicemente portati ad accettare delle conclusioni senza prima esaminarne le premesse. Chi decide il significato delle parole controlla il dibattito e, nel nostro caso, i termini sono stati definiti (e inventati) dai sofisti del movimento omosessualista. Il sofisma è l’arte greca di persuasione attraverso un falso e sottile ragionamento. La chiave per superare i sofismi, quindi, è quella di semplificare e chiarire ciò che è stato intenzionalmente reso complesso e vago. Bisogna iniziare a definire i termini e i concetti utilizzati negli argomenti del dibattito. Si scopre così che la maggior parte degli argomenti a sostegno dei “diritti dei gay” dipendono da falsi presupposti e da termini volutamente ambigui. In pratica “fumo negli occhi”. Tra i termini e i concetti più comunemente usati dagli omosessualisti troviamo, ad esempio, omosessualità, orientamento sessuale, eterosessismo, omofobia, tolleranza, ecc. Queste parole sono usate per forzare la questione dell’omosessualità nel contesto dei diritti civili. Un contesto, questo, scelto per favorire l’assimilazione dei “gay” a vittime e mettere i loro avversari nella posizione di oppressori.

Che cos’è l’omosessualità ad esempio? Qualcuno potrebbero essere tentato di saltare questa parte perché pensa di conoscere già questo termine commettendo il primo errore. Con la mancanza di chiarezza sui termini essenziali si cade immediatamente intrappolati da ipotesi errate. La definizione di omosessualità non è così evidente come si potrebbe pensare. Fino al 1986, l’omosessualità è stata universalmente definita come “condotta sessuale con persone dello stesso sesso“. Un omosessuale, quindi, era colui (o colei) che metteva in pratica tale condotta. Il movimento omosessualista si accontentava di questa definizione, secondo la quale il termine ”omosessualità” aveva senso solo in relazione al comportamento sessuale con lo stesso genere. Dopo il 1986, gli omosessualisti hanno cominciato a ridefinire l’omosessualità come una “condizione normale e immutabile equivalente all’eterosessualità“, uno “stato d’essere”, quindi, completamente indipendente dal comportamento.

I motivi di questo cambio di strategia da parte degli attivisti gay è presto detto: nel 1986 la Corte Suprema degli Stati Uniti, chiamata a pronunciarsi sul caso Bowers contro Hardwick, ha confermato il diritto degli Stati di considerare reato alcuni comportamenti sessuali. Il movimento “gay” aveva sostenuto che la sodomia omosessuale doveva essere considerata dalla Corte come un diritto fondamentale, riguardante la sfera privata, non diverso dai rapporti sessuali coniugali. La Corte respinse fermamente tale argomento e il diritto costituzionale degli Stati di regolare la condotta omosessuale rimase legge. Veniva così ostacolato l’obiettivo di legittimare il comportamento omosessuale considerandolo un diritto fondamentale. L’unico argomento rimasto, col quale si poteva pretendere una protezione costituzionale, era riuscire ad accedere allo “status di minoranza“. La Corte Suprema degli Stati Uniti, però, riconosce lo status di minoranza solo per quei gruppi che: 1) hanno subito una storia di discriminazione, 2) sono incapaci di difendere se stessi, 3) sono definiti da caratteristiche immutabili.

Ecco perché il movimento “gay” ha avuto assoluto bisogno di negare che l’omosessualità sia basata su un comportamento, insistendo sul fatto che è innata e immutabile. Non è più questione di scienza, ma si tratta di unastrategia giuridica e politica. Il problema è che non è possibile provarlo perchè non esiste un mezzo obiettivo per accertare se una persona è per sua natura omosessuale. Non si può fare un esame del sangue o test del DNA per dimostrare che “si è gay”. Dobbiamo dipendere unicamente dalla pretesa di una persona che dichiara che la sua omosessualità è innata. Chiaramente questo rende tale elemento di prova totalmente inaffidabile: auto-dichiararsi omosessuali non prova che la propria omosessualità è innata. Sulla questione della scelta, dobbiamo anche osservare che tutti i rapporti sessuali, eccetto lo stupro (ogni genere di violenza sessuale), sono atti volontari tra almeno due persone, e dunque, ogni atto sessuale implica una scelta consapevole. Oltre tutto, anche se l’inclinazione di una persona verso una forma di comportamento sessuale potrebbe, per varie ragioni, non essere consapevolmente scelta, la sola esistenza del desiderio non giustifica l’atto. Altrimenti bisognerebbe accettare come validi l’adulterio e la pedofilia. Esistono, infine, molti “gay” che ammettono liberamente che il loro stile di vita è una preferenza volontaria.

Paradossalmente, gli omosessualisti non vogliono neppure che sia trovata una causa biologica. Se la scienza dovesse identificare una causa biologica dell’omosessualità, quel giorno inizierebbe la “corsa alla cura” da parte di uomini e donne omosessuali anche se, in pubblico, continuerebbero a dichiarare il loro orgoglio gay. Dal momento che gli omosessualisti non possono dimostrare che gli omosessuali sono “nati così”, essa rimane solo un’ipotesi la quale non giustifica la modifica di politiche sociali abbondantemente collaudate. Non è la società che deve dimostrare che l’omosessualità non è innata, ma sono gli attivisti “gay” ad avere l’onere della prova. Al contrario, vi è abbondanza di prove che l’omosessualità non è innata: esiste un considerevole numero di testimonianze di migliaia di uomini e donne che una volta vivevano come “gay”. Questi “ex gay” hanno rinunciato al loro stile di vita precedente e molti sono tornati eterosessuali (in quanto ad auto-identificazione e nei desideri), mentre altri si sono fermati al raggiungimento della libertà da desideri omosessuali. La lotta del movimento omosessualista contro gli ex omosessuali (ovvero di dimostrare che essi in realtà non avevano una omosessualità innata oppure che mentono), è cruciale perchè essi si posizionano in prima linea per smentire l’immutabilità omosessuale. L’odio dimostrato nei confronti degli ex omosessuali è causato proprio dalla questione dell’immutabilità. Una persona che lascia l’omosessualità è la dimostrazione vivente che essa è mutabile.

L’unica definizione accettabile di omosessualità risulta essere quindi: condotta sessuale con lo stesso genere. Un “gay” è una persona che definisce se stessa come colei che mette in pratica (o ha il desiderio di mettere in pratica)tale condotta. I sostenitori della tesi “nato così” dovrebbero riconoscere che non possono dimostrare la verità della loro tesi, e che dal momento che non possono provarlo, devono ammettere la possibilità che l’omosessualità può essere acquisita, senza discriminare gli ex omosessuali.

FONTE: UCCR

(L’UCCR è un’associazione puramente virtuale, non ha sede, non ha statuto, non ha organico, non spaccia tessere e non batte cassa. Questo sito web viene inaugurato il 2 febbraio 2011: nasce come parodia della già divertentissima associazione UAAR (Unione degli Atei, degli Agnostici e infine -dicono- pure dei Razionalisti) e con il passare del tempo acquista una sua specifica mission. L’idea originale emerge da un gruppetto di universitari ai quali, in poco tempo, si uniscono altri amici conosciuti in rete. Non intende assolutamente rappresentare la voce della Chiesa, ma è da vedersi unicamente come uno dei tanti hobbies di alcuni giovani impegnati tra un esame universitario e l’altro. Senza voler rivelare troppo di noi, solo esclusivamente per non dare facile appoggio agli inevitabili e agguerriti detrattori, diciamo che non siamo né particolarmente progressisti né particolarmente conservatori e l’associazione non aderisce ad alcun movimento ecclesiale o alcun partito politico.)



Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/#ixzz1fYLFVNuA

[Modificato da Caterina63 04/12/2011 09:30]
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28/02/2012 11:04
 
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[SM=g1740733] Non per tornare sempre sugli stessi argomenti, ma per essere in tema con il problema denunciato dal Santo Padre sul cosiddetto "analfabetismo religioso" , quindi in pieno spirito di apologetica cattolica e di correzione fraterna....
Parliamo di Sacra Scrittura e della retta interpretazione che è fondata sul consenso unanime dei Padri. Come tutti sappiamo, queste sono verità assolute, immutabili, eterne e, sempre grazie alla retta interpretazione affidata alla Chiesa cattolica da Cristo, la Scrittura gode del dogma dell'inerranza e la relativa retta interpretazione, fornita dai Padri, ci indica prescrizioni che hanno valenza e validità sempiterna.

Nell'Antico Testamento Dio prescrive

"Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro" (Lv 20,13).

E la vicenda di Sodoma e Gomorra (Gen. 18,16 seg.) è conosciuta da tutto il mondo:

"… Condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra, riducendole in cenere, ponendo un esempio a quanti sarebbero vissuti empiamente. Liberò invece il giusto Lot, angustiato dal comportamento immorale di quegli scellerati. Quel giusto infatti, per ciò che vedeva e udiva mentre abitava in mezzo a loro, si tormentava ogni giorno nella sua anima giusta per tali ignominie …" (2 Pt. 2,6 seg.).

"… Così Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si sono abbandonate all'impudicizia allo stesso modo e sono andate dietro a vizi contro natura, stanno come esempio subendo le pene di un fuoco eterno … " (Gd. 7).

L'interpretazione unanime dei Padri è assolutamente collimante rispetto a quanto il Testo Sacro riporta letteralmente.

Nel Nuovo Testamento lo Spirito Santo è altrettanto chiaro...

[SM=g1740733] Innanzi tutto chiariamo: Gesù dice chiaramente “Non sono venuto ad abolire la Legge” (Mt 5, 17-19), quindi la condanna dell'atto, del peccato resta, la rivoluzione portata da Cristo non è la giustificazione del peccato, il condono, o la promozione del peccato stesso, ma è L'ELEVAZIONE DELLA DIGNITA' DELLA PERSONA UMANA PECCATRICE E PECCATORE...

Gesù non venne a cambiare la legge ma a aportarla a COMPIMENTO... Gesù rompe ogni schiavitù e la Legge diventa dono e regola di Salvezza, ma non già di terrore, NON pena di morte..., un esempio concreto è il quadro con la donna adultera che stava per essere lapidata: Gesù non abolisce la Legge, ma la supera facendo leva sulla dignità della vita umana, richiamando i suoi giudici alle coscienze e al perdono.... questi vengono chiamati a lanciare la loro pietra se si fossero ritenuti, in coscienza, senza peccato, ed alla donna dopo averle confermato il perdono l'ammonisce paternamente: "và e non peccare più!" [SM=g1740733] dunque, in un breve dialogo Gesù non mette da parte la legge o la dottrina, non la modifica, ma la vive, la umanizza e al tempo stesso la divinizza, la mette al confronto con le coscienze di tutti i presenti, lascia decidere a loro confermando che in quanto alla condanna del peccato avevano ragione, ma in quanto all'azione, al modo di condannare la pena di morte non era la soluzione..., alla donna fa vedere il volto misericordioso di Dio ma ribadisce anche il monito, il ricordo che ciò che aveva fatto era un peccato e dunque "va, e non peccare più".... l'adulterio resta dunque un peccato da condannare, un peccato verso il quale siamo invitati a NON cedere...
Così è per la sodomia, per ogni atto DISORDINATO-CONTRO NATURA... Gesù NON vuole la morte di chi la pratica, MA CHE SI CONVERTANO....E NON PECCHINO PIU'... [SM=g1740733]

Dice così il Nuovo Testamento:


"... Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento... E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa." (Rm 1, 26/32) - "...Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio" (1 Cor. 6,9/10).

"… La legge non è fatta per il giusto, ma per i non giusti e riottosi, per gli empi e di peccatori, per gli scellerati e i profani, per i parricidi e matricidi e omicidi, per i fornicatori, per i sodomiti, per i ladri d'uomini, i bugiardi, gli spergiuri …"(1 Tm. 1,9).

E' inutile che certi omosessualisti inventano che il loro rapporto non c'entra nulla con la sodomia.... non c'è bisogno di una laurea in medicina o teologia per comprendere che la sodomia è quel rapporto sessuale fra uomini.... e che non è peccato solo se si commete fra uomini, ma anche nelle coppie etero, sia ben chiaro! [SM=g1740730] è un atto contro natura... e nulla lo può giustificare, l'amore fra le persone non può giustificare MAI un atto disordinato...
L'interpretazione unanime dei Padri è assolutamente collimante rispetto a quanto il Testo Sacro riporta letteralmente.

La condanna dei Padri e dei Dottori della Chiesa

"I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono essere condannati e puniti ovunque e sempre. Quand'anche tutti gli uomini li commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio infatti non ha creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di se stessi. Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio ha creato, è la stessa unione che deve esistere fra Dio e noi a venir violata" (Sant'Agostino, Confessioni, c.III, p.8).

"Che lo zolfo evochi i fetori della carne, lo conferma la storia stessa della Sacra Scrittura, quando parla della pioggia di fuoco e zolfo versata su Sodoma dal Signore. Egli aveva deciso di punire in essa i crimini della carne, e il tipo stesso del suo castigo metteva in risalto l'onta di quel crimine. Perché lo zolfo emana fetore, il fuoco arde. Era quindi giusto che i Sodomiti, ardendo di desideri perversi originati dal fetore della carne, perissero ad un tempo per mezzo del fuoco e dello zolfo, affinché dal giusto castigo si rendessero conto del male compiuto sotto la spinta di un desiderio perverso" (San Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, XIV, 23, vol. II, pag. 371).

"Questo vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti, uccide il corpo, rovina l'anima, contamina la carne, estingue la luce dell'intelletto, caccia lo Spirito Santo dal tempio dell'anima" (San Pier Damiani - dottore della chiesa e grande riformatore dell'Ordine Benedettino - Liber Gomorrhanus, in Patrologia latina, vol. 145, coll. 159-190).

"Nei peccati contro natura in cui viene violato l'ordine naturale, viene offeso Dio stesso in qualità di ordinatore della natura" (S. Tommaso d'Aquino, Summa Teologica, II-II, q. 154, a. 12).

"… Commettendo il maledetto peccato contro natura, quali ciechi e stolti, essendo offuscato il lume del loro intelletto, non conoscono il fetore e la miseria in cui sono …" (S. Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, cap. 124).

"Più pena sente uno che sia vissuto con questo vizio de la sodomia che un altro, perocché questo è maggior peccato che sia". (San Bernardino da Siena, Predica XXXIX in: Prediche volgari, p. 915).

"… Di questa turpitudine mai abbastanza esecrata sono schiavi coloro che non si vergognano di violare la legge divina e naturale". (San Pietro Canisio - dottore della Chiesa- Summa Doctrina Christianae, III a/b, p. 455).

La condanna dei Papi

"… L'esecrabile vizio libidinoso contro natura; colpe per le quali i popoli e le nazioni vengono flagellati da Dio, a giusta condanna, con sciagure, guerre, fame e pestilenze …" (San Pio V, Costituzione Cum Primum, del 1 aprile 1566, in Bullarium Romanum, t. IV, c. II, pp. 284-286).

"… Il peccato contro natura grida vendetta al cospetto di Dio..." (San Pio X - Catechismo, N. 966).

"Inseguendo l'esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura. L'apostolo Paolo afferma in modo categorico: - Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio, 1 Cor. 6,9-10" (Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, cap. 81).

Leggendo la Sacra Scrittura impariamo dall’unico Dio e giusto giudice che com’è vero che il Signore perdona qualunque peccato a chi, con sincero pentimento, gli chiede il perdono, è altrettanto vero che giudicherà secondo la Sua Parola (e non secondo quella degli uomini, anche se appartenenti alle gerarchie della Chiesa!) quanti si ostinano nel peccato.

A tale proposito riporto l'opinione della Dott.ssa Patrizia Stella (dottore in pedagogia del comportamento) come risulta da una sua lettera pubblicata sulla rivista Teologica, N. 20 - marzo/aprile 1999, indirizzata alle autorità religiose e civili ed alle riviste, alla cui lettura integrale rimando quanto interessati.

"… In secondo luogo significa negare alla persona la capacità di superare questo problema, in quanto è stato più volte confermato dagli studiosi che questo comportamento non è irreversibile né congenito, tranne casi rarissimi, ma frutto di cattive abitudini, o di esperienze negative, o di reazioni davanti all'aggressività di certi comportamenti femminili; situazioni comunque, dalle quali si può uscire. Prova ne sia che nel mondo animale esistono malformazioni congenite di vario genere, ma non si è mai verificato il caso di attrazioni ed unioni omosessuali tra bestie, ciò vuol dire che è una devianza che riguarda l'uomo non tanto nella sfera genetica, difficilmente modificabile, quanto piuttosto in quella educativa e psicologica, soggetta quindi all'influsso della volontà. Significa inoltre non aver capito il ruolo della chiesa e del cristiano, che non è solo quello di alleviare pietosamente le ferite lasciando "l'ammalato" nella sua cancrena, bensì è quello di avere "dell'ammalato" una stima ed una fiducia tali da saper usare anche il bisturi pur di farlo guarire. Compito della chiesa e del cristiano è quello di ricordare che c'è la grazia di Dio che aiuta a vivere i comandamenti, e che senza la sua grazia è difficile vivere non solo la castità, ma qualunque altra virtù, che la violazione costante dei Comandamenti di Dio comporta sempre il rischio di autodistruggersi nella vita terrena e di mettere in pericolo la salvezza eterna, e che infine, dà molta più gioia e gratificazione una vita casta anche se talvolta esige sacrificio e lotta, che una vita di disordine sessuale, qualunque esso sia, etero o omosessuale …".

Conclusione:

Ho qui riportato solo alcune delle migliaia di citazioni contenute nel Magistero della Chiesa cattolica circa l'omosessualità e la sodomia.
E' fondamentale ribadire che questo articolo non è omofobo, ma riporta solo individuate verità di fede, contenute nel Magistero che è infallibile.
Si può scegliere se intendere il presente in spirito di correzione fraterna o se scagliarsi come belve contro la Chiesa, dunque, contro Cristo.

Carlo Di Pietro (M.S.M.A.) (con alcume mie aggiunte, in neretto)


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È vietato dirlo, ma col sesso non si gioca


«La teoria del “gender” ci prepara un mondo dove nulla sarà più percepito come stabile», dice lo psicanalista mons. Tony Anatrella. «I danni provocati dal divorzio non sono nulla rispetto a quelli che può causare l’ideologia Lgbt»


 

L’ideologia del “gender” «farà sicuramente più danni del marxismo». Lo ha messo nero su bianco monsignor Tony Anatrella, psicanalista di fama internazionale, specialista in psichiatria sociale, docente alle libere Facoltà di filosofia e psicologia di Parigi e al Collège des Bernardins, oltre che consultore del Pontificio consiglio per la famiglia e del Pontificio consiglio per la salute. Il suo ultimo libro, La teoria del “gender” e l’origine dell’omosessualità, appena pubblicato da San Paolo, Anatrella lo ha scritto proprio per mettere in guardia dalle conseguenze – esistenziali e sociali – della teoria che nega la differenza sessuale fra l’uomo e la donna.

Monsignore, cosa può accadere a uomini che crescono incerti delle differenze che vedono?

Ora non si vedono ancora le conseguenze della negazione della differenza sessuale, ma tra una ventina d’anni sarà chiaro: se si va avanti così assisteremo a crisi identitarie gravi, al diffondersi di problemi mentali. La realtà sarà confusa con l’immaginazione e niente verrà più percepito come stabile. Un’incertezza cronica è poi la madre di comportamenti violenti. Il bambino cresce sano e sicuro quando interiorizza la differenza sessuale. Ma è un conflitto accettarla. Se la mentalità lo spinge a non accettare la differenza è più facile che, come accade all’omosessuale, questo cresca depresso, insicuro e incapace di accettare la diversità. I gravi danni psicologici provocati dai divorzi che oggi constatiamo non sono nulla rispetto a quelli che può causare l’ideologia del gender sulle generazioni future.

Lei parla di una crescente diffusione di comportamenti omosessuali. È dovuta solo all’accettazione di questo modello come normale o anche alla prevalenza di una mentalità narcisistica?

Diciamo che la mentalità narcisistica, che rifiuta l’alterità come elemento necessario al compimento dell’uomo, favorisce l’omosessualità. Aumentano i comportamenti omosessuali perché la società, anziché favorire l’accettazione umana del proprio sesso prima e di quello opposto poi, favorisce la regressione alla fase infantile della sessualità in cui non si riconosce l’alterità come positiva. Ma se il bambino non è aiutato a uscire da se stesso e a superare le fasi infantili, come quella anale ad esempio, può incorrere in problemi molto seri: oltre a quello dell’omosessualità ci sono l’alcol, la droga, la bulimia e molti altri.

L’omosessualità dunque non ha un’origine fisiologica, neurologica o genetica? 

Ormai tutti gli studi concordano nell’affermare che è un disturbo della psiche, come già sosteneva Sigmund Freud. L’uomo e la donna sviluppano la propria psicologia interiorizzando il proprio corpo sessuato durante l’infanzia e l’adolescenza. Quando questo non accade, i soggetti non accettano il proprio corpo reale rappresentandone uno che non corrisponde alla loro realtà personale: il corpo immaginato è diverso dal corpo reale.

L’omosessuale, si legge nel suo libro, è possessivo, nel rapporto con l’altro cerca di riempire una mancanza ed è incapace di donarsi. Come può allora la Chiesa chiedergli di vivere nella castità?

