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Aborto: il lutto negato e... l'Evangelium Vitae a 15 anni dalla sua pubblicazione

Ultimo Aggiornamento: 16/06/2013 14:13
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Sesso: Femminile
08/07/2010 10:21
 
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CAPITOLO IV

L'AVETE FATTO A ME

PER UNA NUOVA CULTURA DELLA VITA UMANA




«Voi siete il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose» (1 Pt 2, 9): il popolo della vita e per la vita



78. La Chiesa ha ricevuto il Vangelo come annuncio e fonte di gioia e di salvezza. L'ha ricevuto in dono da Gesù, inviato dal Padre «per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18). L'ha ricevuto mediante gli Apostoli, da Lui mandati in tutto il mondo (cf. Mc 16, 15; Mt 28, 19-20). Nata da questa azione evangelizzatrice, la Chiesa sente risuonare in se stessa ogni giorno la parola ammonitrice dell'Apostolo: «Guai a me se non predicassi il Vangelo» (1 Cor 9, 16). «Evangelizzare, infatti, — come scriveva Paolo VI — è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare».101

L'evangelizzazione è un'azione globale e dinamica, che coinvolge la Chiesa nella sua partecipazione alla missione profetica, sacerdotale e regale del Signore Gesù. Essa, pertanto, comporta inscindibilmente le dimensioni dell'annuncio, della celebrazione e del servizio della carità. È un atto profondamente ecclesiale, che chiama in causa tutti i diversi operai del Vangelo, ciascuno secondo i propri carismi e il proprio ministero.

Così è anche quando si tratta di annunciare il Vangelo della vita, parte integrante del Vangelo che è Gesù Cristo. Di questo Vangelo noi siamo al servizio, sostenuti dalla consapevolezza di averlo ricevuto in dono e di essere inviati a proclamarlo a tutta l'umanità «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). Nutriamo perciò umile e grata coscienza di essere il popolo della vita e per la vita e in tal modo ci presentiamo davanti a tutti.



79. Siamo il popolo della vita perché Dio, nel suo amore gratuito, ci ha donato il Vangelo della vita e da questo stesso Vangelo noi siamo stati trasformati e salvati. Siamo stati riconquistati dall' «autore della vita» (At 3, 15) a prezzo del suo sangue prezioso (cf. 1 Cor 6, 20; 7, 23; 1 Pt 1, 19) e mediante il lavacro battesimale siamo stati inseriti in lui (cf. Rm 6, 4-5; Col 2, 12), come rami che dall'unico albero traggono linfa e fecondità (cf. Gv 15, 5). Rinnovati interiormente dalla grazia dello Spirito, «che è Signore e dà la vita», siamo diventati un popolo per la vita e come tali siamo chiamati a comportarci.

Siamo mandati: essere al servizio della vita non è per noi un vanto, ma un dovere, che nasce dalla coscienza di essere «il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose» (1 Pt 2, 9). Nel nostro cammino ci guida e ci sostiene la legge dell'amore: è l'amore di cui è sorgente e modello il Figlio di Dio fatto uomo, che «morendo ha dato la vita al mondo».102

Siamo mandati come popolo. L'impegno a servizio della vita grava su tutti e su ciascuno. È una responsabilità propriamente «ecclesiale», che esige l'azione concertata e generosa di tutti i membri e di tutte le articolazioni della comunità cristiana. Il compito comunitario però non elimina né diminuisce la responsabilità della singola persona, alla quale è rivolto il comando del Signore a «farsi prossimo» di ogni uomo: «Và e anche tu fà lo stesso» (Lc 10, 37).

Tutti insieme sentiamo il dovere di annunciare il Vangelo della vita, di celebrarlo nella liturgia e nell'intera esistenza, diservirlo con le diverse iniziative e strutture di sostegno e di promozione.

«Quello che abbiamo veduto e udito noi lo annunziamo anche a voi» (1 Gv 1, 3): annunciare il Vangelo della vita



80. «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita... noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1, 1.3). Gesù è l'unico Vangelo: noi non abbiamo altro da dire e da testimoniare.

È proprio l'annuncio di Gesù ad essere annuncio della vita. Egli, infatti, è «il Verbo della vita» (1 Gv 1, 1). In lui «la vita si è fatta visibile» (1 Gv 1, 2); anzi lui stesso è «la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi» (ivi). Questa stessa vita, grazie al dono dello Spirito, è stata comunicata all'uomo. Ordinata alla vita in pienezza, la «vita eterna», anche la vita terrena di ciascuno acquista il suo senso pieno.

Illuminati da questo Vangelo della vita, sentiamo il bisogno di proclamarlo e di testimoniarlo nella novità sorprendente che lo contraddistingue: poiché si identifica con Gesù stesso, apportatore di ogni novità 103 e vincitore della «vecchiezza» che deriva dal peccato e porta alla morte,104 tale Vangelo supera ogni aspettativa dell'uomo e svela a quali sublimi altezze viene elevata, per grazia, la dignità della persona. Così la contempla san Gregorio di Nissa: «L'uomo che, tra gli esseri, non conta nulla, che è polvere, erba, vanità, una volta che è adottato dal Dio dell'universo come figlio, diventa familiare di questo Essere, la cui eccellenza e grandezza nessuno può vedere, ascoltare e comprendere. Con quale parola, pensiero o slancio dello spirito si potrà esaltare la sovrabbondanza di questa grazia? L'uomo sorpassa la sua natura: da mortale diventa immortale, da perituro imperituro, da effimero eterno, da uomo diventa dio».105

La gratitudine e la gioia per l'incommensurabile dignità dell'uomo ci spinge a rendere tutti partecipi di questo messaggio: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1, 3). È necessario far giungere il Vangelo della vita al cuore di ogni uomo e donna e immetterlo nelle pieghe più recondite dell'intera società.



81. Si tratta di annunciare anzitutto il centro di questo Vangelo. Esso è annuncio di un Dio vivo e vicino, che ci chiama a una profonda comunione con sé e ci apre alla speranza certa della vita eterna; è affermazione dell'inscindibile legame che intercorre tra la persona, la sua vita e la sua corporeità; è presentazione della vita umana come vita di relazione, dono di Dio, frutto e segno del suo amore; è proclamazione dello straordinario rapporto di Gesù con ciascun uomo, che consente di riconoscere in ogni volto umano il volto di Cristo; è indicazione del «dono sincero di sé» quale compito e luogo di realizzazione piena della propria libertà.

Nello stesso tempo, si tratta di additare tutte le conseguenze di questo stesso Vangelo, che così si possono riassumere: la vita umana, dono prezioso di Dio, è sacra e inviolabile e per questo, in particolare, sono assolutamente inaccettabili l'aborto procurato e l'eutanasia; la vita dell'uomo non solo non deve essere soppressa, ma va protetta con ogni amorosa attenzione; la vita trova il suo senso nell'amore ricevuto e donato, nel cui orizzonte attingono piena verità la sessualità e la procreazione umana; in questo amore anche la sofferenza e la morte hanno un senso e, pur permanendo il mistero che le avvolge, possono diventare eventi di salvezza; il rispetto per la vita esige che la scienza e la tecnica siano sempre ordinate all'uomo e al suo sviluppo integrale; l'intera società deve rispettare, difendere e promuovere la dignità di ogni persona umana, in ogni momento e condizione della sua vita.



