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Benedetto XVI: per superare la crisi occorre L'ETICA E LA MORALE DI DIO!

Ultimo Aggiornamento: 16/06/2013 19:34
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22/05/2010 16:59
 
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UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DALLA FONDAZIONE "CENTESIMUS ANNUS-PRO PONTIFICE", 22.05.2010

Alle ore 12.30 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al Convegno promosso dalla Fondazione "Centesimus Annus-Pro Pontifice" e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato e Sacerdozio,
illustri e cari amici
,

sono lieto di salutarvi in occasione del Convegno di studio promosso dalla Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice. Saluto il Cardinale Attilio Nicora, Mons. Claudio Maria Celli e gli altri Presuli e Sacerdoti presenti. Un particolare pensiero al Presidente, Dottor Domingo Sugranyes Bickel, che ringrazio per le cortesi parole, e a voi, cari Consiglieri e Soci della Fondazione, che avete voluto rendermi visita con i vostri familiari.
Ho apprezzato che il vostro incontro ponga al centro della riflessione la relazione tra "sviluppo, progresso, bene comune".

In effetti, oggi più che mai, la famiglia umana può crescere come società libera di popoli liberi quando la globalizzazione viene guidata dalla solidarietà e dal bene comune, come pure dalla relativa giustizia sociale, che trovano nel messaggio di Cristo e della Chiesa una sorgente preziosa.

La crisi e le difficoltà di cui al presente soffrono le relazioni internazionali, gli Stati, la società e l'economia, infatti, sono in larga misura dovute alla carenza di fiducia e di un’adeguata ispirazione solidaristica creativa e dinamica orientata al bene comune, che porti a rapporti autenticamente umani di amicizia, di solidarietà e di reciprocità anche "dentro" l’attività economica. Il bene comune è la finalità che dà senso al progresso e allo sviluppo, i quali diversamente si limiterebbero alla sola produzione di beni materiali; essi sono necessari, ma senza l'orientamento al bene comune finiscono per prevalere consumismo, spreco, povertà e squilibri; fattori negativi per il progresso e lo sviluppo.

Come rilevavo nell’enciclica
Caritas in veritate, uno dei maggiori rischi nel mondo attuale è quello che "all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano" (n. 9). Una tale interazione, ad esempio, appare essere troppo debole presso quei governanti che, a fronte di rinnovati episodi di speculazioni irresponsabili nei confronti dei Paesi più deboli, non reagiscono con adeguate decisioni di governo della finanza. La politica deve avere il primato sulla finanza e l’etica deve orientare ogni attività.

Senza il punto di riferimento rappresentato dal bene comune universale non si può dire che esista un vero ethos mondiale e la corrispettiva volontà di viverlo, con adeguate istituzioni. È allora decisivo che siano identificati quei beni a cui tutti i popoli debbono accedere in vista del loro compimento umano. E questo non in qualsiasi maniera, ma in una maniera ordinata ed armonica. Infatti, il bene comune è composto da più beni: da beni materiali, cognitivi, istituzionali e da beni morali e spirituali, quest’ultimi superiori a cui i primi vanno subordinati.

L’impegno per il bene comune della famiglia dei popoli, come per ogni società, comporta, dunque, il prendersi cura e l’avvalersi di un complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale mondiale, in modo tale che prenda forma di pólis, di città dell’uomo (cfr ibid., 7). Pertanto, si deve assicurare che l’ordine economico-produttivo sia socialmente responsabile e a misura d’uomo, con un’azione congiunta e unitaria su più piani, anche quello internazionale (cfr ibid., 57.67). Parimenti, si dovrà sostenere il consolidamento di sistemi costituzionali, giuridici e amministrativi nei Paesi che non ne godono ancora in modo pieno. Accanto agli aiuti economici, devono esserci, quindi, quelli finalizzati a rafforzare le garanzie proprie dello Stato di diritto, un sistema di ordine pubblico giusto ed efficiente, nel pieno rispetto dei diritti umani, come pure istituzioni veramente democratiche e partecipative (cfr ibid., 41).

Ciò che, però, è fondamentale e prioritario, in vista dello sviluppo dell’intera famiglia dei popoli, è l’adoperarsi per riconoscere la vera scala dei beni-valori. Solo grazie ad una corretta gerarchia dei beni umani è possibile comprendere quale tipo di sviluppo dev’essere promosso. Lo sviluppo integrale dei popoli, obiettivo centrale del bene comune universale, non è dato solo dalla diffusione dell’imprenditorialità (cfr ibidem), dei beni materiali e cognitivi come la casa e l’istruzione, delle scelte disponibili. Esso è dato specialmente dall’incremento di quelle scelte buone che sono possibili quando esista la nozione di un bene umano integrale, quando ci sia un telos, un fine, alla cui luce viene pensato e voluto lo sviluppo. La nozione di sviluppo umano integrale presuppone coordinate precise, quali la sussidiarietà e la solidarietà, nonché l’interdipendenza tra Stato, società e mercato.

In una società mondiale, composta da molti popoli e da religioni diverse, il bene comune e lo sviluppo integrale vanno conseguiti con il contributo di tutti. In questo, le religioni sono decisive, specie quando insegnano la fraternità e la pace, perché educano a dare spazio a Dio e ad essere aperti al trascendente, nelle nostre società segnate dalla secolarizzazione. L’esclusione delle religioni dall’ambito pubblico, come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità; la vita della società si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente ed aggressivo (cfr ibid. 56).

Cari amici, la visione cristiana dello sviluppo, del progresso e del bene comune, come emerge nella Dottrina Sociale della Chiesa, risponde alle attese più profonde dell’uomo e il vostro impegno di approfondirla e diffonderla è un valido apporto per edificare la "civiltà dell’amore". Per questo vi esprimo la mia riconoscenza e il mio augurio, e di cuore Vi benedico tutti.


                                                                   Pope Benedict XVI looks on during a meeting with Macedonian Parliament Speaker Trajko Veljanovski (unseen) in the pontiff's studio at the Vatican May 22, 2010.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/08/2010 00:00
 
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Per una nuova laicità in Europa dopo il crollo del Muro

Il diritto alla libertà e il suo rovescio



In vista del trentunesimo "Meeting per l'amicizia fra i popoli" che si svolgerà a Rimini dal 22 al 28 agosto, anticipiamo stralci di un articolo a firma del cardinale arcivescovo di Esztergom-Budapest che sarà pubblicato sul prossimo numero di "Atlantide", quadrimestrale della Fondazione per la Sussidiarietà diretto da Giorgio Vittadini.
 

di Péter Erdö

Oltre venti anni dopo il crollo del Muro di Berlino giova ripensare alla situazione della nostra religione e dei credenti in un'Europa in cui si parla molto di laicità. L'Europa è un continente complicato, dalle mille facce, con diversi popoli e diverse eredità culturali, diverse sensibilità, diverse posizioni sociali della religione in generale e della Chiesa cattolica nei singoli Paesi. Riflettendo sulla situazione attuale, tenendo presenti gli elementi culturali e sociologici, possiamo identificare alcune realtà, e forse alcune possibilità, di ulteriore sviluppo riguardo al rapporto tra Chiesa e Stati nel nostro vecchio continente.

La parola laicità è molto comune nei Paesi di tradizione latina e cattolica:  Italia, Francia, Spagna e Portogallo. Essa è storicamente collegata con un processo di secolarizzazione della politica avvenuto in questi Paesi durante l'epoca moderna. Come tutti sappiamo, questa storia fu contrassegnata da aspri conflitti e da fenomeni anche violenti, le cui vittime erano spesso non soltanto i portatori delle antiche strutture politiche, ma anche la gente semplice, tra cui molti credenti. Oggi comunque, in tutti questi Paesi, vige un sistema di netta separazione tra Stato e Chiesa, la cosiddetta "laicità dello Stato".

In un'altra regione del continente, precisamente nel Nord-Europa, dove la religione di Stato durante l'epoca moderna era qualche forma del protestantesimo, la separazione non si è manifestata in forma tanto violenta, ma il processo di secolarizzazione è stato comunque continuo, e ha condotto all'esaurimento delle istituzioni e dei legami religiosi. Le forme istituzionali religiose non sono state rifiutate in modo radicale, ma, con la secolarizzazione della società, pur conservando alcuni simboli religiosi, o magari, anche un ruolo istituzionale interno a qualche comunità religiosa - come nel caso della Chiesa di Inghilterra - è stata permessa sempre di più anche la libertà delle altre religioni, e il funzionamento pienamente secolare delle istituzioni pubbliche.

Un terzo gruppo dei Paesi europei è rappresentato dai cosiddetti "Paesi dell'Est". In questi Paesi la lunga oppressione comunista ha separato in modo brutale la religione dallo Stato. Ufficialmente non si annunciava la neutralità dello Stato, ma piuttosto il suo collegamento istituzionale con l'ideologia marxista-leninista, chiamata visione scientifica del mondo, oppure socialismo scientifico, oppure materialismo dialettico e storico. In realtà, tale ideologia aveva pienamente il ruolo di una religione di Stato, fino al punto che in alcuni Paesi la stessa costituzione dichiarava che "la forza guida della società è il partito marxista-leninista della classe operaia". Ciò significava che quelli che non si professavano marxisti-leninisti, avevano meno diritto di partecipare alla direzione della società. Vent'anni dopo il crollo di questo sistema i popoli dei Paesi ex-comunisti hanno attraversato uno sviluppo istituzionale, sociologico e ideologico. La prima novità in questo contesto è stata la libertà di religione, espressa in diverse leggi più o meno fondamentali in questi Paesi.

La Chiesa cattolica, da parte sua, aveva attraversato il periodo del rinnovamento conciliare, aveva precisato il vero senso cattolico della libertà religiosa, e cominciava ad affrontare la sfida del secolarismo con questo atteggiamento. Da parte cattolica, quindi, malgrado alcune nostalgie storiche, provenienti generalmente non dalla Chiesa stessa, ma piuttosto da altri gruppi della società, non ci fu nemmeno un tentativo di ottenere una posizione di religione di Stato.

Nei Paesi di tradizione ortodossa, parallelamente al risveglio di queste Chiese, si poté osservare anche una notevole riservatezza da parte degli organi statali, riguardo a un collegamento completo e ufficiale tra Stato e Chiese nazionali. Occorre notare che, specialmente in Russia, la distruzione della religione e la secolarizzazione erano talmente profonde che un tale collegamento, indipendentemente dalle intenzioni, non sembrava troppo realistico.

In questi ultimi Paesi del Centro-Est europeo, esistevano anche altri fatti culturali più o meno oppressi durante l'epoca comunista. L'elemento etnico o nazionale era uno di questi. Dopo il crollo del sistema si manifestarono più liberamente anche questi elementi di identità. Tale svolta era stata poco preparata anche dal punto di vista psicologico. Perciò scoppiarono conflitti nazionali ed etnici, come nel Caucaso, nei Paesi Baltici, nella ex-Iugoslavia, e, in una forma meno violenta, anche altrove nella regione. Tutto ciò fu confermato dalla nascita o rinascita di molti Stati nazionali che ottennero la loro sovranità dopo il crollo di Stati federali comunisti. Tale fenomeno nazionale si collegava in alcune parti con elementi religiosi, essendo stata la religione una parte integrante della cultura specifica delle diverse nazioni. Altri elementi specifici di queste culture spesso non potevano svilupparsi sufficientemente per la pressione dell'internazionalismo comunista.

L'Europa conosce diversi modelli di rapporti tra Stato e Chiesa. Ma conosce anche diversi tipi di Stato. Oggi il modello prevalente è ancora lo Stato nazionale, prodotto tipico dell'epoca moderna. Ma costituisce una realtà fondamentale dell'Europa di oggi la presenza dell'Unione Europea che comprende una moltitudine di Stati nazionali, e che sembra influire notevolmente sulla vita interna degli Stati membri e anche dei cittadini. Stati grandi con la massima varietà di popoli, di regioni geograficamente ben diverse con profonde differenze economiche, linguistiche, culturali e religiose hanno contrassegnato per lunghe epoche la storia del nostro continente. Negli ultimi duemila anni i periodi senza grandi imperi in Europa sono stati molto più brevi di quelli nel segno di tali imperi.
 
Cronologicamente possiamo cominciare con l'impero persiano, il quale sin dall'epoca di Dario i (522-486 prima dell'era cristiana) comprendeva anche Tracia e Macedonia, e quindi, quella terra che oggi si considera europea. Come è noto, l'impero persiano all'epoca della sua fioritura rappresentava uno Stato governato secondo princìpi quasi moderni. In esso i diversi popoli avevano una notevole libertà di espressione della loro cultura e della loro religione, anzi rispetto al fatto culturale e religioso, avevano anche una cospicua autonomia giuridica per organizzare la vita secondo le proprie tradizioni. Questa situazione ha la sua precipitazione classica in diversi libri dell'Antico  Testamento.

L'impero romano, da parte sua, era portatore di una coscienza di missione storica del popolo romano, ma incorporava nella sua struttura organizzativa elementi dell'eredità delle monarchie universali ellenistiche. Già Cicerone identifica l'imperium romanum con l'Orbis Terrarum. I tentativi di introdurre una concezione assolutistica dell'impero furono sconfitti.

Lo spazio notevole per l'autogoverno politico e culturale delle città nei primi due secoli dell'era cristiana cedeva il suo posto gradualmente alle forme aperte della monarchia militare nel III secolo. Da Diocleziano in poi si verificò una tendenza al decentramento del potere che produsse la tetrarchia, ma non nel senso del riconoscimento delle proprietà culturali ed economiche dei diversi popoli e delle diverse regioni. Nella tarda antichità era così pesante la pressione tributaria che la lealtà dei sudditi cominciava a vacillare già per questo motivo. Problema che accompagnò poi anche la storia bizantina.

All'alba del medioevo nacquero degli Stati posti sotto il potere di diversi popoli chiamati barbari, come il regno visigoto e quello dei franchi. In queste forme di Stato era un fenomeno fondamentale la duplicità della popolazione, cioè, il gran numero degli abitanti aventi cultura romana da una parte, e dall'altra parte, le comunità germaniche dalle quali proveniva la classe dirigente. Tale duplicità culturale condusse diversi re a promulgare varie leggi, diversi codici per le varie comunità viventi nello stesso Stato.

Anche nell'impero romano-germanico, chiamato in certi periodi Sacro romano impero della nazione tedesca, sopravvisse la pluralità dei diritti popolari e tribali anche nelle raccolte di diritto consuetudinario. Dal risveglio della conoscenza del diritto romano, dalla fine del xi e poi dal XII secolo, i testi del diritto romano giustinianeo cominciarono a influenzare gli alti livelli della vita giuridica, a partire dall'insegnamento universitario. Sebbene questo diritto sia stato rispettato soprattutto come ratio scripta, e non tanto come diritto pienamente vigente in tutte le relazioni della vita sociale, esso ha influenzato lo sviluppo del diritto europeo, e ha avuto in molte parti del continente la funzione di diritto sussidiario che aiutava a colmare le lacune delle leggi.

Fu nel tardo medioevo che anche il diritto canonico, sviluppato in base alle antichissime tradizioni anch'esso nel quadro dell'insegnamento universitario, cominciò a formare una certa unità culturale e teorica ma anche effettiva, per esempio nei dettagli del processo giudiziario o dei princìpi generali, con il diritto romano.

