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ATTENZIONE: NUOVO DICASTERO PER L'EVANGELIZZAZIONE CON MOTU PROPRIO DI BENEDETTO XVI

Ultimo Aggiornamento: 12/07/2011 20:04
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20/01/2011 18:40
 
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Riflessioni su «Ubicumque et semper»

La nuova evangelizzazione




di Rino Fisichella

La Chiesa esiste per portare in ogni tempo il Vangelo a ogni persona, dovunque si trovi. Il comando di Gesù è talmente cristallino da non consentire fraintendimenti di sorta né alibi alcuno. Quanti credono nella sua parola sono inviati nelle strade del mondo per annunciare che la salvezza promessa ora è divenuta realtà.

L'annuncio deve coniugarsi con uno stile di vita che permette di riconoscere i discepoli del Signore dovunque si trovino. Per alcuni versi, l'evangelizzazione si riassume in questo stile che contraddistingue quanti si pongono alla sequela di Cristo. La carità come norma di vita non è altro che la scoperta di ciò che dà senso all'esistenza perché la permea fin nei suoi meandri più intimi di quanto il Figlio di Dio fatto uomo ha vissuto in prima persona.

Si potrà discutere a lungo sul senso dell'espressione "nuova evangelizzazione". Chiedersi se l'aggettivo determini il sostantivo ha una sua ragionevolezza, ma non intacca la realtà. Il fatto che la si chiami "nuova" non intende qualificare i contenuti dell'evangelizzazione, ma la condizione e le modalità in cui essa viene fatta. Benedetto XVI nella lettera apostolica Ubicumque et semper sottolinea con ragione che ritiene opportuno "offrire delle risposte adeguate perché la Chiesa intera si presenti al mondo contemporaneo con uno slancio missionario in grado di promuovere una nuova evangelizzazione".

Qualcuno potrebbe insinuare che decidersi per una nuova evangelizzazione equivale a giudicare l'azione pastorale svolta in precedenza dalla Chiesa come fallimentare per la negligenza posta o per la scarsa credibilità offerta dai suoi uomini.

Anche questa considerazione non è priva di una sua plausibilità, ma si ferma al fenomeno sociologico preso nella sua frammentarietà, senza considerare che la Chiesa nel mondo presenta tratti di santità costante e di testimonianze credibili che ancora ai nostri giorni sono segnate con il dono della vita. Il martirio di molti cristiani non è diverso da quello offerto nel corso dei secoli della nostra storia, eppure è veramente nuovo perché provoca gli uomini del nostro tempo spesso indifferenti a riflettere sul senso della vita e sul dono della fede.

Quando si smarrisce la ricerca del genuino senso dell'esistenza, inoltrandosi per sentieri che immettono in una selva di proposte effimere, senza che si comprenda il pericolo in agguato, allora è giusto parlare di nuova evangelizzazione. Essa si pone come vera provocazione a prendere sul serio la vita per orientarla verso un senso compiuto e definitivo che trova unico riscontro nella persona di Gesù di Nazareth. Lui, il rivelatore del Padre e sua rivelazione storica, è il Vangelo che ancora oggi annunciamo come risposta all'interrogativo che inquieta gli uomini da sempre. Mettersi al servizio dell'uomo per comprendere l'ansia che lo muove e proporre una via d'uscita che gli dia serenità e gioia è quanto si raccoglie nella bella notizia che la Chiesa annuncia.

Una nuova evangelizzazione, quindi, perché nuovo è il contesto in cui vive il nostro contemporaneo sballottato spesso qua e là da teorie e ideologie datate. Per quanto paradossale possa sembrare, si preferisce imporre l'opinione piuttosto che indirizzare verso la ricerca della verità.

L'esigenza di un linguaggio nuovo, in grado di farsi comprendere dagli uomini di oggi, è un'esigenza da cui non si può prescindere, soprattutto per il linguaggio religioso così improntato a una specificità tale da risultare spesso incomprensibile. Aprire la "gabbia del linguaggio" per favorire una comunicazione più efficace e feconda è un impegno concreto perché l'evangelizzazione sia realmente nuova.

Un'icona a cui il nuovo dicastero intende dedicarsi, trova riscontro nella Sagrada Familia di Gaudí. Chi la osserva nella sua pregnanza architettonica trova la voce di ieri e quella di oggi. A nessuno sfugge che è una chiesa, spazio sacro che non può essere confuso con nessun'altra costruzione. Le sue guglie si stagliano verso l'alto, obbligando a guardare il cielo. I suoi pilastri non hanno capitelli ionici o corinzi e, tuttavia, li richiamano anche se consentono di andare oltre per rincorrere un intreccio di archi tale da far pensare a una foresta dove il mistero ti invade e, senza sopprimerti, ti offre serenità.

La bellezza della Sagrada Familia sa parlare all'uomo di oggi pur conservando i tratti fondamentali dell'arte antica. La sua presenza sembra contrastare con la città fatta di palazzi e strade che si rincorrono mostrando la modernità a cui siamo inviati. Le due realtà convivono e non stonano, anzi, sembrano fatte l'una per l'altra; la chiesa per la città e viceversa. Appare evidente, comunque, che la città senza quella chiesa sarebbe priva di qualcosa di sostanziale, evidenzierebbe un vuoto che non può essere colmato da altro cemento, ma da qualcosa di più vitale che spinge a guardare in alto senza fretta e nel silenzio della contemplazione.