82. Per essere veramente un popolo al servizio della vita dobbiamo, con costanza e coraggio, proporre questi contenuti fin dal primo annuncio del Vangelo e, in seguito, nella catechesi e nelle diverse forme di predicazione, nel dialogo personale e in ogni azione educativa. Agli educatori, insegnanti, catechisti e teologi, spetta il compito di mettere in risalto le ragioni antropologiche che fondano e sostengono il rispetto di ogni vita umana. In tal modo, mentre faremo risplendere l'originale novità del Vangelo della vita, potremo aiutare tutti a scoprire anche alla luce della ragione e dell'esperienza, come il messaggio cristiano illumini pienamente l'uomo e il significato del suo essere ed esistere; troveremo preziosi punti di incontro e di dialogo anche con i non credenti, tutti insieme impegnati a far sorgere una nuova cultura della vita.

Circondati dalle voci più contrastanti, mentre molti rigettano la sana dottrina intorno alla vita dell'uomo, sentiamo rivolta anche a noi la supplica indirizzata da Paolo a Timoteo: «Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina» (2 Tm 4, 2). Questa esortazione deve risuonare con particolare vigore nel cuore di quanti, nella Chiesa, partecipano più direttamente, a diverso titolo, alla sua missione di «maestra» della verità. Risuoni innanzitutto per noi Vescovi: a noi per primi è chiesto di farci annunciatori instancabili delVangelo della vita; a noi è pure affidato il compito di vigilare sulla trasmissione integra e fedele dell'insegnamento riproposto in questa Enciclica e di ricorrere alle misure più opportune perché i fedeli siano preservati da ogni dottrina ad esso contraria. Una speciale attenzione dobbiamo porre perché nelle facoltà teologiche, nei seminari e nelle diverse istituzioni cattoliche venga diffusa, illustrata e approfondita la conoscenza della sana dottrina.106 L'esortazione di Paolo risuoni per tutti i teologi, per i pastori e per quanti altri svolgono compiti diinsegnamento, catechesi e formazione delle coscienze: consapevoli del ruolo ad essi spettante, non si assumano mai la grave responsabilità di tradire la verità e la loro stessa missione esponendo idee personali contrarie al Vangelo della vita quale il Magistero fedelmente ripropone e interpreta.

Nell'annunciare questo Vangelo, non dobbiamo temere l'ostilità e l'impopolarità, rifiutando ogni compromesso ed ambiguità, che ci conformerebbero alla mentalità di questo mondo (cf. Rm 12, 2). Dobbiamo essere nel mondo ma non del mondo (cf. Gv 15, 19; 17, 16), con la forza che ci viene da Cristo, che con la sua morte e risurrezione ha vinto il mondo (cf. Gv 16, 33).





«Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio» (Sal 139/138, 14): celebrare il Vangelo della vita



83. Mandati nel mondo come «popolo per la vita», il nostro annuncio deve diventare anche una vera e propria celebrazione del Vangelo della vita. È anzi questa stessa celebrazione, con la forza evocativa dei suoi gesti, simboli e riti, a diventare luogo prezioso e significativo per trasmettere la bellezza e la grandezza di questo Vangelo.

A tal fine, urge anzitutto coltivare, in noi e negli altri, uno sguardo contemplativo.107 Questo nasce dalla fede nel Dio della vita, che ha creato ogni uomo facendolo come un prodigio (cf. Sal 139/138, 14). È lo sguardo di chi vede la vita nella sua profondità, cogliendone le dimensioni di gratuità, di bellezza, di provocazione alla libertà e alla responsabilità. È lo sguardo di chi non pretende d'impossessarsi della realtà, ma la accoglie come un dono, scoprendo in ogni cosa il riflesso del Creatore e in ogni persona la sua immagine vivente (cf. Gn 1, 27; Sal 8, 6). Questo sguardo non si arrende sfiduciato di fronte a chi è nella malattia, nella sofferenza, nella marginalità e alle soglie della morte; ma da tutte queste situazioni si lascia interpellare per andare alla ricerca di un senso e, proprio in queste circostanze, si apre a ritrovare nel volto di ogni persona un appello al confronto, al dialogo, alla solidarietà.

È tempo di assumere tutti questo sguardo, ridiventando capaci, con l'animo colmo di religioso stupore, di venerare e onorare ogni uomo, come ci invitava a fare Paolo VI in uno dei suoi messaggi natalizi.108 Animato da questo sguardo contemplativo, il popolo nuovo dei redenti non può non prorompere in inni di gioia, di lode e di ringraziamento per il dono inestimabile della vita, per il mistero della chiamata di ogni uomo a partecipare in Cristo alla vita di grazia e a un'esistenza di comunione senza fine con Dio Creatore e Padre.



84. Celebrare il Vangelo della vita significa celebrare il Dio della vita, il Dio che dona la vita: «Noi dobbiamo celebrare la Vita eterna, dalla quale procede qualsiasi altra vita. Da essa riceve la vita, proporzionalmente alle sue capacità, ogni essere che partecipa in qualche modo alla vita. Questa Vita divina, che è al di sopra di qualsiasi vita, vivifica e conserva la vita. Qualsiasi vita e qualsiasi movimento vitale procedono da questa Vita che trascende ogni vita ed ogni principio di vita. Ad essa le anime debbono la loro incorruttibilità, come pure grazie ad essa vivono tutti gli animali e tutte le piante, che ricevono della vita l'eco più debole. Agli uomini, esseri composti di spirito e di materia, la Vita dona la vita. Se poi ci accade di abbandonarla, allora la Vita, per il traboccare del suo amore verso l'uomo, ci converte e ci richiama a sé. Non solo: ci promette di condurci, anime e corpi, alla vita perfetta, all'immortalità. È troppo poco dire che questa Vita è viva: essa è Principio di vita, Causa e Sorgente unica di vita. Ogni vivente deve contemplarla e lodarla: è Vita che trabocca vita».109

Anche noi, come il Salmista, nella preghiera quotidiana, individuale e comunitaria, lodiamo e benediciamo Dio nostro Padre, che ci ha tessuti nel seno materno e ci ha visti e amati quando ancora eravamo informi (cf. Sal 139/138, 13. 15-16), ed esclamiamo con gioia incontenibile: «Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo» (Sal 139/138, 14). Sì, «questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento degno d'essere cantato in gaudio e in gloria».110 Di più, l'uomo e la sua vita non ci appaiono solo come uno dei prodigi più alti della creazione: all'uomo Dio ha conferito una dignità quasi divina (cf. Sal 8, 6-7). In ogni bimbo che nasce e in ogni uomo che vive o che muore noi riconosciamo l'immagine della gloria di Dio: questa gloria noi celebriamo in ogni uomo, segno del Dio vivente, icona di Gesù Cristo.

