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Il termine "MADRE DI DIO"

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2010 11:37
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29/04/2010 11:27
 
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Da: Soprannome MSNRoy-Bean1 Inviato: 03/03/2005 8.18
Da quello che ho potuto leggere fino a qui, gli evangelici partono da un concetto: i versetti per provare una determinata dottrina non ci sono e, se ci sono, sono citati fuori contesto e quindi non li vogliono prendere in considerazione.
 
C'è anche chi, come un certo Antipa di Pergamo che credo sia una nostra vecchia conoscenza, arriva a dire delle assurdità inaudite pur di cercare una scappatoia. Per esempio dice che Maria deve essere considerata solo una specie di madre adottiva. Tuttavia questa affermazione, almeno da quello che ho letto, è confutata da almeno un paio di versetti molto chiari sull'argomento come quello della Lettera ai Romani.
 
Quindi mi chiedo: perchè accanirsi a voler contrastare una cosa che è scritta nella Bibbia, che è stata patrimonio della cristianità per oltre 1500 anni e che, soprattutto, serve come conferma  per altre dottrine come la Trinità e la Divinità di Gesù?
 
Chi mi può rispondere?
 
 
 
 

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Consiglia Elimina    Messaggio 7 di 57 nella discussione 
Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 03/03/2005 9.44

Caro Angelo.........puoi servirti naturalmente di questi testi in Difendere per la tua opera...........

Maria unita al Padre nel Figlio, per opera dello Spirito Santo, ci svela la Trinità.

Gesù si rivolge al Padre con il termine "Abbà", papà, e invita coloro che credono in lui a fare altrettanto: mai un Israelita avrebbe osato tanto. L’ambiente familiare in cui è vissuto Gesù e quindi i suoi rapporti con Maria e Giuseppe, hanno contribuito a fargli prendere coscienza di tale sua identità.

di JEAN GALOT

Il Padre e Maria, Madre di suo Figlio, esiste un legame come non c'è nessun altro simile fra Dio e la creatura.

Come definire questo legame? Entriamo in un mistero d'immensa profondità. Solo lo Spirito Santo, che "scruta le profondità di Dio" (1 Cor 2,10), può guidarci in questa esplorazione: egli conosce perfettamente il Padre e ha instaurato con Maria la più intima relazione spirituale. Gesù ha detto di lui: "Egli mi glorificherà" (Gv 16,14). Glorificando il Figlio, lo Spirito Santo vuole anche glorificare il Padre, mostrando la sua sovrana azione nell'opera di salvezza. Inoltre vuole glorificare con Gesù sua madre; con il suo concorso ha compiuto il mistero dell'Incarnazione. Come il Figlio è inseparabile dal Padre nella vita eterna di Dio, è inseparabile di sua madre nella vita umana che egli ha condotto sulla terra e che continua a condurre nella gloria del cielo.

Per cogliere la luce che ci viene data dallo Spirito Santo, seguiremo il più possibile le indicazioni che troviamo nei testi evangelici. Sappiamo che questi testi sono stati redatti sotto l'influsso dello Spirito Santo; infatti è questo Spirito che ha per compito di "ricordare" tutto ciò che Cristo ha detto, di farlo riapparire e vivere nella memoria della Chiesa (Gv 14,26), per meglio far capire le parole di rivelazione. Dalle numerose parole di Gesù lo Spirito Santo nei Vangeli ha riferito quelle che giudicava più importanti, necessarie alla comprensione della persona e dell'opera del Salvatore.

Siamo certi di trovare in questi testi gli orientamenti fondamentali che ci aiutano a capire le relazioni fra il Padre celeste e la madre terrena di Gesù.

"Abbà", Padre

Il punto di partenza della nostra ricerca sulle relazioni fra il Padre e Maria è l'invocazione "Abbà" pronunciata da Gesù nella preghiera del Getsèmani: "Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu!" (Mc 14,36).

Lo Spirito Santo ha ispirato l'evangelista in modo tale che almeno una volta nei testi evangelici sia riferita la parola aramaica "Abbà" in una preghiera tradotta in lingua greca. Altrove, siccome i vangeli sono scritti in greco, nelle preghiere formulate da Gesù, viene adoperato il vocabolo greco "Pater".

