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I Sacramenti sono atti del Signore e frutto della Resurrezione. Il ruolo del Padrino e della Madrina

Ultimo Aggiornamento: 06/02/2017 10:53
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I sacramenti e la risurrezione

Sette ragioni per dire
che il primo è anche l'ultimo

di mons.Inos Biffi

Specialmente nel tempo pasquale, quando lo sguardo della Chiesa è rivolto con particolare intensità a Gesù risorto e assiso alla destra del Padre, ci è dato di comprendere l'origine e il senso dei sacramenti. Affidarsi, per una loro rinnovata intelligenza, alle varie e attuali filosofie del simbolo, o alle riflessioni sulla naturale ritualità dell'uomo, variamente assunte lungo la storia, significherebbe percorrere una via inconcludente, e persino deviante.

I sacramenti cristiani non trovano giustificazioni all'interno della natura umana; non valgono per una loro coerenza con la sua inclinazione cultuale:  se mai un confronto possa valere, esso sarebbe in ogni caso secondario.

La genesi dei sacramenti, il loro fondamento e la loro possibilità provengono radicalmente dall'intenzione di Cristo che li ha istituiti e dalla sua attualità gloriosa.
I sacramenti - a partire dall'Eucaristia - sono essenzialmente atti del Signore assiso alla destra del Padre, segni e impronta della sua signoria.
Né per questo si attenua l'opera storica di Gesù e, quindi, il suo sacrificio sul Calvario. Al contrario, proprio a motivo della sua gloria l'azione salvifica di Cristo e la sua immolazione possono risaltare nella loro singolare e inesausta efficacia.

Se Gesù Cristo non fosse risuscitato, nessun suo gesto sarebbe risultato valido per la redenzione:  tutta la sua esistenza sarebbe apparsa precaria e, come ogni altra, si sarebbe fatalmente dissolta nel flusso del tempo, lasciando spazio solo a un rammarico senza speranza.

Al contrario, la vita di Cristo, e in particolare il suo sacrificio in croce, avvenuti nel tempo, furono sottratti alle effimere vicissitudini della temporalità, bisognosa di sempre nuove energie che ne riparino la precarietà e ne rimedino l'esaurimento. E infatti - secondo il grandioso messaggio della Lettera agli Ebrei - l'evento del Calvario fu un evento "celeste", "spirituale", "glorioso".

Il suo compiersi storico, a differenza del sacrificio levitico, terreno, carnale e quindi dalle risorse esauribili e provvisorie, fu capace di perenne e insolubile validità, per la gloria che lo attraversava e lo costituiva. Non sarebbe esatto pensare che tale gloria si sia aggiunta in un tempo successivo al suo sacrificio dapprima puramente terreno. In realtà, essa era intrinseca a questo sacrificio, avvenuto certamente nella storia, ma in una storia intimamente trasfigurata in gloria.

La Chiesa può celebrare l'Eucaristia come sacramento del sacrificio della croce proprio perché questo è stato "storicamente" un sacrificio glorioso e ora, dalla destra del Padre, Gesù gli conferisce garanzia e presenza nel corso del tempo che ancora scorre per noi.

Da Gesù assiso alla destra del Padre provengono l'Eucaristia e gli altri sacramenti che la irradiano. Ogni forma di presenza sacramentale di Cristo è dono del Risorto e quindi reale inizio di una comunione con la sua gloria.

"Chi è l'autore dei sacramenti - si chiedeva sant'Ambrogio - se non il Signore Gesù?", e continuava, riferendosi in particolare all'Eucaristia ma nella prospettiva di tutti "i misteri dei cristiani (mysteria christianorum)":  "Questi sacramenti sono venuti dal cielo, poiché ogni disegno riguardo ad essi è dal cielo" (De sacramentis, iv, 4, 13).

Per capire questo occorre avere una concezione esatta della condizione gloriosa di Gesù.
Mentre la cronologia significa l'incompiutezza, la mobilità, l'incertezza, il divenire, il Cristo risorto rappresenta il compimento e la definitività.

L'ora della sua croce è l'ora della sua gloria (Giovanni, 12, 23 e seguenti). Una volta che Gesù è innalzato da terra, si avvera "il giudizio di questo mondo" e "il principe di questo mondo" è "gettato fuori" (Giovanni, 12, 31), mentre nel trionfo di Cristo, Principati e Potenze sono privati della loro forza (Colossesi, 2, 15)

In questa sua elevazione egli solleva e attrae tutti e tutto a sé (cfr. Giovanni, 12, 32).
Allora diviene Signore del cielo, della terra e degli inferi (cfr. Filippesi, 2, 16), collocato "al di sopra di ogni Principato e potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro" (Efesini, 1, 21). E, sempre perché glorificato, si aprì come fonte dello Spirito (Giovanni, 7, 39).

Ma Gesù, con la sua esaltazione, non ha dato l'avvio a un'altra temporalità. Ha invece creato una dimensione totalmente differente rispetto a questa, conteggiata dalla cronologia, ossia la dimensione escatologica, disposta - si direbbe - tra il tempo e l'eternità. San Tommaso parlerebbe di "evo (aevum)", o di "eternità partecipata (quaedam aeternitas participata)" (1 Sententiarum, 8, 2, 2, c):  dimensione che trascende assolutamente il tempo e lo include, che lo "sovrasta" e vi è "imminente".

Per quanto la successione cronologica si estenda e si prolunghi, essa non giungerà mai a oltrepassare, o anche solo ad adeguare, i confini dell'escatologia che irraggiungibilmente comprende - anzi "precomprende" - tutta la storia, per quanto possa indefinitamente estendersi.
È il senso della signoria di Gesù - il Primo e l'Ultimo (Apocalisse, 22, 13) - che con la sua gloria si trova incessantemente presente nel fluire del tempo e nel succedersi della nostra storia ci associa al suo inesauribile sacrificio con la sua grazia perenne.

Tutti i sacramenti sono il frutto della gloria di Cristo, l'impronta viva del Crocifisso risuscitato. Essi vengono da un altro mondo. Sono l'Èschaton - ossia Gesù risuscitato - che opera nel tempo:  proprio a motivo di questo Èschaton i gesti del Signore sono attinti nella loro irrepetibile e inesauribile attualità salvifica.

I sacramenti non nascono da questo mondo. Come del resto la vita cristiana più autentica e vera appartiene al mondo di "lassù", come scrive Paolo, che così esorta i Colossesi:  "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Colossesi, 3, 1-3).

Per rinnovare l'intelligenza dei sacramenti non tanto si deve ricercare una più sottile e seducente filosofia o antropologia, quanto si deve ripensare la sostanza stessa della fede cristiana, e tenere la riflessione fissa sulle "cose di lassù", esistenti quaggiù solo in labile immagine.


(©L'Osservatore Romano - 17 aprile 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/04/2011 12:38
 
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IL PADRINO E LA MADRINA, RESPONSABILI NELLO SVILUPPO DELLA FEDE


"La scena vista nel film di Checco Zalone si ripete in molte realtà ecclesiali"


"Che bella giornata", l’ultimo film del comico Checco Zalone, può essere utilizzato quale fonte di ispirazione per meditare sulla "gestione" dei Sacramenti? Si, purtroppo! In una scena del suddetto film, infatti, ci si trova dinnanzi ad un sacerdote che, inizialmente, nega ad una ragazza non cattolica la possibilità di fare da "madrina" durante il Sacramento del Battesimo ma, dopo averci "opportunamente" ripensato, consente alla stessa di partecipare all’amministrazione del Sacramento stesso.

La scena termina qui! Ipotizziamo, però, di trovarci al passaggio successivo: come si sarebbe svolta la scena? Come si sarebbe comportata quella ragazza, ad esempio, dinnanzi alla professione di fede fatta durante il rito? Ebbene, non essendo incorporata nella Chiesa, perché non unita ad essa dai vincoli della professione di fede, dei Sacramenti, del governo ecclesiastico e della comunione, certamente non avrà potuto proferir parola e avrà limitato il suo essere lì, sull’altare, a dispensare sorrisi per le foto. Come è chiaro, "il padrino o la madrina e l’intera comunità ecclesiale hanno una parte di responsabilità nella preparazione del Battesimo (catecumenato), come pure nello sviluppo della fede e della grazia battesimale" (Catechismo della Chiesa Cattolica, compendio n. 259).

Non c’è nulla di più triste del dover constatare quanto, spesso e volentieri, sia incoerente e ambiguo l’atteggiamento verso i Sacramenti, attraverso i quali "Cristo comunica alle membra del suo Corpo il suo Spirito e la grazia di Dio che porta i frutti di vita nuova, secondo lo Spirito" (Ib. n. 146). Cosa può provare un non cattolico nel sentirsi porre la seguente domanda: "Credi nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa Cattolica, nella comunione dei Santi, nella remissione dei peccati e nella resurrezione della carne?". Il vero problema è che la scena vista in quel film si ripete spesso e in moltissime realtà ecclesiali. Perciò, a questa domanda, dovrebbero provare a rispondere tutti quei parroci, complici di questa barbarie dottrinale, i quali si pongono in palese conflitto con la fede e con la stessa ragione.