Siamo chiamati ad esprimere stupore e gratitudine per la vita ricevuta in dono e ad accogliere, gustare e comunicare il Vangelo della vita non solo con la preghiera personale e comunitaria, ma soprattutto con le celebrazioni dell'anno liturgico. Sono qui da ricordare in particolare i Sacramenti, segni efficaci della presenza e dell'azione salvifica del Signore Gesù nell'esistenza cristiana: essi rendono gli uomini partecipi della vita divina, assicurando loro l'energia spirituale necessaria per realizzare nella sua piena verità il significato del vivere, del soffrire e del morire. Grazie ad una genuina riscoperta del senso dei riti e ad una loro adeguata valorizzazione, le celebrazioni liturgiche, soprattutto quelle sacramentali, saranno sempre più in grado di esprimere la verità piena sulla nascita, la vita, la sofferenza e la morte, aiutando a vivere queste realtà come partecipazione al mistero pasquale di Cristo morto e risorto.



85. Nella celebrazione del Vangelo della vita occorre saperapprezzare e valorizzare anche i gesti e i simboli, di cui sono ricche le diverse tradizioni e consuetudini culturali e popolari. Sono momenti e forme di incontro con cui, nei diversi Paesi e culture, si manifestano la gioia per una vita che nasce, il rispetto e la difesa di ogni esistenza umana, la cura per chi soffre o è nel bisogno, la vicinanza all'anziano o al morente, la condivisione del dolore di chi è nel lutto, la speranza e il desiderio dell'immortalità.

In questa prospettiva, accogliendo anche il suggerimento offerto dai Cardinali nel Concistoro del 1991, propongo che si celebri ogni anno nelle varie Nazioni una Giornata per la Vita, quale già si attua ad iniziativa di alcune Conferenze Episcopali. È necessario che tale Giornata venga preparata e celebrata con l'attiva partecipazione di tutte le componenti della Chiesa locale. Suo scopo fondamentale è quello di suscitare, nelle coscienze, nelle famiglie, nella Chiesa e nella società civile, il riconoscimento del senso e del valore della vita umana in ogni suo momento e condizione, ponendo particolarmente al centro dell'attenzione la gravità dell'aborto e dell'eutanasia, senza tuttavia trascurare gli altri momenti e aspetti della vita, che meritano di essere presi di volta in volta in attenta considerazione, secondo quanto suggerito dall'evolversi della situazione storica.



86. Nella logica del culto spirituale gradito a Dio (cf. Rm 12, 1), la celebrazione del Vangelo della vita chiede di realizzarsi soprattutto nell'esistenza quotidiana, vissuta nell'amore per gli altri e nella donazione di se stessi. Sarà così tutta la nostra esistenza a farsi accoglienza autentica e responsabile del dono della vita e lode sincera e riconoscente a Dio che ci ha fatto tale dono. È quanto già avviene in tantissimi gesti di donazione, spesso umile e nascosta, compiuti da uomini e donne, bambini e adulti, giovani e anziani, sani e ammalati.

È in questo contesto, ricco di umanità e di amore, che nascono anche i gesti eroici. Essi sono la celebrazione più solenne del Vangelo della vita, perché lo proclamano con il dono totale di sé; sono la manifestazione luminosa del grado più elevato di amore, che è dare la vita per la persona amata (cf. Gv 15, 13); sono la partecipazione al mistero della Croce, nella quale Gesù svela quanto valore abbia per lui la vita di ogni uomo e come questa si realizzi in pienezza nel dono sincero di sé. Al di là dei fatti clamorosi, c'è l'eroismo del quotidiano, fatto di piccoli o grandi gesti di condivisione che alimentano un'autentica cultura della vita. Tra questi gesti merita particolare apprezzamento la donazione di organi compiuta in forme eticamente accettabili, per offrire una possibilità di salute e perfino di vita a malati talvolta privi di speranza.

A tale eroismo del quotidiano appartiene la testimonianza silenziosa, ma quanto mai feconda ed eloquente, di «tutte le madri coraggiose, che si dedicano senza riserve alla propria famiglia, che soffrono nel dare alla luce i propri figli, e poi sono pronte ad intraprendere ogni fatica, ad affrontare ogni sacrificio, per trasmettere loro quanto di meglio esse custodiscono in sé».111 Nel vivere la loro missione «non sempre queste madri eroiche trovano sostegno nel loro ambiente. Anzi, i modelli di civiltà, spesso promossi e propagati dai mezzi di comunicazione, non favoriscono la maternità. Nel nome del progresso e della modernità vengono presentati come ormai superati i valori della fedeltà, della castità, del sacrificio, nei quali si sono distinte e continuano a distinguersi schiere di spose e di madri cristiane... Vi ringraziamo, madri eroiche, per il vostro amore invincibile! Vi ringraziamo per l'intrepida fiducia in Dio e nel suo amore. Vi ringraziamo per il sacrificio della vostra vita... Cristo nel Mistero pasquale vi restituisce il dono che gli avete fatto. Egli infatti ha il potere di restituirvi la vita che gli avete portato in offerta».112





«Che giova, fratelli miei se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?» (Gc 2, 14): servire il Vangelo della vita



87. In forza della partecipazione alla missione regale di Cristo, il sostegno e la promozione della vita umana devono attuarsi mediante il servizio della carità, che si esprime nella testimonianza personale, nelle diverse forme di volontariato, nell'animazione sociale e nell'impegno politico. È, questa, un'esigenza particolarmente pressante nell'ora presente, nella quale la «cultura della morte» così fortemente si contrappone alla «cultura della vita» e spesso sembra avere il sopravvento. Ancor prima, però, è un'esigenza che nasce dalla «fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5, 6), come ci ammonisce la Lettera di Giacomo: «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa» (2, 14-17).

Nel servizio della carità c'è un atteggiamento che ci deve animare e contraddistinguere: dobbiamo prenderci cura dell'altro in quanto persona affidata da Dio alla nostra responsabilità. Come discepoli di Gesù, siamo chiamati a farci prossimi di ogni uomo (cf. Lc 10, 29-37), riservando una speciale preferenza a chi è più povero, solo e bisognoso. Proprio attraverso l'aiuto all'affamato, all'assetato, al forestiero, all'ignudo, al malato, al carcerato — come pure al bambino non ancora nato, all'anziano sofferente o vicino alla morte — ci è dato di servire Gesù, come Egli stesso ha dichiarato: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25, 40). Per questo, non possiamo non sentirci interpellati e giudicati dalla pagina sempre attuale di san Giovanni Crisostomo: «Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità».113

Il servizio della carità nei riguardi della vita deve essere profondamente unitario: non può tollerare unilateralismi e discriminazioni, perché la vita umana è sacra e inviolabile in ogni sua fase e situazione; essa è un bene indivisibile. Si tratta dunque di «prendersi cura» di tutta la vita e della vita di tutti. Anzi, ancora più profondamente, si tratta di andare fino alle radici stesse della vita e dell'amore.