La presenza di un vocabolo aramaico è eccezionale. Questa presenza si spiega dalle circostanze: dinanzi alla Passione imminente, il vocabolo "Abbà" era stato pronunciato con un accento molto commuovente. Era il grido rivolto da Gesù al Padre in un momento desolato di profonda angoscia. Immaginiamo che Pietro, testimone privilegiato dell'episodio del Getsèmani, aveva conservato il ricordo indimenticabile di questo "Abbà" e che l'evangelista Marco, che ci trasmette i ricordi di Pietro, abbia voluto riprodurre nella sua risonanza aramaica questa invocazione, nella quale si poteva cogliere tutto il dramma della Passione.

Sulla base di questo ricordo, gli esegeti hanno potuto mostrare che abitualmente Gesù adoperava il termine "Abbà" per rivolgersi al Padre. Una sola eccezione può essere osservata: sulla croce, egli grida: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15,33; Mt 27,46). Tuttavia l'eccezione è soltanto apparente, perché Gesù, a quel momento, riprende le parole del salmo 22; per questo dice: "Dio mio". Ma immediatamente dopo, torna, in un secondo grido, alla parola "Abbà" per dire: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito"(Lc 23,46). L'invocazione costante nelle preghiere di Gesù era dunque "Abbà".

Gesù afferma la sua identità di figlio

"Abbà" era il nome familiare usato dai bambini giudaici nelle loro relazioni con il padre, l'equivalente di "papà". Divenuti adulti, i figli continuavano a servirsi di questo vocabolo per esprimere il loro affetto filiale. Così, dalla sua infanzia, Gesù aveva adoperato il vocabolo "Abbà" per rivolgersi al Padre invisibile.

L'uso di questo vocabolo ha un valore singolare, perché prima nessun Giudeo l'aveva usato per rivolgersi a Dio. Nessuno, prima di Gesù, aveva osato adoperare un nome così familiare per conversare con il Dio pieno di maestà; la distanza doveva essere rispettata. Un rispetto pieno di timore caratterizzava le relazioni del popolo giudaico con Dio: pietà e timore di Dio erano sinonimi. È questo nome che è stato deliberatamente scelto da Gesù. Si poteva notarvi una grande novità, legata alla novità stessa dell'Incarnazione. Gesù voleva rivelare la sua identità di Figlio, Figlio che è Dio in relazione con un Padre che è Dio. Per esprimere questa identità filiale in linguaggio umano, occorreva usare la parola "Abbà", capace di significare una profonda intimità con il Padre. Adoperando questo vocabolo, manifestava il legame unico che l'univa al Padre: era in un rapporto filiale con il Padre celeste, come un figlio sulla terra è in relazione familiare con suo padre terreno.

Come si era formata, in Gesù, la coscienza di questa identità filiale? Per spiegare il fatto che dalla sua infanzia Gesù ha chiamato il suo Padre "Abbà", occorre ammettere che il Padre, con una luce speciale concessa all'intelligenza del bambino, gli aveva fatto capire che egli era suo proprio figlio. Gli aveva comunicato ciò che può essere chiamato una conoscenza infusa della sua filiazione unica. Aveva fatto sorgere in lui la coscienza della sua vera identità, affinché potesse vivere nella piena verità della sua persona divina, impegnata in una vita umana. L'invitava a comportarsi con lui da Figlio, aprendogli un cuore paterno che chiedeva la stessa apertura nel suo cuore filiale. Poco a poco, dalla più tenera età, Gesù rispondeva alla luce ricevuta chiamando "Abbà" colui che si rivelava a lui come Padre.

Non conosciamo particolari su questo sviluppo della coscienza filiale di Gesù, ma dobbiamo ammettere questo sviluppo, che solo spiega l'uso frequente dell'invocazione "Abbà" nel corso della vita pubblica.

Pure c'è una manifestazione di questo sviluppo e precisamente nell'episodio di Gesù ritrovato nel tempio. A sua madre che gli chiede perché è rimasto a Gerusalemme causando l'angoscia dei suoi genitori, Gesù risponde: "Non sapevate che io devo essere nella casa del Padre mio?" (Lc 2,49) Vuole mostrare che il suo comportamento è pienamente giustificato, per il motivo che il suo vero padre è colui che abita nel tempio. Maria aveva accennato alla sua angoscia e a quella di Giuseppe.