Proprio perché necessari alla salvezza, i Sacramenti sono tesori di valore troppo inestimabile e, per questo, non possono essere vissuti con sufficienza: "Per i credenti in Cristo, i Sacramenti sono necessari alla salvezza perché conferiscono le grazie sacramentali, il perdono dei peccati, l’adozione a figli di Dio, la conformazione a Cristo Signore e l’appartenenza alla Chiesa. Lo Spirito Santo guarisce e trasforma coloro che li ricevono" (Ib. n. 230). Infatti -scrive il Teologo Bruno Forte- "se Cristo è il Sacramento di Dio e la Chiesa è il Sacramento di Cristo, i Sacramenti sono le realizzazioni più intense dell’incontro con Dio nella Chiesa, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito Santo; sono parole e gesti compiuti in obbedienza alla volontà del Signore; sono eventi attraverso i quali la Chiesa celebra e vive l’incontro fra il Risorto e gli uomini.
 
Perciò -prosegue- i Sacramenti costituiscono la continua dimostrazione della tenerezza e della compassione del nostro Dio, e ne celebrano la misericordia e il perdono, l’accondiscendenza alla nostra piccolezza e il desiderio di farci partecipi della sua vita divina". Probabilmente, non ci si rende conto che, ridicolizzando ad esempio il Sacramento del Battesimo, attraverso la possibilità che viene data ad un non cattolico di fare da padrino o da madrina, si offre l’opportunità ai non cattolici stessi di tentare di prendersi gioco della Santa Madre Chiesa. Essendo di primaria importanza il ruolo del padrino o della madrina nel Battesimo e prendendo atto del tentativo di veder ridicolizzato tale Sacramento, impartito ad un bambino, dobbiamo smentire con forza quanto viene diffuso dalle sette pseudocristiane, cioè che il battesimo amministrato ad un bambino non sia valido perché il soggetto, in quanto bambino, non è nelle condizioni di poter credere.

Il padrino o la madrina deve per forza professare la fede cattolica trasmessa dagli Apostoli, specie per possedere la consapevolezza che il Battesimo con l’acqua, nel nome della Santissima Trinità, altro non è che l’atto voluto da Gesù per dare inizio all’esistenza della nuova creatura in chi si è aperto alla parola della vita.

Il padrino o la madrina deve essere consapevole che la Santa Madre Chiesa è spinta a battezzare anche i bambini, ancora incapaci di un atto personale di fede, perché il Sacramento viene celebrato in forza della fede della comunità che presenta e accoglie il battezzato. Da parte sua, la comunità si impegna ad aiutare il battezzato a crescere nella coscienza del dono ricevuto e a testimoniarlo nella vita. Non concepire questo passaggio "chiave" equivale a non comprendere, ad esempio, il concetto di "responsabilità nella famiglia". E mi spiego meglio. Se rimproverassi i miei genitori, il mio padrino e la mia madrina, la mia comunità parrocchiale e il mio parroco per avermi battezzato da bambino, equivarrebbe al fatto che io biasimassi i miei genitori per avermi imposto il nome che porto -quindi un "fatto" che rimarrà per sempre- senza la mia accondiscendenza!

La famiglia assume, nei riguardi del bambino, ogni decisione che reputa giusta per il suo bene e si impegna a mantenere la promessa di ogni responsabilità assunta, assieme al padrino o alla madrina. La consapevolezza del singolo individuo non c’entra un bel niente. E’ Dio che opera. Solo a lui dobbiamo anelare. La nostra volontà non ha alcun valore. Altrimenti, correremmo il rischio di bestemmiare contro lo Spirito Santo. La Chiesa, la comunità dei credenti, nella quale il bambino viene battezzato, è l’immagine vivente ed eccezionalmente emblematica dell’amore della Trinità Santissima, nel nome della quale ogni cosa viene fatta. Anche quel pezzo di pane e quelle gocce di vino, nella loro inconsapevolezza, diventano, per l’effusione dello Spirito Santo e per le mani del Sacerdote, vero cibo e vera bevanda sull’altare, cioè il Corpo e il Sangue di Cristo. A questo punto, è obbligatoria una piccola e provocatoria riflessione.

Così come viene utilizzata, la figura del padrino o della madrina ha poco senso: forse, è solo un ponte per ottenere benefici terreni, prestigio e regali. Tutto questo, purtroppo, dimostra quanta sia poca la sensibilità di noi credenti verso i Sacramenti. Perché, allora, non pensare di creare in ogni parrocchia una sorta di "albo" dei padrini e delle madrine? Si tratterebbe di offrire alle persone che lo desiderino un’accurata catechesi, che metta loro nelle condizioni di poter fare da garanti ai fedeli che ricevono il Sacramento del Battesimo e quello della Confermazione. Il Sacramento, così, acquisterebbe la sobrietà che merita e non verrebbe ridotto ad un mero evento mondano, anche col pretesto di poter instaurare rapporti poco consonanti con il Vangelo.

Il Sacramento è un fatto serio, nel quale Dio è presente attraverso l’opera della sua stessa Chiesa, che speriamo possa essere sempre più purificata, in quanto Sacramento di Cristo: "La Chiesa è in Cristo come un Sacramento, cioè n segno e uno strumento dell’intima unione con Dio e dell’unita di tutto il genere umano" (Lumen gentium, 1). In questo modo, probabilmente, non si vedranno più scene come quella del già citato film e, solo allora, specie sotto il profilo spirituale, potremmo dire: "Che bella giornata!".

Stefano Cropanese


Fraternamente CaterinaLD

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SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì Santo, 21 aprile 2011






Cari fratelli e sorelle!

„Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione“ (Lc 22,15): con queste parole Gesù ha inaugurato la celebrazione del suo ultimo convito e dell’istituzione della santa Eucaristia. Gesù è andato incontro a quell’ora desiderandola. Nel suo intimo ha atteso quel momento in cui avrebbe donato se stesso ai suoi sotto le specie del pane e del vino. Ha atteso quel momento che avrebbe dovuto essere in qualche modo le vere nozze messianiche: la trasformazione dei doni di questa terra e il diventare una cosa sola con i suoi, per trasformarli ed inaugurare così la trasformazione del mondo. Nel desiderio di Gesù possiamo riconoscere il desiderio di Dio stesso – il suo amore per gli uomini, per la sua creazione, un amore in attesa. L’amore che attende il momento dell’unione, l’amore che vuole attirare gli uomini a sé, per dare compimento con ciò anche al desiderio della stessa creazione: essa, infatti, è protesa verso la manifestazione dei figli di Dio (cfr Rm 8,19). Gesù ha desiderio di noi, ci attende. E noi, abbiamo veramente desiderio di Lui? C’è dentro di noi la spinta ad incontrarLo? Bramiamo la sua vicinanza, il diventare una cosa sola con Lui, di cui Egli ci fa dono nella santa Eucaristia? Oppure siamo indifferenti, distratti, pieni di altro? Dalle parabole di Gesù sui banchetti sappiamo che Egli conosce la realtà dei posti rimasti vuoti, la risposta negativa, il disinteresse per Lui e per la sua vicinanza. I posti vuoti al banchetto nuziale del Signore, con o senza scuse, sono per noi, ormai da tempo, non una parabola, bensì una realtà presente, proprio in quei Paesi ai quali Egli aveva manifestato la sua vicinanza particolare. Gesù sapeva anche di ospiti che sarebbero sì venuti, ma senza essere vestiti in modo nuziale – senza gioia per la sua vicinanza, seguendo solo un’abitudine, e con tutt’altro orientamento della loro vita. San Gregorio Magno, in una delle sue omelie, si domandava: Che genere di persone sono quelle che vengono senza abito nuziale? In che cosa consiste questo abito e come lo si acquista? La sua risposta è: Quelli che sono stati chiamati e vengono hanno in qualche modo fede. È la fede che apre loro la porta. Ma manca loro l’abito nuziale dell’amore. Chi vive la fede non come amore non è preparato per le nozze e viene mandato fuori. La comunione eucaristica richiede la fede, ma la fede richiede l’amore, altrimenti è morta anche come fede.

Da tutti e quattro i Vangeli sappiamo che l’ultimo convito di Gesù prima della Passione fu anche un luogo di annuncio. Gesù ha proposto ancora una volta con insistenza gli elementi portanti del suo messaggio. Parola e Sacramento, messaggio e dono stanno inscindibilmente insieme. Ma durante l’ultimo convito, Gesù ha soprattutto pregato. Matteo, Marco e Luca usano due parole per descrivere la preghiera di Gesù nel punto centrale della Cena: “eucharistesas” ed “eulogesas” – “ringraziare” e “benedire”. Il movimento ascendente del ringraziare e quello discendente del benedire vanno insieme. Le parole della transustanziazione sono parte di questa preghiera di Gesù. Sono parole di preghiera. Gesù trasforma la sua Passione in preghiera, in offerta al Padre per gli uomini. Questa trasformazione della sua sofferenza in amore possiede una forza trasformatrice per i doni, nei quali ora Egli dà se stesso. Egli li dà a noi affinché noi e il mondo siamo trasformati. Lo scopo proprio e ultimo della trasformazione eucaristica è la nostra stessa trasformazione nella comunione con Cristo. L’Eucaristia ha di mira l’uomo nuovo, il mondo nuovo così come esso può nascere soltanto a partire da Dio mediante l’opera del Servo di Dio.