La Chiesa afferma che le pratiche sessuali tra persone dello stesso sesso sono atti intrinsecamente disordinati perché l’omosessuale non riesce ad arginare la frustrazione che vive unendosi a chi è uguale a lui. Tanto che, pur vivendo queste relazioni, resta insoddisfatto. Perciò la Chiesa propone alle persone veramente omosessuali (altre possono invece intraprendere un percorso terapeutico che le porti all’eterosessualità) di astenersi dal praticare e di cercare di guardarsi dentro per fondare le loro relazioni su un altro amore che può colmare la ferita, quello di Cristo nella Chiesa. È un cammino difficile, ma è l’unico che permette di vivere in questa condizione serenamente. Ci sono cristiani che hanno questa tendenza e la assumono senza cercare di esprimerla o di praticarla. Alcuni possono avere esperienze, dispiacersene e avere voglia di cambiare, trovando nella fede in Cristo la risorsa per fare il proprio cammino di felicità: all’interno dell’amore della Chiesa ogni uomo può trovare il proprio posto.

Che rapporto c’è tra le lobby Lgbt e la popolazione che dicono di rappresentare? Questi gruppi di pressione rappresentano davvero tutti gli omosessuali?

Le lobby omosessuali fanno molto rumore. Lo si vede chiaramente quando organizzano manifestazioni come i Gay Pride, aperti anche agli eterosessuali per fare numero. Resta il fatto che gli omosessuali rappresentano una percentuale molto bassa della popolazione totale. In Francia un’inchiesta ha dimostrato che nel 2008 solo l’1,1 per cento degli uomini e lo 0,3 per cento delle donne hanno avuto contatti sessuali con persone dello stesso sesso, il che non vuol dire necessariamente che questi siano tutti realmente omosessuali. Parliamo quindi di un’esigua minoranza, con un grande potere nel settore politico e mediatico, che vuole imporre il proprio stile di vita alla maggioranza della popolazione ignara di quello che sta accadendo davvero: i media hanno un potere d’influenza psicologica tale da far passare per cattivo chi solo domanda di capire. Abituano ad accettare come normale anche quello che da sempre l’uomo percepisce come evidentemente problematico. Sono bandite dal dibattito perfino le domande circa l’origine dell’omosessualità.

Insomma un problema che tocca poche persone viene trasformato in una questione epocale. Come è possibile che una lobby che rappresenta una parte minima della popolazione abbia tanto potere?

Per comprendere questo fenomeno bisogna inserirlo in un quadro storico che si evolve a partire dagli anni Cinquanta, quando iniziò a svilupparsi l’ideologia della liberazione sessuale che voleva ridurre la sessualità al suo aspetto infantile e ludico. In seguito, all’inizio degli anni Settanta, si cominciò ad affermare che il piacere sessuale era un diritto primario della persona, quindi anche del bambino. Di qui la diffusione della pederastia e la legittimazione dell’omosessualità. Oggi siamo al punto in cui l’omosessualità viene considerata un’identità grazie al lavoro incessante degli attivisti gay all’interno di tutte le istituzioni più importanti. Come l’Onu e l’Unione Europea, che ora hanno ridefinito l’omosessualità. All’inizio degli anni Settanta gli attivisti gay per imporsi sono arrivati a usare la violenza verbale e fisica: le associazioni omosessuali intervenivano in tutti i congressi medici con metodi anche brutali, strappando il microfono a chi osava sollevare dubbi. E attraverso l’occupazione di posti strategici si sono infiltrati anche nel consiglio di amministrazione dell’Associazione degli psichiatri americani. Così hanno potuto imporre la cancellazione dell’omosessualità dal manuale delle malattie, una risoluzione raggiunta per alzata di mano dopo che a tutti i membri erano state inviate lettere personali: non era mai successo che si prendesse una decisione scientifica per alzata di mano. Da allora è diventato quasi impossibile per i medici affrontare l’omosessualità anche da un punto di vista scientifico. E dopo l’Organizzazione mondiale della sanità, le legislazioni statali hanno cominciato a negare l’esistenza della diversità sessuale, prima accettando l’omosessualità come normale, poi permettendo i matrimoni fra persone dello stesso sesso e infine aprendo all’adozione.

Lei sostiene che gli omosessuali vivono una sofferenza. Se è così, perché nessuno si ribella e chiede di essere aiutato?

Chi ammette il disagio e capisce che non è dovuto dalla società su cui proietta le proprie manie di persecuzione e da cui cerca una conferma che non ha trovato nel genitore, spesso cerca di farsi aiutare. Ma gli attivisti evidentemente o non se ne rendono conto o non vogliono uscirne: dicono di non soffrire, anche se c’è sempre un problema depressivo, di isolamento e di instabilità nei rapporti che si riversa all’esterno con rabbia. Perciò chi si fa aiutare ha spesso paura di dire le cose come stanno: siamo alla follia per cui se un eterosessuale diventa omosessuale gli si fanno congratulazioni, nel caso contrario c’è il disprezzo.

Come giudica la ritrattazione di Robert Spitzer, lo psichiatra più influente dello scorso secolo, che recentemente si è scusato con gli omosessuali per aver constatato l’efficacia della terapia riparativa del dottor Nicolosi?

Ci sono forme di omosessualità che non possono cambiare, altre che possono evolvere e incamminarsi verso l’eterosessualità. Ma se bisogna sempre evitare le terapie repressive, si può anche aiutare a superare la fase infantile della sessualità per correggere l’orientamento di chi intimamente lo desidera e sia quindi disposto a collaborare. Chi afferma questo, però, è perseguitato, compreso Spitzer.

Ha mai ricevuto minacce?

Mi capita di continuo, come a tutti quelli che sostengono quanto argomento io. Per ora non mi hanno ancora denunciato, sebbene in Francia una legge contro l’omofobia ci sia già: un deputato che si è permesso di dire che la famiglia ha un valore superiore a tutte le altre unioni è stato condannato in primo e secondo appello. La Cassazione si è pronunciata per la libertà di pensiero, ma mi domando: quanto durerà questa tregua? C’è una polizia delle idee che si sta sviluppando. E quando un’ideologia ha bisogno del potere della polizia e dei giudici per imporsi, significa che stiamo andando verso uno Stato totalitario. Il problema è che i cittadini non si stanno davvero accorgendo della gravità della situazione, anche perché i problemi che riguardano l’omosessualità sono sconosciuti e trattati come tabù.

Quale può essere la via per contrastare questa ideologia e fermarne la deriva totalitaria? 

Bisogna dire la verità. La Chiesa è rimasta l’unica istituzione a difendere la salute dell’uomo. Ma occorre un maggiore impegno per educare la gente: molti sono complici e giustificano questa ideologia per ignoranza. Spesso anche i preti parlano senza conoscere il vissuto reale degli omosessuali. Bisogna leggere la Bibbia e poi san Paolo che descrive le conseguenze orribili di una società che valorizza l’omosessualità. Sopratutto bisogna coltivare il rapporto con Dio. Infatti, il narcisismo in cui ci troviamo è frutto del rifiuto di Dio. E quindi dell’alterità che sola ci può compiere. Non a caso, in questo mondo che ha dimenticato l’alterità e non conosce il Suo amore, l’uomo non sa più chi è e non ha più un volto, se non quello uniforme della massa che lo plasma. Da qui l’importanza della nuova evangelizzazione di cui parla il Papa, che passa dall’annuncio dell’amore di Cristo all’uomo, sperimentabile nella Chiesa e nella famiglia. E l’importanza dell’educazione a uscire da se stessi per compiersi. Non a caso il Papa continua a parlare della famiglia naturale nonostante gli attacchi.
E l’allora cardinal Ratzinger, con cui ho lavorato per anni come membro della Congregazione per l’educazione cattolica, chiese di produrre un documento molto importante in merito all’educazione e all’omosessualità e alla necessaria collaborazione fra uomo e donna. È poi fondamentale l’azione pastorale in sostegno delle famiglie e un impegno maggiore dei cattolici nella difesa delle istanze familiari ed educative anche in politica.


Leggi di Più: La teoria del “gender” e l’origine dell’omosessualità | Tempi.it

ALCUNE TESTIMONIANZE....

http://www.uccronline.it/2011/09/23/omosessualita-uscirne-si-puo-io-lho-fatto/
www.uccronline.it/2012/03/13/mi-chiamo-andrea-e-ce-lho-fatta-sono-uscito-dallomosessualita/

Per altri è stato un incontro con l’amore come ha raccontato Maria Italia: “...Nel paese dove vivo, c'era una copia gay non piu' ragazzini, stavano insieme da un po' di anni, uno di loro ha iniziato a trovare scuse, piano piano si sono lasciati, fino qui direte voi tutto normale. Si, tutto normale, se non fosse che uno dei due si e' innamorato di una donna, ora dopo 2 anni stanno ancora insieme, felicemente...” . Oppure Massimiliano incontrato da Povia sul treno dopo avergli raccontato la sua storia ne ha fatto in seguito la canzone "Luca era gay".

In fine vi è un nuovo terzo gruppo di ragazzi, alcuni credenti altri no, che hanno scoperto grazie alle nuove scienze della fisica quantistica che per anni gli sono stati raccontati un mucchio di bugie. Non sono i geni a modificare i pensieri, bensì il contrario. La forza del pensiero e delle convinzioni che derivano dall’inconscio creano una realtà che si può cambiare, grazie a tecniche di riprogrammazione dell’inconscio. Alcuni di loro con gioia ne danno già testimonianza.
/www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__cambia.php
/www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__evolvi-il-tuo-cervello.php
/www.macrolibrarsi.it/libri/__la_guarigione_spontanea_delle_credenze.php
/bioregionalismo-treia.blogspot.com/2012/01/grazyna-gosar-e-franz-bludorf-dna-e.html?spref=fb
/www.scienzaeconoscenza.it/scienza/lipton_biologia_credenze.htm
/www.macrolibrarsi.it/libri/__inconscio-per-amico-amrita.php
/www.macrolibrarsi.it/video/__la_mente-piu_forte_dei_geni-dvd.php
/acarrara.blogspot.com/2012/04/omosessualita-cervello-ii.html?spref=fb
/acarrara.blogspot.com/2012/05/omosessualita-cervello-iii.html?spref=fb
/acarrara.blogspot.ch/2012/06/omosessualita-cervello-omosessuali-non.html?spref=fb
www.youtube.com/watch?v=BqVaaFR7tHA&feature=share
www.youtube.com/watch?v=PpPWaue5WsQ&feature=youtu.be
/www.strategiepervincere.com/fe/13488-video-2-psicologia-robusta
www.youtube.com/watch?v=SU77eusgF8I&feature=youtu.be
Con le nuove scienze le lobby gay, sanno d'aver finito di tenere sottomessi migliaia di ragazzi, nascondendo loro la verità per anni . Ora cercano con queste ultime pubblicazioni di zittire anche la scienza facendoci credere che siamo solo vittime del nostro cervello:
brainfactor.it/index.php?option=com_content&view=article&id=673%3Anoi-siamo-il-nostro-cervello-un-libro-scomodo&catid=36%3Arecensioni&Itemid=3

Mentre l’intero mondo scientifico sta inseguendo i neutrini nella direzione opposta, medici, psicologi, biologi, chimici, fisici.... OMOFOBI sono tutti coloro che vi vogliono vittime del cervello mentre la scienza ha dimostrato che ne siete creatori. Le pulsioni omosessuali non sono una scelta, quella di seguire i sogni cambiandole sì.

PRECISAZIONE: Non "curo" nessuno e nemmeno voglio indirizzare verso qualcuno in particolare, scegliete voi.
Anche perchè andare da un medico e non credere al cambiamento, non si cambia lo stesso. Mentre diversi ragazzi, anche non credenti, che hanno creduto nella forza dei loro pensieri, che non sono andati da nessun medico ma hanno approfondito tutti gli aspetti dell’omosessualità, leggendo alcuni di questi libri /omosessualitaeidentita.blogspot.ch/2010/12/libri-in-italiano-per-uscire.html
Strappandone le pagine troppo religiose per loro (alcuni sono solo psicologici). Hanno cercato di confrontare il loro passato con quanto scritto. Hanno letto tanti libri delle nuove neuroscienze, sul funzionamento del cervello, della mente, del modo di vedere le cose (es. Libri sopra, non quelli limitanti scritti apposta da chi ha interessi politici e finanziari e di ogni sorta, anche dietro il mondo dell’omosessualità). Hanno appreso le tecniche di riprogrammazione mentale (es. Corsi Psych-K, avere paura dell’omosessualità o reprimersi non fa altro che impedire il cambiamento). Le immagini che creano emozioni, hanno un impatto molto forte per programmare l’inconscio (chi crea fumetti queste cose le sa. ) /carlasalemusio.blog.tiscali.it/2012/02/12/programmare-linconscio/?doing_wp_cron
L'articolo sotto da un'idea di cosa si intende per cambiamento in generale:
/www.humantrainer.com/articoli/cambiamento-terapeutico-mente-corpo.pdf
Questi ragazzi sono cambiati completamente in tutto. Idee, pulsioni e hanno raggiunto il loro sogno che non era quello di essere omosessuali. Se non volete essere giudicati non giudicateli, esistono e questo è quello che volevano per la loro vita.

 Sono contraria all’addozione o avere figli tra coppie omosessuali perchè è troppo ipocrita dire che per i loro figli basta l’affetto di 2 genitori indipendentemente dal sesso però per loro questo affetto indipendentemente dal sesso non basta tanto da stravolgere l’intera loro vita (anche per l’eterosessuale questa differenza ha ragione d’esistere ma è coerente anche verso i figli che percepiscono e crescono in armonia con questa differenza che non consiste solo nell’avere i genitali diversi). E’ insensato misurare la mancanza della madre o del padre per un bambino, con l’intelligenza scolastica, il relazionarsi con i compagni o con quanto vuol bene ai 2 padri o alle 2 madri, che nel caso di divorzio diventerebbero 4 madri o 4 padri.

[SM=g1740738]


[Modificato da Caterina63 14/06/2012 20:27]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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30/07/2012 21:11
 
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Imbarazzante gaffe di Umberto Galimberti su Platone

Più volte ci siamo occupati del filosofo anticristiano Umberto Galimberti, ennesima firma laicista di “Repubblica”, assieme a Augias, Odifreddi, Veronesi, Pievani e Flores D’Arcais. Più volte abbiamo sottolineato come Galimberti abbia creato la sua carriera copiando letteralmente frasi e ragionamenti di altri autori, senza ovviamente citarne la fonte, come si evince dal libro “Umberto Galimberti e la mistificazione intellettuale” (Coniglio Editore 2011) e come ha dimostrato lo scrittore Vincenzo Altieri. Galimberti è stato l’unico “accademico” italiano ad aver mai ricevuto dalla sua Università, la Ca’ Foscari di Venezia, un richiamo formale per la persistente mancanza di citazione delle fonti nella redazione dei suoi testi scientifici.

Il filosofo, ancora ospitato senza vergogna su “Repubblica”, in questi giorni ha pensato di offrire una riflessione tutta sua, priva di plagio. Ed infatti ne è uscita una gaffe imbarazzante. La tematica è quella dell’omosessualità e la circostanza è la risposta ad un lettore del quotidiano, secondo il quale -oltretutto- secondo la Chiesa «l’omosessualità è una malattia». Ovviamente non è vero, mai si è parlato di “malattia”, semmai di «atti intrinsecamente disordinati», i quali sono «una prova» e per questo gli omosessuali «devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza». Galimberti, prendendo leggermente le distanze dal lettore, ha sottolineato che «la condanna definitiva venne proprio dalla scienza che, partendo dal concetto che gli organi sessuali servono alla riproduzione, definì “patologica” ogni forma sessuale che deviasse da questo scopo».

Il filosofo di “Repubblica” si è poi avventurato in una dissertazione sui pregiudizi verso le persone con attrazione per lo stesso sesso, secondo lui attribuibili alla «psicoanalisi, alla religione e al diritto». E’ quindi voluto entrare nel suo campo culturale preferito per affrontare meglio la questione, ovvero la filosofia greca: occorre dire che il filosofo laicista odia così fortemente il cristianesimo anche perché esso ha di fatto preso il posto della cultura greca, lui stesso dice di sé: «Io non sono cristiano, sono greco». Con sicurezza, dunque, ha pensato di valorizzare Platone citando questo passo de “Il Simposio”: «Dove fu stabilito che è riprovevole compiacere agli amanti, ciò fu a causa della bassezza dei legislatori, del dispotismo dei governanti, della viltà dei governati». Secondo Galimberti, con questo passo il progressista Platone avrebbe legato «opportunamente la condanna dell’omosessualità a un problema di democrazia» ancora da raggiungere.Peccato che, come ha fatto prontamente notare Antonio Socci su “Libero”, Galimberti ha attribuito a Platone un pensiero che nel “Simposio” è espresso da Pausania,ovvero uno dei personaggi -omosessuale e teorizzatore della pederastia- che intervengono esprimendo il loro diverso punto di vista su “Eros”. Ovviamente Platone non la pensa affatto né come Galimberti, né come Pausania (lo vedremo dopo comunque).

Oltretutto il passo citato da Galimberti su “Repubblica”, che è di Pausania e non di Platone, in realtà esalta il genere maschile perché «per natura più forte e più dotato di cervello». Non solo, ma come ha fatto notare Francesco Colafemmina -autore di «Il matrimonio nella Grecia classica»- non parla nemmeno di “amanti” in senso orizzontale, ma di sottomissione dei giovani adolescenti ad un adulto omosessuale. La frase tradotta correttamente di Pausania è questa: «Così laddove è stato sancito che è turpe concedersi agli erastes [cioè i pederasti, Nda], ciò è da ascriversi alla malvagità delle disposizioni, alla prepotenza dei governanti, e alla viltà dei governati». Dunque oltre all’attribuzione errata, Galimberti ha perfino sbagliato a tradurre dal greco arrivando inconsapevolmente a valorizzare la pederastia e la misoginia. Colafemmina dimostra anche come l’omosessualità era condannata nell’antica Grecia e che gli omosessuali erano riconosciuti con l’appellativo volgare di cinedi (“colui che smuove la vergogna”).

Ma Galimberti sa cosa Platone pensava davvero dell’omosessualità? Assolutamente no. Nelle “Leggi”, Platone afferma che «bisogna considerare che, a quanto pare, il piacere sessuale fu assegnato secondo natura tanto alle femmine quanto ai maschi affinché si accoppiassero al fine di procreare, mentre la relazione erotica dei maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere». Il filosofo greco definisce un «pericolo» per l’ordine sociale, gli «amori di donne al posto di uomini e uomini al posto di donne» perché «innumerevoli conseguenze sono derivate agli uomini privatamente e a intere città». Socci ricorda che addirittura -con buona pace di coloro che fantasticano di un’antica Grecia libertaria e accusano la Chiesa Cattolica di aver portato illiberalità e sessuofobia – Platone chiede di condannare anche i rapporti prematrimoniali e l’adulterio attraverso la legge. Questo dimostra anche che la famiglia eterosessuale (come fondamento della civiltà) e la legge naturale non è un’invenzione del cristianesimo, ma fondamento istituzionale esclusivo di tutte le civiltà precedenti il cristianesimo e di tutti i popoli.

Per concludere occorre segnalare un altro errore di Galimberti, quando considera Sant’Anselmo un omosessuale, amante del suo allievo Gilberto. Per far questo, ha spiegato Colafemmina, si è rifatto al volume “Cristianesimo, tolleranza, omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo” dell‘attivista omosessuale John Boswell, il quale ha tentato di strumentalizzare alcune epistole di Anselmo in cui sono contenute parole di grande affetto per un suo discepolo. Propaganda da quattro soldi. Non sarebbe forse meglio che Galimberti continuasse a copiare da altri, evitando il più possibile la “farina del suo sacco”?

[SM=g1740746]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/08/2012 17:39
 
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[SM=g1740733] Riflessioni serie sull'omosessualità


 


Un recente articolo di Messori del 13.8.2012 ha dato origine ad una serie di discussioni in rete che è bene non sottovalutare. (1)


Cominciamo col dire che l'articolo del Messori parte da un aspetto mediatico, egli riprende l'atteggiamento duro, giornalisticamente duro di alcuni colleghi nel mentre si discuteva di questo avanzamento omosessualista, e rivangando le sue esperienze giornalistiche, dice legittimamente la sua esperienza, ponendosi delle domande ma, ahimè, facendo anche delle affermazioni ingiuste.


Infatti dove sbaglia è nel dire che la Chiesa "taceva", questo non è giusto!


La Chiesa non ha mai taciuto sull'argomento, solo che accettare o solo ascoltare ciò che Essa diceva, e dice, non è mai tollerato o accolto ragionevolmente integralmente.


Inoltre c'è da dire che in quegli anni la Chiesa aveva mille fronti aperti sui quali rispondere e stava cercando di valutare fino a che punto fosse o potesse essere tollerabile un nuovo movimento che avanzava con il suo "orgoglio gay".


Una durissima risposta giunge diretta e senza zuccheri, dal beato Giovanni Paolo II quando, il 9 luglio del 2000, il GAY-PRIDE sfonda a Roma in pieno Anno Giubilare come provocazione e come risposta al "no" della Chiesa sugli atti omosessuali tanto che, riportarono le cronache, su di un carro del corteo si simulava l'atto sessuale portando in testa una mitria vescovile.


Giovanni Paolo II affacciandosi alla finestra per l'Angelus, disse senza mezzi termini:  «A nome della Chiesa di Roma non posso non esprimere amarezza per l'affronto recato [...] e per l'offesa ai valori cristiani di una città che è tanto cara al cuore dei cattolici di tutto il mondo. La Chiesa non può tacere la Verità [...] perché non aiuterebbe a discernere ciò che è bene da ciò che è male».


L'articolo del Messori è del 13 agosto 2012, come può aver dimenticato il grido, la denuncia e la risposta,  di Giovanni Paolo II?