(©L'Osservatore Romano - 21 gennaio 2011)




Quale “Nuova Evangelizzazione”?



di padre Piero Gheddo*

ROMA, mercoledì, 26 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Leggo su “L’Osservatore Romano” un interessante articolo di mons. Rino Fisichella su “La Nuova Evangelizzazione” (21 gennaio 2011). La finalità di questo “Pontificio Consiglio” è stata ben delineata da Benedetto XVI il 28 giugno scorso quando l’ha istituito: il suo scopo è di “risvegliare la fede nei Paesi di antica tradizione cristiana… e offrire delle risposte adeguate perchè la Chiesa intera si presenti al mondo contemporaneo con uno slancio missionario in grado di promuovere una nuova evangelizzazione”.

Mons. Fisichella commenta queste parole del Papa indicando orientamenti e speranze del nuovo dicastero. Mi permetto di raccontare l’esempio di un missionario autentico, che può illuminare il modo, il metodo, il linguaggio e i contenuti di questa provvidenziale iniziativa, che deve appassionare tutti i credenti in Cristo.

Il Venerabile padre Clemente Vismara, non lontano dalla beatificazione, è stato 65 anni in Birmania (1923-1988) ed è morto a 91 anni nel 1988 con una grande fama di santità anche presso i non cristiani. Sono andato a trovarlo nel 1983, aveva 86 anni e tentavo di fargli un’intervista, ma lui non voleva parlare della sua vita avventurosa in una regione forestale e montuosa, fra poveri tribali animisti, villaggi con capanne di fango e paglia, una vita “primitiva” tormentata da bande di guerriglieri e briganti. Mi diceva: “Parliamo invece di quel che farò nei prossimi anni, costruirò scuole e cappelle, prenderò contatto con tribù nuove, battezzerò altri nuovi cristiani, continuerò a raccogliere orfani….”. Aveva 86 anni ed era ancora parroco a Mongpin, il medico più vicino a un centinaio di chilometri (con quelle strade), con una “parrocchia” di circa 9.000 kmq, più del doppio della sua diocesi di Milano. Visitava ancora i suoi villaggi cristiani, si lamentava solo di non poter più andare a cavallo e per salire i ripidi sentieri di montagna veniva portato su una barella da quattro uomini o quattro donne. “Che vergogna, mi diceva, essere portato dalle donne!”.  

  Del Venerabile padre Clemente, un suo confratello del Pime padre Angelo Campagnoli, che è stato con lui sei anni, così lo ricorda: “La vita di Vismara è la ripetizione degli stessi gesti per 65 anni. Come ha incominciato, così ha finito: orfani, lebbrosi, oppiomani, poveri affamati, riso, cappelle, scuole, villaggi da visitare, è sempre stata la stessa vita, uguale nella sua ripetitività ma sempre nuova perché Vismara faceva gli stessi gesti con lo stesso entusiasmo della prima volta….Padre Clemente si realizzava prendendosi cura di tutte le miserie che vedeva, di tutti i poveri che gli capitavano a tiro, dava da mangiare anche ai fuggiaschi della guerriglia, ai ladri scacciati dai villaggi, ai lebbrosi che nessuno più voleva vicino alle abitazioni dei sani, alle vedove ed a qualunque tipo di povero. Viveva con 200-250 orfani affidati alle cure della suore di Maria Bambina. Tutti lo entusiasmavano di nuovo, come fosse la prima volta. Dava a tutti come fossero da tanto tempo suoi amici. In quelle situazioni di fame e carestie, il suo vanto era di poter dire: tutti quelli che vengono alla missione mangiano tutti i giorni. Passava parte della notte scrivendo tante lettere agli amici e benefattori”. 

Padre Mario Meda, anche lui nella diocesi di Kengtung per otto anni, aggiunge: “Padre Clemente diceva molti Rosari, secondo il consiglio di mons. Erminio Bonetta, fondatore della nostra diocesi: 'Seminiamo molti Rosari nei nostri viaggi e nelle nostre giornate, porteranno molti frutti di conversione'. So che Vismara recitava un Rosario intero tutti i giorni, 150 Ave Maria, e compiva quotidianamente le pratiche di pietà della vecchia tradizione sacerdotale… Questa era la sua regolarità, tutti i giorni della sua vita. Però era anche libero, non formalista, ad esempio era disposto a interrompere la preghiera del Breviario per rispondere a qualcuno e poi riprenderla. Era un uomo libero di spirito, equilibrato in tutto, pieno di buon senso e di amore a Dio e all’uomo. Viveva con fedeltà la sua vocazione, non sognava cose diverse, era libero da ogni complesso, credo non abbia mai avuto problemi di fede o difficoltà ad essere un buon cristiano, prima che un buon prete e missionario”.   

L’esempio di questo Venerabile in attesa di beatificazione, credo illustri bene, in concreto, quello “slancio missionario” che  Papa Benedetto chiede a tutti noi, vescovi, preti e laici cristiani, per riportare il nostro Occidente a Dio ed a Gesù Cristo.    

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.






[Modificato da Caterina63 28/01/2011 18:24]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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