Da Luca e soprattutto da Giovanni sappiamo che Gesù nella sua preghiera durante l’Ultima Cena ha anche rivolto suppliche al Padre – suppliche che al tempo stesso contengono appelli ai suoi discepoli di allora e di tutti i tempi. Vorrei in quest’ora scegliere soltanto una supplica che, secondo Giovanni, Gesù ha ripetuto quattro volte nella sua Preghiera sacerdotale. Quanto deve averLo angustiato nel suo intimo! Essa rimane continuamente la sua preghiera al Padre per noi: è la preghiera per l’unità. Gesù dice esplicitamente che tale supplica non vale soltanto per i discepoli allora presenti, ma ha di mira tutti coloro che crederanno in Lui (cfr Gv 17,20). Chiede che tutti diventino una sola cosa “come tu, Padre, sei in me e io in te … perché il mondo creda” (Gv 17,21). L’unità dei cristiani può esserci soltanto se i cristiani sono intimamente uniti a Lui, a Gesù. Fede e amore per Gesù, fede nel suo essere uno col Padre e apertura all’unità con Lui sono essenziali. Questa unità non è dunque una cosa soltanto interiore, mistica. Deve diventare visibile, così visibile da costituire per il mondo la prova della missione di Gesù da parte del Padre. Per questo tale supplica ha un nascosto senso eucaristico che Paolo ha chiaramente evidenziato nella Prima Lettera ai Corinzi: “Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,16s). Con l’Eucaristia nasce la Chiesa. Noi tutti mangiamo lo stesso pane, riceviamo lo stesso corpo del Signore e questo significa: Egli apre ciascuno di noi al di là di se stesso. Egli ci rende tutti una cosa sola. L’Eucaristia è il mistero dell’intima vicinanza e comunione di ogni singolo col Signore. Ed è, al tempo stesso, l’unione visibile tra tutti. L’Eucaristia è Sacramento dell’unità. Essa giunge fin nel mistero trinitario, e crea così al contempo l’unità visibile. Diciamolo ancora una volta: essa è l’incontro personalissimo col Signore e, tuttavia, non è mai soltanto un atto di devozione individuale. La celebriamo necessariamente insieme. In ogni comunità vi è il Signore in modo totale. Ma Egli è uno solo in tutte le comunità. Per questo, della Preghiera eucaristica della Chiesa fanno necessariamente parte le parole: “una cum Papa nostro et cum Episcopo nostro”. Questa non è un’aggiunta esteriore a ciò che avviene interiormente, bensì espressione necessaria della realtà eucaristica stessa. E menzioniamo il Papa e il Vescovo per nome: l’unità è del tutto concreta, ha dei nomi. Così l’unità diventa visibile, diventa segno per il mondo e stabilisce per noi stessi un criterio concreto.

San Luca ci ha conservato un elemento concreto della preghiera di Gesù per l’unità: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,31s). Oggi constatiamo con dolore nuovamente che a Satana è stato concesso di vagliare i discepoli visibilmente davanti a tutto il mondo. E sappiamo che Gesù prega per la fede di Pietro e dei suoi successori. Sappiamo che Pietro, che attraverso le acque agitate della storia va incontro al Signore ed è in pericolo di affondare, viene sempre di nuovo sorretto dalla mano del Signore e guidato sulle acque. Ma poi segue un annuncio e un incarico. “Tu, una volta convertito…”: Tutti gli esseri umani, eccetto Maria, hanno continuamente bisogno di conversione. Gesù predice a Pietro la sua caduta e la sua conversione. Da che cosa Pietro ha dovuto convertirsi? All’inizio della sua chiamata, spaventato dal potere divino del Signore e dalla propria miseria, Pietro aveva detto: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore!” (Lc 5,8). Alla luce del Signore egli riconosce la sua insufficienza. Proprio così, nell’umiltà di chi sa di essere peccatore, egli viene chiamato. Egli deve sempre di nuovo ritrovare questa umiltà. Presso Cesarea di Filippo Pietro non aveva voluto accettare che Gesù avrebbe dovuto soffrire ed essere crocifisso. Ciò non era conciliabile con la sua immagine di Dio e del Messia. Nel cenacolo egli non ha voluto accettare che Gesù gli lavasse i piedi: ciò non si adattava alla sua immagine della dignità del Maestro. Nell’orto degli ulivi ha colpito con la spada. Voleva dimostrare il suo coraggio. Davanti alla serva, però, ha affermato di non conoscere Gesù. In quel momento ciò gli sembrava una piccola bugia, per poter rimanere nelle vicinanze di Gesù. Il suo eroismo è crollato in un gioco meschino per un posto al centro degli avvenimenti. Tutti noi dobbiamo sempre di nuovo imparare ad accettare Dio e Gesù Cristo così come Egli è, e non come noi vorremmo che fosse. Anche noi stentiamo ad accettare che Egli si sia legato ai limiti della sua Chiesa e dei suoi ministri. Anche noi non vogliamo accettare che Egli sia senza potere in questo mondo. Anche noi ci nascondiamo dietro pretesti, quando l’appartenenza a Lui ci diventa troppo costosa e troppo pericolosa. Tutti noi abbiamo bisogno di conversione che accoglie Gesù nel suo essere-Dio ed essere-Uomo. Abbiamo bisogno dell’umiltà del discepolo che segue la volontà del Maestro. In quest’ora vogliamo pregarLo di guardare anche a noi come ha guardato Pietro, nel momento opportuno, con i suoi occhi benevoli, e di convertirci.

Pietro, il convertito, è chiamato a confermare i suoi fratelli. Non è un fatto esteriore che questo compito gli venga affidato nel cenacolo. Il servizio dell’unità ha il suo luogo visibile nella celebrazione della santa Eucaristia. Cari amici, per il Papa è un grande conforto sapere che in ogni Celebrazione eucaristica tutti pregano per lui; che la nostra preghiera si unisce alla preghiera del Signore per Pietro. Solo grazie alla preghiera del Signore e della Chiesa il Papa può corrispondere al suo compito di confermare i fratelli – di pascere il gregge di Gesù e di farsi garante per quell’unità che diventa testimonianza visibile della missione di Gesù da parte del Padre.

“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi”. Signore, tu hai desiderio di noi, di me. Tu hai desiderio di partecipare te stesso a noi nella santa Eucaristia, di unirti a noi. Signore, suscita anche in noi il desiderio di te. Rafforzaci nell’unità con te e tra di noi. Dona alla tua Chiesa l’unità, perché il mondo creda. Amen.







[SM=g1740733]
[Modificato da Caterina63 04/06/2014 11:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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23/04/2011 19:43
 
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Quando il nome raccontava una vita

E dopo sedici secoli Pascasio è ancora in classifica



di CARLO CARLETTI

Già nella prima età costantiniana e, in maniera più evidente, dalla metà del IV secolo, i tratti identitari di una realtà ecclesiale più matura e definita cominciano a manifestarsi tangibilmente anche attraverso la produzione epigrafica che, per non pochi aspetti, dopo la parentesi dell'epigrafia "minimale" (in realtà non meno espressiva) del III secolo, si riappropria sul piano formale del consolidato patrimonio della tradizione romana.
 
Tra l'età precostantiniana e quella immediatamente successiva le diversità appaiono subito evidenti e anche molto profonde. A giusta ragione il gesuita Antonio Ferrua nel confrontare le iscrizioni precostantiniane della Regione I-Y della catacomba dei Santi Marcellino e Pietro sulla Labicana con quelle della seconda metà del IV secolo del cimitero di Commodilla, poteva legittimamente osservare: "È incredibile come in pochi decenni le usanze cimiteriali cambino profondamente e in quasi tutti gli aspetti della loro esplicazione: sembra di entrare in un mondo nuovo".

I primi e più evidenti sintomi del mondo nuovo evocato da Ferrua si colgono preliminarmente in due aspetti di notevole portata: il rientro nella prassi corrente di tutto quanto era stato "ideologicamente" escluso nelle strutture epigrafiche del laconismo "arcaico" (i dati retrospettivi e dunque le microstorie della vita terrena) e, con particolare incidenza (anche se non sempre e dovunque) una maggiore e più articolata visibilità dello specifico cristiano che, ancora sommesso e quasi reticente nel III secolo, in breve tempo si configura sempre più come palese segno di appartenenza, manifestandosi in un cospicuo e variegato repertorio formulare, che nel corso del tempo tende a cristallizzarsi per poi scomparire quasi totalmente con la fine del mondo antico, nel corso cioè del secolo VI.

Nel periodo che intercorre che tra la metà del IV e la metà del V secolo si può senz'altro riconoscere la stagione più creativa nella acquisizione di moduli espressivi generalmente di tipo formulare, che entrano stabilmente nel repertorio epigrafico, con un linguaggio generalmente rarefatto, spesso ellittico e non sempre immediatamente comprensibile anche per la frequenza dell'uso di forme, tipicamente epigrafiche, sospese o contratte.

Sul piano dei nuovi contenuti che si affacciano e si consolidano nella cultura epigrafica del tempo, quasi all'improvviso e in notevole quantità emergono termini, espressioni o, semplicemente, "segni" che, in forme esplicita o implicita, qualificano defunto e dedicanti come adepti della nuova fede: l'aspetto più tipico e diffuso è la definitiva affermazione delle formule ireniche in pace - en eirène, variamente assunte con valenza escatologica (in pace Christi, Dei, Domini), funeraria (la quies del sepolcro) o retrospettiva in riferimento cioè a una vita condotta secundum legem domini (ad esempio Maxema que vi|xit in pace a|nnos triginta; Inscriptiones Christianae Urbis Romae, IV, 9419). Ed è proprio nell'ambito formulare più specificamente connotato, molto più che nella stanca riproposizione del formulario di routine, che si colgono i diversificati livelli di partecipazione e comprensione dei Christi fideles laici nei riguardi dei momenti forti e qualificanti che scandiscono l'avvicinamento e l'ingresso nella comunità dei cristiani.