E' ovvio, non era questo il nocciolo dell'articolo, Messori denuncia un atteggiamento poco virile di alcuni giornali negli anni '70, e di alcuni suoi colleghi sul come trattarono l'astro nascente dell'orgoglio gay e sul come si ironizzava su "questi diversi" senza affrontare l'argomento con la serietà che meritava.


A torto o a ragione di quanto dice Messori, per non sbagliare è meglio associarsi alle parole di Giovanni Paolo II in quel triste Angelus: esprimiamo amarezza, vediamo l'affronto e lo subiamo, subiamo l'offesa ai valori Cristiani, ma come cattolici non possiamo tacere la verità perché è nostro dovere, a costo della nostra vita, discernere ciò che bene da ciò che è male e condannarlo, combatterlo, non ci sono vie di mezzo!


 


Fatta questa premessa, cerchiamo di dare delle risposte ad alcune affermazioni di Messori, dove dice: " se l' omosessualità, in ogni tempo e in ogni luogo, marca e marcherà sempre una percentuale (che sembra fissa), dell' umanità, può forse trattarsi di un «errore» del Creatore? Che sono, questi nostri fratelli in umanità? Sono forse «scarti di lavorazione»? Perché Dio e la sua Provvidenza non siano offesi, occorre riconoscere che anche questo fa parte, enigmaticamente, del piano da Lui voluto e da Lui attuato. La teologia, qui, ha ancora molta strada da fare.   "


 


Messori sbaglia a porre la domanda e fa delle affermazioni molto ambigue.


Innanzi tutto ciò che è "male" non è voluto da Dio ma semmai è permesso, tollerato e spesso "generato dai nostri comportamenti".


Spesse volte "sono punizioni" che Dio manda ma la causa siamo noi e non è corretto che si rifili sempre a Dio o al Suo progetto ciò che non comprendiamo.


Dio è perfetto e non sbaglia mai, ha creato l'uomo, maschio e femmina li creò, non ha creato "gli omosessuali" come se l'omosessualità fosse un terzo sesso o come fosse un "regno" a parte da integrare nel tempo.


Ciò che è avvenuto "dopo" lo sappiamo bene e si chiama Peccato Originale dal quale ha avuto origine ogni disordine e ogni atto che chiamiamo anche, in certi casi "contro-natura". Lo stesso concetto di "peccato" che significa appunto mancare, fallire, errare, ci sottolinea quell'andare contro  natura, ossia, contro quella natura perfetta che Dio aveva creato in noi e che il peccato ha spezzato, contaminato, e che per mezzo di Gesù Cristo ci è ridato di riconquistare questa natura incorrotta, "ritornare a Dio", ma per fare questo ritorno dobbiamo "convertirci" e vivere secondo i Comandamenti di Dio che sono inseriti in ciò che chiamiamo "legge naturale".


Quindi Dio non ha creato nessuna creatura con delle imperfezioni, queste sono subentrate dopo la creazione, ed hanno altre cause mai riscontrabili in Dio, fonte e sorgente di perfezione.


Nel 90% dei casi omosessuali si diventa a causa di mille ragioni spesso a noi sconosciute... sono parametri spesso psicologici di sistemi delicati e sofisticati per i quali le società "senza Dio" alimentano a dismisura. Basti pensare alle società pagane e alla mitica Grecia, all'avanguardia per la cultura e democrazia eppure corrotta fin dentro le midolla nei peccati contro natura, san Paolo li conosceva bene tanto da elencarli in quei mali che le comunità cristiane dovevano combattere ed evitare: "per i fornicatori, per i sodomiti, per i mercanti di schiavi, per i bugiardi, per gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina" (1Tm.1,10)


Non sapete che gl'ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v'illudete; né fornicatori, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, (1Cor. 6, 9/ Ef 5,3-8 / Colos. 3,5-10 / Tt 3:3-7)


 


Dio non ha creato nulla di imperfetto men che meno ha creato il terzo sesso, o un regno di uomini sodomiti. Senza dimenticare la donna "contro natura", detta volgarmente lesbica per la quale poco si parla e il cui termine deriva dall'isola di Lesbo, dove visse la poetessa Saffo nel VII secolo a.C., che nei suoi versi esaltò la bellezza della femminilità e dell'eros tra donne. Con l'esplosione del femminismo e l'emancipazione femminile, gruppi di donne si appropriarono di questo termine usandolo come rivendicazione del proprio orgoglio sessuale... Inoltre la donna "lesbica" rivendica a sé un ruolo sociale del tutto anomalo ed inaccettabile: non ama e non accetta l'unione eterosessuale, ma ricorre alla fecondazione artificiale perché vuole quel figlio ma lo vuole avere senza rapporto con l'uomo, e potendolo partorire ne rivendica la possessione. E' infatti sbagliato parlare di "omosessualità", esse non si ritengono né maschi né femmine, effettivamente non commettono l'atto sodomita, ma la loro "unione" è ugualmente perversa, innaturale e persino scientificamente inesistente. Per quanto il lesbismo sia sempre esistito, come tutte le forme di perversione, esso ha avuto sfogo dal 1900 e dagli anni '60 si è incanalato in quegli slogan femministi di triste memoria contro l'uomo "donna è bello! l'utero è mio e lo gestisco io", ecc... dando origine così ad una propria cultura lesbica del nostro tempo e vivendo di vita propria sfruttando i "successi" mediatici del campo omosessualista dell'orgoglio gay. E' da sottolineare che fra i due gruppi non corre affatto buon sangue! Entrambi si sopportano solo per portare avanti la propria battaglia.


Nel momento del concepimento un essere umano, persino animale, è creato perfetto all'interno del Progetto Divino, ma appena comincia, subentra la vita, subentra anche la corruzione, per questo siamo tutti soggetti a "malformazioni" più o meno visibili, da qui si comincia a lottare per sopravvivere e con Cristo non sopravviviamo più ma viviamo "rigenerati" perché in Lui ci è data la forza per combattere ciò che è contro natura, per questo ci ha offerto tante virtù fra le quali il celibato e la continenza.


Per questo nel Catechismo è insegnato che anche gli sposi sono soggetti "alla castità", come è possibile dire agli sposi di essere "casti" se sono sposati? perché si è casti quando l'amore non si riduce ad un atto sessuale, e quando il sesso viene usato per lo scopo con il quale è stato creato: procreare....


Infatti l'atto omosessuale compiuto fra gli sposi, è ugualmente condannabile e definito "peccato mortale", perciò come possiamo constatare non è un problema esclusivo solo degli omosessuali, e continuare a chiamarli così si sta facendo di loro "un popolo, una cultura, una nazione", riflettiamoci seriamente!


 


Un'altro aspetto carente nelle affermazioni di Messori è la corretta distinzione che dobbiamo avere dall'omosessuale in quanto persona, dagli "atti" omosessuali: i primi non sono affatto mai condannati dalla Chiesa come "diversi", i secondi si, sono condannati  senza se e senza ma, anche se commessi da coppie etero. Appare quindi anomalo che Messori non lo sappia e non lo sottolinei nel suo articolo generando invece ambiguità di pensiero in ciò che scrive.


Vi è da dire  che, soprattutto nella Chiesa, da circa 30 anni non è in discussione il rispetto per l'omosessuale in quanto persona , ma il problema dell'omosessualità degenerata in "orgoglio gay", degenerata a tal punto da volersi imporre come "stato naturale - voluto da Dio",  e talmente legittimo da pretendere un riconoscimento a livello di famiglia con la superbia di avere i figli dagli altri, da quelle donne che non amano affatto!


E sì, perché qui va chiarito anche un aspetto importante: gli omosessuali sia uomini che donne, non amano affatto chi è diverso da loro....


"Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti omosessuali, infatti, « precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati »" (2).


 


Il problema è che quando un cattolico si attiene alla dottrina va tutto bene, ma quando comincia ad esprimere le proprie opinioni rischia di non essere più tanto cattolico, ma solo se stesso, e da soli, si sa, perdiamo!


 


Del resto è chiarissima la voce della Chiesa a chi pensa che Dio "ha creato l'omosessuale" e di conseguenza dobbiamo accettarne anche l'atto disordinato, leggiamo insieme questo passo:


" Alcuni sostengono che la tendenza omosessuale, in certi casi, non è il risultato di una scelta deliberata e che la persona omosessuale non ha alternative, ma è costretta a comportarsi in modo omosessuale. Di conseguenza si afferma che essa agirebbe in questi casi senza colpa, non essendo veramente libera.


A questo proposito è necessario rifarsi alla saggia tradizione morale della Chiesa, la quale mette in guardia dalle generalizzazioni nel giudizio dei casi singoli. Di fatto in un caso determinato possono essere esistite nel passato e possono tuttora sussistere circostanze tali da ridurre o addirittura da togliere la colpevolezza del singolo; altre circostanze al contrario possono accrescerla. Dev'essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev'essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità. Come in ogni conversione dal male, grazie a questa libertà, lo sforzo umano, illuminato e sostenuto dalla grazia di Dio, potrà consentire ad esse di evitare l'attività omosessuale.


12. Che cosa deve fare dunque una persona omosessuale, che cerca di seguire il Signore?


Sostanzialmente, queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, unendo ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore. Per il credente, la croce è un sacrificio fruttuoso, poiché da quella morte provengono la vita e la redenzione. Anche se ogni invito a portare la croce o a intendere in tal modo la sofferenza del cristiano sarà prevedibilmente deriso da qualcuno, si dovrebbe ricordare che questa è la via della salvezza per tutti coloro che sono seguaci di Cristo.


In realtà questo non è altro che l'insegnamento rivolto dall'apostolo Paolo ai Galati, quando egli dice che lo Spirito produce nella vita del fedele: "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé" e più oltre: "Non potete appartenere a Cristo senza crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri" (Gal 5, 22.24).


Tuttavia facilmente questo invito viene male interpretato, se è considerato solo come un inutile sforzo di autorinnegamento. La croce è sì un rinnegamento di sé, ma nell'abbandono alla volontà di quel Dio che dalla morte trae fuori la vita e abilita coloro, che pongono in lui la loro fiducia, a praticare la virtù invece del vizio. " (3)


 


Come possiamo ben valutare di risposte teologiche quanto validamente etiche e morale, il Messori le aveva, tutti le abbiamo sotto mano, ma non ci bastano mai, vogliamo e pretendiamo sempre qualcosa che punti a soddisfare ciò che vogliamo sentirci dire o che appaghi in qualche modo i nostri pareri personali...


Ma sempre dal medesimo Documento la Chiesa stessa metteva in guardia proprio da certi Cattolici che predicano, dicono o seminano idee erronee, leggiamo questo passo:


" Tuttavia oggi un numero sempre più vasto di persone, anche all'interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali. Quelli che, all'interno della comunità di fede, spingono in questa direzione, hanno sovente stretti legami con coloro che agiscono al di fuori di essa. Ora questi gruppi esterni sono mossi da una visione opposta alla verità sulla persona umana, che ci è stata pienamente rivelata nel mistero di Cristo. Essi manifestano, anche se non in modo del tutto cosciente, un'ideologia materialistica, che nega la natura trascendente della persona umana, così come la vocazione soprannaturale di ogni individuo.


I ministri della Chiesa devono far in modo che le persone omosessuali affidate alle loro cure non siano fuorviate da queste opinioni, così profondamente opposte all'insegnamento della Chiesa. Tuttavia il rischio è grande e ci sono molti che cercano di creare confusione nei riguardi della posizione della Chiesa e di sfruttare questa confusione per i loro scopi.


9. Anche all'interno della Chiesa si è formata una tendenza, costituita da gruppi di pressione con diversi nomi e diversa ampiezza, che tenta di accreditarsi quale rappresentante di tutte le persone omosessuali che sono cattoliche. Di fatto i suoi seguaci sono per lo più persone che o ignorano l'insegnamento della Chiesa o cercano in qualche modo di sovvertirlo. Si tenta di raccogliere sotto l'egida del cattolicesimo persone omosessuali che non hanno alcuna intenzione di abbandonare il loro comportamento omosessuale. Una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione.


È pertanto in atto in alcune nazioni un vero e proprio tentativo di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile. Il fine di tale azione è conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui l'omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona.


Benché la pratica dell'omosessualità stia minacciando seriamente la vita e il benessere di un gran numero di persone, i fautori di questa tendenza non desistono dalla loro azione e rifiutano di prendere in considerazione le proporzioni del rischio, che vi è implicato.


La Chiesa non può non preoccuparsi di tutto questo e pertanto mantiene ferma la sua chiara posizione al riguardo, che non può essere modificata sotto la pressione della legislazione civile o della moda del momento. Essa si preoccupa sinceramente anche dei molti che non si sentono rappresentati dai movimenti pro-omosessuali, e di quelli che potrebbero essere tentati di credere alla loro ingannevole propaganda. Essa è consapevole che l'opinione, secondo la quale l'attività omosessuale sarebbe equivalente, o almeno altrettanto accettabile, quanto l'espressione sessuale dell'amore coniugale, ha un'incidenza diretta sulla concezione che la società ha della natura e dei diritti della famiglia, e li mette seriamente in pericolo". (4)


 


Sfugge la conclusione dell'articolo del Messori e di dove voglia parare, o come vorrebbe rimediare a quel silenzio mediatico dei "suoi tempi", di chiaro c'è che la Chiesa non ha mai taciuto sull'argomento ed anche se oggi cerca di mitigare il soccorso alla persona che si senta omosessuale, non tace  assolutamente sulla ripetuta condanna dell'atto contenuto in sé, senza mitigare e senza sconti.


 


Come possiamo aiutare concretamente queste persone?


Innanzi tutto amandole e rispettandole nella loro dignità di persone amate da Dio, ma amare non significa tacere il male che è intorno a noi e intorno a loro, non viviamo su "isole felici", e si ama il prossimo dicendogli la verità che è una sola:


"Le persone omosessuali sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità. Se si dedicano con assiduità a comprendere la natura della chiamata personale di Dio nei loro confronti, esse saranno in grado di celebrare più fedelmente il sacramento della Penitenza, e di ricevere la grazia del Signore, in esso così generosamente offerta, per potersi convertire più pienamente alla sua sequela....


(...) questa Congregazione desidera chiedere ai Vescovi di essere particolarmente vigilanti nei confronti di quei programmi che di fatto tentano di esercitare una pressione sulla Chiesa perché essa cambi la sua dottrina, anche se a parole talvolta si nega che sia così. Un attento studio delle dichiarazioni pubbliche in essi contenute e delle attività che promuovono rivela una calcolata ambiguità, attraverso cui cercano di fuorviare i pastori e i fedeli. Per esempio, essi presentano talvolta l'insegnamento del Magistero, ma solo come una fonte facoltativa in ordine alla formazione della coscienza. La sua autorità peculiare non è riconosciuta. Alcuni gruppi usano perfino qualificare come "cattoliche" le loro organizzazioni o le persone a cui intendono rivolgersi, ma in realtà essi non difendono e non promuovono l'insegnamento del Magistero, anzi talvolta lo attaccano apertamente. Per quanto i loro membri rivendichino di voler conformare la loro vita all'insegnamento di Gesù, di fatto essi abbandonano l'insegnamento della sua Chiesa. Questo comportamento contraddittorio non può avere in nessun modo l'appoggio dei Vescovi.


(...) La persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, non può essere definita in modo adeguato con un riduttivo riferimento solo al suo orientamento sessuale.


Qualsiasi persona che vive sulla faccia della terra ha problemi e difficoltà personali, ma anche opportunità di crescita, risorse, talenti e doni propri. La Chiesa offre quel contesto del quale oggi si sente una estrema esigenza per la cura della persona umana, proprio quando rifiuta di considerare la persona puramente come un "eterosessuale" o un "omosessuale" e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna." (5) 


E dunque, come deve agire un vero cattolico?


"... sarà conveniente promuovere appropriati programmi di catechesi, fondati sulla verità riguardante la sessualità umana, nella sua relazione con la vita della famiglia, così come è insegnata dalla Chiesa. Tali programmi forniscono infatti un ottimo contesto, all'interno del quale può essere trattata anche la questione dell'omosessualità.


Questa catechesi potrà aiutare anche quelle famiglie, in cui si trovano persone omosessuali, nell'affrontare un problema che le tocca così profondamente.


Dovrà essere ritirato ogni appoggio a qualunque organizzazione che cerchi di sovvertire l'insegnamento della Chiesa, che sia ambigua nei suoi confronti, o che lo trascuri completamente. Un tale appoggio, o anche l'apparenza di esso può dare origine a gravi fraintendimenti. Speciale attenzione dovrebbe essere rivolta alla pratica della programmazione di celebrazioni religiose e all'uso di edifici appartenenti alla Chiesa da parte di questi gruppi, compresa la possibilità di disporre delle scuole e degli istituti cattolici di studi superiori. A qualcuno tale permesso di far uso di una proprietà della Chiesa può sembrare solo un gesto di giustizia e di carità, ma in realtà esso è in contraddizione con gli scopi stessi per i quali queste istituzioni sono state fondate, e può essere fonte di malintesi e di scandalo.


(...)


Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza accordata al sottoscritto Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione e ne ha ordinato la pubblicazione. " (6)


 


***


La giustizia e la pace definitive appartengono solo alla Città Celeste, sostiene Agostino nel De civitate Dei, di essa non si dà compiuta attuazione nella storia non è quindi possibile identificare il Regno di Dio con alcuna forma storica di convivenza umana. Questo non significa rassegnazione al male, ma impegno, da parte di ciascuno, a realizzare il massimo di giustizia e di pace possibile in un determinato momento storico.


Pace e giustizia sono continuamente insidiate, dal momento che l'ordine non è dato una volta per tutte ma è rimesso continuamente in discussione dai singoli esseri umani con i loro vizi e virtù. Solo il rigore morale dei cittadini può migliorare la vita sociale; la crisi degli stati dipende da un processo interno di disgregazione, "perché le leggi, che sono espressione di ciò che i consociati amano, si svuotano di contenuto e non esprimono più i desideri e i sentimenti - virtuosi - dei cittadini" (De civitate Dei, xiv, 10). Senza un ordine giuridico, le cui fondamenta sono stabili nella legge naturale, non è possibile conseguire quel bene comune che è al fondamento della civitas.


Sia lodato Gesù Cristo!


  [SM=g1740771]


NOTE (i testi ufficiali li troverete nei primi post di questo thread)


 


(1)


http://archiviostorico.corriere.it/2012/agosto/13/cattolico_conformismo_sui_gay_cattolico_co_8_120813010.shtml


Quando gli attuali paladini delle cause vinte non osavano neanche parlare di omosessuali


Io cattolico e il conformismo sui gay  - Io cattolico, i media, gli anni Settanta. E quel conformismo sugli omosessuali


Qualche tempo fa - pare per uno sgradevole incidente o per colpevole pigrizia - il redattore di non so quale documento pubblico ha proceduto a un rovinoso copia-incolla. Trattando di omosessuali, ha attinto di peso da un Manuale per le Forze dell' Ordine degli anni Cinquanta, dove si parla di «ambienti ambigui», «giri torbidi», «passioni oscure», «amori inconfessabili».


E via imprecando e deprecando. La cosa è stata subito notata e, come doveroso, si è provveduto a cestinare quell' imprevisto reperto di una prospettiva da tempo improponibile. Ma chi, come me, era già nei giornali in anni lontani, ha letto con un sorriso un po' amaro le reazioni sdegnate, se non furibonde, di certi colleghi, molti dei quali non più giovani. Le loro rampogne senza appello per l' episodio, le loro richieste di licenziamenti con infamia dei colpevoli, dimenticano che essi stessi, o i loro giornali, hanno usato quei toni e quegli epiteti e non solo per conformismo al «politicamente corretto» dell' epoca ma, probabilmente, per autentica convinzione. Ebbene, il disteso clima estivo, favorevole anche agli esami di coscienza, mi suggerisce di rievocare un ricordo, forse non irrilevante. Era l' autunno del 1971, terminavo il mio praticantato giornalistico in un quotidiano torinese. Passando per la centralissima piazza Solferino (la sorpresa fu grande, dunque la memoria è vivida) fui colpito da un manifesto con la scritta F.U.O.R.I, seguita da un punto esclamativo. Mi avvicinai e scopersi che l' acrostico stava per «Fronte Unitario Omosessuali Rivoluzionari Italiani». Il testo che seguiva era firmato da Angelo Pezzana, un libraio giovane ma già noto e stimato: io stesso ne ero saltuario cliente, senza nulla sospettare.


Non ricordo se altri si fossero esposti, firmando l' appello pubblico. Quel manifesto era davvero storico: per la prima volta - ma proprio la prima, almeno in Italia, e giusto a Torino - usciva allo scoperto, rivendicando non solo il diritto a manifestarsi ma, tout court, ai diritti umani, un mondo da sempre esistente eppure sconosciuto, celato, indicato solo con termini di offesa o di condanna.


Lessi incredulo e, da buon cronista di «bianca», raggiunsi in fretta il giornale. Raccontai d' un fiato la novità al capocronista, proponendo subito un articolo, un' intervista a Pezzana. Intendiamoci, non mi sentivo il reporter coraggioso dei film americani, non mi muovevano nobili sentimenti come la ricerca di giustizia per chi doveva nascondere la sua vita privata, sempre timoroso che venisse violata. Ci ho pensato spesso, negli anni seguenti, interrogandomi soprattutto - essendone coinvolto - sul silenzio e l' indifferenza anche da parte cattolica. Eppure, per il credente dovrebbe esserci qui un motivo di profonda riflessione: se l' omosessualità, in ogni tempo e in ogni luogo, marca e marcherà sempre una percentuale (che sembra fissa), dell' umanità, può forse trattarsi di un «errore» del Creatore? Che sono, questi nostri fratelli in umanità? Sono forse «scarti di lavorazione»? Perché Dio e la sua Provvidenza non siano offesi, occorre riconoscere che anche questo fa parte, enigmaticamente, del piano da Lui voluto e da Lui attuato. La teologia, qui, ha ancora molta strada da fare. In ogni caso, quel giorno, in cronaca, ciò che mi preoccupava era soltanto l' istinto del mestiere. Se il nostro, di mestiere, era dare delle notizie, quale notizia maggiore dell' uscita dalle catacombe, per giunta con toni battaglieri e rivendicativi, di un popolo da sempre nascosto?