Proprio partendo da un amore profondo per ogni uomo e donna, si è sviluppata lungo i secoli una straordinaria storia di carità, che ha introdotto nella vita ecclesiale e civile numerose strutture di servizio alla vita, che suscitano l'ammirazione di ogni osservatore non prevenuto. È una storia che, con rinnovato senso di responsabilità, ogni comunità cristiana deve continuare a scrivere con una molteplice azione pastorale e sociale. In tal senso si devono mettere in atto forme discrete ed efficaci diaccompagnamento della vita nascente, con una speciale vicinanza a quelle mamme che, anche senza il sostegno del padre, non temono di mettere al mondo il loro bambino e di educarlo. Analoga cura deve essere riservata alla vita nella marginalità o nella sofferenza, specie nelle sue fasi finali.



88. Tutto questo comporta una paziente e coraggiosa opera educativa che solleciti tutti e ciascuno a farsi carico dei pesi degli altri (cf. Gal 6, 2); richiede una continua promozione di vocazioni al servizio, in particolare tra i giovani; implica la realizzazione di progetti e iniziative concrete, stabili ed evangelicamente ispirate.

Molteplici sono gli strumenti da valorizzare con competenza e serietà di impegno. Alle sorgenti della vita, i centri per i metodi naturali di regolazione della fertilità vanno promossi come un valido aiuto per la paternità e maternità responsabili, nella quale ogni persona, a cominciare dal figlio, è riconosciuta e rispettata per se stessa e ogni scelta è animata e guidata dal criterio del dono sincero di sé. Anche i consultori matrimoniali e familiari, mediante la loro specifica azione di consulenza e di prevenzione, svolta alla luce di un'antropologia coerente con la visione cristiana della persona, della coppia e della sessualità, costituiscono un prezioso servizio per riscoprire il senso dell'amore e della vita e per sostenere e accompagnare ogni famiglia nella sua missione di «santuario della vita». A servizio della vita nascente si pongono pure i centri di aiuto alla vita e le case o i centri di accoglienza della vita. Grazie alla loro opera, non poche madri nubili e coppie in difficoltà ritrovano ragioni e convinzioni e incontrano assistenza e sostegno per superare disagi e paure nell'accogliere una vita nascente o appena venuta alla luce.

Di fronte alla vita in condizioni di disagio, di devianza, di malattia e di marginalità, altri strumenti — come le comunità di recupero per tossicodipendenti, le comunità alloggio per i minori o per i malati mentali, i centri di cura e accoglienza per malati di AIDS, le cooperative di solidarietà soprattutto per i disabili — sono espressione eloquente di ciò che la carità sa inventare per dare a ciascuno ragioni nuove di speranza e possibilità concrete di vita.

Quando poi l'esistenza terrena volge al termine, è ancora la carità a trovare le modalità più opportune perché gli anziani, specialmente se non autosufficienti, e i cosiddetti malati terminali possano godere di un'assistenza veramente umana e ricevere risposte adeguate alle loro esigenze, in particolare alla loro angoscia e solitudine. Insostituibile è in questi casi il ruolo delle famiglie; ma esse possono trovare grande aiuto nelle strutture sociali di assistenza e, quando necessario, nel ricorso alle cure palliative, avvalendosi degli idonei servizi sanitari e sociali, operanti sia nei luoghi di ricovero e cura pubblici che a domicilio.

In particolare, deve essere riconsiderato il ruolo degli ospedali, delle cliniche e delle case di cura: la loro vera identità non è solo quella di strutture nelle quali ci si prende cura dei malati e dei morenti, ma anzitutto quella di ambienti nei quali la sofferenza, il dolore e la morte vengono riconosciuti ed interpretati nel loro significato umano e specificamente cristiano. In modo speciale tale identità deve mostrarsi chiara ed efficace negli istituti dipendenti da religiosi o, comunque, legati alla Chiesa.



89. Queste strutture e luoghi di servizio alla vita, e tutte le altre iniziative di sostegno e solidarietà che le situazioni potranno di volta in volta suggerire, hanno bisogno di essere animate da persone generosamente disponibili e profondamente consapevoli di quanto decisivo sia il Vangelo della vita per il bene dell'individuo e della società.

Peculiare è la responsabilità affidata agli operatori sanitari: medici, farmacisti, infermieri, cappellani, religiosi e religiose, amministratori e volontari. La loro professione li vuole custodi e servitori della vita umana. Nel contesto culturale e sociale odierno, nel quale la scienza e l'arte medica rischiano di smarrire la loro nativa dimensione etica, essi possono essere talvolta fortemente tentati di trasformarsi in artefici di manipolazione della vita o addirittura in operatori di morte. Di fronte a tale tentazione la loro responsabilità è oggi enormemente accresciuta e trova la sua ispirazione più profonda e il suo sostegno più forte proprio nell'intrinseca e imprescindibile dimensione etica della professione sanitaria, come già riconosceva l'antico e sempre attuale giuramento di Ippocrate, secondo il quale ad ogni medico è chiesto di impegnarsi per il rispetto assoluto della vita umana e della sua sacralità.

Il rispetto assoluto di ogni vita umana innocente esige anchel'esercizio dell'obiezione di coscienza di fronte all'aborto procurato e all'eutanasia. Il «far morire» non può mai essere considerato come una cura medica, neppure quando l'intenzione fosse solo quella di assecondare una richiesta del paziente: è, piuttosto, la negazione della professione sanitaria che si qualifica come un appassionato e tenace «sì» alla vita. Anche la ricerca biomedica, campo affascinante e promettente di nuovi grandi benefici per l'umanità, deve sempre rifiutare sperimentazioni, ricerche o applicazioni che, misconoscendo l'inviolabile dignità dell'essere umano, cessano di essere a servizio degli uomini e si trasformano in realtà che, mentre sembrano soccorrerli, li opprimono.



90. Uno specifico ruolo sono chiamate a svolgere le persone impegnate nel volontariato: esse offrono un apporto prezioso nel servizio alla vita, quando sanno coniugare capacità professionale e amore generoso e gratuito. Il Vangelo della vita le spinge ad elevare i sentimenti di semplice filantropia all'altezza della carità di Cristo; a riconquistare ogni giorno, tra fatiche e stanchezze, la coscienza della dignità di ogni uomo; ad andare alla scoperta dei bisogni delle persone iniziando — se necessario — nuovi cammini là dove più urgente è il bisogno e più deboli sono l'attenzione e il sostegno.

Il realismo tenace della carità esige che il Vangelo della vita sia servito anche mediante forme di animazione sociale e di impegno politico, difendendo e proponendo il valore della vita nelle nostre società sempre più complesse e pluraliste. Singoli, famiglie, gruppi, realtà associative hanno, sia pure a titolo e in modi diversi, una responsabilità nell'animazione sociale e nell'elaborazione di progetti culturali, economici, politici e legislativi che, nel rispetto di tutti e secondo la logica della convivenza democratica, contribuiscano a edificare una società nella quale la dignità di ogni persona sia riconosciuta e tutelata, e la vita di tutti sia difesa e promossa.