In questo ambito, a partire dalla metà del IV secolo, un significativo elemento di novità si può agevolmente individuare nella progressiva affermazione nelle comunità di una onomastica specificamente cristiana, che dopo la morte trova il suo pressoché esclusivo alveo di memoria conservazione nella documentazione epigrafica. Nascono i nomi "identitari": in primo luogo quelli di estrazione neotestamentaria come Petrus (il più diffuso già dal III secolo), Paulus, Iohannes, Maria, o quelli che ripropongono principi dogmatici fondamentali come in primo luogo Anastasius/Anastasia, che in un caso (indubbiamente eccezionale) sollecitarono un palese svelamento del loro significato: Anastasia secundum nomen credo futuram, una vera e propria professione di fede nella resurrezione finale, espressa con l'espediente del cosiddetto feronymos.

Ampia accoglienza tra i cristiani ebbero anche i cosiddetti nomi teofori, tra i quali il più diffuso è Cyriacus, il cui significato cristiano deriva dal fenomeno del cosiddetto "slittamento semantico" (mutamento di significato) da "appartenente al padrone" a "appartenente al Signore".
Alcuni nomi cristiani si propongono poi come veri e propri calchi onomastici del momento forte per eccellenza del calendario liturgico cristiano: il più caratteritico e diffuso è Pascasius/Pascasia - derivato ovviamente da Pascha - spesso ricordato nelle iscrizioni in diretta correlazione con il battesimo che, come è noto, nell'antichità cristiana veniva amministrato durante la liturgia della veglia pasquale. E in effetti sono molto numerose le testimonianze epigrafiche nelle quali, attraverso una specifica gamma formulare, vengono espressamente menzionati i diversi e progressi passaggi che conducevano il fedele alla acceptio fidis, alla accoglienza del battesimo.

Da queste testimonianze si ricava tra l'altro che l'età media della gran parte dei defunti neobattezzati (dai 20 ai 50 anni) fa legittimamente supporre un deliberato rinvio del battesimo fino all'approssimarsi della morte (tra i molti esempi Inscriptiones Christianae Urbis Romae, I, 2087, 2833, 3202, 3553; II, 4164; III, 7379; IV, 11806, 11862, 12020, 12459, 12652; V, 13443; VII, 17548, 18469, 18631, 18693, 18979, 19820; IX, 24870): questi procrastinantes (così venivano definiti dai Padri della Chiesa) pertanto giungevano spesso al battesimo nello status di audientes, senza aver percorso i diversi gradi della preparazione, che prevedevano per i candidati una duplice fase di istruzione, una remota (cathecumeni, audientes) della durata di circa un triennio, e l'altra prossima nel corso della quale i catecumeni, dopo la valutazione (scrutinio) del vescovo, iscrivevano - prima della Quaresima - il loro nome nei dittici per il battesimo della notte pasquale, assumendo così requisito e denominazione di fotizòmenoi (coloro che stanno per essere illuminati), di competentes (in Occidente) di audientes (a Roma).

Questo percorso di istruzione progressivo ovviamente non poteva aver luogo per i casi - peraltro numerosissimi - di morte prematura: in questi casi il battesimo (pedobattesimo) veniva amministrato in articulo mortis, al di fuori della pratica prevista nel disciplinare battesimale, che in condizioni normali prevedeva un lungo e articolato percorso di istruzione.

Per la storia dell'origine del cognomen pasquale Pascasius un documento (ora perduto) particolarmente significativo è l'epitaffio posto sulla tomba di un bambino, morto il 28 aprile dell'anno 463 e sepolto a Roma nella catacomba di Castulo sulla via Labicana. La vicenda della sua breve esistenza è descritta in termini dettagliati (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, VI, 15895): "Pascasio, nato col nome di Severo nel corso dei giorni pasquali, giovedì quattro aprile, nell'anno del consolato di Flavio Costantino e Rufo (457) uomini chiarissimi, visse sei anni. Ricevette il battesimo (percepit) il 21 aprile e depose nel sepolcro le vesti bianche l'ottava di Pasqua, il 28 aprile, nell'anno del consolato dell'uomo chiarissimo Flavio Basilio (463)".
 
La vita, seppur breve, di Pascasio si svolse sotto il segno della Pasqua, che nell'anno 457 cadde nell'ultimo giorno del mese. Il quattro aprile, giorno della sua nascita, era dunque incluso (come specificato nell'epitaffio) nel periodo dei dies pascales, cioè dei quindici giorni comprensivi della settimana precedente e successiva al giorno di Pasqua: la sacralità dei "giorni pasquali" era anche riconosciuta in una legge del 392, che prevedeva appunto in questo periodo la sospensione di tutti gli atti giuridici, sia pubblici e privati (Codex Theodosianus, II, 8, 21). Alla nascita il defunto aveva assunto il nome anagrafico di Severus, cui fu aggiunto, al momento del battesimo, quello specificamente cristiano di Pascasius: natu(s) Severi nomine, Pascasius, dies pascales, prid(ie) Non(as) April(es), die Iobis (cioè Iovis) Fl(avio) Constantino et Rufo v(iris) c(larissimis) cons(ulibus).
 
Un'altra circostanza, anch'essa del tutto fortuita, contrassegna la fine di Severus/Pascasius, che nello stesso giorno (l'ultimo dei dies paschales) insieme al corpo depose nel sepolcro anche "la veste bianca", assunta al momento del battesimo: percepit XI Kal(endas) Maias et albas suas octabas Pascae ad sepulcrum deposuit, laddove l'ottava di Pasqua è appunto la domenica in albis. A quello di Severus-Pascasius possono coerentemente avvicinarsi gli epitaffi (rispettivamente del IV e V secolo) della gallica Optatina Reticia, originaria di Arles (Corpus Inscriptionum Latinarum XII 956) e della romana Veneranda che, come nutrix, dedicò la sepoltura ai propri protetti (alumnis suis) Primitiva e Felicio (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, I, 3722): ambedue nel corso della liturgia battesimale assunsero il supernomen di Pascasia.

La microstoria di questo antroponimo pasquale è sostenuta anche da altre sporadiche attestazioni, storicamente rilevanti, perché per un verso documentano (anche attraverso la memoria funeraria) una ormai diffusa e radicata percezione della centralità della celebrazione pasquale e battesimale e per l'altro perché consentono di cogliere o, quantomeno, ipotizzare, le motivazioni "tecniche" immediate e nel contempo contingenti - dunque connesse all'evento e al tempo liturgico - che chiariscono le ragioni della introduzione nella onomastica cristiana antica di un nome (precedentemente ignoto) come Pascasius/Pascasia.

In taluni casi la motivazione non sempre è quella "rituale" connessa all'assunzione di un nuovo nome nel corso del rito dell'iniziazione, ma quella invece della occasionale nascita di un individuo (evidentemente cristiano) nella settimana precedente o successiva al giorno della celebrazione pasquale, cioè nel corso dei quindici giorni, definiti appunto dies pascales, come nel già ricordato epitaffio di Severus-Pascasius. Le iscrizioni in cui vengono ricordati defunti con il nome Pascasius/Pascasia, se corredate dalla menzione del giorno, mese e anno della morte, consentono infatti agevolmente - attraverso il ricorso al calendario perpetuo pasquale - di verificare se l'opzione per il supernomen Pascasius fosse derivata dalla coincidenza della nascita nel corso dei dies pascales o, viceversa, da una scelta genericamente devozionale, svincolata dalla sollecitazione di un contesto liturgico, e dunque esercitata in un periodo qualsiasi dell'anno, come peraltro documentato in numerose iscrizioni di Roma e dell'Africa nel corso dei secoli IV e V.

Una opzione, riconoscibile nella sua consapevole definizione, è quella che implicitamente si evince nell'epitaffio che commemora una dulcissima infans morta ad Arles il 29 luglio del 422 a due anni, tre mesi, dieci giorni: era dunque nata il 19 aprile del 420 e in quell'anno la Pasqua cadeva il 18 aprile. Ciò spiega pienamente la motivazione che sollecitò la scelta del cognomen Pascasia, attribuito alla giovane defunta: hic requiescit Pascasia / dulcissima infans, quae vixit an(n)i(s) duobus, mens(ibus) tribus et dies X. obiit IIII Kal(endas) Iul(ias) Honorio XIII et Theodosio cons(ulibus) (Corpus Inscriptionum Latinarum, XIII, 2353). A Roma un bambino di quattro anni, otto mesi, quattro giorni morì il quattro dicembre del 382. La sua nascita era allora avvenuta il primo aprile del 378, che in quell'anno coincideva con il giorno della Pasqua: pridie Non(is) Decemb(ribus) d(e)p(ositus) Pascasius, qui vixit ann(is) IIII m(ensibus) VIII d(iebus) IIII. Antonio et Syagrio con)sulibus) (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, II, 5791).

Questa in sintesi la storia della formazione e della diffusione nel corso dei secoli IV e V secolo di un nome cristiano, che ebbe nei secoli successivi una straordinaria fortuna e che tuttora, in molteplici varianti, occupa in Italia il ventesimo posto nella graduatoria dei nomi più diffusi.