Un'altra logica morfologicamente più antica vigeva nell'impero ottomano, in cui i diversi popoli o le diverse comunità etnico-religiose godevano di grande autonomia anche giuridica e dove queste comunità portavano il nome di millet. Quanto ai cristiani va precisato che ancora all'inizio del XX secolo circa il 35 per cento dell'intera popolazione era di religione cristiana. Riguardo alla funzione del Patriarca di Costantinopoli all'interno di quell'organizzazione imperiale, si ricorda la drammatica uscita solenne del Patriarca con il suo clero nel campo dell'imperatore Maometto ii (Mohammed al Fatich, 1444-1446; 1451-1481), nell'anno storico 1453. Il sultano accettò l'atto di sottomissione del Patriarca, anzi lo riconobbe come capo dei cristiani del suo impero. Così accadeva che nel XVI e XVII secolo persino i principi protestanti della Transilvania, che in quell'epoca dipendeva come vassallo dall'impero ottomano, dovessero recarsi a Costantinopoli e ottenere il consenso del Patriarca, prima di chiedere il riconoscimento dell'imperatore turco.

Un capitolo meno remoto è costituito dall'esempio dell'impero sovietico, Stato federale composto da molte repubbliche, il quale aveva però anche una serie di altri Stati un po' meno strettamente dipendenti, ma legati a sé nel quadro del Comecon (Consiglio di mutua assistenza economica) e del Patto di Varsavia. La possibilità dei popoli e gruppi di conservare la propria lingua, cultura e religione fu diversa nei diversi periodi della storia sovietica, e differente nei diversi stati satelliti. Cittadini ungheresi negli anni Settanta guardavano per esempio con grande ammirazione i molti ordini religiosi esistenti legalmente in Polonia.

Anche se la religione costituiva durante la storia un elemento determinante dell'identità etnica dei diversi popoli, nel quadro dei diversi imperi, nella storia si osserva una lunga serie di modalità di trattare questo fenomeno. Trattarlo, per esempio, in modi anche giuridicamente diversi, a seconda delle diversità dei popoli, dei Paesi, delle regioni autonome, delle tradizioni culturali, riconosciute in settori identificabili secondo criteri territoriali e personali.

Nello specchio della storia, quindi, un elemento tipico e molto europeo dei rapporti tra Stato e Chiesa sembra essere proprio la diversità.
Prescindendo dalla stragrande diversità nella storia, dobbiamo osservare anche un altro fatto più o meno costante. In grandi imperi o in larghe e organizzate comunità di popoli, si dimostrava sempre necessario un denominatore comune riguardo alla visione del mondo. Tale denominatore comune poteva essere in alcuni imperi la personalità sacralizzata del sovrano, oppure, insieme con essa, il culto di alcuni dei comuni. Se un popolo, una religione, rifiutava questo elemento di culto della comunità, poteva esporsi a violente persecuzioni. Tale situazione è fin troppo conosciuta dalla storia della Chiesa. Eppure, lo ius gentium era rispettato già all'epoca romana. Alcuni principi cristiani erano accettati in tutti i Paesi dell'Europa medievale fino al punto che si poteva parlare di res publica christiana. Il cardinale Nicola da Cusa poteva scrivere con altri teorici della società della sua epoca che l'impero è il corpo, ma la Chiesa è lo spirito della res publica christiana. Non soltanto alcuni principi della fede quindi, ma la Chiesa come tale e il suo diritto erano tra questi elementi di unione della comunità medievale delle nazioni europee.

Nell'epoca moderna poi, cominciò a ricevere nuovi accenti il diritto naturale, interpretato comunque partendo dalla tradizione cristiana, per sfociare poi, all'epoca dell'illuminismo, nei diritti umani classici. Se oggi il contenuto e le basi dei diritti umani cominciano a perdere i loro chiari contorni, allora è giustificata la preoccupazione per le basi comuni, a livello di visione del mondo, della comunità dei popoli europei.

Sorge la domanda tecnica della gestione della libertà e della pluralità. La pluralità non può comprendere senz'altro qualsiasi atteggiamento di violenza o di terrore, la libertà, come vediamo in questi tempi di crisi, può causare la distruzione dei più deboli, e può aprire la strada alle ingiustizie più gravi, se non viene regolata dal principio del bene comune. Ma per identificare un bene comune ci vogliono principi comuni antropologici.
 
Ci vuole una qualche visione comune su che cosa è buono per l'essere umano. E oltre a questo, ci vuole anche una autorità non sprovvista di forza che possa far valere le esigenze del bene comune. La dottrina sociale della Chiesa, arricchita recentemente dall'enciclica Caritas in veritate, è sempre attuale. Il dilemma del liberalismo classico dell'inizio del XX secolo è ritornato in dimensioni globali. Il mondo, il nostro vecchio continente specialmente, dovrebbe imparare dalle esperienze dell'ultimo secolo.

Una ribellione volontarista e violenta contro i problemi dell'egoismo sfrenato nell'economia può avere facilmente per effetto dittature sanguinose che risultano poi tentativi falliti di soluzione di un problema destinato a ritornare. Ma quanti milioni di vite umane sono il prezzo di questi tentativi! Non rimane dunque altra strada che quella della ricerca paziente e generosa delle forme regolate dal diritto e fedeli ai principi di sussidiarietà e di solidarietà che realizzano il bene comune, impegnandosi - come dice Benedetto XVI - "alla realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità".

La visione del mondo e quella dell'essere umano non dev'essere opera degli Stati, né delle autorità politiche. Nel senso di una giusta sussidiarietà, la visione del mondo costituisce un fatto personale, ma anche comunitario, trasmesso e condiviso da altre persone, da diversi gruppi, o anche dall'intera società. Le comunità religiose sono portatori eminenti della visione comunitaria del mondo. Quindi, la sana laicità dello Stato significa proprio che le autorità statali e politiche, anche quelle internazionali o continentali, non possono pretendere di definire la visione del mondo dei cittadini, ma devono fare riferimento agli elementi portatori di questi valori della società, nel quadro di una chiara sussidiarietà.

Ma è possibile arrivare in base a questa visione del mondo a un denominatore comune che possa offrire il minimo necessario per la coesistenza e la collaborazione delle persone e dei popoli? Secondo la convinzione cristiana, tutti gli uomini possono conoscere le verità essenziali su Dio attraverso la realtà creata. Crediamo quindi nella forza conoscitiva umana anche riguardo ai principi fondamentali della vita. Questa è la base anche della morale rivelata. La grazia, anche in questo ambito, presuppone la natura.
 
La condizione di una sinfonia riguardo ai principi fondamentali della moralità nei diversi Stati è quindi, la conoscenza e il riconoscimento - aperto anch'esso verso il progresso delle ricerche e del ragionamento - della piena realtà delle cose oggettivamente esistenti. La verità, quindi, ci libera anche riguardo alla vita sociale. Così si delinea la possibilità di un equilibrio tra una "sana" laicità dello Stato, basata sulla sussidiarietà, nelle questioni della visione del mondo, e la possibilità di un consenso largo circa diversi principi fondamentali. Proprio questa ricerca di equilibrio può essere un compito storico dell'Europa multiculturale.

E in questo contesto, i cristiani del continente che vent'anni or sono ha ritrovato molti valori della propria unità, sono chiamati a rendere testimonianza della piena verità di Cristo, della speranza che vuol aprirsi a tutti e che invita tutti a una comune riflessione. Nuova evangelizzazione quindi, nel contesto della pluralità, del mutuo rispetto, e soprattutto, dell'apertura ecumenica, la quale deve rendere più forte la voce del Vangelo con la comune testimonianza e che deve essere una palestra del dialogo che ci prepara anche al dialogo con le altre religioni e con i non credenti nello spirito della carità e nella verità.



(©L'Osservatore Romano - 21 agosto 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/08/2010 19:45
 
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Messaggio del Papa al Meeting di Rimini: solo Dio può riempire davvero il cuore degli uomini. La riflessione di mons. Lambiasi

“Testimoniate nel nostro tempo che le grandi cose a cui anela il cuore umano si trovano in Dio”: è
l’esortazione di Benedetto XVI ai partecipanti al XXXI Meeting di Rimini, apertosi stamattina con la Messa celebrata dal vescovo diocesano, mons. Francesco Lambiasi. Nel messaggio del Papa per l’evento, anche un ricordo di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. Il servizio del nostro inviato a Rimini, Luca Collodi:

Il Meeting si è aperto con l’augurio di Benedetto XVI a testimoniare nel nostro tempo che le grandi cose a cui anela il cuore umano si trovano in Dio. Il rischio è quello che si affermi una concezione puramente materialistica della vita, ma "la natura dell’uomo", scrive il Papa, richiamando il tema della XXXI edizione del Meeting per l’Amicizia tra i Popoli, è innanzitutto il suo cuore che si esprime come desiderio di "cose grandi". E’ questa tensione il tratto inconfondibile dell’umano, la scintilla di ogni azione, dal lavoro alla famiglia, dalla ricerca scientifica alla politica, dall’arte alla risposta ai bisogni quotidiani. “Ogni uomo – sottolinea il messaggio del Papa, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, inviato al vescovo di Rimini, mons. Lambiasi, ma anche agli organizzatori ed ai partecipanti – intuisce che proprio nella realizzazione dei desideri più profondi del suo cuore, l’uomo può trovare la possibilità di realizzarsi, di compiersi, di diventare veramente se stesso”. “Uomo – si legge ancora – che spesso è tentato di fermarsi alle cose piccole, a quelle che danno una soddisfazione ed un piacere ‘a buon mercato’, a quelle che appagano per un momento, cose facili da ottenere quanto illusorie”. “Dio – prosegue il Papa – è venuto nel mondo per risvegliare in noi la sete di ‘cose grandi’”. “Da parte nostra dobbiamo purificare i nostri desideri e le nostre speranze per potere accogliere la dolcezza di Dio. Questa – continua il Papa, citando Sant’Agostino – è la nostra vita: esercitarsi nel desiderio”. “A Dio, infatti, possiamo chiedere tutto ciò che è buono. La bontà e la potenza di Dio – afferma il Pontefice – non conoscono un limite tra cose grandi e piccole, tra cose materiali e spirituali, tra cose terrene e celesti. Nel dialogo con Lui, portando tutta la nostra vita davanti ai sui occhi, impariamo a desiderare le cose buone, a desiderare in fondo Dio stesso”. Nel messaggio, il Papa ricorda anche il V anniversario della morte di mons. Giussani e proprio al fondatore di Comunione e Liberazione il Meeting di Rimini ha dedicato un omaggio attraverso le sue parole, le immagini della sua vita e un breve video che documentano la sua passione per la vita. Diceva don Giussani: “Io non voglio vivere inutilmente, questa è la mia ossessione”.

Il Meeting si è dunque aperto con la Messa celebrata dal vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, che nella sua omelia ha messo l’accento sulla bellezza della relazione tra Dio e l’uomo. Un tema su cui il presule si sofferma nell’intervista di Luca Collodi:

R. – Il Vangelo di questa domenica ci riporta alla Parola del Signore Gesù, che ci ricorda che noi siamo invitati al banchetto che Dio Padre vuole imbandire per tutti i suoi figli. C’è, dunque, una coincidenza tra il sogno di Dio e il desiderio dell’uomo e questa coincidenza si registra nel fondo del cuore umano, dove è come depositata la firma che Dio appone al suo capolavoro, l’uomo, immettendo in questo cuore il grande desiderio di felicità. Si può essere felici solo insieme, non se puntiamo su una felicità narcisistica, ma sulla felicità nella comunione.

D. – Rimini è la città del divertimento. Da 31 anni ci sono dei laici che però cercano di parlare di spiritualità...

R. – E’ vero. A me sembra che il Meeting sia un frammento d’anima, che i laici di Comunione e Liberazione stanno cercando di ridare a questa città. Nel cliché dell’immaginario collettivo, Rimini è il “divertimentificio”, ma Rimini è anche l’associazione Papa Giovanni e appunto il Meeting. C’è un laicato associato: basti ricordare i 5 mila fratelli e sorelle di Comunione e Liberazione, i 3 mila scout, i 2 mila dell’Azione Cattolica. C’è insomma un popolo in questa città, un popolo che prende a cuore le sorti della città per dare il proprio contributo alla crescita di una civiltà dell’amore.

D. – Nell’autunno prossimo, la Chiesa italiana si riunirà a Reggio Calabria per parlare di Dottrina Sociale della Chiesa...

R. – Certamente Rimini diventa una tappa verso Reggio Calabria. Il Papa ci ha illuminato e stimolato con la “Caritas in Veritate” e dobbiamo cercare di tradurre in lievito di fermentazione questa Dottrina Sociale. Penso che Rimini, in questo senso, possa essere anche una sorta di prova generale di Reggio Calabria.

D. – Che fine hanno fatto quei laici che possono introdurre nella società italiana, in questa fase, degli elementi positivi di costruzione, di risveglio anche dei valori...

R. – Sì, forse l’impressione, che però a me sembra superficiale, è quella di un certo sopore. A me pare in realtà che i laici siano svegli, siano pronti a sbloccare una situazione che appare drammaticamente bloccata. E in un certo senso Rimini può essere un laboratorio di questo futuro che a me sembra sia già cominciato.

 Radio Vaticana




Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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L'udienza di Benedetto XVI al Bureau dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa

La dignità naturale di ogni persona
radice dell'inviolabilità dei diritti umani


È nella "dignità naturale di ogni persona" la radice dell'inviolabilità dei diritti umani:  lo ha ribadito Benedetto XVI ricevendo a mezzogiorno di mercoledì 8 settembre il Bureau dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. L'incontro è avvenuto nell'auletta dell'Aula Paolo vi, al termine dell'udienza generale, alla quale la delegazione ha partecipato in occasione del sessantesimo anniversario della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo.

Mr President,
Dear members of the Bureau of the Parliamentary Assembly of the Council of Europe,
I am very grateful to the Honourable Mr Çavusoglu for the kind words he addressed to me on behalf of the Bureau and I extend to all of you a cordial welcome. I am happy to receive you on the sixtieth anniversary of the European Convention on Human Rights which, as is well known, commits Member States of the Council of Europe to promote and defend the inviolable dignity of the human person.
I know that the Parliamentary Assembly has on its agenda important topics that deal above all with persons who live in particularly difficult situations or are subjected to grave violations of their dignity. I have in mind people afflicted with handicaps, children who suffer violence, immigrants, refugees, those who pay the most for the present economic and financial crisis, those who are victims of extremism or of new forms of slavery such as human trafficking, the illegal drug trade and prostitution. Your work also is concerned with victims of warfare and with people who live in fragile democracies. I have also been informed of your efforts to defend religious freedom and to oppose violence and intolerance against believers in Europe and worldwide.
Keeping in mind the context of today's society in which different peoples and cultures come together, it is imperative to develop the universal validity of these rights as well as their inviolability, inalienability and indivisibility.
On different occasions I have pointed out the risks associated with relativism in the area of values, rights and duties. If these were to lack an objective rational foundation, common to all peoples, and were based exclusively on particular cultures, legislative decisions or court judgements, how could they offer a solid and long-lasting ground for supranational institutions such as the Council of Europe, and for your own task within that prestigious institution? How could a fruitful dialogue among cultures take place without common values, rights and stable, universal principles understood in the same way by all Members States of the Council of Europe? These values, rights and duties are rooted in the natural dignity of each person, something which is accessible to human reasoning. The Christian faith does not impede, but favours this search, and is an invitation to seek a supernatural basis for this dignity.
I am convinced that these principles, faithfully maintained, above all when dealing with human life, from conception to natural death, with marriage - rooted in the exclusive and indissoluble gift of self between one man and one woman - and freedom of religion and education, are necessary conditions if we are to respond adequately to the decisive and urgent challenges that history presents to each one of you.
Dear friends, I know that you also wish to reach out to those who suffer. This gives me joy and I encourage you to fulfil your sensitive and important mission with moderation, wisdom and courage at the service of the common good of Europe. I thank you for coming and I assure you of my prayers. May God bless you!