Tale compito grava in particolare sui responsabili della cosa pubblica. Chiamati a servire l'uomo e il bene comune, hanno il dovere di compiere scelte coraggiose a favore della vita, innanzitutto nell'ambito delle disposizioni legislative. In un regime democratico, ove le leggi e le decisioni si formano sulla base del consenso di molti, può attenuarsi nella coscienza dei singoli che sono investiti di autorità il senso della responsabilità personale. Ma a questa nessuno può mai abdicare, soprattutto quando ha un mandato legislativo o decisionale, che lo chiama a rispondere a Dio, alla propria coscienza e all'intera società di scelte eventualmente contrarie al vero bene comune. Se le leggi non sono l'unico strumento per difendere la vita umana, esse però svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume. Ripeto ancora una volta che una norma che viola il diritto naturale alla vita di un innocente è ingiusta e, come tale, non può avere valore di legge. Per questo rinnovo con forza il mio appello a tutti i politici perché non promulghino leggi che, misconoscendo la dignità della persona, minano alla radice la stessa convivenza civile.

La Chiesa sa che, nel contesto di democrazie pluraliste, per la presenza di forti correnti culturali di diversa impostazione, è difficile attuare un'efficace difesa legale della vita. Mossa tuttavia dalla certezza che la verità morale non può non avere un'eco nell'intimo di ogni coscienza, essa incoraggia i politici, cominciando da quelli cristiani, a non rassegnarsi e a compiere quelle scelte che, tenendo conto delle possibilità concrete, portino a ristabilire un ordine giusto nell'affermazione e promozione del valore della vita. In questa prospettiva, occorre rilevare che non basta eliminare le leggi inique. Si dovranno rimuovere le cause che favoriscono gli attentati alla vita, soprattutto assicurando il dovuto sostegno alla famiglia e alla maternità: la politica familiare deve essere perno e motore di tutte le politiche sociali. Pertanto, occorre avviare iniziative sociali e legislative capaci di garantire condizioni di autentica libertà nella scelta in ordine alla paternità e alla maternità; inoltre è necessario reimpostare le politiche lavorative, urbanistiche, abitative e dei servizi, perché si possano conciliare tra loro i tempi del lavoro e quelli della famiglia e diventi effettivamente possibile la cura dei bambini e degli anziani.



91. Un capitolo importante della politica per la vita è costituito oggi dalla problematica demografica. Le pubbliche autorità hanno certo la responsabilità di prendere «iniziative al fine di orientare la demografia della popolazione»; 114 ma tali iniziative devono sempre presupporre e rispettare la responsabilità primaria ed inalienabile dei coniugi e delle famiglie e non possono ricorrere a metodi non rispettosi della persona e dei suoi diritti fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita di ogni essere umano innocente. È, quindi, moralmente inaccettabile che, per regolare le nascite, si incoraggi o addirittura si imponga l'uso di mezzi come la contraccezione, la sterilizzazione e l'aborto.

Ben altre sono le vie per risolvere il problema demografico: i Governi e le varie istituzioni internazionali devono innanzitutto mirare alla creazione di condizioni economiche, sociali, medico-sanitarie e culturali che consentano agli sposi di fare le loro scelte procreative in piena libertà e con vera responsabilità; devono poi sforzarsi di «potenzia re le possibilità e distribuire con maggiore giustizia le ricchezze, affinché tutti possano partecipare equamente ai beni del creato. Occorre creare soluzioni a livello mondiale, instaurando un'autentica economia di comunione e condivisione dei beni, sia sul piano internazionale che su quello nazionale».115 Questa sola è la strada che rispetta la dignità delle persone e delle famiglie, oltre che l'autentico patrimonio culturale dei popoli.

Vasto e complesso è dunque il servizio al Vangelo della vita. Esso ci appare sempre più come ambito prezioso e favorevole per una fattiva collaborazione con i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali nella linea di quell'ecumenismo delle opere che il Concilio Vaticano II ha autorevolmente incoraggiato.116 Esso, inoltre, si presenta come spazio provvidenziale per il dialogo e la collaborazione con i seguaci di altre religioni e con tutti gli uomini di buona volontà: la difesa e la promozione della vita non sono monopolio di nessuno, ma compito e responsabilità di tutti. La sfida che ci sta di fronte, alla vigilia del terzo millennio, è ardua: solo la concorde cooperazione di quanti credono nel valore della vita potrà evitare una sconfitta della civiltà dalle conseguenze imprevedibili.





«Dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo» (Sal 126/125, 3): la famiglia «santuario della vita»



92. All'interno del «popolo della vita e per la vita»,decisiva è la responsabilità della famiglia: è una responsabilità che scaturisce dalla sua stessa natura — quella di essere comunità di vita e di amore, fondata sul matrimonio — e dalla sua missione di «custodire, rivelare e comunicare l'amore».117 È in questione l'amore stesso di Dio, del quale i genitori sono costituiti collaboratori e quasi interpreti nel trasmettere la vita e nell'educarla secondo il suo progetto di Padre.118 È quindi l'amore che si fa gratuità, accoglienza, donazione: nella famiglia ciascuno è riconosciuto, rispettato e onorato perché è persona e, se qualcuno ha più bisogno, più intensa e più vigile è la cura nei suoi confronti.

La famiglia è chiamata in causa nell'intero arco di esistenza dei suoi membri, dalla nascita alla morte. Essa è veramente «ilsantuario della vita..., il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana».119 Per questo, determinante e insostituibile è il ruolo della famiglia nel costruire la cultura della vita.

Come chiesa domestica, la famiglia è chiamata ad annunciare, celebrare e servire il Vangelo della vita. È un compito che riguarda innanzitutto i coniugi, chiamati ad essere trasmettitori della vita, sulla base di una sempre rinnovata consapevolezza del senso della generazione, come evento privilegiato nel quale si manifesta che la vita umana è un dono ricevuto per essere a sua volta donato. Nella procreazione di una nuova vita i genitori avvertono che il figlio «se è frutto della loro reciproca donazione d'amore, è, a sua volta, un dono per ambedue, un dono che scaturisce dal dono».120

È soprattutto attraverso l'educazione dei figli che la famiglia assolve la sua missione di annunciare il Vangelo della vita. Con la parola e con l'esempio, nella quotidianità dei rapporti e delle scelte e mediante gesti e segni concreti, i genitori iniziano i loro figli alla libertà autentica, che si realizza nel dono sincero di sé, e coltivano in loro il rispetto dell'altro, il senso della giustizia, l'accoglienza cordiale, il dialogo, il servizio generoso, la solidarietà e ogni altro valore che aiuti a vivere la vita come un dono. L'opera educativa dei genitori cristiani deve farsi servizio alla fede dei figli e aiuto loro offerto perché adempiano la vocazione ricevuta da Dio. Rientra nella missione educativa dei genitori insegnare e testimoniare ai figli il vero senso del soffrire e del morire: lo potranno fare se sapranno essere attenti ad ogni sofferenza che trovano intorno a sé e, prima ancora, se sapranno sviluppare atteggiamenti di vicinanza, assistenza e condivisione verso malati e anziani nell'ambito familiare.