(©L'Osservatore Romano 24 aprile 2011)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Nell'accompagnamento alla fede, riscoprire il padrino e la madrina


Una proposta emersa durante l'Assemblea generale della Cei


 

di Chiara Santomiero

ROMA, mercoledì, 25 maggio 2011 (ZENIT.org).- Tornare a valorizzare “figure tradizionali antiche” come il padrino e la madrina ma ipotizzarne anche di nuove come i “tutor” per il percorso di accompagnamento alla fede: sono alcune delle proposte emerse dai gruppi di studio seguiti alla relazione “Introdurre e accompagnare all’incontro con Cristo nella comunità ecclesiale: soggetti e metodi dell’educazione alla fede”, tenuta il 24 maggio da mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano e presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l'annuncio e la catechesi della Cei, alla 63ma Assemblea generale dei vescovi italiani in corso a Roma.

Ne ha parlato lo stesso Semeraro in una conferenza stampa svoltasi mercoledì presso l’Aula Paolo VI, specificando che “in tutti i gruppi è emerso come nevralgico il tema della famiglia rispetto all’educazione alla fede non solo per la centralità del soggetto, ma anche per la situazione di affanno in cui versa e che rende necessario che essa stessa sia accompagnata”.

“Il processo educativo – ha ricordato Semeraro citando gli Orientamenti pastorali per il decennio 'Educare alla vita buona del Vangelo' – è efficace quando due persone, l’educatore e l’educando, si incontrano e si coinvolgono profondamente” così come al centro dell’esperienza cristiana c’è “non una decisione etica ma l’incontro con una Persona che è Cristo”.

Per questo, sempre dai gruppi di studio, è emersa l’importanza del “valore testimoniale nella trasmissione dell’esperienza di fede – già affermata da Paolo VI nell’enciclica Evangelii nuntiandi con l’incisiva espressione ‘il mondo ha più bisogno di testimoni che di maestri’ – declinato nel senso di una parrocchia accogliente e testimoniante con gioia”.

Tanto più verso i cosiddetti “ricomincianti” di cui ha parlato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei nella prolusione dell’assemblea, cioè “adulti – ha spiegato Semeraro – che per le ragioni più diverse hanno, se non ripudiato, però abbandonato la vita di fede per la quale conservano tuttavia una nostalgia che li induce a ricominciare la frequentazione della comunità ecclesiale”. “E’ molto importante per loro – ha commentato il presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l'annuncio e la catechesi della Cei – che non abbiano a ritrovare lo stesso clima che li ha spinti ad andarsene”.

Accanto ai “ricomincianti” emerge la realtà dei catecumeni, cioè “adulti che chiedono di diventare cristiani”. “L’esperienza evidenzia – ha spiegato Semeraro – che circa il 50% di coloro che chiedono di iniziare il cammino di preparazione alla fede non sono immigrati e appartenenti ad altre religioni, ma persone nate nel territorio delle nostre diocesi”. A far nascere la richiesta “la vicinanza di un amico, fidanzata, compagno di scuola o di lavoro, un’esperienza di volontariato: a riprova dell’imprevedibilità delle strade di Dio al di là dei nostri sforzi”.

Tutte queste persone possono svolgere un’opera di accompagnamento nella fede come “molto spesso fanno i nonni, che costituiscono l’anello generativo alla fede più dei genitori, impediti dai ritmi di lavoro”. Anche perché “i nonni di adesso non hanno più la barba bianca ma sono giovani anch’essi”.

Insieme bisogna scongiurare il rischio che “ci sia solo l’introduzione alla fede e non l’accompagnamento”. Rispondendo alle domande dei giornalisti su un recente pronunciamento della Congregazione per il culto divino che ha sospeso un progetto pilota della diocesi di Bolzano-Bressanone per l'innalzamento dell'eta' della cresima dai 12 ai 18 anni, Semeraro ha specificato che c’è discussione intorno all’età più adatta per il sacramento della confermazione: “rispetto al margine fissato a12 anni, ci sono nelle diocesi legittime diversificazioni legate alla storia e alle tradizioni locali”. “L’ufficio catechistico nazionale – ha concluso Semeraro – ha avviato da tempo una ricognizione per accertare quanto stabilito a proposito nelle diverse diocesi e non è esclusa una revisione della norma anche se, per quanto importante, quello dell’età non è l’unico problema legato a questo sacramento”.

Nel pomeriggio di giovedì 26 maggio i vescovi si recheranno nella basilica di S. Maria Maggiore per la recita del rosario nel centocinquantesimo dell’unità d’Italia con l’intervento di Papa Benedetto XVI .

 


 

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Il Padrino. Ultimo atto?


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Ragioni, degenerazioni, fallimento e inutilità di un istituto canonico del tutto svuotato di senso: i padrini. Passati dall’essere “garanti” della fede di cresimandi e battezzati, a profanatori di chiese e dissacratori di sacramenti. E spesso protagonisti di vere e proprie ritorsioni violente contro parroci e vescovi che volessero preservare una parvenza di decenza davanti ai sacramenti, o semplicemente il codice di diritto canonico. Che sia arrivata l’ora di abolire queste figure diventate un incentivo paradossale di “mondanità spirituale” – nonché di consumismo e fonte di pubblici scandali – dentro le chiese? Divorziati risposati, atei, pubblici peccatori, omosessualisti, anticlericali, massoni, anticattolici, buddisti persino e padrini di cresimandi non cresimati essi stessi: tutti pretendono di salire e scendere a prescindere dagli altari, come padrini (e spesso ahinoi “testimoni” di nozze). Ma cosa “testimoniano” questi? Che un ufficio cattolico segno di pietà e umiltà è diventato un “diritto”? Siamo andati a chiederlo a un canonista, Che… senza peli sulla lingua…  spiega come stanno veramente le cose. E come dovrebbero.

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891989_125991450893727_92656265_odi d. Marco Scandelli

Con l’arrivo della primavera, non solo la natura riprende vita e forma, ma anche molti di coloro che si definiscono “credenti”, salvo poi ricordarsi a mala pena il “Padre nostro”, si risvegliano dal letargo della loro fede e si dirigono con sguardo fiero, rivendicando presunti “diritti”, verso le canoniche delle parrocchie italiane, in cui ad accoglierli benevolmente trovano spesso sacerdoti che hanno l’unica colpa di mettere in pratica ciò che la Chiesa ha chiesto loro di fare.

Sto parlando del fenomeno di coloro che reclamano il diritto soggettivo di essere “padrini” – di Battesimo o di Cresima poco importa – costi quel che costi.

La famosa scena del battesimo (rigorosamente in rito antico) nel film il Padrino, con Marlon Brando

Le famose scene del battesimo (rigorosamente in rito antico) nel film il Padrino, con Marlon Brando.

Da un punto di vista canonico, non c’è nulla da fare. Il Codice parla chiaro al can. 874. Per essere ammesso all’incarico di padrino/madrina sono necessari nove requisiti: 1. Sia designato da colui che deve ricevere il Sacramento, o da chi ne fa le veci o ancora dal sacerdote. 2. Abbia intenzione di esercitare tale incarico. 3. Abbia compiuto i 16 anni. 4. Sia cattolico. 5. Sia cresimato. 6. Abbia fatto la “prima comunione”. 7. Conduca una vita conforme alla fede e all’incarico che assume. 8. Non sia irretito da pena canonica inflitta o dichiarata. 9. Non sia il genitore.

È lasciata discrezionalità innanzitutto sul terzo punto, relativo all’età, poiché essendo una prescrizione di diritto positivo – naturalmente, infatti, si richiede solo che la persona abbia una certa maturità confacente all’incarico – può essere modificata dal Vescovo diocesano o addirittura dispensata “per giusta causa” ad casum.

Un’altra eccezione è ammessa per il n. 4: infatti, il Direttorio ecumenico afferma che è consentito per un valido motivo “ammettere un fedele orientale con il ruolo di padrino congiuntamente a un padrino (o madrina) cattolico”, e ciò “in forza della stretta comunione esistente tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali ortodosse”.

Infine, storicamente – con legittimità – è avvenuto il caso, contro il n. 9, in cui un padre o una madre chiedesse e ottenesse di fare da padrino/madrina del proprio figlio. Si tratta di una prassi che per un certo periodo si è diffusa in più luoghi nella Chiesa. Di per sé, dunque, è stato possibile che un genitore facesse anche da padrino. La Chiesa, però, cercando di riflettere maggiormente sulla figura normata dal can. 874 ha ritenuto che sia necessario evitare il declino di una tradizione importante che vede nel padrino una figura educativa di riferimento accanto a quella dei genitori. “Accanto”, appunto. Altra cosa!

Ma per gli altri punti il discorso è diverso: non si tratta di un capriccio o di una interpretazione sbagliata del canone, come qualcuno a volte accusa, ma è in gioco la stessa natura della figura del padrino.

Ristoranti, bel tempo e il “padrino irregolare”

Argentina. Il sacrilego "battesimo" di un bambino preso da una coppia di lesbiche, madrina la presidentessa argentina. Il tutto è accaduto con l'autorizzazione della diocesi. E' diventa un'occasione per "genitori" e padrini di inscenare una sorta di gay pride in chiesa

Argentina. Il sacrilego “battesimo” di un bambino nato per inseminazione artificiale da una coppia di lesbiche, madrina la presidentessa argentina. Il tutto è accaduto con l’autorizzazione della diocesi. Ed è stato occasione di propaganda GLBT dentro la chiesa.