Di seguito una nostra traduzione del saluto del Papa.

Signor Presidente,
Cari membri del Bureau dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa
Sono molto grato all'onorevole signore Çavusoglu per le gentili parole che mi ha rivolto a nome del Bureau e porgo a tutti voi un cordiale benvenuto. Sono lieto di ricevervi nel sessantesimo anniversario della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo che, come è noto, impegna gli Stati membri del Consiglio d'Europa a promuovere e a difendere la dignità inviolabile della persona umana.

So che l'Assemblea Parlamentare ha nella sua agenda importanti temi che riguardano soprattutto le persone che vivono in situazioni particolarmente difficili o che sono sottoposte a gravi violazioni della loro dignità. Penso alle persone affette da handicap, a bambini che subiscono violenza, agli immigranti, ai profughi, a coloro che pagano il prezzo più alto per l'attuale crisi economica e finanziaria, a quanti sono vittime dell'estremismo o delle nuove forme di schiavitù come il traffico di vite umane, il commercio illegale di stupefacenti e la prostituzione. Il vostro lavoro riguarda anche le vittime delle guerre e le persone che vivono in democrazie fragili. Sono a conoscenza anche dei vostri sforzi per difendere la libertà religiosa e contrastare la violenza e l'intolleranza nei confronti dei credenti in Europa e nel mondo.

Tenendo presente il contesto della società attuale, nella quale si incontrano popoli e culture differenti, è imperativo sviluppare sia la validità universale di questi diritti, sia la loro inviolabilità, inalienabilità e indivisibilità.

In diverse occasioni ho evidenziato i rischi associati al relativismo nel campo dei valori, dei diritti e dei doveri. Se questi fossero privi di un fondamento razionale oggettivo, comune a tutti i popoli, e si basassero esclusivamente su culture, decisioni legislative o sentenze di tribunali particolari, come potrebbero offrire un terreno solido e duraturo per le istituzioni sovranazionali come il Consiglio d'Europa e per il vostro compito all'interno di tale prestigiosa istituzione? Come potrebbe esserci un dialogo fecondo tra le culture senza valori comuni, diritti e principi stabili, universali, intesi allo stesso modo da tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa? Questi valori, diritti e doveri sono radicati nella dignità naturale di ogni persona, qualcosa che è accessibile alla ragione umana. La fede cristiana non ostacola, bensì favorisce questa ricerca, ed è un invito a cercare una base soprannaturale per questa dignità.

Sono convinto che questi principi, osservati fedelmente, soprattutto quando si parla della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, del matrimonio - radicato nel dono esclusivo e indissolubile di sé tra un uomo e una donna - e della libertà di religione e di educazione, siano condizioni necessarie se dobbiamo rispondere in modo adeguato alle sfide decisive e urgenti che la storia pone ad ognuno di voi.

Cari amici, so anche che desiderate andare incontro a quanti soffrono. Ciò mi rallegra e vi incoraggio a svolgere la vostra delicata e importante missione con moderazione, saggezza e coraggio, al servizio del bene comune dell'Europa. Vi ringrazio di essere venuti e vi assicuro delle mie preghiere. Dio vi benedica!


(©L'Osservatore Romano - 9 settembre 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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26/03/2011 20:02
 
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Il Papa: Occorre mettere in campo ogni sforzo perché la catena delle morti e degli incidenti venga spezzata. E che dire poi della precarietà del lavoro, soprattutto quando riguarda il mondo giovanile? E’ un aspetto che non manca di creare angoscia in tante famiglie!

Pope Benedict XVI reacts as he is given a working helmet bearing his name at the end of an audience with members of Terni's diocese in the Paul VI hall at the Vatican March 26, 2011. The helmet was presented to the pope as a gift by steel workers from the district city of Terni.
Papa Ratzinger e il caschetto da operaio: foto di Tgcom

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Il Papa: E' importante tenere sempre presente che il lavoro è uno degli elementi fondamentali sia della persona umana, che della società

Il Papa: La "dignità specifica del lavoro umano" viene "spesso" violata quando il lavoro "viene visto solo come strumento di guadagno, se non addirittura, in diverse parti del mondo, come mezzo di sfruttamento" (Ansa)

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UDIENZA AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO DELLA DIOCESI DI TERNI-NARNI-AMELIA (ITALIA), 26.03.2011

Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al Pellegrinaggio della diocesi di Terni-Narni-Amelia (Italia) nel 30° anniversario della visita del Papa Giovanni Paolo II alle Acciaierie della Città.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre rivolge loro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

sono molto lieto di accogliervi questa mattina e di rivolgere il mio cordiale saluto alle autorità presenti, alle lavoratrici e ai lavoratori e a voi tutti che siete venuti pellegrini alla sede di Pietro. Un saluto particolare al vostro Vescovo, Mons. Vincenzo Paglia, che ringrazio per le parole rivoltemi anche a nome vostro. Siete venuti numerosi a questo incontro - mi dispiace che alcuni non siano più potuti entrare -, cogliendo l’occasione del trentesimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II a Terni. Oggi, vogliamo ricordarlo in maniera speciale per l’amore che mostrò per il mondo del lavoro; quasi lo sentiamo ripetere le prime parole che pronunciò appena giunto a Terni: "Scopo precipuo di questa visita, che si svolge nel giorno di San Giuseppe … è di portare una parola di incoraggiamento a tutti i lavoratori ed esprimere loro la mia solidarietà, la mia amicizia e il mio affetto" (Discorso alle autorità, Terni, 19 marzo 1981). Faccio miei questi sentimenti, e di cuore abbraccio tutti voi e le vostre famiglie. Nel giorno della mia elezione, mi sono presentato anch’io con convinzione come un "umile lavoratore nella vigna del Signore", ed oggi, assieme a voi, vorrei ricordare tutti i lavoratori e affidarli alla protezione di san Giuseppe lavoratore.

Terni è segnata dalla presenza di una delle più grandi fabbriche dell’acciaio, che ha contribuito alla crescita di una significativa realtà operaia. Un cammino segnato da luci, ma anche da momenti difficili, come quello che stiamo vivendo oggi. La crisi dell’assetto industriale sta mettendo a dura prova la vita della Città, che deve ripensare il suo futuro. In tutto questo viene coinvolta anche la vostra vita di lavoratori e quella delle vostre famiglie.

Nelle parole del vostro Vescovo ho sentito l’eco delle preoccupazioni che portate nel cuore. So che la Chiesa diocesana le fa sue e sente la responsabilità di esservi accanto per comunicarvi la speranza del Vangelo e la forza per edificare una società più giusta e più degna dell’uomo. E lo fa a partire dalla sorgente, dall’Eucaristia. Nella sua prima lettera pastorale, L’Eucaristia salva il mondo, il vostro Vescovo vi ha indicato quale è la sorgente da cui attingere e a cui tornare per vivere la gioia della fede e la passione per migliorare il mondo. L’Eucaristia della Domenica è diventata così il fulcro dell’azione pastorale della Diocesi. E’ una scelta che ha portato i suoi frutti; è cresciuta la partecipazione all’Eucarestia domenicale, dalla quale parte l’impegno della Diocesi per il cammino della vostra Terra. Dall’Eucaristia, infatti, in cui Cristo si rende presente nel suo atto supremo di amore per tutti noi, impariamo ad abitare da cristiani la società, per renderla più accogliente, più solidale, più attenta ai bisogni di tutti, particolarmente dei più deboli, più ricca di amore. Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire, definiva i cristiani coloro che "vivono secondo la Domenica" (iuxta dominicum viventes), ossia "secondo l’Eucaristia". Vivere in maniera "eucaristica" significa vivere come un unico Corpo, un’unica famiglia, una società compaginata dall’amore. L’esortazione ad essere "eucaristici" non è un semplice invito morale rivolto a singoli individui, ma è molto di più: è l’esortazione a partecipare al dinamismo stesso di Gesù che offre la sua vita per gli altri, perché tutti siano una cosa sola.

In questo orizzonte si colloca anche il tema del lavoro, che oggi vi preoccupa, con i suoi problemi, soprattutto quello della disoccupazione. E’ importante tenere sempre presente che il lavoro è uno degli elementi fondamentali sia della persona umana, che della società. Le difficili o precarie condizioni del lavoro rendono difficili e precarie le condizioni della società stessa, le condizioni di un vivere ordinato secondo le esigenze del bene comune. Nell’Enciclica Caritas in veritate - come ricordava Mons. Paglia - ho esortato a non lasciare di "perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti" (n. 32).

Vorrei ricordare anche il grave problema della sicurezza sul lavoro. So che più volte avete dovuto affrontare anche questa tragica realtà. Occorre mettere in campo ogni sforzo perché la catena delle morti e degli incidenti venga spezzata. E che dire poi della precarietà del lavoro, soprattutto quando riguarda il mondo giovanile? E’ un aspetto che non manca di creare angoscia in tante famiglie!

Il Vescovo accennava anche alla difficile situazione dell’industria chimica della vostra Città, come pure ai problemi nel settore siderurgico. Vi sono particolarmente vicino, mettendo nelle mani di Dio tutte le vostre ansie e preoccupazioni, e auspico che, nella logica della gratuità e della solidarietà, si possano superare questi momenti, affinché sia assicurato un lavoro sicuro, dignitoso e stabile.

Il lavoro, cari amici, aiuta ad essere più vicini a Dio e agli altri. Gesù stesso è stato lavoratore, anzi ha passato buona parte della sua vita terrena a Nazaret, nella bottega di Giuseppe. L’evangelista Matteo ricorda che la gente parlava di Gesù come del "figlio del falegname" (Mt 13,55) e Giovanni Paolo II a Terni parlò del "Vangelo del lavoro", affermando che era "scritto soprattutto dal fatto che il Figlio di Dio, diventando uomo, ha lavorato con le proprie mani. Anzi, il suo lavoro, che è stato un vero lavoro fisico, ha occupato la maggior parte della sua vita su questa terra, ed è così entrato nell’opera della redenzione dell’uomo e del mondo" (Discorso ai lavoratori, Terni, 19 marzo 1981). Già questo ci parla della dignità del lavoro, anzi della dignità specifica del lavoro umano che viene inserito nel mistero stesso della redenzione. E’ importante comprenderlo in questa prospettiva cristiana. Spesso, invece, viene visto solo come strumento di guadagno, se non addirittura, in varie situazioni nel mondo, come mezzo di sfruttamento e quindi di offesa alla stessa dignità della persona. Vorrei accennare pure al problema del lavoro nella Domenica. Purtroppo nelle nostre società il ritmo del consumo rischia di rubarci anche il senso della festa e della Domenica come giorno del Signore e della comunità.

Cari lavoratori e lavoratrici, cari amici tutti, vorrei terminare queste mie brevi parole dicendovi che la Chiesa sostiene, conforta, incoraggia ogni sforzo diretto a garantire a tutti un lavoro sicuro, dignitoso e stabile. Il Papa vi è vicino, è accanto alle vostre famiglie, ai vostri bambini, ai vostri giovani, ai vostri anziani e vi porta tutti nel cuore davanti a Dio. Il Signore benedica voi, il vostro lavoro e il vostro futuro. Grazie.


    Pope Benedict XVI smiles as he wears a working helmet bearing his name at the end of an audience with members of Terni's diocese in the Paul VI hall at the Vatican March 26, 2011. The helmet was presented to the pope as a gift by steel workers from the district city of Terni.Pope Benedict XVI reacts as he wears a working helmet bearing his name at the end of an audience with members of Terni's diocese in the Paul VI hall at the Vatican March 26, 2011. The helmet was present to the pope as a gift by steel workers from the district city of Terni.

                   Pope Benedict XVI reacts as he wears a working helmet bearing his name at the end of an audience with members of Terni's diocese in the Paul VI hall at the Vatican March 26, 2011. The helmet was presented to the pope as a gift by steel workers from the district city of Terni.

         Pope Benedict XVI holds a shirt bearing his name, presented to the pope as a gift, at the end of an audience with members of Terni's diocese in the Paul VI hall at the Vatican March 26, 2011.Pope Benedict XVI smiles as he wears a working helmet bearing his name at the end of an audience with members of Terni's diocese in the Paul VI hall at the Vatican March 26, 2011. The helmet was presented to the pope as a gift by steel workers from the district city of Terni.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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L'arcidiocesi di Córdoba sul fenomeno del gioco d'azzardo in Argentina

Non ci sono soluzioni magiche
per uscire dalla povertà


CÓRDOBA, 29. Deve essere fatta una chiara distinzione tra le attività ludiche, quali la ricreazione, lo sport e il tempo libero, e la dannosa influenza dei giochi d'azzardo, specialmente quelli offerti nei casinò. Questi ultimi, oltre a facilitare in generale la dipendenza patologica al gioco, "colpiscono soprattutto le famiglie più povere, le quali vedono in esso la soluzione magica ai loro problemi economici, e i giovani, i quali restano accalappiati dall'egoismo di un gioco essenzialmente individualista e che attenta contro la cultura del lavoro e contro la solidarietà".

Lo scrivono, in un comunicato, i membri della Pastorale sociale dell'arcidiocesi di Córdoba, in Argentina, che mettono in guardia i fedeli dalle gravi conseguenze legate all'abuso del gioco d'azzardo e all'utilizzo delle macchinette "mangiasoldi", fenomeni sempre più diffusi nel Paese sudamericano. Un tema d'attualità - si afferma - nel pieno della campagna elettorale (a ottobre in Argentina si svolgeranno le presidenziali), sul quale l'arcidiocesi di Córdoba, in consonanza con la Chiesa cattolica in Argentina, vuole intervenire "per dare una volta di più un apporto alla società e parlare del danno che il gioco d'azzardo e le macchinette mangiasoldi possono provocare nella vita dei cittadini e delle loro famiglie".

Nel documento, intitolato Construyamos una sociedad sana y digna, si ricordano le varie riflessioni sull'argomento già fatte dai singoli vescovi, che hanno segnalato con preoccupazione come in tutto il Paese si sia moltiplicata l'offerta di gioco d'azzardo (a livello sia privato sia pubblico), la quale può favorire atteggiamenti di dipendenza. "Notiamo - scrive la Pastorale sociale - come sono proliferati i casinò, le sale bingo, assieme all'enorme affare delle macchinette mangiasoldi, anche in prossimità dei quartieri più poveri. Inoltre sono aumentate le copiose offerte di scommesse nelle sale della lotteria. Allo stesso tempo, il fenomeno delle nuove tecnologie, come internet, fa emergere nuove e a volte più massive forme di gioco".