93. La famiglia, inoltre, celebra il Vangelo della vita con la preghiera quotidiana, individuale e familiare: con essa loda e ringrazia il Signore per il dono della vita ed invoca luce e forza per affrontare i momenti di difficoltà e di sofferenza, senza mai smarrire la speranza. Ma la celebrazione che dà significato ad ogni altra forma di preghiera e di culto è quella che s'esprime nell'esistenza quotidiana della famiglia, se è un'esistenza fatta di amore e donazione.

La celebrazione si trasforma così in un servizio al Vangelo della vita, che si esprime attraverso la solidarietà, sperimentata dentro e intorno alla famiglia come attenzione premurosa, vigile e cordiale nelle azioni piccole e umili di ogni giorno. Un'espressione particolarmente significativa di solidarietà tra le famiglie è la disponibilità all'adozione o all'affidamento dei bambini abbandonati dai loro genitori o comunque in situazioni di grave disagio. Il vero amore paterno e materno sa andare al di là dei legami della carne e del sangue ed accogliere anche bambini di altre famiglie, offrendo ad essi quanto è necessario per la loro vita ed il loro pieno sviluppo. Tra le forme di adozione, merita di essere proposta anche l'adozione a distanza, da preferire nei casi in cui l'abbandono ha come unico motivo le condizioni di grave povertà della famiglia. Con tale tipo di adozione, infatti, si offrono ai genitori gli aiuti necessari per mantenere ed educare i propri figli, senza doverli sradicare dal loro ambiente naturale.

Intesa come «determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune»,121 la solidarietà chiede di attuarsi anche attraverso forme di partecipazione sociale e politica. Di conseguenza, servire il Vangelo della vita comporta che le famiglie, specie partecipando ad apposite associazioni, si adoperino affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non ledano in nessun modo il diritto alla vita, dal concepimento alla morte naturale, ma lo difendano e lo promuovano.



94. Un posto particolare va riconosciuto agli anziani. Mentre in alcune culture la persona più avanzata in età rimane inserita nella famiglia con un ruolo attivo importante, in altre culture invece chi è vecchio è sentito come un peso inutile e viene abbandonato a se stesso: in simile contesto può sorgere più facilmente la tentazione di ricorrere all'eutanasia.

L'emarginazione o addirittura il rifiuto degli anziani sono intollerabili. La loro presenza in famiglia, o almeno la vicinanza ad essi della famiglia quando per la ristrettezza degli spazi abitativi o per altri motivi tale presenza non fosse possibile, sono di fondamentale importanza nel creare un clima di reciproco scambio e di arricchente comunicazione fra le varie età della vita. È importante, perciò, che si conservi, o si ristabilisca dove è andato smarrito, una sorta di «patto» tra le generazioni, così che i genitori anziani, giunti al termine del loro cammino, possano trovare nei figli l'accoglienza e la solidarietà che essi hanno avuto nei loro confronti quando s'affacciavano alla vita: lo esige l'obbedienza al comando divino di onorare il padre e la madre (cf. Es 20, 12; Lv 19, 3). Ma c'è di più. L'anziano non è da considerare solo oggetto di attenzione, vicinanza e servizio. Anch'egli ha un prezioso contributo da portare al Vangelo della vita. Grazie al ricco patrimonio di esperienza acquisito lungo gli anni, può e deve essere dispensatore di sapienza, testimone di speranza e di carità.

Se è vero che «l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia»,122 si deve riconoscere che le odierne condizioni sociali, economiche e culturali rendono spesso più arduo e faticoso il compito della famiglia nel servire la vita. Perché possa realizzare la sua vocazione di «santuario della vita», quale cellula di una società che ama e accoglie la vita, è necessario e urgente che la famiglia stessa sia aiutata e sostenuta. Le società e gli Stati le devono assicurare tutto quel sostegno, anche economico che è necessario perché le famiglie possano rispondere in modo più umano ai propri problemi. Da parte sua la Chiesa deve promuovere instancabilmente una pastorale familiare capace di stimolare ogni famiglia a riscoprire e vivere con gioia e con coraggio la sua missione nei confronti del Vangelo della vita.





«Comportatevi come i figli della luce» (Ef 5, 8): per realizzare una svolta culturale



95. «Comportatevi come i figli della luce... Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre» (Ef 5, 8.10-11). Nell'odierno contesto sociale, segnato da una drammatica lotta tra la «cultura della vita» e la «cultura della morte», occorre far maturare un forte senso critico, capace di discernere i veri valori e le autentiche esigenze.

Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico, per mettere in atto una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita: nuova, perché in grado di affrontare e risolvere gli inediti problemi di oggi circa la vita dell'uomo; nuova, perché fatta propria con più salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani; nuova, perché capace di suscitare un serio e coraggioso confronto culturale con tutti. L'urgenza di questa svolta culturale è legata alla situazione storica che stiamo attraversando, ma si radica nella stessa missione evangelizzatrice, propria della Chiesa. Il Vangelo, infatti, mira a «trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità»; 123 è come il lievito che fermenta tutta la pasta (cf. Mt 13, 33) e, come tale, è destinato a permeare tutte le culture e ad animarle dall'interno,124 perché esprimano l'intera verità sull'uomo e sulla sua vita.

Si deve cominciare dal rinnovare la cultura della vita all'interno delle stesse comunità cristiane. Troppo spesso i credenti, perfino quanti partecipano attivamente alla vita ecclesiale, cadono in una sorta di dissociazione tra la fede cristiana e le sue esigenze etiche a riguardo della vita, giungendo così al soggettivismo morale e a taluni comportamenti inaccettabili. Dobbiamo allora interrogarci, con grande lucidità e coraggio, su quale cultura della vita sia oggi diffusa tra i singoli cristiani, le famiglie, i gruppi e le comunità delle nostre Diocesi. Con altrettanta chiarezza e decisione, dobbiamo individuare quali passi siamo chiamati a compiere per servire la vita secondo la pienezza della sua verità. Nello stesso tempo, dobbiamo promuovere un confronto serio e approfondito con tutti, anche con i non credenti, sui problemi fondamentali della vita umana, nei luoghi dell'elaborazione del pensiero, come nei diversi ambiti professionali e là dove si snoda quotidianamente l'esistenza di ciascuno.



96. Il primo e fondamentale passo per realizzare questa svolta culturale consiste nella formazione della coscienza morale circa il valore incommensurabile e inviolabile di ogni vita umana. È di somma importanza riscoprire il nesso inscindibile tra vita e libertà. Sono beni indivisibili: dove è violato l'uno, anche l'altro finisce per essere violato. Non c'è libertà vera dove la vita non è accolta e amata; e non c'è vita piena se non nella libertà. Ambedue queste realtà hanno poi un riferimento nativo e peculiare, che le lega indissolubilmente: la vocazione all'amore. Questo amore, come dono sincero di sé,125 è il senso più vero della vita e della libertà della persona.