Non è un caso che la maggior parte delle Cresime e dei Battesimi avvenga nella “bella stagione”, complice anche la celebrazione della Pasqua intorno all’equinozio di primavera. Infatti, in un paese di antica tradizione cristiana come l’Italia, in cui però di cristiano spesso non vi è più nemmeno lo scudo crociato, in molti rivendicano il dirittodi ricevere i Sacramenti dell’iniziazione cristiana quando c’è bel tempo, perché si possano così fare foto artistiche per riempire gli album di famiglia (e facebook) ed avere la possibilità di fare rinfreschi o pranzi nelle ville più gettonate per decorazioni floreali e ambienti mozzafiato. Il problema principale dei genitori – normalmente capi cerimonieri di queste giornate in cui la liturgia cattolica serve solo come contorno socialmente apprezzato ed esigito – è quello di dare una forma perfetta alla giornata, poco importando quale sia lo spirito con il quale essa sarà vissuta.

Sto generalizzando. E mi scuso per questo. Ma l’iperbole ha un suo perché.

Pensiamo per esempio alla Cresima: le lezioni di catechismo in preparazione del Sacramento, infatti, sono spesso concepite come un respiro di sollievo durante il quale si può parcheggiare il proprio (unico) figlio per un’ora in un’aula semi grigia. Altrimenti non si saprebbe come fare per andare al supermercato. E poi pare anche che senza una presenza costante, il rischio sia quello di essere additati come coloro che “non sono stati ammessi”. Tant’è vero che la percentuale di bambini che frequentano la Messa domenicale scende in picchiata rispetto a quelli che partecipano alla “dottrina”. Alla Messa non prendono la presenza. Al catechismo sì: come se fosse più importante la spiegazione delle verità di fede, piuttosto che la possibilità di viverle nell’Eucaristia.

Sempre di più, poi – almeno da quando il divorzio in Italia è stato legalizzato – avviene che non si riesca a trovare un ruolo agli zii, ai cugini di primo-secondo-terzo grado, ai vicini di casa, alla badante del nonno e pure ai portinai del palazzo accanto che, non si capisce bene perché, ma sono sempre gli “irregolari” di fronte alla Chiesa. Ma a tutti i costi “devono fare da padrino”.

È interessante notare che, pur essendo i divorziati meno di tre milioni, in ogni parrocchia della penisola italica capita immancabilmente almeno un caso del “parente irregolare” che: “Mi scusi, signor parroco, ma questa persona potrebbe fare da padrino?”. La risposta è immancabilmente sempre la stessa. Ma ogni anno qualcuno ci prova. Tanto che si registrano casi di gente che, pensando di essere più furba e intelligente, fa carte false e riesce a fare da padrino anche più volte, chiedendosi poi (ci è o ci fa?): “Sono divorziato-risposato civilmente e ho fatto da padrino a cinque battesimi. È ingiusto che gli altri non possano farlo. Ma la legge non è uguale per tutti?”. Già, la legge richiamata da chi ha fatto di tutto per non rispettarla!

Hitler sì! Io no!

Confermazione

Confermazione

Capita poi, come sempre, il giustizialista, quello che “l’altro è più peccatore di me”: quello che portando come esempio la condotta di Adolf Hitler, spera di passare per l’agnellino immacolato, magari accomodando la Legge di Dio per sentirsi a posto con la coscienza. Buttando tutta la polvere della stanza sotto il letto, in fondo, spera che Dio non la veda più. Soprattutto non la veda il ministro di Dio! Si tratta dei casi in cui la pertinace arroganza del peccatore incallito si sfoga con rabbia contro il malcapitato sacerdote, dicendo che naturalmente “io sono cattolico impegnato”.

Senza voler entrare nel merito di checosa significhi “cattolico impegnato”, la confessione che queste persone tentano di strappare ai preti è: “Un assassino può fare da padrino, mentre lei – irregolare a livello matrimoniale – non può farlo”. Alcuni sono anche arrivati a gridarlo in faccia ai parroci, i quali mai si sono sognati di ammettere una persona che – a meno che non ci sia pentimento sincero e riparazione dello scandalo – uccidendo qualcun altro non hanno certo dimostrato di condurre una vita conforme alla fede e all’incarico che vogliono assumere (n. 7).

Francesco Saverio battezza degli adulti neofiti

Francesco Saverio battezza degli adulti neofiti

Ma, in verità, non è sempre colpa dei “parenti irregolari”. Infatti, succede anche che i sacerdoti, forse per troppo zelo di pastori – o piuttosto per l’atavica codardia alla don Abbondio –, abneghino il proprio compito di discernimento e giudizio, promuovendo, invece, al compito di padrino persone che se non sono in peccato pubblico manifesto, quanto meno non hanno mai messo piede in una Chiesa dal giorno della loro di Cresima. Magari celebrata nella primavera di vent’anni fa. In tal senso, perciò, gli unici discriminati vengono ad essere non i padrini-cugini che dai primi Vespri del sabato ai secondi Vespri della domenica si trovano in uno stato confusionale dovuto all’assunzione di sostanze più o meno illecite, ma proprio lo zio divorziato-risposato che ogni domenica mattina si precipita in Chiesa per cantare nel coro parrocchiale.

È proprio necessario avere un padrino?

Nicolas Poussin. Confermazione

Nicolas Poussin. Confermazione

Con l’approssimarsi dei Sacramenti dell’iniziazionecristiana, uno dei punti all’ordine del giorno diventa proprio quello di trovare il famoso “padrino”. In realtà, il dettato del can. 892 afferma che esso ci deve essere “per quanto è possibile”. Ma i canonisti sono propensi a leggere una tale possibilità non in senso facoltativo, quanto piuttosto straordinario: potrebbe infatti accadere che per grave causa non ci siano persone che possano assolvere il ruolo liturgico di padrini. In tal caso non si potrebbe negare il Sacramento solo per il fatto che manchi una tale figura. Proprio per questo, la Congregazione per il Culto ha specificato che i genitori stessi potrebbero assolvere alle funzioni liturgiche dei padrini in caso questi mancassero, come per esempio il fatto di annunciare il nome del cresimando al Vescovo celebrante durante la Confermazione.

Ciò, inoltre, deve essere comunque fatto con prudenza pastorale e valutate le condizioni e le circostanze del luogo [Notitiae, 11 (1975)]. In ogni caso, il padrino non dovrebbe mai mancare se, invece, a mancare fossero proprio i genitori o lui stesso fosse l’unica persona in grado di offrire sufficienti garanzie relativamente all’educazione cristiana della persona che riceve il Sacramento: è il caso in cui, per esempio, dovesse ricevere il Sacramento un neofita con genitori atei o appartenenti ad altra religione.

Torta da cresima. Con la bandiera della "pace", vista da un verso. Degli ideologi omosessualisti vista nell'altro verso.

Torta da cresima. Con la bandiera della “pace”, vista da un verso. Degli ideologi omosessualisti vista nell’altro versoIn cosa sono stati appena “confermati” questi qui?

Si pensi, inoltre, che il numero dei padrini è ristretto a uno o due (in tal caso meglio affiancare una madrina, meglio ancora se proprio la moglie del padrino) per motivazioni pratiche. Spiega infatti la dottrina canonistica che se fossero più di due si potrebbe incorrere in due rischi: da una parte questi potrebbero non sentire come grave il loro impegno, con la conseguenza di assolvere a tale funzione in modo non adeguato; dall’altra, infine, potrebbero nascere contrasti sui criteri e sul metodo educativo.

E qui mi fermo. Prendo un attimo di respiro e mi domando: ma le cose che sto scrivendo a quale universo parallelo si riferiscono? Perché a parte qualche eccezione, di solito coloro che fanno parte di un Movimento ecclesiale – penso ai neocatecumenali, ai ciellini, ai focolarini, ecc. –, chi oggi vive in questo modo il suo ruolo di padrino? Non è forse diventato una figura mondana, completamente integrata nel sistema consumistico? Non è forse quello che “deve fare il regalo più bello”? Quale padrino oggi assolve davvero al compito educativo che gli viene richiesto?

Da più parti, così, nasce la domanda sulla reale esigenza di avere tali figure: hanno ancora ragione di esistere? Non sono retaggio di una società ormai inesistente? Non sarebbe meglio abolirli? Si eviterebbe una certa mondanità ecclesiale, una profanazione delle “res sacrae”, si scongiurerebbe l’ennesimo scandalo, fuori e dentro la Chiesa.

Allontaniamo i padrini dalla liturgia!

I sette sacramenti

Fino alla riforma del Codice di Diritto Canonico, tra gli impedimenti dirimenti il Matrimonio vi era lacognatio spiritualis: per la verità, tale impedimento esiste ancora nel Codice dei Canoni della Chiese Orientali (il Codice che regola la vita delle Chiese cattoliche di rito orientale). È fatto impedimento al padrino (similmente a ciò che accade per il genitore) convolare a nozze con la propria figlioccia (la madrina con il figlioccio) perché il legame di parentela spirituale che nasce tra loro è così importante da essere equiparato a quello che scaturisce dalla paternità e dalla maternità sanguigna. Si trattava (e si tratta ancora nel CCEO) di impedimento di diritto positivo, pertanto vi era la possibilità di dispensa ed oggi, appunto, è stato tolto.

La fattispecie giuridica appena richiamata fa comprendere ancora di più l’importanza del “padrino” e, in quanto sacerdote, mi fa tremare al pensiero che oggi di fatto in molti chiudono gli occhi di fronte alla grave situazione in cui tale istituzione, seppur non centrale nella celebrazione però non priva di significato, si trova.