Per la Chiesa di Córdoba, è importante parlare senza eufemismi: "Il gioco d'azzardo è un affare che muove grandi quantità di denaro a beneficio di pochi e a detrimento di molti, specialmente dei più poveri". Lo Stato - si sottolinea nella nota - "deve garantire la protezione integrale della famiglia. Chi si appassiona al gioco può rischiare di perdere quello che appartiene anche al proprio coniuge e ai propri figli. Si tratta di un fatto che nuoce alla comunione familiare e porta spesso a discussioni, rimproveri e liti. E quando la situazione diventa incontrollabile, si manifestano i comportamenti di dipendenza". La ludopatia è "una malattia emozionale di natura progressiva", che ha una radice comune con altre dipendenze: "Chi soffre di questa patologia - è scritto nel documento - suole avere una bassa stima di se stesso".

Ma come in molte altre questioni che riguardano la società, la famiglia, i giovani e i più indigenti, la Pastorale sociale crede che "è attraverso l'educazione, fin dalla scuola, e in famiglia, e con l'esempio di chi governa, che si riuscirà a evitare la promozione di questo tipo di attività, che non hanno come finalità di accrescere l'aspetto ludico dell'uomo e della comunità, bensì di assicurare guadagni facili e senza rischi alle aziende che le favoriscono".

È inoltre fondamentale incoraggiare le attività sportive per i giovani e i bambini, la costruzione e le iniziative di centri comunitari nei quartieri, in modo che siano utilizzati come "meccanismi di sostegno e di aggregazione della gente" attraverso la musica, il teatro, il cinema e altre forme d'arte. Senza dimenticare la componente spirituale, con la partecipazione attiva e comunitaria negli oratori e nelle altre strutture religiose. Spazi che sono "più efficaci e sostenibili, per raggiungere l'obiettivo di dare dignità all'essere umano, dei più semplici e molte volte inoperanti divieti". L'arcidiocesi di Córdoba conclude il suo intervento sottolineando l'importanza di dare attenzione al bene comune, dovere di ogni cittadino e di ogni costruttore di una società più giusta e sana: "Non cerchiamo strade o risposte magiche alle sfide sociali della povertà e dell'esclusione; al contrario, sappiamo che con l'educazione e il lavoro si costruisce una società sana e degna".

Nel giugno scorso, con una nota, la Pastorale sociale si era rivolta alla cittadinanza, e ai candidati politici, per condividere alcune riflessioni legate all'anno elettorale in Argentina (e nel contesto del bicentenario della patria). La Chiesa di Córdoba era partita da tre constatazioni: la diminuzione della credibilità delle istituzioni pubbliche, l'aumento della sfiducia della gente e il disprezzo generalizzato della legalità. Sentimenti rintracciabili in ampi settori della popolazione, soprattutto fra i giovani, "nei quali cresce la delusione per la politica e particolarmente per la democrazia, poiché le promesse di una vita migliore e più giusta non si sono realizzate o si sono realizzate solo a metà". Esiste una scarsa coscienza del fatto che "la qualità della democrazia e la partecipazione politica sono frutti della formazione, che diventa realtà solamente quando i cittadini sono coscienti dei loro diritti fondamentali e dei loro corrispondenti doveri, assumendoseli".

La cittadinanza - ha affermato la Pastorale sociale - "è molto più di uno stato legale, è un modo di essere (di pensare, sentire e agire) protagonisti e responsabili", è una condizione che si conquista nel corso della vita, un processo possibile solo grazie all'educazione. Una condotta da cittadino, si conclude nel documento, "è incompatibile con l'individualismo, l'indifferenza politica, l'intolleranza ideologica, la mancanza di coscienza comunitaria, il conformismo".



(©L'Osservatore Romano 29-30 agosto 2011)

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Discorso del cardinale Carlo Caffarra


Educare alla vita con la formazione al lavoro


 

ROMA, sabato, 15 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato il 1 ottobre scorso dal cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, presso l'Istituto S. Cristina.

* * *

La domanda che un giovane fece a Gesù, narra il Vangelo, è stata: «che cosa devo fare per avere la vita eterna?».

Dicendo “vita eterna” noi oggi pensiamo subito alla vita dopo la morte. In realtà l’espressione non ha principalmente questo significato. 

“Vita eterna” significa vita che in ha se stessa un significato indistruttibile, poiché è una vita vera: è una vita buona.

Sapere che cosa significa vita buona è – lo vedremo fra poco – fondamentale per ogni educatore. Dedicherò dunque il primo punto della mia riflessione a questo tema.

1. Forse la definizione più profonda di “vita buona” l’ha data S. Tommaso d’Aquino quando la chiamò la «pienezza dell’essere». Cioè: la realizzazione perfetta della propria umanità, la sua fioritura completa.

Così dicendo, così definendo la “vita buona”, abbiamo implicitamente affermato che essa è raggiunta attraverso un itinerario. Ha [la vita buona] la natura stessa di una meta che si raggiunge dopo un vero e proprio cammino.

E qui si pone la prima domanda: in questo itinerario verso la pienezza del suo essere, l’uomo ha delle “indicazioni di marcia”, dei “vettori, segnali stradali”? oppure è totalmente sguarnito e consegnato ad una totale ignoranza circa la meta finale?

L’uomo ha in se stesso dei vettori, dei segnali di marcia costituiti dalle inclinazioni naturali proprie della persona umana. Faccio un solo esempio. L’uomo è naturalmente inclinato a vivere in società. Pensare ad una “vita buona” in una “società cattiva” è come pensare che un … pesce possa vivere fuori acqua. 

Mi fermo ora un momento su questa realtà delle inclinazioni naturali, rimanendo sempre nell’esempio fatto.

Anche gli animali vivono in branco. Ma non è difficile capire l’abissale diversità fra il “branco animale” e la “società umana”. La scriminante fra le due realtà è costituita dal fatto che nel primo è l’utilità privata a tenere uniti, nella seconda è la bontà insita nella correlazione sociale come tale, nella condivisione del bene comune.

L’esempio ci porta ad una conclusione assai importante. Non un qualsiasi modo di seguire e realizzare le proprie inclinazioni naturali conduce alla pienezza della persona, alla realizzazione di una vita buona. Ma solo il modo veramente umano. Prestate bene attenzione all’avverbio veramente. Esiste una realizzazione vera ed una realizzazione falsa delle proprie inclinazioni naturali, e quindi ultimamente di se stessi. In altre parole: se parliamo di “vita buona” possiamo fare un discorso vero o un discorso falso. Esiste una verità circa ciò che è bene e ciò che è male per l’uomo. E l’organo di questa verità non può essere che la nostra ragione.

Essa guida le nostre inclinazioni naturali. Non dall’esterno, imponendosi o aggiungendosi ad esse. Ma dall’interno. Per ritornare all’esempio. L’inclinazione a vivere in società è già orientata a vivere in una società giusta; è già impregnata della luce [Tommaso dice: dell’ordinatio rationis] della ragione. Non è un’inclinazione cieca.

Aristotele dice una cosa molto vera quando dice che la guida della nostra ragione nei confronti delle nostra inclinazioni non è dispotica, ma democratica. Le inclinazioni vengono gradualmente razionalizzate, cioè impregnate della luce della verità. Questa razionalizzazione sono le virtù. La virtù è l’abituale disposizione delle nostre inclinazioni a realizzarsi secondo ragione, cioè nella verità.

Sono giunto alla fine del primo punto della mia riflessione. Per chiarezza lo sintetizzo nelle seguenti quattro proposizioni.

a) La vita buona è la realizzazione perfetta della propria umanità. Questa realizzazione si chiama felicità.

b) La vita buona è una meta verso cui siamo incamminati, guidati, orientati dalle nostre inclinazioni naturali in quanto sono abitate dalla luce della ragione.

c) Esiste quindi una vita buona vera e una vita buona falsa [cioè apparente]; è compito della ragione dirci, farci conoscere la verità/falsità circa la vita buona. Più semplicemente: la verità circa ciò che è bene e ciò che è male.

d) Le inclinazioni guidate abitualmente dalla ragione sono proprie della persona virtuosa; le inclinazioni non guidate dalla ragione sono proprie della persona viziosa. E quindi: la persona virtuosa vive una vita buona, una vita felice; la persona viziosa vive una cattiva vita, una vita infelice.

2. Noi però non vogliamo parlare di una vita buona in genere, ma della vita buona «del Vangelo». Anche il Vangelo fa una proposta di vita buona. Quale? Dedichiamo il secondo punto della nostra riflessione a costruire la risposta a questa domanda.

La risposta definitiva, ultima, che Gesù dà al giovane è: «seguimi». La vita buona del Vangelo è la sequela di Gesù. Riprendendo la formulazione precedente, potremmo dire: la perfetta realizzazione della propria umanità, e dunque la nostra felicità, consiste nella sequela di Gesù. La vita buona del Vangelo è costituita dal rapporto che la fede istituisce con la persona di Gesù.

Ovviamente non mi è possibile ora argomentare e riflettere come si dovrebbe su questa coincidenza, vita buona – sequela di Gesù. Mi limito alle seguenti tre riflessioni, tenendo ben presente la ragione del nostro incontro.

La prima. La proposta cristiana di vita buona riguarda l’uomo considerato nelle sue inclinazioni naturali, l’uomo cioè in cerca della sua beatitudine piena. Non si aggiunge estrinsecamente, ma la proposta cristiana si offre come compimento al contempo imprevedibile e perfetto delle naturali inclinazioni dell’uomo. Possiamo spiegarci meglio coll’esempio che ha accompagnato la nostra relazione.

L’inclinazione dell’uomo a vivere in società si realizza all’interno della proposta cristiana nel mistero di comunione interpersonale che è la Chiesa.

La seconda. Come dicevo nel primo punto della mia riflessione, esiste una verità circa la vita buona, circa il modo di realizzare se stessi. Una verità che è scoperta dalla ragione. Solo l’agire secondo ragione conduce a vivere una vita buona.

È però esperienza quotidiana delle difficoltà che incontra la ragione nella sua ricerca della verità circa la vita buona, degli errori in cui spesso essa cade. Ora «senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori – talora nemmeno i significati – con cui giudicarla e orientarla» [Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate 9, 2].

La proposta cristiana, in quanto divinamente rivelata, è un aiuto dato alla ragione anche in ambiti dove per sé essa sarebbe capace di scoprire il vero circa la vita buona.

Se ritorniamo all’esempio più volte fatto, un’espressione eminente di questa rilevanza veritativa della proposta cristiana per quanto riguarda la società, è la Dottrina sociale della Chiesa.

La terza. Un’altra esperienza quotidiana accompagna la nostra ricerca di una vita buona, di una vita felice: l’esperienza del male. «Vedo il bene e lo approvo, e poi faccio il male». In questo verso di Ovidio ciascuno sicuramente ritrova se stesso.

La verità circa il bene conosciuta dalla ragione è disattesa dalla libertà. Affermata nel giudizio della ragione è negata dalla scelta della libertà. È questa spaccatura che accade all’interno dell’uomo, che costituisce la sua vera tragedia, il suo male più profondo.

La proposta cristiana si esibisce come proposta di redenzione dell’uomo, di liberazione della libertà dalla sua radicale incapacità di fare la verità e costruire una vita buona.

Concludo con un pensiero che il beato Giovanni Paolo II amava spesso ripetere, e che può riassumere tutto questo secondo punto della mia riflessione. In Cristo l’uomo scopre la verità intera di se stesso, la verità intera circa la vita buona, e riceve la forza di realizzarla.

3. La nostra riflessione tuttavia ha uno scopo preciso: l’educazione. Non ci troviamo qui riuniti per riflettere sulla vita buona [= dottrina etica], e sulla vita buona del Vangelo [= teologia morale]. Siamo qui per riflettere sulla educazione alla vita buona del Vangelo. E più precisamente mediante la formazione al lavoro. Consentitemi dunque di dedicare in terzo ed ultimo punto della mia riflessione a questo.

Ho già avuto modo anche recentemente di riflettere a lungo su questo tema [cfr. lezione tenuta agli insegnanti il 2 settembre u.s.]. Dovrò essere breve.

Educare alla vita buona del Vangelo significa proporre la “forma cristiana” della realizzazione della propria vita. Più brevemente ed usando una formulazione paolina: proporre di vivere in Cristo.

Non è dunque una proposta educativa di complemento ad altre proposte educative, ma una proposta che investe tutta l’esistenza poiché intercetta tutte le naturali inclinazioni dell’uomo.

Non è difficile capire che il primo soggetto responsabile di questa impresa educativa è la Chiesa. Ma se due genitori, nella loro originaria responsabilità educativa, introducono il loro figlio nell’universo della fede cristiana, essi condividono con la Chiesa la responsabilità di questa. Ne sono i primi ed imprescindibili attori.

Ma, come è noto, interviene – deve intervenire – anche la scuola. Essa educa in un modo suo proprio: istruendo e, nel caso vostro, formando al lavoro.

Su questo chiamiamolo “territorio dell’educazione” abitato dalla Chiesa, dalla famiglia, dalla scuola e soprattutto dalla persona che chiede di e deve essere educata, si è abbattuto un vero tsunami che ha in un certo senso desertificato tutto il territorio; è venuto ad abitare un ospite assai inquietante. Possiamo denotarlo nel modo seguente: la separazione dell’io dalla verità [dalla libertà della verità].

Perché questa separazione è stata come uno tsunami? Perché non ha reso difficile o più difficile l’educazione [lo è sempre stata più o meno]. L’ha resa impossibile.

La favola esopiana della volpe e dell’uva è poi paradigmatica. Resa impossibile, si è finito col teorizzare che è bene non educare.

Devo purtroppo essere molto schematico e quindi eccessivamente assertorio. Me ne scuso: è la tirannia del tempo.

La separazione di cui sopra, nel contesto del discorso fatto nel primo punto, denota la condizione di una cultura che nega l’esistenza di una verità circa la vita buona, una verità che sia universalmente argomentabile e quindi condivisibile. La questione della vita beata ha risposte che non sono universalmente valide, ma valgono solo per il singolo che le ha formulate.

Perché questa condizione ha condotto a rendere impossibile l’atto educativo? C’è un testo, al riguardo, della Caritas in veritate che ci dà la risposta. «La verità, …, è logos che crea dia-logos e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nelle valutazioni del valore e della sostanza delle cose». [4].

Se non esiste una verità circa il bene, capace di farmi uscire dalle mie opinioni e sensazioni soggettive, non ho alcuna possibilità di proporre nel dialogo educativo la proposta di vita buona ritenuta vera, ma delle due l’una. O non propongo nulla [mi limito ad istruire e fornire regole] o impongo colla forza dell’autoritarismo. 

Poiché la seconda è senz’altro da escludere, resta la prima: non si può educare; anzi non si deve educare. È la condizione oggi non infrequente. 

La nostra presenza, la presenza della scuola ha oggi il grave dovere di vigilare, come sentinelle, per difendere i nostri giovani dalla separazione nel loro io dalla verità. 