Bisognava muoversi al più presto, soprattutto per precedere l' altro quotidiano locale. Il capo mi ascoltò in silenzio, con aria ironica, commentando alla fine: «Mi dispiace proprio, non sapevo che anche tu fossi uno di quelli!». Gli replicai che proprio perché non lo ero né temevo di diventarlo, non avevo complessi o paura di ricatti: dunque, se mi dava il via, andavo con un fotografo in libreria a incontrare «l' omosessuale rivoluzionario» che aveva infranto la legge millenaria del silenzio. A questo punto, il capo chiamò a testimoni, ad alta voce, gli altri cronisti presenti nello stanzone: «Ehi, ragazzi, ' sto pivello di praticante vuol andar dietro ai "cupi". Adesso si sono fatti un loro sindacato, una specie di partitino, roba da matti! E secondo questo qui, noi dovremmo anche intervistarli, manco fossero prime donne». Per intenderci: «cupio», in torinese, è l' equivalente del «frocio» romanesco. All' allarme beffardo del capocronista vennero dai colleghi battutacce, pernacchie, scuotimenti ironici di teste: «Pure lui, chi l' avrebbe detto!». La reputazione fu salva solo perché era evidente il mio assiduo interesse per l' altro sesso. Comunque, nessuna notizia andò in pagina, né il giorno dopo né quelli seguenti, ma non ci fu alcun problema di concorrenza: neanche gli altri quotidiani pubblicarono alcunché. Tacque rigorosamente anche la redazione torinese de l' Unità: il perbenismo comunista superava quello clericale e per «i diversi», nell' Urss, c' era il Gulag, in Cina il colpo alla nuca, a Cuba i lavori forzati, nell' Africa allineata ai russi il «capestro».


 Ma passò qualche tempo, il F.U.O.R.I.! pubblicò un mensile che in edicola ebbe un buon successo, organizzò qualche manifestazione clamorosa, insomma divenne impossibile ignorarlo, anche perché dall' estero giungevano notizie di movimenti analoghi, ancor più agguerriti. Parlarne, ma come? Stando a quanto ha scritto lo stesso Angelo Pezzana, risulterebbe da un' inchiesta che, prima degli anni Settanta, sui giornali italiani non apparve mai la parola «omosessuale», usando - se proprio era necessario - «invertito» o, nei casi più benevoli, «diverso». Quando, alla fine, anche il mio quotidiano, dovette occuparsene, ero passato ad altri settori, non mi occupavo più di cronaca, dunque neanche di «quelli là», come li chiamavano. Ma fu significativo assistere alla ricerca di cronisti «volontari», di temerari che accettassero di firmare un articolo sui «cupi». Tutti si schermivano, dicevano con chiarezza che avevano paura di essere scambiati per uno che difendeva una parte che era anche la sua. Ora: una buona dose di conformismo contrassegna sempre chi lavora nei media. Ma proprio per questa obbedienza di tanti giornali alle mode culturali del tempo, è sgradevole lo sdegno di chi, oggi, vede ovunque «omofobia», sale in cattedra e invoca punizioni esemplari per chi ne sarebbe colpevole: per quanto conta sono testimone che, nella categoria, tante conversioni furono assai tardive, spesso obbligate. E ho visto di persona tanti conformisti attuali, paladini oggi di cause ormai stravinte, nascondersi un tempo sotto le scrivanie, pur di non dover firmare pezzi su quelli che definivano «invertiti».


 


****


La storia Primi passi Le prime associazioni gay italiane nascono negli anni 70 con Massimo Consoli promuovendo varie iniziative tra cui il TIPCCO (Tribunale internazionale permanente per i crimini contro l' omosessualità). Nel ' 79 nasce il Movimento identità transessuale e nell' 83 il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli (in foto) che si occupa di problemi di Aids e organizza i primi Gay pride. L' Arcigay In seguito vede la luce Arcigay e da allora si moltiplicano gruppi promotori di attività legate al mondo omosessuale


Messori Vittorio


Pagina 001.019 - (13 agosto 2012) - Corriere della Sera


(2) - Congregazione per la Dottrina della Fede - Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali - 3 giugno 2003 - Prefetto Joseph Card. Ratzinger


(3) - Congregazione per la Dottrina della Fede, 1° ottobre 1986. Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali Joseph Card. Ratzinger Prefetto


(4) - ibd (3)


(5) - ibd (3)


(6)-  ibd (3)


 




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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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DOCUMENTI. Omosessualità e ammissione al sacerdozio

Quando non è opportuno ammettere al sacerdozio


Intervista con il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, sull’Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri


Intervista con il cardinale Zenon Grocholewski di Gianni Cardinale da 30giorni del novembre 2005

Il 29 novembre è stata pubblicata l’Istruzione della Congregazione per l’educazione cattolica «circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri». Il documento, approvato in forma semplice dal Papa il 31 agosto, porta la firma del prefetto del dicastero, il cardinale Zenon Grocholewski, e del segretario, l’arcivescovo canadese Michael J. Miller, membro della Congregazione di San Basilio.
Il cardinale Zenon Grocholewski

Il cardinale Zenon Grocholewski

Per illustrare i principali contenuti dell’Istruzione, 30Giorni ha posto alcune domande al cardinale Grocholewski. Il porporato, nato 66 anni fa in Polonia (arcidiocesi di Poznan), lavora nella Curia romana fin dall’epoca di Paolo VI. Dopo aver studiato nell’Urbe, Grocholewski infatti, da semplice sacerdote, ha cominciato subito a lavorare nella Segnatura apostolica, di cui è diventato segretario nell’82 e prefetto nell’ottobre del 1998. L’anno successivo è stato chiamato a guidare la Congregazione per l’educazione cattolica, e nel 2001 è stato creato cardinale.

Eminenza, quali sono i motivi che hanno dato origine all’Istruzione?
ZENON GROCHOLEWSKI: Negli ultimi anni si sono diffuse opinioni errate o ambigue secondo le quali l’omosessualità sarebbe una tendenza naturale, iscritta nella natura umana accanto alla tendenza eterosessuale. Si è affermato che considerare l’omosessualità un disordine sarebbe una discriminazione e che atti omosessuali sarebbero giustificabili. Non solo. Le persone avrebbero un diritto a compiere questi atti. La diffusione di queste idee ha già provocato ripetuti interventi della Congregazione per la dottrina della fede. Si tratta infatti di opinioni che non trovano alcuna giustificazione nella dottrina della Chiesa: sono contrarie alla legge naturale, sono contrarie all’insegnamento della Sacra Scrittura e alla costante Tradizione della Chiesa. E visto che queste opinioni sono in qualche modo penetrate anche in alcuni ambienti ecclesiastici, la nostra Congregazione è stata invitata a intervenire da molti vescovi, da molti superiori di seminari e dalla stessa Congregazione per la dottrina della fede.

Questo intervento è stato determinato solo dalla diffusione di opinioni erronee o anche perché nei seminari il fenomeno dell’omosessualità ha assunto dimensioni rilevanti?
GROCHOLEWSKI: Sarebbe ingiusto dire che si tratta di un problema rilevante a livello della Chiesa universale. Si può dire però che in alcune aree geografiche il problema è più preoccupante.

Nella genesi dell’Istruzione ha avuto un ruolo anche la crisi dei sacerdoti accusati di pedofilia che ha colpito la Chiesa cattolica negli Stati Uniti?

GROCHOLEWSKI: In qualche modo sì, anche se la genesi del documento è precedente all’esplosione della crisi statunitense, che quindi non può essere considerata la causa di questo documento.
Un’ordinazione sacerdotale nella Basilica di San Pietro

Un’ordinazione sacerdotale nella Basilica di San Pietro


L’Istruzione ha ricevuto delle critiche anche all’interno del mondo ecclesiastico. L’ex maestro generale dei Domenicani, padre Timothy Radcliffe, sul
Tablet ha scritto di non avere dubbi che Dio chiama omosessuali al sacerdozio e che costoro «sono tra i più impegnati e dedicati preti che ho incontrato»…

GROCHOLEWSKI: Sappiamo che ogni vocazione sacerdotale è una chiamata del Signore, ma questa chiamata avviene tramite la Chiesa, nella Chiesa e per la Chiesa. Per questo la Chiesa ha il diritto, anzi il dovere di determinare i requisiti necessari per essere ammessi al sacerdozio. Non si può negare che anche alcuni con tendenze omosessuali possono esercitare il sacerdozio in maniera esemplare. L’oggetto del nostro documento tuttavia è il fatto che non è opportuno chiamare al sacerdozio queste persone. Capisco che si tratti di una decisione grave, ma non è stata presa alla leggera.

In che senso?

GROCHOLEWSKI: Non l’abbiamo presa da un giorno all’altro, con leggerezza. Abbiamo consultato più Congregazioni della Curia romana: quella per la dottrina della fede, per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, per l’evangelizzazione dei popoli, per il clero, per le Chiese orientali. Abbiamo discusso il documento in tre Assemblee plenarie della Congregazione, fino all’approvazione avvenuta nella riunione plenaria di quest’anno, cui hanno partecipato una trentina di cardinali provenienti da tutte le parti del mondo. È un documento frutto di riflessione e di discussione anche con esperti in materia. Alla fine si è deciso, appunto, che non è opportuno ammettere al sacerdozio chi pratica l’omosessualità, chi ha tendenze radicate all’omosessualità e chi promuove la cosiddetta cultura gay. Riteniamo per motivi pratici, di esperienza, e fondati sulla dottrina della Chiesa che non sia opportuno ammettere queste persone al sacerdozio, a causa di difficoltà che possono nascere; e l’esperienza ci ha insegnato che nascono!

Qual è il significato dell’espressione «tendenze profondamente radicate»? Quale può essere il caso di una tendenza omosessuale non «profondamente radicata»?

GROCHOLEWSKI: Non esiste uno strumento scientifico per misurare quanto profondamente sia radicata una tendenza. Il nostro documento comunque aiuta a discernere se si tratta di una tendenza profondamente radicata, ossia permanente e generata da un bisogno interno, o se si tratta di una tendenza transitoria causata da condizioni esterne. Come esempio di tendenza transitoria il nostro documento enumera il caso di un’adolescenza non compiuta. Ma ci possono essere anche altri casi. Ad esempio il caso di chi ha compiuto atti omosessuali in uno stato di ubriachezza, o di chi lo ha fatto a seguito di determinate circostanze, come l’aver vissuto per molti anni in un carcere. O di chi lo ha fatto per accondiscendenza verso un superiore o per guadagnare soldi. In questi casi comunque, per prudenza, per verificare che si tratti di una tendenza effettivamente transitoria, è bene che sia passato un tempo congruo, che il documento stabilisce in tre anni, prima che si proceda all’ordinazione diaconale.

L’Istruzione riguarda i seminari. E per quanto riguarda i sacerdoti già ordinati con tendenze omosessuali?

GROCHOLEWSKI: Evidentemente, queste ordinazioni sono valide: non si può affermare la loro invalidità. Anche quando una persona scopre la propria omosessualità dopo l’ordinazione sacerdotale, deve ovviamente realizzare il proprio sacerdozio, deve cercare di vivere in castità, essere fedele all’impegno preso e alla dottrina della Chiesa, come tutti gli altri sacerdoti. Forse avrà bisogno di maggiore aiuto spirituale di altri.


L’Istruzione è stata inviata con una lettera di accompagnamento, in cui si ricorda – appunto – che non è in discussione la validità delle ordinazioni già avvenute di candidati con forti tendenze omosessuali. Ma si invita a non far lavorare queste persone nei semi­nari…
GROCHOLEWSKI: Anche in questo caso si tratta di un problema di opportunità. In seminario si trovano ragazzi, giovani. Quindi si tratta per un omosessuale di un ambiente, per così dire, molto provocatorio. Senza contare che una eventuale leggerezza da parte di uno di loro avrebbe un impatto molto profondo nella vita di un seminarista. Per la Chiesa uno dei problemi fondamentali è la formazione dei sacerdoti: di buoni sacerdoti che siano di aiuto anche all’apostolato dei laici. Per questo dobbiamo avere molta cura per ciò che avviene nei seminari. Questo è il motivo per cui abbiamo invitato i vescovi a evitare che nei seminari ci siano rettori ed educatori omosessuali.

Nell’Istruzione si invitano i seminaristi con radicate tendenze omosessuali ad auto­denunciare la propria situa­zione…

GROCHOLEWSKI: Le parole del testo sono molto chiare: sarebbe «gravemente disonesto che un candidato occultasse la propria omosessualità per accedere, nonostante tutto, all’ordinazione. Un atteggiamento così inautentico non corrisponde allo spirito di verità, di lealtà e di disponibilità che deve caratterizzare la personalità di colui che ritiene di essere chiamato a servire Cristo e la sua Chiesa nel ministero sacerdotale». Qualora poi il padre spirituale o il confessore vengano a conoscenza del fatto che un seminarista ha radicate tendenze omosessuali, non possono ovviamente denunciare il fatto in foro esterno, ma devono fare il possibile per cercare di persuadere il seminarista a lasciare il cammino intrapreso.

Un gruppo di giovani seminaristi

Un gruppo di giovani seminaristi

Sempre secondo padre Radcliffe, con l’autodenuncia si corre il rischio che i candidati più sinceri abbandonino spontaneamente il seminario, mentre i più scaltri no…
GROCHOLEWSKI: Sarebbe una tragedia. Spero proprio che nei seminari si crei un’atmosfera di fiducia e di collaborazione e che questo non avvenga. È una questione di onestà fondamentale per chi vuole diventare sacerdote.

Nell’Istruzione non si fa il minimo cenno all’uso della psicologia…

GROCHOLEWSKI: Il documento non voleva affrontare tutta la problematica connessa con la maturità affettiva e sessuale del candidato al sacerdozio. La psicologia e la psichiatria possono aiutare le persone a liberarsi dalle tendenze omosessuali o a vivere castamente la propria condizione. Queste scienze potrebbero essere di un certo aiuto anche per quelle persone che accidentalmente hanno avuto rapporti omosessuali senza avere una tendenza profondamente radicata. Ma il nostro documento non ha voluto affrontare queste tematiche.

Da anni si parla di un apposito documento della vostra Congregazione dedicato proprio all’uso della psicologia nei seminari…

GROCHOLEWSKI: A questo proposito non ho nulla da dichia­rare.

*********************************

Da «tendenze innate» a «tendenze profondamente radicate»

Il Catechismo e l’omosessualità. Variazioni sul tema



di Gianni Cardinale

Il Catechismo della Chiesa cattolica tratta la questione della “Castità e omosessualità” ai nn. 2357-2359.
Ebbene, per quanto riguarda il capitoletto n. 2358, tra la prima versione del 1992 e l’
editio typica, normativa, del 1997, esiste una differenza.
Nel primo testo si parla di «tendenze omosessuali innate», mentre nel testo finale si introduce il concetto di «tendenze omosessuali profondamente radicate» di cui si parla nell’Istruzione pubblicata dalla Congregazione per l’educazione cattolica. Di seguito riportiamo le due versioni del capitoletto del
Catechismo con in neretto le parti che hanno subito la variazione.



n. 2358 del Catechismo della Chiesa cattolica, edizione 1992
Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali innate. Costoro non scelgono la loro condizione omosessuale; essa costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.

n. 2358 del Catechismo della Chiesa cattolica, editio typica 1997
Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.





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[Modificato da Caterina63 24/08/2012 21:30]
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[SM=g1740720] Omosessualità e genitorialità: realtà compatibili?
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Venerdì 07 Dicembre 2012 11:56Caterina Saccà (*)

Dawn Stefanowicz, Fuori dal buio. La mia vita con un padre gay, Edizioni Ares, Milano 2012.

I fratelli, Thomas e Scott, un padre omosessuale «cresciuto in una famiglia disastrata in cui venivano violate le barriere sessuali e si verificavano rapporti incestuosi», una madre fragile e sottomessa, affetta da diabete: in Fuori dal buio. La mia vita con un padre gay (titolo originale del libro, Out from Under: The Impact of Homosexual Parenting) Dawn Stefanowicz ripercorre i travagliati anni dall’infanzia alla prima giovinezza, in un coraggioso viaggio a ritroso nei bui meandri della memoria, alla ricerca di particolari da raccontare e da raccontarsi senza censure, in una narrazione schietta – perfino cruda e scabrosa in taluni passaggi – che si propone, al tempo stesso, come una storia di vita da condividere fino in fondo «in modo che il lettore possa facilmente comprendere gli effetti dell’influenza che i genitori e la famiglia hanno sui bambini», ma anche come una rielaborazione catartica, di grande valore psicoanalitico, capace di far emergere parole di perdono e di speranza anche là dove più laceranti affiorano le conseguenze traumatiche dell’esperienza.
La piccola Cynthia Dawn – questo è il suo nome completo – cresce nella Toronto degli anni Sessanta in una condizione di grave disagio familiare e personale in gran parte volutamente ignorata dal mondo esterno degli adulti, a cominciare da quello dei suoi insegnanti.


Tradita affettivamente da un padre assente, alla continua ricerca di relazioni gay da intrattenere con partner domestici e occasionali, e non adeguatamente sostenuta da una madre bisognosa a sua volta di aiuto, entra presto in una spirale di confusione e vergogna alimentata dall’esposizione diretta e precoce a pratiche di natura esplicitamente sessuale.

Uno stato di annichilimento della personalità e della dignità umana che si rinforza drammaticamente negli anni magmatici e tempestosi dell’adolescenza e che pregiudica sensibilmente gli stessi esordi giovanili, con l’acuirsi del quadro depressivo generale, particolarmente segnato dalla deflessione del tono dell’umore e dall’esplosione di tutta una serie di fattori predittori di rischio suicidario.

Anni di psicoanalisi e la profonda fede in Dio hanno consentito a Dawn di rappacificarsi in età adulta con questo passato ingombrante e traumatico, pesantemente contrassegnato da umiliazioni, inganni e vessazioni, aiutandola finalmente a fare piena chiarezza dentro di sé. E tuttavia, solo con la morte del padre – sconfitto dall’AIDS come molti dei suoi partner sessuali – e successivamente della madre, questa donna, divenuta nel frattempo moglie e mamma di un maschietto e una femminuccia, ha trovato il coraggio di rendere pubblica la sua terribile esperienza, allo scopo di «mostrare a tutti quanto le strutture parentali e famigliari possano incidere negativamente sullo sviluppo dei bambini».

[SM=g1740733] Più che un obiettivo, una vera e propria missione per l’ormai cinquantenne canadese, impegnata in giro per il mondo a testimoniare le ragioni del suo libro, in una battaglia a favore del benessere dei figli e dell’importanza della famiglia– istituzione naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna – e contro la legalizzazione delle adozioni e nozze gay.


Out from Under è un libro destinato a far parlare di sé, e non solo per la dolorosa storia personale di Dawn Stefanowicz. La possibilità di definire la genitorialità oltre i termini biologici – ed in questo quadro ragionare sui diritti delle persone omosessuali in materia di matrimonio e adozione – è un tema di stretta attualità che c’interroga nel profondo, sia sul piano morale che socioculturale, e che c’impegna ad un dibattito comunitario serio, foriero di leggi capaci innanzitutto di rispettare il diritto di ogni bambino di crescere e di essere educato nelle migliori condizioni possibili. E che in questa direzione la famiglia svolga un’insostituibile funzione non ce lo dice solo la Chiesa, ma anche recenti studi pubblicati sulla rivista Social Science Research, ultimi di un filone scientifico ricco di spunti di interesse.

Qualificare sbrigativamente come omofobe, o come fuorvianti e scorrette, le argomentazioni a sostegno della eterogenitorialità, oltre ad essere riduttivo, non apporta significativi elementi di crescita e di novità ad un dibattito pubblico destinato, in mancanza di un cambiamento di rotta, a scivolare nel pantano delle sterili schermaglie ideologiche. Tra l’altro, una recente inchiesta realizzata nel Regno Unito dall’agenzia ComRes per conto di Catholic Voices – pubblicata sul famoso quotidiano inglese Daily Telegraph e ripresa in un blog del quotidiano La Stampa – mostra come tra gli stessi gay e transgender siano in tanti a non considerare il matrimonio omosessuale una priorità.

Alla vigilia, dunque, di scelte destinate inevitabilmente a rinfocolare le polemiche – su tutte, le confermate aperture del governo francese in materia di diritto al matrimonio e all’adozione delle coppie omosessuali –, ben vengano anche testimonianze forti come quella di Dawn Stefanowicz, capaci di fornire concreti elementi di riflessione sul tema della identità e responsabilità genitoriale della famiglia ed in grado, almeno per una volta, di riportare tutti con i piedi per terra.

(*) Caterina Saccà neuropsichiatra infantile

[SM=g1740771]


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[SM=g1740733]  «Una lobby gay condiziona la Chiesa» di Roberto Marchesini20-12-2012

La Chiesa è infiltrata pesantemente da una potente lobby gay, che decide nomine e promozioni attraverso un meccanismo di ricatti e omertà. È questa la tesi sostenuta da don Dariusz Oko in un articolo pubblicato originariamente sulla rivista polacca “Fronda” (n. 63, pp. 128-160) e successivamente sulla rivista teologica tedesca “Theologisches”, suscitando molto rumore in tutt'Europa.
Roberto Marchesini ha intervistato don Oko in esclusiva per La Nuova Bussola Quotidiana.