Non meno decisiva nella formazione della coscienza è la riscoperta del legame costitutivo che unisce la libertà alla verità. Come ho ribadito più volte, sradicare la libertà dalla verità oggettiva rende impossibile fondare i diritti della persona su una solida base razionale e pone le premesse perché nella società si affermino l'arbitrio ingovernabile dei singoli o il totalitarismo mortificante del pubblico potere.126

È essenziale allora che l'uomo riconosca l'originaria evidenza della sua condizione di creatura, che riceve da Dio l'essere e la vita come un dono e un compito: solo ammettendo questa sua nativa dipendenza nell'essere, l'uomo può realizzare in pienezza la sua vita e la sua libertà e insieme rispettare fino in fondo la vita e la libertà di ogni altra persona. Qui soprattutto si svela che «al centro di ogni cultura sta l'atteggiamento che l'uomo assume davanti al mistero più grande: il mistero di Dio».127 Quando si nega Dio e si vive come se Egli non esistesse, o comunque non si tiene conto dei suoi comandamenti, si finisce facilmente per negare o compromettere anche la dignità della persona umana e l'inviolabilità della sua vita.



97. Alla formazione della coscienza è strettamente connessal'opera educativa, che aiuta l'uomo ad essere sempre più uomo, lo introduce sempre più profondamente nella verità, lo indirizza verso un crescente rispetto della vita, lo forma alle giuste relazioni tra le persone.

In particolare, è necessario educare al valore della vitacominciando dalle sue stesse radici. È un'illusione pensare di poter costruire una vera cultura della vita umana, se non si aiutano i giovani a cogliere e a vivere la sessualità, l'amore e l'intera esistenza secondo il loro vero significato e nella loro intima correlazione. La sessualità, ricchezza di tutta la persona, «manifesta il suo intimo significato nel portare la persona al dono di sé nell'amore».128 La banalizzazione della sessualità è tra i principali fattori che stanno all'origine del disprezzo della vita nascente: solo un amore vero sa custodire la vita. Non ci si può, quindi, esimere dall'offrire soprattutto agli adolescenti e ai giovani l'autentica educazione alla sessualità e all'amore, un'educazione implicante la formazione alla castità, quale virtù che favorisce la maturità della persona e la rende capace di rispettare il significato «sponsale» del corpo.

L'opera di educazione alla vita comporta la formazione dei coniugi alla procreazione responsabile. Questa, nel suo vero significato, esige che gli sposi siano docili alla chiamata del Signore e agiscano come fedeli interpreti del suo disegno: ciò avviene con l'aprire generosamente la famiglia a nuove vite, e comunque rimanendo in atteggiamento di apertura e di servizio alla vita anche quando, per seri motivi e nel rispetto della legge morale, i coniugi scelgono di evitare temporaneamente o a tempo indeterminato una nuova nascita. La legge morale li obbliga in ogni caso a governare le tendenze dell'istinto e delle passioni e a rispettare le leggi biologiche iscritte nella loro persona. Proprio tale rispetto rende legittimo, a servizio della responsabilità nel procreare, il ricorso ai metodi naturali di regolazione della fertilità: essi vengono sempre meglio precisati dal punto di vista scientifico e offrono possibilità concrete per scelte in armonia con i valori morali. Una onesta considerazione dei risultati raggiunti dovrebbe far cadere pregiudizi ancora troppo diffusi e convincere i coniugi nonché gli operatori sanitari e sociali circa l'importanza di un'adeguata formazione al riguardo. La Chiesa è riconoscente verso coloro che con sacrificio personale e dedizione spesso misconosciuta si impegnano nella ricerca e nella diffusione di tali metodi, promovendo al tempo stesso un'educazione ai valori morali che il loro uso suppone.

L'opera educativa non può non prendere in considerazione anche la sofferenza e la morte. In realtà, esse fanno parte dell'esperienza umana, ed è vano, oltre che fuorviante, cercare di censurarle e rimuoverle. Ciascuno invece deve essere aiutato a coglierne, nella concreta e dura realtà, il mistero profondo. Anche il dolore e la sofferenza hanno un senso e un valore, quando sono vissuti in stretta connessione con l'amore ricevuto e donato. In questa prospettiva ho voluto che si celebrasse ogni anno la Giornata Mondiale del Malato, sottolineando «l'indole salvifica dell'offerta della sofferenza, che vissuta in comunione con Cristo appartiene all'essenza stessa della redenzione».129 Del resto perfino la morte è tutt'altro che un'avventura senza speranza: è la porta dell'esistenza che si spalanca sull'eternità e, per quanti la vivono in Cristo, è esperienza di partecipazione al suo mistero di morte e risurrezione.



98. In sintesi, possiamo dire che la svolta culturale qui auspicata esige da tutti il coraggio di assumere un nuovo stile di vita che s'esprime nel porre a fondamento delle scelte concrete — a livello personale, familiare, sociale e internazionale — la giusta scala dei valori: il primato dell'essere sull'avere,130 della persona sulle cose.131 Questo rinnovato stile di vita implica anche il passaggio dall'indifferenza all'interessamento per l'altro e dal rifiuto alla sua accoglienza: gli altri non sono concorrenti da cui difenderci, ma fratelli e sorelle con cui essere solidali; sono da amare per se stessi; ci arricchiscono con la loro stessa presenza.

Nella mobilitazione per una nuova cultura della vita nessuno si deve sentire escluso: tutti hanno un ruolo importante da svolgere. Insieme con quello delle famiglie, particolarmente prezioso è il compito degli insegnanti e degli educatori. Molto dipenderà da loro se i giovani, formati ad una vera libertà, sapranno custodire dentro di sé e diffondere intorno a sé ideali autentici di vita e sapranno crescere nel rispetto e nel servizio di ogni persona, in famiglia e nella società.

Anche gli intellettuali possono fare molto per costruire una nuova cultura della vita umana. Un compito particolare spetta agli intellettuali cattolici, chiamati a rendersi attivamente presenti nelle sedi privilegiate dell'elaborazione culturale, nel mondo della scuola e delle università, negli ambienti della ricerca scientifica e tecnica, nei luoghi della creazione artistica e della riflessione umanistica. Alimentando il loro genio e la loro azione alle chiare linfe del Vangelo, si devono impegnare a servizio di una nuova cultura della vita con la produzione di contributi seri, documentati e capaci di imporsi per i loro pregi al rispetto e all'interesse di tutti. Proprio in questa prospettiva ho istituito la Pontificia Accademia per la Vita con il compito di «studiare, informare e formare circa i principali problemi di biomedicina e di diritto, relativi alla promozione e alla difesa della vita, soprattutto nel diretto rapporto che essi hanno con la morale cristiana e le direttive del magistero della Chiesa».132 Uno specifico apporto dovrà venire anche dalle Università, in particolare da quellecattoliche, e dai Centri, Istituti e Comitati di bioetica.

Grande e grave è la responsabilità degli operatori dei mass media, chiamati ad adoperarsi perché i messaggi trasmessi con tanta efficacia contribuiscano alla cultura della vita. Devono allora presentare esempi alti e nobili di vita e dare spazio alle testimonianze positive e talvolta eroiche di amore all'uomo; proporre con grande rispetto i valori della sessualità e dell'amore, senza indugiare su ciò che deturpa e svilisce la dignità dell'uomo. Nella lettura della realtà, devono rifiutare di mettere in risalto quanto può insinuare o far crescere sentimenti o atteggiamenti di indifferenza, di disprezzo o di rifiuto nei confronti della vita. Nella scrupolosa fedeltà alla verità dei fatti, sono chiamati a coniugare insieme la libertà di informazione, il rispetto di ogni persona e un profondo senso di umanità.