La scuola del FOMAL, così come l’istruzione professionale, ha un compito unico nella situazione attuale: mostrare come formando al lavoro, come comunicando un Know how si educhi la persona.

Concludo. L’impegno della Chiesa nell’educazione, l’impegno delle sue scuole, sono chiamati ad esprimere la forza liberatrice della verità, mediante una vera educazione alla vita buona del Vangelo. È una verità al contempo e della ragione e della fede, nella distinzione e insieme nella sinergia dei due ambiti cognitivi. Senza una verità circa la vita buona non c’è educazione; senza educazione non c’è futuro.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/11/2011 16:50
 
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Il Papa ai partecipanti alla conferenza internazionale sulle staminali

Niente giustifica la distruzione
anche di una sola vita umana

 

"La distruzione perfino di una sola vita umana non si può mai giustificare nei termini del beneficio che ne potrebbe presumibilmente conseguire per un'altra".

Lo ha detto il Papa durante l'udienza di questa mattina, sabato 12 novembre, ai partecipanti alla conferenza internazionale sulle cellule staminali, promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura. Sottolineato che la ricerca scientifica offre una "opportunità unica per esplorare la meraviglia dell'universo" Benedetto XVI ha invitato a riflettere sulla natura divina dell'uomo, creato "a immagine e somiglianza di Dio".

Ciò significa, ha detto, che "ci sono dimensioni dell'esistenza umana che stanno al di là di ciò che le scienze naturali sono in grado di determinare. Se questi limiti vengono superati, si corre il grave rischio che la dignità unica e l'inviolabilità della vita umana possano essere subordinate a considerazioni meramente utilitaristiche".

Quanto al tema della conferenza il Papa ha espresso apprezzamento per la ricerca sulle staminali adulte o derivate dal cordone ombelicale e ha ribadito la necessità di garantire che i progressi medici non vengano mai compiuti a un prezzo umano inaccettabile.



(©L'Osservatore Romano 13 novembre 2011)

[SM=g1740766] e così dovrebbero rispondere TUTTI I VESCOVI al Magistero del Pontefice:


Il Laboratorio dei principi non negoziabili


di Stefano Fontana
03-12-2011

A Trieste nasce qualcosa di nuovo nel campo della formazione dei cattolici all’impegno politico. L’arcivescovo Giampaolo Crepaldi ha annunciato oggi la prossima esperienza del “Laboratorio Trieste”. Lo ha fatto stamattina durante il Convegno di presentazione del Terzo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo curato dall’Osservatorio cardinale Van Thuân di cui mons. Crepaldi è presidente. Lo ha fatto in un salone gremito dello splendido Palazzo Diana, recentemente restaurato.

«Se la Chiesa si interessa di formare i propri fedeli ad una testimonianza di verità e coerenza nella politica – ha detto mons. Crepaldi - lo fa perché la sua missione è ordinare a Dio tramite i fedeli laici le cose temporali. Nel rispetto della loro legittima autonomia ma anche nel riconoscimento dello spazio che è dovuto a Dio nel mondo, senza del quale anche tale loro legittima autonomia viene progressivamente meno». «Ecco perché la Diocesi – ha proseguito l’arcivescovo - ha pensato ad un progetto, che cerchi di superare i limiti di progetti analoghi realizzati in questi ultimi anni, che sia un progetto organico, vale a dire inserito organicamente nella vita della Chiesa locale e non qualcosa di a se stante, che operi a tre livelli complementari: il livello della Scuola di formazione all’impegno sociale e politico; il livello dei Tavoli di confronto tra cattolici impegnati in politica e ilo livello dei Tavoli di confronto tra cattolici e laici». «Il progetto si avvarrà di un Testo base – ha concluso - che ho già preparato e che spiega il senso, le modalità di svolgimento e le finalità del Laboratorio Trieste. Questi elementi caratterizzeranno il Laboratorio di Trieste come un servizio importante e innovativo della Chiesa cattolica di Trieste per il bene della città e a gloria di Dio».

Sono evidenti, da queste parole dell’Arcivescovo, le tre principali novità del Laboratorio Trieste. La prima è la sua organicità. Esso consta di tre elementi – la Scuola di formazione sociale e politica, gli incontri di confronto tra cattolici impegnati in politica e gli incontri tra cattolici e laici – coordinati tra loro dentro un progetto unitario. Singole esperienze sono state fatte anche altrove. In molte diocesi c’è la Scuola, in altre sono stati tentati incontri tra cattolici e tra cattolici e laici … è però una novità il fatto di pensare le tre cose insieme, in modo che si sostengano reciprocamente. Naturalmente con ciò cambia anche la fisionomia di ognuno dei tre momenti. La Scuola, per esempio, dovrà essere di Dottrina sociale della Chiesa e non di come si fa una campagna elettorale o come è fatto il bilancio del comune. [SM=g1740721]
Dovrà essere una scuola che prepara dei fedeli laici ad un impegno alto, in collegamento con la comunità cristiana e dentro una prospettiva di fede e di dottrina cattolica. Non potrà essere una Scuola tecnica, ma formare alla Dottrina sociale della Chiesa dentro la più vasta area della dottrina cristiana e dentro la vita della fede ecclesiale . [SM=g1740721]

La seconda novità è che ci sia un Testo base scritto dal vescovo che spiega il progetto nei suoi fondamenti, nella sua ispirazione, nei suoi metodi e nei suoi fini. Ciò impegna autoritativamente il vescovo ed impegna anche i partecipanti a lavorare dentro la Chiesa e non come battitori liberi, nel solco della Tradizione e non a servizio delle proprie opinioni. Il Testo base descrive la cornice che tutti devono accettare perché il Laboratorio possa essere una esperienza cattolica. Questo evita ogni forma di orizzontalismo: il Testo base spiega molto bene che lo scopo dell’impegno politico dei cattolici è ordinare a Dio le cose temporali.

Qui emerge anche la terza principale novità. Spesso analoghe esperienze sono partite dall’esistente ed anno raccolto attorno ad un tavolo o ad una Scuola persone espressive del cosiddetto “mondo cattolico”. Questo mondo cattolico è oggi però piuttosto frammentato e in esso vi si parlano linguaggi molto vari. Basti pensare che sui famosi principi non negoziabili di Benedetto XVI esistono molte posizioni diverse. Urge allora definire prima (sottolineo l’avverbio prima) alcune premesse oggettivamente connesse con la fede cattolica e con gli insegnamenti della Chiesa – oltre che della retta ragione – che i partecipanti al Laboratorio accettano, non per consenso soggettivo ma perché senza quelle premesse non c’è la forma cattolica dell’iniziativa. Questa novità rovescia quanto si fa comunemente: di solito, infatti, si pensa che l’unità debba essere lo scopo finale di esperienze di questo tipo. A Trieste invece si pensa che debba essere la premessa iniziale, altrimenti non si può parlare un linguaggio comune.

Queste premesse gettano poi una luce anche sui momenti del dialogo con i laici, perché senza sapere chi si è risulta molto difficile dialogare. Le novità del Laboratorio Trieste sono anche altre. Non ci resta, per il momento, che attendere il Testo base per comprendere tutta la portata di questo Laboratorio e poi vederne la pratica attuazione. Penso che sarà qualcosa di molto interessante.


[SM=g1740722]

[Modificato da Caterina63 03/12/2011 15:31]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il Papa: Per il Cristiano amare l’altro non è semplice filantropia, ma è espressione dell’amore di Dio e deve fondarsi su un vero amore a Dio. Solo così potrà far sperimentare a chi incontra la tenerezza provvidente del Padre celeste e portare un raggio di speranza anche nelle situazioni buie. Anche nel mondo dell’economia e del lavoro per vivere e portare l’amore e la solidarietà è necessario attingere alla sorgente divina attraverso un rapporto intenso con Dio, un ascolto costante della sua Parola, un’esistenza nutrita dall’Eucaristia

IL PAPA E LA CRISI ECONOMICA: LO SPECIALE DEL BLOG

Vedi anche:

Crisi, card. Bertone: coniugare finanza ed etica, valorizzare le donne (Izzo)

Mercato mai senza solidarietà. Benedetto XVI alle cooperative cattoliche e alle banche di credito cooperativo richiama l’ispirazione cristiana (O.R.)

Il Papa: L'economia e il mercato non siano mai disgiunti dalla solidarietà (TMNews)

Il Papa: “L’economia non sia disgiunta dalla solidarietà” (Vatican Insider)

Il Papa: un grazie alle banche cooperative cattoliche per il sostegno all'uomo (Ambrogetti)

Crisi, il Papa: economia e mercato non siano disgiunti dalla solidarietà. Cercare equilibrio tra diritti e bene comune (Izzo)

Benedetto XVI: c’è bisogno di una finanza trasparente e di un’economia mai separata dalla solidarietà

Il Papa: Economia e mercato non siano mai separati dalla solidarieta'

UDIENZA ALLE DELEGAZIONI DELLA CONFEDERAZIONE DELLE COOPERATIVE ITALIANE E DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DELLE BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO, 10.12.2011

Alle ore 12 di oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza le Delegazioni della Confederazione delle Cooperative italiane e della Federazione italiana delle Banche di Credito Cooperativo.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’Udienza:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliere e di salutare ciascuno di voi, qui convenuti in rappresentanza della Confederazione delle Cooperative Italiane e della Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo. Saluto i rispettivi Presidenti, Luigi Marino e Alessandro Azzi, ringraziando per le parole rivoltemi a nome di tutti. Saluto pure il vostro Assistente ecclesiastico, Mons. Adriano Vincenzi, i dirigenti e tutti voi qui convenuti.

E’ nota l’importanza della cooperazione cattolica in Italia, sorta a seguito dell’Enciclica del Papa Leone XIII Rerum novarum, di cui quest’anno si celebra il 120° anniversario di promulgazione. Essa favorì la feconda presenza dei cattolici nella società italiana, mediante la promozione di enti cooperativi e mutualistici, lo sviluppo delle imprese sociali e tante altre opere di interesse pubblico, caratterizzate da forme di partecipazione e di autogestione. Tale attività è sempre stata finalizzata al sostegno materiale della popolazione, all’attenzione costante alle famiglie, ispirandosi al Magistero della Chiesa.

Ciò che ha spinto gli aderenti ad associarsi in organizzazioni di tipo cooperativistico, spesso con l’apporto determinante dei sacerdoti, è stata non solo un’esigenza di ordine economico, ma anche il desiderio di vivere un’esperienza di unità e di solidarietà, che portasse al superamento delle differenze economiche e dei conflitti sociali tra i diversi gruppi.

Proprio nell’impegno di comporre armonicamente la dimensione individuale e quella comunitaria risiede il fulcro dell’esperienza cooperativistica. Essa è espressione concreta della complementarietà e della sussidiarietà che la Dottrina sociale della Chiesa da sempre promuove fra la persona e lo Stato; è l’equilibrio fra la tutela dei diritti del singolo e la promozione del bene comune, nello sforzo di sviluppare un’economia locale che risponda sempre meglio alle esigenze della collettività.

Ugualmente, anche sul piano etico, essa si caratterizza per una marcata sensibilità solidale, pur nel rispetto della giusta autonomia del singolo. Tale sensibilità è importante perché favorisce la valorizzazione dei legami tra realtà cooperative e territorio per un rilancio dell’economia reale, che abbia come motore l’autentico sviluppo della persona umana e sappia coniugare risultati positivi con un agire sempre eticamente corretto. Non dobbiamo dimenticare, infatti, come ricordavo nell’Enciclica Caritas in veritate, che anche nel campo dell’economia e della finanza «retta intenzione, trasparenza e ricerca dei buoni risultati sono compatibili e non devono mai essere disgiunti. Se l’amore è intelligente, sa trovare anche i modi per operare secondo una previdente e giusta convenienza, come indicano, in maniera significativa, molte esperienze nel campo della cooperazione di credito» (n. 65).

Le vostre benemerite istituzioni sono presenti da molto tempo nel tessuto sociale italiano e rimangono pienamente attuali; esse portano in sé ideali evangelici e una vitalità che le rendono ancora oggi capaci di offrire un valido contributo all’intera comunità, sia dal punto di vista sociale, sia nel campo dell’evangelizzazione. In una stagione di grandi cambiamenti, di persistente precarietà economica, di difficoltà nel mondo del lavoro, la Chiesa sente di dover annunciare con nuovo vigore il Messaggio di Cristo, con la forza di umanizzazione e la carica di speranza per il futuro che contiene. E voi, cari amici, dovete essere consapevoli che le cooperative cattoliche hanno un ruolo importante da svolgere in questo campo.

Vorrei richiamare molto brevemente alcuni elementi dove la vostra azione è preziosa. Anzitutto siete chiamati ad offrire il vostro contributo, con la specifica professionalità ed il tenace impegno, affinché l’economia e il mercato non siano mai disgiunti dalla solidarietà. Inoltre, siete chiamati a promuovere la cultura della vita e della famiglia e a favorire la formazione di nuove famiglie che possano contare su un lavoro dignitoso e rispettoso del creato che Dio ha affidato alla nostra cura responsabile. Sappiate valorizzare sempre l’uomo nella sua interezza, al di là di ogni differenza di razza, di lingua o di appartenenza religiosa, prestando attenzione ai suoi reali bisogni, ma anche alla sua capacità di iniziativa. Particolarmente importante, poi, è ricordare quello che caratterizza le cooperative cattoliche: l’ispirazione cristiana, che deve costantemente orientarle. Rimanete, quindi, fedeli al Vangelo e all’insegnamento della Chiesa: fa parte della vostra stessa identità; tenete presenti e favorite le varie iniziative di sperimentazione che attingono dai contenuti del Magistero sociale della Chiesa, come nel caso di consorzi sociali di sviluppo, di esperienze di microcredito e di un’economia animata dalla logica della comunione e della fraternità.

Nel Vangelo, il richiamo all’amore per il prossimo è strettamente legato al comando di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (cfr Mc 12,29-31).

Per il cristiano quindi amare l’altro non è semplice filantropia, ma è espressione dell’amore di Dio e deve fondarsi su un vero amore a Dio. Solo così potrà far sperimentare a chi incontra la tenerezza provvidente del Padre celeste e portare un raggio di speranza anche nelle situazioni buie. Anche nel mondo dell’economia e del lavoro per vivere e portare l’amore e la solidarietà è necessario attingere alla sorgente divina attraverso un rapporto intenso con Dio, un ascolto costante della sua Parola, un’esistenza nutrita dall’Eucaristia.

Non dimenticate l’importanza di far crescere questa dimensione spirituale nel vostro impegno di risposta alle odierne sfide e urgenze sociali, per continuare ad operare nella logica dell’economia della gratuità, della responsabilità, per promuovere un consumo responsabile e sobrio (cfr Caritas in veritate, 66).

Cari amici, ho offerto solo qualche spunto di riflessione, ma vorrei soprattutto incoraggiare la vostra opera così valida e importante. La Vergine Maria vi protegga e vi assista. Per voi qui presenti e per tutti gli aderenti alla Confederazione delle Cooperative Italiane e della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo formulo l’auspicio di proseguire con serenità e successo il vostro impegno nel sociale e, mentre assicuro il mio ricordo nella preghiera, di cuore benedico voi e i vostri cari.

 Grazie.