Don Oko, quando e come, storicamente, si è affermata la lobby omosessualista all'interno della Chiesa?
Esistono diversi tipi di lobby, e da secoli esistono in tanti ambienti. Questo non è un aspetto specifico della Cheisa cattolica. Dopo il Concilio vaticano II, ai tempi della rivoluzione sessuale del 1968, la teologia cattolica morale ha cominciato ad accettare le idee che prima erano considerate estranee al Magistero della Chiesa e alla morale tradizionale. Uno degli esempi può essere l'insegnamento del prete cattolico americano Charles Curran, che difende l'uguaglianza degli orientamenti omosessuale ed eterosessuale. In questo modo l'omosessualità smise di essere considerata contro la legge naturale e contro la Rivelazione. Questo modo di considerare la sessualità umana è si è infiltrato in tanti seminari e monasteri nel mondo. In conseguenza, in molti seminari diocesani e abbazie di tutti i continenti hanno cominciato a sostenere l'idea che esistono due orientamenti sessuali equivalenti: eterosessuale ed omosessuale. Così si chiede ai chierici esclusivamente la castità, considerata come l'astinenza da atti impuri, e la capacità di vivere il celibato, senza entrare nel merito del loro orientamento o tendenze sessuali. In questo modo l'omosessualità come tendenza e tipo di personalità ha finito di essere un ostacolo all'ordinazione sacerdotale. Negli anni Settanta e Ottanta del Ventesimo secolo i sacerdoti con tendenze omosessuali hanno cominciato a creare molti problemi in tante diocesi ed abbazie nel mondo. Lo scandalo degli abusi sessuali su minorenni, esploso negli anni '80 negli USA, è in gran parte dovuto a preti gay e nel 2002 questa situazione ha portato a un vero e proprio terremoto. Nel 1989, don Andrew Greeley, scrittore e sociologo cattolico, ha scritto sul settimanale americano National Catholic Reporter di Kansas City a proposito della “mafia lavanda” [locuzione che indica la lobby gay all'interno della Chiesa cattolica] in un articolo che ha indignato alcuni e ha trovato d'accordo altri. Secondo Greeley il sacerdozio stava diventando sempre più gay, e non era più rappresentativo della Chiesa universale.

A questo proposito, lei parla di omoeresia. Quali sono le caratteristiche?
L'omoeresia è un rifiuto del Magistero della Chiesa cattolica sull'omosessualità. I sostenitori dell'omoeresia non accettano che la tendenza omosessuale sia un disturbo della personalità. Mettono in dubbio che gli atti omosessuali siano contro la legge naturale. I difensori dell'omoeresia sono a favore del sacerdozio per i gay. L'omoeresia è una versione ecclesiastica dell'omosessualismo.

Quali reazioni ha suscitato, in ambienti ecclesiastici, il suo articolo? Come è stato accolto?
Le reazioni sono state soprattutto positive e hanno fatto gioire i miei amici che hanno partecipato alla nascita del mio lavoro. Queste voci hanno dato soddisfazione anche a tutti i credenti fedeli alla Santa Sede. Ci sono state così tante citazioni su diversi media che non è possibile ricordarle tutte. È sempre più difficile trovare un sacerdote in Polonia che non conosca il mio articolo. Tanti laici e sacerdoti mi hano ringraziato, mi hanno fatto i complimenti per le mie conoscenze e il mio coraggio, mi hanno dato informazioni nuove e più dettagliate a sostegno delle tesi del mio testo. Tante persone hanno sottolineato quanto sia importante toccare questo tema perché la degenerazione moale dei sacerdoti distrugge qualcosa di particolarmente importante per la Chiesa, la colpisce al cuore. Ho ricevuto queste risposte soprattutto dagli educatori dei seminaristi.
Vescovi, abati e rettori di seminari mi hanno detto che questo articolo è un strumento molto utile per il loro lavoro, perché da una parte ricorda e raccoglie i punti chiave del Magistero sul divieto di ordinazione per le persone di tutte le tendenze omosessuali; dall'altra aiuta la riflessione e a risolvere i dubbi sull'argomento, anche se qualcuno potrebbe averne ancora.
Accolgo con particolare piacere l'opinione molto positiva di questo articolo da parte di un certo numero di suore, insegnanti, amici da una varietà di istituzioni laiche e religiose; in particolare i due sacerdoti che vengono considerati correttamente come quelli con la più alta autorità spirituale e morale della Chiesa polacca: don Edward Staniek e don Mark Dziewieckiego. Entrambi sono persone coscienziose libere dalla dipendenza dal giudizio altrui; persone di grande amore per la Chiesa, con una conoscenza particolarmente vasta ed approfondita su di Essa.

Nel suo articolo lei valorizza i laici nella lotta per la purificazione della Chiesa. Quale può essere il loro ruolo?
Vorrei focalizzare l'attenzione su due cose concrete. La prima riguarda il modo in cui i laici devono reagire nei casi di rapporti sessuali su un minorenne negli ambienti ecclesiastici, da parte di sacerdoti, animatori di gruppi di preghiera, insegnanti, scout, ecc. In questi casi, purtroppo, esiste una vera e propria congiura del silenzio. C'è la necessità di maggior coraggio ed impegno da parte dei laici.
La seconda riguarda i seminari. Purtroppo i laici hanno poca o nessuna conoscenza di come i futuri sacerdoti sono formati. Eppure nei seminari si decide in modo determinante il futuro della Chiesa. C'è bisogno di un maggior coninvolgimento dei laici al fine di non permettere l'ordinazione degli omosessuali. Tutti, clero e laici, dobbiamo sostenere gli sforzi di Papa Benedetto XVI il quale, invece della divisione tra l'omosessualità attiva e quella passiva, nei documenti ufficiali introduce una distinzione tra tendenze omosessuali transitorie, che accadono nel periodo dell'adolescenza, e quelle profondamente radicate. Tutte e due le forme di omosessualità, e non più soltanto l'omosessualità attiva, costituiscono un impedimento all'ordinazione sacerdotale. L'omosessualità non è conciliabile con la vocazione sacerdotale. Di conseguenza, non è solo rigorosamente vietata l'ordinazione di uomini con qualsiasi tipo di tendenza omosessuale (anche se transitoria), ma anche la loro ammissione in seminario.

Lei ipotizza soluzioni per aiutare la Chiesa ad uscire da questa crisi. Ma cosa si può fare per aiutare i sacerdoti con tendenze omosessuali? E per i sacerdoti gay?
Gli uomini con tendenze omosessuali già ordinati diaconi, preti e vescovi conservano la validità delle ordinazioni, ma sono obbligati ad osservare tutti i comandamenti di Dio nonché di tutte le disposizioni della Chiesa. Così come gli altri preti, devono vivere in castità e cessare ogni azione contro il bene della persona umana e della Chiesa, qualsiasi attività di carattere mafioso e soprattutto atteggiamenti di rivolta contro il Santo Padre e la Santa Sede. I sacerdoti afflitti da disturbi del genere sono fortemente indirizzati ad intraprendere al più presto una terapia adeguata.
 

CHI E' DON DARIUSZ OKO

Don Dariusz Oko, nato nel 1960 ad Oswiecim, è stato ordinato sacerdote nel 1985; è prete dell'arcidiocesi di Cracovia, dottore di ricerca in filosofia ed in teologia, professore al Dipartimento di Filosofia dell'Università Pontificia Giovanni Paolo II di Cracovia. I principali settori delle sue ricerche scientifiche sono: metafisica, filosofia di Dio, teologia contemporanea, zone di confine tra filosofia e teologia, critica dell'ideologia atea. Per sei anni ha studiato in diverse università in Germania, Italia e negli Stati Uniti. Dopo l'ordinazione sacerdotale, insieme al lavoro scientifico, ha sempre svolto quello di ministro cattolico come sacerdote residente in diverse parrocchie europee ed americane.
Per sedici anni è stato direttore spirituale degli studenti e dall'anno 1998 è direttore spirituale dei medici nella sua diocesi. Nel corso di studi, congressi scientifici e pellegrinaggi con i medici ha visitato circa quaranta Paesi di tutti i continenti. In Polonia è conosciuto come editorialista e i suoi articoli sono stati spesso accolti con riconoscimento ed hanno dato origine a discussioni e dibattiti a livello nazionale.

- INTERVENIRE CON DECISIONE, di Riccardo Cascioli
 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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04/02/2013 22:32
 
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Che tra i sacerdoti ci siano alcuni omosessuali non è una novità e non è questo il problema posto da don Dariusz Oko nell’intervista che pubblichiamo in Primo Piano. Nessuno vuole criminalizzare una tendenza sessuale né ergersi a giudice di coloro che – per debolezza o altro – peccano gravemente. Siamo i primi noi a dover chiedere perdono per i nostri peccati. Ma la Chiesa ha sempre distinto tra peccato – da condannare – e peccatore, da salvare.

Quello che invece è un grave problema per la Chiesa è il tentativo in atto di trasformare il peccato in dottrina, ed è quello che intende espressamente don Oko quando parla di omoeresia e di lobby gay. Che ci siano oggi diversi sacerdoti tranquilli nel conciliare la vocazione con il comportamento omosessuale è purtroppo emerso con chiarezza sia da indagini giornalistiche – vedi due anni fa il servizio di Panorama sulle notti brave dei preti gay a Roma – sia da recenti casi di cronaca. Ma certa tranquillità non può non mettere in discussione ciò che si insegna nei seminari, e alcuni piani pastorali per omosessuali approvati anche nelle diocesi italiane sono la prova che il pensiero omosessualista, che mette sullo stesso piano tendenze etero e omosessuali, si sta diffondendo anche nelle gerarchie.

L’aspetto però più inquietante della denuncia di don Oko è quello riguardante una vera e propria lobby gay, capace di condizionare pesantemente la vita della Chiesa, garantendo carriere ecclesiali e impunità ai preti omosessuali. Ecco come don Oko descrive nell’articolo originale pubblicato in Polonia quella che definisce anche una omomafia:

“Bisogna comprendere e cercare di rispettare nel miglior modo possibile i nostri fratelli omosessuali, come ogni persona umana. Essi molte volte provano con tutte le forze a resistere alle loro tentazioni, ed alcuni ci riescono anche, e vivono in modo onesto e perfino santo (…) Comunque sanno molto bene di rischiare lo smascheramento e il discredito, e perciò si supportano a vicenda. Formano dei gruppi informali, delle combriccole, e perfino una specie di mafia, cercando di dominare soprattutto i luoghi dove albergano potere e denaro. Una volta raggiunta una carica decisionale, cercano di appoggiare e di promuovere prima di tutto le persone dalla natura simile alla loro oppure almeno quelle di cui sono certi che non si opporranno mai per il loro debole carattere. In tal modo può avvenire che la Chiesa si trovi ad avere in posizioni direttive persone profondamente corrotte, persone molto lontane dal livello spirituale degno di una carica importante, persone false e particolarmente esposte ai ricatti degli avversari del cristianesimo (…) Altre volte, quando un vicario tenta di difendere i giovani dalle molestie sessuali di un parroco è proprio lui, e non il parroco, ad essere richiamato all'ordine, vessato ed infine trasferito. Per aver svolto con coraggio il proprio dovere costui si ritrova a vivere esperienze dolorose. Succede che, con un'azione organizzata, egli venga ricattato, umiliato e diffamato sia nell'ambiente parrocchiale che sacerdotale. Inoltre, quando un prete o un frate subiscono loro stessi delle molestie sessuali da altri colleghi e superiori e cercano di chiedere aiuto e difesa ai livelli più alti, può accadere che incontrino un omosessuale ancora più importante”.

Don Oko cita anche casi concreti negli Stati Uniti, in Polonia e in Irlanda, ma è certo che il caso clamoroso in cui la lobby gay ha mostrato tutta la sua forza è nell’aver allontanato da sé le attenzioni a proposito dello scandalo pedofilia che ha sconvolto diversi episcopati. In realtà le ricerche fatte, soprattutto negli Usa, partendo dalle denunce per pedofilia, hanno messo in evidenza che in oltre l’80% dei casi non si tratta di vera pedofilia (abusi su bambini in età prepuberale) ma di efebofobia (abusi su adolescenti) che è una degenerazione dell’omosessualità. E’ questo dunque il vero problema che sta alla base degli abusi sui minori, ma è un argomento che sembra tabù nella Chiesa, grazie anche alla copertura dei principali mezzi di comunicazione che hanno tutto l’interesse a sfruttare gli scandali per mettere in discussione l’insegnamento della Chiesa sulla sessualità, compreso il celibato dei preti.

Pur senza cedere al complottismo e senza esagerare le dimensioni del fenomeno (è chiaro che la stragrande maggioranza dei sacerdoti vive in modo coerente la propria vocazione) è però venuto il momento di guardare in faccia la realtà e di affrontare il problema per quello che è, perché quando un insegnamento contrario al Magistero (soprattutto nel campo delle tendenze sessuali) mette radici nei seminari, vuol dire mettere a rischio intere generazioni di (futuri) sacerdoti.




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Disse Santa Ildegarda di Bingen, Dottore della Chiesa, riguardo all’omosessualità:


“ll serpente antico gioisce per tutte le punizioni con cui l’uomo è castigato nell’anima e nel corpo. Lei, che ha perso la gloria celeste, non vuole che nessun uomo possa raggiungerla. In realtà, non appena si rese conto che l’uomo aveva accolto i suoi consigli, iniziò a progettare la guerra contro Dio, dicendo: <<Attraverso l’uomo porterò avanti i miei propositi>>”
“Nel suo odio, il serpente ha ispirato gli uomini a odiarsi fra loro e, con lo stesso cattivo sentimento, li ha indotti a uccidersi gli uni gli altri.”
“E il serpente disse: <<Manderò il mio soffio affinché la successione dei figli degli uomini si spenga, e allora gli uomini bruceranno di passione per gli altri uomini, commettendo atti vergognosi>> ”.

“E il serpente, provandoci godimento, gridò: <<Questa è la suprema offesa contro Colui che ha dato all’uomo il corpo. Che la sua forma scompaia perché ha evitato il rapporto naturale con le donne>>.”

“È quindi il diavolo che li convince a diventare infedeli e seduttori, che li induce a odiare e a uccidere, diventando banditi e ladri, perché il peccato di omosessualità porta alle più vergognose violenze e a tutti i vizi. Quando tutti questi peccati si saranno manifestati, allora la vigenza della legge di Dio sarà spezzata e la Chiesa sarà perseguitata come una vedova”

Citazioni tratte dal “Liber Divinorum Operum” di Santa Ildegarda di Bingen rinvenute nel n° 55 (anno 18, dicembre 2012) della rivista “Tradizione-Famiglia-Proprietà”.
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E un altro articolo sempre da lanuovaBussola
di Massimo Introvigne, del 22,12,2012

Benedetto XVI ha impartito alcuni dei suoi più memorabili insegnamenti con i discorsi annuali alla Curia romana per gli auguri natalizi, che ha trasformato in un vero e proprio nuovo genere letterario. In questo discorsi, ogni anno, ricorda i momenti più importanti del suo Magistero nei dodici mesi passati e segnala le sfide principali per la Chiesa per il tempo a venire.


Per il 2012 il Papa segnala come «momenti salienti» del suo Magistero il viaggio in Messico e a Cuba, la Festa delle Famiglie a Milano, l'esortazione apostolica post-sinodale «Ecclesia in Oriente» consegnata durante il viaggio in Libano, e il Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Non certo come mera nota di colore, ma perché è un grande segno di speranza, il Pontefice ricorda il grande successo di popolo dei suoi viaggi, che sempre regolarmente smentisce lo scetticissimo dei media. «Ricordo che, dopo l’arrivo in Messico, ai bordi della lunga strada da percorrere, c’erano interminabili schiere di persone che salutavano, sventolando fazzoletti e bandiere. Ricordo che durante il tragitto verso Guanajuato, pittoresca capitale dello Stato omonimo, c’erano giovani devotamente inginocchiati ai margini della strada per ricevere la benedizione del Successore di Pietro; ricordo come la grande liturgia nelle vicinanze della statua di Cristo Re sia diventata un atto che ha reso presente la regalita? di Cristo». E le stesse scene di entusiasmo si sono ripetute a Cuba e in Libano.

I punti salienti del Magistero del 2012 annunciano anche le sfide del 2013. Il Papa le ha riassunte in tre punti: fare fronte alle ideologie che minacciano la famiglia e la stessa persona umana, nella linea tracciata dai suoi interventi a Milano; impostare correttamente il dialogo interreligioso, specie con l'islam, riprendendo l'esortazione «Ecclesia in Oriente»; trarre il massimo profitto dall'Anno della fede per la nuova evangelizzazione, dando un seguito concreto al Sinodo.

L'aspetto più grave della situazione attuale, ha detto il Papa, è una crisi della famiglia che «la minaccia fino nelle basi». È una sfida radicale che minaccia l'essenza della persona umana: «nella questione della famiglia non si tratta soltanto di una determinata forma sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto». La famiglia è in crisi perché la persona è in crisi. «Il rifiuto del legame umano, che si diffonde sempre piu? a causa di un’errata comprensione della liberta? e dell’autorealizzazione, come anche a motivo della fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, significa che l’uomo rimane chiuso in se stesso e, in ultima analisi, conserva il proprio “io” per se stesso, non lo supera veramente».

Ma questa crisi, ha detto con coraggio il Pontefice, deriva anche dall'attacco metodico di forze che propongono una vera «rivoluzione antropologica» in nome della più pericolosa ideologia apparsa negli ultimi anni, quella del gender.

«Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim - ha detto il Papa -, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante ["Mariage homosexuel, homoparentalité et adoption. Ce que l'on oublie souvent de dire"], ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora piu? profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della liberta? umana, ora diventa chiaro che qui e? in gioco la visione dell’essere stesso, di cio? che in realta? significa l’essere uomini». Sulla scia di Bernheim il Papa ricorda «l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir [teorica francese del femminismo, 1908-1986]: "Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne nai?t pas femme, on le devient”). In queste parole e? dato il fondamento di cio? che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia della sessualita?. Il sesso, secondo tale filosofia, non e? piu? un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensi? un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la societa? a decidervi».

Si tratta di una delle più gravi sfide cui la Chiesa si è trovata di fronte nella sua storia. E non solo la Chiesa: l'ideologia del gender minaccia tutta la società e sovverte la stessa persona umana. «La profonda erroneita? di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente e? evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeita?, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli e? data come fatto precostituito, ma che e? lui stesso a crearsela».

Si tratta in ultimo, afferma Benedetto XVI, di una rivolta contro Dio. «Non e? piu? valido cio? che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creo?” (Gen 1,27). No, adesso vale che non e? stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora e? stata la societa? a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realta? della creazione, come natura della persona umana non esistono piu?. L’uomo contesta la propria natura. Egli e? ormai solo spirito e volonta?». Con questa scelta faustiana l'uomo in concreto, propriamente, muore. «Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per se? autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale».

La crisi della famiglia è solo un aspetto di una crisi globale. «Dove la liberta? del fare diventa liberta? di farsi da se?, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con cio?, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio». Ma «dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignita? dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo».

A questa difesa dell'uomo di fronte a minacce radicali e inaudite la Chiesa convoca tutte le religioni e anche i non credenti che credono nel diritto naturale. È questa la seconda sfida per il 2013: capire bene la nozione di dialogo. Il Papa fa riferimento al suo viaggio in Libano e ribadisce che «il dialogo delle religioni e? una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto e? un dovere per i cristiani come pure per le altre comunita? religiose». Il dialogo, oggi, deve partire non tanto dalla teologia, ma dall'antropologia e dal diritto naturale.

Questo vale anche nel caso, così obiettivamente difficile, dell'islam. Benedetto XVI ricorda le due regole del dialogo di cui parlano diversi documenti di dicasteri vaticani: «1. Il dialogo non ha di mira la conversione, bensi? la comprensione. In questo si distingue dall’evangelizzazione, dalla missione. 2. Conformemente a cio?, in questo dialogo ambedue le parti restano consapevolmente nella loro identita?, che, nel dialogo, non mettono in questione ne? per se? ne? per gli altri». «Queste regole - commenta il Papa - sono giuste. Penso, tuttavia, che in questa forma siano formulate troppo superficialmente. Si?, il dialogo non ha di mira la conversione, ma una migliore comprensione reciproca: cio? e? corretto. La ricerca di conoscenza e di comprensione, pero?, vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verita?.».

A costo di correggere qualche documento dei dicasteri preposti al dialogo, il Pontefice osserva che «sarebbe troppo poco se il cristiano con la sua decisione per la propria identita? interrompesse, per cosi? dire, in base alla sua volonta?, la via verso la verita?. Allora il suo essere cristiano diventerebbe qualcosa di arbitrario, una scelta semplicemente fattuale. Allora egli, evidentemente, non metterebbe in conto che nella religione si ha a che fare con la verita?». Dialogo sì, dunque: ma senza mai rinunciare all'annuncio, senza mai il più piccolo cedimento al relativismo, che alla fine favorisce le ideologie anti-religiose e danneggia tutte le religioni.

Per resistere a queste ideologie e proporre un dialogo che non sia relativista, è necessario anzitutto che i cristiani siamo cristiani. Ecco allora la terza sfida del 2013: trarre davvero profitto dall'Anno della fede, conoscere la verità della fede cattolica, essere «docili» al Magistero, acquisire e sviluppare il senso della Chiesa. L'ideologia ci ha lanciato una sfida radicale. C'è bisogno di cattolici che lo siano veramente, e che quindi siano capaci di dialogare con gli altri in modo non relativista, per rispondere in modo adeguato.