99. Nella svolta culturale a favore della vita le donne hanno uno spazio di pensiero e di azione singolare e forse determinante: tocca a loro di farsi promotrici di un «nuovo femminismo» che, senza cadere nella tentazione di rincorrere modelli «maschilisti», sappia riconoscere ed esprimere il vero genio femminile in tutte le manifestazioni della convivenza civile, operando per il superamento di ogni forma di discriminazione, di violenza e di sfruttamento.

Riprendendo le parole del messaggio conclusivo del Concilio Vaticano II, rivolgo anch'io alle donne il pressante invito: «Riconciliate gli uomini con la vita».133 Voi siete chiamate a testimoniare il senso dell'amore autentico, di quel dono di sé e di quella accoglienza dell'altro che si realizzano in modo specifico nella relazione coniugale, ma che devono essere l'anima di ogni altra relazione interpersonale. L'esperienza della maternità favorisce in voi una sensibilità acuta per l'altra persona e, nel contempo, vi conferisce un compito particolare: «La maternità contiene in sé una speciale comunione col mistero della vita, che matura nel seno della donna... Questo modo unico di contatto col nuovo uomo che si sta formando crea a sua volta un atteggiamento verso l'uomo — non solo verso il proprio figlio, ma verso l'uomo in genere — tale da caratterizzare profondamente tutta la personalità della donna».134 La madre, infatti, accoglie e porta in sé un altro, gli dà modo di crescere dentro di sé, gli fa spazio, rispettandolo nella sua alterità. Così, la donna percepisce e insegna che le relazioni umane sono autentiche se si aprono all'accoglienza dell'altra persona, riconosciuta e amata per la dignità che le deriva dal fatto di essere persona e non da altri fattori, quali l'utilità, la forza, l'intelligenza, la bellezza, la salute. Questo è il contributo fondamentale che la Chiesa e l'umanità si attendono dalle donne. Ed è la premessa insostituibile per un'autentica svolta culturale.

Un pensiero speciale vorrei riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all'aborto. La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s'è trattato d'una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s'è ancor rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l'avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita. Attraverso il vostro impegno per la vita, coronato eventualmente dalla nascita di nuove creature ed esercitato con l'accoglienza e l'attenzione verso chi è più bisognoso di vicinanza, sarete artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell'uomo.



100. In questo grande sforzo per una nuova cultura della vita siamo sostenuti e animati dalla fiducia di chi sa che il Vangelo della vita, come il Regno di Dio, cresce e dà i suoi frutti abbondanti (cf. Mc 4, 26-29). È certamente enorme la sproporzione che esiste tra i mezzi, numerosi e potenti, di cui sono dotate le forze operanti a sostegno della «cultura della morte» e quelli di cui dispongono i promotori di una «cultura della vita e dell'amore». Ma noi sappiamo di poter confidare sull'aiuto di Dio, al quale nulla è impossibile (cf. Mt 19, 26).

Con questa certezza nel cuore, e mosso da accorata sollecitudine per le sorti di ogni uomo e donna, ripeto oggi a tutti quanto ho detto alle famiglie impegnate nei loro difficili compiti fra le insidie che le minacciano: 135 èurgente una grande preghiera per la vita, che attraversi il mondo intero. Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale, da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione, da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente, si elevi una supplica appassionata a Dio, Creatore e amante della vita. Gesù stesso ci ha mostrato col suo esempio che preghiera e digiuno sono le armi principali e più efficaci contro le forze del male (cf. Mt 4, 1-11) e ha insegnato ai suoi discepoli che alcuni demoni non si scacciano se non in questo modo (cf. Mc 9, 29). Ritroviamo, dunque, l'umiltà e il coraggio di pregare e digiunare, per ottenere che la forza che viene dall'Alto faccia crollare i muri di inganni e di menzogne, che nascondono agli occhi di tanti nostri fratelli e sorelle la natura perversa di comportamenti e di leggi ostili alla vita, e apra i loro cuori a propositi e intenti ispirati alla civiltà della vita e dell'amore.





«Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1 Gv 1, 4): il Vangelo della vita è per la città degli uomini



101. «Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1 Gv 1, 4). La rivelazione del Vangelo della vita ci è data come bene da comunicare a tutti: perché tutti gli uomini siano in comunione con noi e con la Trinità (cf. 1 Gv 1, 3). Neppure noi potremmo essere nella gioia piena se non comunicassimo questo Vangelo agli altri, ma lo tenessimo solo per noi stessi.

Il Vangelo della vita non è esclusivamente per i credenti: è per tutti. La questione della vita e della sua difesa e promozione non è prerogativa dei soli cristiani. Anche se dalla fede riceve luce e forza straordinarie, essa appartiene ad ogni coscienza umana che aspira alla verità ed è attenta e pensosa per le sorti dell'umanità. Nella vita c'è sicuramente un valore sacro e religioso, ma in nessun modo esso interpella solo i credenti: si tratta, infatti, di un valore che ogni essere umano può cogliere anche alla luce della ragione e che perciò riguarda necessariamente tutti.

Per questo, la nostra azione di «popolo della vita e per la vita» domanda di essere interpretata in modo giusto e accolta con simpatia. Quando la Chiesa dichiara che il rispetto incondizionato del diritto alla vita di ogni persona innocente — dal concepimento alla sua morte naturale — è uno dei pilastri su cui si regge ogni società civile, essa «vuole semplicemente promuovere uno Stato umano. Uno Stato che riconosca come suo primario dovere la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, specialmente di quella più debole».136

Il Vangelo della vita è per la città degli uomini. Agire a favore della vita è contribuire al rinnovamento della società mediante l'edificazione del bene comune. Non è possibile, infatti, costruire il bene comune senza riconoscere e tutelare il diritto alla vita, su cui si fondano e si sviluppano tutti gli altri diritti inalienabili dell'essere umano. Né può avere solide basi una società che — mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace — si contraddice radicalmente accettando o tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata. Solo il rispetto della vita può fondare e garantire i beni più preziosi e necessari della società, come la democrazia e la pace.

Infatti, non ci può essere vera democrazia, se non si riconosce la dignità di ogni persona e non se ne rispettano i diritti.

Non ci può essere neppure vera pace, se non si difende e promuove la vita, come ricordava Paolo VI: «Ogni delitto contro la vita è un attentato contro la pace, specialmente se esso intacca il costume del popolo..., mentre dove i diritti dell'uomo sono realmente professati e pubblicamente riconosciuti e difesi, la pace diventa l'atmosfera lieta e operosa della convivenza sociale».137

Il «popolo della vita» gioisce di poter condividere con tanti altri il suo impegno, così che sempre più numeroso sia il «popolo per la vita» e la nuova cultura dell'amore e della solidarietà possa crescere per il vero bene della città degli uomini.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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