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Fraternamente CaterinaLD

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PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL PAPA PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Città del Vaticano, 14 dicembre 2012 (VIS). Questa mattina presso la Sala Stampa della Santa Sede si è tenuta la conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la XLVI Giornata Mondiale della Pace che si celebra il 1° gennaio, sul tema quest'anno: "Beati gli operatori di pace". Alla conferenza stampa sono intervenuti il Cardinale Peter K.A. Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ed il Monsignor Mario Toso, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.

Il Cardinale ha rilevato, come primo punto, "la concretezza del Messaggio". "L'espressione evangelica del titolo può far pensare ad un Messaggio di carattere piuttosto spirituale, per così dire, teorico. Invece l'argomentazione del Papa è estremamente aderente alla realtà. Constata un fatto, l'esistenza, in mezzo a conflitti, tensioni e violenze, dell'esistenza di molteplici operatori di pace; nella spiegazione della beatitudine evangelica sottolinea come si tratti di una promessa che è certezza, in quanto proviene da Dio, non legata al futuro, ma che già si realizza in questa vita; indica chiaramente cosa devono fare gli operatori di pace: promuovere la vita in pienezza, nella sua integralità, quindi in tutte le dimensioni della persona umana; richiama l'attenzione sui problemi più urgenti, la retta visione del matrimonio, il diritto all'obiezione di coscienza, la libertà religiosa (...), la questione del lavoro e della disoccupazione, la crisi alimentare, la crisi finanziaria, il ruolo della famiglia nell'educazione".

In un secondo punto il Cardinale Turkson ha sottolineato la "positività del Messaggio" che "oltre ad aprire alla speranza, riflette l'amore alla vita e alla vita in pienezza, per cui accanto ai temi della difesa della vita, il Papa mette in luce quelli legati alla giustizia, necessari per una vita degna, in pienezza, cioè nella quale tutti abbiano la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità".

Un terzo punto è "l'aspetto educativo-pedagogico del Messaggio. "È questo un aspetto che sta sempre a cuore alla Chiesa la quale ha fra i suoi compiti quello di 'formare le coscienze'. Sotto questo aspetto, forte è il richiamo del Pontefice alla responsabilità della varie istanze educative chiamate a formare classi dirigenti adeguate e studiare modelli economici e finanziari nuovi. Ciò è necessario per superare la fase particolarmente grave che sta vivendo il mondo globalizzato, una fase di profonda cristi spirituale e morale in cui sanguinosi sono ancora i conflitti e le molteplici minacce di pace".

"Il Messaggio di Benedetto XVI - ha affermato Monsignor Toso - è invito ad essere operatori di pace a trecentosessanta gradi, tutelando ed implementando tutti i diritti e doveri dell'uomo e delle comunità".

"Sintomatico di questo modo di sentire e di vedere del Pontefice - ha continuato Monsignor Toso - è il passaggio in cui egli, in un contesto di recessione economica - provocata anche dalla crisi finanziaria iniziata nel 2007 -, polemizzando con le ideologia del liberismo radicale e della tecnocrazia secondo le quali sarebbe possibile lo sviluppo senza il progresso sociale e democratico, invita a non erodere i diritti sociali, tra i quali soprattutto il diritto al lavoro. Questo è un diritto fondamentale, non marginale. Senza la difesa e la promozione dei diritti sociali - lo insegnavano già liberali, comunisti, socialisti e cattolici nel secolo scorso - non si realizzano adeguatamente i diritti civili e politici. La stessa democrazia sostanziale, sociale e partecipativa sarebbe messa a repentaglio".

In breve, il Messaggio è per la crescita di una famiglia umana che non sia divisa tra gruppi e popoli a favore della vita e gruppi e popoli che militano, invece, per la pace, senza tuttavia un'uguale 'passione' per la difesa della vita umana, dal suo sbocciare al suo tramonto", ha concluso il Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace".



MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA

XLVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 

1° GENNAIO 2013

 

BEATI GLI OPERATORI DI PACE

 

1. Ogni anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo migliore. In tale prospettiva, prego Dio, Padre dell’umanità, di concederci la concordia e la pace, perché possano compiersi per tutti le aspirazioni di una vita felice e prospera.

A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, che ha consentito di rafforzare la missione della Chiesa nel mondo, rincuora constatare che i cristiani, quale Popolo di Dio in comunione con Lui e in cammino tra gli uomini, si impegnano nella storia condividendo gioie e speranze, tristezze ed angosce [1], annunciando la salvezza di Cristo e promuovendo la pace per tutti.

In effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.

Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini.

E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio.

Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9).

La beatitudine evangelica

2. Le beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt 5,3-12 e Lc 6,20-23), sono promesse. Nella tradizione biblica, infatti, quello della beatitudine è un genere letterario che porta sempre con sé una buona notizia, ossia un vangelo, che culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non sono solo raccomandazioni morali, la cui osservanza prevede a tempo debito – tempo situato di solito nell’altra vita – una ricompensa, ossia una situazione di futura felicità. La beatitudine consiste, piuttosto, nell’adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell’amore. Coloro che si affidano a Dio e alle sue promesse appaiono spesso agli occhi del mondo ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene, Gesù dichiara ad essi che non solo nell’altra vita, ma già in questa scopriranno di essere fi gli di Dio, e che da sempre e per sempre Dio è del tutto solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché Egli è dalla parte di coloro che s’impegnano per la verità, la giustizia e l’amore. Gesù, rivelazione dell’amore del Padre, non esita ad offrirsi nel sacrificio di se stesso. Quando si accoglie Gesù Cristo, Uomo-Dio, si vive l’esperienza gioiosa di un dono immenso: la condivisione della vita stessa di Dio, cioè la vita della grazia, pegno di un’esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in particolare, ci dona la pace vera che nasce dall’incontro fiducioso dell’uomo con Dio.

La beatitudine di Gesù dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo. In effetti, la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza. È frutto del dono reciproco, di un mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli altri. L’etica della pace è etica della comunione e della condivisione. È indispensabile, allora, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l’educazione sono centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e sull’efficienza. Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza in termini razionali e morali, poggiando su un fondamento la cui misura non è creata dall’uomo, bensì da Dio. « Il Signore darà potenza al suo popolo, benedirà il suo popolo con la pace », ricorda il Salmo 29 (v. 11).

La pace: dono di Dio e opera dell’uomo

3. La pace concerne l’integrità della persona umana ed implica il coinvolgimento di tutto l’uomo. È pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. È pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato. Comporta principalmente, come scrisse il beato Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris, di cui tra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo anniversario, la costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e sulla giustizia [2]. La negazione di ciò che costituisce la vera natura dell’essere umano, nelle sue dimensioni essenziali, nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e il bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la costruzione della pace. Senza la verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo cuore, la libertà e l’amore sviliscono, la giustizia perde il fondamento del suo esercizio.

Per diventare autentici operatori di pace sono fondamentali l’attenzione alla dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre misericordioso, mediante il quale si implora la redenzione conquistataci dal suo Figlio Unigenito. Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste.

La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha insegnato l’Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un « noi » comunitario, implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri. La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare [3].

La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la redenzione da Lui operata, è entrato nella storia facendo sorgere una nuova creazione e una nuova alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-34), dandoci la possibilità di avere « un cuore nuovo » e « uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26).

Proprio per questo, la Chiesa è convinta che vi sia l’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra pace, la nostra giustizia, la nostra riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor 5,18). L’operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell’altro, il bene pieno dell’anima e del corpo, oggi e domani.

Da questo insegnamento si può evincere che ogni persona e ogni comunità – religiosa, civile, educativa e culturale –, è chiamata ad operare la pace. La pace è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie ed intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace.

Operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità

4. Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita.

Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita.

Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.

Questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace.

Perciò, è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia.

Tra i diritti umani basilari, anche per la vita pacifica dei popoli, vi è quello dei singoli e delle comunità alla libertà religiosa. In questo momento storico, diventa sempre più importante che tale diritto sia promosso non solo dal punto di vista negativo, come libertà da – ad esempio, da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione –, ma anche dal punto di vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di: ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente indossano i segni identitari della propria religione.

L’operatore di pace deve anche tener presente che, presso porzioni crescenti dell’opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi diritti e doveri sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici.

Tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati. Il lavoro viene considerato così una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari. A tale proposito, ribadisco che la dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono che si continui « a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti » [4]. In vista della realizzazione di questo ambizioso obiettivo è precondizione una rinnovata considerazione del lavoro, basata su principi etici e valori spirituali, che ne irrobustisca la concezione come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società. A un tale bene corrispondono un dovere e un diritto che esigono coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti.

Costruire il bene della pace mediante un nuovo modello di sviluppo e di economia

5. Da più parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia. Sia uno sviluppo integrale, solidale e sostenibile, sia il bene comune esigono una corretta scala di beni-valori, che è possibile strutturare avendo Dio come riferimento ultimo. Non è sufficiente avere a disposizione molti mezzi e molte opportunità di scelta, pur apprezzabili. Tanto i molteplici beni funzionali allo sviluppo, quanto le opportunità di scelta devono essere usati secondo la prospettiva di una vita buona, di una condotta retta che riconosca il primato della dimensione spirituale e l’appello alla realizzazione del bene comune. In caso contrario, essi perdono la loro giusta valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli.

Per uscire dall’attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per effetto una crescita delle disuguaglianze – sono necessarie persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un nuovo modello economico. Quello prevalso negli ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività. In un’altra prospettiva, invece, il vero e duraturo successo lo si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza, poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio di gratuità come espressione di fraternità e della logica del dono [5]. Concretamente, nell’attività economica l’operatore di pace si configura come colui che instaura con i collaboratori e i colleghi, con i committenti e gli utenti, rapporti di lealtà e di reciprocità. Egli esercita l’attività economica per il bene comune, vive il suo impegno come qualcosa che va al di là del proprio interesse, a beneficio delle generazioni presenti e future. Si trova così a lavorare non solo per sé, ma anche per dare agli altri un futuro e un lavoro dignitoso.

Nell’ambito economico, sono richieste, specialmente da parte degli Stati, politiche di sviluppo industriale ed agricolo che abbiano cura del progresso sociale e dell’universalizzazione di uno Stato di diritto e democratico. È poi fondamentale ed imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri. La sollecitudine dei molteplici operatori di pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza rispetto a quanto si è fatto sino ad oggi – a considerare la crisi alimentare, ben più grave di quella finanziaria. Il tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari è tornato ad essere centrale nell’agenda politica internazionale, a causa di crisi connesse, tra l’altro, alle oscillazioni repentine dei prezzi delle materie prime agricole, a comportamenti irresponsabili da parte di taluni operatori economici e a un insufficiente controllo da parte dei Governi e della Comunità internazionale. Per fronteggiare tale crisi, gli operatori di pace sono chiamati a operare insieme in spirito di solidarietà, dal livello locale a quello internazionale, con l’obiettivo di mettere gli agricoltori, in particolare nelle piccole realtà rurali, in condizione di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico.

Educazione per una cultura di pace: il ruolo della famiglia e delle istituzioni

6. Desidero ribadire con forza che i molteplici operatori di pace sono chiamati a coltivare la passione per il bene comune della famiglia e per la giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida educazione sociale.

Nessuno può ignorare o sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia, cellula base della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico, economico e politico. Essa ha una naturale vocazione a promuovere la vita: accompagna le persone nella loro crescita e le sollecita al mutuo potenziamento mediante la cura vicendevole. In specie, la famiglia cristiana reca in sé il germinale progetto dell’educazione delle persone secondo la misura dell’amore divino. La famiglia è uno dei soggetti sociali indispensabili nella realizzazione di una cultura della pace. Bisogna tutelare il diritto dei genitori e il loro ruolo primario nell’educazione dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e religioso. Nella famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore [6].

In questo immenso compito di educazione alla pace sono coinvolte in particolare le comunità religiose. La Chiesa si sente partecipe di una così grande responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione, che ha come suoi cardini la conversione alla verità e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la rinascita spirituale e morale delle persone e delle società. L’incontro con Gesù Cristo plasma gli operatori di pace impegnandoli alla comunione e al superamento dell’ingiustizia.

Una missione speciale nei confronti della pace è ricoperta dalle istituzioni culturali, scolastiche ed universitarie. Da queste è richiesto un notevole contributo non solo alla formazione di nuove generazioni di leader, ma anche al rinnovamento delle istituzioni pubbliche, nazionali e internazionali. Esse possono anche contribuire ad una riflessione scientifica che radichi le attività economiche e finanziarie in un solido fondamento antropologico ed etico. Il mondo attuale, in particolare quello politico, necessita del supporto di un nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare tecnicismi ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista del bene comune. Esso, considerato come insieme di relazioni interpersonali ed istituzionali positive, a servizio della crescita integrale degli individui e dei gruppi, è alla base di ogni vera educazione alla pace.

Una pedagogia dell’operatore di pace

7. Emerge, in conclusione, la necessità di proporre e promuovere una pedagogia della pace. Essa richiede una ricca vita interiore, chiari e validi riferimenti morali, atteggiamenti e stili di vita appropriati. Difatti, le opere di pace concorrono a realizzare il bene comune e creano l’interesse per la pace, educando ad essa. Pensieri, parole e gesti di pace creano una mentalità e una cultura della pace, un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità. Bisogna, allora, insegnare agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a vivere con benevolenza, più che con semplice tolleranza. Incoraggiamento fondamentale è quello di « dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare » [7], in modo che gli sbagli e le offese possano essere riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la riconciliazione. Ciò richiede il diffondersi di una pedagogia del perdono. Il male, infatti, si vince col bene, e la giustizia va ricercataimitando Dio Padre che ama tutti i suoi fi gli (cfr Mt 5,21-48). È un lavoro lento, perché suppone un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori più alti, una visione nuova della storia umana. Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la accompagnano, a quella falsa pace che rende le coscienze sempre più insensibili, che porta verso il ripiegamento su se stessi, verso un’esistenza atrofizzata vissuta nell’indifferenza. Al contrario, la pedagogia della pace implica azione, compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza.

Gesù incarna l’insieme di questi atteggiamenti nella sua esistenza, fi no al dono totale di sé, fino a « perdere la vita » (cfr Mt 10,39; Lc 17,33; Gv 12,25). Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi, faranno la straordinaria scoperta di cui abbiamo parlato inizialmente, e cioè che nel mondo c’è Dio, il Dio di Gesù, pienamente solidale con gli uomini. In questo contesto, vorrei ricordare la preghiera con cui si chiede a Dio di renderci strumenti della sua pace, per portare il suo amore ove è odio, il suo perdono ove è offesa, la vera fede ove è dubbio. Da parte nostra, insieme al beato Giovanni XXIII, chiediamo a Dio che illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il prezioso dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri e a perdonare coloro che hanno recato ingiurie, così che in virtù della sua azione, tutti i popoli della terra si affratellino e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace [8].

Con questa invocazione, auspico che tutti possano essere veri operatori e costruttori di pace, in modo che la città dell’uomo cresca in fraterna concordia, nella prosperità e nella pace.

Dal Vaticano, 8 Dicembre 2012

 

BENEDICTUS PP XVI

  


[1] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 1.

[2] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 265-266.

[3] Cfr ibid.: AAS 55 (1963), 266.