- PARLARE DI CRISTO RE SUL FINANCIAL TIMES






SI LEGGA ANCHE: «Nella Chiesa è in atto un golpe omosessualista»

Dopo la recente intervista a Don Dariusz Oko e quella pubblicata da La Bussola Quotidiana a Gerard van den Aardweg, La Nuova Bussola Quotidiana continua la sua indagine sul tema della lobby gay all'interno della Chiesa con questa conversazione con don Ariel S. Levi di Gualdo, sacerdote romano che nel 2011 ha pubblicato per l'editore Bonanno il libro E Satana si fece Trino. Relativismo, individualismo, disubbidienza: analisi sulla Chiesa del terzo millennio. Il secondo capitolo di questo lavoro è interamente dedicato alla presenza omosessualista all'interno della Chiesa, e non sarà inutile ricordare che proprio alla vigilia di Natale, parlando alla Curia Romana, il Papa si è a lungo soffermato sulla grave minaccia per la Chiesa rappresentata dall'ideologia del gender.

Don Ariel, lei definisce la presenza gay all'interno della Chiesa una “Via crucis”. Perché?
Giusto precisare "all’interno della Chiesa”, perché non ho mai fatto battaglie contro i gay in quanto tali. Ho trattato sempre col massimo rispetto ogni persona con tendenze omosessuali che mi ha avvicinato. Alcuni mi hanno chiesto sostegno spirituale, altri si sono presentati al mio confessionale dal quale non sono mai usciti senza assoluzione. Compito mio è amministrare la grazia e il perdono di Dio. Molti i motivi e i condizionamenti socio-psicologici per cui i giovani del XXI secolo possono essere indotti a uno stile di vita che non amo definire «malvagio» o «disordinato». Preferisco la più paterna espressione di “stile di vita non cristiano”, memore che Gesù avverte: «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio» (Mt. 21, 32). Per questo scrivo: «I gay sono compatibili col Paradiso, forse più ancora d’altri generi di peccatori tollerati spesso con grande diplomazia anche dalla migliore morale cattolica. Non lo sono però col sacerdozio, all’interno di un mondo al maschile composto di uomini ai quali è chiesto un equilibrio sessuale raggiungibile, ma non facile da raggiungere e mantenere» (E Satana si fece Trino, p. 221). Quando fui consacrato sacerdote il vescovo mi esortò: «Sii sempre te stesso». In che misura si può dire a un prete gay: «Sii sempre te stesso»? O si può forse impostare il ministero sacerdotale sulla finzione, la doppia vita? Pertanto, anziché camminare col Signore come i discepoli lungo la Via di Emmaus (Lc. 24, 13-35), i gay preti si troveranno in transito su una Via Crucis perenne e fine a se stessa che non li guiderà alla pietra rovesciata del sepolcro vuoto del Cristo, con grave danno a se stessi e alla Chiesa. Il tutto non perché sono persone con tendenze omosessuali alle quali perdono, grazia e salvezza non sono preclusi ma perché non possono essere liberamente e felicemente se stessi. Ecco allora che il gay prete, a differenza di quello laico, rischia di vedersi seriamente precludere il perdono, la grazia e la salvezza della propria anima.

Perché ha deciso di denunciare in modo pubblico questo fenomeno? Quali obiettivi si è posto? Non sarebbe stato meglio un pietoso silenzio?
Perché il mio divino “datore di lavoro”, il Verbo Incarnato, per meglio annunciare la verità assunse la nostra natura umana. Quindi la verità divina, in Gesù e tramite Gesù, prende forma in un corpo, ha un volto, una gestualità davanti alle folle. La frase: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv. 1, 14) equivale a dire che la Verità divenne visibile, palpabile. Questa concretezza chiusa nei Vangeli ci indica lo stile di comportamento e di azione, per esempio: «Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare» (Lc. 9, 38-47). Per questo nella prima parte del libro chiarisco cos’è la carità e quanto essa sia inconcepibile senza la verità e la giustizia. Pertanto, non esercitare all’occorrenza la carità con fermezza, che vuol dire anche ripristinare la dottrina e l’autorità della Chiesa, porta a una corruzione dell’idea di carità, mutandola in una parodia dopo averla svuotata del suo senso vero. Quando la cristologica carità si muta in “carità” clericale, ecco nascere mille pietosi silenzi, mirati di fondo a sostituire il vero divino col verosimile umano.

L’obiettivo che come uomo e prete mi pongo è di essere vivo servitore partecipe della verità del Verbo Incarnato. Le parole dure e dirette rivolte da Gesù contro i malcostumi del potere corrotto del decadente clero giudaico dell’epoca lo hanno portato al fallimento della croce, ma poco dopo alla gloria della risurrezione, perché Gesù, il Verbo, «era Dio» (Gv. 1,1). Oggi verso i malcostumi del potere corrotto del decadente clero cattolico Gesù userebbe le stesse parole: «Razza di vipere (Lc. 3,7) sepolcri imbiancati» (Mt. 23, 27). Se entrasse in quella succursale di Sodoma e Gomorra alla quale alcuni hanno ridotto il Vaticano, al punto da far dire al Sommo Pontefice: «Pregate perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi» (Omelia del 24.04.2005), chissà quante frustrate elargirebbe ai moderni mercanti del tempio (Mc. 11, 15-19). Urlando, sulle parole del Profeta Geremia, non solo: «Avete fatto della mia casa una spelonca di ladri» (7,11). Forse direbbe: «Una spelonca di ladri e un lupanare di gay inebriati dai fumi aromatici degli incensi, tra pizzi e merletti dei paramenti barocchi». E di nuovo conoscerebbe il sinedrio e la croce. E chissà quanti vescovi, preti e teologi lo accuserebbero di superbia, togliendogli credito e affermando che non ha titolo per parlare: «Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria?» (Mt. 13, 55).

Quali sono gli scopi di questa lobby? Quali meccanismi utilizza?
La distruzione interna della Chiesa, è evidente! Alcuni anni fa feci la formazione per il ministero di esorcista che poi il mio vescovo mi conferì, benché lo abbia esercitato due volte soltanto. Dinanzi a casi di presunte possessioni sono molto scettico, la quasi totalità sono casi di interesse psichiatrico da indirizzare presso specialisti clinici. Ho avuto però modo di trovarmi dinanzi a un caso autentico e credo di avere percepito – non capito, solo percepito – quanto il Mistero del Male sia intelligenza allo stato puro che nessuno di noi può combattere con le proprie forze. Ciò con buona pace di un esorcista che in televisione affermò: «No, io non ho paura del Demonio, è lui che deve avere paura di me!». Ora dico: il Demonio ha osato tentare persino Dio incarnato (Mt. 4, 1-11. Mc. 1,12-13. Lc. 4, 1-13), ce lo vedete ad avere paura di un mite esorcista novantenne? Per realizzare i propri scopi Satana usa raffinate arti sovrumane seminando confusione e creando strutture di inversione, attraverso le quali il bene diventa male, il male bene, la virtù vizio e il vizio virtù, la sana dottrina diventa eresia e l’eresia sana dottrina. Da questo si sono sviluppate le metastasi che hanno infettato il corpo ecclesiale, generando una mancanza di governo della Chiesa indebolita da un relativismo teologico gnostico, da un individualismo esasperato e dalla disubbidienza all’autorità del Sommo Pontefice e dei Vescovi. Questo meccanismo di inversione mira a sostituire Dio col proprio Io, basta udire certi preti teologi in giacca e cravatta che nella stagione del post concilio hanno creato il loro personale concilio egomenico e che dalle cattedre delle università pontificie insegnano il discutibile magistero di se stessi. Non a caso le loro parole più ricorrenti sono: «Come io sostengo … come io ho scritto … come io ho detto a quel cardinale che mi ha dato ragione … ».

Perché secondo lei la presenza di uomini con tendenze omosessuali è così massiccia all'interno del presbiterato? Il sacerdozio attira questi uomini, oppure la formazione nei seminari contribuisce alla nascita di queste tendenze? Da dove nasce questa apparente compatibilità tra la vita consacrata e una personalità omosessuale?
Nel mio libro parlo della omosessualizzazione della Chiesa che nasce da complessi problemi storici e sociali. Ho 49 anni e, se penso ai preti della mia fanciullezza, dinanzi a me ho solo immagini di maschi sopra ogni sospetto. Se talvolta c’erano problemi erano legati a faccende di donne, a volte sino all’abbandono del sacerdozio. Siamo cauti però col dire che all’epoca c’era un clero più sano. Era diversa la società, nessuno avrebbe ostentato certe gaiezze. Per trattare questo tema bisogna essere onesti: «Dopo avere a lungo sparato sul sesso come fosse il peccato dei peccati, oggi stiamo subendo il colpo di rinculo e per opere e omissioni, noi preti, potremmo apparire i meno indicati a parlare in modo credibile di morale sessuale e di bioetica, valutati da una parte i numerosi casi di ecclesiastici affetti da disordini sessuali originati dalla loro insita incompatibilità col sacerdozio e con l’episcopato; e dall’altra le violazioni della dignità umana che si registrano anche dentro la Chiesa» (E Satana si fece Trino, p. 178). Abbiamo creato pontifici consigli per la giustizia e la pace, per la famiglia, la sanità e la bioetica, ma pare che il lupo si sia rivestito sempre più di pelo senza perdere il vizio. O per dirla in concreto: quando denunciai al Vicariato di Roma, con prove e testimoni, un parroco che coi soldi della Chiesa manteneva un giro di marchettari (op.cit., p. 185), non solo fui allontanato da quella basilica, mi fu tolto anche il celebret della Diocesi di Roma, il cui vescovo lamentò nel 2010 ai cattolici d’Irlanda «una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona». Dinanzi alle denunce che presentai ai vari dicasteri della Santa Sede, inclusa la Segreteria di Stato – sempre supportato dal mio vescovo che giudicò inaudito tale sprezzo autocratico di ogni legge della Chiesa – non ho ricevuto nemmeno risposta. Questo intendo dire parlando di meccanismi di inversione: la giustizia diventa ingiustizia e l’ingiustizia diventa giustizia …

La verità è che da fine anni Sessanta si sono rotti rigidi equilibri anche basati su processi di repressione sessuale, a partire dall’ambito formativo dei seminari. In un trentennio è stata intaccata la dottrina e messo in discussione il deposito della fede; tutto è diventato relativo o soggetto a eccentrici esperimenti, basti pensare alla liturgia o quella che taluni chiamano la teologia antropologica. Infine siamo giunti alla omosessualizzazione della Chiesa e all’omosessualismo al potere. Bisogna correre ai ripari e ripensare quanto prima i seminari che sortiscono l’effetto di rendere i futuri preti clericali nel cervello anziché cristiani nell’anima. Spesso nei seminari mancano educatori, posto che prima di educare bisogna avere ricevuto una sana e solida educazione. Per questo mi sono ritrovato più volte a raccogliere giovani a pezzi, talvolta in crisi di fede che, “rei” di essere eterosessuali, sono stati espulsi dal seminario da formatori più o meno gay che proteggevano seminaristi palesemente gay. Per non parlare di cosa accade in certi antichi ordini storici, dove per secoli si è guardato al “povero” clero secolare “plebeo” con aria di sufficienza. Ah, quali lezioni dà la vita quando rovescia la fierezza dai troni! Oggi a entrare nei noviziati di certe millenarie abbazie o in qualche ateneo monastico c’è da temere di prendere malattie veneree solo a respirarne l’aria, dato che per non chiudere bottega certi augusti ordini religiosi si sono ridotti a raccattare quelli che noi sbattiamo fuori dai seminari, inutile a dirsi: per motivi morali gravissimi. Questa apparente compatibilità tra la vita consacrata e una personalità omosessuale, nasce da questi squilibri che hanno generato un vero golpe dell’omosessualismo. O per dirla cruda: «Alcuni seminaristi che negli anni Settanta e Ottanta capeggiavano all’interno dei seminari la pia confraternita, oggi sono vescovi, ed appena divenuti tali, per prima cosa si sono circondati di soggetti affini, piazzati sempre e di rigore in tutti i posti chiave delle diocesi, seminari inclusi, proteggendosi e riproducendosi tra di loro» (op.cit., p. 216) «estetizzando vuotamente la fede e omosessualizzando la Chiesa» (p. 195).

Quali rimedi propone per risolvere questo problema?
L’autorità apostolica. Parola che spaventa, quella di “autorità”, perché molti teologi egomenici del “più collegialità” e “più democrazia”, la confondono con l’autoritarismo e con l’arbitrio autocratico; proprio quell’autoritarismo esercitato con aggressività dalle frange ultra progressiste o da certe aggregazioni laicali settarie verso chi non la pensa come loro. «La Chiesa è legittima depositaria di un potere coercitivo che Dio le ha affidato e che all’occorrenza deve usare in modo deciso, per evitare ogni forma d’anarchia al suo interno. Per potere coercitivo non s’intende uno Stato di polizia inquisitoria ma solo affermare la difesa della verità contro l’errore e l’insolente ribellione degli uomini accecati dall’individualismo» (op.cit., p. 80). La Santa Sede ha prodotto vari documenti ed esortazioni a tal proposito, ma di giorno in giorno sono testimone della loro non applicazione, perché siamo di fronte a una vera epidemia, dinanzi alla quale non esiste altra soluzione che l’agire come indica il Vangelo: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna» (Mt. 5, 29-30). Noi seguitiamo invece a mettere nell’occhio il collirio alla camomilla, consolandoci con l’idea che la Chiesa «ha superato momenti anche peggiori». Cosa falsa, perché in epoche passate la Chiesa è stata attaccata dall’esterno da forze che potevano contare sull’appoggio di pochi o tanti traditori interni. Oggi invece è attaccata non solo dall’esterno, perché al suo interno produce il male che la divora, col rischio di mutarsi in una struttura di peccato che produce peccato. In quali epoche passate è accaduto qualcosa di simile? Neppure ai tempi di Giovanni XII, il ragazzo eletto Romano Pontefice nel 955 a 18 anni e morto in circostanze non proprio edificanti a 26.

Quali sono state le reazioni alla sua denuncia? Come hanno reagito i suoi confratelli?
All’apparenza totale indifferenza, affinché neppure un sospiro si spargesse tra le membra del Popolo di Dio. Sul piano privato diversi prelati mi hanno convocato, unanimi nell’affermare che avevo reso un bel servizio alla verità. Qualcuno è giunto a usare espressioni così lusinghiere da imbarazzarmi, forse a riprova che quando il Diavolo tenta di stuzzicarti nella vanità si veste sempre di Rosso Prada? Ottimo. In concreto però, questi solidali complimentatori, cosa hanno fatto per favorire la diffusione di un’opera da loro definita come «servizio alla Chiesa»? Niente. Sapendo che vivo sotto il tiro dei cecchini omosessualisti della potente mafia clerical gay, cosa hanno fatto per disarmarli, o per proteggermi? Niente. Essere ridotti a carne da macello per noi preti fa parte dei rischi del mestiere, è scritto nel carattere indelebile del sacerdozio che abbiamo ricevuto, perché siamo stati chiamati a divenire una sola cosa con l’Agnello Immolato, Cristo Salvatore. In fondo, conoscendo un po’ la vera essenza della teologia e la sua storia articolata, mi è noto che in venti secoli di vita e dopo numerosi concili celebrati, nell’intera storia della Chiesa esiste una sola decisione presa collegialmente all’unanimità, senza un dissenso, senza un voto contrario: «Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono» (Cf. Mt. 26, 54. Mc. 14, 50). In ogni caso io non sarò mai solo. Cristo è sempre con me, anzi: si affida alle mie mani per diventare corpo e sangue vivo, presenza visibile nella sua Chiesa e nutrimento per il Popolo di Dio. Posso non essere felice nella vita presente e in quella futura, posto che sono sacerdote di Cristo e che tale sarò in eterno?

Ringrazio il vostro quotidiano on line per il servizio informativo che state facendo su questo tema attraverso la rottura della cortina di silenzi e omertà che avvolgono questo dramma epidemico: Cristo ve ne renderà merito e poco a poco, la Chiesa, ne trarrà grandi benefici, dopo tante e lunghe sofferenze.

- Il nemico dentro di R. Cascioli
_______________________

Ariel Stefano Levi di Gualdo (19.08.1963) allievo del teologo gesuita Peter Gumpel è consacrato sacerdote a Roma dove attualmente vive. Svolge il ministero di confessore, predicatore e direttore spirituale. È autore di vari saggi pubblicati con la Casa Editrice Bonanno presso la quale dirige la collana teologica Fides Quaerens Intelletcum. Tra le sue principali opere: Erbe Amare, il secolo del sionismo (Bonanno, 2007), Nada te Turbe (A&B 2009), E Satana si fece Trino. Relativismo, individualismo, disobbedienza: analisi sulla Chiesa del terzo millennio (Bonanno, 2011). Altri suoi saggi sono in programma di pubblicazione per il corrente anno 2013 e per il 2014.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740722] “Voglio papà/uomo e mamma/donna”. 

Il muro del convento dei Cappuccini ospita un foglio con il volto di un bimbo: "Non sono un diritto, non voglio diventare un giocattolino per coppie gay".
I frati: "Messo da Scienza e vita, ma condividiamo il contenuto" [SM=g1740721]

http://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2013/02/manifesto_bimbi_interna-nuova.jpg?47e3a5





“Io non sono un diritto”. Recita così il manifesto affisso nei giorni scorsi fuori dalla chiesa dei Cappuccini in Borgo Palazzo a Bergamo (foto concessa da Bergamonews).
Un manifesto contro le adozioni da parte delle coppie omosessuali che riporta l’ipotetico pensiero di un bambino.
Accanto alla foto di un neonato è stata stampata una frase che lascia poco spazio all’immaginazione: “Io non sono un diritto! Un bimbo non è un diritto. Voglio un papà/uomo e una mamma/donna. Non voglio diventare il giocattolino “adottabile” da una coppia gay”.
E poi continua: “Io non voglio essere il prodotto di una fecondazione artificiale e nascere già dopato da ormoni superflui… ho il diritto di nascere da una relazione d’amore naturale tra un uomo e una donna”.

Una presa di posizione netta, che arriva a pochi giorni dal via libera alle nozze gay da parte dell’assemblea nazionale francese contro cui si era già schierato in maniera chiara anche il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che era intervenuto auspicando che l’Italia non prendesse esempio dalla Francia.
All’esternazione di Bagnasco era seguita quella dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, che pur confermando la contrarietà della Chiesa “all’egualitarismo malato” che vorrebbe assegnare pari diritti a coppie gay ed etero, ha preso le distanze dalle discriminazioni di cui gli omosessuali sono ancora vittime in molti paesi del mondo.

Il manifesto è firmato dall’associazione “Scienza e vita alleati per il futuro dell’uomo”, che vede tra i propri fondatori uno stuolo di professionisti, medici, parlamentari ed ex (Ferdinando Adornato, Paola Binetti, Carlo Casini, Giuseppe Fioroni, e fra Marcello Longhi, Renzo Lusetti, Alfredo Mantovano, Gustavo Selva, Luca Volontè e tanti altri).

Non è dunque stato realizzato direttamente dai frati del convento dei Cappuccini.
Oggi fra Marcello Longhi, il responsabile del convento, spiega la vicenda: “Io non sapevo nulla di questo manifesto – dice – ma domenica, in occasione della giornata per la vita e in pieno accordo con me, è stato ospitato davanti alla chiesa un gazebo dell’associazione Scienza e Vita, di cui condivido gli scopi e il pensiero. Non escludo che tra il materiale informativo che veniva offerto ci fosse anche qualche poster sul tema delle adozioni omosessuali”.

Il responsabile del convento ha poi aggiunto: “Tutti sono liberi di esprimere la propria opinione, così anche noi. Del resto come cattolici abbiamo le nostre riserve sul tema delle adozioni a coppie omosessuali e questa non è una novità. Il dibattito è aperto, non è un delitto se qualcuno esprime apertamente la propria opinione”.




si sapeva... quando si parla a braccio e quando si parla troppo, si finisce per prestare il fianco al nemico....
MALEDETTO SIA IL FUOCO....DI PAGLIA
Riteniamo che nella Chiesa Cattolica siano in troppi a parlare, e che si si vuole e si deve parlare, basterebbe RIPORTARE il Magistero della Chiesa SENZA STRAVOLGIMENTI come chiede più volte il Papa....
Da ieri i titoloni dei giornali sostengono che grazie alle parole di mons. Paglia, la Chiesa apre la porta alle coppie omosessuali.... ma questo è FALSO!!!
Come interpretare le parole di mons. Paglia?
Vi proponiamo l'articolo di lanuovaBussolaQuotidiana che ha chiarito un pò questo "fuoco...di paglia"  ma invitiamo il Presule a fare attenzione a quando rilascia dichiarazioni pubbliche e quando vuole parlare a nome della Chiesa e dunque anche nostra..
ci rifutiamo categoricamente di obbedire a vescovi simili, basta!!! non se ne può più..


Fuoco di Paglia
di Riccardo Cascioli

06-02-2013
Mons. Vincenzo Paglia

S’avanza una strana idea nella Chiesa italiana a proposito di famiglia e offensiva gay. Vale a dire: continuare a proclamare l’unicità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, ma nello stesso tempo concedere un riconoscimento giuridico – sebbene non parificato al matrimonio - alle convivenze, sia etero che omosessuali.