Battesimo, fine '600. La donna vestita di nero dovrebbe essere la madrina

Battesimo, fine ’600. La donna vestita di nero dovrebbe essere la madrina

Oggi, dunque, si limita il compito del padrino ad aspetti liturgici, svuotati del loro valore primario. Ma la liturgia, che non è un’azione magica di passaggi sociali, dovrebbe invece presentare la verità del ruolo del padrino che è anzitutto pedagogico.

Provocatoriamente, mi verrebbe da fare una proposta: si eliminino i padrini dalla liturgia! Si eviti di dare spazio a ricercate pose fotografiche di persone che non comprendono nemmeno che il loro figlioccio è in procinto di essere conformato a Cristo nell’unzione battesimale, come in quella crismale. Le funzioni che i padrini devono assolvere nella liturgia possono essere assolte dagli stessi genitori o, nel caso di adulti, dagli stessi battezzani-cresimandi. Cominciamo a far comprendere che i padrini sono degli educatori alla fede! Non importa quanto vadano in Chiesa, quanto siano bravi nel suonare la chitarra nel coro parrocchiale. Non importa quanto sappiano delle “storie” della Bibbia o dei precetti della Chiesa. Non importa quanto sia conforme la loro vita al Vangelo (o quanto non lo sia!). I padrini sono anzitutto pedagoghi, persone che per questo devono essere cresimate, aver deciso di donare la propria vita a Cristo e alla Chiesa. In altre parole: non è che devono essere dei santi e dei teologi per forza i padrini, ma devono comunque avere la volontà di indicare ai figliocci l’”ortodossia”, cioè la “retta via”, che è naturalmente la via cristiana.

J.Steen. Festa di battesimo. XVII secolo.

J.Steen. Festa di battesimo. XVII secolo. Il padrino (dietro al padre col pargolo) “misteriosamente” fa il gesto delle corna : pare si alluda maliziosamente alla vera identità del padre… biologico del battezzato

Il vero padrino non ha smania di apparire nella liturgia. Il vero padrino è quello che accompagna con la preghiera e l’insegnamento, con l’esempio e con la libertà il proprio figlioccio verso l’incontro con il Signore Risorto che agisce nei Sacramenti. Il vero padrino è quello che non rivendicadiritti, ma prende sul serio la responsabilità educativa: i nove requisiti non danno alcun “diritto soggettivo”; essi, invece, si pongono come esame di coscienza per tutti coloro che hanno il desiderio di paternità e maternità spirituale. Nella Chiesa non si rivendicano diritti, ma ci si conforma a Cristo.

Smettiamola, dunque, di dare spazio a persone disinteressate al fatto religioso. Almeno per un po’! E cominciamo a coinvolgere i padrini non una settimana prima della celebrazione, ma fin dall’inizio dell’educazione cristiana dei ragazzi. Chiediamo che siano presenti alla catechesi. Chiediamo loro che si assumano davvero le proprie responsabilità. Abbiamo il coraggio di dire basta a questo modo di fare.

Non è sufficiente un pezzo di carta in cui si dica: “è idoneo a fare da padrino”. Senza pretendere la perfezione – attributo divino – chiediamo almeno la disponibilità alla coerenza e l’assunzione di responsabilità. L’idoneità non è sinonimo di “situazione matrimoniale regolare”. Altrimenti avrebbero ragione coloro che si battono perché “irregolari”, ma al tempo stesso “cattolici impegnati”, chiedendo pari opportunità. “Idoneo” significa avere le qualità necessarie ad esercitare un compito. Tra queste vi è anche la “vita conforma alla fede”, dove per fede si intende qualcosa di veramente importante.


G.B.Moroni, "Testimone" di un battesimo eccezionale.

G.B.Moroni, “Testimone” di un battesimo eccezionale.

Poniamo l’accento sull’educazione.Togliamo gli onori celebrativi e ricordiamo gli oneri educativi.

Solo così eviteremo di ritrovarci anche la prossima primavera a dover discutere con il solito azzeccagarbugli – pronto tra l’altro a minacciare lettere indirizzate nientepopodimeno che a Santa Marta – perché figlio di quella generazione che ritiene virtuosa l’espressione dell’opinione personale frutto della propria pancia – se non dei propri lombi – nella legittimazione della rivendicazione di “diritti”: diritti presunti dalla lettura sterile, letterale, farisaica, sindacalista del Codice di Diritto Canonico.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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06/02/2017 10:53
 
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  Un sacerdote risponde

In che senso diciamo che è Gesù Cristo (e non la Chiesa) ad aver istituito tutti e 7 i sacramenti?

Quesito

Caro Padre Angelo,
sempre in tema di istituzione divina dei sacramenti, in che senso diciamo che è Gesù Cristo (e non la Chiesa) ad aver istituito tutti e 7 i sacramenti (quindi non solo l’Eucarestia)?
La ringrazio fin d’ora e Le porgo i miei più sinceri auguri.
Davide


Risposta del sacerdote

Caro Davide,
1. La Chiesa ha definito che tutti i 7 sacramenti sono di istituzione divina.
Il Concilio di Trento ha affermato che “se qualcuno dirà che i sacramenti della nuova Legge non sono stati istituiti da Nostro Signore Gesù Cristo o se qualcuno dirà che i sacramenti della Nuova Legge sono più di sette o meno di sette e cioè: Battesimo, Confermazione, Eucaristia, Penitenza, Unzione degli infermi , Ordine e Matrimonio; o che qualcuno di questi sette non è veramente e propriamente sacramento, sia scomunicato” (DS 1601).
La Bibbia non tratta dei Sacramenti come in un trattato di teologia né parla del numero settenario.
L’istituzione divina dei Sacramenti si evince volta per volta a proposito dei singoli sacramenti là dove Cristo li istituisce.
Adesso diventerebbe troppo lungo passarli in rassegna. Ciccando sul motore di ricerca il nome di ogni singolo sacramento è abbastanza facile vedere quando Cristo li abbia istituiti.
D’altra parte la tua domanda precisa è questa: “in che senso diciamo che è Gesù Cristo (e non la Chiesa) ad aver istituito tutti e 7 i sacramenti”.

2. Che solo Cristo li possa istituire lo si evince dalla natura dei sacramenti.
Essi sono stati istituiti per comunicare agli uomini la vita divina, la grazia.
Ora è ovvio che solo Dio può comunicare la sua vita divina.
Bisognerebbe essere Dio per poterla donare.
Pertanto l’autore dei sacramenti è Dio, anzi è Cristo. Ed è sempre Cristo che li celebra.
La Chiesa è lo strumento di cui Cristo si serve.
Come il recipiente non causa l’acqua e non ne è la sorgente, ma la comunica soltanto, così  parimenti nei Sacramenti sta il rapporto tra la Chiesa e Cristo.

3. Ecco l’argomentazione di san Tommaso: “Ricordiamo quanto è stato già detto, cioè che i sacramenti producono strumentalmente effetti spirituali. Ora, lo strumento riceve la sua virtù dall'agente principale.
Due però sono gli agenti, cui si riferisce il sacramento, cioè chi lo ha istituito e chi lo usa.
Ma la virtù del sacramento non può venire da chi lo usa, perché questi non agisce se non come ministro.
Resta dunque che la virtù del sacramento promani dall'istitutore.
Ma non potendo a sua volta la virtù del sacramento provenire che da Dio, è chiaro che solo Dio è l'istitutore dei sacramenti” (Somma teologica, III, 64, 2).

4. Dice ancora san Tommaso: “Gli Apostoli e i loro successori fanno le veci di Dio nel governo della Chiesa costituita sulla fede e sui sacramenti.
Perciò, come non è in loro potere fondare un'altra Chiesa, così non possono insegnare altra fede né istituire altri sacramenti” (Somma teologica, III, 64, 2, ad 3).

5. La Chiesa determina i riti della celebrazione dei sacramenti.
E solo su questi riti si svolge il suo potere.
Scrive san Tommaso: “Ciò che si trova nei sacramenti per istituzione umana, non è necessario alla validità del sacramento, ma conferisce una certa solennità, utile nei sacramenti a eccitare la devozione e il rispetto in coloro che li ricevono.
Ciò che invece è indispensabile alla validità di un sacramento, è stato istituito da Cristo stesso, che è Dio e uomo.
Ora, sebbene non tutto ci sia stato tramandato dalle Scritture, tuttavia la Chiesa lo ha appreso dalla tradizione nata dalla familiarità con gli Apostoli, come risulta dalle parole di S. Paolo: "Alla mia venuta regolerò le altre cose" (Somma teologica, III, 64, 2, ad 1).

Ti auguro ogni bene, anche quello di amministrare i Sacramenti della Chiesa qualora venissi chiamato, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo



Un sacerdote risponde

Le vorrei chiedere da dove si evince che Dio ha stabilito in maniera distinta questi 3 gradi dell'Ordine sacro

Quesito

Caro Padre Angelo, 
il Concilio di Trento ha definito come dogma di fede che la gerarchia della Chiesa, nei suoi 3 gradi (vescovi – presbiteri – diaconi), è di istituzione divina.
Le vorrei chiedere da dove si evince che Dio ha stabilito in maniera distinta questi 3 gradi, visto che dalle lettere di S. Paolo la parola “vescovi” e la parola “presbiteri” sembrano essere utilizzate come sinonimi, e visto anche che, per quanto riguarda i diaconi, sembrerebbero un’istituzione degli Apostoli, più che divina.
Nella certezza che saprà togliere le difficoltà che Le ho esposto, La ringrazio fin d’ora e Le porgo i miei più sinceri auguri per le festività natalizie ormai prossime.
Davide


Risposta del sacerdote

Caro Davide,
1. il Sacramento dell’Ordine come tutti gli altri sacramenti è stato istituito da Cristo.
I Vangeli riferiscono dell’istituzione degli apostoli da parte di Cristo: “Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni” (Mc 3,13-15).
Ad essi diede il comando di celebrare l’Eucaristia: “Fate questo in memoria de me” (Lc 22,19) e di rimettere i peccati “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,23).