[4] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 32: AAS 101 (2009), 666-667.

[5] Cfr ibid., 34 e 36: AAS 101 (2009), 668-670 e 671-672.

[6] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994 (8 dicembre 1993): AAS 86 (1994), 156-162.

[7] BENEDETTO XVI, Discorso in occasione dell’Incontro con i membri del Governo, delle istituzioni della Repubblica, con il corpo diplomatico, i capi religiosi e rappresentanze del mondo della cultura, Baabda-Libano (15 settembre 2012): L’Osservatore Romano, 16 settembre 2012, p. 7.

[8] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 304.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Introvigne sul Messaggio del Papa: ecco perché aborto, unioni gay ed eutanasia feriscono la ragione

intervista a Massimo Introvigne

sabato 15 dicembre 2012

La pace non è un’utopia, non è un sogno. La pace è possibile. Per diventare “autentici operatori di pace”, scrive Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2013, sono fondamentali l'attenzione alla dimensione trascendentale e il colloquio costante con Dio. In questo modo l’uomo “può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste”. Il Pontefice aggiunge che proprio l’attuale periodo storico, caratterizzato dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclama più che mai un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.
Benedetto XVI affronta tematiche centrali, dai principi non negoziabili (la difesa della vita umana, la difesa del matrimonio monogamico tra uomo e donna e la difesa della libertà di educazione) fino ai diritti sociali e le soluzioni per uscire dalla crisi. Massimo Introvigne, contattato da IlSussidiario.net, comincia ad analizzare le parole del Papa parlando del riferimento al Concilio Ecumenico Vaticano II, “di cui ha ribadito la capacità di aver rafforzato la missione della Chiesa nel mondo”, fino al riferimento alla Pacem in Terris sulla tematica delle beatitudini, “secondo cui non basta essere in pace con gli altri ma è necessario essere in pace con sé stessi, con il Creato e con Dio".


Cosa può dirci in più rispetto a questo tema?

Vi sono in particolare due grandi temi che è necessario approfondire: il primo è generale, di fondo, secondo cui le beatitudini non parlano soltanto dell’altra vita, perché altrimenti non avrebbero niente da dire a chi non ci crede, ma sono anche una “ricetta” per una vita sociale ordinata, pacifica e felice su questa Terra. Nello stesso tempo, però, questa e l’altra vita sono strettamente collegate e il Papa afferma chiaramente che senza un’apertura alla trascendenza non è possibile costruire nessuna cultura di pace.

Quindi la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza?

Certo. Naturalmente, per conoscere questo, afferma il Papa con una’altra decisa e fondamentale espressione, occorre lo “smantellamento della dittatura del relativismo”, che intende continuamente imporci l’idea che non è lecito né opportuno aprirsi alla trascendenza. Questa dittatura però, dice ancora il Santo Padre, possiede in sé caratteristiche e conseguenze catastrofiche.

Dal tema generale passiamo quindi a quello più particolare: i tre principi non negoziabili.

Il Papa si riferisce ovviamente alla vita, alla famiglia e alla libertà di educazione. Benedetto XVI afferma che chiunque è favorevole all’aborto, o lo liberalizza con le sue leggi, forse non si rende conto che in tal modo propone l’inseguimento di una pace illusoria. Non è quindi possibile alcuna pace e alcuna felicità in presenza di leggi abortiste che tollerano l’uccisione di un essere inerme e innocente.

Allo stesso modo parla anche dell’eutanasia.

Esatto. Afferma lo stesso in parallelo anche sull’eutanasia e le leggi che riconoscono questa pratica, ispirate a falsi diritti che minacciano quello vero e fondamentale alla vita. Il secondo principio non negoziabile analizzato da Benedetto XVI è poi quello della famiglia: afferma quindi che se si vuole la pace andrà riconosciuta la struttura naturale del matrimonio rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione. Questo riconoscimento, con chiaro riferimento alle unioni omosessuali, destabilizza la pace ed è inoltre necessario riconoscere la libertà di educazione come diritto dei genitori e diritto essenziale alla valorizzazione della famiglia. Riguardo i principi non negoziabili, il Papa fa inoltre una considerazione molto importante.

Quale?

Che tali principi non sono verità di fede, ma sono iscritti nella natura umana, riconoscibili dalla ragione e comuni a tutte le persone. La violazione di questi principi, quindi, non rappresenta un’offesa alla Chiesa, ma alla stessa verità della persona umana.

Il Papa affronta poi il tema della libertà religiosa.

Rispetto a questo tema il Santo Padre dice tre cose molto importanti. Innanzitutto che non è più sufficiente promuovere la libertà religiosa come diritto negativo, come libertà da (ad esempio da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione) ma anche come diritto positivo nelle sue varie articolazioni, quindi come libertà di (ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi). Si legge inoltre che non è più sufficiente affermare che la libertà religiosa è minacciata in Africa o in Asia, perché in realtà è minacciata anche in Occidente, e infine spiega che fa parte della stessa libertà religiosa il diritto all’obiezione di coscienza di fronte a leggi che attentano contro la dignità umana, come l‘aborto o l’eutanasia.

Il messaggio di Benedetto XVI si rivolge poi anche ai diritti sociali.

Il Papa critica in particolare quella che torna a chiamare “tecnocrazia”, cioè l’idea secondo cui dalla crisi economica si possa uscire semplicemente attraverso misure per l’appunto “tecniche”. Tali misure, secondo il Pontefice, sono certamente essenziali, ma rischiano di perdere la loro giusta valenza, finendo per assurgere a “nuovi idoli”.  

In conclusione, Benedetto XVI parla della cosiddetta “pedagogia della pace”. Cosa può dirci?

Il Papa si rende conto che affinché un progetto di questo tipo possa davvero affermarsi nella società, è necessario un lento lavoro per assumere una visione nuova sulla storia umana che è difficile proporre in un periodo “che porta verso il ripiegamento su se stessi”. Però, dice ancora il Santo Padre, mentre si compie questo lungo lavoro che richiede appunto una lunga pedagogia della pace, bisogna anche tener conto del fatto che i principi richiamati in precedenza devono essere promossi immediatamente e che non è possibile aspettare ancora.  

(Claudio Perlini)
Approfondisci
J’ACCUSE/ D’Agostino: l’Ue dell’aborto e dei diritti gay sta creando solo odio
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Pax in veritate. La Giornata del 2013 e il solito tentativo di distorcere il messaggio del Papa (Cozzoli)

 

La Giornata del 2013 e il solito tentativo di distorcere il messaggio del Papa

Pax in veritate


Mauro Cozzoli


Si avvicina la Giornata mondiale della pace del prossimo primo gennaio che il Papa ha quest’anno solennizzato con un suo Messaggio – «Beati gli operatori di pace» – ampio e variegato nell’esporre il bene della pace e nell’analizzare e denunciare i mali che oggi la contrastano in campo socio-politico, ambientale, economico-finanziario, alimentare, occupazionale, familiare. Eppure nei giorni scorsi l’attenzione e il rilievo dati da non pochi media si sono ridotti al tema delle nozze gay e, tutt’al più, dell’aborto e dell’eutanasia. Una scelta opportunista. 

Opportunista perché risponde alla logica del sensazionale: una notizia è tale e viene data in ordine al clamore che può suscitare. Ma così facendo non s’informa, perché non s’inducono le intelligenze a pensare. E il bene primario e centrale della pace – educare a essa, e promuoverla – è così dissipato.

Dietro operazioni di questo genere c’è ideologica voglia di rissa, conformismo al «politicamente corretto» o l’una e l’altro insieme. E soprattutto c’è l’obiettivo di indebolire il messaggio, rendendolo meno vero, unilaterale e tendenzioso e provocando reazioni scomposte. Operazioni per alimentare la faziosità, non per promuovere la verità. 
Quella verità che il Papa si propone di servire e far risplendere agli occhi delle intelligenze e delle coscienze: «La verità sull’uomo – scrive – iscritta dal Creatore nel suo cuore». Non un’imposizione, ma un invito alla riflessione con il richiamo a princìpi di ragione: espressioni non di un credo ma di un cogito , non di un dogma ma di una sophia, di una sapienza etica. 

«Questi principi – leggiamo nel messaggio – non sono verità di fede. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone». Tali princìpi valgono in tutti i campi della moralità. Perché la morale è una e indivisibile. Non circoscrivibile agli ambiti della società e della politica, dell’economia e dell’ecologia, dell’alimentazione e dello sviluppo.
C’è, infatti, un 'libro della natura' che bisogna leggere con intelligenza cordiale. Un libro che l’analfabetismo e l’agnosticismo etico tendono a rimuovere dalla cultura e dalla paideia etica del nostro tempo. Sono scritte in questo libro la grammatica e la semantica del matrimonio e della famiglia. 

Non relazioni e legami ad libitum dei soggetti. Ma uno status ontologico, fondato sull’essere uomo e sull’essere donna e sul vincolo d’amore aperto alla vita che li unisce. Statuto che l’unione omosessuale non possiede. Tutto questo non è opinione, è verità: è natura, biologicamente, affettivamente e spiritualmente avvalorata. Natura umana e umanizzante. E perciò eticamente vincolante.

Uomini e donne sono liberi di sposarsi o no. Ma, se ci si sposa, si accoglie uno status di vita che non è fatto dagli interessati. E neppure da un potere legislativo. È fatto prima, dalla natura umana del nostro essere al mondo e dalla legge morale in cui essa prende forma normativa. Natura e legge che, per il credente, hanno la sapienza creatrice divina come principio. Cosa c’è in tutto questo d’intollerante? Dove sono i diritti conculcati? In che cosa è offesa e non rispettata la persona omosessuale? Dire la verità, farla risplendere, accoglierla e osservarla senza relativizzarla non è mai, per nessuno, un meno, ma un più di umanità. Per questo la verità è via alla pace. E senza verità, nella falsità e nella menzogna, non c’è pace.

Un mondo senza verità è un mondo babelico e nella babele delle opinioni non fiorisce la pace, ma allignano individualismo ed estraneità, dispersione e discordia. Papa Benedetto ha fatto della conoscenza e dell’amore della verità un pilastro e la via maestra del suo magistero. Caritas in veritate è più che il titolo della sua ultima enciclica. È un indicatore di direzione, volto a fare vera la carità (il termine con cui il cristiano dice l’amore), e con essa la pace, che della carità è espressione. Come a dire Pax in veritate: senza verità la pace è abbandonata alla retorica e votata all’utopia.

  Avvenire, 29 dicembre 2012 consultabile online anche qui.




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29 Dicembre 2012
Monti - N13.jpg

I cattolici vogliono Monti, ma Monti vuole i cattolici? E’ l’interrogativo che si pone Paolo Rodari, vaticanista del Foglio, in un tweet. La stessa domanda me la ponevo anch’io, ieri, ascoltando la conferenza stampa del presidente del consiglio dimissionario, e leggendo qualche agenzia. La risposta che mi sono data è che sì, li vuole (anche il più sprovveduto politico che ambisca ad occupare l’area moderata in Italia sa che il voto cattolico è indispensabile) ma a certe condizioni: che non si facciano troppo notare, insomma che si nascondano sotto un impenetrabile loden.

Persino l’agenzia Ansa sottolinea, con un pizzico di malizia, come le espressioni di stima arrivate dalle gerarchie e dal giornale vaticano producano in Monti qualche impaccio: “L'endorsement della Chiesa, ormai conclamato, imbarazza un po' lo stesso presidente del Consiglio, che si dice lusingato ma chiarisce: i temi prettamente etici non saranno nell'indice dell'Agenda”.

Ed è questo il punto dolente, per chi  crede che non si possa più fare politica senza avere una  chiara (e dichiarata) visione antropologica, cioè senza sapere quale atteggiamento tenere di fronte alle modificazioni dell’umano, le questioni che riguardano la genitorialità, la famiglia, la selezione genetica, l’eutanasia, il commercio di parti del corpo, l’uso di embrioni umani come semplice materiale biologico, e così via. Nel discorso rivolto alla Curia per gli auguri di Natale, il Papa ha sottolineato come oggi sia in gioco “la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini”. Nella stessa occasione, ha ribadito per l’ennesima volta che i principi non negoziabili vanno tradotti in azione politica: “Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa certamente non ha soluzioni pronte per le singole questioni. Insieme con le altre forze sociali, essa lotterà per le risposte che maggiormente corrispondano alla giusta misura dell’essere umano. Ciò che essa ha individuato come valori fondamentali, costitutivi e non negoziabili dell’esistenza umana, lo deve difendere con la massima chiarezza. Deve fare tutto il possibile per creare una convinzione che poi possa tradursi in azione politica.”

Nell’agenda Monti, invece, sui temi di biopolitica e sui principi non negoziabili c’è un perfetto silenzio, direi una censura. E nella conferenza di ieri il nuovo leader del centro ha spiegato che non di distrazione si tratta, ma di un preciso indirizzo strategico: quei temi sono “importanti”, ma vanno tenuti ai margini, delegati (meglio: relegati) al dibattito parlamentare e alle coscienze dei singoli. Se questa impostazione andava bene quando Monti era a capo di un governo tecnico, non va più bene quando assume un ruolo di leader che propone agli italiani un’offerta politica. Inoltre il Parlamento che ci aspetta avrà maggioranze assai diverse dalle attuali, e se tutto ciò che è eticamente sensibile sarà affidato solo alle coscienze dei singoli, senza prese di posizione che impegnino gli schieramenti davanti agli elettori, il voto dei cattolici non “adulti”, quelli che ascoltano le parole del Pontefice, diventa una cambiale in bianco.

Ci sono però anche altri elementi a sostegno del dubbio insinuato da Rodari. Per esempio quello che Monti afferma nell’intervista, sorprendentemente passata senza troppo risalto, rilasciata il 23 dicembre a Scalfari. Il fondatore di Repubblica, dopo aver illustrato un concetto di laicità come totale estraneità della Chiesa alla sfera pubblica, accetta la presenza, nelle future liste Monti, della Comunità di Sant’Egidio (cioè Andrea Riccardi) ma pone un altolà a qualunque altra associazione di laicato cattolico, tra cui annovera anche le cooperative bianche o la Coldiretti, perché “non sono società civile ma Chiesa militante”. Monti non fa una piega e si dichiara d’accordo. A parte la ridicola definizione di Chiesa militante per organizzazioni come la Coldiretti, anche in questo caso il cattolico bene accetto è quello non dichiarato, che può essere definito come appartenente alla società civile solo se vive la sua fede nella penombra di stanze chiuse, mentre un ingombrante Cesare occupa l’intero spazio pubblico.

Non è questa la laicità che desideriamo, che riteniamo sia sostanziata dal gioco aperto delle opinioni, e da un approccio liberamente critico a qualunque tema. La nostra offerta politica, a laici e cattolici, è diversa, ed è testimoniata da intense battaglie culturali e politiche. Avremo modo di confrontarci con l’agenda Monti e con i centristi anche sotto questo aspetto.