E’ già da un po’ che si sente circolare questa idea ma il 4 febbraio l’ha esplicitata monsignor Vincenzo Paglia, neo presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, nel corso della conferenza stampa inaugurale del proprio mandato. Nel discorso introduttivo, monsignor Paglia ha parlato in realtà soltanto del valore unico della famiglia naturale e ha presentato le iniziative del suo dicastero per promuovere una «cultura della famiglia».
Ma poi, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha fatto una serie di affermazioni che tradiscono una impostazione francamente sconcertante, sia nel merito sia nella forma. Pur ribadendo che il matrimonio è solo tra uomo e donna (e ha citato anche Giorgio Gaber a supporto di questa tesi) ha però detto che vanno anche riconosciuti i diritti delle coppie di fatto, anzi «è tempo che i legislatori se ne preoccupino». Inoltre, monsignor Paglia nel riconoscere che c’è una molteplicità di «convivenze non familiari» assicura che la Chiesa è favorevole «a che in questa prospettiva si aiutino a individuare soluzioni di diritto privato e prospettive patrimoniali all’interno dell’attuale Codice civile». Infine non poteva mancare un omaggio al “politicamente corretto” con l’invito a vigilare sulle discriminazioni delle persone omosessuali nel mondo: «In oltre venti paesi l’omosessualità è ancora perseguita come reato».


Si diceva che le affermazioni sulle convivenze sono sconcertanti, anzitutto nel merito. Paglia chiede che il Parlamento legiferi in materia di «convivenze non familiari» per trovare  soluzioni di diritto privato e prospettive patrimoniali. Quindi l’ex vescovo di Terni ritiene che attualmente non siano garantiti i diritti dei conviventi, ma qui sbaglia di grosso: i diritti sono garantiti eccome – per etero e omosessuali -, sia dalla legge sia dalla giurisprudenza, che in materia è particolarmente ricca. Tanto è vero che quando si vogliono lanciare campagne per il riconoscimento delle coppie di fatto, si agitano problemi palesemente falsi (vedi l’assistenza del convivente in ospedale). Di fatto già oggi ci sono tutti gli strumenti possibili nel diritto privato per regolare in modo equo le relazioni fra conviventi.

Un eventuale intervento del legislatore, perciò, si configurerebbe come riconoscimento della convivenza e non come tutela dei diritti dei conviventi, cioè si andrebbe a creare un simil-matrimonio, che in verità non ha alcuna ragion d’essere. Peraltro, l’invito di Paglia era già stato colto dal governo Prodi che presentò nel 2006 il progetto dei Dico (firmato dai ministri Bindi e Turco), ma la Chiesa fece di tutto per bloccarli anche con il sostegno al Family Day. Vogliamo dire che allora la Chiesa si sbagliò e oggi una analoga proposta non incontrerebbe grande resistenza?

Ad ogni modo vale la pena ricordare che lo Stato – ogni Stato – si occupa della famiglia e riconosce la famiglia come propria cellula fondamentale non per garantire dei diritti ai coniugi o per riconoscere l’amore fra i due, ma in funzione della necessità dello Stato stesso. Detto molto banalmente: lo Stato ha bisogno di figli (scopo di ogni società è durare nel tempo), i figli nascono dal rapporto tra uomo e donna, i figli – per crescere bene, sviluppare tutte le potenzialità umane che hanno - hanno necessità di un padre e una madre dentro rapporti stabili. Lo Stato non si occupa di quanto un marito e una moglie si vogliano bene – e ci mancherebbe altro – ma semplicemente si preoccupa della tutela dei figli, che sono il futuro della nazione. Ecco perché gli articoli del Codice civile che si riferiscono al matrimonio – e che anche monsignor Paglia avrà letto mille volte alle coppie che avrà sposato – sono un elenco di doveri (fedeltà, assistenza materiale e morale, coabitazione, educazione dei figli, collaborazione), non di diritti. E marito e moglie nel matrimonio si assumono davanti alla società la responsabilità di assolvere questi doveri. I diritti patrimoniali – cui fa accenno Paglia riferendosi ai conviventi – discendono da questi doveri: la successione o la reversibilità della pensione a questo sono legati, perciò non ha alcun senso chiederli per le coppie conviventi che, proprio in quanto conviventi, non si assumono alcun dovere. Se invece il convivente si assumesse anche dei doveri, allora diventerebbe una relazione matrimoniale.

Il fatto che tra due persone conviventi ci sia una relazione affettiva, che magari in alcuni casi – ma solo in alcuni casi - possa essere più stabile di alcuni matrimoni non significa nulla dal punto di vista dello Stato, e la Corte Costituzionale già nel 1996 ha negato per questo ogni rilievo giuridico alla convivenza. Né questo dipende – come lascerebbe intendere l’intervento di mons. Paglia – dal numero delle convivenze: oggi è un fatto talmente diffuso, si dice, che il legislatore non può non prendere in considerazione il problema.
Ma l’intervento dello Stato si basa sulla natura del rapporto non sulla sua diffusione, anzi: proprio perché la famiglia naturale è in crisi si giustificherebbe una sottolineatura ancora più marcata per valorizzare questo istituto così fondamentale per la vita di una società, anche dal punto di vista economico.

E qui entra in gioco anche il giudizio morale, che riguarda più specificamente la Chiesa cattolica. L’intervento di Paglia sembra sottintendere una neutralità morale della convivenza: c’è chi si sposa, c’è chi convive (anche omosessuali), tutte scelte comunque possibili che dipendono semplicemente dalla volontà dei singoli. Ma per la Chiesa non è così: pur non obbligando nessuno, però è chiaro che l’unico luogo deputato per i rapporti sessuali è il matrimonio – e anche qui ci sono motivi adeguati alla ragione -, e non pare che questo insegnamento sia stato abrogato nel frattempo; non parliamo poi dei rapporti omosessuali, che restano contro natura malgrado la cultura dominante dica il contrario. Chiedere qualsiasi tipo di assegnazione di diritti alla convivenza implica invece un riconoscimento implicito del suo valore morale e un incoraggiamento a permanere in questo tipo di relazione, anche omosessuale. Detto per inciso, è anche in questo modo che s’avanza il pensiero omosessualista nella Chiesa: da una parte si continua a proclamare che l’unica famiglia è quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna, ma dall’altra si avallano stili di vita incompatibili con la vocazione dell’uomo.

Questo tipo di ambiguità sarebbe già abbastanza grave da parte di qualsiasi vescovo ma detta dal presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, per di più nella conferenza stampa con cui inaugura il suo mandato, assume una gravità particolare, anche se – dicevamo all’inizio – questa posizione si va diffondendo nella Chiesa italiana, nella migliore delle ipotesi come (miope) strategia politica per salvare l’unicità della famiglia naturale.
Certo, qui nascono inevitabilmente domande sul perché di certe nomine in Vaticano, soprattutto in dicasteri così importanti, ma è un tema su cui avremo modo di tornare. Resta il fatto che sulla questione del matrimonio e delle convivenze urge un chiarimento dei vertici della Chiesa: di confusione ce n’è già abbastanza.


[SM=g1740733]


[Modificato da Caterina63 06/02/2013 13:27]
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30/03/2013 00:51
 
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[SM=g1740729] VERGOGNA alla TV italiana che nei TG ha minimizzato sui numeri alla partecipazione alla manifestazione contro la legge sui matrimoni gay.... ripetiamo non contro i gay, ma contro questa legge infame ed infamante....
Guardate il video per rendervene conto, i politici NON possono ignorare questa pacifica e gioiosa partecipazione... [SM=g1740722]

upload.gloria.tv/?media=419458




[SM=g1740722]


[SM=g1740757]
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08/05/2013 19:17
 
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[SM=g1740733] «Mi chiamo Valentin e sono omosessuale. Grazie a voi ho cambiato idea sul matrimonio gay»


maggio 8, 2013  Leone Grotti

Valentin ha incontrato la Manif Pour Tous e ha cambiato idea sul matrimonio gay. Ora la comunità Lgbt lo chiama «infame» e omofobo. La testimonianza


«Il mio nome è Valentin, sono omosessuale ed ero un sostenitore del matrimonio gay. Ho incontrato il mondo di Homovox, omosessuali contrari al matrimonio gay, e le discussioni che abbiamo avuto mi hanno fatto cambiare idea». Standing ovation dei 35 mila sostenitori della Manif Pour Tous, riuniti a Parigi il 5 maggio per manifestare contro la legge di Francois Hollande su matrimonio e adozione gay.

«CI CENSURANO». Valentin è uno dei tantissimi omosessuali che si sono uniti al movimento francese per opporsi al matrimonio gay. Riuniti attorno alle associazioni “Homovox” e “Plus gay sans mariage” sono la «maggioranza degli omosessuali» francesi, come dichiarato a tempi.it dalla portavoce di Homovox Nathalie de Williencourt: «Non vogliamo essere trattati come gli eterosessuali perché siamo diversi: non vogliamo uguaglianza, ma giustizia. In Francia ci censurano, si ascoltano sempre le lobby Lgbt, parlano sempre loro nei media, ma la maggior parte degli omosessuali sono amareggiati dal fatto che questa lobby parli a loro nome, perché non abbiamo votato per loro e non ci rappresenta».

«ORA MI INSULTANO». Valentin faceva parte proprio del movimento Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) e ora che ne è uscito ne ha pagato le conseguenze: «Ho cambiato idea perché ho capito che questo movimento è a favore dei bambini e del valore della diversità – ha raccontato emozionato sul palco davanti ai manifestanti parigini - Per questo motivo ora i gruppi Lgbt sono furiosi contro di me e dicono che sono un infame».

«VALENTIN, VALENTIN». I manifestanti lo sostengono e applaudono, lui sorride e conclude il suo intervento: «Io vi ringrazio e vi chiedo di continuare a essere attenti a noi omosessuali. Grazie, buona giornata». I 35 mila manifestanti presenti a Parigi, che i media francesi hanno descritto come «omofobi», accompagnano la fine della testimonianza sventolando le bandiere della Manif Pour Tous e intonando il coro «Valentin, Valentin!».





Leggi di Più: Valentin, omosessuale e contro il matrimonio gay | Tempi.it


[SM=g1740722]

Card. Bagnasco: il matrimonio omosessuale "è un vulnus grave alla famiglia"



Il matrimonio omosessuale, come quello celebrato mercoledì in Francia, “è un vulnus grave alla famiglia che, ovunque nel mondo, non solo nel nostro Paese, è il presidio dell’umano dove i bambini vengono non solo concepiti e generati ma educati, come è diritto e dovere primario e fondamentale dei genitori. Un papà e una mamma che, nella loro completezza di personalità, danno ai propri figli un’educazione integrale nella libertà di ciascuno”.

Lo ha dichiarato l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, a margine di una presentazione presso il Museo diocesano di Genova.

Il cardinale - riporta l'agenzia Sir - ha poi ribadito il punto di vista dei vescovi italiani in merito al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto non solo omosessuali. “L’assicurazione circa i bisogni, i desiderata, i diritti individuali - ha affermato - sono già assicurati dal diritto civile senza la necessità di creare un nuovo soggetto di diritto”.

E in margine alla stressa presentazione il porporato ha affermato che la violenza sulle donne, il femminicidio, è "una tragedia, un comportamento inaccettabile ed assolutamente deprecabile, frutto di una diseducazione, di una cultura che sempre più esalta le emozioni, crea sensazioni forti, che a un certo momento prendono il sopravvento sulla ragione". "Dove ci sono delle emozioni delle sensazioni forti, dolorose, problematiche, conflittuali - ha aggiunto il cardinale - ad un certo momento la ragione viene oscurata e l‘individuo diventa succube fino a questi drammi".

Il porporato ha quindi ricordato che "la responsabilità delle famiglie è all‘interno della responsabilità sociale che è di tipo educativo". "I genitori - ha proseguito - sono i primissimi educatori dei figli però anche i genitori vivono dentro un contesto culturale che può aiutarli, ma anche ostacolarli". "In questo momento - ha concluso - è più forte l‘ostacolo perché viene privilegiato il sentimento e non la ragione". (R.P.)




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/05/31/card._bagnasco:_il_matrimonio_omosessuale_è_un_vulnus_grave_all/it1-697049
del sito Radio Vaticana








[Modificato da Caterina63 31/05/2013 17:10]
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07/08/2013 18:52
 
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[SM=g1740758]  Alcuni anni fa in Argentina è stato legalizzato il “matrimonio omosessuale”. Prima che quella legge venisse promulgata, il cardinale Bergoglio scrisse una lettera alle suore di clausura della sua diocesi per supplicare di pregare il Signore affinché i senatori argentini votassero contro il matrimonio gay.
Oggi anche l'Italia si affretta a dare ascolto al principe della menzogna.... a settembre il nostro Parlamento dovrà votare.... ascoltiamo, leggiamo cosa ne pensa Papa Francesco [SM=g1740721]


Care sorelle,

 scrivo queste poche righe a ciascuna di voi che siete nei quattro monasteri di Buenos Aires. Il popolo argentino dovrà affrontare nelle prossime settimane una situazione il cui esito può seriamente ferire la famiglia.
Si tratta del disegno di legge che permetterà il matrimonio a persone dello stesso sesso. E’ in gioco qui l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. E’ in gioco la vita di molti bambini che saranno discriminati in anticipo e privati della loro maturazione umana che Dio ha voluto avvenga con un padre e una madre. E’ in gioco il rifiuto totale della legge di Dio, incisa anche nei nostri cuori.
Ricordo una frase di Santa Teresa quando parla della sua malattia infantile. Dice che l’invidia del Demonio voleva vendicarsi della sua famiglia per l’entrata in Carmelo della sua sorella maggiore. Qui pure c’è l’invidia del Demonio, attraverso la quale il peccato entrò nel mondo: una invidia che cerca astutamente di distruggere l’immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra.
Non siamo ingenui: questa non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di Dio. Non è solo un disegno di legge (questo è solo lo strumento) ma è una “mossa” del padre della menzogna che cerca di confondere e d’ingannare i figli di Dio. E Gesù dice che per difenderci da questo accusatore bugiardo ci manderà lo Spirito di Verità.
Oggi la Patria, in questa situazione, ha bisogno dell’assistenza speciale dello Spirito Santo che porti la luce della verità in mezzo alle tenebre dell’errore. Ha bisogno di questo avvocato per difenderci dall’incantamento di tanti sofismi con i quali si cerca a tutti i costi di giustificare questo disegno di legge e che confondono e ingannano persino le persone di buona volontà.
Per questo mi rivolgo a Voi e chiedo preghiere e sacrificio, le due armi invincibili di santa Teresina. Invocate il Signore affinché mandi il suo Spirito sui senatori che saranno impegnati a votare. Che non lo facciano mossi dall’errore o da situazioni contingenti, ma seconda ciò che la legge naturale e la legge di Dio indicano loro. Pregate per loro e per le loro famiglie che il Signore li visiti, li rafforzi e li consoli. Pregate affinché i senatori facciano un gran bene alla Patria.
Il disegno di legge sarà discusso in Senato dopo il 13 luglio. Guardiamo a san Giuseppe, a Maria e al Bambino e chiediamo loro con favore di difendere la famiglia argentina in questo particolare momento. Ricordando ciò che Dio stesso disse al suo popolo in un momento di grande angoscia: “Questa guerra non è vostra ma di Dio”. Che ci soccorrano, difendano e accompagnino guerra di Dio.
Grazie per quanto farete in questa lotta per la Patria. E per favore vi chiedo anche di pregare per me. Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa vi conservi.
Con affetto

Jorge Maria Bergoglio, S.J.
Arcivescovo di Buenos Aires

[SM=g1740733]

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07/09/2013 12:05
 
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[SM=g1740758] Omosessualismo ieri ed oggi nella Scrittura e nel mondo

07.09.2013 11:41

 

Omosessualità oggi e nell'antichità e la Scrittura

 

Ci è giunta, fra le tante, una email interessante che useremo come articolo. Ringraziando la persona che ha contribuito così a questo approfondimento, assicuriamo anche di dare spazio ad altre email più interessanti (che stiamo valutando e rispondendo) e di santo contributo nel dibattito delle vicende quotidiane.

Messaggio:

Buonasera. Vorrei un vostro parere su un'argomentazione che usano molti sostenitori dell'omosessualità (anche cattolici):

ai tempi di San Paolo non si conosceva l'omosessualità come la conosciamo oggi. In termini più specifici, si sostiene che all'epoca l'omosessualità era vista come un comportamento deviante di maschi eterosessuali (arsenokoitai) che esercitavano una sorta di dominio su persone sottomesse, spesso giovanissimi (malakòi).

Non si aveva, in altre parole, la consapevolezza che l'omosessualità non è una perversione demoniaca o patologica, che l' omosessuale è semplicemente una persona che segue il suo naturale orientamento sessuale, ed è capace di rapporti affettivi sereni e duraturi al pari di un eterosessuale. A parere di queste persone, le Sacre Scritture non fanno testo quando condannano l'omosessualità perché sono frutto di una visione del fenomeno ormai superata e smentita dalle moderne evidenze psichiatriche e socio-antropologiche.

In altre parole, secondo loro, lo stesso San Paolo avrebbe avuto un opinione diversa sull'omosessualità se fosse vissuto oggi. E, in sostanza, il motivo per cui alcune chiese protestanti, come i Valdesi, hanno ritenuto ammissibile il matrimonio gay.

Comunque, sono certo che conoscete queste posizioni molto meglio di me, e volevo sapere come rispondete a queste argomentazioni e se conoscete qualche libro in cui questo problema viene affrontato in modo specifico, soprattutto dal punto di vista filologico. E un interrogativo che, da cattolico, mi turba non poco, perché mette in seria discussione un insegnamento bimillenario e secondo me rischia di compromettere la credibilità della Chiesa Cattolica come depositaria della Verità. Cordiali saluti  ........

 

*****

 

Sia lodato Gesù Cristo.

Risponde alla sua email lo Staff

Gentile Lettore, la ringraziamo sentitamente per la sua email e cercheremo di risponderle in modo semplice.

Partiamo da una premessa fondamentale.

La Sacra Scrittura è parola d Dio, non un testo scientifico bensì, possiamo dire, antropologico, di quell'umanesimo unico di cui Dio, incarnandosi e assumendolo in Sè nel prodigioso Concepimento, lo ha rigenerato riportandolo allo scopo originario della sua creazione dopo che il Peccato Originale ne aveva deturpato l'immagine e il percorso. Tutto ciò che non è conforme a questo scopo è definito, dalla Scrittura, peccato e a cominciare proprio dal Peccato Originale.

Noi siamo dunque fatti ad immagine del Dio Incarnato, la nostra umanità è stata così ricapitolata in Cristo, rigenerata, e perciò redenta e non ci risulta che Nostro Signore abbia vissuto per legittimare l'omosessualismo ed ogni altra deviazione antropologica.

Un accenno di queste deviazioni antropologiche per le quali, ad esempio, l'uomo separava ciò che Dio aveva unito per mezzo dell'unione sponsale fra l'uomo e la donna, lo troviamo in Matteo 19.

Gesù non lascia dubbi e specifica che a causa della durezza dei cuori Mosè fu costretto a prendere dei provvedimenti drastici, il ripudio della donna, ma specifica Gesù, al principio non fu così.

Gesù viene dunque per riportare le cose alla loro origine, viene a "portare a compimento" (Mt.5,17), viene  a ristabilire l'ordine che in questo specifico tema come in altri riassume quel  Sacramento del matrimonio attraverso il quale "l'uomo non osi separare ciò che Dio ha unito".

I discepoli avevano compreso bene la portata del compimento tanto da fare una battuta: "se le cose stanno così allora è meglio non sposarsi" - dicono - e Gesù, per nulla colpito da imbarazzo alcuno non risponde che avevano capito male, ma conclude portando come nuova scelta (ad una chiamata per operare nella vigna) il celibato per il regno dei cieli.

Nostro Signore comprende la difficoltà dell'argomento e per questo conclude "non tutti però lo comprendono, chi può capire, capisca".

Siamo perciò di fronte a ben due vocazioni di "matrimonio" che ha due Sacramenti ben definiti: il matrimonio, unione sponsale aperto alla vita fra l'uomo e la donna, collaboratori di Dio nel dare origine a nuove vite umane; e il celibato per il regno dei cieli (l'Ordine Sacro che infatti è stato rigettato dai protestanti), un matrimonio mistico, sponsale con la Chiesa che rende padri e madri spirituali come spiegherà più volte San Paolo.

Nella scelta dei candidati per l'episcopato, ha così ricordato Papa Francesco nel Discorso ai Rappresentanti Pontifici, i Nunzi apostolici del 21.6.2013:

"Voi conoscete la celebre espressione che indica un criterio fondamentale nella scelta di chi deve governare: si sanctus est oret pro nobis, si doctus est doceat nos, si prudens est regat nos - se è Santo preghi per noi, se è dotto ci insegni, se è prudente ci governi. .... E che siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra...."

Quindi la Sacra Scrittura non tratta certamente dell'omosessualità in quanto terzo sesso o a riguardo dei diritti i quali sono spesso soggettivi e partono comunque prima dalla realizzazione dei doveri, ma parte principalmente dalla creazione dell'uomo e della donna, del loro processo antropologico, del loro ruolo nel mondo, dello scopo della loro esistenza ed unione e del fine ultimo.

La Sacra Scrittura parte dai doveri dell'uomo e della donna in funzione della loro esistenza. Tutto ciò che si estranea da questo scopo, da questo ruolo, è trattato in termini di deviazione, futilità, vanità, decadenza, disordine, peccato.

 

Fatte queste premesse è assurdo pretendere di attribuire alla Scrittura, anche a riguardo dell'omosessualità, un riferimento "superato" dalle mode del momento.