A dodici anni, Gesù manifestava la coscienza della sua identità. Negli anni anteriori aveva sviluppato questa coscienza rivolgendo il suo sguardo verso il Padre e chiamandolo con il suo nome. Maria raccoglieva così la testimonianza dell'evoluzione dell'anima filiale di Gesù

Giuseppe e il Padre

Risalendo all'origine dello sviluppo psicologico di Gesù, possiamo individuare il ruolo essenziale giocato dalla sua relazione con il Padre. Dal momento che si è svegliata la sua coscienza, Gesù è stato illuminato dal Padre sulla sua vera identità. C'è stato nel bambino una specie di contatto mistico con il Padre, suscitando la parola "Abbà".

È vero che Gesù usava anche il vocabolo "abbà" per rivolgersi a Giuseppe, perché questo teneva il posto di padre nella famiglia di Nazaret. Giuseppe dedicava a Maria un amore di sposo e a Gesù un amore di padre, anche se non era intervenuto nel concepimento del bambino. Esercitava una autorità paterna, congiuntamente con l'autorità materna di Maria: lo nota espressamente il vangelo affermando che Gesù "stava loro sottomesso" (Lc 2,51). Tuttavia, pur chiamando Giuseppe "abbà", Gesù invocava segretamente un altro con questo nome, e sviluppava una intimità filiale, invisibile, con il Padre dal quale era uscito.

Era un segreto destinato a farsi conoscere, perché Gesù intendeva rivelare la sua filiazione divina; inaugura questa rivelazione all'età di dodici anni. Se egli ha imparato a dire "Abbà" al Padre celeste in tutta la formazione della sua coscienza di bambino, lo scopo è di guidare l'umanità sulla stessa via e di insegnarle a invocare Dio sotto questo nome.

Così si spiega il fatto che secondo il piano divino, Giuseppe ha dovuto scomparire dinanzi alla rivelazione nuova che ha dato ad "Abbà" una pienezza di significato nella venerazione rivolta al Padre. Lo sposo di Maria muore prima della fine della vita nascosta di Gesù; la sua presenza paterna avrebbe reso più difficile l'insegnamento che Gesù avrebbe dato sulla propria identità e sui suoi rapporti col Padre.

Maria, da "mamma" a "Donna"

Molto diversa è la situazione di Maria. Quando Gesù, secondo il costume giudaico, la chiama "mamma", non deve, come era il caso per Giuseppe, pensare a un'altra persona; era esclusivamente riservato a sua madre. Mentre il vocabolo "abbà" orientava sempre lo sguardo di Gesù verso il Padre celeste, il nome "mamma" poteva soltanto designare Maria. Gesù poteva impegnare in questo nome tutto il suo affetto filiale. Maria era la sua unica mamma, che gli manifestava tutto il suo amore materno e a cui rispondeva con un grande amore filiale.

Il vangelo non ci riferisce questo nome "mamma" nelle parole rivolte da Gesù a sua madre. Anzi costatiamo, nei due episodi della vita pubblica riportati nel vangelo di Giovanni, che deliberatamente Gesù non si serve del nome di madre o mamma nelle parole rivolte a Maria. Egli desidera manifestare la distanza che lo separa da lei; intraprendendo la sua missione redentrice, si è allontanato da lei, lasciandola a Nazaret.

Accetta la sua cooperazione a Cana, ma a titolo di "donna" (Gv 2,4) che contribuisce alla prima manifestazione gloriosa della sua identità messianica; egli è il solo che decide del miracolo e lo compie, ma lo fa per rispondere alla richiesta di Maria.

Nella Passione, sul Calvario, istituisce une nuova maternità, propria a quella che chiama "donna", fuori di ogni intenzione di favoritismo familiare.

Questo atteggiamento riservato di Gesù è caratteristico della vita pubblica, cioè del compimento della sua missione: egli impegna Maria nella sua opera come donna destinata a cooperare a questa missione, e non come madre venerata da suo figlio. Nella vita nascosta, a Nazaret, Gesù, che ha voluto vivere la prima tappa dell'esistenza umana come un bambino, non ha mancato di dire "mamma" a sua madre. Con una spontaneità simile a quella degli altri bambini, ha pronunciato questo nome. Maria stessa gli aveva insegnato, dalla prima infanzia, a usare questo nome.

Siccome Maria gli dedicava nel modo più perfetto il suo amore materno, Gesù rispondeva con un amore filiale d'eccezionale intensità. E` stato il bambino che ha amato sua madre come nessun altro l'ha fatto; ha espresso con il vocabolo "mamma" un amore semplice e completo.