SI LEGGA ANCHE QUEST'ALTRO ARTICOLO SULL'ARGOMENTO:
http://www.campariedemaistre.com/2012/12/il-papa-e-i-gay-storia-di-una-doppia.html



[Modificato da Caterina63 30/12/2012 17:01]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733] Approfondiamo il Messaggio per la Pace dell'anno 2013 di Papa Benedetto XVI. Non ci sono bacchette magiche per risolvere i drammi, ma di certo vi è contenuto un programma per aprire la porta alla vera Pace....

it.gloria.tv/?media=383656



Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org



[SM=g1740717]


[SM=g1740757]

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[SM=g1740758] Siena e l'insegnamento inascoltato di San Bernardinohttp://www.lanuovabq.it/fileCondivisi/img-_innerArt-_BernardinoSienaTesto.jpg


di Antonio Margheriti Mastino
da lanuovaBussolaQuotidiana 06-02-2013


Siena, dove oggi si consuma il dramma del Monte dei Paschi, ieri - 1425, quasi cinquant’anni prima della fondazione della stessa banca - Bernardino tuonava contro avidità e avarizia. Scoprendo gli altarini del corporativismo amorale e dello spirito di fazione di Siena come di Firenze, e denunciando “L’Arte del cambio”, ossia le banche e i loro prestiti e interessi “che altro non sono che usura”. “Non furaberis!”, non ruberai! Tutto questo Bernardino lo gridava nella Siena e nella Firenze di mezzo millennio fa: lo griderebbe ancora. È l’occasione per vedere come Bernardino da Siena, indicato dagli storici come il più acuto economista del Medioevo, la pensasse in fatto di “cambi”, interessi e banche.

Per Bernardino un nome soltanto ha la vera causa d’ogni male: la smania di “ragunare” ricchezze; più di quanto fosse lecito a un cristiano. Oltre quanto fosse necessario a qualsiasi uomo. E infatti di una cosa egli è assolutamente intollerante: l’avidità, il denaro per il denaro. Gli procurava un disgusto profondo. E lo diceva. Magari nella città e nel momento sbagliati: la Firenze e la Siena dei ricchissimi mercanti del XV secolo. Che un po’ da quell’orecchio proprio non ci sentivano; un po’ gli rivoltavano contro la gente.
È qua il punto. Benché l’usura fosse lecita e alcuni comuni ne fissassero addirittura il tetto di interessi, comunque altissimo, per la Chiesa ciò era non solo irrilevante, ma era uno scandalo: ai cattolici proibiva tali pratiche.

Ma andiamo con ordine in questa, all’epoca, anarchica faccenda dei cambi e dei prestiti. Prendendo il caso di Firenze, occorre precisare che i commercianti per poter esercitare il loro mestiere, si costituivano in una sorta di corporazioni settoriali, piuttosto chiuse, parecchio autoreferenziali, assai prossime alla casta.
Queste erano dette Arte: Arte della Lana, Arte della Seta, etc. C’era anche l’Arte del Cambio: una sorta di banco cambi e prestiti, i cui iscritti erano i mercanti delle stesse altre Arti, che per l’occasione dunque si costituivano in banchieri. Per uno scopo pratico, che ci spiega una biografa di Bernardino, Iris Origo: “Se un anno il suo commercio era passivo, poteva rifarsi con le operazioni di cambio, fornendo ai clienti, per mezzo delle sue filiali in terra straniera, denaro o beni all’estero (senza che avvenisse un reale trasferimento di questi, ma prendendosi sempre la sua provvigione su ogni operazione).

Le cambiali, sotto forma di una semplice lettera (anziché di un atto formalmente redatto da un notaio) erano già nell’uso corrente, e si riconosceva che in genere il guadagno ricavato sulla loro compravendita era alto, ma precario…”. Ecco. E i mercanti che s’iscrivevano all’Arte del Cambio, erano i più prossimi all’accusa di usura, cosa che per molti di loro, sinceramente cattolici, era una iattura. Qua inizia il lavoro pastorale di Bernardino. Spinosissimo. Ma la dottrina cattolica alla quale il predicatore si rifaceva, era inesorabile. E chiara: qualunque interesse su un prestito era usura. Si dovevano sì concedere mutui, ma senza pretendere di lucrarne alcunché. Praticamente veniva messo in discussione tutto il pur esordiente sistema bancario. Una bella grana! In questo i cristiani trovandosi nella stessa situazione dei musulmani ai quali pure era proibito qualunque prestito a interessi. E con un legalismo tipico proprio del mondo islamico cercarono di aggirare l’ostacolo: se non l’interesse, il creditore poteva ricevere dal debitore un “dono”, purché registrato come tale; diversamente poteva ottenere una “ricompensa” per essere ripagato da eventuali ritardi nella restituzione del prestito (e si capisce: era obbligatorio “ritardare”).

Per questi banchieri cattolici, tale scorciatoia si rivelò una manna, che salvava capre e cavoli. Finché non arrivò Bernardino a rovinargli la festa. Insofferente più d’altri alle trovate ipocrite, li fulminò tutti: non era la prassi che contava, diceva, contava l’intenzione. “Spera ogni cosa che non è aprezabile con danari, ma se presti con patto e con intenzione d’averne qualche cosa (…) è contratto usuraio”. Anche sperare di lucrare un minimo sindacale da un prestito, era usura. È intransigente, perché tale è sull’argomento il Vangelo: il prestito è e deve rimanere un atto di buona volontà, di carità cristiana, di mano tesa al fratello in difficoltà. E non va pagato, perché la carità è gratis. È un credito concesso al cielo, che sarà restituito lasciata questa vita.

Non è esattamente la logica del mondo questa, figurarsi delle banche. Insomma, dinanzi a tali intransigenti principi cattolici, era come minimo immaginabile che vi fosse disparità tra teoria e pratica.
Nuovi sotterfugi furono brevettati dai prestatori di denaro, per salvare l’anima e il tesoro, o meglio: la faccia e il tesoro. Parecchi comuni tagliarono la testa al toro: affidando le licenze di cambiavalute a prestatori ebrei, che erano naturalmente esentati dalle proibizioni dei cristiani. Questi ultimi però ne diventavano habitué. E infatti il cliente cristiano depositava il suo denaro al banco dei giudei, ma specificava di “non voler sapere” come questi lo avrebbero impiegato e fatto fruttare. Quando arrivava il momento, ci tornavano a riscuote i “frutti”: sempre “senza voler sapere”. Non gli conveniva.

Di fatto era usura per conto terzi. Sotterfugi e ipocrisie per sfuggire alla propria coscienza, ma specialmente alle reprimende della Chiesa. Strano assai che non si siano accorti che se la propria coscienza può essere cieca, se il predicatore non ti vede, Dio sì. E per la verità, tutto questo raffinato ipocrita mercimonio lo vede pure il predicatore, se questi si chiama Bernardino da Siena.
Ma non era difficile, bastava osservare Firenze: dove il Comune non solo riconosceva ufficialmente la figura del prestatore di denaro, ma gli concedeva pure una licenza, sulla quale annualmente doveva essere pagata una cospicua tassa.
Bernardino scuote desolato la testa: “Siete tutti usurai!” dice ai fiorentini, e non si rassegna, tutto ciò non gli appare in alcun modo giustificabile. E se ne convince di più quando vede gli effetti collaterali di queste prassi untuose: “I più tra i mercanti…” scrive Iris Origo “trattavano affari la cui onestà, agli occhi di Bernardino, era per lo meno dubbia. Fra le operazioni da lui condannate vi erano la vendita di beni o gli scambi di valuta con pagamento non in contanti, ma a termine (cioè, giocando sulla eventuale fluttuazione del cambio fra il periodo dell’ordinazione e quello del pagamento), poiché, sosteneva il predicatore, questo altro non era che un mutuo mascherato”… “Ed è usura!” conclude Bernardino.

La chiusura di Bernardino verso certi traffici monetari non era però aprioristica, e non mancava di discernimento. Prendiamo il caso dell’emissione di obbligazioni da parte dello Stato. All’epoca era in gran voga il traffico di titoli di Stato a Firenze ma anche a Genova e a Venezia. In tali repubbliche, il governo imponeva ai cittadini le cosiddette “prestanze”, dei prestiti a favore dello Stato, per i quali a tempo debito venivano pagati i dovuti interessi. Anche se si usava la precauzione di chiamarli “libera donazione”. E qui nasceva spontanea la domanda: il contratto dei creditori dello Stato che ne percepivano gli interessi, era da considerarsi usurario? Bernardino qui un po’ stupisce tutti.

“No” dice, perché quel prestito lì è obbligatorio e nessuno può ritrarsi, dunque non è peccato.
Immaginiamo il respiro di sollievo di molti, a queste parole. Perché non hanno ascoltato il “ma” successivo: “ma”, continua infatti Bernardino, dipende “dall’intenzione”. Se uno presta soldi allo Stato perché non può altrimenti, pace! Ma se, obbligato o meno, li presta dando per scontato, o auspicando, che gli verranno corrisposti gli interessi, è contratto usurario, ed è peccato. Bernardino lo sa: sta parlando a gente che fa orecchie da… mercante. Ma è questa la via di perfezione, la strada “stretta” per la quale si deve passare, in qualsiasi ambito della vita, per essere dei cristiani, per meritare il premio eterno. Del resto, “in paradiso non s’arriva in carrozza”.

Difficilmente poi ci si sale con sacchi d’oro sulle spalle, che semmai ci inchiodano su questa terra delle vanità. Lo diceva pure Cristo, a proposito del ricco, del cammello e dalla cruna d’ago. Il fatto è che a Bernardino stava a cuore la salvezza delle anime, attraverso la santificazione nella vita quotidiana, in ogni suo ambito. E anche il commerciante o il banchiere avevano il dovere di santificarsi nel proprio lavoro, che doveva restare sempre un mezzo e non assurgere a fine ultimo: non erano dispensati, in quanto commercianti, o banchieri, dalla comune legge morale dei cristiani, né il “guadagno” è una giustificante.



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/06/2013 19:34
 
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LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AL PRIMO MINISTRO DEL REGNO UNITO DAVID CAMERON
IN OCCASIONE DELL’INCONTRO DEL G8 (17-18 GIUGNO 2013)

 
 

All’Onorevole David Cameron, MP
Primo Ministro

Sono lieto di rispondere alla sua cortese lettera del 5 giugno 2013, con cui ha voluto informarmi sull’agenda del Suo Governo per la Presidenza Britannica del G8 nell’anno 2013 e sul prossimo Summit, previsto Lough Erne, nei giorni 17 e 18 giugno 2013, intitolato “A G8 meeting that goes back to first principles”.

Affinché tale tema abbia il suo più ampio e profondo significato, occorre assicurare ad ogni attività politica ed economica nazionale ed internazionale un riferimento all’uomo. Infatti, dette attività devono, da una parte, consentire la massima espressione della libertà e della creatività individuale e collettiva e, dall’altra, promuovere e garantire che esse si esercitino sempre responsabilmente e nel senso della solidarietà, con una particolare attenzione ai più poveri.

Le priorità che la Presidenza britannica ha fissato per il Summit di Lough Erne riguardano soprattutto il libero commercio internazionale, il fisco, la trasparenza dei governi e degli agenti economici. Non manca, comunque, un’attenzione fondamentale all’uomo, concretizzata nella proposta di un’azione concertata del Gruppo per eliminare definitivamente il flagello della fame e per garantire la sicurezza alimentare. Parimenti, è segno di attenzione per la persona umana il fatto che uno dei temi centrali dell’agenda sia la protezione delle donne e dei bambini dalla violenza sessuale in situazioni di conflitto, anche se occorre non dimenticare che il contesto indispensabile per lo sviluppo di tutte le accennate azioni politiche è quello della pace internazionale. Purtroppo, la preoccupazione per le gravi crisi internazionali non manca mai nelle delibere del G8, e quest’anno non si potrà non considerare con attenzione la situazione nel Medio Oriente e, particolarmente, in Siria. Per quest’ultima auspico che il Summit contribuisca ad ottenere un cessate il fuoco immediato e duraturo, e a portare tutte le parti in conflitto al tavolo dei negoziati. La pace esige una lungimirante rinuncia ad alcune pretese, per costruire insieme una pace più equa e giusta. Inoltre, la pace è un requisito indispensabile per la protezione delle donne, dei bambini e delle altre vittime innocenti, e per cominciare a debellare la fame, specialmente tra le vittime della guerra.

Le azioni incluse nell’agenda della Presidenza Britannica del G8, che intendono puntare sulla legalità come il filo rosso dello sviluppo, con i conseguenti impegni per evitare l’evasione fiscale e assicurare la trasparenza e la responsabilità dei governanti, sono misure che puntano alle radici etiche profonde dei problemi, giacché, come ben aveva segnalato il mio predecessore, Benedetto XVI, la presente crisi globale dimostra che l’etica non è qualcosa di esterno all’economia, ma è una parte integrale e ineludibile del pensiero e dell’azione economica.

Sia le misure di lungo respiro per assicurare una adeguata cornice di legalità che guidi tutte le azioni economiche, sia le misure congiunturali di urgenza per risolvere la crisi economica mondiale, devono essere guidate dall’etica della verità, che comprende, innanzitutto, il rispetto della verità sull’uomo, il quale non è un fattore economico in più, o un bene scartabile,  ma qualcosa che ha una natura e una dignità non riducibili a semplici calcoli economici. Perciò la preoccupazione per il benessere basico materiale e spirituale di ogni uomo è il punto di partenza di ogni soluzione politica ed economica e la misura ultima della sua efficacia e della sua eticità.

D’altra parte, il fine dell’economia e della politica, è proprio il servizio agli uomini, a cominciare dai più poveri e i più deboli, ovunque essi si trovino, fosse anche il grembo della loro madre. Ogni teoria o azione economica e politica devi adoperarsi per fornire ad ogni abitante della terra quel minimo benessere che consenta di vivere con dignità, nella libertà, con la possibilità di sostenere una famiglia, di educare i figli, di lodare Dio e di sviluppare le proprie capacità umane. Questa è la cosa principale. Senza questa visione, tutta l’attività economica non avrebbe senso.

In tal senso, le varie e gravi sfide economiche e politiche che il mondo odierno affronta richiedono un coraggioso cambiamento di atteggiamenti, che ridia al fine (la persona umana) e ai mezzi (l’economia e la politica) il posto loro proprio. Il denaro e gli altri mezzi politici ed economici devono servire e non governare, tenendo presente che la solidarietà gratuita e disinteressata è, in modo apparentemente paradossale, la chiave del buon funzionamento economico globale.

Ho voluto condividere con Lei, Primo Ministro, questi pensieri, nel desiderio di contribuire a sottolineare quello che è implicito in tutte le istanze politiche, ma che a volte si può dimenticare: l’importanza primordiale di mettere l’uomo, ogni singolo uomo e donna, al centro di ogni attività politica ed economica nazionale ed internazionale, perché l’uomo è la più vera e più profonda risorsa della politica e dell’economica e, allo stesso tempo, il fine primordiale di esse.

Signor Primo Ministro, con la speranza di aver offerto un valido contributo spirituale alle vostre delibere, formulo fervidi voti di un fecondo esito dei lavori e invoco abbondanti benedizioni per il Summit di Lough Erne e per tutti i partecipanti, nonché per le attività della Presidenza Britannica del G8 durante l’anno 2013 e colgo l’occasione per rinnovare i miei migliori auspici ed esprimere i miei sentimenti di stima.

Dal Vaticano, 15 giugno 2013

FRANCISCUS


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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