La Sacra Scrittura infatti è intramontabile, non contiene errori e non si contraddice mai, non per nulla diciamo: è parola di Dio. Quindi la Parola di Dio non si contraddice e non viene mai superata da alcun ragionamento umano.

A tale riguardo ben ammonisce proprio l'apostolo Pietro nella sua seconda Lettera al cap. 3,15-16 quando mette in guardia da coloro che travisavano le Lettere di Paolo interpretandole a proprio piacimento: " In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina."

Quindi le Lettere di Paolo "al pari delle altre Scritture" necessitano dell'interpretazione ufficiale della Chiesa e il loro valore pedagogico, filosofico, antropologico, dottrinale, catechetico, dogmatico, sociale e culturale è per sempre, è valido ieri, oggi e sempre così come il Cristo, Verbo-Parola incarnata è ieri, oggi e sempre.

Spiegava infatti il Venerabile Pio XII ai Giuristi Cattolici:

"Per ciò che riguarda il campo religioso e morale, egli (il giurista cattolico) domanderà anche il giudizio della Chiesa.

Da parte della quale in tali questioni decisive, che toccano la vita internazionale, è competente in ultima istanza soltanto Colui a cui Cristo ha affidato la guida di tutta la Chiesa, il Romano Pontefice...."

Che cosa dice il Romano Pontefice a riguardo?

Il Documento che raccoglie tutto l'insegnamento della Chiesa in materia è questo:

"Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legali delle unioni tra persone omosessuali".

Come abbiamo accennato sopra il problema non è quello di trovare nella Scrittura Sacra l'argomento che parli dei diritti delle persone omosessuali: primo perché non vi troveremo affatto nulla che appoggi e sostenga i loro diritti pretestuosi in quel divenire "coppie sponsali";  secondo perché tutta la Scrittura è incentrata in quel frutto che scaturisce dall'unione fra un uomo e una donna.

Trattare l'argomento esclusivamente sulla sodomia rischia di far perdere il punto di vista autentico della Scrittura la quale non fa particolarismi fra ciò che è disordine e peccato, ma tutto tratta alla luce di ciò che vuole Dio da noi (Antico Testamento) e di ciò che Dio ci promette se assecondiamo il Suo Progetto (Nuovo Testamento).

Dice il Documento:

"L'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla complementarità dei sessi ripropone una verità evidenziata dalla retta ragione e riconosciuta come tale da tutte le grandi culture del mondo. Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone umane. Esso è stato fondato dal Creatore, con una sua natura, proprietà essenziali e finalitàNessuna ideologia può cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste il matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite."

La forzatura pretestuosa di trarre dalla Scrittura elementi validi a legittimare "l'unione" tra persone di uguale sesso, è diabolica ed è perversione.

Questo non significa neppure legittimare l'uso della Scrittura per muovere guerra agli omosessuali!

La Scrittura dice già da sè stessa che laddove il progetto di Dio sull'uomo e sulla donna viene modificato da altre iniziative, è perversione, disordine, immoralità, peccato. Quanto alle singole persone coinvolte in questo dramma, la Chiesa agirà come fin dal primo secolo secondo la propria maternità che le è propria: ora agendo in modo severo, ora agendo in modo più misericordioso, ma avendo sempre avanti la verità che il rapporto tra persone dello stesso sesso non produce frutti, non è benedetto dalla Scrittura ed è disordine davanti alla creazione originale di Dio e quindi che ogni atto disordinato, non ordinato cioè dal progetto di Dio sull'uomo e sulla donna, è condannato senza alcun compromesso.

Chiariamo anche l'uso dei termini.

Dire "gay" per definire l'omosessuale è sbagliato, è una modalità che trae in inganno. Gay infatti non significa affatto "omosessuale" ma "allegro-gaio", significa appunto "felice di essere omosessuale", gaia fu definita anche la scienza in contrapposizione alla religione, è perciò diventato un sinonimo della fierezza di essere nell'errore.

Non esistono perciò i "diritti dell'allegro-gaio" se non prima aver imparato i doveri ai quali tutti, uomini e donne, siamo soggetti per il bene dell'umanità, per il futuro della società.

Potremo avanzare con un esempio pratico: potrebbe sopravvivere una città formata esclusivamente solo da uomini o da sole donne?

Ovvio che no! nel giro di un secolo, a dir bene, la città morirebbe perché non ci sarebbe la vita nascente.

Infatti vi è oggi la pretesa dell'adozione di figli altrui da parte di queste coppie che dimenticano, probabilmente, che essi stessi sono nati dal rapporto tra un uomo e una donna, mentre pretenderebbero oggi di imporre ai figli degli altri di crescere senza uno dei due genitori, senza la madre - nelle coppie solo maschili - e senza un padre - nelle coppie femminili - e il tutto definirlo "naturale, normale".

La società si fonda perciò sul rapporto tra un uomo e una donna, che ci sia poi convivenza fra persone dello stesso sesso rientra in quella dinamica che scaturisce dal rapporto normale, culturale, amicale fra le persone, ma che non può diventare per questo il fondamento "sponsale" della società essendo in sé sterile.

Dovere primario dell'uomo e della donna è dunque quella unione sponsale che porta al dono della vita, linfa vitale di ogni città e nazione.

Per questo l'Istituzione del nucleo familiare è uno di quei principi non negoziabili costituito da un uomo e una donna, cellula primaria della società.

E ancora, nel Documento sopra riportato leggiamo:

"A coloro che a partire da questa tolleranza vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall'approvazione o dalla legalizzazione del male."

Tornando alla Bibbia non è affatto ipotizzabile, dunque, che vi siano modi diversi di intendere l'omosessualità.

Il peccato della sodomia non era certamente circoscritto esclusivamente alla deviazione omosessuale perché la praticavano anche le coppie etero, per questo San Paolo non condanna mai l'omosessuale da solo e in quanto tale, ma condanna esplicitamente l'atto sodomitico a chiunque ne faceva uso, soprattutto usa il termine di "effeminato" che vale ieri quanto oggi nei confronti di un atteggiamento volutamente ambiguo della natura umana, sterile, e che conduce alla soddisfazione di un rapporto che non produce nulla.

C'è poi l'aspetto creativo:

"In primo luogo l'uomo, immagine di Dio, è stato creato «  maschio e femmina » (Gn 1, 27). L'uomo e la donna sono uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina. La sessualità da un lato fa parte della sfera biologica e, dall'altro, viene elevata nella creatura umana ad un nuovo livello, quello personale, dove corpo e spirito si uniscono.

Il matrimonio, poi, è istituito dal Creatore come forma di vita in cui si realizza quella comunione di persone che impegna l'esercizio della facoltà sessuale. « Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne » (Gn 2, 24)."

Nel Documento Persona Humana del 1975 sottoscritto da Paolo VI leggiamo:

"Certo, nell'azione pastorale, questi omosessuali devono essere accolti con comprensione e sostenuti nella speranza di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale. La loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una giustificazione morale. Secondo l'ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio.(14) Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione."

la Nota 14 riporta il testo paolino:

Rm 1,24-27: «Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in sé stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento». Cf. anche quello che Paolo dice a proposito degli uomini sodomiti e pervertiti in 1 Cor 6,10 e 1 Tm 1,10.

 

Le parole di San Paolo riferiscono invece proprio alla situazione del nostro tempo in cui la cultura detta omosessualista non solo è diventata recidiva ma sta imponendo attraverso l'ordinamento giuridico delle prese di posizioni inaccettabili che stanno frodando e ledendo il diritto dell'istituzione familiare composto da un uomo e una donna. Oggi più di ieri i veri cristiani devono opporsi alle leggi ingiuste di Cesare.

Il problema attuale è che non si tratta solo dell'imposizione da parte di Cesare, ma quanto il fatto che tale imposizione perviene purtroppo anche da ambienti che si dicono cristiani e cattolici i quali pretendono di sovvertire persino la Scrittura a loro vantaggio.

Non ci dilungheremo pertanto a riguardo degli strafalcioni che provengono da ambiente protestante, ci basta già preoccuparci di quanto si agita in casa nostra, accogliendo il famoso monito di Nostro Signore a riguardo della pagliuzza e della trave e del cieco che guida un altro cieco: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt'e due in una buca?...» (Lc.6,39-49).

E c'è anche una significativa Lettera della CdF per la cura delle persone omosessuali:

il termine "cura" prelude alla realtà che l'omosessualità non è mai definita una situazione normale nella stessa Scrittura.

Concludiamo questo approfondimento con le parole del medesimo Documento:

" 8. L'insegnamento della Chiesa di oggi è quindi in continuità organica con la visione della S. Scrittura e con la costante Tradizione. Anche se il mondo di oggi è da molti punti di vista veramente cambiato, la comunità cristiana è consapevole del legame profondo e duraturo che la unisce alle generazioni che l'hanno preceduta "nel segno della fede".

Tuttavia oggi un numero sempre più vasto di persone, anche all'interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali. Quelli che, all'interno della comunità di fede, spingono in questa direzione, hanno sovente stretti legami con coloro che agiscono al di fuori di essa. Ora questi gruppi esterni sono mossi da una visione opposta alla verità sulla persona umana, che ci è stata pienamente rivelata nel mistero di Cristo. Essi manifestano, anche se non in modo del tutto cosciente, un'ideologia materialistica, che nega la natura trascendente della persona umana, così come la vocazione soprannaturale di ogni individuo.

I ministri della Chiesa devono far in modo che le persone omosessuali affidate alle loro cure non siano fuorviate da queste opinioni, così profondamente opposte all'insegnamento della Chiesa. Tuttavia il rischio è grande e ci sono molti che cercano di creare confusione nei riguardi della posizione della Chiesa e di sfruttare questa confusione per i loro scopi.

9. Anche all'interno della Chiesa si è formata una tendenza, costituita da gruppi di pressione con diversi nomi e diversa ampiezza, che tenta di accreditarsi quale rappresentante di tutte le persone omosessuali che sono cattoliche. Di fatto i suoi seguaci sono per lo più persone che o ignorano l'insegnamento della Chiesa o cercano in qualche modo di sovvertirlo. Si tenta di raccogliere sotto l'egida del cattolicesimo persone omosessuali che non hanno alcuna intenzione di abbandonare il loro comportamento omosessuale. Una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione.

È pertanto in atto in alcune nazioni un vero e proprio tentativo di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile. Il fine di tale azione è conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui l'omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona. Benché la pratica dell'omosessualità stia minacciando seriamente la vita e il benessere di un gran numero di persone, i fautori di questa tendenza non desistono dalla loro azione e rifiutano di prendere in considerazione le proporzioni del rischio, che vi è implicato. "

 

***



Maggiori informazioni http://anticlericali-cattolici.webnode.it/news/omosessualismo-ieri-ed-oggi-nella-scrittura-e-nel-mondo/



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/02/2015 08:52
 
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CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE


NOTIFICAZIONE SUGLI SCRITTI E LE ATTIVITÀ 
DI SR. JEANNINE GRAMICK, S.S.N.D. 
E DEL P. ROBERT NUGENT, S.D.S.
*

 

Suor Jeannine Gramick, SSND, e Padre Robert Nugent, SDS, da più di venti anni sono impegnati in attività pastorali indirizzate a persone omosessuali. Nel 1977 essi fondarono nel territorio dell’arcidiocesi di Washington l’organizzazione New Ways Ministry allo scopo di promuovere «giustizia e riconciliazione fra lesbiche e omosessuali cattolici e la più vasta comunità cattolica» [1]. Sono autori dei libri Building Bridges: Gay and Lesbian Reality and the Catholic Church (Mystic: Twenty-Third Publications, 1992) e Voices of Hope: A Collection of Positive Catholic Writings on Gay and Lesbian Issues (NewYork: Center for Homophobia Education, 1995).

Fin dall’inizio, nel presentare l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità, Padre Nugent e Suor Gramick ne hanno ripetutamente messo in discussione elementi centrali. Per questo motivo, nel 1984, il Cardinale James Hickey, Arcivescovo di Washington, dopo il fallimento di una serie di tentativi di chiarificazione, comunicò loro che non potevano più svolgere le loro attività in quella arci-diocesi. Nello stesso tempo, la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolica ordinò loro di separarsi totalmente e completamente da New Ways Ministry, aggiungendo che non avrebbero potuto esercitare alcun apostolato senza presentare fedelmente la dottrina della Chiesa circa la malizia intrinseca degli atti omosessuali.

Nonostante questo intervento della Santa Sede, Padre Nugent e Suor Gramick continuarono ad essere implicati in attività organizzate da New Ways Ministry, pur dimettendosi da posizioni di responsabilità. Essi continuarono anche a mantenere e a diffondere posizioni ambigue circa l’omosessualità e criticarono esplicitamente documenti del Magistero della Chiesa su questo problema. A motivo delle loro dichiarazioni ed attività, la Congregazione per la Dottrina della Fede e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolicaricevettero numerose lamentele e urgenti richieste dichiarificazione da parte di Vescovi e di altre persone negli Stati Uniti d’America. Era chiaro che le attività di Suor Gramick e di Padre Nugent stavano creando difficoltà in non poche diocesi e che essi continuavano a presentare la dottrina della Chiesa come un’opzione possibile fra altre e come aperta a mutamenti fondamentali.

Nel 1988 la Santa Sede istituì una Commissione sotto la Presidenza del Cardinale Adam Maida per studiare e valutare le loro dichiarazioni ed attività pubbliche e per determinare se queste erano fedeli all’insegnamento cattolico sull’omosessualità.

Dopo la pubblicazione di Building Bridges, l’esame della Commissione si concentrò soprattutto su questo libro, che riassumeva le loro attività ed idee. Nel 1994 la Commissione pubblicò i suoi risultati, che furono comunicati ai due autori. Quando le loro risposte a questi risultati furono pervenute, la Commissione formulò le sue Raccomandazioni finali e le trasmise alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolica. Pur rilevando la presenza di alcuni aspetti positivi nell’apostolato di Suor Gramick e di Padre Nugent, la Commissione trovò serie lacune nei loro scritti ed attività pastorali, che erano incompatibili con la pienezza della morale cristiana. La Commissione, perciò, raccomandò delle misure disciplinari, fra cui la pubblicazione di qualche forma di Notificazione, allo scopo di controbilanciare e porre rimedio alla dannosa confusione causata dagli errori e dalle ambiguità presenti nelle loro pubblicazioni ed attività.

Dal momento che i problemi posti dai due autori erano primariamente di natura dottrinale, nel 1995 la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolicatrasmise l’intero caso alla competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede. A questo punto, nella speranza che Padre Nugent e Suor Gramick sarebbero stati disponibili ad esprimere il loro assenso alla dottrina cattolica sull’omosessualità ed a correggere gli errori presenti nei loro scritti, la Congregazione intraprese un altro tentativo di soluzione invitandoli a rispondere in modo chiaro ad alcune domande riguardanti la loro posizione sulla moralità degli atti omosessuali e sull’inclinazione omosessuale.

Le loro risposte, inviate in data 22 febbraio 1996, non erano sufficientemente chiare per dissipare le serie ambiguità della loro posizione. Suor Gramick e Padre Nugent mostravano una comprensione concettuale chiara dell’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità, ma si astenevano dal professare ogni adesione a questo insegnamento. Inoltre la pubblicazione, nel 1995, del loro libro Voices of Hope: A Collection of Positive Catholic Writings on Gay and Lesbian Issues aveva reso evidente che non vi era un cambiamento nella loro opposizione a elementi fondamentali della dottrina della Chiesa.

Considerato il fatto che alcune delle dichiarazioni di Padre Nugent e di Suor Gramick erano chiaramente incompatibili con l’insegnamento della Chiesa e che l’ampia diffusione di questi errori per mezzo delle loro pubblicazioni e delle loro attività pastorali stava divenendo fonte di crescente preoccupazione per i Vescovi negli Stati Uniti d’America, la Congregazione decise che il caso doveva essere risolto secondo la procedura indicata nel suo Regolamento per l’esame delle dottrine (cap. 4) [2].

Nella Sessione Ordinaria dell’8 ottobre 1997 i Cardinali ed i Vescovi che costituiscono la Congregazione giudicarono che le dichiarazioni di Padre Nugent e di Suor Gramick, identificate per mezzo della summenzionata procedura del Regolamento per l’esame delle dottrine, erano di fatto erronee e pericolose. Dopo che il Santo Padre ebbe approvato la contestazione formale degli autori, le suddette affermazioni erronee furono ad essi trasmesse tramite i rispettivi Superiori Generali. A ciascuno fu chiesto di rispondere alla contestazione personalmente ed indipendentemente dall’altro, per permettere loro la più grande libertà nell’esprimere le loro posizioni personali.

Nel febbraio 1998 i due Superiori Generali trasmisero le risposte alla Congregazione. Nelle Sessioni Ordinarie del 6 e del 20 maggio 1998 i Membri della Congregazione valutarono attentamente le risposte, dopo aver ricevuto le opinioni di membri dell’Episcopato degli Stati Uniti e di esperti nell’ambito della teologia morale. I Membri della Congregazione furono unanimi nella toro decisione che le risposte dei due, pur contenendo alcuni elementi positivi, erano inaccettabili. Sia Padre Nugent che Suor Gramick avevano cercato di giustificare la pubblicazione dei loro libri e nessuno dei due aveva espresso una adesione personale alla dottrina della Chiesa sull’omosessualità in termini sufficientemente chiari. Fu pertanto deciso che essi avrebbero dovuto preparare una dichiarazione pubblica, che sarebbe stata sottoposta al giudizio della Congregazione. In questa dichiarazione si chiedeva loro di esprimere un assenso interiore all’insegnamento della Chiesa Cattolica sull’omosessualità e di riconoscere che i due summenzionati libri contenevano errori.

Le due dichiarazioni, pervenute nell’agosto 1998, furono esaminate dalla Congregazione nella Sessione Ordinaria del 21 ottobre 1998. Ancora una volta esse non erano sufficienti per risolvere i problemi collegati con i loro scritti e con le loro attività pastorali. Suor Gramick, pur esprimendo il suo amore per la Chiesa, semplicemente rifiutava di esprimere ogni qualsivoglia assenso all’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Padre Nugent era più ampio nella sua risposta, ma non totalmente chiaro nella sua dichiarazione di assenso interiore all’insegnamento della Chiesa. Dai Membri delta Congregazione fu pertanto deciso che doveva essere data a Padre Nugent ancora un’altra opportunità per esprimere un chiaro assenso. Per questa ragione la Congregazione preparò una dichiarazione di assenso e, con lettera del 15 dicembre 1998 la trasmise a Padre Nugent, tramite il suo Superiore Generale, perché egli la sottoscrivesse. La sua risposta, del 25 gennaio 1999, mostrò che questo tentativo non aveva avuto successo. Padre Nugent non aveva firmato la dichiarazione ricevuta e rispondeva proponendo un testo alternativo che modificava la dichiarazione della Congregazione su alcuni punti importanti. In particolare, non era disposto a sottoscrivere che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati ed aggiungeva un paragrafo che metteva in questione la natura definitiva ed immutabile della dottrina cattolica su questo punto.

Essendo quindi falliti i ripetuti tentativi delle legittime autorità della Chiesa di risolvere i problemi posti dagli scritti e dalle attività pastorali dei due autori, la Congregazione per la Dottrina della Fede è obbligata a dichiarare per il bene dei fedeli cattolici che le posizioni espresse da Suor Jeannine Gramick e da Padre Robert Nugent in merito alla malizia intrinseca degli atti omosessuali ed al disordine oggettivo dell’inclinazione omosessuale sono dottrinalmente inaccettabili perché non trasmettono fedelmente il chiaro e costante insegnamento della Chiesa Cattolica su questo punto [3]. Padre Nugent e Suor Gramick hanno spesso affermato che essi cercano, in armonia con la dottrina della Chiesa, di trattare le persone omosessuali «con rispetto, compassione e delicatezza» [4]. Tuttavia la diffusione di errori ed ambiguità non è coerente con un atteggiamento cristiano di vero rispetto e compassione: le persone che stanno combattendo con l’omosessualità hanno, non meno di altre, il diritto di ricevere l’autentico insegnamentodella Chiesa da coloro che li seguono pastoralmente. Le ambiguità e gli errori della posizione di Padre Nugent e di Suor Gramick hanno causato confusione fra i Cattolici ed hanno danneggiato la comunità della Chiesa. Per questi motivi a Suor Jeannine Gramick, SSND, ed a Padre Robert Nugent, SDS, è permanentemente vietata ogni attività pastorale in favore delle persone omosessuali ed essi non sono eleggibili, per un periodo indeterminato, ad alcun ufficio nei loro rispettivi Istituti religiosi.

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell’Udienza concessa il 14 maggio 1999 al sottoscritto Segretario, ha approvato la presente Notificazione, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, 31 maggio 1999.


+ JOSEPH Card. RATZINGER
Prefetto


+ TARCISIO BERTONE, S.D.B.
Arcivescovo emerito di Vercellii
Segretario


L’Osservatore Romano, 14 luglio 1999, p. 7.


[1] Voices of Hope: A Collection of Positive Catholic Writings on Gay and Lesbian Issues(New York: Center for Homophobia Education, 1995) ix.

[2] Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Agendi ratio in doctrinarum examine, art. 23-27: AAS 89 (1997) 834.

[3] Cfr Gn 19, 1-11; Lv 18, 22; 20, 13; 1 Cor 6, 9; Rom 1, 18-32; 1 Tim 1, 10; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2357-2359, 2396; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona humana 8 (AAS 68 [1976] 84-85); Lettera Homosexualitatis problema(AAS 79 [1987] 543-554).

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2358.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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