Il Padre e Maria uniti nel cuore di Cristo

Se cerchiamo il significato delle relazioni di Maria con il Padre, scopriamo una meraviglia che appare nell'atteggiamento del bambino Gesù. Nella sua infanzia, Gesù si è sviluppato in un duplice amore fondamentale. Diceva "Abbà" al Padre celeste e "mamma" alla madre terrena. Gli altri bambini uniscono nel loro affetto padre e madre, che ambedue sono umani; Gesù associava un Padre divino e una madre umana nello stesso amore filiale.

Questa associazione si formava nel cuore del bambino, nel fondo segreto del suo pensiero. Possiamo intravvedere l'entusiasmo che animava Gesù quando pensava al Padre e lo chiamava segretamente "Abbà". Il grido "Abbà", che molto più tardi fu il grido dei cristiani ispirati dallo Spirito Santo, fu prima di tutto il grido che usciva dall'anima di Gesù nei suoi primi anni di vita.

Un altro entusiasmo s'impadroniva anche di lui quando diceva a sua madre "mamma". Egli la conosceva totalmente pura, perfettamente bella nella sua anima. I bambini sono spesso portati a guardare la loro madre come la persona più perfetta, e sono delusi quando questo sogno svanisce. Gesù ha potuto riconoscere nella sua madre la realtà concreta di questa perfezione. Non si stancava di contemplare le qualità eccezionali di quella che chiamava "mamma".

Nel linguaggio del bambino si è dunque unito il nome "mamma" al nome "Abbà", come nel suo cuore si univa allo slancio verso il Padre uno slancio filiale verso la madre. Si trattava di una unione inseparabile, essenziale allo sviluppo della vita profonda di colui che era uscito dal Padre eterno e nato da Maria. Questa unione manifestava il più incredibile avvicinamento fra Dio e l'umanità, avvicinamento che si esprimeva nel modo più intimo quando Gesù diceva "Abbà" e mamma". Il bambino si rallegrava di questa duplice provenienza, quella del Padre divino e di una madre umana.

Il Padre e Maria sono stati riconosciuti e affermati da Gesù come uniti nello sviluppo della sua vita più intima.

"Abbà" e "mamma" erano le due grida che testimoniavano la duplice fonte del Figlio incarnato; questo Figlio proclamava la sua duplice origine, nella quale la creatura è associata al Creatore.

Così appare la grandezza di Maria. Una donna viene elevata al livello del Padre, essendo chiamata "mamma" come il Padre è chiamato "Abbà". Maria è divenuta la creatura più vicina a Dio; non può essere staccata dal Padre con il quale è definitivamente legata dalla presenza di Gesù, Figlio del Padre e figlio della Vergine.

Il teologo Jean Galot, professore emerito di cristologia alla Gregoriana di Roma, ha accettato di presentare, nel 1999, l’anno del Padre, i rapporti fra Dio Padre e Maria Ss.ma. Lo ringraziamo anche a nome dei nostri lettori e siamo certi che la sua competenza sia come teologo che come mariologo renderà tali articoli particolarmente illuminanti e stimolanti.

Grazie al sito "Maria Madre di Dio"


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Da: Soprannome MSN°Angelo Inviato: 03/03/2005 12.38
Mi è stata rivolta un altra domanda che ho trovato molto stimolante ai fini di una più ampia comprensione anche per noi cattolici, ve la ripropongo affinchè possiamo giungere una unità nell'uso di certe espressioni.
 
 

Quindi caro Angelo, seguendo la tua logica, se insieme a Maria da Elisabetta si fosse presentata anche la mamma di Maria o una sua zia, Elisabetta, avrebbe anche inteso "Nonna di Dio, una Zia di Dio" ecc... <o:p></o:p>

Esiste dunque pure una nonna o una zia di Dio?
 