2. Gesù non ha avuto bisogno di riti per conferire loro questo potere. Il Signore infatti è al si sopra di tutti i sacramenti ed è il loro istitutore.
Però “parlando delle cose riguardanti il regno di Dio” (At 1,3) deve averli istruiti sul modo di trasmettere ad altri il loro potere.
Si trova infatti una costante nella trasmissione dei divini poteri conferiti da Gesù. Chi li trasferisce, li trasferisce pregando e imponendo le mani sul candidato. 
Così avvenne ad esempio per Paolo e Barnaba: “Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Bàrnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati». Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono” (At 13,2-3).
Paolo stesso trasmette ad altri il potere ricevuto dagli Apostoli nel medesimo modo. A Timoteo infatti scrive: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l'imposizione delle mie mani” (2 Tm 1,6).
E a Timoteo raccomanda di essere prudente nel trasmettere ad altri il potere conferitogli: “Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui” (1 Tm 5,22).
A Tito scrive: “Per questo ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine in quello che rimane da fare e stabilisca alcuni presbìteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato” (Tt 1,5).

3. Parimenti gli apostoli “dopo aver pregato, imposero le mani” (At 6,6)  a sette uomini “di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza” (At 6,3). Sono i primi sette diaconi.

4. Sempre negli Atti degli Apostoli vediamo come gli Apostoli abbiano costituto per ogni comunità degli anziani (che in greco vengono chiamati presbiteroi, presbiteri, preti): “Dopo aver predicato il vangelo in quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia, rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio. Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto” (At 14,21-23).

5. Pertanto nelle prime comunità cristiane vediamo la presenza degli apostoli che partecipano il loro potere ai presbiteri e ai diaconi.
Diaconato, presbiterato ed episcopato non sono tre sacramenti distinti, ma gradi di un unico sacramento che ha la sua pienezza nell’episcopato ed è partecipato in modo meno completo ai presbiteri e poi, per il servizio, ai diaconi.

6. La bibbia di Gerusalemme nota come inizialmente vescovi e presbiteri sembrano identificarsi e fossero messi dagli Apostoli a capo delle varie comunità.
Ma ben presto assunsero ognuno un significato proprio.
Con la costituzione di un unico episcopo nelle comunità i ruoli si distinsero.
Gli episcopi divennero successori degli apostoli e i presbiteri persone cui erano partecipati alcuni poteri degli episcopi.
Ma ecco il testo integrale della bibbia di Gerusalemme:
“Secondo un costume ereditato dall'antico Israele
(Es 18,13s; Nm 11,16 ecc…) le prime
comunità cristiane, sia a Gerusalemme (At 11,30 ecc..) che nella diaspora (At
14,23; ecc…) avevano a capo un collegio di «presbiteri», anziani (senso
etimologico) o notabili. 
Gli «episcopi» (etimologicamente «sorveglianti», cf. At 20,28) che
non sono ancora «vescovi» e appaiono in stretta relazione con i «diaconi» (Fil 1,1; ecc…) sembrano in certi testi (Tt 1,5.7; At 20,17.28) praticamente identici
ai «presbiteri». (…).
Può darsi che gli episcopi siano stati designati, forse a turno, nel collegio dei presbiteri, per occupare certe cariche attive (cf. 1 Tm 5,17). 
In ogni modo, i presbiteri e gli episcopi cristiani non sono solo incaricati dell'amministrazione temporale, ma anche dell'insegnamento (1 Tm 3,2; ecc…) e del governo (1 Tm 3,5; Tt 1,7).
Stabiliti dagli apostoli (At 14,23) o dai loro rappresentanti (Tt 1,5) con l'imposizione delle mani (1 Tm 5,22; ecc…), essi hanno un potere carismatico (1 Cor 12,28) e di origine divina (At 20,28).
Avendo i loro titoli prevalso a poco a poco sui titoli analoghi di «presidente» (Rm 12.8;  1 Ts 5,12), di «pastore» (Ef 4,11) di «igùmeno» (Eh 13,7.17.24), questi capi di comunità locali sono gli antenati dei nostri «sacerdoti» e «vescovi», mentre i «diaconi» sono i loro ministri.
Il passaggio da questi episcopi-presbiteri al vescovo capo unico del collegio dei sacerdoti, così come appare chiaramente in sant'Ignazio di Antiochia, ha dovuto attuarsi con la trasmissione a un solo episcopo, in ciascuna comunità, dei poteri che gli stessi apostoli, poi i loro rappresentanti come Tito e Timoteo, esercitavano prima su molte comunità” (nota Tt 1,5).

6. J. Ratzinger e J. Auer sembrano elaborare la teologia di questo sacramento per quanto concerne la sua istituzione proprio da quanto rilevato anche dalla Bibbia di Gerusalemme.
Ecco quanto scrivono in un capitoletto intitolato “L'istituzione del sacramento dell'ordine da parte di Cristo”:
1. La questione dell'istituzione del sacramento dell'ordine da parte di Cristo non è primariamente una questione del segno sacramentale, ma piuttosto della realtà del sacerdozio ministeriale stesso per cui questa questione viene posta soprattutto a partire dalla riforma.
C'è uno speciale sacerdozio ministeriale oltre al sacerdozio universale di tutti i fedeli in virtù del battesimo (1 Pt 2,9)?
Se Cristo ha affidato la sua dottrina e la sua opera, la sua chiesa, indistintamente a tutti i suoi uditori, che dovevano credere in lui, allora anche la questione del sacramento dell'ordine è illusoria.
Secondo la testimonianza degli evangeli tuttavia Cristo, negli anni della sua attività pubblica, dalla schiera dei settanta discepoli ha scelto dodici, i quali per il loro compito già nella chiesa primitiva vennero chiamati - secondo Luca dallo stesso Gesù - 'apostoli', cioè inviati, incaricati, plenipotenziari (Mt 10,1-4; Mc 3,13-19; Lc 6,12-16).
Egli li istruì sui misteri del regno di Dio (Mt 13,11; Mc 4,11; Lc 8,10), diede loro incarichi particolari insieme a poteri speciali: essi dovevano annunciare il suo evangelo nel mondo intero (Mt 28,19; Mc 16, 15);
dovevano amministrare il battesimo (Mt 28,19; Mc 16,16), celebrare l'eucarestia (Lc
22,19; 1 Cor 11,24: Fate questo in memoria di me!»), rimettere i peccati (Gv 20,23).
Egli promise loro un
ampio potere di sciogliere e di legare, che comprende il potere pastorale di insegnare e di
governare (Mt 18,18; cfr. Mt. 16,18s.).
Trasmise la missione, che egli aveva ricevuto dal
Padre, agli apostoli (Gv 17,18; 20,21) e li fornì della sua autorità (Mt 10,40; Lc 20,16).
Soprattutto il fatto
che il risorto abbia ancora istruito e inviato i suoi apostoli (At 1,1-8; Mc 16,14-18; Mt
28,16-20) può farci comprendere che l'elezione e la missione riguardano soltanto questi
dodici e nessun altro.
Essi costituiscono il fondamento della chiesa (cfr. Ef 2,20; 3,5), le
dodici pietre fondamentali delle mura della nuova Gerusalemme (At 21,14).
2. L'ecclesiologia ci farà vedere come fin dall'inizio Cristo abbia stabilito una certa struttura della chiesa e come questa struttura debba essere conservata lungo il tempo fino al ritorno del Signore. Questa struttura fondamentale della chiesa dà il diritto di parlare di una «istituzione del sacramento dell'ordine da parte di Cristo» anche là dove gli apostoli abbiano desunto al riguardo un rito della prassi contemporanea di Israele, del popolo
veterotestamentario di Dio, come segno del conferimento di un ufficio.
Il potere di fare ciò deve essere implicito nella missione data da Cristo agli apostoli, in quanto questa missione non significa soltanto una distinzione personale, ma piuttosto la destinazione a un ufficio che regge la struttura ecclesiastica creata da Cristo. In ciò non è importante anzitutto il particolare carattere di segno di questo rito dell'imposizione delle mani (che in Israele era usato anche come rito sacrificale). È sufficiente che mediante lo stesso rito in Israele venissero costituiti i rabbini e gli anziani, che venissero quindi investiti come successori di uffici essenziali del tardo giudaismo.
Il particolare senso simbolico del rito viene determinato dalla figura interna della chiesa stessa: con questa imposizione delle mani avviene l'investitura del ministero della chiesa istituito da Cristo, una investitura che rappresenta e opera insieme la comunicazione della grazia dell'ufficio che ne è connessa e la trasmissione dei doveri e diritti impliciti in questo ufficio” (J. Auer – J. Ratzinger,  I sacramenti della Chiesa, pp. 421-423).

Ti auguro oggi bene, ti ricordo al Signore ti benedico.
padre Angelo




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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