 
Caro (...) , trovo stuzzichevole la tua osservazione, permettendomi di aprire un forum a parte per non distogliere l'attenzione sul termine Theotokos. I moderatori potranno decidere in merito al collocamento della mia risposta.
Su cosa baserò questa risposta?  Ho sentito spesso insistere sul fatto che Maria non può essere definita madre di Dio ma solo Madre del Verbo Incarnato, di conseguenza non sarà semoplice dare una risposta che possa soddisfare colui che a priori nega una verità come la Theotokos: Colei che ha partorito Dio.
" In principio era il Verbo, e il Verbo presso Dio, e il Verbo era Dio (...) E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv.1).
Non possiamo dividere il Verbo Incarnato nè dal suo essere Dio in quanto Verbo del Padre, nè in quanto Persona legittimamente partorita da sua Madre. Verbo Incarnato e Persona, sono una sola cosa.
Un evangelico in questi forum ha scritto: che nel Vangelo si legge che Maria ha partorito Gesù. Quasi a dividere automaticamente la deità.
In tal modo assistiamo ad un difetto perchè si ignora quello che dice Giovanni "e il Verbo era Dio", non solo, a questo punto quando Elisabetta riconosce in Maria la "Madre del mio Signore" scatta automaticamente pensare che Elisabetta, essendo cugina di Maria, ne diventi la "zia". Zia della Seconda Persona della Trinità.
 
Indubbiamente è una assurdità perchè si continua a ragionare con i nostri parametri umani che sono certamente limitati, ma che non possiamo usare per esprimere il prodigio dell'Incarnazione.
I parametri di una generazione umana prevedono questo:
a- l'azione dei genitori (spermatozoo ed ovulo) per dare vita ad una nuova creatura;
b- l'azione motrice divina che sta all'origine dell'atto creativo (causa prima);
c- l'azione creatrice di Dio che infonde l'anima.
Nella fase genitoriale, essi sono complementari, nel senso che la casualità (azione) del primo, non può avvenire senza la casualità (azione) dell'altro.
Nel caso, invece, del concepimento nella Vergine, l'azione prodigiosa intanto non è casualità, ma è mossa da Dio che fa si che, l'azione generatrice della Donna, produca UGUALMENTE un nuovo organismo anche in assenza dell'azione dell'altro (Giuseppe). Siamo di fronte ad un PRODIGIO! Questo nuovo organismo prodotto dentro il grembo verginale di Maria, riceve un anima per poter sostenere in pienezza quel DIVENIRE UOMO  a tutti gli effetti.
 
Indubbiamente ai fini legali Elisabetta sarà risultata "zia di Gesù" come del resto lo stesso Gesù era legalmente riconosciuto "Figlio di Giuseppe" mentre noi sappiamo che non è così.
Ma quello che interessa a noi è il legame RELAZIONALE  E NON QUELLO LEGALE EBRAICO.
Per questo, dal punto di vista RELAZIONALE, l'azione genitoriale di Dio, il Padre, per opera dello Spirito Santo, HA TRONCATO DI NETTO OGNI FORMA LEGALE E PARENTALE generando, per la prima volta nella storia dell'uomo, una RELAZIONE PERSONALE FRA LUI STESSO E LA CREATURA UMANA assolutamente speciale ed irripetibile.
Questa relazione ha UN SOLO LEGAME LEGITTIMO: la Madre, per mezzo della quale questa parentela con Dio ha assunto L'UNIVERSALITA' DI GESU' CRISTO CON OGNI ESSERE UMANO. Cioè, per mezzo di Maria, il Verbo di Dio si è relazionato non più con una parentela familiare legislativa, ma al contrario ha relazionato ognuno di noi con il Verbo.
In tal senso Gesù può insegnare serenamente:
Matteo: 46 Mentre Gesù parlava ancora alle folle, ecco sua madre e i suoi fratelli che, fermatisi di fuori, cercavano di parlargli. 47 [E uno gli disse: «Tua madre e i tuoi fratelli sono là fuori che cercano di parlarti».] 48 Ma egli rispose a colui che gli parlava: «Chi è mia madre, e chi sono i miei fratelli?» 49 E, stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! 50 Poiché chiunque avrà fatto la volontà del Padre mio, che è nei cieli, mi è fratello e sorella e madre».
Questa relazione ha UN SOLO LEGAME LEGITTIMO: la Madre, per mezzo della quale questa parentela con Dio ha assunto L'UNIVERSALITA' DI GESU' CRISTO CON OGNI ESSERE UMANO. Cioè, per mezzo di Maria, il Verbo di Dio si è relazionato non più con una parentela familiare legislativa, ma al contrario ha relazionato ognuno di noi con il Verbo.
 
Sia lodato Gesù Cristo.

 
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